È un momento cruciale nella vita di Harry: ormai è un mago adolescente, vuole andarsene dalla casa degli odiosi Dursley, vuole sognare la Cercatrice del Corvonero per cui ha una cotta tremenda... Intanto, grandiosi avvenimenti si stanno preparando alla scuola di Hogwarts, dove si svolgerà un torneo tra tutte le più importanti scuole di magia. E nonostante non abbia ancora 16 anni, età per iscriversi alla competizione, Harry viene scelto dal Calice di Fuoco per superare prove terrificanti: si troverà faccia a faccia con la morte, come sempre per colpa del perfido Voldemort; e con l’amore.

Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 2001.

J. K. Rowling

Harry Potter e il calice di fuoco

A Peter Rowling, in memoria del signor Ridley e a Susan Sladden, che ha aiutato Harry a uscire dall’armadio

CAPITOLO 1

CASA RIDDLE

Gli abitanti di Little Hangleton la chiamavano ancora Casa Riddle, anche se erano passati tanti anni da quando i Riddle ci abitavano. Si trovava sulla collina che dominava il villaggio: alcune delle finestre erano inchiodate, al tetto mancavano delle tegole e l’edera cresceva incolta sulla facciata. Un tempo Casa Riddle era stata una dimora elegante, certo l’edificio più vasto e grandioso nel raggio di chilometri, ma ora era umida, desolata e disabitata.

Gli hangletoniani convenivano tutti che la vecchia casa era “sinistra”. Mezzo secolo prima, qualcosa di strano e terribile era successo là dentro, qualcosa di cui gli abitanti più anziani del villaggio amavano ancora discutere quando erano a corto di pettegolezzi. La storia era stata ripetuta così tante volte, e vi erano stati aggiunti cosi tanti fronzoli che nessuno era più certo di quale fosse la verità. Ogni versione del racconto, comunque, cominciava allo stesso modo: cinquant’anni prima, all’alba di una bella giornata d’estate, quando Casa Riddle era ancora ben tenuta e imponente, una cameriera era entrata in salotto e aveva trovato morti tutti e tre i Riddle.

La cameriera era corsa urlando giù per la collina fino al villaggio, e aveva radunato tutte le persone che poteva.

«Sono là stesi con gli occhi spalancati! Freddi come il ghiaccio! Ancora vestiti per la cena!»

Fu chiamata la polizia, e tutta quanta Little Hangleton si crogiolò in una curiosità atterrita e in una malcelata eccitazione. Nessuno si sforzò di fingersi addolorato per i Riddle, che erano stati assolutamente impopolari. Gli anziani signori Riddle, marito e moglie, erano ricchi, snob e sgarbati, e il loro figlio ormai adulto, Tom, era anche peggio. Tutto quello che importava agli abitanti era l’identità dell’assassino: chiaramente, tre persone in apparenza sane non morivano di colpo per cause naturali nella stessa notte.

L’Impiccato, il pub locale, fece affari d’oro quella sera: il villaggio al completo accorse per discutere gli omicidi. E la ricompensa per quell’uscita serale arrivò quando la cuoca dei Riddle fece un ingresso teatrale e annunciò al pub improvvisamente silenzioso che un uomo chiamato Frank Bryce era stato appena arrestato.

«Frank!» gridarono in molti. «Impossibile!»

Frank Bryce era il giardiniere. Viveva solo in un cottage malridotto sulla proprietà dei Riddle. Frank era tornato dalla guerra con una gamba molto rigida e un gran disgusto per la folla e i rumori, e da allora lavorava per i Riddle.

I presenti fecero a gara per pagare da bere alla cuoca e farle raccontare altri dettagli.

«Sempre detto che era uno strano» disse, dopo il quarto sherry, agli abitanti in avido ascolto. «Scontroso, ecco. Gli ho offerto da bere un sacco di volte, mica una. E lui… mai dato confidenza, mai».

«Sì, però» disse una donna al bancone, «ha fatto la guerra, Frank, gli piace star tranquillo. Che motivo aveva di…»

«E chi ce l’aveva la chiave della porta dietro, eh?» abbaiò la cuoca. «C’è sempre stata una chiave in più appesa nella casa del giardiniere, sempre, per quello che mi ricordo! Nessuno ha scassinato la porta! Niente finestre rotte! Frank non ha dovuto far altro che strisciare fino alla casa grande mentre dormivano tutti…»

I presenti si scambiarono sguardi cupi.

«Io l’ho sempre pensato che aveva l’aria cattiva, ecco» borbottò un uomo al bancone.

«Se volete saperlo, la guerra l’ha fatto diventare strano» disse il padrone.

«Te lo dicevo, Dot, che non avrei mai voluto pestargli i piedi» disse una donna in tono animato.

«Un caratteraccio» annuì Dot con fervore. «Mi ricordo che quando era piccolo…»

Entro la mattina dopo, quasi tutti a Little Hangleton erano certi che Frank Bryce avesse ucciso i Riddle.

Ma nella vicina città di Great Hangleton, nella buia, squallida stazione di polizia, l’ostinato Frank continuava a ripetere che era innocente, e che la sola persona che aveva visto nei dintorni della casa il giorno della morte dei Riddle era un ragazzino, uno straniero pallido, coi capelli scuri. Nessun altro al villaggio aveva visto un ragazzo del genere, e la polizia era piuttosto convinta che Frank se lo fosse inventato.

Poi, proprio mentre le cose si facevano molto serie per Frank, giunse il referto dell’autopsia effettuata sui Riddle, e questo cambiò tutto.

La polizia non aveva mai letto un referto così strano. Una commissione di medici aveva esaminato i corpi, e aveva concluso che nessuno dei Riddle era stato avvelenato, pugnalato, colpito da pallottole, strangolato, soffocato o (per quello che se ne poteva desumere) ferito in qualche modo. E aggiungeva, in tono di inequivocabile meraviglia, che in effetti i Riddle sembravano in perfetta salute, a parte il fatto che erano morti tutti e tre. I dottori, come a voler trovare a tutti i costi qualcosa che non andava nei cadaveri, osservarono che ciascun Riddle aveva un’espressione di terrore sul volto: ma come disse la polizia delusa, chi ha mai sentito di tre persone morte di paura?

Poiché non c’erano prove che i Riddle fossero stati assassinati, la polizia fu costretta a rilasciare Frank. I Riddle furono sepolti nel cimitero di Little Hangleton, e le loro tombe furono per un po’ oggetto di curiosità. Con sorpresa di tutti, e in una nube di sospetto, Frank Bryce tornò nella sua casetta sulla proprietà dei Riddle.

«Per quello che ne so, li ha uccisi lui, e non m’importa di quel che dice la polizia» dichiarò Dot all’Impiccato. «E se avesse un po’ di decenza, se ne andrebbe: lo sa che sappiamo che è stato lui».

Ma Frank non se ne andò. Rimase a badare al giardino per conto della famiglia che venne ad abitare a Casa Riddle, e di quella dopo: perché nessuna delle due si fermò a lungo. Forse anche per via di Frank, ogni nuovo proprietario sosteneva infatti che su quel posto tirava una brutta aria. E questo, in assenza di abitanti, cominciò ad andare in rovina.

* * *

Il proprietario di Casa Riddle, a quei tempi, era un ricco signore che non ci abitava né la utilizzava in alcun modo; al villaggio dicevano che la teneva per “ragioni fiscali”, anche se nessuno diceva chiaramente quali potessero essere. Il ricco proprietario continuò comunque a pagare Frank perché badasse al giardino: lui ormai si avvicinava al suo settantasettesimo compleanno, era piuttosto sordo e la sua gamba ferita era più rigida che mai, ma lo si vedeva ancora affaccendarsi attorno alle aiuole quando c’era bel tempo, anche se le erbacce cominciavano ad avere la meglio.

Le erbacce non erano la sola cosa con la quale Frank dovesse combattere. I ragazzi del villaggio si divertivano a tirare sassi alle finestre di Casa Riddle; sfrecciavano in bicicletta sui prati che Frank faticava tanto a mantenere ben curati, e una o due volte s’intrufolarono nella vecchia casa, per scommessa. Sapevano che il vecchio Frank era devoto alla casa e alla proprietà, e li divertiva vederlo zoppicare per il giardino, brandendo il bastone e urlando contro di loro con voce gracchiante. Dal canto suo Frank era convinto che i ragazzi lo tormentassero perché, come i loro genitori e i loro nonni, lo credevano un assassino. Così, quando Frank si svegliò una notte d’agosto e vide qualcosa di molto strano su alla vecchia casa, si limitò a pensare che i ragazzi ne avessero inventata un’altra per punirlo.

Fu la gamba ferita a svegliare Frank; nella vecchiaia lo torturava come non mai. Si alzò, scese le scale zoppicando e andò in cucina con l’idea di riempire di nuovo la borsa dell’acqua calda per dare sollievo al ginocchio. In piedi davanti al lavandino, mentre riempiva il bollitore, guardò verso Casa Riddle e vide balenare delle luci alle finestre del piano superiore. Frank capì all’istante che cosa stava succedendo: i ragazzi erano penetrati di nuovo nella casa, e a giudicare dal riverbero avevano appiccato un incendio.

Frank non aveva il telefono, e comunque nutriva, una profonda sfiducia nella polizia da quando questa lo aveva prelevato per interrogarlo sulla morte dei Riddle. Mise subito giù il bollitore e corse su per le scale quanto più velocemente glielo consentiva la gamba ferita. Ben presto fu di nuovo in cucina, completamente vestito. Staccò una vecchia chiave arrugginita dal gancio vicino alla porta, prese il bastone da passeggio, che era appoggiato al muro, e si addentrò nella notte.

La porta principale di Casa Riddle non sembrava forzata, e nemmeno le finestre. Frank raggiunse zoppicando il retro della casa e arrivò a una porta quasi completamente nascosta dall’edera, estrasse la vecchia chiave, la infilò nella toppa e aprì la porta senza far rumore.

Si ritrovò nella cucina tenebrosa. Frank non entrava là dentro da molti anni; comunque, anche se era buio pesto, si ricordava dov’era la porta che si apriva sull’ingresso, e vi si diresse a tentoni, le narici piene dell’odore dell’abbandono, le orecchie tese a cogliere qualunque rumore di passi o voci provenisse da sopra. Raggiunse il vasto ingresso, un po’ più illuminato grazie alle ampie finestre che si trovavano ai due lati dell’entrata, e prese a salire le scale, benedicendo lo spesso strato di polvere che ricopriva la pietra, perché smorzava il rumore dei suoi piedi e del bastone.

Di sopra, Frank voltò a destra, e vide subito dov’erano gli intrusi: proprio alla fine del corridoio c’era una porta socchiusa, e una luce intermittente brillava attraverso la fessura, disegnando una lunga lama d’oro sul pavimento nero. Frank si avvicinò, impugnando con forza il bastone. Da quella distanza, riusciva già a vedere uno spicchio della camera.

Nel camino il fuoco era acceso. La cosa lo stupì. Smise di avanzare e ascoltò con attenzione, perché dall’interno proveniva una voce d’uomo; suonava esitante e impaurita.

«Ce n’è ancora un po’ nella bottiglia, mio signore, se avete ancora fame».

«Dopo» disse una seconda voce. Anche questa apparteneva a un uomo: ma era stranamente acuta, e fredda come un soffio improvviso di vento gelido. Qualcosa di quella voce fece drizzare i radi peli sulla nuca di Frank. «Avvicinami al fuoco, Codaliscia».

Frank rivolse l’orecchio destro verso la porta per sentire meglio. Ci fu il tintinnio di una bottiglia posata su una superficie dura, e poi il tetro strofinio di una sedia pesante trascinata sul pavimento. Frank riuscì a intravedere un ometto che dava le spalle alla porta e spingeva la sedia al suo posto. Indossava un lungo mantello nero, e c’era una chiazza calva sulla sua testa. Poi l’ometto scomparve di nuovo alla vista.

«Dov’è Nagini?» chiese la voce fredda.

«Io… io non lo so, mio signore» rispose nervosamente la prima voce. «È andata a esplorare la casa, credo…»

«Devi mungerla prima di coricarci, Codaliscia» disse la seconda voce. «Avrò bisogno di nutrirmi durante la notte. Il viaggio mi ha stancato immensamente».

Con le sopracciglia aggrottate, Frank avvicinò ancora di più l’orecchio buono alla porta, ascoltando con grande concentrazione. Ci fu una pausa, e poi l’uomo chiamato Codaliscia parlò di nuovo.

«Mio signore, posso sapere quanto ci fermeremo qui?»

«Una settimana» disse la voce fredda. «Forse di più. Il posto è abbastanza comodo, e il piano non può ancora procedere. Sarebbe da sciocchi agire prima che finisca la Coppa del Mondo di Quidditch».

Frank s’infilò un dito deformato nell’orecchio per sturarlo. Senza dubbio doveva esserci un tappo di cerume, perché aveva sentito la parola “Quidditch”, che non era affatto una parola.

«La… la Coppa del Mondo di Quidditch, mio signore?» disse Codaliscia. (Frank s’infilò il dito nell’orecchio con maggior vigore.) «Perdonatemi, ma… non capisco… perché dovremmo aspettare finché la Coppa del Mondo sarà finita?»

«Perché, sciocco, in questo preciso momento i maghi si stanno riversando nel paese da tutto il mondo, e qualunque ficcanaso del Ministero della Magia sarà in servizio, pronto a cogliere il minimo segno di attività insolite, a controllare e ricontrollare l’identità dei maghi. Saranno ossessionati dalla sicurezza, per paura che i Babbani notino qualcosa. Quindi aspettiamo».

Frank smise di cercare di stapparsi l’orecchio. Aveva sentito distintamente le parole “Ministero della Magia”, “maghi” e “Babbani”. Evidentemente ognuna indicava qualcosa di segreto, e Frank riusciva a pensare a due soli tipi di persone che avrebbero parlato in codice: spie e criminali. Frank strinse il bastone ancora più forte e ascoltò ancor più attentamente.

«Vostra signoria è ancora decisa, dunque?» disse piano Codaliscia.

«Certo che lo sono, Codaliscia». C’era una nota minacciosa, ora, nella voce fredda.

Seguì una brevissima pausa, e poi Codaliscia parlò. Le parole gli uscirono affrettate, come se si stesse costringendo a pronunciarle prima di perdere il coraggio.

«Si potrebbe fare senza Harry Potter, mio signore».

Un’altra pausa, più lunga, e poi:

«Senza Harry Potter?» sussurrò dolcemente la seconda voce. «Capisco…»

«Mio signore, non lo dico perché mi preoccupo per il ragazzo!» esclamò Codaliscia, la voce che si alzava stridula. «Lui non significa niente per me, niente di niente! È solo che se potessimo usare un’altra strega o un mago, uno qualunque, la cosa si potrebbe fare molto più in fretta! Se mi permetteste di lasciarvi per un breve periodo — sapete bene che so travestirmi con molta abilità — potrei essere di ritorno in non più di due giorni con una persona adatta…»

«Potrei usare un altro mago» disse piano la prima voce, «è vero…»

«Mio signore, sarebbe ragionevole» disse Codaliscia, ora decisamente sollevato, «mettere le mani su Harry Potter sarebbe così difficile, è così ben protetto…»

«E così tu ti offri di andare a cercarmi un sostituto? Mi domando… forse il compito di accudirmi ti ha stancato, Codaliscia? Forse questo tuo suggerimento di abbandonare il piano non è altro che un tentativo di abbandonare me?»

«Mio signore! Io… non ho alcun desiderio di lasciarvi, nessuno…»

«Non mentirmi!» sibilò la seconda voce. «Lo sai che ti scopro, Codaliscia! Tu ti stai pentendo di essere tornato da me. Io ti faccio orrore. Ti vedo fremere quando mi guardi, ti sento tremare quando mi tocchi…»

«No! La mia devozione a vostra signoria…»

«La tua devozione non è altro che codardia. Non saresti qui se avessi un altro posto dove andare. Come posso sopravvivere senza di te, quando ho bisogno di essere nutrito ogni poche ore? Chi mungerà Nagini?»

«Ma sembrate molto più in forze, mio signore…»

«Bugiardo» esalò la seconda voce. «Non sono più in forze di prima, e qualche giorno da solo sarebbe sufficiente a sottrarmi la poca salute che ho riguadagnato grazie alle tue cure maldestre. Silenzio!»

Codaliscia, che aveva farfugliato in maniera incoerente, tacque all’improvviso. Per qualche istante, Frank non sentì altro che lo scoppiettio del fuoco. Poi il secondo uomo parlò di nuovo, in un sussurro che era quasi un sibilo.

«Ho le mie ragioni per voler usare il ragazzo, come ti ho già spiegato, e non userò nessun altro. Ho aspettato tredici anni. Qualche mese in più non farà alcuna differenza. Quanto alla protezione di cui gode, sono convinto che il mio piano funzionerà. Tutto quello che serve è un po’ di coraggio da parte tua, Codaliscia: coraggio che troverai, a meno che tu non voglia provare tutta la potenza dell’ira di Voldemort…»

«Mio signore, devo parlare!» disse Codaliscia, la voce venata di panico. «Per tutto il viaggio ci ho pensato e ripensato… Mio signore, la scomparsa di Bertha Jorkins non passerà a lungo inosservata, e se andiamo avanti, se faccio un incantesimo…»

«Se?» sussurrò la prima voce. «Se? Se seguirai il piano, Codaliscia, il Ministero non dovrà mai sapere che qualcun altro è scomparso. Lo farai con calma, senza creare scompiglio; vorrei solo poterlo fare io, ma nelle mie attuali condizioni… andiamo, Codaliscia, basta rimuovere un altro ostacolo e la strada che ci porta a Harry Potter sarà sgombra. Non ti sto chiedendo di farlo da solo. Per allora, il mio fedele servo ci avrà raggiunto…»

«Io sono un servo fedele» disse Codaliscia, con una vaga traccia di risentimento nella voce.

«Codaliscia, ho bisogno di qualcuno dotato di cervello, qualcuno la cui lealtà non abbia mai vacillato, e tu, sfortunatamente, non possiedi nemmeno uno di questi requisiti».

«Io vi ho trovato» disse Codaliscia, e ora nella sua voce c’era decisamente una nota piagnucolosa. «Sono stato io a trovarvi. Io vi ho portato Bertha Jorkins».

«Questo è vero» disse il secondo uomo, in tono divertito. «Un lampo di prontezza che non avrei ritenuto possibile da parte tua, Codaliscia… anche se, a dire il vero, non sapevi quanto sarebbe stata utile quando l’hai catturata, vero?»

«Io… io credevo che avrebbe potuto esserci utile, mio signore…»

«Bugiardo» disse di nuovo la prima voce, ancor più intrisa di crudele divertimento. «Comunque, non nego che le sue informazioni si sono rivelate di un valore incalcolabile. Senza di esse, non avrei mai potuto architettare il nostro piano, e per questo avrai la tua ricompensa, Codaliscia. Ti permetterò di svolgere un compito essenziale per me, un compito che molti dei miei seguaci darebbero la mano destra per eseguire…»

«D-davvero, mio signore? Che cosa…?» Codaliscia era di nuovo terrorizzato.

«Ah, Codaliscia, non vorrai che ti sciupi la sorpresa? La tua parte verrà proprio alla fine… ma ti prometto che avrai l’onore di renderti utile come Bertha Jorkins».

«Voi… voi…» la voce di Codaliscia si fece all’improvviso roca, come se gli si fosse seccata la gola. «Voi… volete… uccidere anche me?»

«Codaliscia, Codaliscia» disse la voce fredda in tono suadente, «perché dovrei ucciderti? Ho ucciso Bertha perché ho dovuto farlo. Non serviva più a niente dopo il mio interrogatorio, era praticamente inutile. E comunque, sarebbero circolate strane domande se fosse tornata al Ministero con la notizia che ti aveva incontrato durante le vacanze. I maghi ritenuti morti farebbero bene a non incrociare le streghe del Ministero della Magia in locande lontane…»

Codaliscia borbottò qualcosa cosi piano che Frank non riuscì ad afferrarlo, ma sentì che il secondo uomo rideva: una risata del tutto priva di allegria, fredda come le sue parole.

«Avremmo potuto modificarle la memoria? Ma gli Incantesimi di Memoria possono essere infranti da un mago potente, come ho dimostrato quando l’ho interrogata. Sarebbe stato un insulto alla sua memoria non usare le informazioni che le ho estorto, Codaliscia».

Nel corridoio, Frank si accorse all’improvviso che la mano che stringeva il bastone era madida di sudore. L’uomo con la voce fredda aveva ucciso una donna. Ne parlava senza nessun rimorso: sembrava divertito. Era pericoloso; era un pazzo. E progettava altri omicidi: quel ragazzo, Harry Potter, chiunque fosse, era in pericolo…

Frank sapeva cosa fare. Doveva andare alla polizia, ora o mai più. Sarebbe sgattaiolato fuori e sarebbe andato dritto alla cabina telefonica al villaggio… ma la voce fredda aveva ripreso a parlare, e Frank rimase dov’era, paralizzato, ad ascoltare con tutto se stesso.

«Un altro incantesimo… il mio fedele servo a Hogwarts… Harry Potter è praticamente già mio, Codaliscia. È deciso. Non ci saranno altre discussioni. Ma ora zitto… credo di aver sentito Nagini…»

E la voce del secondo uomo cambiò. Cominciò a emettere suoni che Frank non aveva mai udito prima; sibilava e sputacchiava senza prendere fiato. Frank credette che fosse in preda a un qualche attacco.

E poi Frank senti qualcosa muoversi nell’oscurità alle sue spalle. Si voltò a guardare e s’irrigidì dal terrore.

Qualcosa strisciava verso di lui sul pavimento del corridoio buio, e mentre si avvicinava allo spiraglio illuminato dal fuoco, Frank capì con un brivido di orrore che si trattava di un serpente gigantesco, lungo almeno quattro metri. Terrorizzato, esterrefatto, Frank lo fissò mentre il suo corpo ondeggiante tracciava un ampio solco curvilineo sullo spesso strato di polvere che ricopriva il pavimento, avvicinandosi sempre di più… che fare? La sola via di scampo era entrare nella stanza dove due uomini sedevano tramando omicidi, ma se fosse rimasto dov’era il serpente lo avrebbe ucciso di sicuro…

Ma prima che potesse decidersi, il serpente gli fu di fronte, e poi, incredibilmente, miracolosamente, attirato dai sibili prodotti dalla voce fredda al di là della porta, lo superò: in pochi istanti la punta della sua coda sparì nello spiraglio.

Ora la fronte di Frank era imperlata di sudore, e la mano sul bastone da passeggio tremava. Dentro la stanza, la voce fredda continuava a sibilare, e Frank fu colpito da una strana idea, un’idea impossibile… Quell’uomo sa parlare con i serpenti.

Frank non capiva che cosa stava succedendo. Più di tutto avrebbe desiderato essere ancora nel suo letto con la sua borsa dell’acqua calda. Il problema era che apparentemente le sue gambe non volevano muoversi. Mentre stava lì, tremando e cercando di riprendere il controllo, la voce fredda tornò di colpo a parlare in modo comprensibile.

«Nagini porta notizie interessanti. Codaliscia» disse.

«Da-davvero, mio signore?»

«Davvero, sì» disse la voce. «Secondo Nagini, c’è un vecchio Babbano proprio lì dietro la porta che sta ascoltando tutto quello che diciamo».

Frank non ebbe alcuna possibilità di nascondersi. Risuonarono dei passi, e poi la porta della stanza si spalancò.

Un ometto basso quasi calvo con i capelli ingrigiti, il naso a punta e piccoli occhi acquosi era in piedi davanti a Frank, sul volto un’espressione di paura e allarme.

«Invitalo a entrare, Codaliscia. Hai dimenticato le buone maniere?»

La voce fredda proveniva dalla poltrona antica davanti al fuoco, ma Frank non vide il suo occupante. Il serpente, invece, era acciambellato sul tappeto consunto, come l’orribile imitazione di un cane da compagnia.

Codaliscia fece cenno a Frank di entrare nella stanza. Benché ancora profondamente scosso, Frank serrò la presa sul bastone e oltrepassò la soglia zoppicando.

Il fuoco era l’unica sorgente di luce nella stanza e gettava lunghe ombre aguzze sulle pareti. Frank fissò lo schienale della poltrona; l’uomo seduto sembrava perfino più piccolo del suo servitore, perché Frank non riusciva a vedergli nemmeno la sommità della testa.

«Hai sentito tutto, Babbano?» disse la voce fredda.

«Com’è che mi hai chiamato?» disse Frank in tono di sfida, perché ora che si trovava dentro la stanza, ora che era giunto il momento di prendere l’iniziativa, si sentiva più coraggioso; era sempre stato così, in guerra.

«Ti ho chiamato Babbano» disse la voce con freddezza. «Vuol dire che non sei un mago».

«Non so cosa vuoi dire con questo» disse Frank, con voce sempre più ferma. «Io so solo che stasera ho sentito parecchie cose che interesseranno la polizia, ecco. Avete già ucciso e state per farlo ancora! E vi dirò un’altra cosa» aggiunse, preso da un’improvvisa ispirazione. «Mia moglie sa che sono qui, e se non torno a casa…»

«Tu non hai moglie» disse la voce fredda, molto tranquillamente. «Nessuno sa che sei qui. Non hai detto a nessuno che venivi. Non mentire al Signore Voldemort, Babbano, perché lui sa… lui sa sempre…»

«Davvero?» disse Frank in tono rude. «Signore, hai detto? Be’, non mi pare che tu abbia poi delle gran maniere, mio signore. Voltati e guardami in faccia da uomo, coraggio!»

«Ma io non sono un uomo, Babbano» disse la voce fredda, a stento percettibile sopra il crepitio delle fiamme. «Sono molto, molto più di un uomo. Comunque… perché no? Ti guarderò in faccia… Codaliscia, volta la mia poltrona».

Il servitore mugolò.

«Mi hai sentito, Codaliscia».

Lentamente, storcendo la faccia, come uno che avrebbe preferito fare qualunque cosa piuttosto che avvicinarsi al suo padrone e al tappeto dove si trovava il serpente, l’ometto avanzò e prese a voltare la poltrona. Il serpente sollevò la brutta testa triangolare e sibilò lievemente mentre le gambe della poltrona s’impigliavano nel tappeto.

Ed ecco che la poltrona fu di fronte a lui, e Frank vide che cosa vi era seduto. Il bastone da passeggio cadde a terra con un tonfo. Frank apri la bocca e urlò. Urlò cosi forte che non udi mai le parole che la cosa nella poltrona pronunciò levando una bacchetta. Ci fu un lampo di luce verde, un rumore improvviso, e Frank Bryce si afflosciò. Era morto prima ancora di toccare il pavimento.

A trecento chilometri di distanza, il ragazzo chiamato Harry Potter si svegliò di soprassalto.

CAPITOLO 2

LA CICATRICE

Harry giaceva sulla schiena, il respiro affannoso, come se avesse corso. Si era svegliato da un sogno molto vivido con il viso nascosto tra le mani. La vecchia cicatrice a forma di saetta sulla sua fronte scottava sotto le dita come se qualcuno gli avesse appena premuto un filo incandescente sulla pelle.

Si alzò a sedere, una mano ancora sulla fronte, l’altra tesa nel buio a cercare gli occhiali sul comodino. Li inforcò e mise lentamente a fuoco la stanza, illuminata dal debole, nebuloso chiarore che filtrava dalla strada attraverso le tende.

Harry sfiorò di nuovo la cicatrice con le dita. Faceva ancora male. Accese la lampada, scivolò fuori dal letto, attraversò la stanza, aprì l’armadio e si guardò nello specchio all’interno dello sportello. Un ragazzo smilzo di quattordici anni ricambiò il suo sguardo, i verdi occhi brillanti perplessi sotto i capelli neri spettinati. Esaminò più da vicino la cicatrice a forma di saetta del suo riflesso. Sembrava normale, ma bruciava ancora.

Harry cercò di ricordare che cosa stava sognando quando si era svegliato. Sembrava così reale… c’erano due persone che conosceva, e una che non conosceva… si concentrò intensamente, accigliato, sforzandosi di ricordare…

L’immagine di una stanza nell’oscurità affiorò nella sua mente… c’era un serpente su un tappeto… un ometto di nome Peter, detto Codaliscia… e una voce fredda, acuta… la voce di Voldemort. Il solo pensiero fece sentire Harry come se un cubetto di ghiaccio gli fosse scivolato nello stomaco…

Chiuse gli occhi con forza e cercò di ricordare l’aspetto di Voldemort, ma fu impossibile… tutto quello che Harry sapeva era che nel momento in cui la poltrona di Voldemort era stata girata, e lui, Harry, aveva visto che cosa vi era seduto, uno spasmo di terrore lo aveva svegliato… o era stato il dolore della cicatrice?

E chi era il vecchio? Perché di sicuro c’era un vecchio, Harry lo aveva visto cadere a terra. Ma tutto stava diventando confuso… Harry si copri il viso per non vedere la camera, cercando di restare aggrappato all’immagine di quella stanza appena illuminata, ma era come voler trattenere l’acqua con le mani; e più cercava di fermarli, più i dettagli scivolavano via… Voldemort e Codaliscia stavano parlando di qualcuno che avevano ucciso, anche se Harry non riusciva a ricordarsi il nome… e progettavano di uccidere qualcun altro… lui…

Harry sollevò il viso dalle mani, aprì gli occhi e si guardò intorno come se si aspettasse di vedere qualcosa d’insolito. A dire il vero c’era una quantità straordinaria di cose insolite in quella stanza: un grosso baule di legno, spalancato ai piedi del letto, mostrava un calderone, un manico di scopa, abiti neri e svariati libri d’incantesimi. Rotoli di pergamena ingombravano quella parte della sua scrivania che non era occupata dalla grande gabbia vuota in cui di solito era appollaiata Edvige, la sua civetta candida. Sul pavimento accanto al letto c’era un libro aperto; lo stava leggendo prima di addormentarsi la sera prima. Le figure del libro si muovevano: uomini in abiti arancioni sfrecciavano avanti e indietro cavalcando scope e lanciandosi una palla rossa.

Harry si avvicinò al libro, lo raccolse e guardò uno dei maghi segnare un goal spettacolare lanciando la palla attraverso un cerchio all’altezza di quindici metri. Poi chiuse il volume con un colpo secco. Nemmeno il Quidditch — secondo Harry, lo sport più bello del mondo — riusciva a distrarlo in quel momento. Posò sul comodino I Magnifici Sette, si avvicinò alla finestra e tirò le tende per osservare la strada di sotto.

Privet Drive aveva esattamente l’aspetto di una qualunque rispettabile strada suburbana nelle prime ore di un sabato mattina. Tutte le tende erano tirate. Per quanto Harry poteva vedere nell’oscurità, non si vedeva anima viva, neppure un gatto.

Eppure… eppure… Harry, irrequieto, tornò verso il letto e vi si sedette, toccandosi di nuovo la cicatrice. Non era il dolore a preoccuparlo; male fisico e ferite non erano una novità per lui. Una volta aveva perso le ossa del braccio destro, e gli erano ricresciute tutte, dolorosamente, in una notte. Poco tempo dopo lo stesso braccio era stato dilaniato da una zanna velenosa lunga trenta centimetri. Solo l’anno prima Harry aveva fatto un volo di quindici metri da un manico di scopa volante. Era abituato agli incidenti più bizzarri: erano inevitabili, se frequentavi la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e avevi il dono di attirarti un sacco di guai.

No, la cosa che turbava Harry era che l’ultima volta la cicatrice gli aveva fatto male perché Voldemort era vicino… ma Voldemort non poteva essere lì in quel momento… l’idea di Voldemort appostato in Privet Drive era assurda, impossibile…

Harry ascoltò spasmodicamente il silenzio attorno a lui, quasi aspettandosi di sentire lo scricchiolio di una scala, o il fruscio di un mantello… E all’improvviso sussultò, colto alla sprovvista da un fragoroso grugnito di suo cugino Dudley che dormiva nella stanza accanto.

Harry decise di darsi una calmata. Si stava comportando da stupido: non c’era nessuno in casa con lui a parte zio Vernon, zia Petunia e Dudley, che dormivano della grossa, immersi in sogni tranquilli e indolori.

Addormentati: era così che Harry preferiva i Dursley; da svegli non erano per lui di alcuna utilità. Zio Vernon, zia Petunia e Dudley erano i soli parenti di Harry al mondo. Erano Babbani (ovvero non-maghi) che odiavano e disprezzavano la magia in qualunque forma, e questo significava che Harry era benvenuto nella loro casa quasi quanto una torma di insetti infestanti. Avevano raccontato a tutti che, negli ultimi tre anni, Harry era stato assente non perché frequentava Hogwarts, bensì il Centro di Massima Sicurezza San Bruto per Ragazzi Irrimediabilmente Criminali. Sapevano benissimo che, in quanto mago minorenne, Harry non aveva il permesso di usare la magia al di fuori di Hogwarts, ma erano sempre pronti ad accusarlo di qualunque cosa andasse storta a casa loro. Harry non aveva mai potuto contare su di loro, o rivelare alcunché della sua vita nel mondo dei maghi. La sola idea di parlargli della cicatrice che gli faceva male e delle sue preoccupazioni per Voldemort era ridicola.

Eppure era soprattutto a causa di Voldemort che Harry era andato a vivere con i Dursley. Se non fosse stato per Voldemort, Harry non avrebbe avuto la cicatrice a forma di saetta sulla fronte. Se non fosse stato per Voldemort, Harry avrebbe avuto ancora i suoi genitori…

Harry aveva un anno la notte in cui Voldemort — il più potente Mago Oscuro del secolo, un mago che in undici anni aveva toccato le vette del potere — andò a casa sua e uccise suo padre e sua madre. Poi Voldemort puntò la bacchetta su Harry; scagliò l’anatema che aveva stroncato molti maghi e molte streghe adulti nel corso della sua inarrestabile scalata al potere… e, incredibilmente, non funzionò. Invece di uccidere il bambino, la maledizione rimbalzò contro Voldemort. Harry sopravvisse senza altro segno che la cicatrice a forma di saetta sulla fronte, e Voldemort fu ridotto a una cosa che a malapena poteva dirsi viva. Persi i poteri, la vita quasi estinta, Voldemort fuggì; la cappa di terrore sotto la quale la comunità segreta dei maghi e delle streghe era vissuta tanto a lungo si dissolse, i seguaci di Voldemort si dispersero, e Harry Potter diventò famoso.

Fu un bel colpo per Harry, in occasione del suo undicesimo compleanno, scoprire di essere un mago; e fu ancora più sconcertante rendersi conto che nel mondo segreto della magia tutti conoscevano il suo nome. Harry arrivò a Hogwarts per scoprire che ovunque andasse tutti si voltavano a guardarlo e un mormorio incessante lo seguiva. Ma ormai ci si era abituato; alla fine dell’estate avrebbe cominciato il suo quarto anno a Hogwarts, e stava già contando i giorni che lo separavano dal ritorno al castello.

Ma mancavano ancora due settimane all’inizio della scuola. Si guardò di nuovo intorno, smarrito, e il suo sguardo indugiò sui biglietti di compleanno che i suoi due migliori amici gli avevano spedito alla fine di luglio. Che cosa avrebbero detto se gli avesse scritto della cicatrice dolorante?

Subito la voce di Hermione Granger gli riempi la testa, acuta e pervasa di panico.

«Ti ha fatto male la cicatrice? Harry, è una cosa seria… Scrivi al professor Silente! Io intanto consulterò Comuni Disturbi e Malanni Magici… Forse dice qualcosa sulle cicatrici da anatema…»

Decisamente, quello sarebbe stato il consiglio di Hermione: andar dritto dal Preside di Hogwarts, e nel frattempo consultare un libro. Harry guardò fuori dalla finestra, verso il cielo nero d’inchiostro. Dubitava alquanto che un libro lo potesse aiutare. Per quanto ne sapeva, era l’unico essere vivente sopravvissuto a una maledizione come quella di Voldemort; era altamente improbabile, quindi, trovare i suoi sintomi elencati in Comuni Disturbi e Malanni Magici. Quanto a informare il direttore, Harry non aveva idea di dove andasse Silente durante le vacanze estive. Si divertì per un attimo a immaginarlo, la lunga barba argentea, il mantello lungo da mago e il cappello a punta, disteso su una spiaggia, a spalmarsi l’abbronzante sul lungo naso adunco. Ovunque si trovasse Silente, Harry era certo che Edvige sarebbe stata in grado di trovarlo; la civetta di Harry fino ad allora non aveva mai mancato di consegnare una lettera a chicchessia, anche senza indirizzo. Ma che cosa avrebbe scritto?

Caro professor Silente, mi dispiace disturbarla, ma questa mattina mi ha fatto male la cicatrice. Cordialmente, Harry Potter.

Anche dentro la sua testa le parole suonavano stupide.

E così cercò di immaginare la reazione di Ron Weasley, l’altro suo migliore amico, e in un attimo la faccia lentigginosa di Ron parve galleggiare davanti a lui, con un’espressione confusa.

«Ti ha fatto male la cicatrice? Ma… ma Tu-Sai-Chi non può essere nei dintorni adesso, no? Voglio dire… tu lo sapresti, no? Cercherebbe di farti secco di nuovo, no? Non so, Harry, forse le cicatrici da anatema bruciano sempre un po’Lo chiederò a papà…»

Il signor Weasley era il mago Direttore dell’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani al Ministero della Magia, ma per quanto ne sapeva Harry non aveva particolari conoscenze in materia di incantesimi. E in ogni caso, a Harry non andava l’idea che tutta quanta la famiglia Weasley sapesse che lui, Harry, diventava isterico al primo doloretto. La signora Weasley si sarebbe agitata più di Hermione, e Fred e George, i fratelli gemelli sedicenni di Ron, avrebbero pensato che Harry s’era rammollito. I Weasley erano in assoluto la famiglia preferita di Harry; sperava che lo invitassero da loro da un momento all’altro (Ron aveva detto qualcosa a proposito della Coppa del Mondo di Quidditch) e non voleva che il suo soggiorno fosse costellato di ansiose indagini sulla sua cicatrice.

Harry si strofinò la fronte con le nocche. Quello che desiderava veramente (e quasi si vergognava ad ammetterlo) era qualcuno come… qualcuno come un genitore: un mago adulto a cui poter chiedere consiglio senza sentirsi uno stupido, qualcuno a cui importasse di lui, che avesse esperienza in fatto di Magia Oscura…

E poi arrivò la soluzione. Era così semplice, e così ovvio, che non riusciva a credere di averci messo così tanto… Sirius.

Harry balzò dal letto, attraversò la stanza di corsa e si sedette alla scrivania; prese un pezzo di pergamena, intinse la penna d’aquila nell’inchiostro, scrisse Caro Sirius, poi si interruppe cercando le parole giuste, ancora stupito per non aver pensato subito a lui. In realtà non c’era granché da stupirsi: dopotutto, aveva scoperto che Sirius era il suo padrino solo due mesi prima.

C’era una ragione molto semplice per spiegare la totale assenza di Sirius dalla vita di Harry fino ad allora: Sirius si trovava ad Azkaban, la terribile prigione dei maghi, i cui guardiani erano creature chiamate Dissennatori, demoni ciechi che succhiavano l’anima e che erano venuti a cercare Sirius a Hogwarts quando era fuggito. Ma Sirius era innocente: gli omicidi per i quali era stato condannato erano stati commessi da Codaliscia, il servitore di Voldemort, che tutti credevano morto e che Harry, Ron e Hermione avevano incontrato faccia a faccia l’anno prima, anche se il solo a credere alla loro storia era stato il professor Silente.

Per un’ora gloriosa, Harry aveva creduto di poter finalmente lasciare i Dursley, perché Sirius gli aveva offerto una casa, appena fosse stato scagionato. Ma questa possibilità era sfumata: Codaliscia era fuggito prima di essere arrestato, e Sirius era stato costretto a scappare per salvarsi. Harry lo aveva aiutato a fuggire a cavallo di un ippogrifo chiamato Fierobecco, e da allora Sirius era in fuga. L’idea della casa che avrebbe potuto avere se Codaliscia non fosse scappato aveva perseguitato Harry per tutta l’estate. Era stato doppiamente difficile tornare dai Dursley dopo essere stato sul punto di liberarsi di loro per sempre.

Tuttavia, anche se non potevano stare insieme, Sirius era stato di grande aiuto: era grazie a lui se ora Harry poteva tenere tutte le sue cose di scuola in camera con sé. I Dursley non gliel’avevano mai permesso prima; il loro costante desiderio di rendere la vita di Harry un inferno, unito alla paura dei suoi poteri, li aveva indotti a chiudere a chiave il suo baule scolastico nel ripostiglio del sottoscala per tutte le estati precedenti. Ma da quando avevano scoperto che il padrino di Harry era un assassino pericoloso, il loro atteggiamento era cambiato. E Harry aveva accuratamente nascosto il dettaglio che Sirius era innocente.

Da quando era tornato a Privet Drive, Harry aveva ricevuto due lettere da Sirius. Entrambe erano state recapitate non via gufo (com’era consuetudine tra maghi) ma da grandi, coloratissimi uccelli tropicali. Edvige non aveva approvato la presenza di questi vistosi intrusi; aveva accettato con estrema riluttanza che bevessero dalla sua ciotola dell’acqua prima di ripartire. A Harry invece erano piaciuti molto; gli facevano pensare a palme e spiagge candide, e sperava che ovunque Sirius si trovasse (Sirius non lo disse mai, nel caso che le sue lettere venissero intercettate) se la stesse spassando. Per qualche ragione, Harry faceva fatica a immaginare che i Dissennatori potessero sopravvivere a lungo alla luce diretta del sole; forse per questo Sirius era andato a sud. Le lettere di Sirius, al momento nascoste sotto la provvidenziale asse mobile sotto il letto di Harry, erano allegre, e in entrambe aveva ricordato a Harry di rivolgersi a lui se mai ne avesse avuto bisogno. Be’, ora ne aveva bisogno, e subito…

La luce della lampada di Harry parve affievolirsi mentre la fredda luce grigia che precede il levar del sole s’insinuava lentamente nella stanza. Alla fine, quando ormai il sole fu sorto, quando le pareti furono diventate d’oro e quando si cominciarono ad avvertire piccoli movimenti dalla stanza di zio Vernon e zia Petunia, Harry sgombrò la scrivania dai fogli appallottolati di pergamena e rilesse la lettera finita.

Caro Sirius,

Grazie per la tua ultima lettera, quell’uccello era enorme, quasi non passava dalla finestra.

Le cose qui vanno come al solito. La dieta di Dudley non procede troppo bene: ieri la zia lo ha sorpreso mentre si portava di nascosto le ciambelle in camera. Gli hanno detto che gli leveranno la paghetta se continua così, e lui si è arrabbiato sul serio e ha buttato la PlayStation giù dalla finestra. E una specie di computer con cui puoi fare dei giochi. Una cosa piuttosto stupida, perché adesso non ha nemmeno Mega Mutilation Tre per distrarsi.

lo sto bene, soprattutto perché i Dursley sono terrorizzati all’idea che tu possa spuntare all’improvviso e trasformarli tutti in pipistrelli se solo te lo chiedo.

Però questa mattina è successa una cosa strana. La cicatrice mi ha fatto male di nuovo. L’ultima volta è successo quando Voldemort era a Hogwarts. Ma non credo che ora possa essere da queste parti, no? Sai per caso se le cicatrici da anatema possono far male a distanza di anni?

Ti spedirò questa lettera non appena torna Edvige: al momento è fuori a caccia. Salutami Fierobecco.

Harry

Si, pensò Harry, andava bene. Non c’era motivo di parlare del sogno, non voleva sembrare troppo preoccupato. Arrotolò la pergamena e la mise sulla scrivania, da una parte, pronta per il ritorno di Edvige. Poi si alzò, si stiracchiò e aprì di nuovo l’armadio. Senza guardare il proprio riflesso, cominciò a vestirsi prima di scendere a fare colazione.

CAPITOLO 3

L’INVITO

Quando Harry arrivò in cucina, i tre Dursley erano già seduti a tavola. Nessuno di loro alzò gli occhi quando entrò e si sedette. Il faccione rosso di zio Vernon era nascosto dietro il Daily Mail del mattino e zia Petunia stava dividendo in quattro un pompelmo, le labbra contratte sulla dentatura cavallina.

Dudley aveva l’aria arrabbiata e scontrosa, e in qualche modo sembrava prendere ancora più spazio del solito. Il che era tutto dire, visto che da solo occupava sempre un lato intero del tavolo quadrato. Quando zia Petunia posò un quarto di pompelmo non zuccherato nel piatto di Dudley con un tremulo «Ecco, Diddy, tesoro», Dudley la fulminò con lo sguardo. La sua vita aveva preso una piega alquanto sgradevole da quando era tornato a casa per l’estate con il giudizio di fine anno.

Zio Vernon e zia Petunia avevano cercato di trovare delle scuse per i suoi brutti voti, come al solito; zia Petunia insisteva sempre nel dire che Dudley era un ragazzo molto dotato che gli insegnanti non capivano, mentre zio Vernon sosteneva che «comunque non avrebbe voluto per figlio una femminuccia secchiona». In più, ignoravano le accuse di prepotenze riportate nel giudizio: «È un ragazzo vivace, ma non farebbe male a una mosca!» diceva zia Petunia in tono lacrimoso.

Comunque, in fondo alla pagella c’erano alcuni commenti accuratamente stilati dall’infermiera della scuola che nemmeno zio Vernon e zia Petunia poterono liquidare. Per quanto zia Petunia gemesse che Dudley era di costituzione robusta, e che il suo grasso era solo dovuto alla crescita, e che era un ragazzo in via di sviluppo che aveva bisogno di mangiare molto, restava il fatto che i sarti fornitori della scuola non avevano più calzoni alla zuava abbastanza grandi per lui. L’infermiera scolastica aveva visto ciò che gli occhi di zia Petunia — così acuti nell’individuare ditate sulle pareti scintillanti di casa sua, e nell’osservare gli andirivieni dei vicini — semplicemente si rifiutavano di vedere: che, ben lungi dall’aver bisogno di cibo in più, Dudley aveva raggiunto più o meno la taglia e il peso di una giovane orca assassina.

Così — dopo molte scenate, dopo liti che fecero tremare il pavimento della camera di Harry, e dopo che zia Petunia ebbe versato molte lacrime — il nuovo regime era cominciato. La dieta prescritta dall’infermiera scolastica di Snobkin era stata attaccata al frigorifero, opportunamente svuotato di tutte le cose preferite da Dudley — bevande gassate e dolci, cioccolata e hamburger — e riempito invece di frutta e verdura e del genere di cose che zio Vernon definiva “roba da conigli”. Per non mettere Dudley a disagio, inoltre, zia Petunia aveva insistito che tutta la famiglia seguisse la dieta: così passò un quarto di pompelmo a Harry. Quest’ultimo notò che era molto più piccolo di quello di Dudley. Zia Petunia era convinta che la cosa migliore per far star su di morale Dudley era assicurarsi che almeno mangiasse più di Harry.

Ma zia Petunia non aveva idea di cosa era nascosto sotto l’asse mobile al piano di sopra. Non sospettava minimamente che Harry non stesse affatto seguendo la dieta. Nel momento in cui aveva capito che ci si aspettava che sopravvivesse all’estate sgranocchiando carote, Harry aveva spedito Edvige dai suoi amici con richieste d’aiuto, e loro avevano risposto munificamente all’appello. Edvige era tornata da casa di Hermione con una grossa scatola piena zeppa di merendine senza zucchero (i genitori di Hermione facevano i dentisti). Hagrid, il guardiacaccia di Hogwarts, aveva offerto un sacco pieno dei suoi dolcetti rocciosi fatti in casa (Harry non ne aveva toccato uno: aveva già sperimentato abbastanza la cucina di Hagrid). E la signora Weasley aveva mandato il gufo di famiglia, Errol, con un’enorme torta alla frutta e pasticcini assortiti. Al povero Errol, che era vecchio e debole, ci erano voluti cinque giorni interi per riprendersi dal viaggio. E poi per il suo compleanno (che i Dursley avevano completamente ignorato) aveva ricevuto quattro splendide torte di compleanno, da Ron, da Hermione, da Hagrid e da Sirius. Harry ne aveva ancora due, e così, pregustando una vera colazione una volta tornato di sopra, prese a mangiare il suo pompelmo senza fiatare.

Zio Vernon depose il giornale con un profondo sbuffo di disapprovazione e fissò il suo quarto di pompelmo.

«È tutto?» disse scontroso a zia Petunia.

Zia Petunia gli scoccò uno sguardo severo, e poi fece un cenno verso Dudley, che aveva già finito la sua parte e occhieggiava quella di Harry con uno sguardo molto acido negli occhietti porcini.

Zio Vernon fece un gran sospiro che gli scompigliò i baffoni cespugliosi e prese il cucchiaio.

Suonarono alla porta. Zio Vernon si alzò dalla sedia e attraversò l’ingresso. Veloce come un fulmine, mentre sua madre era alle prese con il bollitore, Dudley rubò il resto del pompelmo di zio Vernon.

Harry senti parlottare, una risatina, e la risposta asciutta dello zio. Poi la porta si chiuse e dall’ingresso giunse un rumore di carta strappata.

Zia Petunia posò la teiera sul tavolo e si guardò intorno incuriosita, cercando zio Vernon. Non dovette aspettare a lungo per scoprire dov’era finito; dopo un minuto circa, eccolo di ritorno. Era livido.

«Tu» abbaiò a Harry. «In salotto. Subito».

Stupito, chiedendosi che cosa diavolo avesse combinato stavolta, Harry si alzò e seguì zio Vernon nella stanza accanto. Zio Vernon chiuse bruscamente la porta dietro di loro.

«Dunque» disse, marciando verso il camino e voltandosi per fronteggiare Harry come se stesse per dichiararlo in arresto. «Dunque».

Harry avrebbe tanto voluto dire «Dunque che cosa?» ma non credeva che l’umore di zio Vernon dovesse essere messo alla prova la mattina così presto, soprattutto in condizioni di forte stress a causa della mancanza di cibo. Quindi decise di mostrarsi educatamente meravigliato.

«È appena arrivato questo» disse zio Vernon. Sventolò davanti a Harry un foglio di carta da lettera violetto. «Una lettera. Parla di te».

La confusione di Harry crebbe. Chi poteva scrivere di lui a zio Vernon? Chi conosceva che spedisse lettere via postino?

Zio Vernon fissò Harry con severità, poi guardò la lettera e prese a leggere ad alta voce:

Cari signori Dursley,

Non siamo mai stati presentati, ma sono certa che abbiate sentito parlare molto di mio figlio Ron da Harry.

Come forse Harry vi avrà detto, la finale della Coppa del Mondo di Quidditch si terrà il prossimo lunedì sera, e mio marito Arthur è appena riuscito a procurarsi dei posti di tribuna grazie alle sue conoscenze all’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici.

Spero che ci permetterete di portare Harry a vedere la partita, perché si tratta davvero di un’occasione di quelle che capitano una volta nella vita; la Gran Bretagna non ospita la Coppa da trent’anni e i biglietti sono molto difficili da trovare. Naturalmente saremmo lieti di avere da noi Harry per quel che resta delle vacanze estive, e di premurarci che prenda il treno per la scuola.

Sarebbe meglio se Harry ci spedisse la vostra risposta al più presto per via normale, perché il postino Babbano non ha mai consegnato lettere a casa nostra, e non sono nemmeno certa che sappia dove si trova.

Augurandoci di vedere presto Harry,

Sinceramente vostra,

Molly Weasley

P.S. Spero di aver messo abbastanza francobolli.

Zio Vernon finì di leggere, s’infilò la mano nella tasca interna della giacca ed estrasse qualcos’altro.

«Guarda qua» ringhiò.

Prese la busta che aveva contenuto la lettera della signora Weasley, e Harry trattenne a stento una risata. Era tutta coperta di francobolli, tranne un quadratino sul davanti, nel quale la signora Weasley aveva incastrato l’indirizzo dei Dursley con una scrittura molto piccola.

«Quindi ci ha messo abbastanza francobolli» disse Harry, come a dire che quello della signora Weasley era un errore che chiunque poteva fare. Zio Vernon lo fulminò con gli occhi.

«L’ha notato anche il postino» disse a denti stretti. «Era molto curioso di sapere da dove veniva questa lettera. Ecco perché ha suonato. Sembrava che lo trovasse divertente».

Harry non disse nulla. Altri avrebbero potuto non capire come mai zio Vernon facesse tante storie per un eccesso di francobolli, ma Harry viveva coi Dursley da troppo tempo per non sapere quanto erano sensibili a qualunque cosa fosse anche solo lievemente fuori dall’ordinario. Il loro peggior timore era che qualcuno scoprisse che conoscevano (anche se alla lontana) gente come la signora Weasley.

Zio Vernon continuava a scrutare Harry, che cercò di restare impassibile. Se non avesse detto o fatto qualcosa di stupido, forse poteva riuscire a levarsi la soddisfazione di tutta una vita. Attese che zio Vernon dicesse qualcosa, ma quello si limitò a fissarlo. Così Harry decise di rompere il silenzio.

«Allora… posso andare?» chiese.

Un tic scosse il faccione violaceo di zio Vernon. I suoi baffi tremarono. Harry sapeva che cosa stava succedendo là dietro: la lotta furibonda tra due istinti basilari di zio Vernon. Permettergli di andare avrebbe reso Harry felice, una cosa contro cui zio Vernon combatteva da tredici anni. D’altra parte, lasciare che sparisse dai Weasley per il resto dell’estate voleva dire sbarazzarsi di lui due settimane prima di quanto avesse sperato, e zio Vernon odiava avere in casa Harry. Per concedersi il tempo di rifletterci, finse di guardare di nuovo la lettera della signora Weasley.

«Chi è questa donna?» chiese, fissando con disgusto la firma.

«L’hai vista» disse Harry. «È la madre del mio amico Ron, è venuta a prenderlo all’Espr… al treno della scuola qualche settimana fa».

Aveva quasi detto “Espresso di Hogwarts”, e quello era un modo sicuro per far arrabbiare lo zio. Nessuno pronunciava mai il nome della scuola di Harry ad alta voce in casa Dursley.

Zio Vernon contrasse il faccione come se stesse cercando di ricordare qualcosa di molto spiacevole.

«Una donna tarchiata?» ringhiò alla fine. «Con un sacco di figli coi capelli rossi?»

Harry si accigliò. Era convinto che fosse un po’ eccessivo da parte di zio Vernon definire qualcuno “tarchiato” quando suo figlio Dudley era riuscito nell’impresa in cui prometteva sin dall’età di tre anni, diventando più largo che alto.

Zio Vernon studiò di nuovo la lettera.

«Quidditch» borbottò a mezza voce. «Quidditch… che cos’è questa robaccia?»

Harry provò una seconda fitta d’irritazione.

«E uno sport» disse asciutto. «Si gioca su manici di…»

«Va bene, va bene!» disse zio Vernon ad alta voce. Harry notò con una certa soddisfazione che sembrava vagamente spaventato. In apparenza i suoi nervi non avrebbero retto nel sentir pronunciare le parole “manici di scopa” nel suo salotto. Zio Vernon reagi strapazzando ancora la lettera. Harry vide le sue labbra formare le parole “ci mandi la sua risposta per via normale”. Zio Vernon aggrottò le sopracciglia.

«Cosa vorrebbe dire, “per via normale”?» ringhiò.

«Normale per noi» disse Harry, e prima che suo zio potesse fermarlo, aggiunse: «Sai, posta via gufo. È così che è normale fra maghi».

Zio Vernon aveva l’aria offesa come se Harry avesse appena pronunciato una disgustosa parolaccia. Tremante di rabbia, scoccò uno sguardo nervoso al di là della finestra, come aspettandosi di vedere qualcuno dei vicini con l’orecchio schiacciato contro il vetro.

«Quante volte devo dirti di non parlare di quelle cose innaturali sotto il mio tetto?» sibilò, il volto di un intenso color prugna. «Sei lì, porti gli abiti che io e Petunia abbiamo messo sul tuo corpo ingrato…»

«Solo dopo che Dudley li ha consumati» disse freddamente Harry, e in verità indossava una felpa così grande per lui che aveva dovuto rimboccare le maniche cinque volte per poter usare le mani, e che scendeva oltre le ginocchia dei jeans estremamente cascanti.

«Non ti permetto di usare quel tono con me!» ruggì zio Vernon.

Ma Harry non aveva intenzione di sopportarlo. Erano finiti i giorni in cui era costretto ad accettare ogni stupida singola regola dei Dursley. Non seguiva la dieta di Dudley, e non aveva intenzione di lasciare che zio Vernon gli impedisse di andare alla Coppa del Mondo di Quidditch, non se poteva evitarlo.

Harry trasse un profondo respiro per calmarsi e poi disse: «Ok, allora niente Coppa del Mondo. Ora posso andare? Voglio finire una lettera per Sirius. Sai… il mio padrino».

L’aveva fatto. Aveva pronunciato le parole magiche. Osservò il colore violetto ritirarsi a chiazze dal viso di zio Vernon, facendolo assomigliare a un gelato al mirtillo mal mescolato.

«Tu… tu gli scriverai?» disse zio Vernon, cercando di controllare la voce. Ma Harry aveva visto i suoi occhietti contrarsi per la paura improvvisa.

«Be’… sì» disse Harry, noncurante. «È un po’ che non gli do mie notizie, e sai com’è, se non mi sente potrebbe cominciare a pensare che c’è qualcosa che non va».

A quel punto s’interruppe per godersi l’effetto delle parole. Poteva quasi vedere gli ingranaggi al lavoro sotto i capelli fitti e ben pettinati di zio Vernon. Se avesse impedito a Harry di scrivere a Sirius, questi avrebbe potuto pensare che Harry veniva maltrattato. Ma se gli avesse impedito di andare alla Coppa del Mondo di Quidditch, Harry lo avrebbe scritto a Sirius, che così avrebbe saputo che veniva maltrattato. C’era una sola cosa che zio Vernon potesse fare e Harry la vide delinearsi nella mente dello zio come se il faccione baffuto fosse trasparente. Cercò di non sorridere, di mantenersi più impassibile che poteva. E poi…

«Be’, allora va bene. Puoi andare a questa maledetta… a questa stupida… a questa Coppa del Mondo di nonsoché. Scrivi a questi… a questi Weasley e digli che devono venire a prenderti, però. Non ho tempo di accompagnarti in giro. E puoi dire al tuo… al tuo padrino… digli… digli che ci vai».

«Allora ok» disse Harry allegramente.

Si voltò e si avviò verso la porta del salotto, reprimendo a fatica la voglia di mettersi a saltare e gridare. Ci andava… andava dai Weasley, andava a vedere la Coppa del Mondo di Quidditch!

Fuori nell’ingresso quasi si scontrò con Dudley, che origliava dietro la porta, con la chiara speranza di godersi la sfuriata. E invece Dudley fu scioccato alla vista del sorriso trionfante di Harry.

«Ottima colazione, vero?» disse Harry. «Mi sento pieno come un uovo, e tu?»

E ridendogli in faccia, Harry salì i gradini tre alla volta, e si precipitò nella sua camera.

La prima cosa che vide fu che Edvige era tornata. Appollaiata nella sua gabbia, fissava Harry con gli enormi occhi d’ambra e faceva scattare il becco come faceva sempre quando era irritata per qualcosa. Il motivo della sua irritazione divenne evidente quasi subito.

«Ahia!» disse Harry.

Era stato appena colpito in testa da quella che sembrava una piccola palla da tennis grigia e piumata. Harry si massaggiò vigorosamente, alzando lo sguardo per capire che cosa fosse, e vide un gufo minuscolo, tanto piccolo da entrare nel palmo della sua mano, che svolazzava eccitato per la stanza come un fuoco d’artificio appena acceso. Il gufo aveva lasciato cadere una lettera ai suoi piedi. Si chinò, riconobbe la calligrafia di Ron, poi strappò la busta. Dentro c’era un biglietto scritto di gran fretta.

Harry… PAPÀ HA I BIGLIETTI! Irlanda contro Bulgaria, lunedì sera. Mamma ha scrìtto ai Babbani per chiedergli di lasciarti stare da noi. Forse hanno già ricevuto la lettera. Non so quanto è rapida la posta babbana, ma ho pensato comunque di mandarti questo con Leo.

Harry fissò la parola “Leo”, poi guardò il minuscolo gufo che ora sfrecciava attorno al lampadario sul soffitto. Mai visto niente con un nome così poco appropriato. Forse non riusciva a leggere la calligrafia di Ron. Tornò alla lettera:

Verremo a prenderti, che ai Babbani piaccia o meno, non puoi perderti la Coppa del Mondo, solo che mamma e papà pensano che è meglio se facciamo finta di chiedere il loro permesso prima. Se dicono di sì, manda subito indietro Leo con la risposta, e saremo da te domenica alle cinque. Se dicono di no, rimanda subito Leo e verremo a prenderti domenica alle cinque comunque. Hermione arriva oggi pomeriggio. Percy ha cominciato a lavorare all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale. Non parlare assolutamente di Estero quando sarai qui a meno che tu non voglia farti strappar via le mutande dalla noia.

A presto, Ron

«Calmati!» disse Harry, mentre il piccolo gufo volava basso sulla sua testa, ululando come un matto (forse, immaginò Harry, per l’orgoglio di aver recapitato la lettera alla persona giusta). «Vieni qui, devi portare indietro la risposta!»

Il gufo scese svolazzando sulla gabbia di Edvige, che lo guardò gelida, come per sfidarlo ad avvicinarsi.

Harry prese di nuovo la penna d’aquila, afferrò un pezzo di pergamena pulito e scrisse:

Ron, è tutto ok, ì Babbani hanno detto che posso venire. Ci vediamo domani alle cinque. Non vedo l’ora.

Harry

Ripiegò il biglietto fino a farlo diventare piccolissimo e con immensa difficoltà lo legò alla zampa del gufetto che saltellava frenetico. Appena pronto, il gufo parti di nuovo, filò fuori dalla finestra e scomparve.

Harry si voltò verso Edvige.

«Ti va di fare un bel viaggetto?» le chiese.

Edvige tubò in tono dignitoso.

«Puoi portare questo a Sirius da parte mia?» disse, prendendo la lettera. «Un attimo che la finisco».

Srotolò di nuovo la pergamena e aggiunse in fretta un poscritto:

Se vuoi metterti in contatto con me, sarò dal mio amico Ron Weasley per il resto dell’estate. Suo padre ci ha trovato i biglietti per la Coppa del Mondo di Quidditch!

Poi legò la lettera alla zampa di Edvige, che rimase insolitamente immobile, come decisa a dimostrargli come dovrebbe comportarsi un vero gufo postino.

«Sarò da Ron quando torni, va bene?» le disse Harry.

Lei gli becchettò affettuosamente il dito, poi, con un morbido fruscio, spalancò le ali enormi e decollò dalla finestra aperta.

Harry la guardò sparire, poi strisciò sotto il letto, sollevò l’asse mobile ed estrasse un grosso pezzo di torta di compleanno. Rimase seduto sul pavimento a mangiarla, assaporando la felicità che lo invadeva. Aveva un dolce, e Dudley non aveva altro che pompelmo, era una bella giornata estiva, avrebbe lasciato Privet Drive l’indomani, la cicatrice era di nuovo perfettamente normale, e avrebbe visto la Coppa del Mondo di Quidditch. Era difficile in quel momento preoccuparsi di qualcosa, perfino di Voldemort.

CAPITOLO 4

RITORNO ALLA TANA

Per le dodici del giorno dopo, il baule di Harry era stipato delle sue cose di scuola e di tutti i suoi più cari averi: il Mantello dell’Invisibilità ereditato da suo padre, il manico di scopa ricevuto in dono da Sirius, la mappa incantata di Hogwarts regalatagli da Fred e George Weasley l’anno prima. Aveva svuotato di tutte le provviste il nascondiglio sotto l’asse mobile, controllato ogni angolo della camera da letto in cerca di libri d’incantesimi o penne d’aquila dimenticate, e staccato il foglio appeso al muro su cui contava i giorni che lo separavano dal primo settembre, la data del suo ritorno a Hogwarts.

L’atmosfera al numero 4 di Privet Drive era estremamente tesa. L’imminente arrivo a casa loro di un assortimento di maghi stava rendendo i Dursley nervosi e irritabili. Zio Vernon apparve decisamente allarmato quando Harry lo informò che i Weasley sarebbero arrivati alle cinque del giorno dopo.

«Spero che tu gli abbia detto di vestirsi come si deve, a quelli là» ringhiò subito. «Ho visto il genere di cose che vi mettete addosso. Sarà meglio che abbiano la decenza di indossare abiti normali, ecco».

Harry ebbe un sinistro presentimento. Di rado aveva visto il signore e la signora Weasley indossare qualcosa che i Dursley avrebbero definito “normale”. I loro figli forse portavano abiti Babbani durante le vacanze, ma il signore e la signora Weasley di solito indossavano lunghe vesti a vari livelli di trascuratezza. Harry non si preoccupava di quello che potevano pensare i vicini, ma piuttosto di quanto i Dursley avrebbero potuto essere sgarbati con i Weasley se questi si presentavano addobbati secondo la loro peggiore idea di maghi.

Zio Vernon si era messo il suo vestito migliore. Ad alcuni questo sarebbe potuto sembrare un gesto di benvenuto, ma Harry sapeva che in realtà zio Vernon voleva apparire impressionante e minaccioso. Dudley, d’altro canto, pareva come rimpicciolito. Non per gli effetti della dieta, ma per il terrore: l’ultima volta che si era imbattuto in un mago adulto ne era uscito con una coda di maiale a cavatappi che gli spuntava dal fondo dei pantaloni, e zia Petunia e zio Vernon avevano dovuto farlo operare in una clinica privata di Londra. Non c’era affatto da stupirsi, quindi, se Dudley continuava a strofinarsi nervosamente la mano sul sedere e si spostava da una stanza all’altra camminando di lato, come per non offrire lo stesso bersaglio al nemico.

Il pranzo fu consumato in un silenzio quasi assoluto. Dudley non protestò nemmeno per il cibo (ricotta e sedano gratinato). Zia Petunia non mangiò nulla. Teneva le braccia incrociate, aveva le labbra strette e sembrava che si masticasse la lingua, come per trattenere la furiosa invettiva che avrebbe tanto voluto scagliare contro Harry.

«Vengono in macchina, vero?» abbaiò zio Vernon attraverso il tavolo.

«Ehm» rispose Harry.

A questo non aveva pensato. Come avrebbero fatto i Weasley a venire a prenderlo? Non avevano più l’auto; la loro vecchia Ford Anglia al momento scorrazzava libera nella Foresta Proibita a Hogwarts. Ma l’anno prima il signor Weasley aveva preso in prestito un’auto del Ministero della Magia; forse avrebbe fatto lo stesso anche stavolta?

«Credo di sì» disse Harry.

Zio Vernon sbuffò tra i baffi. In circostanze normali avrebbe chiesto che tipo di macchina aveva il signor Weasley; tendeva a giudicare gli altri dalle dimensioni e dal costo delle loro auto. Ma Harry dubitava che a zio Vernon sarebbe piaciuto il signor Weasley anche se fosse arrivato a bordo di una Ferrari.

Harry passò quasi tutto il pomeriggio nella sua camera; non riusciva a sopportare la vista di zia Petunia che ogni pochi secondi spiava attraverso le tendine, come se fosse stato dato l’allarme su un rinoceronte in fuga. Finalmente, alle cinque meno un quarto, Harry scese in salotto.

Zia Petunia stava riordinando freneticamente i cuscini. Zio Vernon fingeva di leggere il giornale, ma i suoi occhietti non si muovevano, e Harry era certo che stesse tendendo le orecchie al massimo, in attesa del rumore di un’auto in arrivo. Dudley era incastrato in una poltrona, seduto sulle mani ciccione, strette saldamente al didietro. Harry non resistette alla tensione; uscì e andò a sedersi sugli scalini dell’ingresso, gli occhi fissi all’orologio e il cuore che batteva forte per l’eccitazione e l’ansia.

Ma le cinque arrivarono e passarono. Zio Vernon, leggermente sudato nel suo completo, aprì la porta, guardò su e giù per la strada, poi ritirò in fretta la testa.

«Sono in ritardo!» grugnì rivolto a Harry.

«Lo so» disse Harry. «Forse… ehm… hanno trovato traffico».

Le cinque e dieci… le cinque e un quarto… ormai anche Harry cominciava a sentirsi in ansia. Alle cinque e mezza, sentì zio Vernon e zia Petunia scambiarsi nervosi borbottii in salotto.

«Non hanno nessuna considerazione».

«Potevamo anche avere un impegno».

«Forse credono che li inviteremo a cena se arrivano in ritardo».

«Be’, non succederà, questo è sicuro» concluse zio Vernon, e Harry lo sentì alzarsi e camminare su e giù per il salotto. «Prenderanno il ragazzo e se ne andranno, non perderemo tempo con loro. Ammesso che vengano, poi. Probabilmente hanno sbagliato giorno. Sospetto che quelli della loro razza non tengano in gran conto la puntualità. O è così, oppure avranno una macchinetta da due soldi che si è rot… AAAAAAARRRRRGH!»

Harry balzò in piedi. Dall’altra parte della porta del salotto venivano i rumori dei tre Dursley che scalpicciavano per la stanza, in preda al panico. Un attimo dopo, Dudley sfrecciò nell’ingresso, terrorizzato.

«Che cosa è successo?» disse Harry. «Cosa c’è?»

Ma Dudley non sembrava in grado di parlare. Con le mani ancora strette al sedere, sparì in cucina in un lampo. Harry si precipitò in salotto.

Da dietro il camino murato, ornato sul davanti da un fuoco finto, provenivano colpi assordanti e un gran tramestio.

«Che cos’è?» boccheggiò zia Petunia, che si era appiattita contro il muro e fissava il fuoco, terrorizzata. «Che cos’è, Vernon?»

La risposta arrivò dopo un attimo. All’interno del camino bloccato risuonarono delle voci.

«Ahia! Fred, no… indietro, indietro, c’è stato un errore… di’ a George di non… AHIA! George, no, non c’è spazio, torna subito indietro e di’ a Ron…»

«Forse Harry ci sente, papà… forse lui può farci uscire…»

Si udì un gran battere di pugni sui pannelli dietro il fuoco elettrico.

«Harry? Harry, ci senti?»

I Dursley accerchiarono Harry come una coppia di iene furibonde.

«Che cosa c’è?» ringhiò zio Vernon. «Che cosa sta succedendo?»

«Loro… sono arrivati con la Polvere Volante» disse Harry reprimendo a fatica la voglia matta di ridere. «Possono viaggiare attraverso i camini… solo che questo è murato… un momento…»

Si avvicinò al camino e gridò attraverso i pannelli: «Signor Weasley? Mi sente?»

I tonfi cessarono. Dall’interno qualcuno disse: «Sst!»

«Signor Weasley, sono Harry… il camino è chiuso. Non potete entrare da qui».

«Accidenti!» disse la voce del signor Weasley. «Perché diavolo hanno chiuso il camino?»

«Hanno un fuoco elettrico» spiegò Harry.

«Davvero?» disse la voce del signor Weasley, eccitata. «Eclettico, hai detto? Con la spina? Cielo, devo vederlo… riflettiamo… ahia, Ron!»

La voce di Ron si unì alle altre.

«Che succede qui? C’è qualcosa che non va?»

«Oh, no, Ron» disse la voce di Fred, molto sarcastica. «No, è proprio qui che volevamo finire».

«Sì, ci stiamo divertendo da pazzi qui» disse George: la sua voce suonava soffocata, come se fosse schiacciato contro il muro.

«Ragazzi, ragazzi…» disse il signor Weasley in tono vago. «Sto cercando di pensare a cosa fare… sì… c’è un solo modo… indietro, Harry».

Harry arretrò fino al divano. Zio Vernon, invece, fece un passo avanti.

«Aspettate un momento!» ululò al camino. «Si può sapere che cosa avete intenzione di…»

BANG.

Il fuoco elettrico sfrecciò attraverso la stanza mentre il camino chiuso esplodeva, espellendo il signor Weasley, Fred, George e Ron in una nube di calcinacci e schegge vaganti. Zia Petunia strillò e cadde all’indietro, addosso al tavolino; zio Vernon la afferrò prima che toccasse terra e fissò a bocca spalancata i Weasley, che avevano tutti i capelli rosso vivo, compresi Fred e George, identici fino all’ultima lentiggine.

«Così va meglio» disse il signor Weasley ansante, scrollandosi via la polvere dai lunghi abiti verdi e raddrizzandosi gli occhiali. «Ah… voi dovete essere gli zii di Harry!»

Alto, magro, un po’ calvo, il signor Weasley avanzò verso zio Vernon, la mano tesa, ma zio Vernon arretrò di alcuni passi, trascinando con sé zia Petunia. Zio Vernon era senza parole. Il suo abito migliore era pieno di polvere bianca, che gli copriva baffi e capelli facendolo sembrare più vecchio di trent’anni.

«Ehm… sì… mi dispiace per tutto questo» disse il signor Weasley, abbassando la mano e gettando un’occhiata al camino esploso alle sue spalle. «È tutta colpa mia, non mi è proprio venuto in mente che non saremmo riusciti a uscire dall’altra parte. Vede, ho fatto collegare il suo camino alla Metropolvere, solo per un pomeriggio, sa, per venire a prendere Harry. I camini Babbani di norma non dovrebbero essere collegati, ma ho un contatto utile al Comitato per la Regolamentazione della Metropolvere e lui me l’ha sistemato. Posso rimetterlo a posto in un batter d’occhio, comunque, non si preoccupi. Accenderò il fuoco per rimandare indietro i ragazzi, e poi posso ripararvi il camino prima di Smaterializzarmi».

Harry era pronto a scommettere che i Dursley non avevano capito una sola parola. Erano ancora lì che fissavano il signor Weasley a bocca aperta, folgorati. Zia Petunia si rimise in piedi barcollando, e si nascose dietro a zio Vernon.

«Ciao, Harry!» disse allegramente il signor Weasley. «È pronto il tuo baule?»

«È di sopra» rispose Harry sorridendo in risposta.

«Andiamo a prenderlo» disse subito Fred. Strizzando l’occhio a Harry, lui e George uscirono dalla stanza. Sapevano dov’era la camera di Harry, visto che una volta erano andati a prenderlo nel cuore della notte. Harry sospettava che Fred e George sperassero di dare un’occhiatina a Dudley: ne avevano sentito parlare moltissimo da lui.

«Bene» disse il signor Weasley dondolando un po’ le braccia mentre cercava le parole per rompere quello spiacevole silenzio. «È proprio… ehm… è proprio un bel posticino qui».

Visto che il salotto solitamente immacolato al momento era invaso di polvere e frammenti di mattoni, i Dursley non presero molto bene l’osservazione. Il volto di zio Vernon divenne violetto, e zia Petunia prese a mordersi la lingua, ma sembravano troppo spaventati per dire qualcosa.

Il signor Weasley si stava guardando intorno. Adorava tutto ciò che riguardava i Babbani. Harry vide che moriva dalla voglia di andare a studiare da vicino il televisore e il videoregistratore.

«Funzionano a ecletticità, vero?» disse in tono saputo. «Ah, sì, vedo le spine. Io colleziono spine» disse a zio Vernon. «E pile. Ho una gran collezione di pile. Mia moglie pensa che sono matto…»

Evidentemente lo pensava anche zio Vernon. Si spostò leggermente a destra, nascondendo zia Petunia, come se fosse convinto che il signor Weasley potesse aggredirli da un momento all’altro.

Dudley spuntò all’improvviso, inseguito dai tonfi che provenivano dalle scale; strisciò lungo il muro, fissando il signor Weasley con occhi terrorizzati, e tentò di nascondersi dietro sua madre e suo padre. Purtroppo la stazza di zio Vernon, pur in grado di coprire l’ossuta zia Petunia, non era nemmeno lontanamente sufficiente a nascondere Dudley.

«Ah, questo è tuo cugino, vero, Harry?» disse il signor Weasley, in un altro coraggioso tentativo di far conversazione.

«Sì» disse Harry, «questo è Dudley».

Lui e Ron si scambiarono uno sguardo e poi distolsero in fretta gli occhi l’uno dall’altro; la tentazione di scoppiare a ridere era quasi incontrollabile. Dudley continuava a tenersi il sedere come se avesse paura di vederlo cascare. Il signor Weasley, comunque, parve sinceramente preoccupato da quello stravagante comportamento: dal suo tono di voce alla frase che seguì, Harry fu quasi certo che il signor Weasley ritenesse Dudley matto quanto i Dursley pensavano che lo fosse lui, solo che il signor Weasley provava compassione più che paura.

«Stai passando delle belle vacanze, Dudley?» chiese gentilmente.

Dudley si mise a piagnucolare e si strinse più che poteva il sederone con le mani.

Fred e George rientrarono col baule scolastico di Harry, si guardarono intorno e riconobbero Dudley. I loro volti si storsero in due identici ghigni perfidi.

«Ah, bene» disse il signor Weasley, «meglio che ci muoviamo, allora».

Si rimboccò le maniche ed estrasse la bacchetta magica. Harry vide i Dursley ritrarsi precipitosamente verso il muro.

«Incendio!» esclamò il signor Weasley, puntando la bacchetta verso il buco nel muro.

Nel camino le fiamme si alzarono all’istante, scoppiettando allegramente come se fossero accese da ore. Il signor Weasley estrasse un sacchetto dalla tasca, ne slegò il laccio, prese un pizzico di polvere e lo gettò tra le fiamme, che divennero verde smeraldo e scoppiettarono più che mai.

«Vai, allora, Fred» disse il signor Weasley.

«Vengo» disse Fred. «Oh, no… aspetta…»

Un sacchetto di dolci era scivolato fuori dalla tasca e il contenuto rotolava dappertutto: grosse, grasse caramelle morbide dentro incarti dai colori vivaci.

Fred si chinò a raccoglierle e le ficcò di nuovo in tasca, poi salutò allegramente i Dursley agitando la mano, fece un passo avanti ed entrò dritto nel fuoco, dicendo: «La Tana!» Zia Petunia trattenne il respiro, tremando. Si udì un risucchio, e Fred spari.

«Adesso, George» disse il signor Weasley, «tu e il baule».

Harry aiutò George a trascinare il baule dentro le fiamme e a voltarlo in modo che potesse afferrarlo meglio. Poi, con un secondo risucchio, George gridò: «La Tana!» e anche lui partì.

«Ron, tocca a te» disse il signor Weasley.

«Ci vediamo» disse Ron allegro ai Dursley. Fece un gran sorriso a Harry, poi entrò nel fuoco, gridò: «La Tana!» e sparì.

Ormai rimanevano solo Harry e il signor Weasley.

«Be’… allora arrivederci» disse Harry ai Dursley.

Loro non risposero. Harry avanzò verso il camino, ma proprio sul bordo il signor Weasley tese una mano e lo trattenne. Stava guardando i Dursley, sbigottito.

«Harry vi ha detto arrivederci» disse. «Non lo avete sentito?»

«Non fa niente» sussurrò Harry al signor Weasley. «Davvero, non importa».

Il signor Weasley non tolse la mano dalla spalla di Harry.

«Non rivedrete vostro nipote fino all’estate prossima» disse a zio Vernon con quieta indignazione. «Di certo vorrete dirgli arrivederci…»

Il viso di zio Vernon era lo specchio dei suoi pensieri. L’idea di sentirsi dare lezioni di rispetto da un uomo che aveva appena fatto saltare in aria metà del suo salotto sembrava essere per lui motivo di intensa sofferenza.

Ma il signor Weasley aveva ancora la bacchetta in mano, e gli occhietti di zio Vernon sfrecciarono verso di essa prima che dicesse, in tono molto risentito: «Allora, arrivederci».

«Ci vediamo» disse Harry, mettendo un piede nelle fiamme verdi, che erano piacevoli come un caldo respiro. In quel momento, però, dietro di lui si levò un terribile rumore, il rumore che si fa quando qualcosa ti va per traverso, e zia Petunia prese a strillare.

Harry si voltò. Dudley non era più nascosto dietro i genitori. Era in ginocchio accanto al tavolino, e tossiva e sputacchiava per via di una cosa viscida, violetta, lunga una trentina di centimetri che gli spuntava dalla bocca. Uno stupefatto istante più tardi, Harry capì che la cosa lunga trenta centimetri era la lingua di Dudley, e che una carta colorata di caramella mou era li per terra accanto a lui.

Zia Petunia si precipitò a terra vicino a Dudley, afferrò la punta della sua lingua gonfia e cercò di strappargliela dalla bocca; naturalmente Dudley urlò e sputacchiò ancora più di prima, cercando di respingerla. Zio Vernon ululava e agitava le braccia, e il signor Weasley dovette urlare per farsi sentire.

«Non preoccupatevi, lo sistemo io!» gridò, avvicinandosi a Dudley con la bacchetta tesa, ma zia Petunia strillò più forte che mai e si gettò su Dudley, riparandolo dal signor Weasley.

«No, davvero!» disse il signor Weasley in tono disperato. «È una cosa semplice… è stata la caramella… mio figlio Fred… un gran giocherellone… ma è solo un Incantesimo di Ingozzamento… almeno, credo… per favore, posso sistemare tutto…»

Ma invece di essere rassicurati, i Dursley furono ancor più presi dal panico: zia Petunia singhiozzava isterica, strattonando la lingua di Dudley come se fosse decisa a strappargliela via; Dudley sembrava sul punto di soffocare grazie all’effetto combinato di sua madre e della sua lingua, e zio Vernon, che aveva perso completamente il controllo di sé, afferrò una statuetta di porcellana dalla credenza e la scagliò con tutte le sue forze contro il signor Weasley, che si chinò mandando il soprammobile in frantumi dentro il camino esploso.

«Insomma!» disse il signor Weasley arrabbiato, brandendo la bacchetta. «Sto cercando di aiutarlo

Ululando come un ippopotamo ferito, zio Vernon afferrò un altro soprammobile.

«Harry! Vai via!» urlò il signor Weasley, la bacchetta puntata contro zio Vernon. «Ci penso io!»

Harry non voleva perdersi lo spettacolo, ma il secondo soprammobile di zio Vernon mancò per un pelo il suo orecchio sinistro, e tutto sommato decise che era meglio lasciare la situazione al signor Weasley. Entrò nel fuoco, esclamò: «La Tana!» e gettò un’ultima fugace occhiata a! salotto: il signor Weasley stava facendo esplodere con un colpo di bacchetta un terzo soprammobile nella mano di zio Vernon e zia Petunia strillava distesa sopra Dudley, la cui lingua ciondolava come un grosso pitone bavoso. Un attimo dopo Harry fu risucchiato da un vortice, e il salotto dei Dursley sparì alla sua vista in una girandola di fiamme verde smeraldo.

CAPITOLO 5

I TIRI VISPI DI FRED E GEORGE

Harry piroettò sempre più in fretta, i gomiti stretti ai fianchi, mentre caminetti confusi gli saettavano davanti, finché non cominciò ad avere la nausea e chiuse gli occhi. Poi, quando finalmente sentì che stava rallentando, tese le mani e si fermò appena in tempo per non cadere a faccia in giù fuori dal camino della cucina dei Weasley.

«L’ha mangiata?» gli chiese Fred eccitato, tendendo una mano per aiutare Harry a rialzarsi.

«Sì» rispose Harry alzandosi. «Ma che cos’era?»

«Una Mou Mollelingua» disse Fred allegramente. «Le abbiamo inventate io e George, è tutta l’estate che cercavamo qualcuno su cui provarle…»

La piccola cucina rimbombò di risate; Harry si guardò attorno e vide Ron e George seduti al tavolo di legno con due ragazzi dai capelli rossi che Harry non aveva mai visto prima, anche se capì subito chi erano: Bill e Charlie, i due Weasley maggiori.

«Come va, Harry?» disse il più vicino dei due con un sorriso, tendendo una manona che Harry strinse, sentendo calli e vesciche sotto le dita. Doveva essere Charlie, che lavorava con i draghi in Romania. Charlie aveva la stessa corporatura dei gemelli, più basso e più robusto di Percy e Ron, che erano entrambi alti e smilzi. Aveva una larga faccia aperta, segnata dalle intemperie e così lentigginosa che sembrava quasi abbronzato; le sue braccia erano muscolose, e su una spiccava una grossa scottatura lucente.

Bill si alzò sorridendo e strinse anche lui la mano a Harry. Bill fu piuttosto una sorpresa. Harry sapeva che lavorava per la banca dei maghi, la Gringott, che era stato Caposcuola di Hogwarts, e aveva sempre immaginato che fosse una versione più vecchia di Percy: irritabile se si trattava di infrangere delle regole e deciso a trattare tutti dall’alto in basso. Invece Bill era — non c’era altra definizione — forte. Era alto, con lunghi capelli stretti in una coda. Portava un orecchino da cui pendeva una specie di zanna. I suoi vestiti non sarebbero sembrati fuori posto a un concerto rock, a parte il fatto che gli stivali non erano di cuoio ma di pelle di drago.

Prima che uno di loro potesse dire qualcosa, si udì un debole schiocco, e il signor Weasley comparve dal nulla al fianco di George. Harry non lo aveva mai visto così arrabbiato.

«Non è stato divertente, Fred!» gridò. «Che cosa accidenti hai dato a quel ragazzo Babbano?»

«Non gli ho dato niente» rispose Fred, con un altro ghigno perfido. «L’ho solo fatta cadere… è stata colpa sua se l’ha presa e l’ha mangiata, io non gli ho mai detto di farlo».

«L’hai fatta cadere apposta!» ruggì il signor Weasley. «Sapevi che l’avrebbe mangiata, sapevi che stava facendo la dieta…»

«Quanto gli è diventata grossa la lingua?» chiese George curioso.

«Ha superato il metro prima che i suoi genitori mi permettessero di rimpicciolirla!»

Harry e i Weasley scoppiarono di nuovo in una fragorosa risata.

«Non è divertente!» urlò il signor Weasley. «Questo genere di comportamento mina seriamente le relazioni maghi-Babbani! Passo metà della mia vita a battermi contro i maltrattamenti ai Babbani, e i miei figli…»

«Non gliel’abbiamo data perché è un Babbano!» esclamò Fred indignato.

«No, gliel’abbiamo data perché è un bullo ciccione e stupido» disse George. «Vero, Harry?»

«Si, è vero, signor Weasley» disse Harry in tono convincente.

«Non è questo il punto!» gridò il signor Weasley furente. «Aspettate che lo dica a vostra madre…»

«Dirmi cosa?» disse una voce alle loro spalle.

La signora Weasley era appena entrata in cucina. Era una donna bassa e pienotta con un viso molto gentile, anche se al momento i suoi occhi erano stretti dal sospetto.

«Oh, ciao, Harry, caro» gli disse sorridendo. Poi il suo sguardo tornò a posarsi sul marito. «Dirmi che cosa, Arthur?»

Il signor Weasley esitò. Harry capì che, per quanto fosse arrabbiato con Fred e George, non intendeva davvero raccontare l’accaduto alla signora Weasley. Calò il silenzio, mentre il signor Weasley osservava la moglie, nervoso. Poi sulla soglia della cucina apparvero due ragazze. Una, capelli castani molto mossi e denti davanti piuttosto grandi, era l’amica di Harry e Ron, Hermione Granger. L’altra, che era piccola e rossa di capelli, era la sorella minore di Ron, Ginny. Entrambe sorrisero a Harry, che fece un gran sorriso in risposta, cosa che fece diventare Ginny paonazza: aveva una cotta per Harry fin dalla sua prima visita alla Tana.

«Dirmi che cosa, Arthur?» ripeté la signora Weasley, in tono pericoloso.

«Non è niente, Molly» borbottò il signor Weasley. «Fred e George hanno solo… ma li ho sgridati…»

«Che cos’hanno combinato questa volta?» chiese la signora Weasley. «Se ha qualcosa a che fare con i Tiri Vispi Weasley…»

«Perché non fai vedere a Harry la tua stanza, Ron?» disse Hermione dalla soglia.

«L’ha già vista, la mia stanza» disse Ron. «Ha dormito lì l’ultima…»

«Potrei vederla anch’io» disse Hermione in tono eloquente.

«Oh» disse Ron, cogliendo l’allusione. «Va bene».

«Si, veniamo anche noi…» disse George.

«Voi restate dove siete!» sibilò la signora Weasley.

Harry e Ron uscirono dalla cucina, e con Hermione e Ginny attraversarono lo stretto ingresso e salirono le scale traballanti che zigzagavano attraverso la casa e portavano ai piani di sopra.

«Che cosa sono i Tiri Vispi Weasley?» chiese Harry mentre salivano.

Ron e Ginny risero, ma Hermione no.

«Mamma ha trovato un mucchio di moduli di ordinazione mentre puliva la camera di Fred e George» disse Ron piano. «Lunghi listini di prezzi delle cose che hanno inventato. Scherzi, sai. Bacchette finte e caramelle a sorpresa, un sacco di roba. È stato grande, non sapevo che stessero inventando tutta quella roba…»

«Sono secoli che sentiamo delle esplosioni venire dalla loro camera, ma non abbiamo mai pensato che stessero facendo sul serio» spiegò Ginny, «credevamo che gli piacesse il rumore e basta».

«Solo che gran parte della roba — be’, in realtà tutta — era un po’ pericolosa» disse Ron, «e, sai, pensavano di venderla a Hogwarts per fare un po’ di soldi, e mamma è andata fuori dai gangheri. Gli ha detto che non dovevano permettersi di andare oltre, e ha bruciato tutti i moduli… è furiosa con loro perché, non hanno preso il G.U.F.O. che si aspettava».

Il G.U.F.O. era il Giudizio Unico per i Fattucchieri Ordinari, il diploma che gli studenti di Hogwarts prendevano alla fine del quinto anno.

«E poi c’è stata una litigata tremenda» continuò Ginny «perché mamma vuole che entrino al Ministero della Magia come papà, mentre loro vogliono aprire un negozio di giochi e scherzi».

In quel momento si aprì una porta sul secondo pianerottolo e spuntò una faccia con occhiali cerchiati di corno e un’espressione molto seccata.

«Ciao, Percy» disse Harry.

«Oh, ciao, Harry» disse Percy. «Mi stavo proprio chiedendo chi facesse tutto quel rumore. Sto cercando di lavorare, sai — devo finire una relazione per l’ufficio — ed è piuttosto difficile concentrarsi quando c’è gente che continua a far chiasso su e giù per le scale».

«Non stiamo facendo chiasso» ribatté Ron irritato. «Stiamo camminando. Scusa se abbiamo disturbato le operazioni top-secret del Ministero della Magia».

«Su cosa stai lavorando?» chiese Harry.

«Un rapporto per l’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale» disse Percy compiaciuto. «Stiamo cercando di uniformare lo spessore dei calderoni. Alcuni dei prodotti d’importazione sono un po’ troppo sottili… le perdite stanno crescendo quasi del tre per cento l’anno…»

«Cambierà il mondo, quella relazione» disse Ron. «Finiranno in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta, le perdite dei calderoni…»

Percy arrossì lievemente.

«Ridi pure, Ron» disse riscaldandosi, «ma se non viene imposta una qualche legge internazionale ci ritroveremo il mercato invaso da prodotti scadenti, col fondo sottile che mettono seriamente in pericolo…»

«Sì, si, d’accordo» disse Ron, e riprese a salire le scale. Percy sbatté la porta. Harry, Hermione e Ginny seguirono Ron per altre tre rampe di scale; dalla cucina le grida della discussione echeggiavano fin lassù. A quanto pareva, il signor Weasley aveva detto alla signora Weasley delle caramelle.

La stanza in cima alla casa dove dormiva Ron aveva quasi lo stesso aspetto dell’ultima volta che Harry era stato ospite da loro; la squadra di Quidditch preferita di Ron, i Magnifici Sette, sfrecciavano e salutavano dai poster sulle pareti e sul soffitto spiovente, e l’acquario sul davanzale che prima conteneva uova di rana ora ospitava una rana estremamente grossa. Il vecchio topo di Ron, Crosta, non c’era più, ma in compenso c’era il gufetto grigio che aveva recapitato la lettera di Ron a Harry a Privet Drive. Stava saltando su e giù in una gabbietta, e cantava come un pazzo.

«Sta’ zitto, Leo» disse Ron, infilandosi tra due dei quattro letti che erano stati fatti entrare a forza nella stanza. «Fred e George dormono con noi perché nella loro stanza ci sono Bill e Charlie». disse a Harry. «Percy riesce a tenersi la camera tutta per sé perché deve lavorare».

«Ehm… perché quel gufo lo chiami Leo?» chiese Harry a Ron.

«Ron è uno stupido» disse Ginny. «Il suo vero nome è Leotordo».

«Sì, e questo non è un nome stupido, vero?» disse Ron sarcastico. «Gliel’ha dato Ginny» spiegò a Harry. «Secondo lei è simpatico. E io ho cercato di cambiarglielo, ma era troppo tardi, ormai non risponde se lo chiamo in un altro modo. Così adesso è Leo. Devo tenerlo quassù perché dà fastidio a Errol e a Hermes. Dà fastidio anche a me, se è per quello».

Leo sfrecciò nella gabbia, tubando in tono acutissimo. Harry conosceva Ron troppo bene per prenderlo sul serio. Si era lamentato continuamente del suo vecchio topo Crosta, ma era rimasto sconvolto quando sembrò che il gatto di Hermione, lo avesse divorato.

«Dov’è Grattastinchi?» chiese Harry a Hennione.

«In giardino, credo» rispose lei. «Gli piace rincorrere gli gnomi, non ne aveva mai visti prima d’ora».

«Allora a Percy piace il suo lavoro?» chiese Harry, sedendosi su uno dei letti e guardando i Magnifici Sette sfrecciare dentro e fuori dai poster sul soffitto.

«Se gli piace?» disse Ron cupo. «Credo che non verrebbe nemmeno a casa se papà non lo costringesse. È maniacale. Mi raccomando, non chiedergli del suo capo. Secondo il signor Crouch… come ho detto al signor Crouch… il signor Crouch è del parere che… il signor Crouch mi diceva… Si fidanzeranno da un momento all’altro».

«Com’è andata l’estate, Harry?» chiese Hermione. «Hai ricevuto i nostri pacchi con i dolci e il resto?»

«Sì, grazie mille» disse Harry. «Mi hanno salvato la vita, quelle torte».

«E hai notizie di…?» cominciò Ron, ma uno sguardo di Hermione lo zittì. Harry sapeva che Ron stava per chiedere di Sirius: Ron e Hermione lo avevano aiutato a sfuggire al Ministero della Magia, ed erano preoccupati per lui quasi quanto Harry; ma parlarne davanti a Ginny era comunque una pessima idea. Nessuno, a parte loro e il professor Silente, sapeva come era fuggito Sirius, o credeva nella sua innocenza.

«Credo che abbiano smesso di litigare» disse Hermione per far passare quel momento di imbarazzo, visto che Ginny guardava incuriosita da Ron a Harry. «E se scendessimo ad aiutare tua madre per la cena?»

«Sì, va bene» disse Ron. Scesero tutti in cucina, dove trovarono la signora Weasley, sola e molto arrabbiata.

«Ceneremo in giardino» disse quando entrarono. «Non c’è posto per undici persone qui dentro. Potete portare fuori i piatti, ragazze? Bill e Charlie stanno preparando la tavola. Coltelli e forchette, per favore, voi due» disse a Ron e Harry, puntando la bacchetta magica con tale veemenza verso un mucchio di patate nel lavandino, che quelle schizzarono fuori dalle bucce come bolidi, rimbalzando sui muri e sul soffitto.

«Oh, per l’amor del cielo» sbottò, puntando la bacchetta verso una padella che balzò sul pavimento, raccogliendo le patate. «Quei due!» esplose irritata, estraendo pentole e pentoline da una credenza, e Harry capì che parlava di Fred e George. «Non so come andranno a finire, non lo so proprio. Non hanno nessuna ambizione, a parte combinare tutti i guai che possono…»

Sbatté una grande padella di rame sul tavolo della cucina e cominciò a girarvi dentro la bacchetta. Una salsa cremosa uscì dalla punta mentre lei mescolava.

«Non è che non abbiano cervello» riprese seccata, mettendo la padella sul fornello e accendendolo con un altro colpo di bacchetta, «ma lo sprecano, e se non si rimettono in riga in fretta, finiranno nei guai, guai seri. Ho ricevuto più gufi da Hogwarts per loro che per tutti gli altri messi insieme. Se continuano così, finiranno davanti all’Ufficio per l’Uso Improprio della Magia».

La signora Weasley puntò la bacchetta verso il cassetto delle posate, che si aprì di scatto. Harry e Ron si ritrassero rapidi mentre parecchi coltelli ne uscivano a schiera, attraversavano la cucina a volo radente e cominciavano ad affettare le patate, che la pentola aveva appena riversato nel lavandino.

«Non so dove abbiamo sbagliato con loro» disse la signora Weasley, posando la bacchetta e cominciando a tirar fuori altre padelle. «Da anni è sempre la stessa storia, una cosa dopo l’altra, e non ascoltano… OH, NON DI NUOVO!»

La bacchetta aveva emesso uno squittio acuto e si era trasformata in un topone di gomma.

«Un’altra delle loro bacchette finte!» gridò. «Quante volte ho detto a quei due di non lasciarle in giro?»

Afferrò la bacchetta vera e si voltò per scoprire che la salsa sul fornello fumava.

«Dai» disse Ron in fretta a Harry, prendendo una manciata di posate dal cassetto aperto, «andiamo ad aiutare Bill e Charlie».

Lasciarono la signora Weasley e uscirono nel cortile dalla porta sul retro.

Avevano fatto solo pochi passi quando Grattastinchi, il gatto di Hermione, fulvo e dalle zampe alquanto storte, scattò fuori dal giardino, la coda a scovolo ritta in aria, inseguendo quella che sembrava una patata fangosa con le gambe. Harry riconobbe uno gnomo: alto a stento venticinque centimetri, aveva piedini callosi che scalpicciavano rapidissimi mentre sfrecciava attraverso il cortile e si tuffava di testa in uno degli stivali di gomma sparpagliati attorno alla porta. Harry udì lo gnomo ridacchiare come un pazzo mentre Grattastinchi infilava una zampa nello stivale, tentando di afferrarlo. Contemporaneamente, dal giardino sul lato opposto della casa si levò un fracasso tremendo: Bill e Charlie, con le bacchette sguainate, avevano incominciato un duello tra due vecchi tavoli che fluttuavano a mezz’aria, facendoli cozzare uno contro l’altro nel tentativo di abbattersi a vicenda. Fred e George facevano il tifo; Ginny rideva e Hermione guardava in disparte, incerta se divertirsi o preoccuparsi.

Il tavolo di Bill urtò quello di Charlie con un gran tonfo e gli strappò una gamba. Giunsero altri rumori dall’alto; tutti guardarono in su e videro la testa di Percy spuntare da una finestra del secondo piano.

«Volete darvi una calmata?» ululò.

«Scusa, Perce» disse Bill con un gran sorriso. «Come vanno i tuoi fondi di calderone?»

«Molto male» disse Percy stizzito, e sbatté la finestra. Ridacchiando, Bill e Charlie fecero atterrare i tavoli al sicuro sull’erba, uno vicino all’altro; poi con un tocco di bacchetta, Bill riattaccò la gamba mancante e fece apparire le tovaglie dal nulla.

Alle sette i due tavoli erano carichi di piatti dell’eccellente cucina della signora Weasley, e tutta la famiglia, più Harry e Hermione si sedettero a cena sotto un cielo blu intenso e trasparente. Per uno che era vissuto tutta l’estate mangiando torta sempre più stantia, quello era il paradiso, e all’inizio Harry ascoltò più che parlare, servendosi di pasticcio di pollo e prosciutto, patate bollite e insalata.

All’estremità del tavolo, Percy stava raccontando a suo padre nei dettagli la relazione sui fondi di calderone.

«Ho detto al signor Crouch che la finirò per martedì» diceva in tono pomposo. «È un po’ in anticipo, ma mi piace essere tempestivo. Credo che mi sarà grato per averla finita prima del tempo. Voglio dire, al momento da noi c’è così tanto da fare, con tutti i preparativi per la Coppa del Mondo. È che non abbiamo tutto l’appoggio che ci occorre dall’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici. Ludo Bagman…»

«Mi piace Ludo» disse il signor Weasley in tono mite. «È stato lui a procurarci quegli ottimi biglietti per la Coppa. Io gli ho fatto un piccolo favore: suo fratello, Otto, si è messo un po’ nei guai — per via di un tagliaerba con poteri innaturali — e io ho sistemato la cosa».

«Oh, Bagman è piuttosto piacevole, naturalmente» disse Percy sbrigativo, «ma chissà come ha fatto a diventare Direttore dell’Ufficio… se si pensa al signor Crouch! Non ce lo vedo proprio, il signor Crouch, a perdere un membro del nostro Ufficio senza cercare di scoprire che cosa gli è successo. Ma vi rendete conto che Bertha Jorkins è sparita da più di un mese? È andata in vacanza in Albania e non è più tornata…»

«Sì, ne ho parlato con Ludo» disse il signor Weasley, accigliato. «Dice che Bertha si è persa moltissime volte prima d’ora — anche se devo dire che se si trattasse di qualcuno del mio Ufficio, sarei in pensiero…»

«Oh, Bertha è un caso disperato, è vero» disse Percy. «Ho sentito dire che è stata trasferita da un Ufficio all’altro per anni, insomma, dà molti più guai di quanto non valga… ma comunque Bagman dovrebbe cercarla. Il signor Crouch si è interessato personalmente al caso — lei una volta lavorava da noi, sapete, e credo che al signor Crouch piacesse molto — ma Bagman non fa che ridere e dire che probabilmente teneva la cartina a rovescio ed è finita in Australia invece che in Albania. Comunque» Percy fece un gran sospiro e bevve un bel sorso di vino di fior di sambuco, «abbiamo abbastanza da fare all’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale senza metterci a cercare anche i membri degli altri Uffici. Come sapete, dobbiamo organizzare un altro evento importante dopo la Coppa del Mondo». Si schiarì la gola in tono eloquente e guardò verso l’estremità del tavolo, dov’erano seduti Harry, Ron e Hermione. «Tu sai di cosa parlo, papà». Alzò appena la voce. «La cosa top-secret».

Ron alzò gli occhi al cielo e borbottò a Harry e Hermione: «Vuole che gli chiediamo di che si tratta, fa così fin da quando ha cominciato a lavorare. Probabilmente è una mostra di calderoni col doppio fondo».

Al centro della tavolata, la signora Weasley stava discutendo con Bill per via dell’orecchino, che sembrava un acquisto recente.

«… con quell’orribile zannona, insomma. Bill, che cosa dicono alla banca?»

«Mamma, alla banca non importa niente a nessuno di come mi vesto fintantoché gli porto tanti tesori» disse Bill in tono paziente.

«E i capelli ti vanno dappertutto, caro» disse la signora Weasley sfiorando la bacchetta con affetto. «Vorrei tanto che mi permettessi di dargli un’aggiustatina…»

«A me piacciono» intervenne Ginny, che era seduta accanto a Bill. «Sei così fuori moda, mamma. Comunque, non sono affatto lunghi come quelli del professor Silente…»

Vicino alla signora Weasley, Fred, George e Charlie stavano parlando animatamente della Coppa del Mondo.

«Deve vincere l’Irlanda» disse Charlie a bocca piena tra un boccone di patate e l’altro. «Hanno steso il Perù nelle semifinali».

«Però la Bulgaria ha Viktor Krum» disse Fred.

«Krum è il solo giocatore decente, l’Irlanda ne ha sette» disse Charlie secco. «Vorrei che fosse passata l’Inghilterra, però. È stato imbarazzante, ecco».

«Che cosa è successo?» chiese Harry avido, rimpiangendo più che mai l’isolamento dal mondo della magia che subiva a Privet Drive. Harry era un grande appassionato di Quidditch. Giocava come Cercatore nella squadra di Quidditch della Casa di Grifondoro fin dal suo primo anno a Hogwarts e possedeva una Firebolt, una delle migliori scope da corsa del mondo.

«Ha perso con la Transilvania, trecentonovanta a dieci» disse Charlie cupo. «Uno spettacolo agghiacciante. E il Galles ha perso con l’Uganda, e il Lussemburgo ha massacrato la Scozia».

Prima del dolce (gelato di fragola fatto in casa), il signor Weasley fece apparire delle candele per illuminare il giardino sempre più buio, e quando ebbero finito le falene svolazzavano basse sul tavolo e l’aria tiepida era carica degli aromi dell’erba e del caprifoglio. Harry si sentiva molto sazio e in pace col mondo mentre osservava parecchi gnomi filare tra i cespugli di rose, ridendo come matti, con Grattastinchi alle calcagna.

Ron si guardò attentamente intorno per controllare che il resto della famiglia fosse impegnato nelle chiacchiere, poi chiese molto piano a Harry: «Allora… hai ricevuto notizie da Sirius?»

Anche Hermione si guardò attorno e si mise in ascolto.

«Sì» disse Harry in un sussurro, «due volte. Sembra che stia bene. Gli ho scritto l’altroieri. Magari mi risponderà mentre sono qui».

All’improvviso gli venne in mente la ragione per cui aveva scritto a Sirius e per un attimo fu lì lì per raccontare a Ron e Hermione della cicatrice bruciante e del sogno che lo aveva svegliato… Ma non voleva proprio metterli in agitazione in quel momento, non quando lui stesso si sentiva così felice e tranquillo.

«Guardate un po’ l’ora» disse la signora Weasley all’improvviso, dando un’occhiata all’orologio da polso. «Dovreste proprio essere a letto, tutti quanti: dovrete alzarvi all’alba per andare alla Coppa. Harry, se mi lasci la tua lista delle cose di scuola, te le prendo io domani a Diagon Alley, insieme a quelle dei ragazzi. Può darsi che non resti tempo dopo la Coppa del Mondo: l’ultima volta la partita è durata cinque giorni».

«Wow… spero che sia così anche stavolta!» esclamò Harry entusiasta.

«Be’, io no di certo» disse Percy in tono affettato. «Tremo al pensiero di quello che troverei sulla mia scrivania se mancassi cinque giorni dall’ufficio».

«Sì, qualcuno potrebbe scaricarci di nuovo della cacca di drago, eh, Perce?» disse Fred.

«Quello era un campione di fertilizzante dalla Norvegia!» disse Percy diventando paonazzo. «Non era niente di personale

«Invece sì» bisbigliò Fred a Harry mentre si alzavano. «Gliel’abbiamo mandata noi».

CAPITOLO 6

LA PASSAPORTA

A Harry pareva di essersi appena coricato quando la signora Weasley lo scrollò per svegliarlo.

«È ora, Harry caro» sussurrò, e si mosse per chiamare Ron.

Harry cercò gli occhiali a tastoni, li inforcò e si sedette. Fuori era ancora buio. Ron borbottò qualcosa mentre sua madre lo svegliava. Ai piedi del suo materasso Harry vide due grosse sagome insonnolite emergere da grovigli di coperte.

«È già ora?» sbadigliò Fred.

Si vestirono in silenzio, troppo intontiti per parlare, poi, sbadigliando e stiracchiandosi, tutti e quattro scesero le scale ed entrarono in cucina.

La signora Weasley stava mescolando il contenuto di un grosso tegame sul fornello, mentre il signor Weasley era seduto a tavola e controllava un fascio di grossi biglietti di pergamena. Alzò gli occhi mentre entravano i ragazzi, e allargò le braccia per farsi vedere: indossava una specie di maglione da golfista e un paio di jeans vecchissimi, un po’ troppo larghi per lui, tenuti su da una spessa cintura di pelle.

«Cosa ne dite?» chiese ansioso. «Dobbiamo viaggiare in incognito… assomiglio a un Babbano, Harry?»

«Sì» disse Harry con un sorriso, «direi proprio di si».

«Dove sono Bill, Charlie e Per-Per-Percy?» chiese George senza riuscire a soffocare un grande sbadiglio.

«Be’, loro si Materializzano, vero?» disse la signora Weasley, posando il tegame sul tavolo e cominciando a versare il porridge nelle ciotole. «Così possono dormire un po’ di più».

Harry sapeva che Materializzarsi era molto difficile; voleva dire sparire da un posto e riapparire quasi all’istante in un altro.

«Allora sono ancora a letto?» brontolò Fred, tirando a sé la sua ciotola di porridge.

«Perché non possiamo Materializzarci anche noi?»

«Perché non avete l’età e non avete passato l’esame» rispose secca la signora Weasley. «E le ragazze dove sono finite?»

Si precipitò fuori dalla cucina su per le scale.

«Bisogna passare un esame per Materializzarsi?» chiese Harry.

«Oh, sì» rispose il signor Weasley, infilando i biglietti al sicuro nella tasca posteriore dei jeans. «L’Ufficio del Trasporto Magico ha fatto una multa a due persone l’altro giorno per Materializzazione senza patente. Non è facile, Materializzarsi, e quando non lo si fa come si deve possono succedere cose spiacevoli. I due di cui sto parlando ci hanno provato e si sono spaccati».

Tutti attorno al tavolo tranne Harry trasalirono inorriditi.

«Ehm… spaccati?» disse Harry.

«Metà di loro è rimasta indietro» spiegò il signor Weasley, versando un bel po’ di melassa nel suo porridge. «Così, naturalmente, sono rimasti bloccati. Non potevano andare né di qua né di là. Hanno dovuto aspettare che venisse a liberarli la Squadra Cancellazione Magia Accidentale. Ci sono volute un bel po’ di scartoffie, credetemi, perché i Babbani avevano visto le parti del corpo rimaste dall’altra parte…»

Harry ebbe l’improvvisa visione di due gambe e un occhio abbandonati sul marciapiede di Privet Drive.

«E poi sono andati a posto?» chiese, esterrefatto.

«Oh, sì» disse il signor Weasley in tono pratico. «Ma si sono presi una bella multa, e non credo che ci riproveranno molto presto. Non si può scherzare con la Materializzazione. Ci sono un sacco di maghi adulti che non la praticano. Preferiscono le scope… sono più lente ma più sicure».

«Ma Bill, Charlie e Percy sono capaci tutti e tre?»

«Charlie ha dovuto fare l’esame due volte» disse Fred con un gran ghigno. «La prima volta è stato bocciato. È apparso cinque miglia più a sud di dove doveva, proprio sopra a una poveretta che faceva la spesa, vi ricordate?»

«Sì, be’, comunque al secondo tentativo ce l’ha fatta» disse la signora Weasley tornando in cucina tra calorosi sogghigni.

«Percy è passato solo due settimane fa» disse George. «Da allora si Materializza in cucina tutte le mattine, solo per far vedere che è capace».

Risuonarono dei passi nel corridoio e Hermione e Ginny entrarono in cucina, tutte e due pallide e gonfie di sonno.

«Perché dobbiamo alzarci così presto?» chiese Ginny, stropicciandosi gli occhi e prendendo posto a tavola.

«Dobbiamo fare una passeggiata» disse il signor Weasley.

«Una passeggiata?» esclamò Harry. «Come, andiamo a piedi fino al…»

«No, no, è lontanissimo» spiegò il signor Weasley sorridendo. «Dobbiamo camminare solo un po’. Ma è molto difficile per un gran numero di maghi riunirsi senza attirare l’attenzione dei Babbani. Dobbiamo fare molta attenzione a come viaggiamo in qualunque circostanza, e per un evento importante come la Coppa del Mondo di Quidditch…»

«George!» disse la signora Weasley severa, e tutti sobbalzarono.

«Cosa c’è?» disse George, in un tono innocente che non ingannò nessuno.

«Che cos’hai in tasca?»

«Niente!»

«Non raccontarmi storie!»

La signora Weasley puntò la bacchetta verso la tasca di George e disse: «Accio!»

Alcuni piccoli oggetti dai colori vivaci sfrecciarono fuori dalla tasca di George; lui tentò di afferrarli ma li mancò, e quelli filarono nella mano tesa della signora Weasley.

«Vi avevamo detto di distruggerle!» disse furibonda, mostrando quelle che erano senz’ombra di dubbio altre Mou Mollelingua. «Vi avevamo detto di eliminarle tutte! Vuotate le tasche, avanti, tutti e due!»

Fu una scena spiacevole: era chiaro che i gemelli avevano tentato di portare via da casa più caramelle che potevano, e solo con l’Incantesimo di Appello la signora Weasley riuscì a trovarle tutte.

«Accio! Accio! Accio!» gridò, e frotte di mou sfrecciarono fuori dai posti più improbabili, compresi l’orlo della giacca di George e i risvolti dei jeans di Fred.

«Ci abbiamo messo sei mesi a inventarle!» urlò Fred mentre sua madre le gettava via.

«Oh, gran bel modo di sprecare sei mesi!» strillò. «Non c’è da stupirsi che non abbiate preso un G.U.F.O. migliore!»

Insomma, quando partirono l’atmosfera non era delle più distese. La signora Weasley era ancora fumante di rabbia mentre baciava il signor Weasley sulla guancia, anche se non quanto i gemelli, che si misero lo zaino in spalla e uscirono senza dirle una parola.

«Be’, divertitevi» disse la signora Weasley, «e comportatevi bene» gridò ai gemelli che si allontanavano, ma i due non si voltarono e non risposero. «Manderò Bill, Charlie e Percy verso mezzogiorno» disse la signora Weasley al signor Weasley mentre lui, Harry, Ron, Hermione e Ginny seguivano Fred e George attraverso il cortile buio.

Faceva freddo e la luna brillava nel cielo. Solo una striscia di una cupa tinta verdastra all’orizzonte sulla loro destra mostrava l’avvicinarsi dell’alba. Harry, che stava pensando alle migliaia di maghi che si affrettavano verso la Coppa del Mondo di Quidditch, accelerò per mettersi al passo con il signor Weasley.

«Ma allora come fanno tutti quanti ad arrivarci senza che i Babbani se ne accorgano?» chiese.

«È stato un problema organizzativo cruciale» sospirò il signor Weasley. «Il guaio è che alla Coppa del Mondo arrivano qualcosa come centomila maghi, e naturalmente non abbiamo un sito magico abbastanza grande da accoglierli tutti. Ci sono luoghi in cui i Babbani non possono entrare, ma prova a immaginare di stipare centomila maghi a Diagon Alley o sul binario nove e tre quarti. Così abbiamo dovuto trovare una bella landa deserta e mettere in atto tutte le precauzioni anti-Babbani possibili. L’intero Ministero ci ha lavorato per mesi. Prima di tutto, naturalmente, bisogna scaglionare gli arrivi. Quelli con i biglietti più a buon mercato devono arrivare con due settimane d’anticipo. Un numero limitato usa mezzi di trasporto babbani, ma gli altri non possono affollare i loro pullman e treni: ricorda che i maghi arrivano da tutto il mondo. Alcuni si Materializzano, naturalmente, ma dobbiamo trovare dei luoghi sicuri per la loro Materializzazione, a distanza di sicurezza dai Babbani. Credo che per questo ci sia un bosco comodo. Per quelli che non vogliono o non possono Materializzarsi, ci sono le Passaporte, oggetti che servono a trasportare i maghi da un posto all’altro in un orario prestabilito. Si possono organizzare gruppi numerosi, se occorre. Ci sono duecento Passaporte disposte in punti strategici in tutta la Gran Bretagna, e la più vicina a noi è in cima al Col dell’Ermellino, ed è lì che siamo diretti».

Il signor Weasley indicò un punto davanti a loro, dove una grossa massa nera affiorava oltre la cittadina di Ottery St Catchpole.

«Che tipo di oggetti sono le Passaporte?» chiese Harry incuriosito.

«Be’, possono essere qualsiasi cosa» disse il signor Weasley. «Cose che non si notano, ovviamente, così i Babbani non vanno a raccoglierle e non ci giocano… cose che scambiano per rifiuti…»

Percorsero faticosamente l’umido viale scuro che portava al villaggio, il silenzio rotto solo dai loro passi. Il cielo si illuminava molto lentamente mentre attraversavano il villaggio, e il nero d’inchiostro si diluiva in un blu fondo. Harry aveva le mani e i piedi congelati. Il signor Weasley continuava a controllare l’ora.

Non ebbero fiato da sprecare per la conversazione quando cominciarono a salire il Col dell’Ermellino, inciampando ogni tanto in tane di coniglio nascoste, scivolando su grosse zolle nere. A ogni respiro l’aria sembrava penetrare come una lama nel petto di Harry, e le gambe stavano cominciando a irrigidirsi quando alla fine i suoi piedi incontrarono un terreno pianeggiante.

«Uff!» disse il signor Weasley ansante, togliendosi gli occhiali e strofinandoli sul golf. «Be’, è andata bene. Abbiamo ancora dieci minuti…»

Hermione superò la cresta della collina per ultima, tenendosi un fianco.

«Ora ci serve solo la Passaporta» disse il signor Weasley, infilando di nuovo gli occhiali e scrutando il terreno intorno. «Non dev’essere grossa… avanti…»

Si sparpagliarono per cercarla. Dopo appena un paio di minuti un grido lacerò l’aria immobile.

«Qui, Arthur! Qui, vecchio mio, l’abbiamo trovata!»

Due alte sagome si stagliavano contro il cielo stellato sull’altro lato della collina.

«Amos!» esclamò il signor Weasley sorridendo mentre avanzava verso l’uomo che aveva gridato. Gli altri lo seguirono.

Il signor Weasley strinse la mano a un mago col volto arrossato e un’ispida barba bruna, che nell’altra mano teneva un vecchio stivale infangato.

«Vi presento Amos Diggory» disse il signor Weasley. «Lavora per l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. E credo che conosciate suo figlio Cedric».

Cedric Diggory era un ragazzo molto bello di circa diciassette anni. Era capitano e Cercatore della squadra di Quidditch della Casa di Tassorosso a Hogwarts.

«Ciao» disse Cedric volgendo lo sguardo intorno.

Tutti risposero «Ciao» tranne Fred e George, che fecero appena un cenno. Non avevano mai veramente perdonato a Cedric di aver sconfitto la loro squadra, Grifondoro, nel primo incontro di Quidditch dell’anno passato.

«Fatto tanta strada, Arthur?» chiese il padre di Cedric.

«Non c’è male» rispose il signor Weasley. «Abitiamo dall’altra parte del villaggio laggiù. E voi?»

«Ci siamo dovuti alzare alle due, vero, Ced? Te lo assicuro, sarò felice quando avrà passato l’esame di Materializzazione. Ma non mi lamento, la Coppa del Mondo di Quidditch non me la perderei per un sacco pieno di galeoni… e in effetti i biglietti costano quasi altrettanto. E tieni conto che me la sono cavata a buon mercato…» Amos Diggory lanciò uno sguardo allegro ai ragazzi. «Sono tutti tuoi, Arthur?»

«Oh, no, solo quelli rossi» disse il signor Weasley indicando i suoi figli. «Questa è Hermione, un’amica di Ron… e Harry, un altro amico…»

«Per la barba di Merlino» esclamò Amos Diggory con gli occhi che gli si allargavano. «Harry? Harry Potter

«Ehm… sì» rispose Harry.

Era ormai abituato alla curiosità della gente e alle occhiate che tutti lanciavano alla sua cicatrice, ma si sentiva sempre a disagio.

«Ced mi ha parlato di te, naturalmente» disse Amos Diggory. «Ci ha detto tutto delle partite che avete giocato l’anno scorso, sai… E io gli ho detto: Ced, questa è una cosa che racconterai ai tuoi nipotini, sì… gli ho detto, hai battuto Harry Potter!»

Harry non riuscì a pensare a una risposta, così restò zitto. Fred e George erano di nuovo imbronciati. Cedric sembrava vagamente imbarazzato.

«Harry è caduto dalla scopa, papà» mormorò. «Te l’ho detto… è stato un incidente…»

«Sì, ma tu non sei caduto, vero?» ruggì Amos in tono gioviale, dando al figlio una manata sulla schiena. «Sempre modesto, il nostro Ced, sempre un signore… ma ha vinto il migliore, sono sicuro che Harry direbbe la stessa cosa, vero? Uno cade dalla scopa, uno resta in sella, non c’è bisogno di essere un genio per dire qual è il più bravo a volare!»

«Dev’essere quasi ora» disse in fretta il signor Weasley, estraendo di nuovo l’orologio. «Sai se stiamo aspettando qualcun altro. Amos?»

«No. i Lovegood sono già qui da una settimana e i Fawcett non sono riusciti a trovare i biglietti» disse il signor Diggory. «Non ce ne sono altri di noi in questa zona, vero?»

«Non che io sappia» rispose il signor Weasley. «Sì, manca un minuto… meglio prepararsi…»

Guardò Harry e Hermione. «Dovete solo toccare la Passaporta, è tutto qui, basterà un dito…»

Con difficoltà, a causa degli zaini gonfi, tutti e nove si strinsero attorno al vecchio stivale che Amos Diggory teneva in mano.

Stavano tutti li in cerchio, mentre una brezza fredda accarezzava la cima della collina. Nessuno parlò. All’improvviso a Harry venne in mente come sarebbe parsa strana la scena se un Babbano fosse salito lassù in quel momento… nove persone, due adulti, aggrappati a quel vecchio, logoro stivale nella semioscurità, in attesa…

«Tre…» mormorò il signor Weasley guardando ancora l’orologio, «due… uno…»

Successe in un attimo. Per Harry fu come se una forza irresistibile lo avesse arpionato all’ombelico, strattonandolo in avanti. I suoi piedi si staccarono da terra, avvertì Ron e Hermione ai suoi fianchi, spalla contro spalla, e tutti sfrecciarono in un ululato di vento e di colore vorticante; il suo indice era incollato allo stivale come trascinato da una calamita, e poi…

I suoi piedi toccarono bruscamente il suolo: Ron gli barcollò addosso e lui cadde; la Passaporta piombò a terra con un tonfo sordo vicino alla sua testa.

Harry guardò in su. Il signor Weasley, il signor Diggory e Cedric erano in piedi, anche se sembravano piuttosto scossi; tutti gli altri erano per terra.

«Era quella delle sette meno cinque da Col dell’Ermellino» disse una voce.

CAPITOLO 7

BAGMAN E CROUCH

Harry si districò da Ron e si alzò in piedi. Erano arrivati su quella che sembrava una striscia deserta di brughiera nebbiosa. Davanti a loro c’era una coppia di maghi stanchi dall’aria scontrosa, uno dei quali reggeva un grosso orologio d’oro, l’altro un grosso rotolo di pergamena e una penna d’aquila. Erano entrambi camuffati da Babbani, anche se maldestramente; l’uomo con l’orologio indossava un completo di tweed con galosce al polpaccio; il suo collega, un kilt e un poncho.

«Buongiorno, Basil» disse il signor Weasley raccogliendo lo stivale e consegnandolo al mago in kilt, che lo gettò in uno scatolone di Passaporte usate accanto a lui; Harry vide un vecchio quotidiano, una lattina vuota e un pallone bucato.

«Salute a te, Arthur» disse stancamente Basil. «Non sei in servizio, eh? Certi hanno tutte le fortune… è tutta la notte che siamo qui… meglio che ti tolga di torno, abbiamo una grossa comitiva in arrivo dalla Foresta Nera con la Passaporta delle sette e un quarto. Aspetta, ora vi trovo il campeggio… Weasley… Weasley…» Consultò la lista sulla pergamena. «A circa cinquecento metri da quella parte, il primo campeggio che incontrate. Il direttore si chiama Roberts. Diggory… secondo campeggio… chiedete del signor Payne».

«Grazie, Basil» disse il signor Weasley, e fece cenno a tutti di seguirlo.

Si avviarono per la brughiera deserta, senza riuscire a vedere granché attraverso la nebbiolina. Dopo circa venti minuti, cominciarono a intravedere una piccola casa di pietra vicino a un cancello. Al di là, Harry distinse a stento le sagome spettrali di centinaia e centinaia di tende, erette sul fianco di un grande campo che saliva dolcemente verso un fitto bosco all’orizzonte. Salutarono i Diggory e si avvicinarono alla casa.

Sulla soglia c’era un uomo che guardava l’accampamento. A Harry bastò un’occhiata per capire che era il solo vero Babbano nel raggio di parecchi chilometri. Li sentì arrivare e si voltò a guardarli.

«Buongiorno!» disse il signor Weasley cordiale.

«Buongiorno» disse il Babbano.

«Lei è il signor Roberts?»

«Sì, sono io» rispose il signor Roberts. «E voi chi siete?»

«Weasley… due tende, abbiamo prenotato un paio di giorni fa».

«Sì» disse il signor Roberts, consultando una lista appesa alla porta. «Le piazzole sono lassù verso il bosco. Solo per questa notte?»

«Proprio così» disse il signor Weasley.

«Allora paga adesso?»

«Ah… sicuro… certo…» disse il signor Weasley. Si allontanò di qualche passo e fece cenno a Harry di avvicinarsi. «Aiutami, Harry» bisbigliò, estraendo un mazzetto di banconote babbane dalla tasca e cominciando a sfogliarle. «Questo è da… da… dieci? Ah, sì, adesso vedo i numeri… allora questo è da cinque?»

«Da venti» lo corresse Harry sottovoce, ben sapendo che il signor Roberts cercava di non perdersi una parola.

«Ah, sì, allora questo è… non so, questi pezzetti di carta…»

«Straniero?» chiese il signor Roberts mentre il signor Weasley tornava con i soldi giusti.

«Straniero?» ripeté il signor Weasley, perplesso.

«Lei non è il primo ad aver problemi con i soldi» spiegò il signor Roberts, esaminando il signor Weasley da vicino. «Dieci minuti fa due tipi hanno cercato di pagarmi con delle monete d’oro grandi come coprimozzi».

«Davvero?» disse il signor Weasley nervoso.

Il signor Roberts frugò in un barattolo, cercando il resto.

«Mai stato così pieno» disse all’improvviso, guardando di nuovo verso il campo nebbioso. «Centinaia di prenotazioni. Di solito la gente arriva e basta…»

«Vanno bene?» chiese il signor Weasley, la mano tesa ad aspettare il resto, che il signor Roberts non gli diede.

«Sì» disse pensieroso. «Gente da ogni dove. Un sacco di stranieri. E non solo stranieri. Bizzarri, capito? C’è un tipo che va in giro con un kilt e un poncho».

«Non dovrebbe?» chiese ansiosamente il signor Weasley.

«È come una specie di… non so… come una specie di raduno» disse il signor Roberts. «Hanno l’aria di conoscersi tutti. Come una gran festa».

In quel momento, un mago con i pantaloni alla zuava apparve dal nulla vicino al signor Roberts.

«Oblivion!» disse in tono secco, puntandogli contro la bacchetta. Immediatamente gli occhi del signor Roberts diventarono vacui, le sue sopracciglia si spianarono e uno sguardo di sognante indifferenza cadde sul suo viso. Harry riconobbe gli effetti dell’Incantesimo di Memoria.

«Una mappa del campeggio per voi» disse tranquillamente il signor Roberts al signor Weasley. «E il suo resto».

«Grazie mille» disse il signor Weasley.

Il mago con i pantaloni alla zuava li accompagnò verso il cancello del campeggio. Sembrava sfinito; aveva il mento blu di barba non fatta e profonde ombre viola sotto gli occhi. Una volta fuori dalla portata del signor Roberts, bisbigliò al signor Weasley: «Mi sta dando un sacco di problemi. Ha bisogno di un Incantesimo di Memoria dieci volte al giorno per starsene tranquillo. E Ludo Bagman non mi dà certo una mano. Va in giro a parlare di Bolidi e Pluffe a voce altissima, e non ci pensa proprio alla sicurezza anti-Babbani. Cielo, sarò felice quando tutto questo sarà finito. Ci vediamo più tardi. Arthur».

E si Smaterializzò.

«Ma il signor Bagman non è il Direttore dei Giochi e degli Sport Magici?» chiese Ginny con aria sorpresa. «Dovrebbe saperlo che non si parla di Bolidi coi Babbani in circolazione, vero?»

«Dovrebbe» disse il signor Weasley sorridendo e guidandoli attraverso il cancello su per il campeggio, «ma Ludo è sempre stato un po’… be’… rilassato in fatto di sicurezza. In compenso non si potrebbe desiderare un Direttore dell’Ufficio per lo Sport più entusiasta. Giocava a Quidditch nella Nazionale Inglese, sapete. Ed è stato il miglior Battitore che le Vespe di Winbourne abbiano mai avuto».

Risalirono il campo nebbioso tra lunghe file di tende. Molte avevano un’aria quasi normale; i loro proprietari avevano chiaramente cercato di renderle più babbanesche possibile, ma poi si erano traditi aggiungendo camini, batacchi, o banderuole. Qua e là spuntavano tende così vistosamente magiche che Harry non poteva certo stupirsi se il signor Roberts nutriva dei sospetti. A metà del campo sorgeva una stravagante costruzione di seta a righe simile a un palazzo in miniatura, con parecchi pavoni vivi legati all’ingresso. Un po’ più in là passarono davanti a una tenda con tre piani e parecchie torrette; e ancora oltre c’era una tenda con giardino, completo di vasca per gli uccellini, meridiana e fontana.

«Siamo sempre gli stessi» disse il signor Weasley con un sorriso, «non possiamo fare a meno di esibirci quando ci ritroviamo. Ah, eccoci, guardate, questo è il nostro posto».

Avevano raggiunto il limitare del bosco in cima al campo, e lì c’era uno spazio vuoto, con un piccolo cartello piantato per terra che diceva “Weezly”.

«Non potevamo trovare un posto migliore!» disse allegramente il signor Weasley. «Lo stadio è proprio dall’altra parte del bosco, siamo vicinissimi». Si sfilò lo zaino dalle spalle. «Allora» disse in tono eccitato, «vietato usare magia, e dico sul serio, non quando siamo così tanti in terra babbana. Monteremo queste tende a mano! Non dovrebbe essere troppo difficile… i Babbani lo fanno sempre… senti, Harry, secondo te da dove cominciamo?»

Harry non era mai andato in campeggio in vita sua; i Dursley non lo avevano mai portato in vacanza, preferendo lasciarlo con la signora Figg, un’anziana vicina. Comunque, lui e Hermione scoprirono dove dovevano andare quasi tutti i pali e i picchetti, e anche se il signor Weasley fu più d’intralcio che d’aiuto, perché divenne decisamente sovreccitato quando fu il momento di usare il martelletto, alla fine riuscirono a montare due malinconiche tende a due posti.

Tutti quanti fecero un passo indietro per ammirare la loro opera. Nessuno, guardando quelle tende, avrebbe detto che appartenevano a dei maghi, pensò Harry, ma il guaio era che una volta arrivati Bill, Charlie e Percy, sarebbero stati in dieci. Anche Hermione sembrava aver colto il problema; scoccò uno sguardo interrogativo a Harry mentre il signor Weasley si metteva a quattro zampe ed entrava nella prima tenda.

«Staremo un po’ stretti» gridò, «ma credo che ce la faremo. Venite a dare un’occhiata».

Harry s’infilò carponi sotto il lembo della tenda e rimase a bocca aperta. Era entrato in quello che sembrava un appartamento di tre stanze un po’ vecchiotto, completo di bagno e cucina. Cosa bizzarra, era arredato esattamente allo stesso modo di quello della signora Figg; c’erano foderine all’uncinetto sulle sedie scompagnate, e un forte odore di gatto.

«Be’, non dovremo starci molto» disse il signor Weasley, asciugandosi la pelata con un fazzoletto e dando un’occhiata ai quattro letti a castello stipati nella camera da letto. «Me l’ha prestata Perkins dell’ufficio. Non va quasi più in campeggio, poveraccio, ha la lombaggine». Prese il bollitore polveroso e ci guardò dentro. «Ci servirà dell’acqua…»

«C’è un rubinetto segnato su questa mappa che ci ha dato il Babbano» disse Ron, che aveva seguito Harry dentro la tenda, e sembrava assolutamente indifferente alle sue straordinarie dimensioni interne. «È dall’altra parte del campo».

«Be’, perché tu, Harry e Hermione non andate a prenderci l’acqua, allora?» Il signor Weasley porse loro il bollitore e un paio di pentole. «Intanto noi andremo a raccogliere della legna per il fuoco».

«Ma abbiamo il fornello» disse Ron, «perché non possiamo…»

«Ron, sicurezza anti-Babbani!» disse il signor Weasley, con l’aria di uno che pregusta qualcosa di speciale. «Quando i veri Babbani vanno in campeggio, cucinano sul fuoco all’aperto, li ho visti io!»

Dopo un breve giro nella tenda delle ragazze, che era leggermente più piccola di quella dei maschi, anche se priva dell’odore di gatto, Harry, Ron e Hermione si accinsero ad attraversare il campeggio con il bollitore e le pentole.

Ora, col sole appena sorto e la nebbiolina che si diradava, videro la città di tende che si allargava in tutte le direzioni. Si fecero strada lentamente tra le file, guardandosi intorno incuriositi. Solo in quel momento Harry cominciò a capire quanti maghi e quante streghe dovevano esserci al mondo; non aveva mai pensato molto a quelli degli altri paesi.

Gli altri campeggiatori si stavano svegliando. Le prime ad alzarsi erano le famiglie con bambini; Harry non aveva mai visto prima maghi e streghe così piccoli. Un bambinetto di non più di due anni era accoccolato fuori da una gran tenda a forma di piramide, teneva in mano una bacchetta e la puntava allegramente verso una lumaca nell’erba, che si gonfiò piano piano fino a raggiungere la taglia di una salsiccia. Mentre gli passavano davanti, sua madre uscì in fretta dalla tenda.

«Quante volte te l’ho detto, Kevin? Non — toccare — la — bacchetta  di — papà… bleah!»

Era scivolata sulla lumaca gigante, che esplose. La sua invettiva li seguì nell’aria immobile, mescolata agli ululati del piccolo: «Rotto lumaca! Rotto lumaca!»

Poco più oltre, videro due streghette, poco più grandi di Kevin, che cavalcavano scope-giocattolo librate solo quel tanto che consentiva alla punta dei loro piedi di sfiorare l’erba rugiadosa. Un mago del Ministero le aveva già individuate; mentre correva superando Harry. Ron e Hermione, borbottava fra sé: «In pieno giorno! I genitori staranno ancora dormendo, immagino…»

Qua e là maghi e streghe adulti emergevano dalle loro tende e cominciavano a preparare la colazione. Alcuni, gettandosi intorno occhiate furtive, accendevano il fuoco con la bacchetta; altri sfregavano fiammiferi con aria dubbiosa, come se fossero certi che non poteva funzionare. Tre maghi africani sedevano immersi in una seria conversazione, tutti vestiti con lunghe tuniche bianche, intenti a cuocere quello che sembrava un coniglio su un fuoco di un viola chiaro, mentre un gruppo di streghe americane di mezza età sedeva spettegolando allegramente sotto uno striscione teso tra le loro tende che diceva: “Istituto delle Streghe di Salem”. Harry colse stralci di conversazione in lingue strane man mano che oltrepassavano le tende, e anche se non riuscì a capire una sola parola, il tono di ogni voce era eccitato.

«Ehm… sono i miei occhi, o tutto è diventato verde?» disse Ron.

Non erano solo gli occhi di Ron. Erano arrivati a un gruppo di tende tutte coperte con una fitta coltre di trifoglio, e sembrava che collinette di strana foggia fossero spuntate dal terreno. Sotto quelle aperte si vedevano visi sorridenti. Poi, dietro di loro, qualcuno li chiamò.

«Harry! Ron! Hermione!»

Era Seamus Finnigan, un compagno del quarto anno di Grifondoro. Era seduto davanti alla sua tenda coperta di trifoglio, con una donna dai capelli color sabbia che doveva essere sua madre, e col suo migliore amico, Dean Thomas, anche lui di Grifondoro.

«Vi piacciono le decorazioni?» disse Seamus con un sorriso, quando Harry, Ron e Hermione si avvicinarono per salutarlo. «Il Ministero non è molto contento».

«Ah, perché non dovremmo portare i nostri colori?» disse la signora Finnigan. «Dovreste vedere che cos’hanno appeso i Bulgari alle loro tende. Farete il tifo per l’Irlanda, vero?» aggiunse, guardando Harry, Ron e Hermione con gli occhi sgranati.

Quando le ebbero assicurato che sì, certo, avrebbero tifato Irlanda, si allontanarono, anche se. come disse Ron: «Avremo mai potuto dire il contrario?»

«Chissà che cos’hanno appeso i Bulgari alle loro tende» disse Hermione.

«Andiamo a dare un’occhiata» disse Harry, indicando una vasta area di tende su per il campo, dove la bandiera bulgara, rossa, verde e bianca, svolazzava al vento leggero.

Le tende non erano state coperte di vegetali, ma ciascuna di loro teneva appeso lo stesso poster, il poster di un volto molto corrucciato con folte sopracciglia nere. Naturalmente l’immagine si muoveva, ma non faceva altro che strizzare gli occhi e scoccare sguardi cupi.

«Krum» disse piano Ron.

«Cosa?» chiese Hermione.

«Krum!» disse Ron. «Viktor Krum, il Cercatore bulgaro!»

«Che faccia antipatica» disse Hermione, guardando i molti Krum che strizzavano gli occhi e lanciavano loro occhiate torve.

«Faccia antipatica?» Ron alzò gli occhi al cielo. «E chi se ne importa di che faccia ha? E incredibile. E poi è giovanissimo. Ha solo diciott’anni o giù di lì. È un genio, stasera vedrete».

C’era già una piccola coda davanti al rubinetto nell’angolo del campo. Harry, Ron e Hermione si misero in fila, dietro a due uomini impegnati in un’accesa discussione. Uno era un mago molto anziano che indossava una lunga camicia da notte a fiori. L’altro era chiaramente un mago del Ministero; sventolava un paio di pantaloni gessati e quasi urlava, esasperato:

«Mettiteli e basta. Archie, da bravo, non puoi andare in giro così, il Babbano ai cancello ha già i suoi sospetti…»

«L’ho comprata in un negozio babbano» disse ostinato il vecchio mago «I Babbani se le mettono».

«Le donne babbane se le mettono. Archie, non gli uomini, loro portano questi» disse il mago del Ministero, brandendo i pantaloni gessati.

«Non ho intenzione di metterli» disse il vecchio Archie indignato. «Mi piace prendere un po’ d’aria attorno alle mie parti private, grazie».

A quel punto Hermione fu sopraffatta da un tale accesso di risatine che dovette schizzare fuori dalla fila, e al suo ritorno Archie aveva già preso l’acqua e se n’era andato.

Al ritorno, carichi d’acqua, riattraversarono il campeggio più lentamente. Qua e là videro facce più familiari: altri studenti di Hogwarts con le loro famiglie. Oliver Baston, l’ex capitano della squadra di Quidditch della Casa di Grifondoro, che aveva appena lasciato Hogwarts, trascinò Harry fino alla tenda dei genitori per presentarlo, e gli disse in tono eccitato che era appena stato ingaggiato nella riserva della squadra del Puddlemore United. Poi furono salutati da Ernie Macmillan, uno del quarto anno di Tassorosso, e un po’ più in là videro Cho Chang, una ragazzina molto graziosa che giocava da Cercatrice per la squadra di Corvonero. Salutò Harry con la mano e gli sorrise, e lui si rovesciò parecchia acqua addosso per rispondere al saluto. Più che altro per far smettere Ron di fare smorfie, Harry indicò in fretta un bel gruppo di ragazzi che non aveva mai visto prima.

«Chi credi che siano?» chiese. «Non sono di Hogwarts, vero?»

«Mi sa che vengono da una scuola straniera» disse Ron. «So che ce ne sono altre, ma non ho mai conosciuto nessuno che ne frequenti una. Bill aveva un amico di penna di una scuola in Brasile… è stato tanti anni fa… e voleva fare un viaggio-scambio, ma mamma e papà non potevano permetterselo. Quando gli ha fatto sapere che non poteva andare, il suo amico di penna si è offeso molto e gli ha mandato un cappello stregato. Gli ha accartocciato le orecchie».

Harry rise. Era rimasto sorpreso alla notizia che esistevano altre scuole di magia, ma ora che vedeva nel campeggio maghi di così tante nazionalità, pensò che era stato sciocco a non capire che Hogwarts non poteva essere l’unica. Scoccò un’occhiata a Hermione, che non sembrava affatto stupita. Senza alcun dubbio aveva già letto la cosa in qualche libro.

«Ci avete messo dei secoli» disse George quando finalmente furono di ritorno alla tenda dei Weasley.

«Abbiamo incontrato un po’ di gente» disse Ron, posando il recipiente con l’acqua. «Non avete ancora acceso il fuoco?»

«Papà si sta divertendo con ì fiammiferi» disse Fred.

Il signor Weasley non riusciva assolutamente ad accendere il fuoco, ma non era perché non ci provasse. Fiammiferi spezzati ricoprivano il terreno tutto intorno, ma lui sembrava spassarsela come mai nella vita.

«Oops!» disse quando riuscì ad accenderne uno, e subito lo lasciò cadere per la sorpresa.

«Dia qui, signor Weasley» gli disse Hermione gentilmente, prendendogli la scatola e mostrandogli come fare.

Alla fine riuscirono ad accendere il fuoco, anche se ci volle almeno un’altra ora prima che fosse abbastanza caldo da poter cuocere qualcosa. Comunque c’era molto da fare nell’attesa: la loro tenda sembrava montata proprio accanto al sentiero principale che conduceva allo stadio, e membri del Ministero continuavano a correre su e giù, salutando cordialmente il signor Weasley mentre passavano. Il signor Weasley faceva la cronaca, più che altro a uso di Harry e Hermione; i suoi figli sapevano troppo del Ministero per essere granché interessati.

«Quello era Cuthbert Mockridge, Direttore dell’Ufficio Relazioni coi Goblin… ecco che arriva Gilbert Wimple, fa parte del Comitato di Incantesimi Sperimentali, è da un po’ che ha quelle corna… ciao, Arnie… Arnold Peasegood, è un Obliviatore… un membro della Squadra Cancellazione Magia Accidentale… e quelli sono Bode e Croaker… sono Indicibili…»

«Sono che cosa?»

«Dell’Ufficio Misteri, topsecret, non so che cosa fanno…»

Finalmente il fuoco fu pronto, e avevano appena cominciato a cucinare uova e salsicce quando Bill, Charlie e Percy spuntarono dal bosco e si diressero verso di loro.

«Ci siamo appena Materializzati, papà» disse Percy a voce alta. «Ah, ottimo, è ora di pranzo!»

Erano a metà dei loro piatti di salsicce e uova quando il signor Weasley balzò in piedi sorridendo e sventolando un braccio verso un uomo che veniva loro incontro.

«Aha!» disse. «L’uomo del momento! Ludo!»

Ludo Bagman era di gran lunga il personaggio più vistoso che Harry avesse mai visto fino a quel momento, compreso il vecchio Archie con la sua camicia da notte a fiori. Indossava lunghi abiti da Quidditch a grosse strisce orizzontali giallo vivo e nero. Sul suo petto era stampato l’enorme disegno di una vespa. Doveva aver avuto un fisico possente, un tempo; ora gli abiti si tendevano su un pancione che certo non aveva nei giorni in cui giocava nella nazionale inglese di Quidditch. Aveva il naso schiacciato (probabilmente rotto da un Bolide vagante, pensò Harry), ma i suoi tondi occhi blu, i corti capelli biondi e la carnagione rosea lo facevano assomigliare a uno studente troppo cresciuto.

«Ehilà a voi!» gridò Bagman allegramente. Camminava come se avesse delle molle sotto i piedi, ed era chiaramente in uno stato di folle eccitazione.

«Arthur, vecchio mio» disse ansando mentre si avvicinava al fuoco, «che giornata, eh? Che giornata! Potevamo desiderare un tempo migliore? Si prospetta una notte senza nuvole… e i preparativi vanno quasi alla perfezione… non ho niente da fare!»

Proprio in quel momento, alle sue spalle, un gruppo di maghi del Ministero dall’aria tesa scattarono in direzione di un fuoco indubbiamente magico che spediva scintille violette a sei metri d’altezza.

Percy corse avanti con la mano tesa. A quanto pareva, la sua disapprovazione del modo in cui Ludo Bagman gestiva il suo Ufficio non gli impediva di voler fare una buona impressione su di lui.

«Ah… sì» disse il signor Weasley con un gran sorriso, «questo è mio figlio Percy, ha appena cominciato a lavorare al Ministero… e questo è Fred… no, George, scusa… quello è Fred… Bill, Charlie, Ron… mia figlia Ginny… e gli amici di Ron. Hermione Granger e Harry Potter».

Bagman fu colto alla sprovvista quando udì il nome di Harry, e subito i suoi occhi scattarono, come di consueto, verso la famosa cicatrice.

«E voi tutti, sentite» continuò il signor Weasley. «questo è Ludo Bagman. sapete bene chi è, è grazie a lui che abbiamo dei posti così buoni…»

Bagman fece un sorriso radioso e agitò la mano come per dire che erano sciocchezze.

«Ti va una scommessina sulla partita?» disse in tono entusiastico, facendo tintinnare quello che sembrava un bel mucchietto d’oro nelle tasche dell’abito giallo e nero. «Ho già Roddy Pontner che ha scommesso con me che la Bulgaria segnerà per prima — gli ho offerto una buona quotazione, visto che i tre Cacciatori dell’Irlanda sono i migliori in circolazione da anni — e la piccola Agatha Timms ha puntato la metà del suo allevamento di anguille su una partita lunga una settimana».

«Oh… avanti, allora» disse il signor Weasley. «Vediamo… un galeone sull’Irlanda vincente?»

«Un galeone?» Ludo Bagman parve vagamente deluso, ma si riprese subito. «Molto bene, molto bene… altre puntate?»

«Sono un po’ troppo giovani per le scommesse» disse il signor Weasley. «Molly non sarebbe contenta…»

«Scommettiamo trentasette galeoni, quindici zellini e tre falci» disse Fred, mentre lui e George radunavano in fretta tutto il denaro che avevano, «l’Irlanda vince… ma Viktor Krum prende il Boccino. Oh, e aggiungiamo una bacchetta finta».

«Non vorrete mostrare al signor Bagman una porcheria del genere» sibilò Percy, ma Bagman parve di tutt’altra idea: la sua faccia da bambino splendette di eccitazione quando la prese dalle mani di Fred, e quando la bacchetta diede in uno strillo acuto e si trasformò in un pollo di gomma, Bagman ruggì dalle risate.

«Eccellente! Non ne vedevo una così credibile da anni! Pagherei cinque galeoni per averla!»

Percy s’irrigidì in un atteggiamento di stupita disapprovazione.

«Ragazzi» disse il signor Weasley a mezza voce, «non voglio che scommettiate… sono tutti i vostri risparmi… vostra madre…»

«Non fare il guastafeste, Arthur!» tuonò Ludo Bagman, facendo risuonare le tasche eccitato. «Sono abbastanza grandi da sapere quello che vogliono! Dite che vince l’Irlanda ma Krum prende il Boccino? Impossibile, ragazzi, impossibile… Vi darò delle buone quote per questa scommessa… aggiungeremo cinque galeoni per quella buffa bacchetta, allora, d’accordo…»

Il signor Weasley rimase a guardare impotente mentre Ludo Bagman estraeva un quadernino e una penna e cominciava a scrivere i nomi dei gemelli.

«Grazie mille» disse George, prendendo il foglietto di pergamena che l’altro gli tendeva e infilandoselo in tasca.

Bagman tornò a rivolgersi allegramente al signor Weasley. «Non è che mi offri una tazza di broda, eh? Sto cercando Barty Crouch. Il mio corrispettivo bulgaro mi sta dando qualche problema, e non capisco una parola di quello che dice. Barty riuscirà a chiarire tutto. Parla quasi centocinquanta lingue».

«Il signor Crouch?» chiese Percy, abbandonando all’istante il suo sguardo di inflessibile disapprovazione e fremendo di entusiasmo. «Ne parla più di duecento! Il Marino, il Goblinese, il Troll…»

«Chiunque riesce a parlare Troll» disse Fred sbrigativo, «non devi far altro che puntare il dito e grugnire».

Percy scoccò a Fred uno sguardo feroce, e attizzò vigorosamente il fuoco per far bollire di nuovo l’acqua.

«Ancora nessuna notizia di Bertha Jorkins, Ludo?» chiese il signor Weasley, mentre Bagman si sistemava nell’erba tra loro.

«Non una parola» rispose Bagman tranquillamente. «Ma si farà viva. Povera vecchia Bertha… ha una memoria come un paiolo bucato e zero senso dell’orientamento. Si è persa, ve lo dico io. Un giorno d’ottobre ricomparirà in ufficio, convinta che sia ancora luglio».

«Non credi che sarebbe il caso di mandare qualcuno a cercarla?» suggerì esitante il signor Weasley, mentre Percy passava il tè a Bagman.

«Barty Crouch continua a dirmelo» disse Bagman, i tondi occhi sgranati e innocenti, «ma davvero al momento non ho nessuno che mi avanza. Oh… parli del diavolo! Barty!»

Un mago si era appena Materializzato accanto al loro falò, e non avrebbe potuto fare un contrasto maggiore con Ludo Bagman, sdraiato nell’erba con i suoi vecchi vestiti da Vespa. Barty Crouch era un uomo anziano, rigido e impettito, impeccabilmente vestito in completo e cravatta. La scriminatura nei suoi corti capelli grigi era diritta in maniera quasi innaturale e i baffetti a spazzolino avevano l’aria di essere stati spuntati con l’aiuto della riga millimetrata. Le sue scarpe erano lucidate con estrema accuratezza. Harry capì subito perché Percy lo idolatrava: lui era un convinto assertore delle regole e della necessità di seguirle a puntino, e il signor Crouch aveva osservato la regola sull’abbigliamento babbano così coscienziosamente che avrebbe potuto passare per un direttore di banca; Harry dubitava che perfino zio Vernon sarebbe riuscito a riconoscerlo per quello che era.

«Accomodati su un trono d’erba, Barty» disse Ludo allegramente, picchiando con la mano il terreno al suo fianco.

«No, grazie, Ludo» disse Crouch, e c’era una vena d’impazienza nella sua voce. «Ti ho cercato dappertutto. I Bulgari insistono che aggiungiamo altri dodici posti alla Tribuna d’onore».

«Oh, è questo che vogliono» disse Bagman. «Credevo che quel tipo mi stesse chiedendo di prestargli una pinzetta. Parla con un po’ d’accento».

«Signor Crouch!» disse Percy senza fiato, sprofondando in una specie di mezzo inchino che lo fece sembrare gobbo. «Vuole una tazza di te?»

«Oh» rispose il signor Crouch, guardando Percy con lieve sorpresa. «Sì… grazie, Weatherby».

Fred e George quasi soffocarono, il naso nella tazza. Percy, molto rosso attorno alle orecchie, si mise a trafficare col bollitore.

«Oh, e volevo dire due cose anche a te, Arthur» disse il signor Crouch, gli occhi acuti puntati sul signor Weasley. «Alì Bashir è sul sentiero di guerra. Vuole parlarti del tuo embargo sui tappeti volanti».

Il signor Weasley trasse un gran sospiro. «Gli ho mandato un gufo a questo proposito proprio la settimana scorsa. Una volta per tutte: i tappeti sono definiti Prodotto Babbano nel Registro degli Oggetti Incantabili Proibiti, ma lui mi dà retta?»

«Ne dubito» disse il signor Crouch, accettando la tazza che Percy gli porgeva. «Non vede l’ora di esportare qui».

«Be’, non sostituiranno mai le scope in Gran Bretagna, vero?» intervenne Bagman.

«Alì è convinto che ci sia una nicchia di mercato per un veicolo familiare» disse il signor Crouch. «Mi ricordo che mio nonno aveva un Axminster che poteva portare dodici persone… ma è stato prima che i tappeti venissero proibiti, naturalmente».

Lo disse come per chiarire al di là di ogni ragionevole dubbio che tutti i suoi antenati si erano attenuti rigidamente alla legge.

«Allora, hai avuto da fare, Barty?» disse Bagman gioviale.

«Lo puoi ben dire» rispose asciutto il signor Crouch. «Organizzare Passaporte in cinque continenti non è una cosa da niente, Ludo».

«Immagino che sarete tutti e due contenti quando sarà tutto finito» disse il signor Weasley.

Ludo Bagman parve sconvolto. «Contenti! Ma quando mai mi sono divertito così? E poi non è che abbiamo finito, eh, Barty? Eh? Resta ancora parecchio da organizzare, eh?»

Il signor Crouch alzò le sopracciglia rivolto a Bagman.

«Eravamo d’accordo di non annunciarlo finché tutti i dettagli…»

«Oh, i dettagli!» disse Bagman, scacciando via la parola come un nugolo di moscerini. «Hanno firmato, no? Si sono accordati, no? Scommetto quello che vuoi che questi ragazzi lo scopriranno molto presto. Voglio dire, è a Hogwarts che…»

«Ludo, dobbiamo incontrare i Bulgari, lo sai» disse seccamente il signor Crouch, tagliando corto con i commenti di Bagman. «Grazie per il tè, Weatherby».

Risospinse la tazza intatta verso Percy e aspettò che Ludo si alzasse; Bagman si sollevò a fatica, ingollando il tè rimasto, mentre l’oro che aveva in tasca tintinnava allegramente.

«Ci vediamo più tardi!» esclamò. «Sarete su in Tribuna d’onore con me… faccio la telecronaca!» Agitò la mano, Barty Crouch fece un breve cenno ed entrambi si Smaterializzarono.

«Che cosa succederà a Hogwarts. papà?» chiese subito Fred. «Di che cosa stavano parlando?»

«Lo scoprirete presto» disse il signor Weasley sorridendo.

«Sono informazioni riservate fino a quando il Ministero non deciderà di renderle pubbliche» disse Percy rigidamente. «Il signor Crouch ha fatto bene a non rivelarle».

«Oh, stai zitto. Weatherby» disse Fred.

Un senso d’eccitazione quasi palpabile sorse come una nuvola sul campeggio via via che il pomeriggio avanzava. Al tramonto, la stessa immobile aria estiva sembrava vibrare di attesa, e mentre l’oscurità si stendeva come un manto sulle migliaia di maghi in attesa, le ultime tracce di finzione scomparvero: il Ministero parve arrendersi all’inevitabile, e smise di combattere i segni della magia dirompente che ormai apparivano dappertutto.

Venditori ambulanti si Materializzavano ogni pochi metri, trasportando vassoi e spingendo carretti carichi di merci straordinarie. C’erano coccarde luminose — verdi per l’Irlanda, rosse per la Bulgaria — che strillavano i nomi dei giocatori, cappelli a punta verdi coperti di trifogli danzanti, sciarpe bulgare adorne di leoni che ruggivano per davvero, bandiere di entrambi i paesi che suonavano l’inno nazionale quando le agitavi; c’erano modellini di Firebolt che volavano veramente, e pupazzetti da collezione di giocatori celebri che camminavano sul palmo della mano, pavoneggiandosi.

«Ho risparmiato le pagliette tutta l’esiate per questo momento» disse Ron a Harry, mentre con Hermione giravano tra i venditori e compravano souvenir. Ron prese un cappello coi trifogli danzanti e una grossa coccarda verde, ma anche un pupazzetto di Viktor Krum, il Cercatore bulgaro. Il Krum in miniatura camminava avanti e indietro sulla mano di Ron, guardando torvo la coccarda verde sopra di lui.

«Wow, guardate questi!» disse Harry, affrettandosi a raggiungere un carretto stracarico di quelli che sembravano binocoli d’ottone pieni di ogni genere di strani pomoli e rotelle.

«Omniocolo» disse il venditore con foga. «Si può fare il replay dell’azione… passare tutto al rallentatore… e vedere tutto azione per azione, se vi va. È un affare: dieci galeoni l’uno».

«Accidenti, ho già comprato questo» disse Ron indicando il cappello col trifoglio e fissando con desiderio gli Omniocoli.

«Me ne dia tre» disse Harry deciso.

«No… lascia stare» disse Ron arrossendo. Lo metteva in imbarazzo il fatto che Harry, a cui i genitori avevano lasciato una piccola fortuna, fosse molto più ricco di lui.

«Non vi regalerò niente a Natale» gli disse Harry mettendo gli Omniocoli in mano a Ron e Hermione. «Per i prossimi dieci anni, voglio dire».

«Mi sembra più che giusto» disse Ron con un gran sorriso.

«Oooh, grazie, Harry» disse Hermione. «E io prendo i programmi, guardate…»

Fecero ritorno alle tende con le tasche decisamente alleggerite. Bill, Charlie e Ginny esibivano le loro coccarde verdi, e il signor Weasley portava una bandiera irlandese. Fred e George non avevano niente: avevano dato a Bagman tutti i loro soldi.

E poi un gong profondo e sonoro rimbombò da qualche parte oltre i boschi, e in un solo istante lanterne verdi e rosse si accesero tra gli alberi, illuminando il sentiero che portava al campo.

«È ora!» disse il signor Weasley, eccitato come tutti loro. «Avanti, andiamo!»

CAPITOLO 8

LA COPPA DEL MONDO DI QUIDDITCH

Tenendo ben stretti i loro acquisti, il signor Weasley in I testa, si affrettarono tutti a entrare nel bosco, seguendo il percorso illuminato dalle lanterne. Sentivano i rumori di migliaia di persone che si muovevano attorno a loro, urla e risate, frammenti di canzoni. L’atmosfera di eccitazione febbrile era altamente contagiosa; Harry non riusciva a smettere di sorridere. Camminarono nel bosco per venti minuti, parlando e scherzando a voce alta, finché uscirono all’aperto e si ritrovarono all’ombra di uno stadio gigantesco. Anche se Harry riuscì a vedere solo una piccola porzione degli immensi muri d’oro che circondavano il campo, si rese conto che dieci cattedrali ci sarebbero state dentro comodamente.

«Ha centomila posti» disse il signor Weasley, intercettando l’aria sbalordita di Harry. «Una task force del Ministero, cinquecento persone, ci ha lavorato per un anno. Incantesimi Respingi-Babbani dappertutto. Tutte le volte che i Babbani ci si avvicinavano, gli venivano in mente certi appuntamenti importanti a cui non potevano mancare e filavano via, benedetti loro» aggiunse con calore, guidandoli verso l’ingresso più vicino, che era già circondato da uno sciame di streghe e maghi urlanti.

«Posti di prima classe!» disse la strega del Ministero all’ingresso, staccando i loro biglietti. «Tribuna d’onore! Dritto di sopra, Arthur, più in alto che puoi».

Le scale dentro lo stadio erano coperte di tappeti viola. Si arrampicarono col resto della folla, che lentamente si disperdeva nei vari settori. Il gruppo del signor Weasley continuò a salire finché non arrivarono in cima, e si ritrovarono in una piccola tribuna posta nel punto più alto dello stadio e sistemata esattamente a metà tra gli anelli d’oro per segnare i goal. C’erano una ventina di poltrone viola e oro disposte su due file, e quando Harry, infilandosi nei posti davanti coi Weasley, guardò verso il basso, vide una scena che non avrebbe mai potuto immaginare.

Centomila maghi e streghe prendevano posto sui sedili che si elevavano a strati sul lungo campo ovale. Tutto era pervaso da una misteriosa luce dorata che sembrava emanare dallo stadio stesso. Da lassù, il campo sembrava liscio come velluto. Alle due estremità del campo c’erano tre cerchi d’oro a quindici metri di altezza; proprio di fronte a loro, quasi al livello dello sguardo di Harry, c’era un tabellone gigantesco. Una grafia d’oro continuava a sfrecciare su di esso come se la mano di un gigante invisibile lo scarabocchiasse e poi cancellasse tutto; guardandolo, Harry vide che sparava messaggi pubblicitari per tutto il campo.

BLUEBOTTLE: UNA SCOPA PER TUTTA LA FAMIGLIA. SICURA, AFFIDABILE, CON ALLARME ANTIFURTO INCORPORATO… SOLVENTE MAGICO DI NONNA ACETONELLA PER OGNI TIPO DI SPORCIZIA: VIA LA MACCHIA, VIA IL DOLORE!… ABBIGLIAMENTO PER MAGHI STRATCHY SONS: LONDRA, PARIGI, HOGSMEADE…

Harry si guardò intorno per vedere chi c’era in tribuna. Era ancora vuota, a parte una minuscola creatura seduta al terzultimo posto della fila dietro di loro. La creatura, dalle gambe cosi corte che stavano dritte davanti a lei sulla poltrona, indossava uno strofinaccio drappeggiato come una toga, e teneva la faccia tra le mani. Eppure quelle lunghe orecchie da pipistrello erano stranamente familiari…

«Dobby?» esclamò Harry incredulo.

La creaturina guardò in su e allargò le dita, mostrando gli enormi occhi marroni e un naso dell’esatta forma e dimensione di un grosso pomodoro. Non era Dobby… era comunque senz’ombra di dubbio un elfo domestico, come Dobby, che Harry aveva liberato dai suoi vecchi padroni, la famiglia Malfoy.

«Il signore mi ha appena chiamato Dobby?» squitti tra le dita l’elfo incuriosito. La sua voce era più acuta di quella di Dobby, una vocetta tremolante e stridula, e Harry sospettò — anche se era molto difficile a dirsi, con un elfo domestico — che quella potesse essere una femmina. Ron e Hermione si voltarono a guardare: avevano sentito molto parlare di Dobby da Harry, ma non l’avevano mai incontrato. Anche il signor Weasley osservò la creatura con interesse.

«Scusa» disse Harry. «Credevo che fossi uno che conosco».

«Ma anch’io conosce Dobby, signore!» squitti l’elfa. Si riparava il viso come se la luce l’accecasse, anche se la Tribuna d’onore non era molto illuminata. «Mi chiamo Winky, signore… e il signore…» i suoi occhi marrone scuro diventarono grandi come piattini mentre si posavano sulla cicatrice di Harry, «il signore è certo Harry Potter!»

«Sì» rispose Harry.

«Ma Dobby parla sempre di Harry Potter, signore!» disse l’elfa, abbassando un po’ le mani con aria esterrefatta.

«Come sta?» chiese Harry. «Gli piace la libertà?»

«Ah, signore» disse Winky scuotendo la testa, «ah, signore, non voglio mancare di rispetto, signore, ma io non è sicura che Harry Potter ha fatto un favore a Dobby, signore, quando l’ha liberato».

«Perché?» chiese Harry, preso alla sprovvista. «Che cosa c’è che non va?»

«La libertà gli sta dando alla testa, signore» disse Winky malinconica. «Gli fa venire idee strane sulla sua posizione, signore. Non riesce a trovare un altro lavoro».

«Perché no?» chiese Harry.

Winky abbassò la voce di una mezza ottava e sussurrò: «Vuole farsi pagare per il suo lavoro, signore».

«Farsi pagare?» chiese Harry ingenuamente. «Be’… perché non dovrebbe farsi pagare?»

Winky parve inorridire all’idea, e riparò di nuovo la faccia dietro le mani.

«Gli elfi domestici non si paga, signore!» disse con un pigolio soffocato. «No, no, no, io dice a Dobby, io dice trovati una bella famiglia e sistemati, Dobby. Lui sta facendo su un gran baccano, signore, e non è una cosa adatta a un elfo domestico. Vai avanti a far fracasso così, Dobby, io gli dice, e la prossima che sento è che sei finito davanti all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, come un goblin qualunque».

«Be’, era ora che si divertisse un po’» disse Harry.

«Gli elfi domestici non dovrebbe divertirsi, Harry Potter» disse Winky in tono deciso da dietro le mani. «Gli elfi domestici fa quello che gli dici. A me non piace affatto le altezze, Harry Potter…» lanciò un’occhiata oltre il bordo della tribuna e deglutì, «… ma il padrone mi manda alla Tribuna d’onore e io viene, signore».

«Perché ti ha mandato quassù, se sa che non ti piacciono le altezze?» chiese Harry accigliato.

«Padrone… padrone vuole che gli tengo il posto, Harry Potter, ha tanto da fare» disse Winky, piegando la testa verso il posto vuoto al suo fianco. «Winky vorrebbe essere di ritorno nella tenda del padrone, Harry Potter, ma Winky fa quello che le dici, Winky è una brava elfa domestica».

Scoccò un altro sguardo terrorizzato al bordo della tribuna e affondò di nuovo la faccia nelle mani. Harry si voltò verso gli altri.

«E così quello è un elfo domestico?» borbottò Ron. «Bizzarri, direi».

«E non hai visto Dobby» rispose Harry convinto.

Ron puntò l’Omniocolo e cominciò a provarlo, fissando la folla dall’altra parte dello stadio.

«Forte!» disse, girando la rotellina del replay sul lato. «Posso far rimettere il dito nel naso a quel vecchio laggiù… un’altra volta… ancora…»

Hermione, nel frattempo, consultava avidamente il suo programma rivestito di velluto e infiocchettato.

«“Prima della partita avrà luogo un’esibizione delle mascotte delle squadre”» lesse ad alta voce.

«Oh, vale sempre la pena di vederla» disse il signor Weasley. «Le squadre nazionali portano creature della loro terra d’origine, sapete, per fare un po’ di scena».

La tribuna si riempì lentamente nella mezz’ora successiva. Il signor Weasley continuava a stringere la mano a maghi chiaramente molto importanti. Percy scattava in piedi così spesso che sembrava fosse seduto su un porcospino. Quando arrivò Cornelius Caramell, il Ministro della Magia in persona, Percy fece un inchino così profondo che gli occhiali gli caddero e si ruppero. Decisamente imbarazzato, li riparò con un colpo di bacchetta, e da quel momento rimase seduto, lanciando sguardi gelosi a Harry, che Cornelius Caramell aveva salutato come un grande amico: gli strinse la mano con fare paterno, gli chiese come stava e lo presentò ai maghi che sedevano al suo fianco.

«Le presento Harry Potter» disse ad alta voce al Ministro della Magia bulgaro che indossava magnifiche vesti di velluto nero orlate d’oro, e pareva non capire una parola. «Harry Potter… oh, avanti, ne avrà sentito parlare… il ragazzo che è sopravvissuto a Lei-sa-chi… lo sa chi è…»

Il mago bulgaro all’improvviso notò la cicatrice di Harry e cominciò a blaterare ad alta voce, tutto agitato, indicandola.

«Lo sapevo che ce l’avremmo fatta» disse stancamente Caramell a Harry. «Non sono granché nelle lingue, ho bisogno di Barty Crouch per questo genere di cose. Ah, vedo che la sua elfa domestica gli sta tenendo il posto… buona idea, questi Bulgari continuano a infiltrarsi… ah, ecco Lucius!»

Harry, Ron e Hermione si voltarono in fretta. Lungo la seconda fila, diretti verso tre posti ancora vuoti proprio dietro al signor Weasley, si stavano infilando nientemeno che i vecchi proprietari di Dobby l’elfo domestico: Lucius Malfoy, suo figlio Draco e una donna che Harry immaginò essere la madre di Draco.

Harry e Draco Malfoy erano nemici fin dal loro primo viaggio verso Hogwarts. Pallido, il viso a punta e i capelli di un biondo quasi bianco, Draco somigliava moltissimo a suo padre. Anche sua madre era bionda, alta e sottile, e sarebbe stata carina se non avesse avuto l’aria di chi ha una gran puzza sotto il naso.

«Ah, Caramell» disse Malfoy, tendendo la mano mentre si avvicinava al Ministro della Magia. «Come stai? Ti presento mia moglie Narcissa… e nostro figlio Draco…»

«Piacere, piacere» disse Caramell, sorridendo e facendo l’inchino alla signora Malfoy. «E mi permetta di presentarle il signor Oblansk… Obalonsk… Il signor… be’, è il Ministro della Magia bulgaro, e non capisce una parola di quello che dico, comunque, quindi non importa. E poi, vediamo un po’… credo che conosca Arthur Weasley»,

Fu un attimo di tensione. Il signor Weasley e il signor Malfoy si scambiarono un’occhiata e Harry rammentò con chiarezza l’ultima volta che si erano trovati faccia a faccia: era stato al Ghirigoro, e si erano presi a pugni. I freddi occhi grigi del signor Malfoy scivolarono sul signor Weasley, e poi su e giù per la fila.

«Santo cielo, Arthur» disse tranquillamente. «Che cos’hai dovuto vendere per avere i biglietti in Tribuna d’onore? Di sicuro la tua casa non valeva tanto…»

Caramell, che non aveva sentito, disse: «Lucius ha appena fatto un’offerta molto generosa all’Ospedale di San Mungo per Malattie e Ferite Magiche, Arthur. È mio ospite, qui».

«Che… che bel gesto» disse il signor Weasley, con un sorriso molto tirato.

Gli occhi del signor Malfoy erano tornati a posarsi su Hermione, che arrossì un po’, ma sostenne il suo sguardo con fermezza. Harry sapeva esattamente che cosa faceva arricciare il labbro del signor Malfoy: lui e la sua famiglia si vantavano di essere maghi purosangue, e cioè consideravano di seconda categoria chiunque fosse di origini babbane, come Hermione. Comunque, in presenza del Ministro della Magia il signor Malfoy non si arrischiò a dire nulla: fece solo un cenno beffardo al signor Weasley, e raggiunse i suoi posti nella fila. Draco scoccò a Harry, Ron e Hermione un’occhiata sprezzante, poi sedette tra sua madre e suo padre.

«Viscidi imbecilli» borbottò Ron mentre lui, Harry e Hermione tornavano a guardare verso il campo. Un attimo dopo, Ludo Bagman prese posto in tribuna.

«Tutti pronti?» disse, il volto rotondo radioso come una grande, eccitatissima forma di formaggio. «Ministro… pronto a partire’?»

«Quando vuoi, Ludo» rispose C’aramell tranquillamente.

Ludo estrasse rapido la bacchetta, la puntò alla propria gola e disse: «Sonorus!» La sua voce sovrastò il ruggito che riempiva lo stadio, echeggiò sul pubblico, rimbombando in tutti gli angoli delle tribune: «Signore e signori… benvenuti! Benvenuti alla finale della quattrocentoventiduesima Coppa del Mondo di Quidditch!»

Gli spettatori urlarono e applaudirono. Migliaia di bandiere sventolarono, aggiungendo al frastuono i loro inni nazionali discordanti. L’enorme tabellone di fronte a loro fu sgombrato dell’ultimo messaggio (“GELATINE TUTTIGUSTI+1: GUSTATE IL RISCHIO!”) e vi apparve la scritta “BULGARIA: ZERO, IRLANDA: ZERO”.

«E ora, senza altri indugi, permettetemi di presentarvi… le Mascotte della Nazionale Bulgara!»

Il settore destro, che era una marea compatta di rosso, emise un ruggito d’approvazione.

«Chissà che cos’avranno portato» disse il signor Weasley, curvandosi in avanti. «Aaah!» All’improvviso si tolse gli occhiali e li pulì in fretta nell’abito. «Veela!»

«Che cosa sono i Vee…?»

La risposta venne quando un centinaio di Veela si riversarono su! campo. Le Veela erano donne… le donne più belle che Harry avesse mai visto… solo che non erano — non potevano essere — umane. Harry rimase interdetto per un attimo, mentre cercava di indovinare che cosa potessero essere; che cosa potesse far brillare in quel modo la loro pelle di un candore lunare, o far ondeggiare i loro capelli d’oro pallido senza che ci fosse il vento… ma poi cominciò la musica, e Harry smise di preoccuparsi del fatto che non erano umane: in effetti, smise di preoccuparsi di qualunque cosa.

Le Veela avevano cominciato a ballare, e la testa di Harry si era completamente, beatamente svuotata. Tutto ciò che importava al mondo era continuare a guardare le Veela, perché se avessero smesso di ballare, sarebbero successe cose terribili…

E mentre le Veela danzavano sempre più in fretta, brandelli di pensieri selvaggi presero a rincorrersi nella mente confusa di Harry. Voleva compiere qualcosa di molto impressionante, e proprio in quel momento. Buttarsi giù dalla tribuna nello stadio sembrava una buona idea… ma era abbastanza buona?

«Harry, che cosa stai facendo?» disse la voce di Hermione da una gran distanza.

La musica cessò. Harry sbatté le palpebre. Era in piedi, e una delle sue gambe era a cavalcioni del muretto della tribuna. Accanto a lui, Ron era paralizzato in una posa che lo faceva sembrare sul punto di tuffarsi da un trampolino.

Urla adirate riempivano lo stadio. La folla non voleva che le Veela se ne andassero. Harry era d’accordo; avrebbe tifato per la Bulgaria, naturalmente, e si chiese confusamente perché mai aveva un grosso trifoglio verde appuntato sul petto. Ron, nel frattempo, stava facendo distrattamente a pezzi i trifogli sul suo cappello. Il signor Weasley, con un breve sorriso, si chinò verso Ron e gli tolse il cappello dalle mani.

«Lo vorrai ancora» disse, «quando l’Irlanda avrà detto la sua».

«Eh?» disse Ron, fissando a bocca aperta le Veela, che ora si erano allineate lungo un lato del campo.

Hermione emise un chiaro sbuffo di disapprovazione. Si alzò e costrinse Harry a rimettersi a sedere. «Insomma!» disse.

«E ora» ruggì la voce di Ludo Bagman, «gentilmente puntate in aria le bacchette… per le Mascotte della Nazionale Irlandese!»

Un attimo dopo, quella che pareva una gran cometa verde e oro entrò saettando nello stadio. Fece un giro completo, poi si divise in due comete più piccole che si scagliarono verso gli anelli dorati e all’improvviso un arcobaleno s’inarcò sul campo, unendo le due sfere di luce. La folla fece “oooh” e “aaah” come davanti a uno spettacolo di fuochi d’artificio. Poi l’arcobaleno sbiadì e le sfere di luce si riunirono e si fusero; avevano formato un enorme trifoglio splendente, che si alzò in cielo e prese a fluttuare sulle tribune. Qualcosa di simile a una pioggia dorata parve cadere giù…

«Eccellente!» ruggì Ron, mentre dal trifoglio danzante piovevano grosse monete d’oro, rimbalzando sulle teste e sulle poltrone. Strizzando gli occhi per vedere il trifoglio, Harry si accorse che in realtà era formato da migliaia di minuscoli omini con la barba, vestiti di farsetti rossi e muniti ognuno di una piccolissima lampada verde o d’oro.

«Lepricani!» urlò il signor Weasley sull’applauso tumultuoso del pubblico; in molti si stavano ancora azzuffando per raccogliere l’oro.

«Ecco qua» gridò Ron allegramente, ficcando una manciata di monete in mano a Harry. «Per l’Omniocolo! Ora ti toccherà comprarmi il regalo di Natale, ha!»

L’enorme trifoglio si dissolse, i Lepricani planarono sul campo dal lato opposto delle Veela e sedettero a gambe incrociate per vedere la partita.

«E ora, signore e signori, vogliate dare il benvenuto… alla Nazionale Bulgara di Quidditch! Ecco a voi… Dimitrov!»

Una sagoma in vesti scarlatte su un manico di scopa sfrecciò in campo, così rapida da sembrare sfocata, scatenando gli applausi veementi dei tifosi bulgari.

«Ivanova!»

Una seconda giocatrice in rosso filò fuori.

«Zograf! Levski! Vulchanov! Volkov! Eeeeeee… Krum

«È lui! E lui!» urlò Ron, seguendo Krum con l’Omniocolo; Harry mise rapidamente a fuoco il suo.

Viktor Krum era magro, scuro e con la pelle olivastra, un gran naso a becco e folte sopracciglia nere. Assomigliava a un uccello da preda troppo cresciuto. Era difficile credere che avesse solo diciotto anni.

«E ora, vi prego di salutare… la Nazionale Irlandese di Quidditch!» strillò Bagman. «Ecco a voi… Connolly! Ryan! Troy! Mullet! Moran! Quigley! Eeeeeee… Lynch

Sette turbini verdi sfrecciarono in campo; Harry girò una rotellina sul lato dell’Omniocolo e fece rallentare i giocatori quel tanto che bastò a leggere la parola FIREBOLT sul fianco di ciascuna delle loro scope, e a vedere i loro nomi ricamati in argento sulla schiena.

«Ed ecco a voi, in diretta dall’Egitto, il nostro arbitro, l’acclamato Presidente della Federazione Internazionale di Quidditch, Hassan Mustafà!»

Un mago piccolo e magrolino, completamente calvo ma con un paio di baffi da far concorrenza a zio Vernon, vestito d’oro puro per intonarsi allo stadio, entrò in campo. Da sotto i baffi gli spuntava un fischietto d’argento; portava una grossa cassa di legno sotto un braccio e il suo manico di scopa sotto l’altro. Harry riportò l’Omniocolo sulla velocità normale, osservando con attenzione Mustafà che montava sulla sua scopa e apriva la cassa con un calcio. Quattro palline balzarono a mezz’aria: la Pluffa scarlatta, i due Bolidi neri e (Harry lo intuì appena prima che sparisse) il minuscolo Boccino d’Oro alato. Con un soffio acuto di fischietto, Mustafà scattò in aria dietro le palline.

«Paaaartiti!» urlò Bagman.

«È Mullet! Troy! Moran! Dimitrov! Ancora Mullet! Troy! Levski! Moran!»

Era Quidditch come Harry non l’aveva mai visto giocare prima. Teneva l’Omniocolo cosi appiccicato agli occhi che gli occhiali si conficcavano nelle orbite. La velocità dei giocatori era incredibile: i Cacciatori si passavano la Pluffa così in fretta che Bagman aveva appena il tempo di dire i loro nomi. Harry girò una rotellina sulla destra dell’Omniocolo, premette il pulsante “azione per azione” e seguì la partita al rallentatore, mentre luccicanti lettere viola lampeggiavano sulle lenti, e il fragore della folla gli martellava i timpani.

“FORMAZIONE D’ATTACCO TESTADIFALCO” lesse mentre guardava i tre Cacciatori irlandesi sfrecciare vicinissimi, Troy al centro, appena un po’ più avanti di Mullet e Moran. lanciarsi sui Bulgari. “PASSAGGIO DI PORSKOFF” lampeggiò subito dopo, mentre Troy finse di scattare in alto con la Pluffa, deviando la Cacciatrice bulgara Ivanova, e passando la Pluffa a Moran. Uno dei Battitori bulgari, Volkov, assestò un gran colpo a un Bolide di passaggio con la sua piccola mazza, scaraventandolo sulla traiettoria di Moran; Moran si abbassò per evitare il Bolide e lasciò cadere la Pluffa: e Levski. che volava lì sotto, la prese…

«TROY SEGNA!» raggi Bagman, e lo stadio tremò all’esplosione di applausi e urla. «Dieci a zero per l’Irlanda!»

«Cosa?» urlò Harry, guardandosi attorno affannosamente attraverso l’Omniocolo. «Ma Levski ha la Pluffa!»

«Harry, se non vuoi guardare a velocità normale, ti perderai un sacco di cose!» gridò Hermione, che ballava su e giù, agitando per aria le braccia mentre Troy faceva un giro d’onore del campo. Harry guardò rapido al di sopra dell’Omniocolo, e vide che i Lepricani che seguivano la partita da bordo campo erano tutti decollati formando in aria l’enorme trifoglio lucente. Dall’altra parte, le Veela li osservavano imbronciate.

Furioso con se stesso, Harry girò la rotella della velocità fino a tornare in posizione normale. Il gioco riprese.

Harry se ne intendeva abbastanza di Quidditch da capire che i Cacciatori irlandesi erano straordinari. Lavoravano come una squadra compatta, sembrava che si leggessero nel pensiero gli schemi di gioco, e la coccarda sul petto di Harry continuava a strillare i loro nomi: «Troy-Mullet-Moran!» E dieci minuti dopo, l’Irlanda aveva segnato altre due volte, conducendo per trenta a zero e suscitando una tonante marea di ululati e di applausi tra i tifosi verdevestiti.

La partita si fece più serrata, ma anche più brutale. Volkov e Vulchanov, i Battitori bulgari, colpivano i Bolidi più ferocemente che potevano per disarcionare i Cacciatori irlandesi, e stavano riuscendo a sabotare alcune delle loro mosse migliori; due volte furono costretti a disperdersi, e poi, alla fine, Ivanova riuscì a spezzare i ranghi avversari, a scartare il Portiere, Ryan, e segnare la prima rete della Bulgaria.

«Dita nelle orecchie!» ululò il signor Weasley mentre le Veela cominciavano a danzare festanti. Harry strizzò gli occhi, anche; voleva restare concentrato sul gioco. Dopo qualche secondo, azzardò un’occhiata al campo. Le Veela avevano smesso di danzare, e la Bulgaria era di nuovo in possesso di Pluffa.

«Dimitrov! Levski! Dimitrov! Ivanova… oh, cielo!» ruggì Bagman.

Centomila maghi e streghe trattennero il respiro mentre i due Cercatori, Krum e Lynch, precipitavano in mezzo ai Cacciatori, così rapidi che parve che si fossero appena lanciati da un aereo senza paracadute. Harry seguì la loro discesa con l’Omniocolo, strizzando gli occhi per vedere dov’era il Boccino…

«Si schianteranno!» urlò Hermione accanto a Harry.

Aveva quasi ragione: all’ultimissimo istante, Viktor Krum interruppe la picchiata e ne uscì volando a spirale. Lynch, invece, colpì il suolo con un tonfo sordo che riecheggiò per tutto lo stadio. Un alto lamento si levò dalle tribune irlandesi.

«Sciocco!» gemette il signor Weasley. «Quella di Krum era una finta!»

«Time out!» urlò Bagman. «Intanto medimaghi professionisti corrono in campo a verificare le condizioni di Aidan Lynch!»

«Andrà tutto bene, è stato solo sbalzato via!» disse Charlie in tono rassicurante a Ginny, che era aggrappata al bordo della tribuna, terrificata. «Ed era proprio quello che voleva Krum, naturalmente…»

Harry premette in fretta i pulsanti “replay” e “azione per azione” del suo Omniocolo, ruotò appena la rotella della velocità e se li portò di nuovo agli occhi.

Guardò Krum e Lynch scendere di nuovo in picchiata al rallentatore. “FINTA WRONSKY — PERICOLOSA AZIONE DIVERSIVA TRA CERCATORI” recitavano le lucenti lettere viola oltre le lenti. Vide il viso di Krum deformato nello sforzo di concentrazione mentre scartava dalla picchiata appena in tempo, mentre Lynch si schiantava, e capì: Krum non aveva affatto visto il Boccino, voleva solo che Lynch lo imitasse. Harry non aveva mai visto nessuno volare così; Krum si muoveva nell’aria apparentemente senza peso, con tale naturalezza che non sembrava nemmeno usare un manico di scopa. Harry riportò l’Omniocolo a velocità normale e mise a fuoco Krum. Stava volando in alti cerchi sopra Lynch, che in quel momento veniva rianimato dai medimaghi con calici di pozione. Harry usò lo zoom per inquadrare il viso di Krum e vide i suoi occhi scuri dardeggiare per tutto il campo trenta metri sotto. Stava usando il tempo in cui Lynch veniva rianimato per individuare il Boccino senza interferenze.

Lynch finalmente si rialzò, salutato da alte grida dei tifosi verdi, risalì sulla Firebolt e si levò di nuovo in aria. Il suo ritorno parve dare nuova forza all’Irlanda. Quando Mustafà fischiò di nuovo, i Cacciatori si misero in moto con un’abilità impareggiabile, che Harry mai aveva visto prima.

Dopo altri quindici serrati, furibondi minuti, l’Irlanda era in testa di altre dieci reti. Ora conduceva per centotrenta a dieci, e il gioco cominciava a farsi più sporco.

Mentre Mullet sfrecciava di nuovo tra le porte, tenendo stretta la Pluffa sotto il braccio, il Portiere bulgaro, Zograf, scattò per prenderla. Ciò che accadde si concluse così in fretta che Harry non riuscì a capire, ma un urlo di rabbia dalle folle irlandesi, e il lungo, acutissimo fischio di Mustafà, gli dissero che era stato commesso fallo.

«E Mustafà richiama il Portiere bulgaro per sgomitate… uso eccessivo dei gomiti!» Bagman informò gli spettatori urlanti. «E… sì, punizione per l’Irlanda!»

I Lepricani, che si erano alzati infuriati a mezz’aria come uno sciame di calabroni lucenti quando era stato commesso fallo su Mullet, ora scattarono insieme per formare le parole “HA HA HA!” Le Veela dall’altra parte del campo balzarono in piedi, scossero le chiome con rabbia e ripresero a danzare.

Tutti insieme, i ragazzi Weasley e Harry si tapparono le orecchie, ma Hermione, che non ci aveva badato, cominciò a tirare Harry per il braccio. Lui si voltò a guardarla, e lei gli sfilò impaziente le dita dalle orecchie.

«Guarda l’arbitro!» disse con una risatina.

Harry guardò. Hassan Mustafà era atterrato proprio davanti alle Veela danzanti, e si stava comportando in modo davvero strano. Gonfiava i muscoli e si accarezzava i baffi con aria seducente.

«lnsomma, non possiamo tollerarlo!» disse Ludo Bagman, anche se in tono molto divertito. «Qualcuno schiaffeggi l’arbitro!»

Un medimago attraversò il campo, le dita infilate nelle orecchie, e diede a Mustafà un calcio negli stinchi. Quest’ultimo parve tornare in sé; attraverso l’Omniocolo, Harry vide che sembrava straordinariamente imbarazzato, e gridava contro le Veela, che avevano smesso di danzare e sembravano riottose.

«E a meno che non mi sbagli di grosso, Mustafà sta davvero tentando di espellere le Mascotte della Nazionale Bulgara!» disse Bagman. «Questa sì che è una cosa a cui non abbiamo mai assistito… oh, le cose potrebbero mettersi al peggio…»

E fu così: i Battitori bulgari, Volkov e Vulchanov, erano atterrati ai lati di Mustafà, e presero a litigare furiosamente con lui, gesticolando verso i Lepricani, che in segno di scherno avevano formato le parole “HEE HEE HEE”. Mustafà non si lasciò impressionare dagli argomenti dei Bulgari; agitava il dito in aria, e chiaramente diceva loro di riprendere il volo, e quando si rifiutarono, emise due fischi brevi col suo fischietto.

«Due punizioni per l’Irlanda!» urlò Bagman, e la folla bulgara ululò di rabbia.

«E Volkov e Vulchanov farebbero bene a tornare su quelle scope… sì… ecco che partono… e Troy prende la Pluffa…»

Il gioco raggiunse un livello di ferocia mai visto prima. I Battitori di entrambi i fronti agivano senza pietà: Volkov e Vulchanov roteavano con violenza le loro mazze e non sembravano avere scrupoli su chi o che cosa colpivano. Dimitrov mirò dritto su Moran, che aveva la Pluffa, e quasi la disarcionò dalla scopa.

«Fallo!» ulularono i tifosi irlandesi come un sol uomo, tutti in piedi in un’enorme ondata verde.

«Fallo!» fece loro eco la voce di Ludo Bagman magicamente amplificata.

«Dimitrov colpisce Moran — ha volato allo scopo deliberato di urtarla — e ci dovrebbe essere un’altra penalità — sì, ecco il fischio dell’arbitro!»

I Lepricani si erano rialzati a mezz’aria e questa volta formarono una mano gigante, che faceva un gesto molto maleducato rivolto alle Veela dall’altra parte del campo. Per tutta risposta le Veela persero il controllo. Si slanciarono attraverso il campo scagliando quelle che sembravano manciate di fuoco contro i Lepricani. Harry vide attraverso l’Omniocolo che non erano affatto belle, in quel momento: al contrario, i loro volti si allungavano in affilate teste d’uccello dai becchi feroci, e lunghe ali squamose spuntavano dalle loro spalle…

«E questo, ragazzi» urlò il signor Weasley sul tumulto della folla sottostante, «è il motivo per cui non bisogna mai fermarsi all’apparenza!»

Maghi del Ministero si affrettarono a scendere in campo per separare le Veela dai Lepricani, ma con scarso successo; nel frattempo, la battaglia campale di sotto non era nulla paragonata a quella in alto. Harry guardava da una parte e dall’altra con l’Omniocolo mentre la Pluffa cambiava mani con la velocità di un proiettile…

«Levski — Dimitrov — Moran — Troy — Mullet — Ivanova — ancora Moran — Moran — MORAN SEGNA!»

Ma le urla entusiaste dei tifosi irlandesi si sentivano a stento sopra gli strilli delle Veela, gli scoppi che uscivano dalle bacchette dei membri del Ministero e i ruggiti rabbiosi dei Bulgari. La partita riprese immediatamente; ora Levski aveva la Pluffa, ora Dimitrov…

Il Battitore irlandese. Quigley, sferrò un gran colpo a un Bolide di passaggio, e lo spedi più forte che poteva verso Krum, che non si scansò abbastanza in fretta. Il Bolide lo colpì forte in faccia.

Dalla folla si alzò un gemito assordante; il naso di Krum sembrava rotto, c’era sangue dappertutto, ma Hassan Mustafà non fischiò. Era come distratto, e Harry non poteva biasimarlo; una delle Veela aveva scagliato una manciata di fuoco e aveva incendiato la sua scopa.

Harry desiderò che qualcuno capisse che Krum era ferito; anche se tifava per l’Irlanda, Krum era il giocatore più emozionante in campo. Ron la pensava chiaramente allo stesso modo.

«Time out! Ah, andiamo, non può giocare così, guardatelo…»

«Guardate Lynch!» urlò Harry.

Perché il Cercatore irlandese si era all’improvviso lanciato in picchiata, e Harry era quasi certo che non si trattasse di una Finta Wronsky; questa volta era per davvero…

«Ha visto il Boccino!» urlò Harry. «L’ha visto! Guardate, ecco che va!»

Metà dello stadio parve aver capito cosa stava accadendo, i tifosi irlandesi si alzarono in un’enorme onda verde, incitando il loro Cercatore… ma Krum gli stava alle calcagna. Harry si domandò come facesse a vedere dove stava andando; c’erano schizzi di sangue nella sua scia, ma ormai era quasi testa a testa con Lynch, mentre entrambi precipitavano di nuovo verso il suolo…

«Si schianteranno!» strillò Hermione.

«No!» ruggì Ron.

«Lynch sì!» gridò Harry.

E aveva ragione: per la seconda volta, Lynch colpì il terreno con forza tremenda, e fu immediatamente circondato da un’orda di Veela infuriate.

«Il Boccino, dov’è il Boccino?» ululò Charlie, nella mischia.

«Ce l’ha… Krum l’ha preso… è finita!» gridò Harry.

Krum, gli abiti rossi luccicanti del sangue che gli colava dal naso, saliva dolcemente per aria, il pugno in alto, un bagliore d’oro racchiuso nella mano.

Il tabellone lampeggiava “BULGARIA: CENTOSESSANTA, IRLANDA: CENTOSETTANTA” oltre la folla, che non poteva aver capito che cos’era successo. Poi, lentamente, come se un enorme jumbo jet stesse andando su di giri, il rombo dei tifosi irlandesi divenne sempre più forte ed esplose in urla di gioia.

«VINCE L’IRLANDA!» gridò Bagman, che, come gli Irlandesi, sembrava essere stato preso alla sprovvista dalla fine improvvisa della partita. «KRUM PRENDE IL BOCCINO — MA VINCE L’IRLANDA — santo cielo, credo che nessuno di noi se lo aspettasse!»

«Perché ha preso il Boccino?» strillò Ron mentre saltava su e giù, applaudendo con le braccia tese sopra la testa. «Ha finito quando l’Irlanda era in testa di centosessanta punti, quell’idiota!»

«Sapeva che non avrebbero mai potuto rimontare» gli rispose urlando Harry sopra il frastuono, applaudendo forte anche lui. «I Cacciatori irlandesi erano troppo bravi… voleva finire a modo suo, tutto qui…»

«È stato molto coraggioso, vero?» disse Hermione, sporgendosi per guardare Krum che atterrava e lo sciame di medi-maghi che si apriva un varco a bacchettate tra i Lepricani e le Veela in piena rissa per raggiungerlo. «Sembra ridotto male…»

Harry riportò l’Omniocolo agli occhi. Era difficile vedere che cosa succedeva di sotto, perché i Lepricani sfrecciavano esilarati per tutto il campo, ma riuscì a distinguere Krum, circondato da medimaghi. Sembrava più corrucciato che mai, e non permise che gli tamponassero il sangue. I suoi compagni di squadra lo attorniavano scuotendo la testa con aria sconfitta; poco più in là, i giocatori irlandesi ballavano in una pioggia d’oro che scendeva dalle loro Mascotte. Per tutto lo stadio sventolavano bandiere, l’inno nazionale irlandese risuonava da tutte le parti; le Veela stavano tornando al loro consueto bell’aspetto benché scoraggiate e depresse.

«Be’, abiamo giocato bene» disse una voce sconfortata alle spalle di Harry. Lui si voltò: era il Ministro della Magia bulgaro.

«Lei parla inglese!» disse Caramell in tono offeso. «E mi ha fatto parlare a gesti per tutto il giorno!»

«Be’, ha stato molto divertente» disse il Ministro bulgaro con un’alzata di spalle.

«E mentre la Nazionale Irlandese fa un giro d’onore, accompagnata dalle sue Mascotte, la Coppa del Mondo di Quidditch viene portata in Tribuna d’onore!» ruggi Bagman.

Gli occhi di Harry furono improvvisamente abbagliati da un’accecante luce bianca, mentre la Tribuna d’onore s’illuminava per magia così che dagli spalti tutti potessero vederne l’interno. Strizzando gli occhi verso l’ingresso vide due maghi affannati che trasportavano in tribuna un’enorme coppa d’oro; la consegnarono a Cornelius Caramell, ancora molto irritato al pensiero di aver parlato a gesti tutto il giorno per niente.

«E ora un bell’applauso ai prodi sconfitti — la Bulgaria!» urlò Bagman.

E dalle scale entrarono in tribuna i sette giocatori bulgari battuti. La folla applaudiva in segno di stima; Harry vide migliaia e migliaia di lenti di Omniocoli che lampeggiavano e ammiccavano nella loro direzione.

Uno per uno, i Bulgari sfilarono tra gli ordini di posti della tribuna, e Bagman gridò il nome di ciascuno mentre stringevano la mano al loro Ministro e poi a Caramell. Krum, che era l’ultimo, era davvero in condizioni disastrose. Sul viso insanguinato gli si stavano gonfiando due occhi neri a velocità spettacolare. Teneva ancora il Boccino. Harry notò che a terra sembrava molto meno coordinato: aveva un principio di piedi piatti e le spalle piuttosto cascanti. Ma quando venne pronunciato il suo nome, tutto quanto lo stadio rispose con un boato spaccatimpani.

E poi venne la Nazionale Irlandese. Aidan Lynch era sorretto da Moran e Connolly; il secondo schianto sembrava averlo intontito e aveva uno sguardo decisamente annebbiato. Ma fece un sorriso allegro quando Troy e Quigley sollevarono la Coppa e la folla di sotto tuonò la sua approvazione. Harry non si sentiva più le mani dagli applausi.

Finalmente, quando la Nazionale Irlandese si fu allontanata dalla tribuna per compiere un altro giro d’onore a cavallo delle scope (Aidan Lynch saldamente aggrappato a Connolly, continuando a sorridere vagamente perplesso), Bagman puntò la bacchetta contro la propria gola e mormorò: «Quietus».

«Se ne parlerà per anni» disse con voce roca, «un colpo di scena davvero inaspettato, quello… peccato che non sia potuta durare di più… ah, sì… sì, vi devo… quanto?»

Perché Fred e George avevano appena scavalcato i loro sedili ed erano in piedi davanti a Ludo Bagman con un gran sorriso stampato in faccia e le mani tese.

CAPITOLO 9

IL MARCHIO NERO

«Non dite a vostra madre che avete scommesso» implorò il signor Weasley rivolto a Fred e George, mentre tutti quanti scendevano lentamente le scale.

«Non preoccuparti, papà» disse Fred allegro, «abbiamo grandi progetti per questo denaro, non vogliamo farcelo requisire».

Per un attimo, il signor Weasley sembrò sul punto di chiedere di quali progetti si trattava, ma poi, dopo una breve riflessione, decise che non voleva saperlo.

Ben presto si trovarono imbottigliati nella folla in uscita dallo stadio verso il campeggio. Canti rauchi si levavano nell’aria notturna mentre ripercorrevano il cammino lungo il sentiero illuminato dalle lanterne, e i Lepricani continuavano a sfrecciare sopra le loro teste, ridacchiando e agitando i loro lumini. Quando finalmente raggiunsero le tende, nessuno aveva voglia di dormire, e visto il livello di chiasso attorno a loro, il signor Weasley decise che potevano prendere un’ultima tazza di cioccolata insieme prima di coricarsi. Ben presto si ritrovarono a discutere animatamente sulla partita; il signor Weasley si fece trascinare in una disputa con Charlie sulle sgomitate, e fu solo quando Ginny cadde addormentata sul tavolino e rovesciò cioccolata calda su tutto il pavimento che il signor Weasley dette un taglio ai commenti e li mandò tutti a letto. Hermione e Ginny entrarono nella tenda accanto, e Harry e gli altri Weasley s’infilarono il pigiama e si arrampicarono nei loro letti a castello. Dall’altra parte del campeggio si udivano ancora canti e l’eco di qualche sporadica esplosione.

«Oh, sono felice di non essere in servizio» borbottò il signor Weasley assonnato, «non mi piacerebbe proprio dover andare a dire agli Irlandesi che devono smettere di festeggiare».

Nel letto sopra quello di Ron, Harry rimase sveglio a fissare il soffitto di tela, da cui trapelava ogni tanto il bagliore di un’occasionale lanterna di Lepricani, e rivivendo nel pensiero alcune delle più spettacolari azioni di Krum. Moriva dalla voglia di tornare a cavallo della sua Firebolt e provare la Finta Wronsky… con tutti i suoi schemi contorti Oliver Baston non era mai riuscito a spiegare per bene come fare quell’azione… Harry si vide vestito di abiti con il suo nome ricamato sulla schiena, e immaginò la sensazione che si doveva provare ascoltando il ruggito di una folla di centomila persone, mentre la voce di Ludo Bagman echeggiava per tutto lo stadio: «Ecco a voi… Potter

Harry non seppe mai se si fosse veramente addormentato o no — le sue fantasticherie sul volare come Krum potevano anche essersi trasformate in sogni veri e propri — seppe solo che, all’improvviso, il signor Weasley stava urlando.

«Alzatevi! Ron… Harry… venite subito, alzatevi, presto!»

Harry balzò a sedere e urtò la tela con la testa.

«Co… cosa succede?» disse.

Intuiva vagamente che qualcosa non andava. I rumori nel campeggio erano cambiati. I canti erano finiti. Udì grida, e il rumore di passi di corsa.

Scivolò giù dal letto a castello e cercò i suoi vestiti, ma il signor Weasley, che si era infilato i jeans sul pigiama, disse: «Non c’è tempo, Harry… prendi una giacca ed esci… in fretta!»

Harry esegui e si precipitò fuori dalla tenda, seguito da Ron. Alla luce dei pochi fuochi ancora accesi, vide gente che correva nei boschi, sfuggendo a qualcosa che si muoveva nel campo verso di loro, qualcosa che emetteva strani lampi di luce, e rumori simili a spari. Alti ululati, risate fragorose e urla di ubriachi avanzavano dalla loro parte; poi ci fu un’esplosione di intensa luce verde, che illuminò la scena.

Una folla di maghi avanzava lentamente nel campo a ranghi serrati, le bacchette puntate verso l’alto. Harry strizzò gli occhi per vedere meglio… sembrava che non avessero faccia… poi capì che erano incappucciati. Sopra di loro a mezz’aria, quattro sagome si divincolavano e si contorcevano in forme grottesche. Due di esse erano molto piccole. Era come se i maghi mascherati fossero burattinai, e le sagome sopra di loro burattini azionati da fili invisibili che spuntavano dalle bacchette.

Altri maghi si univano al gruppo, ridendo e additando i corpi galleggianti in alto. Tende si afflosciavano e cadevano mentre la folla in marcia aumentava. Una o due volte Harry vide uno dei maghi far saltar via una tenda dal suo cammino con la bacchetta. Parecchie presero fuoco. Le urla si fecero più alte.

Il rogo di una tenda illuminò all’improvviso le persone in aria, e Harry riconobbe una di loro: era il signor Roberts, il direttore del campeggio. Gli altri tre dovevano essere sua moglie e i suoi figli. A un tocco di bacchetta di uno dei maghi in marcia la signora Roberts si ribaltò a testa in giù, e la camicia da notte ricadde rivelando ampi mutandoni; lei cercò di coprirsi mentre la folla al di sotto strillava e fischiava sguaiatamente.

«È orribile» mormorò Ron, guardando il più piccolo dei bambini babbani, che aveva cominciato a girare come una trottola, a venti metri dal suolo, la testa che ciondolava da una parte all’altra. «È davvero orribile…»

Hermione e Ginny li raggiunsero di corsa, infilandosi le giacche sulle camicie da notte, con il signor Weasley alle loro spalle. Nello stesso istante, Bill, Charlie e Percy affiorarono dalla tenda dei ragazzi, completamente vestiti, con le maniche rimboccate e le bacchette in pugno.

«Andiamo a dare una mano al Ministero» gridò il signor Weasley sopra il frastuono, arrotolandosi le maniche a sua volta. «Voialtri… entrate nel bosco, e restate uniti. Verrò a prendervi quando avremo sistemato la faccenda!»

Bill, Charlie e Percy stavano già sfrecciando verso la folla; il signor Weasley si lanciò dietro di loro. Maghi del Ministero accorrevano da ogni parte. La moltitudine sotto i Roberts era sempre più vicina.

«Andiamo» disse Fred, prendendo per mano Ginny e trascinandola verso il bosco. Harry, Ron, Hermione e George li seguirono. Una volta raggiunti gli alberi si voltarono: videro i maghi del Ministero cercare di attraversare la calca per raggiungere i maghi incappucciati al centro, ma era un’impresa difficile. Parevano non voler scagliare incantesimi che rischiassero di far precipitare i Roberts.

Le lanterne colorate lungo il sentiero verso lo stadio erano state spente. Cupe sagome inciampavano tra gli alberi; i bambini piangevano; urla angosciate e voci pervase dal panico rimbombavano attorno a loro nella fredda aria notturna. Harry si sentì spingere di qua e di là da gente di cui non poteva vedere il volto. Poi sentì Ron gridare di dolore.

«Che cosa è successo?» esclamò Hermione agitata, fermandosi così di colpo che Harry le rovinò addosso. «Ron, dove sei? Oh, che stupida… Lumos

Illuminò la sua bacchetta e puntò il raggio sottile sul sentiero. Ron era disteso a terra.

«Sono inciampato su una radice» sbottò, rialzandosi.

«Be’, con dei piedi di quelle dimensioni è difficile evitarlo» disse una voce melliflua alle loro spalle.

Harry, Ron e Hermione si voltarono di scatto. Draco Malfoy era lì accanto a loro, solo, appoggiato a un albero, decisamente rilassato. Le braccia incrociate, in apparenza aveva seguito la scena del campeggio attraverso gli alberi.

Ron disse a Malfoy di fare una cosa che, Harry lo sapeva, non avrebbe mai osato pronunciare davanti al signor Weasley.

«Modera il linguaggio, Weasley» disse Malfoy, i pallidi occhi scintillanti. «Non è meglio che vi muoviate, adesso? Non vorrete che riconoscano anche lei, vero?»

Indicò Hermione con un cenno, e nello stesso istante un’esplosione come di una bomba echeggiò dal campeggio, e un lampo di luce verde illuminò per un attimo gli alberi attorno a loro.

«Che cosa vorresti dire?» esclamò Hermione in tono di sfida.

«Granger, stanno cercando i Babbani» disse Malfoy. «Vuoi far vedere le mutande a tutti? Perché se è questo che vuoi, aspetta solo un attimo… vengono di qua, e almeno ci faremo una bella risata».

«Hermione è una strega» sibilò Harry.

«Vedila un po’ come ti pare, Potter» disse Malfoy con un sorriso perfido. «Se credi che non possano riconoscere una Mezzosangue, restate pure dove siete».

«Bada a come parli!» gridò Ron. Tutti sapevano che “Mezzosangue” era un termine molto offensivo che indicava una strega o un mago di origini babbane.

«Lascia stare, Ron» disse in fretta Hermione, trattenendolo per un braccio mentre faceva un passo verso Malfoy.

Poi oltre gli alberi risuonò un’esplosione più fragorosa che mai. Parecchie persone vicine urlarono.

Malfoy ridacchiò piano.

«Si spaventano per un nonnulla, vero?» disse pigramente. «Immagino che tuo padre abbia detto a tutti quanti di nascondersi… Che cosa sta facendo? Cerca di salvare i Babbani?»

«Dove sono i tuoi genitori?» disse Harry, sempre più arrabbiato. «Là fuori con il cappuccio in testa, vero?»

Malfoy si rivolse a Harry, senza smettere di sorridere.

«Be’… se lo fossero, non verrei a dirlo a te, vero, Potter?»

«Oh, insomma» intervenne Hermione, scoccando uno sguardo di disgusto a Malfoy, «andiamo a cercare gli altri».

«Tieni giù quel tuo testone, Granger» sogghignò Malfoy.

«Andiamo» ripeté Hermione, trascinando Ron e Harry di nuovo sul sentiero.

«Scommetto quello che vuoi che suo padre è uno di quelli incappucciati!» esclamò Ron veemente.

«Be’, con un po’ di fortuna quelli del Ministero lo prenderanno!» disse Hermione con fervore. «Oh, non ci posso credere, dove sono finiti gli altri?»

Fred, George e Ginny non si vedevano da nessuna parte, anche se il sentiero era pieno di gente che guardava nervosamente verso il fragore che proveniva dal campeggio.

Un gruppo di ragazzini in pigiama stava litigando ad alta voce un po’ più avanti. Quando videro Harry, Ron e Hermione, una ragazza con fitti capelli ricci si voltò e chiese in fretta: «Où est Madame Maxime? Nous l’avons perdue…»

«Ehm, cosa?» disse Harry.

«Oh…» La ragazza che aveva parlato gli voltò le spalle, e mentre continuavano la marcia la sentirono dire chiaramente: «Hogvàrts».

«Beauxbatons» borbottò Hermione.

«Come hai detto?» disse Harry.

«Devono essere di Beauxbatons» disse Hermione. «Sai… l’Accademia della Magia di Beauxbatons… Ho letto delle cose su Compendio sull’Istruzione Magica in Europa».

«Oh… sì… certo» disse Harry.

«Fred e George non possono essere andati così lontani» disse Ron estraendo la bacchetta e accendendola per illuminare il sentiero. Harry frugò nelle tasche della giacca in cerca della sua bacchetta — ma lì non c’era. L’unica cosa che vi trovò fu l’Omniocolo.

«Ah, no, non è possibile… Ho perso la bacchetta!»

«Stai scherzando?»

Ron e Hermione alzarono le loro quel tanto che bastava per aumentare l’ampiezza dello stretto cono di luce sul terreno; Harry guardò dappertutto nei dintorni, ma la sua bacchetta non si vedeva.

«Forse è rimasta nella tenda» disse Ron.

«Forse ti è caduta dalla tasca mentre correvi» suggerì Hermione ansiosa.

«Sì» disse Harry, «forse…»

Di solito portava sempre con sé la bacchetta nel mondo magico, e ritrovarsi senza nel bel mezzo di una situazione come quella lo fece sentire molto vulnerabile.

Un fruscio li fece sobbalzare tutti e tre. Winky l’elfa domestica si stava aprendo la strada in un mucchio di cespugli lì vicino. Si muoveva in modo singolare, apparentemente con grande difficoltà; era come se una mano invisibile cercasse di trattenerla.

«C’è cattivi maghi in giro!» squittì follemente, mentre si chinava in avanti e si sforzava di continuare a correre. «Gente in alto, in alto per aria! Winky si toglie di torno!»

E scomparve tra gli alberi dall’altra parte del sentiero, ansando e squittendo mentre lottava contro la forza che la contrastava.

«Che cos’ha?» disse Ron, guardando incuriosito nella direzione in cui era sparita. «Perché non riesce a correre?»

«Scommetto che non ha chiesto il permesso di nascondersi» disse Harry. Stava pensando a Dobby: tutte le volte che aveva cercato di fare qualcosa che non sarebbe piaciuto ai Malfoy, era stato costretto a punirsi.

«Ma insomma, gli elfi domestici sono trattati in maniera brutale!» esclamò Hermione indignata. «È schiavitù, ecco cos’è! Quel signor Crouch l’ha costretta a salire fino in cima allo stadio, ed era terrorizzata, e l’ha stregata, così lei non può nemmeno correre quando cominciano a calpestare le tende! Perché qualcuno non fa qualcosa?»

«Be’, gli elfi sono contenti cosi, vero?» disse Ron. «Hai sentito la vecchia Winky alla partita… “Gli elfi di casa non devono divertirsi”… E questo che le piace, farsi comandare a bacchetta…»

«È la gente come te, Ron» cominciò Hermione infervorata, «che appoggia sistemi marci e ingiusti solo perché è troppo pigra per…»

Un’altra forte esplosione echeggiò dal limitare del bosco.

«Muoviamoci di qui, va bene?» disse Ron, e Harry lo vide guardare Hermione nervosamente. Forse c’era del vero in quello che aveva detto Malfoy; forse Hermione era più in pericolo di loro. Ripartirono. Harry si frugò ancora le tasche, pur sapendo che la sua bacchetta non era lì.

Seguirono il sentiero oscuro nel profondo del bosco, continuando a guardarsi intorno alla ricerca di Fred, George e Ginny. Superarono un gruppo di goblin, che ridacchiavano su un sacco d’oro che evidentemente avevano vinto scommettendo sul risultato della partita, e che sembravano piuttosto indifferenti ai tafferugli del campeggio. Più avanti entrarono in una macchia di luce argentea, e tra gli alberi videro tre Veela, alte e bellissime, in una radura, circondate da un gruppo di giovani maghi che parlavano tutti a voce molto alta.

«Io guadagno cento sacchi di galeoni l’anno» gridò uno di loro. «Faccio il killer di draghi per il Comitato per la Soppressione delle Creature Pericolose!»

«No, non è vero» strillò il suo amico, «tu fai il lavapiatti al Paiolo Magico… ma io sono un Cacciatore di Vampiri, ne ho uccisi novanta finora…»

Un terzo giovane mago, con brufoli ben visibili anche alla tenue luce argentea delle Veela, s’intromise: «Io sto per diventare il Ministro della Magia più giovane che ci sia mai stato, io».

Harry soffocò le risate. Aveva riconosciuto il mago brufoloso: si chiamava Stan Picchetto e in verità era il bigliettaio della corriera magica a tre piani Nottetempo.

Si voltò per dirlo a Ron, ma la faccia del ragazzo era diventata stranamente molle, e un attimo dopo Ron urlò: «Ve l’ho detto che ho inventato un manico di scopa che viaggerà fino a Giove?»

«Ma insomma!» disse di nuovo Hermione, e lei e Harry afferrarono saldamente Ron per le braccia, lo costrinsero a voltarsi e lo trascinarono via. Erano ormai nel cuore della foresta quando le voci delle Veela e dei loro ammiratori svanirono del rutto. Non c’era nessuno; tutto era molto più tranquillo.

Harry si guardò intorno. «Direi che possiamo aspettare qui, sentiremo chiunque si avvicini a un chilometro di distanza».

Aveva appena finito di parlare che Ludo Bagman spuntò da dietro un albero proprio davanti a loro.

Anche alla flebile luce delle due bacchette, Harry si accorse che Bagman era cambiato parecchio. Non era più ilare e roseo; non saltellava più. Era molto pallido e teso.

«Chi siete?» disse, sbattendo le palpebre verso di loro, cercando di distinguere i loro volti. «Che cosa ci fate qui tutti soli?»

I ragazzi si guardarono sorpresi.

«Be’… c’è una specie di rivolta» disse Ron.

Bagman lo fissò. «Cosa?»

«Al campeggio… della gente ha preso in ostaggio una famiglia di Babbani…»

Bagman imprecò ad alta voce. «Dannazione!» esclamò sconvolto, e senza aggiungere altro si Smaterializzò con un piccolo pop.

«Non è proprio sveglissimo, il signor Bagman, vero?» disse Hermione aggrottando le sopracciglia.

«È stato un grande Battitore, comunque» disse Ron, guidandoli dal sentiero in una piccola radura e sedendosi su una zolla di erba secca ai piedi di un albero. «Le Vespe di Winbourne hanno vinto il campionato tre volte di fila quando c’era lui in squadra».

Estrasse dalla tasca il modellino di Krum, lo posò a terra e lo guardò camminare per un po’. Come il vero Krum, il pupazzo aveva i piedi un po’ piatti e le spalle spioventi, e faceva molta meno impressione con quei piedi in fuori che a cavallo del suo manico di scopa. Harry tese l’orecchio per cogliere i rumori provenienti dal campeggio. Tutto sembrava ancora tranquillo; forse la rivolta era finita.

«Spero che gli altri stiano bene» disse Hermione dopo un po’.

«Staranno benissimo» disse Ron.

«Pensa se tuo padre mette le mani su Lucius Malfoy» disse Harry, sedendosi vicino a Ron e osservando il Krum in miniatura trascinarsi sulle foglie cadute. «Ha sempre detto che gli piacerebbe incastrarlo».

«Almeno questo cancellerebbe quella smorfia dalla faccia del vecchio Draco, certo» disse Ron.

«Quei poveri Babbani, però» disse Hermione tesa. «E se non riescono a farli scendere?»

«Li tireranno giù» disse Ron con fare rassicurante, «troveranno il modo».

«E una follia, comunque, fare una cosa del genere proprio stasera che c’è il Ministero della Magia al completo!» aggiunse Hermione. «Voglio dire, come pensano di cavarsela? Credete che abbiano bevuto, o sono solo…»

Ma si interruppe di colpo e si guardò alle spalle. Anche Harry e Ron si guardarono rapidamente attorno. Era come se qualcuno avanzasse barcollando verso la radura. Attesero, ascoltando i suoni dei passi irregolari dietro gli alberi scuri. Ma i passi si fermarono all’improvviso.

«C’è nessuno?» gridò Harry.

Silenzio. Harry si alzò e guardò dietro l’albero. Era troppo buio per vedere molto oltre, ma avvertì qualcuno appena al di là del suo campo visivo.

«Chi c’è?» disse.

E poi. di colpo, una voce ruppe il silenzio. Una voce diversa da tutte quelle che avevano udito nel bosco, che non gridò di terrore, ma pronunciò una specie di incantesimo…

«MORSMORDRE

E qualcosa di enorme, verde e lucente sbucò dalla pozza di oscurità che gli occhi di Harry avevano tentato di penetrare: volò oltre le cime degli alberi, su in cielo.

«Cosa dia…» sussultò Ron balzando di nuovo in piedi e fissando la cosa.

Per un attimo, Harry pensò che fosse un’altra formazione di Lepricani. Poi vide: era un teschio colossale, fatto come di stelle di smeraldo, e con un serpente che gli usciva dalla bocca come una lingua. Si levò sempre più in alto, sotto i loro occhi, stagliandosi vivido in una cortina di fumo verdastro, stampato contro il cielo nero come una nuova costellazione.

All’improvviso, nel bosco tutto attorno a loro esplosero le grida. Harry non capiva perché, ma l’unica causa possibile era l’improvvisa comparsa del teschio, ora abbastanza alto da illuminare il bosco intero, come un sinistro cartellone al neon. Scrutò l’oscurità in cerca della persona che aveva evocato il teschio, ma non vide nessuno.

«Chi è là?» gridò di nuovo. Hermione afferrò il dorso della sua giacca e lo tirò indietro.

«Harry, andiamo, muoviti

«Che cosa succede?» chiese Harry, scosso nel vederla tanto pallida e terrorizzata.

«È il Marchio Nero, Harry!» gemette Hermione, tirandolo più forte che poteva. «Il segno di Tu-Sai-Chi!»

«Di Voldemort.…?»

«Harry, andiamo

Harry si voltò — Ron stava raccogliendo in fretta il suo miniKrum — e tutti e tre sfrecciarono attraverso la radura; ma prima che potessero fare più di qualche passo affrettato, una serie di scoppiettii annunciò l’arrivo di una ventina di maghi, che apparvero dal nulla e li circondarono.

Harry si voltò di scatto e realizzò all’istante: ogni mago aveva la bacchetta in mano e ogni bacchetta puntava dritto su lui, Ron e Hermione. Senza riflettere, urlò: «Giù!» Afferrò gli altri due e li tirò a forza per terra.

«STUPEFICIUM!» ruggirono venti voci. Ci fu una serie di lampi accecanti e Harry sentì i capelli rizzarsi sulla nuca come se un vento potente avesse spazzato la radura. Alzando appena la testa vide lampi di luce di un rosso vivo scaturire dalle bacchette dei maghi e volare sopra di loro, incrociandosi, rimbalzando sui tronchi, sfrecciando indietro nel buio…

«Basta!» urlò una voce che riconobbe. «BASTA! Quello è mio figlio!»

I capelli di Harry cessarono di svolazzare. Alzò la testa un po’ di più. Il mago davanti a lui aveva abbassato la bacchetta. Rotolò sulla schiena e vide il signor Weasley che avanzava verso di loro con aria terrorizzata.

«Ron… Harry…» disse con voce tremante, «… Hermione… state tutti bene?»

«Togliti di mezzo, Arthur» disse una fredda voce asciutta.

Era il signor Crouch. Lui e gli altri maghi del Ministero li stavano accerchiando. Harry si alzò per affrontarli. Il viso di Crouch era teso di rabbia.

«Chi di voi è stato?» esplose, gli occhi acuti che scattavano da uno all’altro. «Chi di voi ha evocato il Marchio Nero?»

«Non siamo stati noi!» disse Harry, indicando il teschio in alto.

«Non abbiamo fatto niente!» disse Ron, che si stava sfregando il gomito e guardava indignato suo padre. «Perché volevate attaccarci?»

«Non mentite, signori!» urlò Crouch. La sua bacchetta era ancora puntata dritta su Ron, e aveva gli occhi fuori dalle orbite: sembrava un pazzo. «Siete stati sorpresi sul luogo del delitto!»

«Barty» sussurrò una strega avvolta in una lunga vestaglia di lana, «sono ragazzi, Barty, non sarebbero mai stati in grado di…»

«Da dov’è venuto il Marchio, voi tre?» disse in fretta il signor Weasley.

«Da là» rispose Hermione con voce tremante, indicando il luogo dove avevano sentito la voce, «c’era qualcuno dietro gli alberi… hanno urlato delle parole… un incantesimo…»

«Oh, erano là, eh?» disse il signor Crouch, gli occhi sporgenti piantati su Hermione, l’incredulità stampata in faccia. «Hanno scagliato un incantesimo, vero? Sembra molto ben informata su come si evoca il Marchio, signorina…»

Ma nessuno dei maghi del Ministero eccetto Crouch pareva credere anche solo vagamente che Harry, Ron o Hermione avessero evocato il teschio; al contrario, alle parole di Hermione avevano di nuovo alzato le bacchette, e le avevano puntate nella direzione indicata, scrutando tra gli alberi oscuri.

«Siamo arrivati troppo tardi» disse la strega in vestaglia, scuotendo il capo. «Si saranno Smaterializzati».

«Non credo» disse un mago con un’ispida barba bruna. Era Amos Diggory, il padre di Cedric. «I nostri Schiantesimi sono andati dritti tra quegli alberi… ci sono buone probabilità che li prendiamo…»

«Amos, fai attenzione!» dissero alcuni maghi allarmati, mentre Diggory raddrizzava le spalle, alzava la bacchetta, attraversava la radura e spariva nell’oscurità. Hermione lo guardò scomparire con le mani sulla bocca.

Qualche istante dopo, sentirono Diggory urlare.

«Sì! Li abbiamo presi! C’è qualcuno qui! È svenuto! È… ma… santi numi…»

«Hai preso qualcuno?» gridò Crouch, decisamente incredulo. «Chi? Chi è?»

Sentirono dei rametti spezzarsi, il fruscio delle foglie, e poi passi scricchiolanti mentre il signor Diggory ricompariva da dietro gli alberi. Tra le braccia reggeva una figuretta abbandonata. Harry riconobbe subito lo strofinaccio. Era Winky.

Crouch non si mosse né parlò mentre Diggory deponeva l’elfa a terra, ai suoi piedi. Tutti i maghi del Ministero lo fissavano: per qualche istante Crouch rimase esterrefatto, gli occhi lampeggianti nel viso pallido puntati su Winky. Poi parve rianimarsi.

«Non… può… essere» disse a scatti. «Non…»

Oltrepassò in fretta Diggory e si avviò nel punto in cui quest’ultimo aveva trovato Winky.

«È inutile, Crouch» gli gridò dietro Diggory. «Non c’è nessun altro laggiù».

Ma Crouch non sembrava disposto a crederci. Lo sentirono muoversi, udirono il fruscio delle foglie mentre spostava i cespugli cercando qualcosa, o qualcuno.

«Imbarazzante» disse Diggory cupo, guardando il corpo privo di sensi di Winky. «L’elfa domestica di Barty Crouch… voglio dire…»

«Andiamo, Amos» disse piano Weasley, «non crederai che sia stata davvero lei? Il Marchio Nero è un segno da maghi. Occorre una bacchetta magica».

«Si» disse Diggory, «e lei ce l’aveva, una bacchetta».

«Cosa?» esclamò Weasley.

«Guarda qui». Diggory mostrò una bacchetta al signor Weasley. «Ce l’aveva in mano. Quindi è infrazione dell’articolo tre del Codice dell’Uso delle Bacchette, tanto per cominciare. A nessuna creatura non umana è permesso di portare o usare una bacchetta magica».

In quel momento si udì un altro pop, e Ludo Bagman si Materializzò accanto al signor Weasley. Confuso e senza fiato, vorticò sul posto, fissando con gli occhi sgranati il teschio verde smeraldo.

«Il Marchio Nero!» disse ansante, quasi inciampando in Winky mentre si voltava verso i colleghi con aria interrogativa. «Chi è stato? Li avete presi? Barty! Che cosa sta succedendo?»

Crouch era tornato a mani vuote. Il suo viso era ancora di un pallore spettrale, e le sue mani e i baffi a spazzolino si torcevano.

«Dove sei stato, Barty?» disse Bagman. «Perché non eri alla partita? La tua elfa ti aveva anche tenuto il posto… Per tutti i gargoyle!» Bagman aveva appena notato Winky distesa ai suoi piedi. «Che cosa è successo a lei

«Ho avuto da fare, Ludo» disse Crouch, a scatti, muovendo appena le labbra. «E la mia elfa è stata Schiantata».

«Schiantata? Da voi? Ma perché…?»

All’improvviso un barlume di comprensione balenò sul faccione tondo e lucente di Bagman; guardò in su il teschio, giù verso Winky e poi Crouch.

«No!» disse. «Winky? Evocare il Marchio Nero? Non saprebbe come fare! Tanto per cominciare le servirebbe una bacchetta!»

«E ce l’aveva» disse Diggory. «Ne stringeva una in mano quando l’ho trovata, Ludo. Se per lei va bene, Crouch, credo che dovremmo sentire che cos’ha da dire a sua discolpa».

Crouch non diede segno di aver sentito Diggory, ma Diggory parve prendere il suo silenzio per assenso. Levò la bacchetta, la puntò su Winky e disse «Innerva

Winky si mosse debolmente. I suoi occhioni marroni si aprirono e sbatté più volte le palpebre, perplessa. Sotto gli occhi dei maghi silenziosi, si levò a sedere tremando. Vide i piedi del signor Diggory e lentamente, esitante, alzò gli occhi per guardarlo; poi, ancor più lentamente, guardò su in cielo. Harry vide il teschio galleggiante riflesso due volte nei suoi enormi occhi vitrei. L’elfa trattenne il respiro, lanciò uno sguardo terrorizzato alla radura affollata e scoppiò in singhiozzi disperati.

«Elfa!» esclamò severo il signor Diggory. «Sai chi sono? Sono un membro dell’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche!»

Winky cominciò a oscillare avanti e indietro, il respiro rotto e affannoso. A Harry ricordò Dobby nei suoi momenti di terrorizzata disobbedienza.

«Come vedi, elfa, il Marchio Nero è stato evocato qui» disse il signor Diggory. «E poco dopo tu sei stata scoperta sotto di esso! Vogliamo una spiegazione, se non ti dispiace!»

«I-i-io non l’ha fatto, signore!» esalò Winky. «Io non sa come si fa, signore!»

«Sei stata trovata con una bacchetta in mano!» abbaiò Diggory, impugnandola davanti a lei. E mentre la bacchetta rifletteva la luce verde che emanava dal teschio in alto riempiendo la radura, Harry la riconobbe.

«Ehi… è la mia!» disse.

L’intera radura si voltò a guardarlo.

«Prego?» chiese Diggory, sbalordito.

«È la mia bacchetta!» disse Harry. «Mi era caduta!»

«Ti era caduta?» ripeté Diggory incredulo. «È una confessione, la tua? L’hai gettata via dopo aver evocato il Marchio?»

«Amos, ma guarda con chi stai parlando!» disse il signor Weasley con ira. «Ti pare possibile che Harry Potter evochi il Marchio Nero?»

«Ehm… certo che no» borbottò Diggory. «Mi dispiace… mi sono lasciato trascinare…»

«Non mi è caduta lì, comunque» disse Harry, indicando col pollice gli alberi sotto il teschio. «L’ho persa appena dopo che siamo entrati nel bosco».

«Insomma» disse Diggory, lo sguardo più duro mentre tornava a fissare Winky che cercava di rannicchiarsi ai suoi piedi. «Hai trovato questa bacchetta, eh, elfa? E l’hai raccolta e hai pensato di divertirti un po’, eh?»

«Io non fa magie con quella, signore!» squittì Winky mentre le lacrime le scorrevano ai lati del naso bitorzoluto e schiacciato. «Io l’ha… io l’ha… io l’ha solo raccolta, signore! Io non fa il Marchio Nero, signore, io non sa come si fa!»

«Non è stata lei!» intervenne Hermione. Parlare davanti a tutti quei maghi del Ministero la rendeva nervosa, ma proseguì con decisione. «Winky ha una vocetta stridula e la voce che abbiamo sentito scagliare l’incantesimo era molto più profonda!» Si rivolse a Harry e Ron, cercando il loro sostegno. «Non sembrava affatto Winky, vero?»

«No» disse Harry scuotendo la testa. «Decisamente non suonava come un elfo».

«Sì, era una voce umana» disse Ron.

«Be’, lo vedremo presto» ringhiò Diggory, per niente colpito. «C’è un modo semplice per scoprire l’ultimo incantesimo lanciato da una bacchetta, elfa, lo sapevi?»

Winky tremò e scosse la testa affannosamente, le orecchie svolazzanti, mentre Diggory alzava di nuovo la sua bacchetta e ne puntava l’estremità contro quella di Harry.

«Prior Incantatio!» gridò.

Harry udì Hermione trattenere il respiro, terrificata, mentre un enorme teschio con la lingua di serpente sbucava dal punto in cui le due bacchette si toccavano, ma era solo una pallida ombra del teschio verde alto sopra di loro, sembrava che fosse fatto di denso fumo grigio: il fantasma di un incantesimo.

«Deletrius!» gridò Diggory, e il teschio nebuloso svanì in un fil di fumo. «Allora» disse con una sorta di selvaggio trionfo, guardando giù verso Winky che era ancora scossa da tremiti convulsi.

«Io non l’ha fatto!» squittì l’elfa, gli occhi che roteavano per il terrore. «Io non sa, io non sa, io non sa come si fa! Io è un buon elfo, io non usa bacchette, io non sa come si fa!»

«Sei stata colta sul fatto, elfa!» ruggì Diggory. «Colta con la bacchetta colpevole in mano

«Amos» intervenne il signor Weasley ad alta voce, «pensaci… pochissimi maghi sanno come fare quell’incantesimo… dove l’avrebbe imparato?»

«Forse Amos sta insinuando» disse Crouch, ogni sillaba pervasa di gelida furia, «che io ho l’abitudine di insegnare ai miei servi come si evoca il Marchio Nero?»

Calò un silenzio molto spiacevole.

Amos Diggory sembrava inorridito. «Signor Crouch… no… nient’affatto…»

«È andato molto vicino ad accusare le due persone in questa radura che meno di tutte possono aver richiamato quel Marchio!» abbaiò Crouch. «Harry Potter… e me! Immagino che lei conosca la storia del ragazzo, Amos».

«Ma certo… la sanno tutti…» borbottò Diggory, decisamente scornato.

«E confido che ricordi le molte prove che ho dato, nel corso di una lunga carriera, del mio odio e disprezzo per le Arti Oscure e coloro che le praticano!» gridò Crouch, gli occhi di nuovo sporgenti.

«Signor Crouch, io… io non ho mai insinuato che lei abbia qualcosa a che fare con questa faccenda!» mormorò Amos Diggory, che stava arrossendo dietro l’ispida barba bruna.

«Se accusa la mia elfa, accusa me, Diggory!» gridò Crouch. «Altrimenti dove avrebbe imparato a evocarlo?»

«Lei… lei potrebbe averlo imparato ovunque…»

«Precisamente, Amos» disse il signor Weasley. «Potrebbe averlo imparato ovunque… Winky?» disse all’elfa in tono gentile, ma lei si ritrasse come se anche lui le stesse urlando contro. «Dove hai trovato esattamente la bacchetta di Harry?»

Winky torceva con tanta veemenza l’orlo del suo strofinaccio che questo le si stava sfilacciando tra le dita.

«Io… io l’ha trovata… l’ha trovata là, signore…» sussurrò, «là… tra gli alberi, signore…»

«Visto, Amos?» disse il signor Weasley. «Chiunque abbia richiamato il Marchio avrebbe potuto Smaterializzarsi appena commesso il fatto, lasciando la bacchetta di Harry. Mossa astuta, non usare la propria, cosa che avrebbe potuto tradirlo. E la nostra Winky ha avuto la sfortuna di trovare la bacchetta qualche attimo dopo e di raccoglierla».

«Ma allora vuol dire che si è trovata vicinissima al colpevole!» disse Diggory con impazienza. «Elfa? Hai visto qualcuno?»

Winky prese a tremare più forte che mai. I suoi occhioni scattarono da Diggory a Ludo Bagman e tornarono da Crouch.

Poi deglutì e disse: «Io non ha visto nessuno, signore… nessuno…»

«Amos» disse il signor Crouch seccamente, «sono pienamente consapevole che nell’ordinario corso degli eventi lei dovrebbe portare Winky al suo Ufficio per interrogarla. Ma le chiedo di lasciarla a me».

Sembrò che a Diggory quell’idea non andasse affatto a genio, ma dato che il signor Crouch era chiaramente un membro molto importante del Ministero, non osò controbattere.

«Può stare certo che verrà punita» aggiunse Crouch gelido.

«P-p-padrone…» Winky balbettò guardandolo, gli occhi traboccanti di lacrime. «P-p-padrone, t-t-ti prego…»

Crouch la fissò di rimando, il volto indurito, ogni ruga incisa più profondamente. Non c’era pietà nel suo sguardo. «Questa sera Winky si è comportata in un modo che non avrei mai creduto possibile» disse lentamente. «Le avevo detto di restare nella tenda. Le avevo detto di restarci mentre uscivo a sistemare la faccenda. E ora scopro che mi ha disubbidito. Questo vuol dire vestiti».

«No!» gemette Winky, prostrandosi ai piedi del signor Crouch. «No, padrone! Vestiti no, vestiti no!»

Harry sapeva che l’unico modo per liberare un elfo domestico era donargli capi d’abbigliamento. Era penoso vedere Winky tormentare il suo strofinaccio mentre singhiozzava ai piedi di Crouch.

«Ma era spaventata!» esplose rabbiosamente Hermione, fissando torva il signor Crouch. «La sua elfa ha paura dell’altezza, e quei maghi incappucciati stavano facendo levitare la gente! Non può biasimarla perché ha voluto togliersi di torno!»

Crouch fece un passo indietro, evitando il contatto con l’elfa, che ora osservava come se fosse qualcosa di sporco e marcio che stava contaminando le sue lucidissime scarpe.

«Non mi serve un elfo domestico che mi disubbidisce» disse gelido, guardando Hermione. «Non mi serve un domestico che dimentica i suoi doveri verso il padrone, e verso la reputazione del padrone».

Winky piangeva così forte che i suoi singhiozzi echeggiavano per tutta la radura.

Calò un silenzio molto teso, interrotto dal signor Weasley che disse piano: «Be’, credo che riporterò i miei ragazzi alla tenda, se nessuno ha niente da obiettare. Amos, quella bacchetta ci ha detto tutto quello che poteva… Puoi ridarla a Harry, per favore?»

Diggory consegnò la bacchetta a Harry, che se la mise in tasca.

«Andiamo, voi tre» disse piano il signor Weasley. Ma Hermione non aveva l’aria di volersi muovere; non riusciva a staccare gli occhi dall’elfa in singhiozzi. «Hermione!» disse il signor Weasley con più insistenza. Lei si voltò e seguì Harry e Ron fuori dalla radura e tra gli alberi.

«Che cosa accadrà a Winky?» chiese, non appena furono usciti dalla radura.

«Non lo so» disse il signor Weasley.

«Come l’hanno trattata!» disse Hermione infuriata. «Diggory che continuava a chiamarla “elfa”… e Crouch! Sa che non è stata lei e ha lo stesso intenzione di licenziarla! Non gli importava di quanto era spaventata o sconvolta… era come se non fosse nemmeno umana!»

«Be’, non lo è» disse Ron.

Hermione si voltò a guardarlo. «Questo non significa che non abbia dei sentimenti, Ron, è disgustoso il modo in cui…»

«Hermione, sono d’accordo con te» disse in fretta il signor Weasley, esortandola ad andare avanti, «ma questo non è il momento di discutere i diritti degli elfi. Voglio tornare alla tenda il più in fretta possibile. Che cos’è successo agli altri?»

«Era troppo buio, ci siamo persi» disse Ron. «Papà, perché erano tutti così nervosi per la faccenda del teschio?»

«Spiegherò tutto quando saremo di ritorno alla tenda» disse il signor Weasley, teso.

Ma al limitare del bosco, furono costretti a fermarsi.

Una gran folla di maghi e streghe dall’aria spaventata si era riunita li, e quando videro il signor Weasley venire verso di loro, molti gli si affrettarono incontro. «Che cosa sta succedendo laggiù?» «Chi l’ha evocato?» «Arthur… non sarà… lui

«Certo che non è lui» disse il signor Weasley con impazienza. «Non so chi sia stato, sembra che si siano Smaterializzati. Ora scusatemi, vi prego, voglio andare a dormire».

Guidò Harry, Ron e Hermione attraverso la folla e poi di nuovo nel campeggio. Ora era tutto tranquillo; non c’era traccia dei maghi mascherati, anche se alcune tende distrutte fumavano ancora.

Dalla tenda dei ragazzi spuntò la testa di Charlie.

«Papà, che cosa sta succedendo?» gridò nell’oscurità. «Fred, George e Ginny sono tornati sani e salvi, ma gli altri…»

«Sono qui con me» disse il signor Weasley, chinandosi ed entrando nella tenda. Harry, Ron e Hermione lo seguirono.

Bill era seduto al tavolino della cucina e teneva un lenzuolo contro il braccio, che sanguinava abbondantemente. Charlie aveva un largo strappo nella camicia, e Percy esibiva il naso insanguinato. Fred, George e Ginny sembravano illesi, anche se scossi.

«Li hai presi, papà?» chiese Bill secco. «Quelli che hanno evocato il Marchio?»

«No» rispose il signor Weasley. «Abbiamo trovato l’elfa di Barty Crouch con la bacchetta di Harry, ma non ne sappiamo di più su chi sia il responsabile».

«Cosa?» esclamarono Bill, Charlie e Percy in coro.

«La bacchetta di Harry?» disse Fred.

«L’elfa del signor Crouch?» disse Percy, come folgorato.

Con l’aiuto di Harry, Ron e Hermione, il signor Weasley spiegò cos’era successo nel bosco. Alla fine del racconto, Percy traboccava d’indignazione.

«Be’, il signor Crouch ha ragione a liberarsi di un’elfa del genere!» disse. «Fuggire quando le aveva detto espressamente di non farlo… metterlo in imbarazzo davanti a tutto il Ministero… che figura avrebbe fatto, se lei fosse dovuta comparire davanti all’Ufficio Regolazione e Controllo…»

«Non ha fatto niente… era solo nel posto sbagliato al momento sbagliato!» sbottò Hermione a Percy, che parve molto sorpreso. Hermione era sempre andata molto d’accordo con Percy — molto più degli altri, a dire il vero.

«Hermione, un mago nella posizione del signor Crouch non può permettersi un elfo domestico che corre in giro come un pazzo armato di bacchetta magica!» disse Percy con sussiego, riprendendosi.

«Non è corsa in giro come una pazza!» gridò Hermione. «L’ha solo raccolta da terra!»

«Sentite, qualcuno potrebbe spiegarci almeno che cos’era quel teschio?» intervenne Ron impaziente. «Non ha fatto male a nessuno… perché tutta quell’agitazione?»

«Te l’ho detto, è il simbolo di Tu-Sai-Chi, Ron» disse Hermione prima che qualcun altro potesse rispondere. «L’ho letto su Ascesa e Declino delle Arti Oscure».

«E non lo si vedeva da tredici anni» aggiunse piano il signor Weasley. «È naturale che tutti si siano spaventati… è stato quasi come rivedere Voi-Sapete-Chi».

«Non capisco» disse Ron accigliato. «Voglio dire… è pur sempre solo una sagoma in cielo…»

«Ron, Tu-Sai-Chi e i suoi seguaci mostravano il Marchio Nero tutte le volte che uccidevano» spiegò il signor Weasley. «Il terrore che ha provocato… non ne hai idea, sei troppo giovane. Ma immagina di tornare a casa e ritrovarti il Marchio Nero che incombe sul tuo tetto, sapendo quello che stai per trovare dentro…» il signor Weasley rabbrividì. «Il terrore più grande per chiunque… il più grande in assoluto…»

Per un attimo calò il silenzio.

Poi Bill, togliendo il lenzuolo dal braccio per controllare il suo taglio, disse: «Be’, non ci ha aiutato questa notte, chiunque l’abbia evocato. Ha messo in fuga i Mangiamorte nell’istante in cui l’hanno visto. Si sono Smaterializzati tutti prima che riuscissimo ad avvicinarci tanto da smascherarne uno. Siamo riusciti ad afferrare i Roberts prima che toccassero terra, però. Gli stanno modificando la memoria proprio adesso».

«Mangiamorte?» chiese Harry. «Che cosa sono i Mangiamorte?»

«È così che si fanno chiamare i sostenitori di Tu-Sai-Chi» disse Bill. «Credo che stanotte abbiamo visto quel che ne è rimasto: quelli che sono riusciti a tenersi fuori da Azkaban, almeno».

«Non possiamo dimostrare che erano loro, Bill» disse il signor Weasley. «Anche se probabilmente lo erano» aggiunse sfiduciato.

«Sì, ci scommetto che erano loro!» disse Ron all’improvviso. «Papà, c’era Draco Malfoy nel bosco, e praticamente ci ha detto che suo padre era uno di quei pazzi mascherati! E sappiamo tutti che i Malfoy erano in combutta con Tu-Sai-Chi!»

«Ma i sostenitori di Voldemort…» esordì Harry. Tutti sussultarono: come quasi tutti nel mondo dei maghi, i Weasley evitavano sempre di pronunciare il nome di Voldemort. «Scusate» disse in fretta Harry. «Che cosa avevano in mente i sostenitori di Voi-Sapete-Chi, sollevando Babbani in aria? Voglio dire, a che scopo?»

«A che scopo?» disse il signor Weasley con una risata cupa. «Harry, è così che si divertono quelli. Metà degli omicidi di Babbani al tempo in cui Tu-Sai-Chi era al potere furono commessi per divertimento. Suppongo che questa sera abbiano bevuto un po’ e non siano riusciti a resistere alla tentazione di ricordare a tutti noi che molti di loro sono ancora in circolazione. Per loro è stata una simpatica rimpatriata» concluse disgustato.

«Ma se erano i Mangiamorte, perché si sono Smaterializzati quando hanno visto il Marchio Nero?» chiese Ron. «Vederlo avrebbe dovuto fargli piacere, no?»

«Usa il cervello, Ron» disse Bill. «Se erano davvero Mangiamorte, hanno fatto davvero una gran fatica per riuscire a restar fuori da Azkaban quando Tu-Sai-Chi cadde, e hanno detto un sacco di balle sul fatto che lui li aveva obbligati a uccidere e torturare. Scommetto che avrebbero ancora più paura di tutti noi messi insieme se tornasse. Hanno negato di aver mai avuto niente a che fare con lui quando ha perso i suoi poteri, e sono tornati alla vita di tutti i giorni… Non credo che sarebbe molto soddisfatto di loro, no?»

«Allora… chiunque abbia evocato il Marchio Nero…» disse Hermione lentamente, «l’ha fatto per dimostrare il suo sostegno ai Mangiamorte, o per spaventarli?»

«La tua supposizione vale quanto la nostra, Hermione» disse il signor Weasley. «Ma ti dirò una cosa… solo i Mangiamorte potevano sapere come evocarlo. Sarei molto sorpreso se la persona che l’ha fatto non fosse stata un tempo un Mangiamorte, anche se ora non lo è… Sentite, è molto tardi, e se vostra madre viene a sapere cos’è successo si spaventerà da morire. Dormiremo qualche ora e poi cercheremo di prendere una Passaporta domattina presto per andarcene di qui».

Harry tornò nel suo lettino con la testa che gli ronzava. Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi sfinito; erano quasi le tre del mattino, ma era sveglissimo: sveglissimo, e preoccupato.

Tre giorni prima — sembrava che fosse passato molto più tempo, ma erano solo tre giorni — si era svegliato con la cicatrice che gli bruciava. E quella notte, per la prima volta dopo tredici anni, il Marchio di Voldemort era comparso nel cielo. Cosa significava tutto questo?

Pensò alla lettera che aveva scritto a Sirius prima di lasciare Privet Drive. Chissà se Sirius l’aveva già ricevuta? Quando avrebbe risposto? Harry rimase disteso a guardare la tela, ma non sopraggiunsero fantasticherie di volo a conciliargli il sonno, e fu molto dopo che il russare di Charlie ebbe riempito la tenda che Harry alla fine si assopì.

CAPITOLO 10

CAOS AL MINISTERO

Il signor Weasley li svegliò dopo poche ore di sonno. Usò la magia per ripiegare le tende, e lasciarono il campeggio più in fretta che poterono, passando davanti al signor Roberts che era sulla soglia della sua casetta. Roberts aveva una strana aria inebetita, e li salutò con la mano e con un vago «Buon Natale».

«Si riprenderà benissimo» disse sottovoce il signor Weasley mentre s’incamminavano nella brughiera. «A volte, quando la memoria di una persona viene modificata, questo lo disorienta leggermente per un po’… e quella che gli hanno fatto scordare era una cosa grossa».

Udirono voci concitate mentre si avvicinavano al punto in cui si trovavano le Passaporte, e quando lo raggiunsero trovarono un gran numero di maghi e streghe attorno al custode Basil, tutti che insistevano per andarsene dal campeggio il più presto possibile. Il signor Weasley ebbe una frettolosa discussione con Basil; si misero in coda, e riuscirono a prendere un vecchio pneumatico per tornare al Col dell’Ermellino prima ancora che il sole sorgesse. Tornarono indietro attraverso Ottery St Catchpole diretti alla Tana nella luce dell’alba, parlando molto poco, tanto erano esausti, e pensando con desiderio alla colazione. Alla curva del sentiero, La Tana apparve ai loro occhi, e un grido echeggiò nell’aria.

«Oh, grazie al cielo, grazie al cielo!»

La signora Weasley, che evidentemente li stava aspettando in giardino, corse loro incontro, con indosso ancora le pantofole, il viso pallido e teso, una copia stropicciata della Gazzetta del Profeta stretta in mano. «Arthur… ero così preoccupata… così preoccupata…»

Gettò le braccia al collo del marito, e la Gazzetta del Profeta cadde a terra. Harry guardò in giù e lesse il titolo: SCENE DI TERRORE ALLA COPPA DEL MONDO DI QUIDDITCH, completo di una foto balenante in bianco e nero del Marchio Nero sopra le cime degli alberi.

«State tutti bene» mormorò la signora Weasley agitatissima, liberando il signor Weasley dalla stretta e fissando tutti gli altri con gli occhi arrossati, «siete vivi… oh, ragazzi…»

E con gran sorpresa di tutti, afferrò Fred e George e li strinse in un abbraccio così serrato che le loro teste cozzarono.

«Ahia! Mamma… ci stai strangolando…»

«Vi ho sgridati prima che partiste!» esclamò la signora Weasley, e cominciò a singhiozzare. «Non ho pensato ad altro! E se Voi-Sapete-Chi vi avesse preso, e l’ultima cosa che vi avessi detto fosse stata che non avevate preso il G.U.F.O. che volevo? Oh, Fred… George…»

«Su, Molly, stiamo tutti benissimo» disse il signor Weasley in tono rassicurante, sciogliendola dai gemelli e guidandola verso casa. «Bill» aggiunse a mezza voce, «raccogli quel giornale, voglio vedere che cosa dice…»

Quando furono tutti stipati nella piccola cucina, e Hermione ebbe preparato alla signora Weasley una tazza di tè molto forte, nella quale il signor Weasley insistette per versare un goccio di Whisky Incendiario Ogden Stravecchio, Bill tese il giornale al padre. Il signor Weasley scorse la prima pagina mentre Percy guardava da sopra la sua spalla.

«Lo sapevo» disse il signor Weasley gravemente. «Il Ministero brancola nel buio… i colpevoli non sono stati catturati… servizio di sicurezza inefficiente… Maghi Oscuri in libertà… sventura nazionale… Di chi è? Ah… ma certo… Rita Skeeter».

«Quella donna ce l’ha con il Ministero della Magia!» esclamò Percy infuriato. «La settimana scorsa ha scritto che stiamo perdendo tempo a cavillare sullo spessore dei calderoni, quando dovremmo occuparci di marchiare i vampiri! Come se non fosse espressamente stabilito nel paragrafo dodici delle Indicazioni per il Trattamento dei Non Maghi Semiumani…»

«Facci il favore, Perce» disse Bill sbadigliando, «chiudi il becco».

«Sono citato» disse il signor Weasley, spalancando gli occhi dietro le lenti mentre arrivava alla fine dell’articolo della Gazzetta del Profeta.

«Dove?» sputacchiò la signora Weasley, semisoffocata dal tè corretto al whisky. «Se l’avessi letto, avrei saputo che eri vivo!»

«Non con nome e cognome» disse il signor Weasley. «Sentite qui: Se i maghi e le streghe terrorizzati che attendevano col fiato sospeso qualche notizia ai margini del bosco si aspettavano di ricevere rassicurazioni dal Ministero della Magia, sono rimasti amaramente delusi. Un rappresentante del Ministero si è presentato parecchio tempo dopo l’apparizione del Marchio Nero, sostenendo che nessuno era rimasto ferito, ma rifiutandosi di fornire ulteriori informazioni. Resta da vedere se questa dichiarazione sarà sufficiente a smentire le voci secondo cui parecchi corpi sono stati portati via dal bosco un’ora dopo. Figuriamoci» disse il signor Weasley esasperato, passando il giornale a Percy. «Nessuno è rimasto ferito, che cosa avrei dovuto dire? Voci secondo cui parecchi corpi sono stati portati via dal bosco … be’, certo che gireranno delle voci, adesso che ha scritto questa roba».

Trasse un profondo sospiro. «Molly, dovrò andare in ufficio, ci sarà bisogno di calmare le acque».

«Vengo con te, papà» disse Percy in tono pomposo. «Il signor Crouch avrà bisogno di tutti in prima linea. E così gli potrò consegnare di persona la relazione sui calderoni».

E sfrecciò fuori dalla cucina.

La signora Weasley parve molto turbata. «Arthur, dovresti essere in vacanza! Questa faccenda non ha niente a che vedere col tuo ufficio. Possono occuparsene senza di te, no?»

«Devo andare, Molly» disse il signor Weasley. «Ho peggiorato le cose. Il tempo di cambiarmi e partirò…»

«Signora Weasley» disse Harry all’improvviso, incapace di trattenersi, «non è che per caso è arrivata Edvige con una lettera per me?»

«Edvige, caro?» disse la signora Weasley distrattamente. «No… no, non è arrivata posta per nessuno».

Ron e Hermione scoccarono uno sguardo incuriosito a Harry, che rispose guardandoli con aria eloquente: «Va bene se vado a sistemare la mia roba in camera tua, Ron?»

«Sì… credo che verrò anch’io» disse subito Ron. «Hermione?»

«Sì» disse lei rapida, e tutti e tre uscirono dalla cucina e salirono le scale.

«Che cosa succede, Harry?» chiese Ron non appena si furono chiusi alle spalle la porta della soffitta.

«C’è una cosa che non vi ho detto» disse Harry. «Sabato mattina mi sono svegliato con la cicatrice che mi faceva male di nuovo».

Le reazioni di Ron e Hermione furono quasi esattamente quelle che Harry aveva immaginato nella sua stanza a Privet Drive. A Hermione si mozzò il fiato, poi prese a snocciolare consigli uno dopo l’altro, citando un gran numero di enciclopedie, e tutti quanti da Albus Silente a Madama Chips, l’infermiera di Hogwarts.

Ron era semplicemente ammutolito. «Ma… non era là, vero? Tu-Sai-Chi? Cioè… l’ultima volta che la cicatrice ti faceva male, lui era a Hogwarts, vero?»

«Sono sicuro che non era a Privet Drive» disse Harry. «Ma l’ho sognato… lui e Peter — sapete, Codaliscia. Adesso non ricordo tutto, ma progettavano di uccidere… qualcuno».

Aveva esitato per un istante, sul punto di dire “me”, ma non se la sentì di spaventare Hermione più di quanto non lo fosse già.

«Era solo un sogno» disse Ron in tono rassicurante. «Solo un incubo».

«Sì, ma lo era davvero?» disse Harry, voltandosi per guardare dalla finestra il cielo sempre più chiaro. «È strano, no…? Mi fa male la cicatrice, e tre giorni dopo i Mangiamorte sono in marcia, e il marchio di Voldemort è di nuovo su in cielo».

«Non — pronunciare — il — suo — nome!» sibilò Ron a denti stretti.

«E vi ricordate che cosa ha detto la professoressa Cooman?» riprese Harry, ignorando Ron. «Alla fine dell’anno scorso?»

La professoressa Cooman era la loro insegnante di Divinazione a Hogwarts.

Lo sguardo terrorizzato di Hermione scomparve e lei emise uno sbuffo sprezzante. «Oh, Harry, non vorrai mica dare retta a quella vecchia impostora?»

«Voi non c’eravate» disse Harry. «Voi non l’avete sentita. Quella volta è stato diverso. Ve l’ho detto, è andata in trance — per davvero. E ha detto che il Signore Oscuro sarebbe risorto… più grande e terribile che mai… e ci sarebbe riuscito perché il suo servo stava per tornare da lui… e quella notte Codaliscia è fuggito».

Calò il silenzio. Ron giocherellava con aria assente con un buco nel copriletto dei Magnifici Sette.

«Perché hai chiesto se era arrivata Edvige, Harry?» gli domandò Hermione. «Stai aspettando una lettera?»

«Ho scritto a Sirius della cicatrice» disse Harry stringendosi nelle spalle. «Sto aspettando la sua risposta».

«Bella pensata!» disse Ron, mentre la sua espressione si rischiarava. «Scommetto che Sirius saprà cosa fare!»

«Speravo che mi avrebbe risposto subito» aggiunse Harry.

«Ma non sappiamo dove si trova… potrebbe essere in Africa, o qualcosa del genere, no?» disse Hermione con molto buonsenso. «Edvige non riuscirà a coprire una distanza del genere in pochi giorni».

«Sì, lo so» disse Harry, ma una morsa gli serrava lo stomaco mentre scrutava fuori dalla finestra il cielo del tutto privo di Edvige.

«Vieni a fare una partita a Quidditch nell’orto, Harry» disse Ron. «Andiamo… tre contro tre, giocano anche Bill, Charlie, Fred e George… puoi provare la Finta Wronsky…»

«Ron» disse Hermione con un tono di voce del tipo non-credo-che-tu-sia-molto-sensibile, «Harry non ha voglia di giocare a Quidditch adesso… è preoccupato, e stanco… abbiamo tutti bisogno di andare a dormire…»

«Sì, mi va di giocare a Quidditch» disse Harry all’improvviso. «Aspetta, vado a prendere la Firebolt».

Hermione uscì dalla stanza, borbottando qualcosa che suonava molto come «Maschi».

* * *

Né il signor Weasley né Percy furono molto a casa la settimana seguente. Entrambi uscivano ogni mattina prima che il resto della famiglia si alzasse, e tornavano ogni sera parecchio dopo l’ora di cena.

«È un gran trambusto» disse loro Percy con solennità la domenica sera prima del previsto ritorno a Hogwarts. «Non ho fatto altro che spegnere incendi tutta la settimana. La gente continua a mandare Strillettere e naturalmente se non apri immediatamente una Strillettera quella esplode. Bruciature su tutta la mia scrivania e la mia penna d’aquila più bella ridotta in cenere».

«Perché tutti spediscono Strillettere?» chiese Ginny, che stava aggiustando la sua copia di Mille Erbe e Funghi Magici con il Magiscotch sul tappeto davanti al camino in salotto.

«Protestano per il servizio di sicurezza alla Coppa del Mondo» disse Percy. «Vogliono il risarcimento dei danni per i loro averi che sono stati distrutti. Mundungus Fletcher ha inoltrato un reclamo per una tenda di dodici stanze e idromassaggio, ma io ce l’ho in pugno. So per certo che ha dormito sotto un mantello tenuto su con dei rami».

La signora Weasley gettò un’occhiata alla pendola del nonno nell’angolo. A Harry piaceva quell’orologio. Era del tutto inutile se uno voleva sapere che ora era, ma per altri versi forniva molte informazioni. Aveva nove lancette d’oro, e ognuna portava scritto il nome di un Weasley. Non c’erano cifre sul quadrante, ma i posti dove poteva trovarsi ciascun membro della famiglia. C’erano “casa”, “scuola” e “lavoro”, ma anche “perduto”, “ospedale”, “prigione” e, al posto del dodici, “pericolo mortale”.

Otto delle lancette al momento indicavano la posizione “casa”, ma quella del signor Weasley, che era la più lunga, era ancora puntata su “lavoro”. La signora Weasley sospirò.

«È dai giorni di Voi-Sapete-Chi che vostro padre non andava più in ufficio nei fine settimana» disse. «Lo stanno facendo lavorare troppo. Gli si rovina la cena se non torna a casa presto».

«Be’, papà sente di dover rimediare al suo errore alla partita, vero?» disse Percy. «A dire il vero, è stato un po’ avventato fare una dichiarazione ufficiale senza prima intendersi con il suo Capodipartimento…»

«Non osare dar la colpa a tuo padre per ciò che ha scritto quella disgraziata di una Skeeter!» esclamò la signora Weasley, infiammandosi all’istante.

«Se papà non avesse detto niente, la vecchia Rita avrebbe scritto che era scandaloso che nessuno del Ministero avesse commentato l’accaduto» disse Bill, che stava giocando a scacchi con Ron. «Rita Skeeter non mette mai nessuno in buona luce. Vi ricordate? Una volta ha intervistato tutti gli Spezzaincantesimi della Gringott, e mi ha chiamato “un fricchettone coi capelli lunghi”».

«Be’, un po’ lunghi sono, caro» disse la signora Weasley dolcemente. «Se solo me li lasciassi…»

«No, mamma».

La pioggia frustava la finestra del salotto. Hermione era immersa nella lettura del Manuale di Incantesimi, volume quarto: la signora Weasley ne aveva comprata una copia per lei, una per Ron e una per Harry a Diagon Alley. Charlie stava rammendando un passamontagna ignifugo. Harry lustrava la sua Firebolt, con il Kit di Manutenzione per Manici di Scopa che Hermione gli aveva regalato per il suo tredicesimo compleanno aperto ai suoi piedi. Fred e George sedevano in un angolo lontano, la penna in mano, e si scambiavano sussurri, le teste chine su un rotolo di pergamena.

«Che cosa state facendo voi due?» disse la signora Weasley in tono severo, lo sguardo sui gemelli.

«I compiti» rispose Fred vagamente.

«Non essere ridicolo, siete ancora in vacanza» disse la signora Weasley.

«Sì, siamo rimasti un po’ indietro» disse George.

«Non starete per caso preparando un nuovo modulo di ordinazione, vero?» chiese la signora Weasley, in tono scaltro. «Non starete pensando di ricominciare con i Tiri Vispi, per caso?»

«Dai, mamma» disse Fred guardandola con aria addolorata. «Se l’Espresso di Hogwarts deragliasse domani, e io e George morissimo, come ti sentiresti sapendo che l’ultima cosa che ti abbiamo sentito dire era un’accusa infondata?»

Tutti risero, perfino la signora Weasley.

«Oh, sta arrivando papà!» disse lei all’improvviso, guardando di nuovo l’orologio.

La lancetta del signor Weasley era di colpo scattata da “lavoro” a “viaggio”; un secondo dopo si fermò vibrando su “casa” con le altre, e tutti sentirono la sua voce dalla cucina.

«Vengo, Arthur!» gridò la signora Weasley uscendo in fretta dalla stanza.

Dopo pochi istanti, il signor Weasley entrò nel salotto caldo, con la cena su un vassoio. Sembrava completamente sfinito.

«Be’, adesso sì che siamo nei guai» disse alla signora Weasley sedendosi in una poltrona vicino al fuoco e giocherellando con scarso entusiasmo con il suo cavolfiore un po’ rattrappito. «È tutta la settimana che Rita Skeeter va in giro a ficcare il naso in cerca di altri pasticci del Ministero di cui scrivere. E ora ha scoperto che la povera Bertha è sparita, così questa storia sarà in prima pagina domani sul Profeta. Io l’avevo detto a Bagman che doveva mandare qualcuno a cercarla un secolo fa».

«Il signor Crouch lo dice da settimane e settimane» disse Percy prontamente.

«Crouch è molto fortunato che Rita non abbia scoperto la faccenda di Winky» disse il signor Weasley irritato. «La sua elfa domestica sorpresa con la bacchetta con cui è stato evocato il Marchio Nero sarebbe roba da prima pagina per una settimana».

«Credevo che fossimo tutti d’accordo che quell’elfa, per quanto irresponsabile, non ha evocato il Marchio, o no?» si scaldò Percy.

«Se vuoi saperlo, il signor Crouch è molto fortunato che nessuno alla Gazzetta del Profeta sappia com’è cattivo con gli elfi!» disse Hermione arrabbiata.

«Ma insomma, Hermione!» ribatté Percy. «Un funzionario d’alto rango del Ministero come il signor Crouch merita un’obbedienza cieca da parte dei suoi servitori…»

«Della sua schiava, vorrai dire!» esclamò Hermione mentre la sua voce saliva di tono. «Perché non l’ha pagata, Winky, vero?»

«Credo che sia meglio se andate tutti di sopra a controllare di aver fatto i bagagli come si deve!» intervenne la signora Weasley ponendo fine alla lite. «Avanti, su, tutti quanti…»

Harry richiuse il suo Kit di Manutenzione per Manici di Scopa, si mise la Firebolt in spalla e tornò di sopra con Ron. Lassù la pioggia rimbombava ancora più fragorosamente, ed era accompagnata da forti sibili e gemiti del vento, per non parlare degli sporadici ululati del fantasma che viveva in soffitta. Leo prese di nuovo a cantare e a sfrecciare nella sua gabbia quando entrarono nella stanza di Ron. La vista dei bauli quasi pronti sembrava averlo precipitato in un delirio d’eccitazione.

«Dagli dei Biscottini Gufici» disse Ron, lanciando un pacchetto a Harry, «così magari sta zitto».

Harry infilò alcuni Biscottini Gufici tra le sbarre della gabbia di Leo, poi si voltò verso il suo baule. La gabbia di Edvige era li accanto, ancora vuota.

«È passata più di una settimana» disse Harry, guardando il posatoio vuoto di Edvige. «Ron, non pensi che Sirius sia stato catturato, vero?»

«No, ci sarebbe scritto sulla Gazzetta del Profeta» disse Ron. «Il Ministero vorrebbe far sapere a tutti di aver preso qualcuno, no?»

«Sì, almeno credo…»

«Guarda, qui c’è la roba che mamma ti ha comprato a Diagon Alley. E ha prelevato dell’oro dalla tua camera blindata per te… e ti ha lavato tutte le calze».

Depose una pila di pacchi sulla brandina di Harry e vi lasciò cadere accanto il sacchetto col denaro e un mucchio di calze. Harry prese ad aprire i pacchi: a parte il Manuale di Incantesimi, volume quarto, di Miranda Gadula, aveva un mazzetto di penne nuove, una dozzina di rotoli di pergamena e ricambi per il suo kit di pozioni — era a corto di leonella ed essenza di belladonna. Stava ammucchiando la biancheria nel calderone quando alle sue spalle Ron fece un versaccio di disgusto.

«E quello che cosa dovrebbe essere?»

Tra le mani reggeva una cosa che a Harry parve un lungo abito di velluto marrone. Aveva un orlo di pizzo dall’aria muffita attorno al collo e polsini di pizzo identici.

Si sentì bussare alla porta e la signora Weasley entrò con una bracciata di divise di Hogwarts lavate e stirate di fresco.

«Ecco qui» disse, dividendo la pila in due. «Ora state attenti a metterle via bene in modo che non si stropiccino».

«Mamma, mi hai portato per sbaglio il vestito nuovo di Ginny» disse Ron, tendendole la cosa marrone.

«Ma certo che no» disse la signora Weasley. «È per te. Un abito da cerimonia».

«Cosa?» esclamò Ron terrificato.

«Un abito da cerimonia!» ripeté la signora Weasley. «Sulla lista della scuola c’è scritto che dovete avere un abito da cerimonia quest’anno… un abito per le grandi occasioni».

«Vorrai scherzare» disse Ron incredulo. «Non metterò mai quella cosa, non se ne parla proprio».

«Li portano tutti, Ron!» disse la signora Weasley contrariata. «Sono tutti così! Anche tuo padre ne ha alcuni per le feste importanti!»

«Piuttosto che mettermi quella roba vado in giro nudo come un verme» disse Ron ostinato.

«Non fare lo sciocco» ribatté la signora Weasley, «devi avere un abito da cerimonia, è sulla lista! Ne ho preso uno anche per Harry… faglielo vedere, Harry…»

Con trepidazione, Harry aprì l’ultimo pacchetto sulla brandina. Non era cosi tremendo: niente pizzo, e in effetti era più o meno uguale alla divisa scolastica, solo che era verde bottiglia invece che nero.

«Ho pensato che s’intonava al colore dei tuoi occhi, caro» disse la signora Weasley con affetto.

«Be’, va benissimo!» disse Ron arrabbiato, guardando l’abito di Harry. «Perché non posso averne anch’io uno così?»

«Perché… be’, il tuo l’ho dovuto comprare di seconda mano, e non c’era molta scelta» spiegò la signora Weasley arrossendo.

Harry guardò da un’altra parte. Avrebbe volentieri diviso tutto il denaro rinchiuso nella sua camera blindata della Gringott con i Weasley, ma sapeva che non l’avrebbero mai accettato.

«Non me lo metterò mai» ripeteva Ron testardo. «Mai».

«Bene» scattò la signora Weasley. «Allora vai in giro nudo. E tu, Harry, per favore fagli una foto. Avrei proprio bisogno di farmi quattro risate».

E uscì sbattendo la porta. Alle loro spalle si udì un buffo rumore sputacchiante. Leo stava soffocando dopo aver inghiottito un Biscottino Gufico troppo grosso.

«Perché tutte le cose che ho sono schifezze?» esclamò Ron furibondo, attraversando la stanza per disimpastare il becco di Leo.

CAPITOLO 11

SULL’ESPRESSO DI HOGWARTS

C’era decisamente una tetraggine da fine-delle-vacanze nell’aria quando Harry si svegliò la mattina dopo. Una pioggia pesante picchiettava ancora contro la finestra mentre s’infilava i jeans e una felpa; la divisa della scuola l’avrebbe indossata sull’Espresso di Hogwarts.

Lui, Ron, Fred e George erano appena arrivati sul pianerottolo del primo piano diretti verso la colazione quando la signora Weasley comparve ai piedi delle scale con aria seccata.

«Arthur!» gridò verso i piani superiori. «Arthur! Messaggio urgente dal Ministero!»

Harry si appiattì contro il muro mentre il signor Weasley scendeva ciabattando freneticamente, col vestito alla rovescia. Quando Harry e gli altri entrarono in cucina, videro la signora Weasley che frugava preoccupata nei cassetti della credenza — «C’era una penna qui da qualche parte!» — e il signor Weasley chino sul fuoco, intento a parlare con…

Harry chiuse gli occhi e li riaprì per assicurarsi che funzionassero a dovere.

La testa di Amos Diggory era lì in mezzo alle fiamme come un grosso uovo barbuto. Parlava molto in fretta, del tutto indifferente alle scintille che le volavano attorno e alle fiamme che le lambivano le orecchie.

«… dei vicini Babbani hanno sentito dei colpi e delle urla, così sono andati a chiamare quei, come-si-chiamano… puliziotti. Arthur, devi andarci subito…»

«Ecco qui!» disse la signora Weasley senza fiato, infilando in mano al marito un foglio di pergamena, una boccetta d’inchiostro e una penna arruffata.

«… un vero colpo di fortuna averlo sentito» disse la testa di Diggory. «Dovevo andare in ufficio presto per spedire un paio di gufi, e ho trovato tutti quelli dell’Uso Improprio della Magia che uscivano… se Rita Skeeter viene a sapere di questa cosa, Arthur…»

«E secondo Malocchio che cos’è successo?» chiese il signor Weasley stappando la boccetta d’inchiostro, intingendo la penna e preparandosi a prendere appunti.

La testa di Diggory alzò gli occhi al cielo. «Dice che ha sentito un intruso in giardino. Dice che qualcuno strisciava verso casa sua, ma è stato sorpreso dai suoi bidoni».

«Che cos’hanno fatto i bidoni?» chiese il signor Weasley, scrivendo freneticamente.

«Un chiasso maledetto e hanno sparato immondizia dappertutto, per quel che ne so» rispose Diggory. «Apparentemente uno era ancora in volo quando sono arrivati i pulizìotti…»

Il signor Weasley gemette. «E l’intruso?»

«Arthur, lo sai com’è fatto Malocchio» disse la testa di Diggory alzando di nuovo gli occhi al cielo. «Qualcuno che striscia nel suo giardino nel cuore della notte? È più probabile che da qualche parte ci sia un gatto molto traumatizzato coperto di bucce di patata. Ma se quelli dell’Uso Improprio della Magia mettono le mani su Malocchio, è finito: pensa ai suoi precedenti. Dobbiamo farlo uscire con un’accusa minore, qualcosa del tuo Ufficio… quanto valgono i Bidoni Esplosivi?»

«Forse potrebbe uscire su cauzione» disse il signor Weasley continuando a scrivere in fretta, le sopracciglia aggrottate. «Malocchio non ha usato la bacchetta? Non ha aggredito nessuno?»

«Scommetto che è schizzato giù dal letto e ha cominciato a buttare dalla finestra tutto quello che gli capitava» disse il signor Diggory, «ma faranno fatica a dimostrarlo, non ci sono vittime».

«Va bene, arrivo» disse il signor Weasley, poi s’infilò in tasca la pergamena con gli appunti e sfrecciò fuori dalla cucina.

La testa di Diggory fissò la signora Weasley.

«Mi dispiace, Molly» disse più lentamente, «disturbarvi cosi presto… ma Arthur è il solo che possa tirar fuori Malocchio, e Malocchio dovrebbe cominciare il nuovo lavoro oggi. Perché doveva scegliere proprio ieri notte…»

«Non importa, Amos» disse la signora Weasley. «Sei sicuro che non vuoi un po’ di pane tostato o qualcos’altro prima di andare?»

«Oh, perché no?» disse il signor Diggory.

La signora Weasley prese una fetta di pane imburrato da una pila sul tavolo della cucina, la mise tra le molle del camino e la infilò in bocca a Diggory.

«Grazie» disse lui con voce soffocata, e poi sparì con un piccolo pop.

«Meglio che mi muova… in bocca al lupo, ragazzi» disse il signor Weasley a Harry, Ron e ai gemelli, gettandosi sulle spalle un mantello e preparandosi a Smaterializzarsi. «Molly, ce la farai ad accompagnare i ragazzi a King’s Cross?»

«Ma certo» rispose lei. «Tu pensa a Malocchio, noi ce la caveremo».

Mentre il signor Weasley spariva, Bill e Charlie entrarono in cucina.

«Qualcuno ha detto Malocchio?» chiese Bill. «Che cos’ha combinato, stavolta?»

«Dice che stanotte qualcuno ha cercato di entrare in casa sua» rispose la signora Weasley.

«Malocchio Moody?» disse George pensieroso, spalmando marmellata di arance sul pane tostato. «Non è quello svitato…»

«Tuo padre ha un’altissima opinione di Malocchio Moody» disse la signora Weasley con fermezza.

«Sì, certo. Papà colleziona spine, vero?» disse Fred a bassa voce, mentre la signora Weasley usciva dalla stanza. «Chi si somiglia…»

«Moody era un grande mago ai suoi tempi» disse Bill.

«E un vecchio amico di Silente, vero?» disse Charlie.

«Silente non si può certo definire normale, però, vero?» disse Fred. «Voglio dire, lo so che è un genio…»

«Chi è Malocchio?» chiese Harry.

«È in pensione, prima lavorava al Ministero» disse Charlie. «L’ho conosciuto una volta che papà mi ha portato in ufficio. Era un Auror, uno dei migliori… un cacciatore di Maghi Oscuri» aggiunse in risposta allo sguardo vacuo di Harry. «Metà delle celle di Azkaban sono piene grazie a lui. Si è fatto un sacco di nemici, però… soprattutto le famiglie di quelli che ha catturato… e ho sentito che da vecchio è diventato davvero paranoico. Non si fida più di nessuno. Vede Maghi Oscuri dappertutto».

Bill e Charlie decisero di accompagnare gli altri alla stazione di King’s Cross, ma Percy, profondendosi in scuse, disse che doveva proprio andare al lavoro.

«Non posso proprio prendermi un altro permesso in questo momento» disse loro. «Il signor Crouch sta veramente cominciando a contare su di me».

«Sì, e la sai una cosa, Percy?» disse George serio. «Scommetto che presto imparerà il tuo nome».

La signora Weasley aveva affrontato il telefono all’Ufficio Postale del villaggio per prenotare tre normali taxi babbani che li portassero a Londra.

«Arthur ha cercato di farsi prestare delle auto del Ministero per noi» sussurrò a Harry mentre si trovavano nel giardino lavato dalla pioggia a guardare i tassisti che caricavano sei pesanti bauli di Hogwarts nei portabagagli. «Ma non ce n’erano libere… oh cielo, non sembrano felici, vero?»

Harry preferì non dire alla signora Weasley che i tassisti babbani trasportano di rado gufi sovreccitati, e Leo stava facendo un fracasso spaccatimpani. Certo non contribuì il fatto che un certo numero di Favolosi Fuochi d’Artificio Freddi del dottor Filibuster con Innesco ad Acqua partirono a sorpresa quando il baule di Fred si aprì di scatto, strappando al tassista ululati di paura e dolore mentre Grattastinchi si arrampicava ad artigli sguainati su per la gamba del poveretto.

Il viaggio fu scomodo, poiché vennero tutti stipati nel retro dei taxi coi loro bauli. Grattastinchi ci mise un po’ a riprendersi dai fuochi d’artificio, e Harry, Ron e Hermione arrivarono a Londra seriamente graffiati. Furono molto sollevati di scendere a King’s Cross, anche se la pioggia cadeva più fitta che mai, e per trasportare i bauli attraverso la strada affollata e dentro la stazione si inzupparono fino all’osso.

Harry era ormai abituato a raggiungere il binario nove e tre quarti. Si trattava semplicemente di camminare dritti attraverso l’apparentemente solida barriera che separava i binari nove e dieci. L’unica parte complicata era farlo così da non dare nell’occhio, in modo da evitare di attirare l’attenzione dei Babbani. Quel giorno lo fecero a gruppi; Harry, Ron e Hermione (i più vistosi, dal momento che avevano Leo e Grattastinchi) andarono per primi; si appoggiarono alla barriera con aria noncurante, chiacchierando tranquillamente, e scivolarono di lato attraverso di essa… e il binario nove e tre quarti si materializzò davanti a loro.

L’Espresso di Hogwarts, un treno a vapore di un rosso lucente, era già là sputando nuvole di fumo, da cui i molti studenti di Hogwarts e i loro genitori sulla banchina emergevano come cupi fantasmi. Leo si fece più rumoroso che mai in risposta ai versi di molti gufi nella nebbia. Harry, Ron e Hermione andarono a prendere i posti, e ben presto sistemarono i bagagli in uno scompartimento a metà del treno. Poi saltarono giù di nuovo sulla banchina, per salutare la signora Weasley, Bill e Charlie.

«Può darsi che ci vedremo più presto di quel che pensate» disse Charlie con un gran sorriso mentre abbracciava Ginny.

«Perché?» chiese Fred molto incuriosito.

«Lo vedrete» disse Charlie. «Ma non dite a Percy che ve ne ho parlato… sono “informazioni riservate, almeno fino al momento in cui il Ministero non riterrà opportuno renderle note, dopotutto”» disse nel tono pomposo di Percy.

«Sì, vorrei tanto tornare a Hogwarts quest’anno» disse Bill, le mani in tasca, guardando il treno con aria quasi malinconica.

«Perché?» chiese George impaziente.

«Sarà un anno interessante per voi» disse Bill, con gli occhi che brillavano. «Potrei perfino prendermi una vacanza per venire a dare un’occhiata…»

«Un’occhiata a cosa?» chiese Ron.

Ma in quel momento il treno fischiò, e la signora Weasley li sospinse verso le porte.

«Grazie per averci ospitati, signora Weasley» disse Hermione, mentre salivano a bordo, chiudevano la porta e si sporgevano dal finestrino per gli ultimi saluti.

«Sì, grazie di tutto, signora Weasley» aggiunse Harry.

«Oh, è stato un piacere, cari» disse la signora Weasley. «Vi inviterei per Natale, ma… be’, suppongo che vorrete tutti restare a Hogwarts, visto che… insomma, fra una cosa e l’altra».

«Mamma!» disse Ron seccato. «Che cosa sapete voi tre che noi non sappiamo?»

«Lo scoprirete questa sera, immagino» disse la signora Weasley con un sorriso. «Sarà molto eccitante — badate, sono molto felice che le regole siano cambiate…»

«Quali regole?» chiesero Harry, Ron, Fred e George in coro.

«Sono sicura che il professor Silente ve lo dirà… ora, fate i bravi, d’accordo? D’accordo, Fred? E George?»

I pistoni sibilarono forte, e il treno prese a muoversi.

«Dicci che cosa succederà a Hogwarts!» urlò Fred spenzolandosi dal finestrino mentre la signora Weasley, Bill e Charlie si allontanavano a gran velocità. «Che regole sono cambiate?»

Ma la signora Weasley si limitò a sorridere e ad agitare la mano. Prima che il treno avesse voltato l’angolo, lei, Bill e Charlie si erano Smaterializzati.

Harry, Ron e Hermione tornarono nel loro scompartimento. La pioggia fitta che spruzzava i finestrini rendeva molto difficile guardare fuori. Ron aprì il suo baule, estrasse l’abito da cerimonia marrone e lo gettò sulla gabbia di Leo per farlo star zitto.

«Bagman voleva dirci che cosa succederà a Hogwarts» disse imbronciato, sedendo vicino a Harry. «Alla Coppa del Mondo, vi ricordate? E mia madre non vuole dirmelo. Chissà cosa…»

«Ssst!» Hermione sussurrò all’improvviso, premendosi un dito sulle labbra e indicando lo scompartimento accanto. Harry e Ron tesero le orecchie, e dalla porta aperta udirono una familiare voce melliflua.

«… Mio padre ha seriamente preso in considerazione l’idea di mandarmi a Durmstrang invece che a Hogwarts, sapete. Conosce il Preside, vedete. Be’, lo sapete che cosa pensa di Silente — quello ama i Mezzosangue — e Durmstrang non ammette quel genere di plebaglia. Ma a mia madre non piaceva l’idea che andassi a scuola così lontano. Mio padre dice che Durmstrang ha una posizione molto più ragionevole di Hogwarts sulle Arti Oscure. Gli studenti di Durmstrang le imparano, non fanno solo quelle sciocchezze di difesa come noi…»

Hermione si alzò, raggiunse in punta di piedi la porta dello scompartimento e la fece scorrere, chiudendo fuori la voce di Malfoy.

«Quindi è convinto che Durmstrang sarebbe andata meglio per lui, vero?» disse con rabbia. «Vorrei tanto che ci fosse andato, così non dovremmo sopportarlo noi».

«Durmstrang è un’altra scuola di magia?» chiese Harry.

«Sì» rispose Hermione sprezzante, «e ha una pessima fama. Secondo Compendio sull’Istruzione Magica in Europa, dà una grande importanza alle Arti Oscure».

«Credo di averne sentito parlare» disse Ron vagamente. «Dov’è? In che paese?»

«Be’, nessuno lo sa, no?» disse Hermione alzando le sopracciglia.

«Ehm… perché no?» chiese Harry.

«Per tradizione c’è da sempre una grande rivalità tra tutte le scuole di magia. Durmstrang e Beauxbatons preferiscono tenere nascosta la loro posizione, così nessuno può rubare i loro segreti» spiegò Hermione con tono pratico.

«Andiamo» disse Ron cominciando a ridere. «Durmstrang dev’essere grande come Hogwarts, come si fa a nascondere un castello enorme?»

«Ma Hogwarts è nascosto» disse Hermione sorpresa, «lo sanno tutti… be’, tutti quelli che hanno letto Storia di Hogwarts, comunque».

«Solo tu, allora» disse Ron. «Vai avanti: come si fa a nascondere un posto come Hogwarts?»

«È stregato» disse Hermione. «Se un Babbano lo guarda, non vede altro che un ammasso di rovine con un cartello all’ingresso che dice “ATTENZIONE, NON ENTRARE, PERICOLO”».

«Quindi anche Durmstrang appare in rovina visto da fuori?»

«Forse» rispose Hermione, scrollando le spalle, «o potrebbe essere pieno di Incantesimi Respingi-Babbani, come lo Stadio della Coppa del Mondo. E per evitare che maghi stranieri lo scoprano, l’avranno reso Indisegnabile…»

«Come hai detto?»

«Be’, si può stregare un edificio in modo che sia impossibile riprodurlo su una cartina, no?»

«Ehm… se lo dici tu» disse Harry.

«Ma io sono convinta che Durmstrang si trovi da qualche parte nell’estremo Nord, su su» disse Hermione pensierosa. «In un posto molto freddo, perché hanno anche mantelli di pelliccia come parte della divisa».

«Ah, pensate un po’» disse Ron sognante. «Sarebbe stato così facile buttare Malfoy giù da un ghiacciaio e farlo sembrare un incidente… peccato che sua madre abbia voluto tenerselo vicino…»

La pioggia divenne sempre più fitta mentre il treno avanzava verso nord. Il cielo era così cupo e i finestrini così appannati che le lanterne vennero accese già a mezzogiorno. Il carrello del pranzo arrivò sferragliando lungo il corridoio, e Harry comprò un bel mucchio di dolci da dividere con gli altri.

Parecchi dei loro amici vennero a salutarli mentre il pomeriggio avanzava, compresi Seamus Finnigan, Dean Thomas e Neville Paciock, un ragazzo molto distratto dalla faccia tonda che era stato cresciuto da una formidabile nonna strega. Seamus portava ancora la coccarda dell’lrlanda. Un po’ della magia sembrava essersi consumata; strillava ancora «Troy! Mullet! Moran!» ma in tono molto debole e sfinito. Dopo una mezz’oretta, Hermione, stanca delle interminabili chiacchiere sul Quidditch, si seppellì di nuovo nel Manuale di Incantesimi, volume quarto, e cominciò a cercare di imparare un Incantesimo di Appello.

Neville ascoltò geloso gli altri mentre raccontavano i momenti più magici della finale.

«La nonna non ha voluto venire» disse depresso. «Non ha voluto comprare i biglietti. Però dev’essere stato straordinario».

«Proprio così» disse Ron. «Guarda qua, Neville…»

Frugò nel baule issato sul portabagagli ed estrasse il Viktor Krum in miniatura.

«Oh, wow» esclamò Neville sempre più invidioso, mentre Ron gli metteva Krum nella mano grassoccia.

«L’abbiamo visto anche da vicino» disse Ron. «Eravamo in Tribuna d’onore…»

«Per la prima e ultima volta nella tua vita, Weasley».

Draco Malfoy era comparso sulla porta. Dietro di lui c’erano Tiger e Goyle, i suoi enormi scagnozzi, entrambi cresciuti, a quanto pareva, di almeno una trentina di centimetri durante l’estate. Evidentemente avevano origliato la conversazione dalla porta, che Dean e Seamus avevano lasciato socchiusa.

«Non mi pare di averti invitato qui, Malfoy» disse Harry freddamente.

«Weasley… che cos’è quella?» disse Malfoy, indicando la gabbia di Leo. Una manica dell’abito da cerimonia di Ron penzolava, oscillando al movimento del treno, mettendo chiaramente in mostra il polsino di pizzo tarlato.

Ron fece per nascondere il tutto, ma Malfoy fu più veloce; afferrò la manica e tirò.

«Guardate qui!» esclamò estatico, esibendo il vestito. «Weasley, non pensavi di metterti questa roba, vero? Voglio dire: era molto di moda nel 1890 o giù di li…»

«Vai a mangiare cacca, Malfoy!» disse Ron, dello stesso colore del vestito mentre lo strappava dalle mani dell’altro. Malfoy scoppiò in una risata di scherno; Tiger e Goyle ridacchiarono stupidamente.

«Allora… hai intenzione di partecipare, Weasley? Vuoi provare a portare un po’ di gloria al nome di famiglia? C’è anche del denaro, sai… potresti permetterti dei vestiti decenti se vincessi…»

«Di cosa stai parlando?» sbottò Ron.

«Hai intenzione di partecipare?» ripeté Malfoy. «Immagino che tu ci sarai, Potter. Non perdi mai l’occasione di metterti in mostra, vero?»

«Dicci cosa vuoi o sparisci, Malfoy» disse Hermione seccamente, da sopra il Manuale di Incantesimi.

Un sorriso gioioso si aprì sul volto pallido di Malfoy.

«Non dirmi che non lo sai» disse, deliziato. «Hai il padre e un fratello al Ministero e non lo sai nemmeno? Santo cielo, mio padre me l’ha detto secoli fa… l’ha sentito dire da Cornelius Caramell. Ma certo, mio padre ha sempre contatti di alto livello al Ministero… forse tuo padre è troppo in basso per saperlo. Weasley… sì… probabilmente non parlano di cose importanti in sua presenza…»

Con un’ultima risata, Malfoy fece un cenno a Tiger e Goyle e scomparvero tutti e tre.

Ron scattò in piedi e chiuse la porta scorrevole con tanta forza da mandare in frantumi il vetro.

«Ron!» esclamò Hermione. Poi estrasse la bacchetta, bisbigliò «Reparo!» e i frammenti di vetro volarono indietro a formare una sola lastra che tornò sulla porta.

«Be’… sembra sempre che lui sa tutto e noi no…» ringhiò Ron. «Ma certo, mio padre ha sempre contatti di alto livello al Ministero… papà avrebbe potuto avere la promozione quando voleva… è solo che gli piace stare dove sta…»

«Ma certo» disse Hermione piano. «Non lasciare che ti provochi, Ron…»

«Lui! Provocarmi! Figuriamoci!» disse Ron, afferrando uno dei dolci rimasti e riducendolo in poltiglia.

Il cattivo umore di Ron durò per tutto il viaggio. Non parlò molto mentre indossavano la divisa della scuola, ed era ancora incupito quando l’Espresso di Hogwarts finalmente rallentò e si fermò nel buio impenetrabile della stazione di Hogsmeade.

Mentre le portiere si aprivano, in alto echeggiò un rombo di tuono. Hermione avvolse Grattastinchi nel suo mantello e Ron lasciò l’abito da cerimonia sopra Leo mentre scendevano dal treno, le teste chine e gli occhi ridotti a fessure per il diluvio. La pioggia ora scendeva così fitta e rapida che era come se sulle loro teste venissero continuamente rovesciati secchi d’acqua ghiacciata.

«Ciao, Hagrid!» gridò Harry individuando una sagoma gigantesca all’estremità della banchina.

«Tutto bene, Harry?» urlò di rimando Hagrid, agitando il braccio. «Ci si vede alla festa se non si affoga prima!»

Quelli del primo anno per tradizione approdavano al castello di Hogwarts attraversando il lago in barca con Hagrid.

«Oooh, non mi piacerebbe affatto attraversare il lago con questo tempo» disse Hermione convinta, tremando mentre avanzavano lentamente lungo la banchina buia col resto della folla. Un centinaio di carrozze senza cavallo erano schierate in attesa fuori dalla stazione. Harry, Ron, Hermione e Neville si arrampicarono con sollievo in una di esse, la porta si chiuse con un colpo secco e, qualche momento dopo, la lunga processione di carrozze si fece strada rombando e schizzando acqua su per il sentiero che conduceva al castello di Hogwarts.

CAPITOLO 12

IL TORNEO TREMAGHI

Le carrozze avanzarono pesantemente attraverso i cancelli, fiancheggiati da statue di cinghiali alati, e su per il ripido viale, oscillando pericolosamente in quella che stava diventando in fretta una tempesta. La fronte contro il finestrino, Harry vide Hogwarts avvicinarsi, le molte finestre illuminate confuse e tremolanti al di là della fitta cortina di pioggia. Un fulmine dardeggiò nel cielo mentre la loro carrozza si fermava davanti ai grandi portoni di quercia in cima alla rampa di gradini di pietra. Chi era a bordo delle carrozze davanti a loro già si affrettava a salire e a entrare nel castello; anche Harry, Ron, Hermione e Neville balzarono giù e sfrecciarono per gli scalini, alzando lo sguardo solo quando si trovarono al riparo nell’imponente Sala d’Ingresso illuminata dalle torce con la sua grandiosa scalinata di marmo.

«Accidenti» disse Ron, scuotendo la testa e schizzando acqua dappertutto, «se continua cosi, il lago strariperà. Sono anneg… ARGH!»

Un grosso palloncino rosso pieno d’acqua era caduto giù dal soffitto sulla testa di Ron ed era esploso. Inzuppato e sputacchiante, Ron barcollò e urtò Harry; un secondo palloncino mancò per un soffio Hermione ed esplose ai piedi di Harry, sollevando un’ondata di acqua fredda sulle sue scarpe da tennis e fin dentro i calzini. I ragazzi intorno strillarono e presero a spintonarsi nel tentativo di uscire dalla linea di tiro. Harry alzò la testa: sei metri più su, a mezz’aria, Pix il Poltergeist, un omino con il berretto coperto di campanelle e il papillon arancione, prendeva la mira con la faccia maligna deformata dalla concentrazione.

«Pix!» urlò una voce adirata. «Pix, vieni giù IMMEDIATAMENTE!»

La professoressa McGranitt, vicepreside della scuola e direttrice della Casa di Grifondoro, era arrivata di fretta dalla Sala Grande; scivolò sul pavimento bagnato e si aggrappò al collo di Hermione per non cadere. «Oops… Chiedo scusa, signorina Granger…»

«Non è niente, professoressa!» esclamò Hermione col fiato mozzo, massaggiandosi la gola.

«Pix, scendi SUBITO!» abbaiò la professoressa McGranitt, raddrizzandosi il cappello a punta e gettando un’occhiataccia in su attraverso gli occhiali con la montatura squadrata.

«Non faccio niente!» ridacchiò Pix, scagliando una bomba d’acqua contro alcune ragazze del quinto anno, che urlarono e si precipitarono in Sala Grande. «Sono già bagnati, no? Piccoli presuntuosi! Vaaaaaaai!» E colpi un gruppo di ragazzi del secondo anno che erano appena arrivati.

«Chiamerò il Preside!» gridò la professoressa McGranitt. «Ti avverto, Pix…»

Pix tirò fuori la lingua, scagliò gli ultimi gavettoni e sfrecciò via su per la scalinata di marmo, ridendo come un pazzo.

«Be’, avanti, adesso!» disse severa la professoressa McGranitt alla folla in subbuglio, «in Sala Grande, andiamo!»

Harry, Ron e Hermione attraversarono sdrucciolando la Sala d’Ingresso e attraversarono la doppia porta sulla destra, con Ron che borbottava inviperito a mezza voce mentre si spingeva via dalla faccia i capelli inzuppati.

La Sala Grande era magnifica come sempre, decorata per il banchetto d’inizio anno. Piatti e calici d’oro scintillavano alla luce di centinaia e centinaia di candele che galleggiavano a mezz’aria sopra i tavoli. Le quattro lunghe tavolate delle case erano affollate di studenti vocianti; in fondo alla Sala, gli insegnanti sedevano lungo un solo lato di un quinto tavolo, di fronte ai loro allievi. Lì dentro faceva molto più caldo. Harry, Ron e Hermione passarono oltre i Serpeverde, i Corvonero e i Tassorosso e si sedettero con gli altri di Grifondoro all’estremità della Sala, vicino a Nick-Quasi-Senza-Testa, il fantasma di Grifondoro. Nick quella sera portava il suo solito farsetto, con una gorgiera particolarmente ampia, che serviva al doppio scopo di avere un’aria festaiola e di assicurare che la testa non ciondolasse troppo sul collo in parte tagliato.

«Buonasera» disse sorridendo.

«La sapete una cosa?» disse Harry sfilandosi le scarpe e svuotandole dell’acqua. «Spero che si sbrighino con lo Smistamento, sto morendo di fame».

La Cerimonia dello Smistamento degli studenti alle Case si svolgeva all’inizio di ogni anno scolastico, ma per una sfortunata serie di circostanze Harry non aveva assistito a nessuna, dopo la sua. Aveva una certa voglia di vederla.

In quell’istante, una voce affannata e molto su di giri gridò dall’altra parte del tavolo: «Ehilà, Harry!»

Era Colin Canon, uno del terzo anno per il quale Harry era una specie di eroe.

«Ciao, Colin» rispose Harry cauto.

«Harry, indovina un po’? Quest’anno c’è anche mio fratello! Mio fratello Dennis!»

«Ehm… bene!» disse Harry.

«È davvero emozionato!» esclamò Colin, praticamente saltellando. «Spero solo che finisca a Grifondoro! Incrocia le dita, eh, Harry?»

«Ehm… si, certo» disse Harry. Poi si rivolse di nuovo a Ron, Hermione e Nick-Quasi-Senza-Testa. «I fratelli e le sorelle di solito vanno nelle stesse Case, vero?» disse. Lo deduceva dai Weasley, che erano stati assegnati tutti e sette a Grifondoro.

«Oh, no, non necessariamente» disse Hermione. «La gemella di Calì Patil è a Corvonero, e sono identiche, ci si aspetterebbe che stessero insieme, no?»

Harry guardò il tavolo degli insegnanti. Sembrava che ci fossero più posti vuoti del solito. Hagrid, naturalmente, stava ancora tentando di attraversare il lago con quelli del primo anno; la professoressa McGranitt probabilmente stava sovrintendendo all’asciugatura del pavimento dell’ingresso, ma c’era anche un altro posto vuoto, e Harry non riuscì a capire chi altri mancasse.

«Dov’è il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure?» chiese Hermione, guardando dalla stessa parte.

Non avevano ancora avuto un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure che fosse durato più di tre trimestri. Il preferito di Harry, di gran lunga, era stato il professor Lupin, che aveva dato le dimissioni l’anno prima. Guardò il tavolo dei professori in lungo e in largo. Decisamente non c’erano facce nuove laggiù.

«Forse non sono riusciti a trovare nessuno!» disse Hermione preoccupata.

Harry scrutò il tavolo con maggiore attenzione. Il minuscolo professor Vitious, l’insegnante di Incantesimi, era seduto su una grossa pila di cuscini accanto alla professoressa Sprite, l’insegnante di Erbologia, che aveva il cappello di traverso sui capelli neri svolazzanti; stava parlando con la professoressa Sinistra di Astronomia. Accanto sedeva il giallastro, aquilino, untuoso insegnante di Pozioni, Piton — la persona meno gradita a Harry di tutta Hogwarts. Il disgusto di Harry per Piton era pari solo all’odio di Piton per lui, un odio che, se possibile, era aumentato l’anno prima, quando Harry aveva aiutato Sirius a fuggire sotto il lungo naso di Piton… Piton e Sirius erano nemici fin dai tempi della scuola.

Vicino a Piton c’era un posto vuoto, che Harry immaginò fosse quello della professoressa McGranitt. Oltre, esattamente al centro del tavolo, sedeva il professor Silente, il Preside, i capelli argentei e la barba fluente che brillavano alla fiamma delle candele, gli splendidi abiti verde cupo ricamati di numerose stelle e lune. Silente posava il mento sulle lunghe dita sottili, fissando il soffitto attraverso gli occhiali a mezzaluna come se fosse perso nei suoi pensieri. Anche Harry guardò il soffitto che rifletteva per magia il cielo fuori, e non l’aveva mai visto così tempestoso. Nuvole nere e viola lo attraversavano vorticando, e mentre rimbombava un altro tuono, saettò un fulmine.

«Oh, muovetevi» si lagnò Ron accanto a Harry. «Potrei mangiarmi un Ippogrifo».

Non fece in tempo a finire la frase che le porte della Sala Grande si aprirono, e cadde il silenzio. La professoressa McGranitt guidò una lunga fila di ragazzini del primo anno fino all’altro capo del salone. Se Harry, Ron e Hennione erano bagnati, non era niente a confronto dei nuovi arrivati: sembrava che invece di arrivare in barca avessero attraversato il lago a nuoto. Tutti tremavano di freddo e nervosismo mentre sfilavano lungo il tavolo degli insegnanti e si fermavano davanti al resto della scuola — tutti tranne il più piccolo, un ragazzino coi capelli color topo, avvolto in quello che Harry riconobbe come il cappotto di pelliccia di talpa di Hagrid. Il cappotto era così grande per lui che sembrava avviluppato in un tendone nero e peloso: il suo faccino spuntava da sopra il collo, quasi dolorosamente eccitato. Quando ebbe preso posto accanto ai suoi terrorizzati coetanei, incrociò lo sguardo di Colin Canon, alzò entrambi i pollici e articolò: «Sono caduto nel lago!» Sembrava decisamente divertito per l’accaduto.

La professoressa McGranitt posò uno sgabello a quattro gambe davanti alla fila e vi sistemò sopra un cappello da mago estremamente vecchio, sporco e rattoppato. I ragazzini lo fissarono. Così tutti gli altri. Per un attimo calò il silenzio. Poi uno strappo vicino all’orlo si spalancò come una bocca e il cappello prese a cantare:

Or son mille anni, o forse anche più,
che l’ultimo punto cucito mi fu:
vivevano allor quattro maghi di fama,
che ancora oggi celebri ognuno qui chiama.

Il fier Grifondoro, di cupa brughiera,
e Corvonero, beltà di scogliera,
e poi Tassorosso, signor di vallata,
e ancor Serpeverde, di tana infossata.

Un solo gran sogno li accomunava,
un solo progetto quei quattro animava:
creare una scuola, stregoni educare.
E Hogwarts insieme poteron fondare.

Ciascuno dei quattro una casa guidava,
ciascuno valori diversi insegnava:
ognuno stimava diverse virtù
e quelle cercava di accrescer vieppiù.

E se Grifondoro il coraggio cercava
e il giovane mago più audace premiava,
per Corvonero una mente brillante
fu tosto la cosa davvero importante.

Chi poi nell’impegno trovava diletto
del buon Tassorosso vinceva il rispetto,
e per Serpeverde la pura ambizione
contava assai più di ogni nobile azione.

I quattro, concordi, gli allievi diletti
sceglievan secondo criteri corretti.
Ma un giorno si dissero: chi li spartirà
quando ognuno di noi defunto sarà?

Così Grifondoro un modo trovava
e me dal suo capo veloce sfilava:
poi con i tre maghi una mente mi fece
capace di scegliere in loro vece.

E se sulle orecchie mi avrete calato,
voi state pur certi, non ho mai sbagliato:
nelle vostre teste un occhiata darò
e alla Casa giusta vi assegnerò!

Il Cappello Parlante finì e la Sala Grande risuonò d’applausi.

«Non è la stessa canzone che ha cantato quando ha diviso noi» disse Harry, applaudendo assieme a tutti gli altri.

«Ne canta una diversa ogni anno» disse Ron. «Dev’essere una vera pizza, essere un cappello, no? Immagino che passi tutto l’anno a preparare la prossima».

La professoressa McGranitt stava srotolando un gran rotolo di pergamena.

«Quando vi chiamo, dovete mettervi il Cappello e sedervi sullo sgabello» disse ai ragazzi in fila. «Quando il Cappello proclama la vostra Casa, andrete a sedervi al tavolo giusto.

«Ackerley, Stewart!»

Un ragazzo fece un passo avanti tremando visibilmente da capo a piedi, prese il Cappello Parlante, se lo mise e si sedette sullo sgabello.

«Corvonero!» strillò il Cappello.

Stewart Ackerley se lo tolse e corse al tavolo di Corvonero, dove tutti lo applaudirono. Harry colse di sfuggita Cho, la Cercatrice di Corvonero, che festeggiava il nuovo arrivato. Per un attimo fuggente, Harry provò lo strano impulso di unirsi al tavolo di Corvonero.

«Baddock, Malcolm!»

«Serpeverde!»

Il tavolo all’altro capo della Sala esplose in applausi; Harry vide Malfoy battere le mani mentre Baddock si univa ai Serpeverde. Harry si chiese se Baddock sapeva che la casa di Serpeverde aveva prodotto più Maghi e Streghe Oscuri di qualunque altra. Fred e George fischiarono mentre Malcolm Baddock si sedeva.

«Branstone, Eleanor!»

«Tassorosso!»

«Caldwell, Owen!»

«Tassorosso!»

«Canon, Dennis!»

Il piccolo Dennis Canon barcollò in avanti, inciampando nella pelliccia di talpa di Hagrid, proprio mentre quest’ultimo scivolava nella Sala attraverso una porta dietro il tavolo degli insegnanti. Alto due volte un uomo normale, e largo almeno tre, Hagrid, con la sua lunga barba nera aggrovigliata e incolta, aveva un aspetto vagamente inquietante — una falsa impressione, perché Harry, Ron e Hermione sapevano che Hagrid era di natura assai gentile. Il gigante fece loro l’occhiolino mentre sedeva all’estremità del tavolo degli insegnanti e guardava Dennis Canon infilarsi il Cappello Parlante. Lo squarcio vicino all’orlo si spalancò…

«Grifondoro!» gridò il Cappello.

Hagrid batté le mani con quelli di Grifondoro, mentre Dennis Canon, con un sorriso smisurato, si sfilava il Cappello e correva a raggiungere Colin.

«Colin, ce l’ho fatta!» disse con voce acuta, lasciandosi cadere su una sedia vuota. «È stato bellissimo! E qualcosa nell’acqua mi ha afferrato e mi ha spinto di nuovo sulla barca!»

«Forte!» disse Colin con lo stesso tono eccitato. «Probabile che fosse la piovra gigante, Dennis!»

«Wow!» disse Dennis, come se nessuno, nemmeno nel sogno più selvaggio, potesse sperare di meglio che finire dentro un lago profondissimo agitato dalla tempesta ed esserne ributtato fuori da un mostro marino gigante.

«Dennis! Dennis! Lo vedi quel ragazzo laggiù? Quello con i capelli neri e gli occhiali? L’hai visto? Lo sai chi è, Dennis?»

Harry distolse lo sguardo e lo fissò con insistenza sul Cappello Parlante che ora chiamava Emma Dobbs.

Lo Smistamento continuò; ragazzi e ragazze con vari gradi di paura stampati in faccia avanzavano uno dopo l’altro verso lo sgabello a tre gambe, e la fila diminuì lentamente mentre la professoressa McGranitt finiva la lettera L.

«Oh, muovetevi» gemette Ron massaggiandosi lo stomaco.

«Insomma, Ron, lo Smistamento è più importante del cibo» disse Nick-Quasi-Senza-Testa, mentre “Madley, Laura!” entrava a far parte di Tassorosso.

«Certo, se sei morto» ribatté Ron.

«Spero che quelli di Grifondoro di quest’anno siano all’altezza della situazione» disse Nick-Quasi-Senza-Testa, applaudendo mentre “McDonald, Natalie!” si univa al tavolo di Grifondoro. «Non vorremo perdere la nostra serie di vittorie, vero?»

Grifondoro aveva vinto la Coppa delle Case tre anni di fila.

«Pritchard, Graham!»

«Serpeverde!»

«Quirke, Orla!»

«Corvonero!»

E finalmente, con “Witby, Kevin!” (“Tassorosso!”) lo Smistamento si concluse. La professoressa McGranitt prese il Cappello e lo sgabello, e li portò via.

«Era ora» disse Ron, brandendo coltello e forchetta e guardando con aria d’attesa il suo piatto d’oro.

Il professor Silente si era alzato in piedi. Sorrise agli studenti, le braccia allargate in segno di benvenuto.

«Ho solo una parola da dirvi» esordì, la voce profonda che echeggiava nella Sala. «Abbuffatevi».

«Ma sicuro!» dissero Harry e Ron ad alta voce, mentre i piatti vuoti si riempivano per magia davanti ai loro occhi.

Nick-Quasi-Senza-Testa rimase a guardare con aria tetra mentre Harry, Ron e Hermione si riempivano i piatti.

«Aaah, ’sì va ’eglio!» disse Ron con la bocca piena di patate schiacciate.

«Siete fortunati che stasera ci sia il banchetto, sapete» disse Nick-Quasi-Senza-Testa. «Sono successi dei guai in cucina prima».

«Perché? Che ’osa è ’uccesso?» disse Harry masticando un enorme pezzo di bistecca.

«Pix, naturalmente» disse Nick-Quasi-Senza-Testa scuotendo la testa, che oscillò pericolosamente. Sì sistemò la gorgiera un po’ più su e riprese: «La solita questione, sapete. Voleva partecipare al banchetto: be’, non se ne parla proprio, sapete com’è fatto, così tremendamente incivile, appena vede un piatto di cibo lo lancia. Abbiamo tenuto un consiglio di spettri — il Frate Grasso voleva che gli dessimo una possibilità — ma assai saggiamente, secondo me, il Barone Sanguinario è stato fermissimo».

Il Barone Sanguinario era lo spettro di Serpeverde, un fantasma magro e silenzioso coperto di macchie di sangue argentato. Era l’unico a Hogwarts in grado di controllare Pix.

«Sì, l’avevamo capito che Pix sembrava eccitato per qualcosa» disse Ron cupo. «E allora che cos’ha combinato nelle cucine?»

«Oh, il solito» rispose Nick-Quasi-Senza-Testa alzando le spalle.

«Caos, turbamento e tafferuglio. Pentole dappertutto. Tutto allagato di minestra. Ha terrorizzato gli elfi domestici…»

Clang. Hermione aveva rovesciato la sua coppa d’oro. Il succo di zucca dilagò sulla tovaglia, lasciando una considerevole macchia arancione sul lino candido, ma Hermione non ci fece caso.

«Ci sono elfi domestici qui?» esclamò, guardando con orrore Nick-Quasi-Senza-Testa. «Qui a Hogwarts

«Certamente» rispose Nick-Quasi-Senza-Testa, sorpreso alla sua reazione. «Il più alto numero che in qualunque altro luogo della Gran Bretagna, credo. Sono più di cento».

«Non ne ho mai visto uno!» disse Hermione.

«Be’, non escono quasi mai dalla cucina di giorno, no?» disse Nick-Quasi-Senza-Testa. «Vengono fuori di notte per fare le pulizie… controllare i camini e così via… voglio dire, non dovresti vederli, no? È questa la caratteristica di un buon elfo domestico, no? Che non sai che c’è».

Hermione lo fissò.

«Ma vengono pagati?» chiese. «Hanno le vacanze, vero? E… i permessi per malattia, la pensione e il resto?»

Nick-Quasi-Senza-Testa ridacchiò così forte che la gorgiera scivolò via e la testa ricadde, penzolando dai tre centimetri scarsi di pelle e muscolo spettrale che la tenevano unita al collo.

«Permessi per malattia e pensione?» disse, risistemandosi la testa fra le spalle e bloccandola di nuovo con la gorgiera. «Gli elfi domestici non vogliono permessi per malattia e pensione!»

Hermione abbassò gli occhi sul piatto quasi intatto, vi posò forchetta e coltello e lo spinse via.

«Oh, andiamo, ’Er-mio-ne» disse Ron, spruzzando pezzetti di pasticcio di Yorkshire addosso a Harry. «Oops… scusa, ’arry». Deglutì. «Non sarà digiunando che gli farai dare i permessi per malattia!»

«Lavoro da schiavi» disse Hermione respirando affannosamente. «Ecco che cosa ha prodotto questa cena. Lavoro da schiavi».

E si rifiutò di inghiottire un altro boccone.

La pioggia tamburellava ancora pesantemente contro le alte, scure finestre. Un altro tuono scosse i vetri, e il soffitto tempestoso fu attraversato da un bagliore che illuminò i piatti d’oro mentre gli avanzi della prima portata sparivano e venivano sostituiti all’istante da altre pietanze.

«Torta di melassa, Hermione!» disse Ron, spingendola apposta sotto il suo naso. «Guarda, torta marmorina! Dolce al cioccolato!»

Ma Hermione gli scoccò un’occhiata così simile a quelle della professoressa McGranitt che lasciò subito perdere.

Quando anche i dolci furono demoliti, e le ultime briciole furono svanite dai piatti, lasciandoli lustri e puliti, Albus Silente si alzò di nuovo. Il chiacchiericcio che riempiva la Sala s’interruppe quasi all’istante, tanto da lasciar udire solo l’ululato del vento e il picchiettio della pioggia.

«Dunque!» esordì Silente, sorridendo a tutti quanti. «Ora che siamo tutti sazi e dissetati» («Hmph!» borbottò Hermione), «devo richiamare ancora una volta la vostra attenzione su alcuni avvisi.

«Mastro Gazza, il custode, mi ha chiesto di dirvi che la lista di oggetti proibiti dentro le mura del castello quest’anno è stata estesa agli Yo-yo Ululanti, ai Frisbee Zannuti e ai Boomerang Rimbalzatutto. La lista completa comprende qualcosa come quattrocentotrentasette oggetti, credo, e può essere consultata nell’ufficio di Mastro Gazza, se qualcuno volesse controllare».

Gli angoli della bocca di Silente si arricciarono.

«Come sempre, vorrei ricordare a tutti voi che la Foresta compresa entro i confini del parco della scuola è proibita agli studenti, come lo è il villaggio di Hogsmeade a tutti coloro che non sono ancora al terzo anno.

«È altresì mio doloroso dovere informarvi che la Coppa del Quidditch quest’anno non avrà luogo».

«Che cosa?» esclamò Harry senza fiato. Cercò con lo sguardo Fred e George, suoi compagni di squadra. Aprivano e chiudevano la bocca senza emettere alcun suono, in apparenza troppo sconvolti per parlare.

Silente riprese: «Ciò è dovuto a un evento che prenderà il via in ottobre e continuerà per tutto l’anno scolastico, impegnando molto del tempo e delle energie degli insegnanti: ma sono certo che vi divertirete tutti enormemente. Ho l’immenso piacere di annunciare che quest’anno a Hogwarts…»

Ma in quel momento risuonò un tuono assordante e le porte della Sala Grande si spalancarono.

Sulla soglia c’era un uomo appoggiato a un lungo bastone, avvolto in un mantello nero da viaggio. Un lampo improvviso lo illuminò: tutte le teste dei ragazzi si volsero di scatto a guardarlo. L’uomo abbassò il cappuccio, scosse una folta chioma di lunghi capelli brizzolati, poi prese ad avanzare verso il tavolo degli insegnanti.

Un sordo clunk echeggiò nella Sala un passo sì e uno no. Lo sconosciuto raggiunse l’estremità del tavolo, voltò a destra e zoppicò vistosamente verso Silente. Un altro lampo attraversò il soffitto. Hermione trattenne il respiro.

Una luce cruda aveva illuminato il volto dell’uomo, un volto diverso da tutti quelli che Harry avesse mai visto. Era come se fosse stato scolpito nel legno stagionato da qualcuno che avesse solo una vaga idea di come dovevano essere le facce umane, e non fosse molto abile con lo scalpello. Ogni centimetro di pelle sembrava coperto di cicatrici. La bocca pareva un taglio diagonale, e mancava un grosso pezzo di naso. Ma furono gli occhi dell’uomo a spaventarlo.

Uno era piccolo, scuro e lucente. L’altro era grande, tondo come una moneta e di un vivace blu elettrico. L’occhio blu si muoveva incessantemente, senza che mai calasse la palpebra, e roteava in su, in giù e da una parte all’altra, in totale autonomia rispetto all’occhio normale — e poi roteò indietro, verso l’interno della testa, così che ne rimase visibile solo il bianco.

Lo straniero raggiunse Silente. Tese una mano coperta di cicatrici quanto il volto, e Silente la strinse, mormorando parole che Harry non riuscì a cogliere. Parve rivolgere qualche domanda allo straniero, che scosse la testa senza sorridere e rispose sottovoce. Silente annuì e fece segno all’uomo di sedere nel posto vuoto alla sua destra.

Lo straniero sedette, scosse via la chioma grigio scuro, trasse a sé un piatto di salsicce, lo portò a ciò che restava del naso e lo annusò. Poi estrasse dalla tasca un coltellino, vi infilzò l’estremità della salsiccia e cominciò a mangiare. L’occhio normale era fisso sulle salsicce, ma quello blu sfrecciava ancora irrequieto tra le palpebre, abbracciando la Sala e gli studenti.

«Vorrei presentarvi il nostro nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure» disse allegro Silente, rompendo il silenzio. «Il professor Moody».

Era consuetudine che i nuovi componenti del corpo insegnante venissero accolti con un applauso, ma nessuno, né fra i docenti né fra i ragazzi, batté le mani a parte Silente e Hagrid: il suono echeggiò lugubre nel silenzio, e ben presto smisero. Tutti gli altri sembravano troppo esterrefatti dalla bizzarra apparizione di Moody per riuscire a far altro che fissarlo.

«Moody?» mormorò Harry rivolto a Ron. «Malocchio Moody? Quello che tuo padre è corso ad aiutare stamattina?»

«Dev’essere lui» disse Ron con voce bassa e timorosa.

«Che cosa gli è successo?» sussurrò Hermione. «Che cosa è successo alla sua faccia

«Non lo so» mormorò Ron, osservando Moody affascinato.

Moody parve del tutto indifferente all’accoglienza men che tiepida. Ignorando la caraffa di succo di zucca davanti a sé, infilò di nuovo la mano nel mantello da viaggio, estrasse una fiaschetta e bevve una lunga sorsata. Mentre alzava il braccio, il mantello si sollevò leggermente da terra, e Harry vide sotto il tavolo parecchi centimetri di una gamba di legno intagliato che terminava in un piede a zampa di leone.

Silente si schiarì di nuovo la voce.

«Come stavo dicendo» disse, sorridendo alla marea di studenti davanti a lui, tutti con gli occhi ancora puntati su Malocchio Moody, «nei prossimi mesi avremo l’onore di ospitare un evento assai emozionante, un evento che non ha luogo da più di un secolo. È con grandissimo piacere che vi informo che il Torneo Tremaghi quest’anno si terrà a Hogwarts».

«Sta SCHERZANDO!» disse Fred Weasley ad alta voce.

La tensione che aveva riempito la Sala dall’arrivo di Moody si ruppe all’improvviso. Quasi tutti scoppiarono a ridere, e Silente ridacchiò in tono soddisfatto.

«Non sto scherzando, signor Weasley» disse, «anche se, ora che me l’ha ricordato, quest’estate me ne hanno raccontata una niente male su un troll, una megera e un Lepricano che vanno insieme al bar…»

La professoressa McGranitt tossicchiò sonoramente.

«Ehm… ma forse non è questo il momento… no…» disse Silente. «Dov’ero rimasto? Ah, sì, il Torneo Tremaghi… be’, alcuni di voi forse non sanno di che si tratta, quindi spero che quelli di voi che lo sanno mi perdoneranno questa breve spiegazione, e sono liberi di pensare a quello che vogliono.

«Il Torneo Tremaghi fu indetto per la prima volta settecento anni fa, come competizione amichevole tra le tre maggiori scuole europee di magia: Hogwarts, Beauxbatons e Durmstrang. Venne scelto un campione per rappresentare ciascuna scuola, e i tre campioni gareggiarono in tre imprese magiche. Le scuole si alternavano nell’ospitare il Torneo ogni cinque anni, e tutti convennero che fosse un modo eccellente per stabilire legami tra giovani streghe e maghi di diverse nazionalità… almeno fino a quando il tributo di morti non divenne così elevato che fu deciso di sospendere il Torneo».

«Il tributo di morti?» sussurrò Hermione, preoccupata. Ma la sua agitazione non pareva condivisa dalla maggior parte degli studenti in sala; molti di loro parlottavano eccitati, e Harry stesso era molto più interessato ad avere altre notizie sul Torneo che a preoccuparsi per decessi avvenuti centinaia di anni prima.

«Ci furono parecchi tentativi nel corso dei secoli di riportare in auge il Torneo» continuò Silente, «nessuno dei quali ebbe molto successo. Comunque, i nostri Uffici per la Cooperazione Internazionale Magica e per i Giochi e gli Sport Magici hanno deciso che i tempi sono maturi per un nuovo tentativo. Abbiamo lavorato molto nel corso dell’estate per far sì che questa volta nessun campione o nessuna campionessa si trovi in pericolo mortale.

«I Presidi di Beauxbatons e di Durmstrang arriveranno in ottobre con la loro squadra scelta di campioni, e la selezione dei tre sfidanti avverrà a Halloween. Un giudice imparziale deciderà quali studenti saranno più degni di gareggiare per la Coppa Tremaghi, la gloria della loro scuola e un premio personale in denaro pari a mille galeoni».

«Io ci sto!» sibilò Fred Weasley lungo il tavolo, il viso acceso d’entusiasmo alla prospettiva di tanta gloria e ricchezza. Non era il solo a immaginarsi campione di Hogwarts: ai tavoli di ciascuna Casa, Harry vide ragazzi e ragazze che guardavano rapiti verso Silente o confabulavano con i vicini. Ma in quel momento Silente parlò di nuovo, e la Sala si zittì un’altra volta.

«Pur sapendo quanto ciascuno di voi sia desideroso di portare a Hogwarts la Coppa Tremaghi» disse, «i Presidi delle scuole partecipanti, assieme al Ministero della Magia, hanno convenuto di imporre un limite d’età per gli sfidanti di quest’anno. Solo gli studenti dell’età giusta — cioè da diciassette anni in su — potranno proporsi per la selezione. Questa» — Silente alzò un po’ la voce, perché una rumorosa protesta si scatenò a quelle parole, e i gemelli Weasley all’improvviso divennero furibondi — «è una misura che riteniamo necessaria, dal momento che le prove del Torneo saranno pur sempre difficili e pericolose, quali che siano le precauzioni che prenderemo, ed è altamente improbabile che gli studenti al di sotto del sesto e del settimo anno siano in grado di affrontarle. Mi assicurerò personalmente che nessuno studente di età inferiore inganni il nostro giudice imparziale e lo induca a nominarlo campione di Hogwarts». I suoi occhi azzurro chiaro scintillarono indugiando sulle facce ribelli di Fred e George. «Pertanto vi prego di non perdere tempo a iscrivervi se avete meno di diciassette anni.

«Le delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang arriveranno in ottobre e resteranno con noi per la maggior parte dell’anno. So che tutti voi tratterete con la massima gentilezza i nostri ospiti stranieri durante il loro soggiorno, e darete il vostro sincero sostegno al campione di Hogwarts quando verrà designato o designata. E ora è tardi e so quanto è importante che ciascuno di voi sia ben sveglio e riposato quando comincerete le lezioni domani mattina. Ora di andare a letto! Forza, veloci!»

Silente si risedette e si voltò a parlare con Malocchio Moody. Ci fu un gran fracasso di sedie spostate e colpi secchi mentre tutti gli studenti si alzavano e sciamavano nella Sala d’Ingresso attraverso le doppie porte.

«Non possono farlo!» esclamò George Weasley, che non si era unito alla folla che avanzava verso la porta, ma era lì in piedi a guardare torvo verso Silente. «Compiamo diciassette anni in aprile, perché non possiamo provarci?»

«Non riusciranno a impedirmi di partecipare» disse Fred cocciuto, scrutando accigliato il tavolo degli insegnanti. «I campioni faranno un sacco di cose che normalmente uno non ha il permesso di fare. E il premio di mille galeoni!»

«Si» disse Ron, lo sguardo remoto. «Sì, mille galeoni…»

«Andiamo» disse Hermione, «saremo gli ultimi se non vi muovete».

Harry, Ron, Hermione, Fred e George si avviarono verso l’Ingresso, gli ultimi due impegnati a discutere come Silente avrebbe potuto impedire ai minori di diciassette anni di prendere parte alle selezioni del Torneo.

«Chi è il giudice imparziale che deciderà i campioni?» chiese Harry.

«Non lo so» disse Fred, «ma è lui che dovremo ingannare. Scommetto che un paio di gocce di Pozione Invecchiante potrebbero servire, George…»

«Ma Silente lo sa che non avete l’età richiesta» disse Ron.

«Sì, ma non è lui a scegliere il campione, no?» disse Fred astuto. «Mi pare che una volta che questo giudice saprà chi vuole partecipare, sceglierà il migliore di ogni scuola senza badare affatto all’età. Silente sta cercando di impedirci di partecipare».

«Ma ci sono stati dei morti!» disse Hermione in tono petulante, mentre attraversavano una porta nascosta da un arazzo e imboccavano un’altra scalinata più stretta.

«Sì» disse Fred con leggerezza, «ma è successo tanti anni fa, no? E poi, che gusto c’è senza un po’ di rischio? Ehi, Ron, e se scopriamo come aggirare Silente? Ti va di partecipare?»

«Che cosa ne dici?» Ron chiese a Harry. «Sarebbe forte esserci, no? Ma temo che vorrebbero qualcuno più grande… non so se abbiamo imparato abbastanza…»

«Io no di sicuro» esclamò la voce cupa di Neville da dietro Fred e George. «Però credo che la nonna vorrebbe che provassi, dice sempre che dovrei tener alto l’onore della famiglia. Quindi dovrò — ooops…»

Il piede di Neville era sprofondato in un gradino a metà della rampa. C’erano molte scale truccate a Hogwarts; a gran parte degli studenti più anziani veniva ormai istintivo saltare quel gradino in particolare, ma la memoria di Neville era notoriamente scarsa. Harry e Ron lo afferrarono sotto le ascelle e lo tirarono fuori, mentre un’armatura in cima alle scale scricchiolava e sbatacchiava, scossa da una risata asmatica.

«Zitto, tu» disse Ron, chiudendole la celata mentre passavano.

Salirono fino all’ingresso della Torre di Grifondoro, che era nascosta dietro un grande ritratto di una signora grassa vestita di seta rosa.

«Parola d’ordine?» disse lei al loro arrivo.

«Guazzabuglio» disse George, «me l’ha detta un Prefetto giù di sotto».

Il ritratto si apri come una porta rivelando un’apertura nel muro, che tutti attraversarono. Un fuoco scoppiettante riscaldava la sala comune circolare, piena di tavoli e poltrone soffici. Hermione scoccò uno sguardo cupo alle fiamme che danzavano allegramente, e Harry la sentì distintamente mormorare “lavoro da schiavi”, prima di dar loro la buonanotte e di sparire al di là della porta che conduceva al dormitorio femminile.

Harry, Ron e Neville salirono l’ultima rampa di scale a spirale e raggiunsero il loro dormitorio, che si trovava in cima alla Torre. Cinque letti a baldacchino con tende di un intenso rosso cremisi erano disposti lungo le pareti, ciascuno con il baule del proprietario ai piedi. Dean e Seamus erano già pronti per dormire; Seamus aveva fissato la coccarda dell’Irlanda alla testata del letto, e Dean aveva appeso un poster di Viktor Krum sopra il comodino. Il suo vecchio manifesto della squadra di calcio dei West Ham era affisso lì accanto.

«Mentecatto» sospirò Ron, scuotendo la testa verso i giocatori perfettamente immobili.

Harry, Ron e Neville s’infilarono il pigiama e si ficcarono a letto. Qualcuno — un elfo domestico, senza dubbio — aveva sistemato degli scaldini tra le lenzuola. Era molto piacevole, star li distesi sotto le coperte ad ascoltare la tempesta che infuriava di fuori.

«Potrei provarci, sai» disse Ron assonnato nell’oscurità, «se Fred e George trovano il modo… il Torneo, non si sa mai, no?»

«Penso di sì…» Harry si rigirò, mentre una serie di nuove immagini sfolgoranti si formava nella sua testa… eccolo indurre il giudice imparziale a credere che aveva diciassette anni… eccolo diventare il campione di Hogwarts… eccolo in campo, le braccia alzate in segno di trionfo davanti a tutta la scuola impegnata ad applaudire e a urlare… aveva appena vinto il Torneo Tremaghi… il viso di Cho spiccava nitido nella folla confusa, raggiante di ammirazione…

Harry sorrise nel cuscino, straordinariamente felice che Ron non potesse vedere quello che vedeva lui.

CAPITOLO 15

MALOCCHIO MOODY

La mattina dopo la tempesta si era esaurita, anche se il soffitto della Sala Grande era ancora coperto; pesanti nuvole grigio peltro vorticavano in alto mentre Harry, Ron e Hermione studiavano i nuovi orari scolastici a colazione. Qualche sedia più in là, Fred, George e Lee Jordan discutevano i metodi magici per invecchiarsi e riuscire a essere ammessi di straforo al Torneo Tremaghi.

«Oggi non è male… siamo fuori tutta la mattina» disse Ron, che scorreva col dito la colonna dell’orario dedicata al lunedì. «Erbologia con quelli di Tassorosso e Cura delle Creature Magiche… accidenti, siamo ancora con i Serpeverde».

«Due ore di Divinazione oggi pomeriggio» gemette Harry leggendo più avanti. Divinazione era la materia che amava di meno, dopo Pozioni. La professoressa Cooman non faceva che predire la morte di Harry, cosa che lui trovava estremamente seccante.

«Avreste dovuto mollarla come ho fatto io» disse Hermione impaziente, imburrandosi una fetta di pane tostato. «Così fareste qualcosa di sensato come Aritmanzia».

«Vedo che hai ripreso a mangiare» disse Ron, osservando Hermione stendere una dose generosa di marmellata sul pane imburrato.

«Ho deciso che ci sono modi migliori per prendere posizione sui diritti degli elfi» disse Hermione altezzosa.

«Sì… e poi avevi fame» disse Ron con un ghigno.

Sopra di loro si udì un improvviso fruscio, e un centinaio di gufi planarono dalle finestre aperte, carichi della posta del mattino. D’istinto Harry guardò in su, ma non c’era traccia di qualcosa di bianco nella massa di bruno e grigio. I gufi volteggiarono sui tavoli, cercando i destinatari delle lettere e dei pacchi. Un grosso allocco calò su Neville Paciock e gli depositò in grembo un pacchetto: Neville si dimenticava quasi sempre di mettere in valigia qualcosa. All’altro capo della Sala, il barbagianni di Draco Malfoy era atterrato sulla sua spalla, portando da casa quella che sembrava la consueta scorta di caramelle e dolci. Cercando di nascondere la delusione che gli attanagliava lo stomaco, Harry tornò al suo porridge. Possibile che fosse successo qualcosa a Edvige, e che Sirius non avesse nemmeno ricevuto la sua lettera?

Questo cupo pensiero lo accompagnò per tutto il sentiero inzuppato dell’orto finché non raggiunsero la serra numero tre, e lì venne distratto dalla professoressa Sprite che mostrò alla classe le piante più brutte che Harry avesse mai visto. Più che piante sembravano lumache nere giganti, e spuntavano in verticale dal terriccio. Ciascuna si contorceva ed era ricoperta di bozzi grossi e lucenti che sembravano pieni di liquido.

«Bubotuberi» disse loro in tono sbrigativo la professoressa Sprite. «Devono essere strizzati. Dovete raccogliere il pus…»

«Che cosa?» esclamò Seamus Finnigan, disgustato.

«Pus, Finnigan, pus» ripeté la professoressa Sprite, «ed è estremamente prezioso, quindi non sprecatelo. Dovete raccogliere il pus, dicevo, in queste bottiglie. Mettetevi i guanti di pelle di drago, può fare strane cose alla pelle se non è diluito, il pus di Bubotubero».

Strizzare i Bubotuberi era rivoltante, ma dava anche una strana soddisfazione. Quando le bolle esplodevano, ne schizzava una grossa quantità di un liquido denso gialloverde, che aveva un forte odore di benzina. Lo misero nelle bottiglie come aveva detto la professoressa Sprite, e per la fine della lezione ne avevano raccolti parecchi litri.

«Questo farà felice Madama Chips» disse la professoressa Sprite, chiudendo l’ultima bottiglia con un tappo. «È un ottimo rimedio per le forme più ostinate di acne, il pus di Bubotubero. Dovrebbe impedire agli studenti di ricorrere a misure disperate per liberarsi dei foruncoli».

«Come la povera Eloise Midgen» disse Hannah Abbott, una di Tassorosso, in un sussurro. «Ha cercato di far sparire via i suoi con una maledizione».

«Che sciocca ragazza» commentò la professoressa Sprite scuotendo la testa. «Ma Madama Chips alla fine le ha riattaccato il naso».

Il rimbombo di una campana echeggiò dal castello attraverso i prati umidi, segnalando la fine della lezione, e la classe si divise; i Tassorosso rientrarono per andare a Trasfigurazione, e i Grifondoro presero la direzione opposta e percorsero il prato in discesa verso la piccola capanna di legno di Hagrid, che si trovava al limitare della Foresta Proibita.

Hagrid li aspettava fuori, la mano sul collare del suo enorme cane nero, Thor. Per terra ai suoi piedi c’erano parecchie casse di legno, e Thor uggiolava e tirava il collare, chiaramente impaziente di indagare più da vicino sul contenuto. Mentre si avvicinavano, udirono uno strano rumore di sonagli, punteggiato da quelle che sembravano piccole esplosioni.

«’giorno!» disse Hagrid, con un gran sorriso rivolto a Harry, Ron e Hermione. «Aspetto i Serpeverde, non vorranno perdersi questa roba: Schiopodi Sparacoda!»

«Puoi ripetere?» disse Ron.

Hagrid indicò il contenuto delle casse.

«Bleah!» strillò Lavanda Brown, facendo un balzo indietro.

’Bleah’ era una descrizione perfetta per gli Schiopodi, secondo Harry. Avevano l’aspetto di aragoste deformi senza corazza, orrendamente pallide e viscide, con le zampe che sbucavano da punti molto strani, e senza testa, almeno non visibile. In ogni cassa ce n’erano un centinaio, ciascuno lungo una ventina di centimetri, e brulicavano l’uno addosso all’altro, urtando ciechi contro i lati dei contenitori. Emanavano un foltissimo odore di pesce marcio. Ogni tanto dalla coda di uno Schiopodo volavano via delle scintille, e con un piccolo fuut questo schizzava in avanti di parecchi centimetri.

«Sono appena usciti dall’uovo» disse Hagrid fiero, «così potete tirarli su voi! Ho pensato che poteva essere una bella ricerca!»

«E perché dovremmo desiderare di allevarli?» disse una voce fredda.

Era Draco Malfoy. I Serpeverde erano arrivati: Tiger e Goyle sghignazzarono in segno di approvazione.

Hagrid parve in difficoltà.

«Voglio dire, che cosa fanno?» chiese Malfoy. «A che cosa servono

Hagrid aprì la bocca, e parve riflettere intensamente; ci fu una pausa di qualche secondo, poi rispose in tono rude: «Quella sarà la prossima lezione, Malfoy. Oggi dovete solo darci da mangiare. Dovrete provare a darci delle cose diverse — io non ne ho mai tenuti prima, non so che cosa ci piace. Io ho qua uova di formica e fegato di rana e un po’ di bisce: provate un po’ di tutto».

«Prima il pus, adesso questo» borbottò Seamus.

Solo il profondo affetto che provavano per Hagrid poté indurre Harry, Ron e Hermione ad afferrare viscide manciate di fegato di rana e calarle nelle casse per tentare gli Schiopodi. Harry non riuscì a reprimere il sospetto che tutta la faccenda fosse completamente inutile, perché pareva proprio che gli Schiopodi non fossero provvisti di bocca.

«Ahia!» strillò Dean Thomas dopo una decina di minuti. «Mi ha preso!»

Hagrid gli corse vicino, preoccupato.

«Gli è esplosa la coda!» disse Dean arrabbiato, mostrando a Hagrid una scottatura sulla mano.

«Ah, sì, può succedere quando scoppiano» annuì Hagrid.

«Bleah!» disse di nuovo Lavanda. «Hagrid, che cos’è quella cosa a punta?»

«Ah, certi hanno il pungiglione» disse Hagrid entusiasta (Lavanda ritrasse in fretta la mano dal contenitore). «Mi sa che sono i maschi… le femmine hanno delle cosette per succhiare sulla pancia… per succhiare il sangue, credo».

«Be’, adesso capisco perché stiamo cercando di tenerli in vita» disse Malfoy sarcastico. «Chi non vorrebbe un animaletto che brucia, punge e morde contemporaneamente?»

«Solo perché non sono proprio carini non vuol dire che non servono a niente» ribatté Hermione. «Il sangue di drago è straordinariamente magico, ma non per questo vorresti avere un drago come animale di compagnia, no?»

Harry e Ron fecero un gran sorriso a Hagrid, che scoccò loro un sorriso furtivo da sotto la barba cespugliosa. Hagrid sarebbe andato matto per un drago di compagnia, come Harry, Ron e Hermione sapevano fin troppo bene. Ne aveva avuto uno per un breve periodo durante il loro primo anno, un malvagio Dorsorugoso di Norvegia che rispondeva al nome di Norberto. Hagrid semplicemente adorava le creature mostruose: più letali erano, meglio era.

«Be’, almeno gli Schiopodi sono piccoli» disse Ron mentre tornavano al castello per il pranzo un’ora più tardi.

«Adesso lo sono» disse Hermione con tono esasperato, «ma una volta che Hagrid avrà scoperto cosa mangiano, ci scommetto che diventeranno lunghi due metri».

«Be’, non importa, se vien fuori che servono a curare il mal di mare, no?» disse Ron, con un sorriso malizioso.

«L’ho detto solo per zittire Malfoy» rispose Hermione. «Che, tra parentesi, secondo me ha ragione. La cosa migliore da fare sarebbe schiacciarli tutti prima che comincino ad attaccarci».

Sedettero al tavolo di Grifondoro e si servirono di costolette d’agnello e patate. Hermione cominciò a mangiare così in fretta che Harry e Ron la fissarono esterrefatti.

«Ehm… è questa la nuova presa di posizione a favore dei diritti degli elfi?» disse Ron. «Cercare di procurarti il vomito?»

«No» rispose Hermione con tutta la dignità che si può avere con la bocca piena di cavolini di Bruxelles. «Voglio solo andare in biblioteca».

«Cosa?» disse Ron incredulo. «Hermione, è il primo giorno! Non abbiamo ancora nemmeno i compiti da fare!»

Hermione alzò le spalle e continuò a ingurgitare cibo come se non mangiasse da giorni. Poi balzò in piedi, disse «Ci vediamo a cena!» e si allontanò a gran velocità.

Quando suonò la campana che segnalava l’inizio delle lezioni del pomeriggio, Harry e Ron si diressero alla Torre Nord: in cima a una stretta scala a chiocciola, una scaletta a pioli d’argento portava fino a una botola rotonda nel soffitto e alla stanza in cui viveva la professoressa Cooman.

Il familiare profumo dolciastro che si sprigionava dal fuoco colpì le loro narici quando sbucarono in cima alla scala. Come al solito, le tende erano tutte tirate; la stanza circolare era immersa nella fioca luce rossastra delle molte lampade drappeggiate con sciarpe e scialli. Harry e Ron superarono la folla di poltrone e pouf di chintz già occupati che riempivano la stanza e sedettero insieme a un tavolino rotondo.

«Buondì» disse la voce velata della professoressa Cooman proprio alle spalle di Harry, facendolo sobbalzare.

Molto esile, con enormi occhiali che rendevano i suoi occhi smisurati nel viso affilato, la professoressa Cooman sbirciava Harry con l’espressione tragica che riservava solo a lui. Il consueto notevole quantitativo di perline, catenelle e braccialetti che portava addosso scintillava alla luce del fuoco.

«Tu sei preoccupato, mio caro» disse a Harry in tono lugubre. «Il mio Occhio Interiore vede oltre il tuo viso spavaldo, vede l’anima inquieta che c’è dentro di te. E sono spiacente di dover dire che le tue preoccupazioni non sono infondate. Vedo che ti aspettano tempi difficili, ahimè… molto difficili… temo che la cosa di cui hai paura invero accadrà… e forse più presto di quel che credi…»

La sua voce si fece quasi un sussurro. Ron si voltò verso Harry con gli occhi al cielo, e Harry gli rispose con uno sguardo impassibile. La professoressa Cooman li oltrepassò e sedette in una gran poltrona coi braccioli davanti al camino, di fronte alla classe. Lavanda Brown e Calì Patil, che nutrivano una profonda ammirazione per la professoressa Cooman, sedevano su pouf, molto vicino a lei.

«Miei cari, è giunto il momento di prendere in esame le stelle» annunciò l’insegnante. «Il movimento dei pianeti e gli eventi misteriosi che rivelano solo a coloro che comprendono i passi della danza celestiale. Il destino umano può essere decifrato attraverso i raggi planetari, che si mescolano…»

Ma la mente di Harry era alla deriva. Il fuoco aromatico lo faceva sempre sentire sonnolento e ottuso, e i vaneggiamenti della professoressa Cooman non avevano propriamente effetti incantatori su Harry — anche se non poté fare a meno di pensare a quello che gli aveva appena detto. “Temo che la cosa di cui hai paura invero accadrà…”

Ma Hermione aveva ragione, si disse Harry irritato. La professoressa Cooman era davvero una vecchia impostora. Al momento non aveva paura proprio di niente… be’, a parte i suoi timori che Sirius fosse stato catturato… ma cosa ne sapeva la professoressa Cooman? Da molto tempo era giunto alla conclusione che le sue predizioni in realtà non fossero altro che risposte casualmente azzeccate e modi spettrali.

A parte, naturalmente, quella volta alla fine dell’ultimo trimestre, quando aveva predetto il ritorno di Voldemort… e Silente stesso si era detto convinto che quella trance fosse autentica, quando Harry gliel’aveva descritta…

«Harry!» sussurrò Ron.

«Cosa?»

Harry si guardò intorno; tutta la classe lo stava fissando. Si raddrizzò; si era quasi assopito, perso nel calore e nei suoi pensieri.

«Stavo dicendo, mio caro, che è evidente che sei nato sotto l’influenza funesta di Saturno» disse la professoressa Cooman, una debole nota di risentimento nella voce per il fatto che chiaramente Harry non pendeva dalle sue labbra.

«Nato sotto… cosa, mi scusi?» disse Harry.

«Saturno, il pianeta Saturno!» disse la professoressa Cooman, questa volta decisamente seccata che non fosse costernato dalla notizia. «Stavo dicendo che Saturno era di sicuro in una posizione di potere nei cieli al momento della tua nascita… i tuoi capelli scuri… la tua piccola statura… due tragiche perdite così presto… Credo di poter affermare a ragione, mio caro, che sei nato a metà inverno…»

«No» disse Harry. «Sono nato a luglio».

Ron trasformò rapidamente la risata in un accesso di tosse.

Mezz’ora dopo, a tutti era stata distribuita una complicata mappa circolare, e ciascuno tentava di definire la posizione dei pianeti al momento della sua nascita. Era un lavoro noioso, che richiedeva ripetute consultazioni di schemi e calcoli di angoli.

«Ho due Nettuni qui» disse Harry dopo un po’, guardando torvo la sua pergamena, «non può essere giusto, vero?»

«Aaaaah» disse Ron, imitando il sussurro mistico della professoressa Cooman, «quando due Nettuni appaiono nel cielo, è un segno sicuro che sta nascendo un piccoletto con gli occhiali, Harry…»

Seamus e Dean, che lavoravano lì accanto, ridacchiarono forte, anche se non abbastanza da coprire gli squittii eccitati di Lavanda Brown. «Oh, professoressa, guardi qui! Credo di avere un pianeta inaspettato! Oooh, che pianeta è, professoressa?»

«È Urano, mia cara» rispose la professoressa Cooman, scrutando la mappa.

«Posso dare anch’io un’occhiata a Urano, Lavanda?» disse Ron.

Per sua gran sfortuna, la professoressa Cooman lo sentì, e fu questo, forse, che la indusse a dare così tanti compiti alla fine della lezione.

«Un’analisi dettagliata del modo in cui vi influenzeranno i movimenti planetari del prossimo mese, con riferimento alla vostra mappa personale» sbottò seccamente in un tono molto poco mistico e molto più simile a quello della professoressa McGranitt. «La voglio pronta per lunedì, e niente scuse!»

«Maledetta vecchia pipistrella» disse Ron amaramente, mentre si univano alla folla che scendeva le scale diretta alla Sala Grande. «Ci vorrà tutto il fine settimana, ci vorrà…»

«Tanti compiti?» disse Hermione in tono vivace, raggiungendoli. «Il professor Vector a noi non ne ha dato nemmeno uno!»

«Be’, urrà per il professor Vector» disse Ron imbronciato.

Raggiunsero l’Ingresso, che era affollato di ragazzi in coda per la cena. Si erano appena messi in fila quando alle loro spalle risuonò una voce forte.

«Weasley! Ehi, Weasley!»

Harry, Ron e Hermione si voltarono. Malfoy, Tiger e Goyle erano lì, e tutti e tre parevano gongolare per qualcosa.

«Cosa c’è?» disse Ron asciutto.

«Tuo padre è sul giornale, Weasley!» disse Malfoy, brandendo una copia della Gazzetta del Profeta e parlando a voce molto alta, così che lo sentissero tutti nell’Ingresso gremito. «Ascolta un po’!»

ALTRI ERRORI AL MINISTERO DELLA MAGIA

Pare che i guai del Ministero della Magia non siano ancora finiti, scrive Rita Skeeter, inviato speciale. Recentemente sotto accusa per lo scarso controllo alla Coppa del Mondo di Quidditch, e ancora incapace di giustificare la sparizione di una delle sue streghe, il Ministero è sprofondato di nuovo nell’imbarazzo ieri a opera di Arnold Weasley, dell’Ufficio per l’Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani.

Malfoy alzò gli occhi dalla pagina.

«Figuriamoci, non sono nemmeno riusciti a dare il nome giusto, Weasley: è come se fosse una completa nullità, vero?» gracchiò.

Ora nell’Ingresso lo ascoltavano tutti. Malfoy raddrizzò la pagina con un gesto pomposo e lesse:

Arnold Weasley, che due anni fa fu accusato di possesso di un’auto volante, ieri è stato coinvolto in una zuffa con parecchi protettori della legge babbani (’poliziotti’) a causa di alcuni bidoni della spazzatura altamente aggressivi. Pare che il signor Weasley sia intervenuto in aiuto di Malocchio Moody, l’anziano ex Auror che è andato in pensione dal Ministero quando non è stato più in grado di distinguere fra una stretta di mano e un tentato omicidio. Com’era prevedibile, il signor Weasley, all’arrivo presso la casa strettamente sorvegliata del signor Moody, ha scoperto che quest’ultimo aveva ancora una volta dato un falso allarme. Il signor Weasley è stato costretto a modificare parecchie memorie prima di riuscire a sfuggire ai poliziotti, ma si è rifiutato di rispondere alle domande della Gazzetta del Profeta sul perché abbia coinvolto il Ministero in una scena tanto indegna e potenzialmente imbarazzante.

«E c’è anche la foto, Weasley!» disse Malfoy, raddrizzando il giornale e reggendolo in alto. «Una foto dei tuoi genitori a casa loro, sempre che si possa chiamarla casa! Tua madre potrebbe anche perdere qualche chilo, no?»

Ron tremava di rabbia. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui.

«Vai al diavolo, Malfoy» disse Harry. «Andiamo, Ron…»

«Oh, certo, sei stato da loro quest’estate, vero, Potter?» sogghignò Malfoy. «Allora dimmi, sua madre è davvero così cicciona, o è solo la foto?»

«Hai presente tua madre, Malfoy?» disse Harry che con Hermione tratteneva Ron per i vestiti, per impedirgli di scagliarsi su Malfoy. «Quella faccia che fa, come se avesse la cacca sotto il naso? Ce l’ha sempre avuta o è solo perché era con te?»

Il volto pallido di Malfoy arrossì appena. «Non osare insultare mia madre, Potter».

«Tieni la tua boccaccia chiusa, allora» disse Harry, voltandosi.

BANG!

Parecchi ragazzi urlarono. Harry sentì qualcosa di incandescente graffiargli il lato del viso. Affondò la mano in tasca per prendere la bacchetta, ma prima ancora di riuscire a toccarla, udì un secondo forte BANG, e un ruggito che echeggiò per tutta la Sala d’Ingresso.

«OH NO CHE NON LO FAI, RAGAZZO!»

Harry si voltò di scatto. Il professor Moody scendeva zoppicando la scalinata di marmo. Aveva estratto la bacchetta e la puntava su un furetto di un bianco immacolato, che tremava sul pavimento di pietra, esattamente nel punto in cui prima c’era Malfoy.

Nell’Ingresso calò un silenzio terrorizzato. Nessuno mosse un muscolo tranne Moody, che si voltò per guardare Harry — o meglio, il suo occhio normale guardava Harry; l’altro era rivolto verso l’interno della testa.

«Ti ha preso?» ringhiò Moody. La sua voce era bassa e rauca.

«No» rispose Harry, «mancato».

«LASCIALO!» gridò Moody.

«Lasciare… che cosa?» chiese Harry, esterrefatto.

«Non tu, lui!» ringhiò Moody, puntando il pollice sopra la spalla per indicare Tiger, che si era appena immobilizzato sul punto di prendere in braccio il furetto bianco. A quanto pareva, l’occhio di Moody era magico e poteva vedere dall’altra parte della testa.

Moody prese a zoppicare verso Tiger, Goyle e il furetto, che emise uno squittio spaventato e scattò via, filandosela verso i sotterranei.

«Non credo proprio!» ruggì Moody puntando la bacchetta di nuovo verso il furetto, che volò in aria a tre metri di altezza, cadde con un tonfo al suolo e poi rimbalzò di nuovo in alto.

«Non mi piace chi attacca quando l’avversario gli volta le spalle» ruggì Moody, mentre il furetto rimbalzava sempre più in alto e squittiva di dolore. «È una cosa sporca, vile e infima…»

Il furetto volò per aria, le zampe e la coda che si agitavano invano.

«Non — farlo — mai — più» disse Moody, pronunciando ogni parola man mano che il furetto colpiva il pavimento di pietra e rimbalzava di nuovo.

«Professor Moody!» disse una voce stupefatta.

La professoressa McGranitt scendeva la scalinata di marmo con le braccia cariche di libri.

«Salute, professoressa McGranitt» disse Moody tranquillamente, spedendo il furetto ancora più su.

«Che cosa… che cosa sta facendo?» chiese la professoressa McGranitt, gli occhi che seguivano l’ascesa del furetto.

«Insegno» rispose Moody.

«Insegna… Moody, quello è uno studente?» strillò la professoressa McGranitt mentre i libri le cadevano a terra.

«Già» rispose Moody.

«No!» urlò la professoressa McGranitt, scendendo la scala di corsa ed estraendo la bacchetta; un attimo dopo, con un forte schiocco, ricomparve Draco Malfoy, accasciato a terra, i lisci capelli biondi che coprivano la faccia rossa come un papavero. Malfoy si rialzò tremante.

«Moody, non usiamo mai la Trasfigurazione per punire!» disse debolmente la professoressa McGranitt. «Il professor Silente deve averglielo detto di sicuro!»

«È possibile che me l’abbia accennato, sì» disse Moody grattandosi il mento, tutt’altro che preoccupato, «ma ho pensato che un bello spavento coi fiocchi…»

«Noi diamo dei castighi, Moody! O parliamo con il direttore della Casa del colpevole!»

«Allora farò così» disse Moody, fissando Malfoy con enorme disgusto.

Malfoy, i cui pallidi occhi lacrimavano ancora dal dolore e dall’umiliazione, scoccò uno sguardo malevolo di sotto in su verso Moody e borbottò qualcosa in cui si distinsero le parole “mio padre”.

«Ah davvero?» disse Moody piano, zoppicando in avanti di qualche passo, il secco clunk della gamba di legno che echeggiava nell’ingresso. «Be’, conosco tuo padre da molto tempo, ragazzo… digli che Moody tiene d’occhio suo figlio come si deve… digli questo da parte mia… ora, il direttore della tua Casa è Piton, vero?»

«Sì» rispose Malfoy pieno di rancore.

«Un altro vecchio amico» ringhiò Moody. «Avevo proprio voglia di fare una bella chiacchierata col vecchio Piton… vieni, tu…» E preso Malfoy per il braccio, lo trasse in piedi senza tanti complimenti e lo condusse verso i sotterranei.

La professoressa McGranitt rimase a fissarli preoccupata per qualche istante, poi agitò la bacchetta verso i libri sparsi a terra, che si alzarono galleggiando per aria e tornarono fra le sue braccia.

«Non dite niente» sussurrò Ron a Harry e Hermione, mentre poco dopo si sedevano al tavolo di Grifondoro, circondati da chiacchiere eccitate su ciò che era appena accaduto.

«Perché no?» chiese Hermione sorpresa.

«Perché voglio fissare tutto questo nella memoria per sempre» disse Ron, gli occhi chiusi e l’espressione rapita. «Draco Malfoy, lo straordinario furetto rimbalzante…»

Harry e Hermione risero entrambi, e lei prese a riempire i piatti di stufato.

«Poteva fargli male sul serio, a Malfoy, però» disse. «È stato un bene, veramente, che la professoressa McGranitt l’abbia fatto smettere…»

«Hermione!» esclamò Ron veemente, gli occhi di nuovo spalancati. «Stai sciupando il momento più bello della mia vita!»

Hermione sbuffò d’impazienza e prese di nuovo a mangiare a tutta velocità.

«Non dirmi che questa sera torni in biblioteca» disse Harry osservandola.

«Devo» rispose Hermione a bocca piena. «Ho un sacco da fare».

«Ma hai detto che il professor Vector…»

«Non sono compiti» rispose. In cinque minuti vuotò il piatto e se ne andò.

Si era appena alzata che il suo posto fu preso da Fred Weasley. «Moody!» disse. «Ma quanto è forte, eh?»

«È più che forte» disse George, sedendosi di fronte a Fred.

«Superforte» disse il migliore amico dei gemelli, Lee Jordan, scivolando nel posto accanto a George. «L’abbiamo avuto oggi pomeriggio» disse a Harry e Ron.

«Com’è stato?» chiese Harry molto incuriosito.

Fred, George e Lee si scambiarono sguardi eloquenti.

«Mai sentita una lezione così» disse Fred.

«Lui sa, ragazzo» disse Lee.

«Sa cosa vuol dire andare là fuori a farlo» disse George in tono solenne.

«Fare che cosa?» chiese Harry.

«Combattere le Arti Oscure» disse Fred.

«Ha visto di tutto» disse George.

«Eccezionale» disse Lee.

Ron frugò nello zaino in cerca dell’orario.

«Non ce l’abbiamo fino a giovedì!» disse, deluso.

CAPITOLO 14

LE MALEDIZIONI SENZA PERDONO

I due giorni successivi trascorsero senza gravi incidenti, a parte il fatto che Neville fuse il suo sesto calderone a Pozioni. Il professor Piton, che nel corso dell’estate sembrava aver raggiunto nuove vette di perfidia, lo punì costringendolo a sventrare un intero barile di rospi cornuti, e Neville tornò in uno stato di collasso nervoso.

«Lo sai perché Piton è così di cattivo umore, vero?» disse Ron a Harry mentre Hermione insegnava a Neville un Incantesimo Smacchiatore per rimuovere le budella di rospo da sotto le unghie.

«Sì» rispose Harry. «Moody».

Era noto a tutti che Piton desiderava ardentemente il posto di insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, e non era riuscito a ottenerlo per il quarto anno di fila. Piton aveva preso in antipatia tutti gli insegnanti precedenti, e l’aveva dimostrato, ma sembrava stranamente cauto nel manifestare aperta ostilità nei confronti di Malocchio Moody. A dire il vero, tutte le volte che Harry li vedeva insieme — ai pasti, o quando passavano nei corridoi — aveva la netta impressione che Piton evitasse l’occhio di Moody, sia quello magico che quello normale.

«Credo che Piton abbia un po’ paura di lui, sai» disse Harry pensieroso.

«Prova un po’ a pensare se Moody trasformasse Piton in un rospo cornuto» disse Ron, gli occhi velati, «e lo facesse rimbalzare per tutte le segrete…»

Gli studenti di Grifondoro del quarto anno aspettavano la prima lezione di Moody con tanta ansia che il giovedì arrivarono subito dopo pranzo e si disposero in fila davanti alla sua classe prima ancora che la campana suonasse. La sola persona assente era Hermione, che comparve appena in tempo per la lezione.

«Ero in…»

«… biblioteca» completò Harry. «Dai, muoviti, o non troveremo posti decenti».

Si affrettarono a occupare tre sedie proprio davanti alla cattedra, estrassero la loro copia di Le Forze Oscure: Guida all’Autodifesa, e attesero, insolitamente tranquilli. Presto udirono il tonfo dei passi disuguali di Moody che percorreva il corridoio, ed egli entrò in classe, terrorizzante come sempre. Si vedeva appena il piede di legno a forma di zampa spuntare da sotto il mantello.

«Potete metterli via» borbottò, arrancando verso la cattedra e mettendosi a sedere, «quei libri. Non vi serviranno».

Rimisero i libri nelle borse. Ron sembrava decisamente elettrizzato.

Moody estrasse il registro, allontanò la lunga chioma di capelli brizzolati dal viso contorto e sfigurato e prese a fare l’appello, con l’occhio normale che scorreva sicuro la lista mentre l’occhio magico roteava, indugiando su ogni studente quando rispondeva alla chiamata.

«Allora» disse, quando l’ultimo si fu dichiarato presente, «ho ricevuto una lettera dal professor Lupin a proposito di questa classe. Mi pare che abbiate una preparazione piuttosto solida nell’affrontare le Creature Oscure — avete fatto i Mollicci, i Berretti Rossi, i Marciotti, gli Avvincini, i Kappa e i Lupi Mannari, è esatto?»

Ci fu un mormorio diffuso di assenso.

«Ma siete indietro — molto indietro — sulle maledizioni» disse Moody. «Quindi sono qui per spiegarvi nel dettaglio quello che i maghi possono farsi gli uni agli altri. Ho un anno per insegnarvi come affrontare le Forze…»

«Come, non rimarrà?» disse Ron d’impulso.

L’occhio magico di Moody roteò per fissarsi su Ron, che cambiò faccia, spaventato; ma dopo un attimo Moody sorrise: era la prima volta che lo faceva. Ciò rese il suo volto segnato di cicatrici più devastato e contorto che mai, ma fu confortante sapere che era in grado di fare una cosa amichevole come sorridere. Ron parve molto sollevato.

«Tu devi essere il figlio di Arthur Weasley, eh?» disse Moody. «Tuo padre mi ha tirato fuori da un bel guaio qualche giorno fa… sì, mi fermo solo quest’anno. Un favore speciale a Silente… un anno, e poi torno alla mia vita tranquilla di pensionato».

Fece una risata roca, e poi batté le mani nodose.

«Allora, cominciamo subito. Le maledizioni. Assumono forze e forme diverse. Ora, secondo il Ministero della Magia dovrei insegnarvi le contromaledizioni e fermarmi lì. Non dovrei mostrarvi come sono fatti gli Anatemi Oscuri illegali prima del sesto anno. Si ritiene che non siate grandi abbastanza da affrontarli fino ad allora. Ma il professor Silente ha un’opinione più alta dei vostri nervi, pensa che possiate farcela, e prima sapete che cosa dovrete fronteggiare meglio è, dico io. Come potete difendervi da qualcosa che non avete mai visto? Un mago che sta per scagliarvi contro un anatema illegale non vi dirà cosa ha intenzione di fare. Non ha intenzione di comportarsi lealmente. Dovete essere preparati. Dovete essere vigili e attenti. Dovete mettere via quella roba, signorina Brown, quando parlo io».

Lavanda sobbalzò e arrossì. Stava mostrando a Calì il suo oroscopo completo sotto il banco. Evidentemente l’occhio magico di Moody riusciva a vedere attraverso il legno massiccio, oltre che dietro la testa.

«Allora… qualcuno di voi sa a quali maledizioni corrispondono le pene più gravi secondo la legge magica?»

Parecchie mani si alzarono esitanti, comprese quelle di Ron e di Hermione. Moody indicò Ron, anche se il suo occhio magico era ancora puntato su Lavanda.

«Ehm» esordì Ron esitante, «papà me ne ha spiegato una… si chiama la Maledizione Imperius, mi pare?»

«Ah, sì» disse Moody in tono di lode. «Tuo padre dovrebbe conoscerla. Ha procurato al Ministero un sacco di guai tutti insieme, la Maledizione Imperius».

Moody si alzò pesantemente sui piedi scompagnati, aprì il cassetto della scrivania ed estrasse un barattolo di vetro. Dentro zampettavano tre grossi ragni neri. Harry sentì che Ron gli si rannicchiava addosso: li detestava, i ragni.

Moody pescò nel barattolo, prese uno dei ragni e lo tenne nel palmo della mano in modo che tutti lo vedessero.

Poi puntò la bacchetta contro di lui e borbottò: «Imperio!»

Il ragno si calò con un balzo dalla mano di Moody appeso a un sottile filo di seta, e prese a dondolarsi avanti e indietro come su un trapezio. Tese le zampe rigidamente, poi fece un salto all’indietro, spezzando il filo e atterrando sulla scrivania, dove cominciò a fare la ruota in cerchio. Moody agitò la bacchetta, e il ragno si alzò su due delle zampe posteriori e si esibì in quello che era un inconfondibile passo di tip tap.

Tutti risero: tutti tranne Moody.

«Vi sembra divertente, eh?» ringhiò. «Vi piacerebbe, eh, se lo facessi a voi?»

Le risate si spensero quasi all’istante.

«Controllo totale» disse Moody piano, mentre il ragno si appallottolava e cominciava a rotolare. «Potrei costringerlo a saltare fuori dalla finestra, ad affogarsi, a ficcarsi giù per la gola di uno di voi…»

Ron rabbrividì istintivamente.

«Anni fa, c’erano un sacco di maghi e streghe controllati dalla Maledizione Imperius» disse Moody, e Harry seppe che alludeva ai giorni di massima potenza di Voldemort. «Un bel lavoretto per il Ministero, cercare di stabilire chi era costretto a fare certe cose e chi le faceva di sua spontanea volontà.

«La Maledizione Imperius può essere contrastata, e io vi insegnerò come, ma ciò richiede una gran forza di carattere, e non tutti ce l’hanno. Meglio evitare di esserne vittime, se potete. VIGILANZA COSTANTE!» abbaiò, e tutti sussultarono.

Moody raccolse il ragno sobbalzante e lo rimise nel barattolo. «Qualcun altro ne sa una? Un’altra maledizione illegale?»

La mano di Hermione scattò di nuovo, e sali anche, con lieve sorpresa di Harry, quella di Neville. L’unica lezione nella quale di solito Neville forniva volontariamente informazioni era Erbologia, che era di gran lunga la materia in cui riusciva meglio. Neville stesso parve sorpreso della propria audacia.

«Sì?» disse Moody, l’occhio magico che roteava per fissarsi su Neville.

«Ce n’è una… la Maledizione Cruciatus» disse Neville, con la sua vocetta acuta ma ben chiara.

Moody guardò molto attentamente Neville, questa volta con entrambi gli occhi.

«Tu sei Paciock?» disse, l’occhio magico che roteava in giù per consultare di nuovo il registro.

Neville annuì nervoso, ma Moody non indagò oltre. Rivolto a tutta la classe, afferrò il secondo ragno nel barattolo e lo mise sulla cattedra, dove rimase immobile, in apparenza troppo spaventato per muoversi.

«La Maledizione Cruciatus» disse Moody. «Dev’essere un po’ più grosso perché possiate capire» disse, puntando la bacchetta contro il ragno. «Engorgio!»

Il ragno si gonfiò. Ora era più grosso di una tarantola. Senza più alcuna riserva, Ron spinse indietro la sedia, allontanandola il più possibile dalla scrivania di Moody.

Moody alzò di nuovo la bacchetta, la puntò contro il ragno e mormorò: «Crucio!»

D’un tratto, le zampe del ragno si piegarono sotto il suo corpo; l’animale si rovesciò e prese a contorcersi orribilmente, dondolando da una parte all’altra. Non emise alcun suono, ma Harry fu certo che se avesse potuto, avrebbe urlato. Moody non spostò la bacchetta, e il ragno cominciò a sobbalzare e ad agitarsi più violentemente…

«Basta!» esclamò Hermione con voce stridula.

Harry si voltò verso di lei. Stava guardando non il ragno ma Neville, e Harry, seguendo il suo sguardo, vide che le mani di Neville stringevano il bordo del banco, le nocche bianche, gli occhi spalancati e stravolti.

Moody alzò la bacchetta. Le zampe del ragno si rilassarono, ma continuò a contorcersi.

«Reducio» mormorò Moody, e il ragno rimpicciolì fino a tornare della sua misura normale. Moody lo rimise nel barattolo.

«Dolore» disse Moody dolcemente. «Non c’è bisogno di pinze schiacciapollici o coltelli per torturare qualcuno se sapete scagliare la Maledizione Cruciatus… anche quella era molto popolare, una volta. Bene… qualcuno ne conosce altre?»

Harry si guardò intorno. Dalle facce, capì che si stavano chiedendo tutti che cosa sarebbe successo all’ultimo ragno. La mano di Hermione tremò appena mentre la alzava per la terza volta.

«Sì?» disse Moody, guardandola.

«Avada Kedavra» sussurrò Hermione.

In parecchi la guardarono tesi, compreso Ron.

«Ah» disse Moody, un altro vago sorriso che gli torceva la bocca storta. «Sì, l’ultimo, e il peggiore. Avada Kedavra… l’Anatema che uccide».

Infilò la mano nel barattolo di vetro, e come se intuisse che cosa stava per succedere, il terzo ragno corse freneticamente sul fondo del barattolo, cercando di sfuggire alle dita di Moody, ma lui lo afferrò e lo depose sulla cattedra. Il ragno prese a zampettare affannosamente sulla superficie di legno.

Moody levò la bacchetta, e Harry presentì quanto sarebbe accaduto e rabbrividì.

«Avada Kedavra!» ruggì Moody.

Ci furono un lampo di luce verde accecante e un rumore improvviso, come se un’entità enorme e invisibile galleggiasse nell’aria: il ragno si rovesciò sulla schiena all’istante, intatto ma inequivocabilmente morto. Parecchie ragazze lanciarono grida soffocate; Ron si era gettato all’indietro e quasi cadde dalla sedia quando il ragno scivolò verso di lui.

Moody spazzò via il ragno morto dalla cattedra.

«Non è bello» disse tranquillamente. «Non è piacevole. E non c’è contromaledizione. Non c’è modo di fermarlo. Solo una persona, che si sappia, è mai sopravvissuta, e questa persona è seduta qui di fronte a me».

Harry si sentì arrossire mentre gli occhi di Moody (tutti e due) fissavano i suoi. Avvertì che anche gli altri lo guardavano. Harry fissò la lavagna vuota come se ne fosse stregato, ma senza in realtà vederla…

Allora era così che erano morti i suoi genitori… proprio come quel ragno. Anche loro erano intatti e integri? Avevano semplicemente visto il lampo di luce verde e sentito il fragore della morte incombente, prima che la vita venisse cancellata dai loro corpi?

Da tre anni, Harry riviveva di continuo nella sua mente la morte dei suoi genitori, da quando aveva scoperto che erano stati assassinati, da quando aveva saputo cos’era successo quella notte: che Codaliscia aveva rivelato la posizione dei suoi genitori a Voldemort, e come lui era piombato loro addosso. Come Voldemort avesse ucciso per primo suo padre, dopo che James Potter aveva cercato di trattenerlo, urlando a sua moglie di prendere Harry e fuggire… come Voldemort fosse avanzato verso Lily Potter ordinandole di farsi da parte, in modo da poter colpire Harry… come lei avesse offerto la propria vita in cambio di quella di Harry… e allora Voldemort aveva ucciso anche lei, prima di puntare la bacchetta su Harry…

Tutto questo Harry lo sapeva dalla voce dei suoi stessi genitori, evocata dal tremendo potere dei Dissennatori, da lui affrontati l’anno prima: perché i demoni inducevano le loro vittime a rivivere i ricordi peggiori della loro vita, e ad annegare, impotenti, nella loro disperazione…

Come da una distanza infinita, Moody parlò di nuovo. Con uno sforzo enorme, Harry si costrinse a tornare al presente.

«Avada Kedavra è una maledizione che ha bisogno di essere sostenuta da un grande potere magico: potreste estrarre tutti le vostre bacchette adesso, puntarle contro di me, e pronunciare le parole, e dubito che mi fareste uscire anche solo il sangue dal naso. Ma questo non ha importanza. Non sono qui per insegnarvi come si fa.

«Ora, se non esiste contromaledizione, perché ve l’ho mostrata? Perché dovete sapere. Dovete capire che cos’è il peggio. Non dovete trovarvi in una situazione in cui dobbiate affrontarlo. Vigilanza costante!» ruggì, e tutta quanta la classe sobbalzò di nuovo.

«Ora… questi tre anatemi — Avada Kedavra, Imperius e Cruciatus — sono noti come le Maledizioni Senza Perdono. L’uso su un essere umano basta a meritare una condanna a vita ad Azkaban. È questo che dovete combattere. È questo che devo insegnarvi a contrastare. Avete bisogno di preparazione. Avete bisogno di essere attrezzati. Ma soprattutto, avete bisogno di esercitare una costante, incessante vigilanza. Fuori le penne… ricopiate…»

Passarono il resto della lezione a prendere appunti su ciascuna delle maledizioni senza perdono. Nessuno parlò finché non suonò la campana: ma quando Moody li ebbe congedati e furono usciti dalla classe, esplose un torrente di chiacchiere. Quasi tutti discutevano le maledizioni con voci intimorite: «Avete visto come si contorceva?», «E quando l’ha ucciso, proprio così!»

Parlavano della lezione, pensò Harry, come se si fosse trattato di una specie di spettacolo eccezionale, ma lui non l’aveva trovata molto divertente, e nemmeno Hermione, in apparenza.

«Muovetevi» disse in tono nervoso a Harry e Ron.

«Non di nuovo quella maledetta biblioteca?» disse Ron.

«No» disse Hermione asciutta, indicando un corridoio laterale. «Neville».

Neville era da solo in mezzo al passaggio e fissava il muro di pietra con gli stessi occhi sgranati e pieni di orrore di quando Moody aveva dato la dimostrazione della Maledizione Cruciatus.

«Neville?» disse Hermione dolcemente.

Neville si guardò intorno.

«Oh, ciao» disse, la voce molto più acuta del solito. «Una lezione interessante, vero? Chissà che cosa c’è a cena, io… io muoio di fame, e voi?»

«Neville, ti senti bene?» chiese Hermione.

«Oh, sì, sto bene» farfugliò Neville con la stessa voce innaturale. «Una cena molto interessante… voglio dire, una lezione… che cosa c’è da mangiare?»

Ron scoccò a Harry uno sguardo allarmato.

«Neville, cosa…?»

Ma uno strano tonfo sordo echeggiò alle loro spalle, e i ragazzi si voltarono per vedere il professor Moody che zoppicava verso di loro. Tacquero di colpo, guardandolo tesi, ma quando Moody parlò la sua voce roca era molto più dolce e gentile del consueto.

«Va tutto bene, ragazzo» disse a Neville. «Perché non vieni su nel mio ufficio? Andiamo… possiamo berci una tazza di tè…»

La prospettiva di prendere il tè con Moody sembrò spaventare Neville ancora di più. Non si mosse né parlò.

Moody puntò l’occhio magico su Harry. «Stai bene, vero, Potter?»

«Sì» rispose Harry, quasi in tono di sfida.

L’occhio azzurro di Moody tremò appena nella palpebra mentre scrutava Harry.

Poi Moody disse: «Dovete sapere. Sembrerà duro, forse, ma dovete sapere. Fingere non serve a niente… bene… andiamo, Paciock, ho dei libri che potrebbero interessarti».

Neville scoccò un’occhiata supplichevole a Harry, Ron e Hermione, ma loro non dissero niente, quindi non ebbe altra scelta che lasciarsi condurre via, una delle mani nodose di Moody sulla spalla.

«Ma che cosa è successo?» disse Ron, guardando Neville e Moody voltare l’angolo.

«Non lo so» rispose Hermione, pensierosa.

«Che lezione, però, eh?» disse Ron a Harry mentre si avviavano verso la Sala Grande. «Fred e George avevano ragione, vero? Sa il fatto suo, Moody, eh? Quando ha fatto l’Avada Kedavra, e quel ragno è morto sul serio, l’ha lasciato lì stecchito…»

Ron colse l’espressione di Harry e tacque all’improvviso, né disse altro finché non furono giunti nella Sala Grande. Qui borbottò che secondo lui era meglio cominciare subito con le predizioni della professoressa Cooman, perché ci sarebbero volute ore.

Hermione non si unì alla conversazione di Harry e Ron durante la cena, ma mangiò a velocità forsennata e poi ripartì alla volta della biblioteca. Harry e Ron tornarono alla Torre di Grifondoro, e stavolta fu Harry, che non aveva pensato ad altro per tutta la cena, ad affrontare l’argomento delle Maledizioni Senza Perdono.

«Moody e Silente non finirebbero nei guai con il Ministero se si sapesse che abbiamo visto gli anatemi illegali?» chiese Harry mentre si avvicinavano alla Signora Grassa.

«Sì, è probabile» disse Ron. «Ma Silente ha sempre fatto le cose a modo suo, no? E sono anni che Moody si caccia nei guai, immagino. Prima attacca e poi chiede: prova a pensare ai bidoni della spazzatura. Guazzabuglio».

La Signora Grassa scattò in avanti rivelando il passaggio, e i due salirono nella sala comune di Grifondoro, che era affollata e rumorosa.

«Allora, dobbiamo prendere la roba di Divinazione?» chiese Harry.

«Temo di sì» sospirò Ron.

Salirono in dormitorio a prendere i libri e le mappe, e vi trovarono Neville solo, seduto sul letto a leggere. Sembrava parecchio più tranquillo che alla fine della lezione di Moody, anche se ancora non perfettamente in sé. Aveva gli occhi piuttosto arrossati.

«Stai bene, Neville?» gli chiese Harry.

«Oh, sì» rispose Neville. «Sto bene, grazie. Stavo leggendo il libro che mi ha dato il professor Moody…»

Mostrò il volume: Piante Acquatiche Magiche del Mediterraneo e loro Proprietà.

«A quanto pare, la professoressa Sprite ha detto al professor Moody che sono proprio bravo in Erbologia» disse Neville. Nella sua voce c’era una debole nota di orgoglio che Harry aveva colto di rado prima d’allora. «Così ha pensato che mi sarebbe piaciuto».

Riferire a Neville quello che aveva detto la professoressa Sprite, ridletté Harry, era una maniera piena di tatto per tirargli su il morale, perché era molto raro che Neville si sentisse dire che era bravo in qualcosa. Era proprio il genere di cosa che avrebbe potuto fare il professor Lupin.

Harry e Ron portarono di sotto le loro copie di Svelare il Futuro, trovarono un tavolo libero e si misero a lavorare sulle loro predizioni per il mese seguente. Un’ora dopo avevano fatto scarsi progressi, anche se il tavolo era ingombro di pezzi di pergamena coperti di conti e simboli, e la mente di Harry era annebbiata come se fosse stata invasa dai vapori del fuoco della professoressa Cooman.

«Non ho la più pallida idea di cosa dovrebbe significare questa roba» ammise, fissando una lunga lista di calcoli.

«Sai» disse Ron, i capelli ritti a furia di passarci in mezzo le dita, preso dallo sconforto, «credo che sia ora di ricorrere alle vecchie misure d’emergenza per Divinazione».

«Cosa… dobbiamo inventare?»

«Sì» rispose Ron, spazzando via dal tavolo la gran massa di foglietti scarabocchiati, intingendo la penna nell’inchiostro e cominciando a scrivere.

«Lunedì prossimo» annunciò, «mi verrà la tosse, a causa dell’infelice congiunzione di Marte e Giove». Alzò lo sguardo su Harry. «La conosci, no? Dalle un oceano di disgrazie e lei ci sguazzerà».

«Giusto» disse Harry, appallottolando il suo primo tentativo e lanciandolo nel fuoco, al di sopra delle teste di un gruppo di allievi del primo anno seduti a chiacchierare. «D’accordo, allora. Lunedì: rischio di… ehm… ustioni».

«Ci puoi giurare» fece Ron cupo, «lunedì ci toccano di nuovo gli Schiopodi. Okay, martedì io… ehm…»

«Perderai una cosa preziosa» disse Harry, che sfogliava Svelare il futuro in cerca di spunti.

«Giusto» rispose Ron, prendendo nota «Per colpa di… Mercurio. Perché invece tu non ti fai pugnalare alle spalle da qualcuno che credevi un amico?»

«Sì, dai!» approvò Harry, scrivendo, «e sarà perché… Venere è nella dodicesima casa».

«E mercoledì avrò la peggio in una rissa».

«Aaaah, la rissa la volevo io. No, allora io perdo una scommessa».

«E certo, perché scommetterai su di me nella rissa».

Continuarono a inventare predizioni (che divennero sempre più tragiche) per un’altra ora, mentre la sala comune attorno a loro si svuotava lentamente e i ragazzi salivano a dormire. Grattastinchi li raggiunse, balzò agilmente in una poltrona vuota e fissò Harry con aria imperscrutabile, come avrebbe potuto fare Hermione se avesse saputo che non stavano facendo i compiti come si deve.

Guardandosi intorno e cercando di pensare a una sventura che non aveva ancora usato, Harry vide Fred e George seduti accanto al muro dall’altra parte della sala, le teste vicine, le penne in mano, chini sullo stesso rotolo di pergamena. Era decisamente insolito vedere Fred e George appartati in un angolo a lavorare in silenzio; di solito amavano stare nel bel mezzo della mischia, e richiamare rumorosamente l’attenzione. C’era qualcosa di misterioso nel modo in cui lavoravano chini sulla pergamena, e a Harry ricordò il modo in cui confabulavano alla Tana. Allora aveva pensato che si trattasse di un altro modulo di ordinazione per i Tiri Vispi Weasley, ma questa volta sembrava diverso, o avrebbero certamente coinvolto Lee Jordan. Si chiese se ciò che facevano avesse qualcosa a che vedere con la partecipazione al Torneo Tremaghi.

Mentre Harry li osservava, George scosse la testa, scarabocchiò qualcosa e disse molto piano, ma senza riuscire a evitare che la sua voce risuonasse nella sala quasi deserta: «No… così sembra che lo stiamo accusando. Dobbiamo andarci cauti…»

Poi George alzò gli occhi e vide Harry che lo guardava. Harry fece un gran sorriso e tornò in fretta alle sue predizioni: non voleva che George pensasse che stava origliando. Poco dopo, i gemelli arrotolarono la pergamena, diedero la buonanotte e andarono a dormire.

Fred e George se n’erano andati da una decina di minuti quando il ritratto si aprì e Hermione entrò nella sala comune con un fascio di fogli in una mano e nell’altra una scatola il cui contenuto sbatacchiò. Grattastinchi inarcò la schiena e si mise a fare le fusa.

«Ciao» disse lei. «Ho appena finito!»

«Anch’io!» esclamò Ron trionfante, lasciando cadere la penna.

Hermione si sedette, depose gli oggetti che aveva con sé su una sedia vuota e trasse a sé le predizioni di Ron.

«Non ti aspetta un gran bel mese, vero?» disse sardonica, mentre Grattastinchi le si acciambellava in grembo.

«Ah be’, almeno sono avvisato» disse Ron sbadigliando.

«A quanto pare anneghi due volte» disse Hermione.

«Oh, davvero?» disse Ron, dando un’occhiata al compito. «Meglio cambiarne una, potrei farmi calpestare da un Ippogrifo imbizzarrito».

«Non credi che sia un po’ troppo sfacciato che ti sei inventato questa roba?» disse Hermione.

«Come osi!» disse Ron, fingendosi indignato. «Abbiamo lavorato come elfi domestici!»

Hermione inarcò le sopracciglia.

«È solo un modo di dire» aggiunse in fretta Ron.

Anche Harry depose la penna: aveva appena finito di predire la propria morte per decapitazione.

«Che cosa c’è nella scatola?» chiese, indicandola.

«È buffo che tu me lo chieda» rispose Hermione lanciando uno sguardo feroce a Ron. Tolse il coperchio e mostrò il contenuto ai ragazzi.

Dentro c’erano una cinquantina di spille, tutte di colori diversi, ma tutte con le stesse lettere: CREPA.

«“Crepa”?» disse Harry, prendendo una spilla per osservarla meglio. «Che roba è?»

«Non “Crepa”» fece Hermione impaziente. «È C-R-E-P-A. Sta per Comitato per la Riabilitazione degli Elfi Poveri e Abbrutiti».

«Mai sentita nominare» disse Ron.

«Be’, per forza» rispose Hermione in tono animato. «L’ho appena fondata».

«Davvero?» esclamò Harry con una certa sorpresa. «E quanti membri conta?»

«Be’, se vi iscrivete voi due… fanno tre» disse Hermione.

«E tu credi che noi vogliamo andare in giro con delle spille con sopra scritto “Crepa”, eh?»

«C — R — E — P — A!» sbottò Hermione infiammandosi. «Volevo metterci “Fermiamo il Vergognoso Abuso dei Nostri Compagni Magici” e “Campagna per il Mutamento del Loro Status Legale”, ma non ci stava. Quindi quelli sono i titoli del nostro manifesto».

Brandì il foglio di pergamena verso di loro. «Ho fatto accurate ricerche in biblioteca. Gli elfi sono stati ridotti in schiavitù secoli fa. Non riesco a credere che nessuno abbia fatto niente per cambiare la situazione prima d’ora».

«Hermione… apri le orecchie» disse Ron ad alta voce. «A-Loro-Piace. A loro piace stare in schiavitù!»

«I nostri obiettivi a breve termine» disse Hermione, parlando ancora più forte di Ron come se non avesse sentito una parola, «sono assicurare agli elfi domestici salari e condizioni di lavoro dignitosi. I nostri obiettivi a lungo termine comprendono la modifica della legge sul non uso della bacchetta magica, e il tentativo di insediare un elfo all’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, perché sono spaventosamente sottorappresentati».

«E come le facciamo tutte queste cose?» chiese Harry.

«Cominciamo raccogliendo adesioni» disse allegramente Hermione. «Ho pensato che l’iscrizione può costare due zellini — compresa la spilla — e il ricavato può finanziare la nostra campagna di volantinaggio. Tu sei il tesoriere, Ron — di sopra ho una cassetta per te — e Harry, tu sei il segretario, così se credi puoi scrivere tutto quello che ho detto adesso come verbale della nostra prima riunione».

Ci fu una pausa. Hermione fece un largo sorriso e, nel vedere la faccia di Ron, Harry fu seriamente combattuto tra il ridere di lui e il prendersela con lei.

Alla fine, il silenzio fu rotto non da Ron, che sembrava temporaneamente ammutolito, ma da un dolce picchiettio contro il vetro. Harry guardò attraverso la sala comune ormai vuota e vide, illuminata dalla luce lunare, una civetta candida come la neve appollaiata sul davanzale.

«Edvige!» gridò, poi scattò in piedi e attraversò di corsa la stanza per aprire la finestra.

Edvige volò dentro, planò nella stanza e atterrò sul tavolo, sopra le predizioni di Harry.

«Era ora!» esclamò Harry raggiungendola di corsa.

«Ha la risposta!» disse Ron eccitato, indicando il pezzetto di pergamena accartocciata legato alla zampa di Edvige.

Harry lo slegò in fretta e si sedette a leggerlo, mentre Edvige svolazzava fino al suo ginocchio tubando piano.

«Che cosa dice?» chiese Hermione con il fiato sospeso.

La lettera era molto breve, e sembrava che fosse stata stilata molto in fretta. Harry lesse ad alta voce:

Harry,

Volo immediatamente a nord. La notizia della tua cicatrice è l’ultima di una serie di strane voci che mi sono giunte fin qui. Se ti fa ancora male, vai subito da Silente: dicono che ha convinto Malocchio a tornare al lavoro, il che significa che sta leggendo i segni, anche se è l’unico.

Mi farò vivo presto. I miei più cari saluti a Ron e Hermione. Tieni gli occhi aperti, Harry.

Sirius

Harry alzò gli occhi su Ron e Hermione, che ricambiarono il suo sguardo.

«Vola a nord?» sussurrò Hermione. «Sta tornando

«Che segni sta leggendo Silente?» chiese Ron, perplesso. «Harry… che cosa succede?»

Harry si era appena colpito la fronte col pugno, facendo sobbalzare Edvige appollaiata nel suo grembo.

«Non dovevo dirglielo!» esclamò furioso.

«Di che cosa stai parlando?» chiese Ron, sorpreso.

«Lo ha convinto a tornare!» ribatté Harry, e questa volta colpì il tavolo col pugno. Edvige si rifugiò sullo schienale della poltrona di Ron, tubando indignata. «Torna perché è convinto che io sia nei guai! E non c’è niente che non va in me! Non ho niente per te» sbottò rivolto a Edvige, che schioccava il becco in attesa, «dovrai andare su alla Guferia, se vuoi da mangiare».

Edvige gli lanciò un’occhiata profondamente offesa e decollò attraverso la finestra aperta, schiaffeggiandolo sulla testa con l’ala tesa mentre partiva.

«Harry» esordì Hermione, in tono tranquillizzante.

«Vado a dormire» disse Harry asciutto. «Ci vediamo domattina».

Di sopra, nel dormitorio, s’infilò il pigiama e si ficcò nel letto a baldacchino, ma non si sentiva nemmeno lontanamente stanco.

Se Sirius tornava e veniva catturato, era colpa sua, di Harry. Perché non aveva tenuto la bocca chiusa? Un doloretto durato pochi istanti e lui aveva dovuto spiattellare tutto… se solo avesse avuto il buonsenso di tenerselo per sé…

Sentì Ron salire poco più tardi, ma non gli rivolse la parola. A lungo Harry rimase disteso a contemplare lo scuro baldacchino del suo letto. Il dormitorio era immerso in un silenzio totale, e se fosse stato meno preoccupato, Harry avrebbe capito che l’assenza del solito russare di Neville indicava che non era l’unico a essere sveglio.

CAPITOLO 15

BEAUXBATONS E DURMSTRANG

Il giorno dopo Harry si svegliò presto con in testa un piano dettagliato, come se nel sonno il suo cervello ci avesse lavorato sopra tutta la notte. Si alzò, si vestì nella pallida luce dell’alba, uscì dal dormitorio senza svegliare Ron e scese nella sala comune deserta. Qui prese un foglio di pergamena dal tavolo sul quale si trovava ancora il suo compito di Divinazione, e scrisse la lettera che segue:

Caro Sirius,

Credo di aver solo immaginato che mi facesse male la cicatrice. Ero mezzo addormentato l’ultima volta che ti ho scritto. Non serve che tu ritorni, qui va tutto bene. Non stare in pensiero per me, la mia testa è perfettamente a posto.

Harry

Poi uscì dal buco del ritratto, salì nel castello silenzioso (ostacolato solo per un attimo da Pix, che cercò di rovesciargli addosso un grosso vaso a metà del corridoio del quarto piano), e infine giunse alla Guferia, che si trovava in cima alla Torre Ovest.

La Guferia era una stanza di pietra circolare, piuttosto fredda e piena di spifferi, perché nessuna delle finestre era chiusa da vetri. Il pavimento era completamente coperto di paglia, cacche di gufo e scheletri rigurgitati di topi e ratti. Centinaia e centinaia di gufi di tutte le razze immaginabili erano appollaiati lassù su trespoli che s’innalzavano fino alla cima della torre, quasi tutti addormentati, anche se qua e là un tondo occhio d’ambra scrutò torvo Harry. Lui individuò Edvige rannicchiata tra un barbagianni e un allocco, e le si avvicinò rapido, scivolando un po’ sul pavimento ricoperto di escrementi.

Gli ci volle un po’ per convincerla a svegliarsi e poi a dargli retta, mentre lei continuava a ritrarsi sul suo trespolo, mostrandogli la coda. Evidentemente era ancora offesa per la sua mancanza di gratitudine la sera prima. Alla fine Harry buttò lì che probabilmente era troppo stanca, e che forse avrebbe chiesto a Ron di prestargli Leo. E fu questo a indurla a tendere la zampa e a consentirgli di legarvi la lettera.

«Trovalo e basta, d’accordo?» disse Harry, accarezzandole il dorso mentre la portava sul braccio verso una delle aperture nel muro. «Prima dei Dissennatori».

Lei gli becchettò il dito, forse un po’ più forte di come avrebbe fatto normalmente, ma comunque cantò dolcemente, in tono rassicurante. Poi spalancò le ali e decollò verso il sole che sorgeva. Harry la guardò sparire avvertendo nello stomaco la familiare sensazione di disagio. Era stato così sicuro, prima, che la risposta di Sirius avrebbe alleviato le sue preoccupazioni invece di aggravarle.

* * *

«Quella è una bugia, Harry» disse Hermione bruscamente mentre facevano colazione, quando lui raccontò che cosa aveva fatto. «Non ti sei immaginato che ti faceva male la cicatrice, e lo sai».

«E allora?» replicò Harry. «Non tornerà ad Azkaban a causa mia».

«Lascia perdere» ribatté seccamente Ron quando lei aprì la bocca per discutere ancora, e per una volta Hermione gli diede retta e tacque.

Nelle due settimane che seguirono, Harry fece del suo meglio per non stare in pensiero per Sirius. A dire il vero, non poteva fare a meno di guardarsi attorno ansiosamente tutte le mattine quando arrivavano i gufi postini, e la sera prima di addormentarsi non riusciva a scacciare le orribili visioni di Sirius circondato dai Dissennatori in qualche buia strada di Londra, ma durante il giorno cercava di non pensare al suo padrino. Desiderò di avere ancora il Quidditch a distrarlo; nulla funzionava meglio di un bell’allenamento intenso su una mente turbata. D’altra parte, le lezioni diventavano più difficili e impegnative di quanto non fossero mai state, in particolare Difesa contro le Arti Oscure.

Con loro sorpresa, il professor Moody aveva annunciato che avrebbe scagliato la Maledizione Imperius su ciascuno di loro a turno, per dimostrare il suo potere e per vedere se riuscivano a resistere ai suoi effetti.

«Ma… ma aveva detto che è illegale, professore» disse Hermione dubbiosa mentre Moody spazzava via i banchi con un ampio gesto della bacchetta, creando un vasto spazio vuoto al centro dell’aula. «Ha detto che… usarlo contro un altro essere umano è…»

«Silente vuole che voi impariate che cosa si prova» disse Moody, mentre l’occhio magico roteava su Hermione e la fissava con uno sguardo immobile e inquietante. «Se preferisci imparare nell’altro modo, quello più duro, quando qualcuno te la scaglia addosso per assumere il totale controllo di te, mi sta bene. Sei esonerata. Vattene».

Puntò un dito contorto verso la porta. Hermione diventò molto rossa e mormorò qualcosa sul fatto che non voleva dire che desiderava andarsene. Harry e Ron si scambiarono un ghigno: sapevano che Hermione avrebbe mangiato pus di Bubotubero piuttosto che perdersi una lezione così importante.

Moody chiamò gli studenti uno alla volta e scagliò contro ciascuno la Maledizione Imperius. Harry rimase a guardare i suoi compagni mentre, uno dopo l’altro, venivano obbligati a fare le cose più straordinarie: Dean Thomas fece per tre volte il giro della stanza a balzi, cantando l’inno nazionale; Lavanda Brown imitò uno scoiattolo; Neville si esibì in una serie di esercizi ginnici piuttosto stupefacenti che certo non sarebbe stato in grado di eseguire in condizioni normali. Nessuno di loro parve in grado di opporsi, e ciascuno di loro si riprese solo quando Moody ebbe sciolto l’incantesimo.

«Potter» ringhiò Moody, «tocca a te».

Harry avanzò fino al centro della classe, nello spazio che Moody aveva sgombrato dei banchi. Il professore levò la bacchetta, la puntò su Harry e disse: «Imperio».

Harry provò una sensazione davvero straordinaria. Aveva l’impressione di galleggiare, come se tutti i pensieri e le preoccupazioni dentro la sua testa venissero dolcemente cancellati, lasciando nient’altro che una vaga, indefinibile felicità. Rimase lì, infinitamente rilassato, solo vagamente conscio che tutti lo stavano osservando.

E poi sentì la voce di Malocchio Moody che echeggiava in una stanza remota del suo cervello vuoto: «Salta sul banco… salta sul banco…»

Harry piegò docilmente le ginocchia, preparandosi a balzare.

Salta sul banco…

Ma perché, poi?

Un’altra voce si era risvegliata al fondo del suo cervello. È una cosa stupida da fare, davvero, diceva la voce.

Salta sul banco…

No, non credo che lo farò, grazie, disse l’altra voce, un po’ più decisa… no, davvero, non voglio farlo…

Salta! ORA!

La cosa che Harry provò subito dopo fu parecchio dolore. Aveva spiccato un salto e contemporaneamente aveva cercato di trattenersi: il risultato fu che si schiantò a testa bassa contro il banco, rovesciandolo. E a giudicare da come stavano le sue gambe, probabilmente aveva tutt’e due le rotule fratturate.

«Oh, così sì che va bene!» ringhiò la voce di Moody, e all’improvviso Harry sentì sparire la sensazione di vuoto e di eco dentro la testa. Si ricordò esattamente che cosa stava succedendo, e il dolore alle ginocchia parve raddoppiare.

«Guardate, tutti quanti… Potter si è opposto! L’ha contrastata, e mi venga un colpo, l’ha quasi sconfitta! Ci riproveremo, Potter, e voialtri state attenti: guardate i suoi occhi, è lì che lo vedete… molto bene, Potter, davvero molto bene! Faranno fatica a controllare te

«Da come parla» borbottò Harry un’ora dopo mentre usciva zoppicando dall’aula (Moody aveva insistito per fargli ripetere tutto per quattro volte di fila, finché Harry non aveva completamente vinto la maledizione), «uno potrebbe pensare che stiamo per essere attaccati da un momento all’altro».

«Sì, lo so» disse Ron, che saltellava un passo sì e uno no. Aveva fatto molta più fatica di Harry a opporsi all’anatema, anche se Moody gli aveva assicurato che gli effetti sarebbero svaniti per l’ora di pranzo. «Quando si dice un paranoico…» Ron si guardò nervosamente alle spalle per controllare che Moody fosse fuori tiro, e riprese: «Non mi stupisco che siano stati contenti di farlo fuori al Ministero, hai sentito che cos’ha raccontato a Seamus, cos’ha fatto a quella strega che gli ha gridato “Buuu” alle spalle il primo aprile? E secondo lui quando dovremmo documentarci su come resistere alla Maledizione Imperius con tutto quello che dobbiamo fare?»

Tutti i ragazzi del quarto anno avevano constatato un notevole aumento nella quantità di lavoro richiesta quel trimestre. La professoressa McGranitt spiegò il perché quando la classe reagì con un lamento particolarmente sonoro alla montagna di compiti di Trasfigurazione che aveva assegnato.

«State per affrontare una fase fondamentale della vostra istruzione magica!» disse, con gli occhi che scintillavano pericolosamente dietro gli occhiali quadrati. «I vostri G.U.F.O. si avvicinano…»

«Non abbiamo nessun G.U.F.O. fino al quinto anno!» esclamò Dean Thomas indignato.

«Forse no, Thomas, ma credimi, avrete bisogno di tutta la preparazione che riuscite a mettere insieme! La signorina Granger resta l’unica della classe che sia riuscita a trasformare un porcospino in un puntaspilli soddisfacente. Devo ricordarti che il tuo puntaspilli, Thomas, si appallottola ancora quando qualcuno gli si avvicina con uno spillo!»

Hermione, che era arrossita di nuovo, parve sforzarsi di non sembrare troppo compiaciuta.

Harry e Ron si divertirono da pazzi quando alla lezione di Divinazione la professoressa Cooman annunciò a tutti e due che si erano meritati il massimo dei voti. L’insegnante lesse ampi passi delle loro predizioni, lodandoli per come accettavano senza batter ciglio gli orrori che li attendevano; ma si divertirono molto meno quando chiese di fare lo stesso per il mese successivo. Entrambi erano ormai a corto di catastrofi.

Nel frattempo il professor Rüf, lo spettro che insegnava Storia della Magia, aveva assegnato un tema alla settimana sulle Rivolte dei Goblin del Diciottesimo secolo, mentre Piton li stava costringendo a scoprire antidoti. Era una cosa che tutti prendevano molto sul serio, perché Piton aveva accennato all’ipotesi di avvelenare uno di loro prima di Natale per vedere se i loro antidoti erano efficaci. Invece, il professor Vitious aveva chiesto di leggere tre libri in più per prepararsi alla lezione sugli Incantesimi di Appello.

Anche Hagrid aggiungeva carico a carico. Gli Schiopodi Sparacoda crescevano a ritmo notevole, considerato che nessuno aveva ancora scoperto che cosa mangiavano. Hagrid era estasiato e, come parte della loro “ricerca”, suggerì che gli studenti andassero da lui a sere alterne per osservare gli Schiopodi e prendere appunti sul loro straordinario comportamento.

«Io non lo farò» dichiarò Draco Malfoy con decisione, quando Hagrid fece questa proposta con l’aria di un Babbo Natale che estrae un giocattolo gigante dal suo sacco. «Ne ho abbastanza di vedere queste cose schifose durante le lezioni, grazie».

Il sorriso scomparve dal viso di Hagrid.

«Tu farai quello che ti dico» ringhiò, «o fregherò un’ideuzza al professor Moody… ho sentito che sei proprio un bel furetto, Malfoy».

I Grifondoro si rotolarono dalle risate. Malfoy divenne rosso di rabbia, ma evidentemente il ricordo della punizione di Moody era ancora abbastanza doloroso da impedirgli di ribattere. Harry, Ron e Hermione tornarono al castello alla fine della lezione col morale alle stelle: vedere Hagrid che metteva sotto Malfoy era particolarmente appagante, soprattutto perché Malfoy aveva fatto davvero del suo meglio per far licenziare Hagrid l’anno prima.

Quando arrivarono nella Sala d’Ingresso, non riuscirono ad avanzare per la folla di studenti accalcati attorno a un gran cartello esposto ai piedi della scalinata di marmo. Ron, il più alto dei tre, cercò di sbirciare oltre le teste assiepate davanti a loro e lesse a voce alta:

TORNEO TREMAGHI

Le delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang arriveranno alle 6 in punto di venerdì 30 ottobre. Le lezioni termineranno con mezz’ora d’anticipo…

«Magnifico!» esclamò Harry. «L’ultima ora del venerdì è Pozioni! Piton non avrà il tempo di avvelenarci tutti!»

Gli studenti riporteranno borse e libri nei rispettivi dormitori e si riuniranno davanti al castello per salutare i nostri ospiti prima del Banchetto di Benvenuto.

«Manca solo una settimana!» commentò Ernie Macmillan di Tassorosso, spuntando dalla folla, gli occhi scintillanti. «Chissà se Cedric lo sa… Vado a dirglielo…»

«Cedric?» chiese Ron in tono vacuo, mentre Ernie scappava via.

«Diggory» precisò Harry. «Credo che voglia partecipare al Torneo».

«Quell’idiota, campione di Hogwarts?» disse Ron, mentre si facevano largo nella folla vociante puntando verso la scala.

«Non è un idiota, è solo che non ti piace perché ha battuto Grifondoro a Quidditch» disse Hermione. «Ho sentito dire che è uno studente davvero brillante… ed è anche un Prefetto».

Lo disse come se con questo la questione fosse chiusa.

«Ti piace solo perché è bello» disse Ron caustico.

«Scusa, sai, ma a me non piace la gente solo perché è bella!» ribatté Hermione indignata.

Ron finse un colpo di tosse che suonò stranamente come «Allock!»

La comparsa del cartello nella Sala d’Ingresso ebbe un effetto notevole su tutti. La settimana seguente, parve esserci un solo argomento di conversazione, ovunque Harry andasse: il Torneo Tremaghi. Le voci si propagavano di studente in studente come virus altamente contagiosi: chi voleva farsi avanti come campione di Hogwarts, in cosa sarebbe consistito il Torneo, in che cosa gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang erano diversi da loro.

Harry notò anche che il castello fu ripulito da cima a fondo. Parecchi ritratti sudici furono scrostati, con gran disappunto dei loro soggetti, che sedevano rannicchiati nelle cornici, borbottavano cupi e trasalivano tastandosi i volti di un rosa acceso. Le armature all’improvviso diventavano scintillanti e si muovevano senza cigolare. E Argus Gazza, il custode, divenne talmente feroce con gli studenti che dimenticavano di pulirsi le scarpe che provocò una crisi isterica in un paio di ragazzine del primo anno.

Anche altri membri del personale docente sembravano stranamente agitati.

«Paciock, sei pregato di non far sapere a nessuno di Durmstrang che non sei nemmeno in grado di eseguire un semplice Incantesimo di Scambio!» abbaiò la professoressa McGranitt alla fine di una lezione particolarmente difficile, durante la quale Neville aveva trapiantato per errore le proprie orecchie su un cactus.

Quando scesero per colazione la mattina del 30 ottobre, scoprirono che la Sala Grande era stata addobbata durante la notte. Enormi stendardi di seta pendevano dai muri. Ciascuno rappresentava una Casa di Hogwarts: rosso con un leone d’oro per Grifondoro, blu con un’aquila di bronzo per Corvonero, giallo con un tasso nero per Tassorosso, e verde con un serpente d’argento per Serpeverde. Dietro il tavolo degli insegnanti, lo stendardo più grande di tutti portava il blasone di Hogwarts: leone, aquila, tasso e serpente uniti sotto una grande H.

Harry, Ron e Hermione individuarono Fred e George al tavolo di Grifondoro. Ancora una volta, cosa del tutto insolita, sedevano lontano da tutti gli altri e parlavano a bassa voce. Ron fu il primo a raggiungerli.

«È un vero disastro» diceva George a Fred in tono depresso. «Ma se non vorrà parlare con noi, dovremo spedirgli comunque la lettera. O gliela metteremo in mano, non può evitarci per sempre».

«Chi è che vi evita?» chiese Ron, prendendo posto accanto a loro.

«Magari fossi tu» ribatté Fred, seccato per l’interruzione.

«Che cos’è che è un disastro?» chiese Ron a George.

«Avere un idiota ficcanaso come te per fratello» disse George.

«Voi due vi siete già fatti venire in mente qualcosa sul Torneo Tremaghi?» chiese Harry. «Avete pensato a come fare per tentare di iscrivervi?»

«Ho chiesto alla McGranitt come vengono scelti i campioni, ma non me l’ha voluto dire» rispose George in tono aspro. «Mi ha detto solo di star zitto e continuare a Trasfigurare il mio procione».

«Chissà che prove saranno» disse Ron pensieroso. «Sapete, scommetto che potremmo affrontarle, Harry, ne abbiamo fatte di cose pericolose prima d’ora…»

«Non davanti a una giuria» disse Fred. «La McGranitt dice che i campioni ricevono un punteggio in base a come hanno superato le prove».

«Chi sono i giudici?» chiese Harry.

«Be’, i Presidi delle scuole in lizza fanno sempre parte della commissione» disse Hermione, e tutti si voltarono a guardarla, piuttosto sorpresi, «perché tutti e tre sono stati feriti durante il Torneo del 1792, quando s’imbizzarrì il Basilisco che i campioni avrebbero dovuto catturare».

Notò che tutti la fissavano e disse, con il solito tono d’impazienza nel constatare che nessun altro aveva letto i libri che lei invece conosceva: «È tutto scritto in Storia di Hogwarts. Anche se, naturalmente quel libro non è del tutto affidabile. Storia RIVEDUTA E CORRETTA di Hogwarts sarebbe un titolo più calzante. O anche Storia DECISAMENTE PREVENUTA E SELETTIVA di Hogwarts, CHE GLISSA SUGLI ASPETTI PIÙ SPREGEVOLI DELLA SCUOLA».

«Di cosa stai parlando?» chiese Ron, anche se Harry credeva di sapere che cosa si preparava.

«Degli elfi domestici!» esclamò Hermione ad alta voce, come Harry s’immaginava. «In oltre mille pagine di Storia di Hogwarts, non si dice nemmeno una volta che siamo tutti complici nello sfruttamento di un centinaio di schiavi!»

Harry scosse la testa e si concentrò sulle uova strapazzate. Lo scarso entusiasmo suo e di Ron non era affatto riuscito a scalfire la determinazione di Hermione nel perseguire la giustizia per gli elfi domestici. Era vero, entrambi avevano sborsato due zellini per la spilla CREPA, ma l’avevano fatto solo per farla star calma. I loro zellini erano stati sprecati, comunque; semmai avevano reso Hermione più battagliera. Da allora perseguitava Harry e Ron prima perché portassero le spille, poi perché convincessero altri a fare lo stesso, e aveva anche cominciato a battere la sala comune di Grifondoro tutte le sere, mettendo alle strette i compagni e scuotendo il salvadanaio sotto il loro naso.

«Ma vi rendete conto che c’è qualcuno che vi cambia le lenzuola, vi accende il fuoco, vi pulisce le aule, vi cucina i pasti, e che questo qualcuno è un gruppo di creature magiche che non vengono pagate e sono trattate come schiave?» continuava a ripetere con veemenza.

Alcuni, come Neville, avevano versato il loro obolo solo perché Hermione smettesse di fissarli minacciosa. Qualcuno sembrava vagamente interessato a ciò che aveva da dire, ma riluttante a prendere parte più attivamente alla campagna. Molti consideravano tutta la faccenda uno scherzo.

Ron alzò gli occhi verso il soffitto, inondato di sole autunnale, e Fred fu colto da un estremo interesse per la sua pancetta (entrambi i gemelli si erano rifiutati di comprare la spilla CREPA). Invece George si voltò verso Hermione.

«Senti, sei mai stata giù nelle cucine, Hermione?»

«No, certo che no» rispose lei asciutta. «Non credo che gli studenti debbano…»

«Be’, noi ci siamo stati» disse George, indicando Fred, «un sacco di volte, a prendere del cibo. E li abbiamo visti, e sono felici. Sono convinti che il loro è il più bel lavoro del mondo…»

«È perché non sono istruiti e gli hanno fatto il lavaggio del cervello!» sbottò Hermione in tono acceso, ma il resto della frase fu inghiottito dall’improvviso fruscio che annunciava l’arrivo dei gufi postali. Harry guardò subito in alto e vide Edvige planare verso di lui. Hermione tacque all’istante; lei e Ron fissarono ansiosi Edvige che si posava sulla spalla di Harry, ripiegava le ali e tendeva stancamente la zampa.

Harry sfilò la risposta di Sirius e offrì le sue striscioline di bacon a Edvige, che le divorò soddisfatta. Poi, assicuratosi che Fred e George fossero immersi in un altro dibattito sul Torneo Tremaghi, Harry lesse in un sussurro a Ron e Hermione la lettera di Sirius.

Bel tentativo, Harry.

Sono tornato e sono al sicuro. Voglio che tu mi tenga informato su tutto ciò che accade a Hogwarts. Non usare Edvige, continua a cambiare gufi, e non preoccuparti per me, pensa solo a guardarti le spalle. Non dimenticare quello che ho detto a proposito della cicatrice.

Sirius

«Perché devi cambiare gufi?» chiese Ron a voce bassa.

«Edvige attira troppo l’attenzione» rispose subito Hermione. «È vistosa. Una civetta bianca che continua a tornare nel posto dove lui si nasconde, ovunque sia… Voglio dire, non sono uccelli che si trovano dappertutto, no?»

Harry arrotolò la lettera e se la mise in tasca, domandandosi se fosse più o meno preoccupato di prima. Il fatto che Sirius fosse riuscito a tornare senza farsi catturare era già qualcosa. E inoltre non poteva negare che fosse rassicurante sapere di averlo vicino; almeno non avrebbe dovuto attendere tanto a lungo per avere risposta alle sue lettere.

«Grazie, Edvige» disse, accarezzandola. Lei emise un verso assonnato, tuffò rapida il becco nel suo calice di succo d’arancia, poi decollò di nuovo. Era chiaro che non vedeva l’ora di farsi una bella dormita su alla Guferia.

Quel giorno nell’aria c’era un piacevole senso di attesa. Nessuno fu molto attento in classe, tutti erano molto più interessati all’arrivo delle delegazioni di Beauxbatons e Durmstrang; anche Pozioni fu più sopportabile del solito, visto che durò mezz’ora di meno. Quando la campana suonò in anticipo, Harry, Ron e Hermione corsero su alla Torre di Grifondoro, depositarono borse e libri, s’infilarono i mantelli e tornarono giù di corsa nella Sala d’Ingresso.

I Direttori delle Case stavano disponendo in fila i loro studenti.

«Weasley, raddrizzati il cappello» ordinò la professoressa McGranitt a Ron. «Signorina Patil, via quella cosa ridicola dai capelli».

Calì si rabbuiò e si tolse una grossa farfalla decorativa dall’estremità della treccia.

«Seguitemi, prego» disse la professoressa McGranitt, «quelli del primo anno davanti… non spingete…»

Scesero in fila i gradini e si schierarono davanti al castello. Era una serata fredda e serena; il sole stava tramontando e una pallida luna trasparente brillava già sulla Foresta Proibita. Harry, in piedi tra Ron e Hermione in quarta fila, vide Dennis Canon tremare di agitazione tra quelli del primo anno.

«Sono quasi le sei» disse Ron, consultando l’orologio e poi guardando giù per il viale che portava ai cancelli principali. «Come pensate che arriveranno? In treno?»

«Ne dubito» rispose Hermione.

«E come, allora? Coi manici di scopa?» suggerì Harry, alzando gli occhi al cielo stellato.

«Non credo… non da cosi distante…»

«Una Passaporta?» suggerì Ron. «Oppure potrebbero Materializzarsi… forse a casa loro possono farlo anche se hanno meno di diciassette anni…»

«Non è possibile Materializzarsi dentro i confini di Hogwarts, quante volte devo dirtelo?» sbuffò Hermione.

Scrutarono ansiosamente i prati sempre più bui, ma nulla si muoveva; tutto era immobile, silenzioso e piuttosto normale. Harry cominciava ad aver freddo. Sperava che si muovessero… forse gli studenti stranieri stavano preparando un ingresso teatrale… gli venne in mente quello che aveva detto il signor Weasley al campeggio prima della Coppa del Mondo di Quidditch: “Siamo sempre i soliti, non riusciamo a fare a meno di esibirci…”

E poi Silente gridò dall’ultima fila, dove si trovava assieme agli altri insegnanti: «Aha! O mi sbaglio di grosso, oppure sta arrivando la delegazione di Beauxbatons!»

«Dove?» esclamarono parecchi studenti con impazienza, guardando tutti da una parte diversa.

«Laggiù!» urlò uno del sesto anno, puntando l’indice verso la Foresta.

Qualcosa di grosso, molto più grosso di un manico di scopa — o meglio, di cento manici di scopa — si precipitava nel cielo azzurro cupo in direzione del castello, e diventava sempre più grande.

«È un drago!» strillò istericamente una ragazzina del primo anno.

«Non dire stupidaggini… è una casa volante!» esclamò Dennis Canon.

Dennis aveva quasi indovinato. Mentre la gigantesca sagoma nera sfiorava le cime degli alberi della Foresta Proibita, illuminata dalle luci del castello, videro un’enorme carrozza di un blu polveroso, delle dimensioni di una vasta dimora, che fluttuava verso di loro, trainata nell’aria da una dozzina di cavalli alati, tutti palomino, grandi come elefanti.

Le prime tre file di studenti si ritrassero mentre la carrozza sfrecciava più in basso e si preparava ad atterrare a una tremenda velocità; poi, con un fracasso abnorme che fece balzare Neville indietro sul piede di un Serpeverde del quinto anno, gli zoccoli dei cavalli, più grossi di piatti da portata, toccarono terra. Dopo un secondo, atterrò anche la carrozza, rimbalzando sulle vaste ruote, mentre i cavalli d’oro scuotevano le enormi teste e roteavano i grandi occhi fieri.

Harry ebbe appena il tempo di notare che sulla porta della carrozza c’era un blasone (due bacchette d’oro incrociate da cui spuntavano tre stelle ciascuna) prima che questa si aprisse.

Un ragazzo vestito di azzurro pallido balzò giù, si curvò, trafficò per un attimo con qualcosa ed estrasse una serie di gradini d’oro. Poi arretrò rispettosamente. Harry vide una lustra scarpa nera col tacco alto spuntare dall’interno della carrozza — una scarpa grande come una slitta da bambino — seguita quasi immediatamente dalla donna più grande che avesse mai visto. La taglia della carrozza e dei cavalli furono subito spiegati. Alcuni ragazzi trattennero il respiro.

Harry aveva visto solo una persona grande come quella donna nella sua vita, e questa persona era Hagrid; dubitava che ci fosse una differenza di più di due o tre centimetri nella loro altezza. Eppure in qualche modo — forse semplicemente perché era abituato a Hagrid — quella donna (che ora era scesa dagli scalini e guardava la folla in attesa con gli occhi sgranati) sembrava ancor più innaturalmente grossa. Quando entrò nella luce che fiottava dalla Sala d’Ingresso, si scoprì che aveva un bel viso olivastro, grandi occhi neri liquidi e il naso piuttosto grifagno. I suoi capelli erano raccolti in una crocchia lucente alla base del collo. Era vestita da capo a piedi di satin nero, e molti splendidi opali scintillavano attorno al collo e sulle sue dita enormi.

Silente prese ad applaudire; anche gli studenti, seguendo il suo esempio, batterono le mani, molti in punta di piedi per vedere meglio la donna.

Il suo viso si distese in un sorriso cortese, e avanzò verso Silente, tendendo una mano tutta bagliori. Silente, benché fosse ben alto, dovette chinarsi appena per baciarla.

«Mia cara Madame Maxime» disse. «Benvenuta a Hogwarts».

«Mon cher Silonte!» esclamò lei con voce profonda. «Voi sta bene, spero!»

«Sono in ottima forma, grazie» disse Silente.

«I miei studonti» disse Madame Maxime, agitando noncurante una delle sue enormi mani e indicando alle sue spalle.

Harry, la cui attenzione si era completamente concentrata su Madame Maxime, notò in quel momento che una dozzina circa di ragazzi e ragazze — tutti, a occhio e croce, tra i diciassette e i diciott’anni — erano spuntati dalla carrozza e ora erano in piedi dietro Madame Maxime. Tremavano, cosa tutt’altro che sorprendente dato che i loro abiti sembravano di seta leggera, e nessuno portava il mantello. Alcuni si erano avvolti sciarpe e scialli attorno alla testa. Per quel che Harry poté vedere delle loro facce (erano all’ombra di Madame Maxime), stavano contemplando Hogwarts con aria preoccupata.

«Karkaròff è già qui?» chiese Madame Maxime.

«Dovrebbe essere qui a momenti» rispose Silente. «Preferite aspettare qui e salutarlo o entrare a scaldarvi un po’?»

«Scaldarsci, si» disse Madame Maxime. «Ma i scevalli…»

«Il nostro insegnante di Cura delle Creature Magiche sarà felice di occuparsene» disse Silente, «non appena avrà sistemato un piccolo problema che si è verificato con alcuni dei suoi altri — ehm — compiti».

«Gli Schiopodi» mormorò Ron a Harry, con un ghigno,

«I miei destrieri hanno bisogno di… ehm… una mano descisa» disse Madame Maxime, con l’aria di dubitare che qualunque insegnante di Cura delle Creature Magiche di Hogwarts fosse all’altezza dell’incarico. «Loro sono tanto forti…»

«Le assicuro che Hagrid se ne occuperà con competenza» disse Silente con un sorriso.

«Très bien» disse Madame Maxime con un piccolo inchino, «voleva dire a questo Agrid che i scevalli bevono solamonte whisky di malto, s’il vous plaît?»

«Provvederemo» disse Silente, inchinandosi a sua volta.

«Venite» disse Madame Maxime imperiosa ai suoi studenti, e la folla di Hogwarts si dischiuse per lasciarli salire le scale di pietra.

«Quanto credete che saranno grandi i cavalli di Durmstrang?» chiese Seamus Finnigan a Harry e Ron sporgendosi di fianco a Lavanda e Calì.

«Be’, se sono più grandi di questi, anche Hagrid non riuscirà a controllarli» disse Harry. «Sempre che non sia stato aggredito dai suoi Schiopodi. Chissà che cosa sta succedendo».

«Forse sono fuggiti» disse Ron speranzoso.

«Oh, non dirlo» intervenne Hermione con un brivido. «Prova a immaginarteli liberi per il parco…»

Rimasero lì, tremando un po’, ad aspettare l’arrivo della compagnia di Durmstrang. Quasi tutti guardavano il cielo in attesa. Per qualche minuto, il silenzio fu rotto solo dagli sbuffi e dallo scalpitio dei grossi cavalli di Madame Maxime. Ma poi…

«Sentite qualcosa?» disse Ron all’improvviso.

Harry tese l’orecchio: un suono forte e stranamente misterioso avanzava verso di loro dall’oscurità. Un rombo e un risucchio soffocato, come se un immenso aspirapolvere avanzasse lungo il letto di un fiume…

«Il lago!» urlò Lee Jordan, indicandolo. «Guardate il lago!»

Dalla loro postazione in cima ai prati che sovrastavano il parco, potevano vedere chiaramente la liscia superficie nera dell’acqua, solo che all’improvviso non fu più affatto liscia. Al centro, in profondità, c’era una strana turbolenza; grandi bolle si formavano in superficie, ondate si abbattevano sulle rive fangose… e poi, proprio al centro del lago, apparve un vortice, come se un tappo gigante fosse appena stato tirato via dal fondo…

Una cosa che sembrava un lungo palo nero prese ad affiorare lentamente dal cuore del vortice… e poi Harry vide il sartiame…

«È un albero maestro!» disse a Ron e Hermione.

Lenta e maestosa, la nave sorse dalle acque, splendente nella luce lunare. Aveva un’aria stranamente scheletrica, come se fosse la vittima risuscitata di un naufragio, e le fioche luci nebulose che scintillavano dai boccaporti sembravano occhi spettrali. Alla fine, con un gran sciabordio, la nave emerse del tutto, galleggiando sull’acqua agitata, e prese a scivolare verso la riva. Qualche istante dopo, udirono il tonfo di un’ancora gettata in un fondale basso, e il tonfo di una passerella che veniva abbassata sulla riva.

I passeggeri sbarcarono; i ragazzi videro le sagome passare davanti alle luci dei boccaporti. Tutti, notò Harry, sembravano della taglia di Tiger e Goyle… ma poi, mentre si avvicinavano, risalendo i prati nella luce che si riversava fuori dalla Sala d’Ingresso, vide che la loro stazza in realtà era dovuta al fatto che indossavano mantelli di pelliccia ispida. Ma l’uomo che li guidava portava una pelliccia di un altro tipo; liscia e argentea, come i suoi capelli.

«Silente!» gridò con calore, mentre risaliva la collina. «Come stai, mio caro amico, come stai?»

«Benissimo, grazie, professor Karkaroff» rispose Silente.

Karkaroff aveva una voce leziosa, untuosa; quando entrò nel fascio di luce che dilagava dal portone del castello, videro che era alto e sottile come Silente, ma i suoi capelli bianchi erano corti, e il pizzetto (che finiva con un piccolo ricciolo) non riusciva a nascondere del tutto il mento debole. Quando raggiunse Silente, gli strinse la mano tra le sue.

«Cara vecchia Hogwarts» disse, guardando in su verso il castello e sorridendo; aveva i denti giallastri, e Harry notò che il sorriso non si estendeva agli occhi, che rimasero freddi e penetranti. «Com’è bello essere qui, com’è bello… Viktor, vieni dentro, al caldo… non ti dispiace, Silente? Viktor ha un po’ di raffreddore…»

Karkaroff spinse avanti uno dei suoi studenti. Mentre il ragazzo passava, Harry fece in tempo a scorgere un grosso naso ricurvo e folte sopracciglia nere. Non ebbe bisogno del pugno che Ron gli sferrò sul braccio, né delle parole che gli sibilò all’orecchio, per riconoscere quel profilo.

«Harry… è Krum

CAPITOLO 16

IL CALICE DI FUOCO

«Non ci credo» esclamò Ron stupefatto, mentre gli studenti di Hogwarts risalivano in fila i gradini dietro la delegazione di Durmstrang. «Krum, Harry! Viktor Krum!»

«Per l’amor del cielo, Ron, è solo un giocatore di Quidditch!» disse Hermione.

«Solo un giocatore di Quidditch?» disse Ron, guardandola come se non riuscisse a credere alle sue orecchie. «Hermione… è uno dei migliori Cercatori del mondo! Non sapevo che andasse ancora a scuola!»

Mentre riattraversavano la Sala d’Ingresso con gli altri studenti di Hogwarts, diretti alla Sala Grande, Harry vide Lee Jordan che saltava su e giù per riuscire a veder meglio la nuca di Krum. Parecchie ragazze del sesto anno si stavano frugando freneticamente in tasca mentre camminavano («Oh, non ci posso credere, non ho nemmeno una penna», «Credi che mi firmerà il cappello col rossetto?»)

«Insomma» disse altezzosa Hermione mentre superavano le ragazze che ora battibeccavano per il rossetto.

«Io voglio avere il suo autografo, se ci riesco» disse Ron, «non è che hai una penna, eh, Harry?»

«No, sono di sopra nella borsa» rispose Harry.

Raggiunsero il tavolo di Grifondoro e presero posto. Ron si premurò di sedere sul lato che guardava l’ingresso, perché Krum e i suoi compagni di Durmstrang erano ancora riuniti laggiù, apparentemente incerti su dove sedersi. Gli studenti di Beauxbatons si erano sistemati al tavolo di Corvonero e si guardavano intorno imbronciati. Tre di loro si stringevano ancora sciarpe e scialli attorno alla testa.

«Non fa così freddo» esclamò irritata Hermione, che li stava osservando. «Perché non si sono portati i mantelli?»

«Quaggiù! Venite a sedervi qui!» sibilò Ron. «Di qua! Hermione, spostati, fai spazio…»

«Cosa?»

«Troppo tardi» disse Ron amareggiato.

Viktor Krum e i suoi compagni di Durmstrang si erano seduti al tavolo di Serpeverde. Harry notò che Malfoy, Tiger e Goyle erano molto compiaciuti per questo; Malfoy si chinò in avanti per dire qualcosa a Krum.

«Si, certo, lisciatelo bene, Malfoy» disse Ron aspro. «Ci scommetto che Krum lo capisce benissimo che tipo è… scommetto che ha sempre intorno della gente che lo adula… dove credete che dormirà? Potremmo offrirgli un posto nel nostro dormitorio, Harry… non mi dispiacerebbe cedergli il mio letto. Io potrei sistemarmi su una brandina».

Hermione sbuffò.

«Sembrano molto più allegri di quelli di Beauxbatons» osservò Harry.

Gli studenti di Durmstrang si stavano togliendo le pesanti pellicce e guardavano in su verso il soffitto nero stellato con aria interessata; un paio presero i piatti e le coppe d’oro e li osservarono da vicino, apparentemente impressionati.

Su al tavolo dei docenti, Mastro Gazza, il guardiano, stava aggiungendo delle sedie. Indossava un vecchio frac ammuffito in onore della circostanza. Harry si meravigliò nel vedere che aggiungeva quattro sedie, due da ciascun lato di Silente.

«Ma ci sono solo due persone in più» disse. «Perché Gazza prepara quattro posti? Chi altro deve arrivare?»

«Eh?» disse Ron in tono vago. Stava ancora fissando avidamente Krum.

Quando tutti gli studenti furono entrati nella Sala e si furono sistemati ai tavoli delle loro Case, gli insegnanti entrarono, raggiunsero in fila il tavolo più lontano e si sedettero. Il professor Silente, il professor Karkaroff e Madame Maxime furono gli ultimi. Quando apparve la loro Preside, gli allievi di Beauxbatons scattarono in piedi. Alcuni studenti di Hogwarts risero. Il gruppo di Beauxbatons non sembrò minimamente imbarazzato, e nessuno tornò a sedere se non dopo che Madame Maxime ebbe preso posto alla sinistra di Silente. Quest’ultimo però rimase in piedi e il silenzio calò sulla Sala Grande.

«Buona sera, signore e signori, fantasmi e — soprattutto — ospiti» disse Silente rivolgendo un gran sorriso agli studenti stranieri. «È un grande piacere per me darvi il benvenuto qui a Hogwarts. Spero e confido che la vostra permanenza qui sarà tanto comoda quanto piacevole».

Una delle ragazze di Beauxbatons che si stringeva ancora uno scialle attorno alla testa scoppiò in un’inconfondibile risatina di scherno.

«Nessuno ti costringe a restare!» sussurrò Hermione, seccata.

«Il Torneo verrà ufficialmente inaugurato alla fine del banchetto» disse Silente. «Ora vi invito tutti a mangiare, bere e a fare come se foste a casa vostra!»

Sedette, e Harry vide Karkaroff curvarsi subito verso di lui e intavolare una conversazione.

I piatti davanti a loro si riempirono di cibo come al solito. Gli elfi domestici giù nelle cucine sembravano aver dato fondo a tutte le loro capacità; davanti a loro c’era una varietà di pietanze molto più ricca di quanto Harry non avesse mai visto prima, comprese alcune che erano decisamente straniere.

«Che cos’è quello?» esclamò Ron, indicando un grosso piatto di una specie di stufato di crostacei disposto accanto a un gran pasticcio di carne e rognone.

«Bouillabaisse» disse Hermione.

«Salute» disse Ron.

«È francese» spiegò Hermione. «L’ho mangiata in vacanza, due estati fa, è molto buona».

«Se lo dici tu» commentò Ron servendosi di sanguinaccio.

La Sala Grande sembrava molto più affollata del solito, anche se c’erano una ventina scarsa di studenti in più; forse era perché le uniformi di colore diverso spiccavano contro il nero della divisa di Hogwarts. Ora che si erano tolti le pellicce, gli studenti di Durmstrang apparvero vestiti di un intenso rosso sangue.

Hagrid sgattaiolò nella Sala passando per una porta dietro il tavolo degli insegnanti venti minuti dopo l’inizio del banchetto. Scivolò al suo posto in fondo e salutò Harry, Ron e Hermione con una mano pesantemente fasciata.

«Gli Schiopodi stanno bene, Hagrid?» gridò Harry.

«Benissimo» rispose Hagrid allegro.

«Sì, ci scommetto» disse Ron piano. «A quanto pare finalmente hanno trovato qualcosa che gli piace, eh? Le dita di Hagrid».

In quel momento una voce disse: «Mi scusa, voleva prondere la bouillabaisse…»

Era la ragazza di Beauxbatons che aveva riso durante il discorso di Silente. Si era tolta lo scialle: una cascata di capelli di un biondo argenteo le scendeva fin quasi alla vita. Aveva grandi occhi di un azzurro intenso e denti candidi e regolari.

Ron diventò paonazzo. La fissò di sotto in su, apri la bocca per rispondere, ma non ne uscì altro che un debole gorgoglio.

«Certo, fai pure» rispose Harry, spingendo il piatto verso la ragazza.

«Voi non prende più?»

«No» rispose Ron senza fiato. «Sì, era squisita».

La ragazza prese il piatto e lo portò con cautela al tavolo di Corvonero. Ron continuava a fissarla come se non avesse mai visto una ragazza prima di quel momento. Harry scoppiò a ridere. Il rumore parve far tornare in sé Ron.

«È una Veela!» disse a Harry con voce roca.

«Ma certo che no!» ribatté Hermione acida. «Non vedo nessun altro che la guarda a bocca aperta come un idiota!»

Ma le cose non stavano proprio così. Mentre la ragazza attraversava la Sala, molte teste maschili si voltarono, e alcuni parvero perdere l’uso della parola, proprio come Ron.

«Vi dico che non è una ragazza normale!» disse Ron, allungando la testa per non perderla di vista. «Non le fanno così a Hogwarts!»

«Le fanno benone, a Hogwarts» disse Harry senza riflettere. Si dava il caso che Cho Chang fosse seduta a pochi posti di distanza dalla ragazza coi capelli d’argento.

«Quando voi due vi sarete risistemati gli occhi nelle orbite» disse Hermione bruscamente, «forse riuscirete a vedere chi è appena arrivato».

Stava indicando il tavolo degli insegnanti. I due posti ancora vuoti erano stati appena occupati. Ora Ludo Bagman sedeva dall’altro lato del professor Karkaroff, mentre il signor Crouch, il capo di Percy, era vicino a Madame Maxime.

«Che cosa ci fanno qui?» disse Harry stupito.

«Hanno organizzato loro il Torneo Tremaghi, no?» disse Hermione. «Avranno voluto assistere all’apertura».

Quando arrivò la seconda portata notarono anche un certo numero di dessert dall’aria insolita. Ron studiò da vicino uno strano tipo di budino pallido, poi lo spostò accuratamente di qualche centimetro alla sua destra, in modo che fosse ben visibile dal tavolo di Corvonero. La ragazza che sembrava una Veela però, a quanto pareva, aveva mangiato abbastanza, e non venne a prenderselo.

Quando i piatti d’oro furono ripuliti, Silente si alzò di nuovo. Una piacevole tensione parve diffondersi nella sala. Harry provò un vago brivido di eccitazione al pensiero di ciò che stava per accadere. Parecchi posti più in là, Fred e George erano tesi in avanti e fissavano Silente con grande concentrazione.

«Il momento è giunto» disse Silente, sorridendo al mare di visi rivolti verso il suo. «Il Torneo Tremaghi sta per cominciare. Vorrei dire qualche parola di presentazione prima di far entrare il forziere…»

«Il cosa?» sussurrò Harry.

Ron alzò le spalle.

«… solo per chiarire la procedura che seguiremo quest’anno. Ma prima di tutto lasciate che vi presenti, per coloro che non li conoscono, il signor Bartemius Crouch, Direttore dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale» — ci fu un clap clap di applausi educati — «e il signor Ludo Bagman, Direttore dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici».

Per Bagman risuonò una salva di applausi molto più sonora che per Crouch, forse a causa delia sua fama di Battitore, o semplicemente perché aveva un aspetto molto più amabile. Lui rispose con un cenno gioviale della mano. Bartemius Crouch non sorrise né salutò quando venne annunciato il suo nome. Ricordandolo col suo abito inappuntabile alla Coppa del Mondo di Quidditch, Harry ridletté che vestito da mago aveva un’aria strana. I suoi baffi a spazzolino e la scriminatura severa sembravano parecchio stravaganti vicino ai lunghi capelli e alla barba bianca di Silente.

«Il signor Bagman e il signor Crouch hanno lavorato instancabilmente negli ultimi mesi per mettere a punto il Torneo Tremaghi» proseguì Silente, «e si uniranno a me, al professor Karkaroff e a Madame Maxime nella giuria che valuterà gli sforzi dei campioni».

Alla parola “campioni”, l’attenzione degli studenti in ascolto parve ridestarsi.

Forse Silente aveva notato la loro improvvisa immobilità, perché sorrise dicendo: «Ora il forziere, prego. Mastro Gazza».

Gazza, che era appostato seminascosto in un angolo remoto della Sala, si avvicinò a Silente, trasportando un grosso baule di legno tempestato di pietre preziose. Sembrava molto antico. Un mormorio eccitato di interesse si levò dagli studenti in attesa; Dennis Canon sali addirittura sulla sedia per vederci bene, ma, essendo così piccolo, la sua testa sovrastava a stento quelle degli altri.

«Le istruzioni per le prove che i campioni affronteranno quest’anno sono già state prese in esame dal signor Crouch e dal signor Bagman» disse Silente, mentre Gazza posava con cautela il baule sul tavolo davanti a lui, «ed essi hanno preso i provvedimenti necessari. Le sfide saranno tre, distribuite nell’arco dell’anno scolastico, e metteranno alla prova i campioni in molti modi diversi… la loro perizia magica, la loro audacia, i loro poteri deduttivi e, naturalmente, la loro capacità di affrontare il pericolo».

A quest’ultima parola, la Sala fu invasa da un silenzio così assoluto che sembrava che tutti avessero smesso di respirare.

«Come sapete, tre campioni gareggiano nel Torneo» riprese tranquillo Silente, «uno per ogni scuola. Essi otterranno un punteggio in base all’abilità dimostrata in ciascuna delle prove del Torneo e il campione che avrà totalizzato il punteggio più alto dopo la terza prova vincerà la Coppa Tremaghi. I campioni verranno designati da un selezionatore imparziale… il Calice di Fuoco».

Silente estrasse la bacchetta e batté tre volte sul cofano. Il coperchio si aprì lentamente con un cigolio. Silente infilò la mano all’interno ed estrasse una grossa coppa di legno rozzamente intagliata. Sarebbe sembrata del tutto comune, se non fosse stata colma fino all’orlo di fiamme danzanti blu e biancastre.

Silente chiuse il forziere e pose delicatamente il Calice sul coperchio: da lì sarebbe stato ben visibile a tutti.

«Chiunque desideri proporsi come campione deve scrivere a chiare lettere il suo nome e quello della sua scuola su un foglietto di pergamena e metterlo nel Calice» disse Silente. «Gli aspiranti campioni hanno ventiquattr’ore per farsi avanti. Domani sera, la sera di Halloween, il Calice restituirà i nomi dei tre che avrà giudicato più meritevoli di rappresentare le loro scuole. Il Calice verrà esposto stasera nella Sala d’Ingresso, dove sarà liberamente raggiungibile per tutti coloro che desiderano gareggiare.

«Per garantire che nessuno studente di età inferiore a quanto richiesto cada in tentazione» continuò Silente, «traccerò una Linea dell’Età attorno al Calice di Fuoco una volta che sarà stato posto all’Ingresso. Nessuno al di sotto dei diciassette anni potrà varcare questa linea.

«Infine, vorrei ricordare a tutti coloro che desiderano partecipare che il Torneo non va affrontato con leggerezza. Una volta che un campione sarà stato scelto dal Calice di Fuoco, lui o lei sarà tenuto a partecipare al Torneo fino alla fine. Inserire il vostro nome nel Calice costituisce un contratto magico vincolante. Non è concesso di cambiare idea una volta diventati campioni. Vi prego dunque di essere molto sicuri di voler prendere parte alla gara, prima di mettere il vostro nome nel Calice. Ora, credo che sia il momento di andare a dormire. Buonanotte a voi tutti».

«Una Linea dell’Età!» disse Fred Weasley, gli occhi scintillanti, mentre tutti si dirigevano verso la Sala d’Ingresso. «Be’, si dovrebbe riuscire a imbrogliarla con una Pozione Invecchiante, no? E una volta che i nomi sono nel Calice, è fatta… lui non è in grado di stabilire se hai diciassette anni o no!»

«Ma io credo che nessuno sotto i diciassette anni abbia uno straccio di possibilità» disse Hermione, «non ne sappiamo ancora abbastanza…»

«Parla per te» la zittì George secco. «Tu proverai a entrare, vero, Harry?»

Harry considerò in fretta l’insistenza di Silente sul fatto che nessuno con meno di diciassette anni dovesse candidarsi, ma poi la meravigliosa visione di se stesso vincitore della Coppa Tremaghi invase di nuovo la sua mente… si chiese quanto poteva arrabbiarsi Silente se qualcuno con meno di diciassette anni trovava il modo di superare la Linea dell’Età…

«Dov’è?» chiese Ron, che non stava ascoltando una parola della conversazione, ma scrutava la folla per vedere che fine aveva fatto Krum. «Silente non ha detto dove dormono quelli di Durmstrang, vero?»

Ma questo interrogativo ebbe quasi subito una risposta. Avevano raggiunto il tavolo di Serpeverde, e Karkaroff aveva appena chiamato a raccolta i suoi studenti.

«Allora, torniamo alla nave» stava dicendo. «Viktor, come ti senti? Hai mangiato abbastanza? Devo far portare del vino aromatizzato dalle cucine?»

Harry vide Krum scuotere la testa mentre indossava di nuovo la pelliccia.

«Io folefa del fino, Herr Professor» disse un altro studente di Durmstrang, speranzoso.

«Non l’ho chiesto a te, Poliakoff» ribatté Karkaroff, l’aria affettuosa e paterna svanita in un istante. «Vedo che ti sei rovesciato di nuovo il cibo sui vestiti, disgustoso ragazzo…»

Karkaroff si voltò e raggiunse la porta con i suoi studenti al seguito. Harry si fermò per cedergli il passo.

«Grazie» disse Karkaroff noncurante, guardandolo appena.

E poi s’immobilizzò. Si voltò di nuovo verso Harry e lo guardò come se non riuscisse a credere ai suoi occhi. Dietro di lui, anche gli studenti di Durmstrang si fermarono. Gli occhi di Karkaroff risalirono lentamente il viso di Harry e indugiarono sulla sua cicatrice. Anche gli studenti di Durmstrang fissavano Harry incuriositi. Con la coda dell’occhio, Harry vide le facce di alcuni illuminarsi di comprensione: il ragazzo con i vestiti macchiati diede un colpetto alla sua vicina e indicò apertamente la fronte di Harry.

«Sì, è Harry Potter» disse una voce ringhiosa alle loro spalle.

Il professor Karkaroff si voltò di scatto. Malocchio Moody era là, appoggiato pesantemente al bastone, l’occhio magico che fissava malevolo il Preside di Durmstrang.

Il colore svanì dal viso di Karkaroff. I suoi lineamenti si torsero in una terribile smorfia di rabbia e paura.

«Tu!» esclamò, fissando Moody come se avesse visto un fantasma.

«Io» disse Moody arcigno. «E a meno che tu non debba dire qualcosa a Potter, Karkaroff, è il caso che tu ti sposti. Stai bloccando il passaggio».

Era vero; metà degli studenti della Sala ora era in attesa alle loro spalle e si alzavano in punta di piedi per vedere il motivo dell’ingorgo.

Senza dir altro, il professor Karkaroff si portò via i suoi studenti. Moody lo guardò sparire, l’occhio magico puntato sulla sua schiena, un’aria di intenso disgusto sul viso sfigurato.

* * *

Di sabato, in genere, quasi tutti gli studenti facevano colazione tardi. Invece quella mattina Harry, Ron e Hermione non furono i soli ad alzarsi molto prima del solito: quando scesero in Sala d’Ingresso, c’erano già una ventina di persone che girellavano, mangiando toast e osservando il Calice di Fuoco. Stava nel centro della Sala, sullo sgabello che di solito reggeva il Cappello Parlante. Una sottile linea d’oro circolare era disegnata per terra, a circa tre metri dallo sgabello.

«Qualcuno ci ha già messo dentro il suo nome?» chiese Ron impaziente a una del terzo anno.

«Tutti quelli di Durmstrang» rispose lei. «Ma non ho ancora visto nessuno di Hogwarts».

«Scommetto che qualcuno si è segnato ieri sera dopo che eravamo tutti andati a dormire» disse Harry. «Io avrei fatto così… non avrei voluto che tutti mi vedessero. E se il Calice ti risputa subito fuori?»

Qualcuno rise alle spalle di Harry. Voltandosi, vide Fred, George e Lee Jordan che correvano giù dalle scale, tutti e tre molto eccitati.

«Fatto» sussurrò Fred trionfante a Harry, Ron e Hermione. «L’abbiamo appena presa».

«Cosa?» chiese Ron.

«La Pozione Invecchiante, cervellodicacca» disse Fred.

«Una goccia per uno» spiegò George, sfregandosi le mani tutto allegro. «Ci basta essere più grandi solo di pochi mesi».

«Ci divideremo i mille galeoni se vince uno di noi tre» disse Lee, con un gran sorriso.

«Non sono sicura che funzionerà, sapete» intervenne Hermione cauta. «Silente avrà pensato anche a questo».

Fred, George e Lee la ignorarono.

«Pronti?» chiese Fred agli altri due, tremando per l’eccitazione. «Andiamo, allora… vado io per primo…»

Harry guardò affascinato Fred che estraeva dalla tasca un foglietto di pergamena con scritto sopra “Fred Weasley — Hogwarts”. Fred avanzò fino alla linea, e lì rimase, dondolandosi sulle punte dei piedi come un tuffatore che si accinge a un volo di quindici metri. Poi, con gli occhi di tutti i presenti puntati addosso, trasse un gran respiro e superò la linea.

Per un solo istante, Harry fu convinto che avesse funzionato — George lo pensò di sicuro, perché emise un ululato di trionfo e seguì il fratello con un balzo — ma un attimo dopo si udì un forte sfrigolio, ed entrambi i gemelli furono espulsi dal cerchio d’oro come se fossero stati scagliati da un invisibile lanciatore del peso. Atterrarono doloranti a tre metri di distanza sul freddo pavimento di pietra, poi, come se non bastasse, risuonò una forte esplosione ed entrambi si videro spuntare due identiche lunghe barbe bianche.

La Sala d’Ingresso rimbombò di risate, a cui si aggiunsero anche quelle di George e Fred, non appena si furono guardati bene in faccia.

«Vi avevo avvertiti» disse una voce profonda e divertita, e tutti si voltarono mentre il professor Silente usciva dalla Sala Grande. Scrutò Fred e George con gli occhi che scintillavano. «Suggerisco a entrambi di andare da Madama Chips. Si sta già occupando della signorina Fawcett di Corvonero e del signor Summers di Tassorosso: anche loro hanno deciso di invecchiarsi un po’. Anche se devo dire che le loro barbe non sono nemmeno remotamente belle come le vostre».

Fred e George si diressero all’infermeria, accompagnati da Lee, che ululava dal ridere, mentre Harry, Ron e Hermione, ridacchiando a loro volta, entrarono per far colazione.

Le decorazioni della Sala Grande quella mattina erano cambiate. Era Halloween: una nuvola di pipistrelli vivi svolazzava sul soffitto incantato, mentre centinaia di zucche intagliate sogghignavano da tutti gli angoli. Harry si diresse verso Dean e Seamus, che stavano discutendo degli studenti di Hogwarts di diciassette anni o più che probabilmente si sarebbero fatti avanti.

«Gira voce che Warrington si sia alzato presto e abbia presentato il suo nome» disse Dean a Harry. «Quello grosso di Serpeverde che sembra un bradipo».

Harry, che aveva giocato a Quidditch contro Warrington, scosse la testa disgustato. «Non possiamo avere un campione di Serpeverde!»

«E tutta Tassorosso parla di Diggory» disse Seamus sprezzante. «Io non pensavo che avrebbe voluto rischiare il suo bel faccino».

«Ascoltate!» esclamò Hermione all’improvviso.

Nell’Ingresso si udirono applausi e grida. Tutti si voltarono sulle sedie e videro entrare Angelina Johnson con un sorriso imbarazzato. Angelina, una ragazza nera alta che giocava da Cacciatrice nella squadra di Quidditch di Grifondoro, li raggiunse, si sedette e disse: «Be’, fatto! Ho appena consegnato il mio nome!»

«Stai scherzando!» disse Ron, colpito.

«Ma allora hai diciassette anni?» le chiese Harry.

«Ma certo che ce li ha. Io non vedo nessuna barba, e tu?» disse Ron.

«Li ho compiuti la settimana scorsa» spiegò Angelina.

«Be’, sono contenta che si presenti qualcuno di Grifondoro» disse Hermione. «Spero davvero che tu ce la faccia, Angelina!»

«Grazie, Hermione» disse Angelina con un sorriso.

«Sì, meglio tu che Bambolo Diggory!» disse Seamus, suscitando gli sguardi truci di parecchi Tassorosso che passavano lì davanti.

«Che cosa facciamo oggi, allora?» chiese Ron a Harry e Hermione quando ebbero finito di fare colazione e uscirono dalla Sala Grande.

«Non siamo ancora andati da Hagrid» propose Harry.

«Ok» disse Ron, «basta che non ci chieda di offrire qualche dito agli Schiopodi».

All’improvviso Hermione s’illuminò di entusiasmo.

«Mi è venuto in mente adesso… non ho ancora chiesto a Hagrid di iscriversi a CREPA!» esclamò. «Aspettatemi, faccio un salto di sopra a prendere le spille, va bene?»

«Ma che razza di…» disse Ron esasperato mentre Hermione correva su per la scalinata di marmo.

«Ehi, Ron» disse Harry all’improvviso. «È la tua amica…»

Gli studenti di Beauxbatons stavano rientrando dal parco, compresa la ragazza che assomigliava a una Veela. I ragazzi accalcati attorno al Calice di Fuoco si ritrassero per lasciarli passare, guardandoli con grande curiosità.

Madame Maxime entrò alle spalle dei suoi studenti e li mise in fila. Uno dopo l’altro, gli allievi di Beauxbatons varcarono la Linea dell’Età e lasciarono cadere i loro pezzetti di pergamena nelle fiamme blu e biancastre. Ogni nome, cadendo nel fuoco, diventava rosso per un attimo e sprizzava scintille.

«Che cosa credi che succederà a quelli che vengono esclusi?» mormorò Ron rivolto a Harry, mentre la Veela lasciava cadere il suo foglietto nel Calice. «Credi che torneranno alla loro scuola o resteranno qui a vedere il Torneo?»

«Non lo so» rispose Harry. «Resteranno qui, immagino… Madame Maxime resta per fare il giudice, no?»

Quando tutti gli studenti di Beauxbatons ebbero inserito i loro nomi nel Calice, Madame Maxime li condusse di nuovo fuori, nel parco.

«Allora, dove dormono?» disse Ron, avanzando verso la porta per seguirli con lo sguardo.

Un gran fracasso alle loro spalle annunciò la ricomparsa di Hermione con la scatola di spille CREPA.

«Oh, be’, muoviamoci» disse Ron, correndo giù per i gradini senza togliere gli occhi di dosso alla Veela, che ora era a metà del prato con Madame Maxime.

Mentre si avvicinavano alla capanna di Hagrid al limitare della Foresta Proibita, fu svelato il mistero della sistemazione notturna di Beauxbatons: gli studenti stavano risalendo a bordo della gigantesca carrozza blu polvere, ora parcheggiata a un centinaio di metri dalla porta di casa di Hagrid. I pachidermici cavalli volanti pascolavano in un recinto improvvisato lì accanto.

Harry bussò alla porta di Hagrid, e i latrati tonanti di Thor risposero all’istante.

«Era ora!» esclamò Hagrid, aperta la porta e visto chi bussava. «Credevo che v’eravate scordati dov’è che abito!»

«Abbiamo avuto tanto da fare. Ha…» esordì Hermione, e ammutolì.

Hagrid indossava il suo migliore (e davvero orrendo) vestito marrone peloso, più una cravatta a quadri gialli e arancio. Ma non era questo il peggio; evidentemente aveva cercato di domare le sue chiome, usando dosi abbondanti di quella che sembrava morchia. Ora i capelli erano appiattiti in due ciuffi: forse aveva cercato di farsi la coda come Bill, ma aveva scoperto di averne troppi. Il look non gli donava affatto. Per un momento, Hermione strabuzzò gli occhi, poi, decisa a non commentare, disse: «Ehm… dove sono gli Schiopodi?»

«Là fuori vicino all’orto delle zucche» rispose Hagrid tutto felice. «Stanno diventando grandicelli, ormai devono essere lunghi quasi un metro. C’è solo un problema, hanno cominciato a mangiarsi tra loro».

«Oh, no, davvero?» disse Hermione, tacitando con un’occhiata eloquente Ron che, fissando la stravagante acconciatura di Hagrid, aveva appena aperto la bocca per dire la sua.

«Sì» disse Hagrid malinconico. «Va tutto bene però, adesso li ho messi in vasche separate. Ce n’ho ancora una ventina».

«Be’, meno male» commentò Ron. Hagrid non colse il sarcasmo.

La capanna di Hagrid era in realtà una sola stanza: un letto gigantesco con una coperta patchwork era sistemato in un angolo. Un tavolo di legno e alcune sedie ugualmente smisurate si trovavano davanti al fuoco, sotto un’abbondanza di prosciutti salati e uccelli morti penzolanti dal soffitto. I ragazzi sedettero al tavolo mentre Hagrid preparava il tè. e ben presto furono immersi nell’ennesima discussione sul Torneo Tremaghi. Hagrid sembrava eccitato quanto loro.

«Aspettate» disse con un gran sorriso. «Dovete solo aspettare, vedrete della roba che non avete mai visto. La prima prova… ah, ma non devo dire niente».

«Continua, Hagrid!» lo supplicarono Harry, Ron e Hermione. ma lui si limitò a scuotere la testa sorridendo.

«Non voglio rovinarvi la sorpresa» disse. «Ma sarà uno spettacolo, parola mia. Quei campioni dovranno proprio mettercela tutta. Mai pensavo di vedere un Torneo Tremaghi nella mia vita!»

Finirono per pranzare da Hagrid, anche se non mangiarono molto: Hagrid aveva preparato quello che secondo lui era uno stufato di carne, ma dopo che Hermione estrasse un grosso artiglio dalla sua porzione, lei, Harry e Ron persero l’appetito. Però si divertirono a cercare di far dire a Hagrid quali sarebbero state le prove del Torneo, discussero quali dei partecipanti avevano le maggiori possibilità di essere scelti come campioni, e si chiesero se Fred e George erano già stati liberati della barba.

Una pioggia leggera prese a cadere a metà pomeriggio; era molto piacevole star seduti vicino al fuoco, ascoltando il ticchettio morbido delle gocce contro la finestra, guardando Hagrid che si rammendava i calzini e litigava con Hermione a proposito degli elfi domestici — perché si rifiutò categoricamente di unirsi al CREPA quando lei gli mostrò le spille.

«Gli fai solo un dispiacere, Hermione» disse in tono grave, infilando uno spesso filo giallo in un enorme ago di osso. «È nella loro natura curare gli umani, sono fatti così, capito? Li fai infelici se ci porti via il loro lavoro, e li insulti se provi a pagarli».

«Ma Harry ha liberato Dobby, ed era al settimo cielo» obiettò Hermione. «E abbiamo sentito dire che adesso chiede lo stipendio!»

«Sì, be’, ci sono i matti in tutte le razze. Non dico che non c’è il singolo elfo che ci piacerebbe la libertà, ma non riuscirai mai a convincere gli altri, quasi tutti gli altri — no, niente da fare, Hermione».

Hermione parve molto contrariata, e infilò la scatola con le spiile nella tasca del mantello.

Alle cinque e mezza stava calando l’oscurità, e Ron, Harry e Hermione decisero che era ora di tornare al castello per il banchetto di Halloween e, cosa più importante, per assistere alla proclamazione dei campioni delle tre scuole.

«Vengo con voi» disse Hagrid, mettendo via il cucito. «Solo un secondo».

Hagrid si alzò, raggiunse la cassettiera accanto al letto e vi frugò in cerca di qualcosa. Non gli fecero molto caso finché un odore davvero atroce non colpì i loro nasi.

Tossicchiando, Ron disse: «Hagrid, che cos’è?»

«Eh?» disse Hagrid, voltandosi con una grossa bottiglia in mano. «Non vi piace?»

«È dopobarba?» chiese Hermione con voce un po’ soffocata.

«Ehm… Eau de Cologne» borbottò Hagrid. Stava diventando rosso. «Forse è un po’ troppa» disse burbero. «Vado a toglierla, aspettate…»

Si precipitò fuori e lo videro lavarsi vigorosamente nel barile d’acqua fuori dalla finestra.

«Eau de Cologne?» esclamò Hermione stupefatta. «Hagrid?»

«E i capelli, e il vestito?» aggiunse Harry a mezza voce.

«Guardate!» esclamò Ron all’improvviso, indicando fuori.

Hagrid si era appena rialzato e voltato. Se prima era arrossito, non era niente in confronto a quello che gli stava succedendo ora. Alzandosi con molta cautela, in modo che Hagrid non li vedesse, Harry, Ron e Hermione sbirciarono dalla finestra e videro che Madame Maxime e gli studenti di Beauxbatons erano appena usciti dalla carrozza, anche loro diretti al banchetto. Non sentirono le parole di Hagrid, ma si era rivolto a Madame Maxime con lo sguardo rapito e velato che Harry gli aveva visto solo in una circostanza: quando contemplava il cucciolo di drago, Norberto.

«Va al castello con lei!» sbottò Hermione indignata. «Credevo che ci aspettasse…»

Dopo aver degnato la capanna solo di una vaga occhiata, Hagrid marciò su per il prato con Madame Maxime, gli studenti di Beauxbatons al seguito, impegnati a correre per tener dietro alle loro enormi falcate.

«Lei gli piace!» disse Ron incredulo. «Be’, se avranno dei figli, stabiliranno un record mondiale: ci scommetto che i loro bambini peseranno una tonnellata».

Uscirono dalla capanna e si chiusero la porta alle spalle. Fuori era sorprendentemente buio. Stringendosi nei mantelli, s’incamminarono su per i prati.

«Ooh, sono loro, guardate!» sussurrò Hermione.

Il drappello di Durmstrang risaliva dal lago verso il castello. Viktor Krum camminava a fianco di Karkaroff, e gli altri studenti li seguivano in ordine sparso. Eccitato, Ron seguì Krum con gli occhi, ma quest’ultimo non si guardò intorno mentre raggiungeva il portone principale e lo varcava prima di loro.

Quando entrarono, la Sala Grande illuminata dalle candele era quasi piena. Il Calice di Fuoco era stato spostato; ora si trovava davanti al posto di Silente al tavolo degli insegnanti. Fred e George — di nuovo senza un pelo — sembravano aver preso bene la delusione.

«Spero che sia Angelina» disse Fred mentre Harry, Ron e Hermione si sedevano.

«Anch’io!» disse Hermione ansante. «Be’, lo sapremo presto!»

Il banchetto di Halloween parve protrarsi più del solito. Forse perché era il secondo banchetto in due giorni, Harry non gustò le pietanze straordinarie come avrebbe fatto in circostanze normali. Come chiunque altro nella Sala, a giudicare dai colli perennemente tesi, dall’espressione di impazienza dipinta su ogni volto, dal continuo su e giù per vedere se Silente aveva già finito di mangiare, Harry voleva soltanto che venisse sparecchiato e scoprire chi erano i campioni designati.

E finalmente, i piatti d’oro tornarono immacolati come in origine; il rumore nella Sala crebbe bruscamente e scomparve quasi all’istante mentre Silente si alzava. Ai suoi lati, il professor Karkaroff e Madame Maxime sembravano tesi e ansiosi come chiunque altro. Ludo Bagman sorrideva e strizzava l’occhio a parecchi studenti. Il signor Crouch, invece, sembrava piuttosto indifferente, quasi annoiato.

«Bene, il Calice è quasi pronto a prendere le sue decisioni» annunciò Silente. «Ritengo che abbia bisogno di un altro minuto. Ora, prego i campioni che verranno chiamati di venire da questa parte della Sala, passare davanti al tavolo degli insegnanti ed entrare nella stanza accanto» e indicò la porta dietro il tavolo, «dove riceveranno le prime istruzioni».

Estrasse la bacchetta e tracciò un ampio gesto; tutte le candele tranne quelle all’interno delle zucche intagliate si spensero all’istante, sprofondando la Sala nella semioscurità. Il Calice di Fuoco ora splendeva più luminoso che mai, e lo sfavillio bianco e bluastro delle fiamme era quasi doloroso allo sguardo. Tutti lo fissavano, in attesa… qualcuno continuava a controllare l’orologio…

«Ci siamo quasi» bisbigliò Lee Jordan.

Le fiamme ridiventarono rosse all’improvviso. Dall’interno del Calice si sprigionarono scintille. Un attimo dopo, una lingua di fuoco dardeggiò nell’aria, un pezzetto di pergamena bruciato ne volò fuori… tutta la sala trattenne il respiro.

Silente afferrò il foglietto e lo tenne in mano col braccio teso, in modo da poter leggere alla luce delle fiamme, che erano tornate di un bianco bluastro.

«Il campione di Durmstrang» lesse con voce forte e chiara, «è Viktor Krum».

«Lo sapevo, io!» strillò Ron, mentre una tempesta di applausi e urla invadeva la Sala. Harry vide Viktor Krum alzarsi dal tavolo di Serpeverde e dirigersi goffo verso Silente; girò a destra, avanzò lungo il tavolo degli insegnanti e spari oltre la porta che conduceva alla stanza accanto.

«Bravo, Viktor!» esplose Karkaroff, così forte che tutti lo udirono, anche sopra gli applausi. «Lo sapevo che avevi la stoffa!»

I battimani e i commenti si spensero. L’attenzione si concentrò di nuovo sul Calice, che qualche istante dopo tornò a farsi rosso. Un secondo foglietto di pergamena ne schizzò fuori, sospinto dalle fiamme.

«Il campione di Beauxbatons» annunciò Silente, «è Fleur Delacour!»

«È lei, Ron!» gridò Hany. mentre la ragazza che somigliava tanto a una Veela si alzava in piedi con grazia, gettava indietro la chioma brillante e avanzava leggera tra i tavoli di Corvonero e Tassorosso.

«Oh, guarda, ci sono rimasti tutti male» disse Hermione al di sopra del frastuono, accennando agli altri del gruppo di Beauxbatons. “Rimasti male” era dir poco, pensò Harry. Due delle ragazze escluse erano scoppiate in un pianto dirotto, e singhiozzavano con la testa sulle braccia.

Quando anche Fleur Delacour fu scomparsa nella sala accanto, calò di nuovo il silenzio, ma questa volta era un silenzio carico di un’eccitazione quasi palpabile. Era la volta del campione di Hogwarts…

E il Calice di Fuoco divenne ancora una volta rosso; scintille ne piovvero fuori; la lingua di fuoco scattò alta nell’aria, e dalla sua punta Silente prese il terzo pezzetto di pergamena.

«Il campione di Hogwarts» scandì, «è Cedric Diggory!»

«No!» esclamò Ron ad alta voce, ma nel frastuono assordante del tavolo vicino nessuno lo sentì tranne Harry. Ogni singolo Tassorosso era balzato in piedi, urlando e saltando, mentre Cedric avanzava tra i compagni, con un gran sorriso sul volto, e si dirigeva verso la stanza dietro il tavolo degli insegnanti. In verità l’applauso per Cedric durò tanto a lungo che Silente ci mise un po’ a farsi sentire di nuovo.

«Ottimo!» gridò allegramente, e alla fine il clamore si calmò. «Bene, ora abbiamo i nostri tre campioni. Sono certo di poter contare su tutti voi, compresi gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang, perché diate ai vostri campioni tutto il sostegno che potete. Acclamando il vostro campione, contribuirete in modo molto…»

Ma Silente s’interruppe all’improvviso, e tutti capirono che cosa lo aveva distratto.

Il fuoco nel Calice era tornato rosso. Le scintille sprizzarono. Una lunga fiamma dardeggiò repentina nell’aria, e su di essa galleggiava un altro foglietto di pergamena.

Automaticamente, così parve, Silente tese la lunga mano e afferrò la pergamena. La allontanò da sé e lesse il nome. Per un lunghissimo istante, Silente fissò il foglietto, e tutta la Sala fissò Silente. Poi il Preside si schiarì la voce e lesse:

«Harry Potter».

CAPITOLO 17

I QUATTRO CAMPIONI

Harry rimase là dov’era, conscio che tutte le teste nella Sala Grande si erano voltate a guardarlo. Era esterrefatto. Tramortito. Stava sognando. Non aveva sentito bene.

Non ci furono applausi. Un brusio come di api infuriate invase la Sala; alcuni studenti si alzarono per vedere meglio Harry, seduto al suo posto come paralizzato.

Al tavolo degli insegnanti, la professoressa McGranitt era scattata in piedi e aveva oltrepassato rapida Ludo Bagman e il professor Karkaroff per parlottare concitata col professor Silente, che tese l’orecchio verso di lei, accigliato.

Harry si voltò verso Ron e Hermione; oltre le loro teste, vide tutti i Grifondoro che lo fissavano a bocca aperta.

«Non ho messo il mio nome nel Calice» disse Harry, con aria assente. «Voi lo sapete che non l’ho fatto».

Tutti e due si limitarono a restituirgli uno sguardo vacuo.

Al tavolo principale, il professor Silente si era alzato in piedi e aveva fatto un cenno alla professoressa McGranitt.

«Harry Potter!» esclamò di nuovo. «Harry! Vieni qui, per favore!»

«Vai» sussurrò Hermione, dando una spintarella a Harry.

Harry si alzò, inciampò nell’orlo dell’abito e barcollò un po’. S’incamminò lungo lo spazio tra il tavolo di Grifondoro e quello di Tassorosso. Gli parve un percorso infinitamente lungo; il tavolo principale non sembrava affatto avvicinarsi, e sentiva centinaia e centinaia di occhi fissi su di lui, come tanti riflettori. Il brusio divenne sempre più intenso. Dopo quella che gli parve un’ora, si trovò di fronte a Silente, con gli sguardi di tutti gli altri insegnanti puntati addosso.

«Bene… oltre quella porta, Harry» disse Silente. Non sorrideva.

Harry oltrepassò il tavolo. Hagrid era seduto proprio alla fine. Non gli fece l’occhiolino né gli rivolse uno dei suoi soliti cenni di saluto: sembrava totalmente sbalordito, e si limitò a fissarlo come tutti gli altri. Harry varcò la soglia e si ritrovò in una stanza più piccola, tappezzata di ritratti di maghi e streghe. Un bel fuoco scoppiettava nel camino davanti a lui.

Al suo ingresso le facce nei ritratti si voltarono a guardarlo: una strega raggrinzita scivolò addirittura fuori dalla cornice del suo quadro ed entrò in quello accanto, che ospitava un mago coi baffoni da tricheco. La strega avvizzita prese a sussurrargli all’orecchio.

Viktor Krum, Cedric Diggory e Fleur Delacour erano riuniti attorno al fuoco. Erano stranamente impressionanti, stagliati contro le fiamme. Krum, ingobbito e imbronciato, era appoggiato al camino, un po’ discosto dagli altri due; Cedric stava in piedi con le mani dietro la schiena e fissava il fuoco; Fleur Delacour si voltò quando Harry entrò, e gettò indietro il manto di lunghi capelli argentei.

«Che cosa suscede?» disse. «Noi si ritorna in Sala?»

Pensava che fosse venuto a portare un messaggio. Harry non sapeva come spiegare l’accaduto e rimase lì, a guardare i tre campioni. Fu colpito dal fatto che erano tutti molto alti.

Alle loro spalle si sentì uno scalpiccio, e Ludo Bagman entrò nella stanza. Prese Harry per il braccio e lo spinse in avanti.

«Straordinario!» mormorò, strizzandogli il braccio. «Assolutamente straordinario! Signori… signora» aggiunse, avvicinandosi al fuoco e rivolgendosi agli altri tre. «Posso presentarvi — per quanto incredibile possa sembrare — il quarto campione del Tremaghi?»

Viktor Krum si raddrizzò e scrutò Harry; la sua faccia arcigna si rabbuiò ulteriormente. Cedric sembrava disorientato: guardò Bagman, Harry, e poi di nuovo Bagman come se non fosse sicuro di aver capito bene. Fleur Delacour, invece, scosse i capelli sorridendo e disse: «Oh, è molto divertente, Monsieur Bagman».

«Scherzo?» ripeté Bagman, stupito. «No, no, nient’affatto! Il nome di Harry è appena uscito dal Calice di Fuoco!»

Le folte sopracciglia di Krum si contrassero appena. Cedric sembrava ancora educatamente perplesso.

Fleur si accigliò. «Ma c’è uno sbalio, no?» disse sdegnosamente a Bagman. «Lui non può ontrare in gara. È troppo piccolo».

«Be’… è sconcertante» disse Bagman, strofinandosi il mento liscio e sorridendo a Harry. «Ma come sapete, il limite di età è stato imposto solo quest’anno come ulteriore misura di sicurezza. E visto che il suo nome è uscito dal Calice… voglio dire, non credo che ci si possa tirare indietro a questo punto… è scritto nelle regole, siete obbligati… Harry dovrà fare del suo meglio…»

La porta alle loro spalle si aprì di nuovo, lasciando entrare una piccola folla: il professor Silente, seguito da vicino dal signor Crouch, dal professor Karkaroff, da Madame Maxime, dalla professoressa McGranitt e dal professor Piton. Harry udì il sonoro brusio proveniente dalla Sala prima che la McGranitt chiudesse la porta.

«Madame Maxime!» esclamò subito Fleur, marciando verso la sua Preside. «Si disce che anche questo ragazzino sarà in gara!»

Da qualche parte sotto la torpida incredulità Harry provò uno spasmo di rabbia. Ragazzino?

Madame Maxime si erse in tutta la sua considerevole altezza. La sommità della sua bella testa sfiorò il candeliere carico di ceri, e il suo gigantesco petto foderato di satin nero si sollevò.

«Che cosa vuole dire tutto questo, Silonte?» chiese imperiosa.

«Vorrei saperlo anch’io, Silente» disse il professor Karkaroff. Aveva un sorriso gelido, e i suoi occhi azzurri erano pezzetti di ghiaccio. «Due campioni per Hogwarts? Non ricordo che nessuno mi abbia detto che alla scuola ospite sono concessi due campioni… o non ho letto le regole abbastanza attentamente?»

Scoppiò in una breve risata cattiva.

«C’est impossible» disse Madame Maxime, con la mano enorme coperta di splendidi opali posata sulla spalla di Fleur. «Hogvàrts non può avere due campioni. È assolutamonte ingiusto».

«Eravamo convinti che la tua Linea dell’Età dovesse tenere alla larga i concorrenti più giovani, Silente» disse Karkaroff, il sorriso gelido ancora al suo posto, anche se i suoi occhi erano più freddi che mai. «Altrimenti, è ovvio, avremmo portato una più ampia delegazione di candidati dalle nostre scuole».

«Non è colpa di nessuno se non di Potter, Karkaroff» intervenne Piton a bassa voce. I suoi occhi neri ardevano di malevolenza. «Non incolpare Silente per l’ostinazione che Potter dimostra nell’infrangere le regole. Passa i limiti fin da quando è arrivato qui…»

«Grazie, Severus» disse Silente con decisione, e Piton tacque, anche se i suoi occhi scintillavano maligni attraverso lo schermo degli unti capelli neri.

Il professor Silente stava guardando Harry, che sostenne il suo sguardo, cercando di decifrarne l’espressione oltre le lenti a mezzaluna.

«Hai messo il tuo nome nel Calice di Fuoco, Harry?» gli chiese calmo Silente.

«No» rispose Harry. Sentiva che tutti lo osservavano con grande attenzione. Nell’ombra, Piton emise un piccolo sbuffo di impaziente incredulità.

«Hai chiesto a uno studente più grande di metterlo nel Calice di Fuoco per conto tuo?» chiese il professor Silente, ignorando Piton.

«No» rispose Harry con veemenza.

«Ah, ma lui dice falso, naturalmonte!» gridò Madame Maxime. Piton scosse la testa, arricciando le labbra.

«Non avrebbe potuto attraversare la Linea dell’Età» disse secca la professoressa McGranitt. «Sono sicura che siamo tutti d’accordo su questo punto…»

«Silonte ha fatto un sbalio con la linea» intervenne Madame Maxime, alzando le spalle.

«È possibile, naturalmente» disse Silente in tono educato.

«Silente, sa benissimo che non ha commesso un errore!» esclamò la professoressa McGranitt furiosa. «Insomma, che sciocchezza! Harry non avrebbe potuto oltrepassare la linea, e dal momento che il professor Silente crede che non abbia convinto un altro studente a farlo al posto suo, sono sicura che questo dovrebbe bastare anche a chiunque altro!»

E scoccò a Piton uno sguardo furibondo.

«Signor Crouch… Signor Bagman» disse Karkaroff, la voce untuosa, «voi siete i nostri — ehm — giudici imparziali. Certo converrete che tutto ciò è decisamente irregolare…»

Bagman si asciugò il faccione rotondo con il fazzoletto e guardò Crouch, che era lontano dal bagliore del fuoco, quasi del tutto nascosto nell’ombra. Era vagamente inquietante, e nella semioscurità il suo viso sembrava molto più vecchio, quasi scheletrico. Quando parlò, comunque, fu con il suo consueto tono asciutto. «Dobbiamo seguire le regole, e le regole stabiliscono chiaramente che le persone i cui nomi escono dal Calice di Fuoco sono tenute a gareggiare nel Torneo».

«Be’, Barty conosce le regole a menadito» disse Bagman, sorridendo e voltandosi di nuovo verso Karkaroff e Madame Maxime, come se la questione fosse chiusa.

«Insisto nel chiedere di riproporre i nomi degli altri miei studenti» disse Karkaroff. Aveva lasciato cadere il tono untuoso e il sorriso, ora, e aveva un’aria davvero torva. «Rimetterete al suo posto il Calice di Fuoco, e continueremo a inserire nomi finché ogni scuola non avrà due campioni. È una questione di principio, Silente».

«Ma Karkaroff, non funziona cosi» disse Bagman. «Il Calice di Fuoco si è appena spento… non si riaccenderà fino all’inizio del prossimo Torneo…»

«… al quale Durmstrang non prenderà assolutamente parte!» esplose Karkaroff. «Dopo tutti i nostri incontri e le trattative e i compromessi, non mi aspettavo proprio che succedesse una cosa del genere! Ho una mezza idea di andarmene, ora!»

«Vuota minaccia, Karkaroff» ringhiò una voce vicino alla porta. «Non puoi abbandonare il tuo campione ora. Deve gareggiare. Devono gareggiare tutti. Un contratto magico vincolante, come ha detto Silente. Comodo, eh?»

Moody era appena entrato. Avanzò zoppicando verso il fuoco, e a ogni suo passo risuonava un sordo clunk.

«Comodo?» ripeté Karkaroff. «Temo di non capirti, Moody».

Harry capì che stava cercando di suonare sprezzante, come se le parole di Moody non meritassero la sua attenzione, ma le sue mani, strette a pugno con forza, lo tradirono.

«No?» disse Moody tranquillamente. «È molto semplice, Karkaroff. Qualcuno ha messo il nome di Potter nel Calice sapendo che se fosse uscito avrebbe dovuto gareggiare».

«Qualcuno che voleva dare a Hogvàrts due chances!» intervenne Madame Maxime.

«Sono d’accordo, Madame Maxime» disse Karkaroff con un inchino. «Presenterò formale protesta al Ministero della Magia e alla Confederazione Internazionale dei Maghi…»

«Se c’è qualcuno che ha motivo di protestare, questo è Potter» ringhiò Moody, «ma… che buffo… non gli ho sentito dire una parola…»

«Perché lui vuole lamontarsi?» proruppe Fleur Delacour, picchiando un piede per terra. «Può ontrare in gara, no? Sono settimane che noi voliamo essere scelti! L’onore della nostra scuola! Il premio di mille galeoni… Lui muore dalla volia di provare!»

«Forse qualcuno spera che Potter muoia, infatti» disse Moody, il ringhio quasi spento nella voce.

Un silenzio estremamente teso seguì queste parole.

Ludo Bagman. che sembrava davvero molto agitato, saltellò nervosamente e disse: «Moody. vecchio mio… che cosa tremenda da dire!»

«Sappiamo tutti che il professor Moody considera sprecata la mattina, se non scopre sei complotti per ucciderlo prima dell’ora di pranzo» disse Karkaroff ad alta voce. «A quanto pare sta instillando la paura di essere assassinati anche nei suoi studenti. Una strana qualità in un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, Silente, ma senza dubbio avrai avuto le tue buone ragioni».

«Ah, io mi immagino le cose?» ringhiò Moody. «Io avrei delle visioni, eh? È stato un mago o una strega molto abile a mettere il nome del ragazzo in quel Calice…»

«Ah, che prove ci sono?» intervenne Madame Maxime, le grosse mani alzate.

«Perché hanno raggirato un oggetto magico molto potente!» ribatté Moody. «Era necessario un Incantesimo Confundus di potenza eccezionale per indurre quel Calice a dimenticare che al Torneo partecipano solo tre scuole… Suppongo che abbiano inserito il nome di Potter come rappresentante di un’altra scuola, per assicurarsi che fosse l’unico della sua categoria…»

«A quanto pare ci hai riflettuto parecchio, Moody» disse Karkaroff freddamente, «ed è in effetti una teoria molto ingegnosa — anche se, naturalmente, ho sentito dire che di recente ti sei convinto che uno dei tuoi regali di compleanno conteneva un uovo di basilisco abilmente camuffato, e lo hai fatto a pezzi prima di scoprire che era un orologio a cucù. Quindi ci comprenderai se non ti prendiamo del tutto sul serio…»

«C’è gente che volge a proprio vantaggio occasioni innocue» ribatté Moody in tono minaccioso. «Il mio compito è di pensare come pensano i maghi Oscuri, Karkaroff — come tu dovresti ben ricordare…»

«Alastor!» ammoni Silente. Harry si chiese per un attimo con chi stava parlando, ma poi capì che “Malocchio” non poteva certo essere il vero nome di Moody. Quest’ultimo tacque, anche se continuò a osservare Karkaroff soddisfatto. Il volto di Karkaroff era paonazzo.

«Non sappiamo come si è giunti a questa circostanza» disse Silente, rivolto a tutti i presenti. «Mi pare, comunque, che non abbiamo altra scelta se non accettarla. Sia Harry che Cedric sono stati prescelti per gareggiare nel Torneo. E dunque è ciò che faranno…»

«Ah, ma Silonte…»

«Mia cara Madame Maxime, se ha un’alternativa, sarei felice di sentirla».

Silente attese, ma Madame Maxime non parlò, si limitò a scoccare uno sguardo ostile. Non era l’unica, comunque. Piton era furioso; Karkaroff era livido. Bagman, invece, era piuttosto eccitato.

«Be’, cominciamo, allora?» disse, fregandosi le mani e sorridendo a tutti. «Dobbiamo dare le istruzioni ai nostri campioni, vero? Barty, vuoi fare gli onori di casa?»

Il signor Crouch parve uscire da una profonda fantasticheria.

«Sì» disse, «le istruzioni. Sì… la prima prova…»

Avanzò verso il fuoco. Da vicino, Harry pensò che sembrava malato. C’erano ombre scure sotto i suoi occhi, e la sua pelle segnata aveva un’aria fragile e avvizzita che non c’era alla Coppa del Mondo di Quidditch.

«La prima prova è studiata perché voi dimostriate la vostra audacia» disse a Harry, Cedric, Fleur e Krum, «quindi non vi diremo di che cosa si tratta. Il coraggio di fronte all’ignoto è una qualità importante in un mago… molto importante…

«La prima prova avrà luogo il 24 novembre, davanti agli altri studenti e alla commissione giudicatrice.

«Ai campioni non è permesso di chiedere o accettare aiuti di nessun genere dai loro insegnanti per portare a termine le prove del Torneo. I campioni affronteranno la prima sfida armati solo di bacchetta magica. Riceveranno istruzioni sulla seconda prova al termine della prima. A causa della natura impegnativa del Torneo e del tempo che esso richiede, i campioni sono esentati dagli esami di fine anno».

Crouch si volse verso Silente. «Credo che sia tutto, vero, Albus?»

«Credo di sì» rispose Silente, guardando Crouch con aria preoccupata. «Sei sicuro che non vuoi fermarti a dormire a Hogwarts stanotte, Barty?»

«No, Silente, devo tornare al Ministero» disse Crouch. «Questo è un periodo molto intenso, molto difficile… ho lasciato il giovane Weatherby al mio posto… è molto entusiasta… un po’ troppo entusiasta, a dire il vero…»

«Verrai a bere qualcosa prima di partire, almeno?» disse Silente.

«Dai, Barty, io resto qui!» esclamò allegramente Bagman. «Hogwarts è il centro di tutto, adesso, è molto più eccitante qui che in ufficio!»

«Non credo, Ludo» disse Crouch, con un tocco dell’antica impazienza.

«Professor Karkaroff… Madame Maxime… il bicchiere della staffa?» propose Silente.

Ma Madame Maxime aveva già messo il braccio attorno alle spalle di Fleur e la stava guidando con decisione fuori dalla stanza. Harry le sentì parlare fitto fitto in francese mentre tornavano nella Sala Grande. Karkaroff fece un cenno a Krum, e anche loro uscirono, in silenzio, però.

«Harry, Cedric, vi consiglio di andare su a dormire» disse Silente, sorridendo a entrambi. «Sono sicuro che Grifondoro e Tassorosso non vedono l’ora di festeggiare con voi, e sarebbe un peccato privarli di quest’ottima scusa per fare un bel po’ di baccano».

Harry scoccò un’occhiata a Cedric, che annuì, e uscirono insieme.

La Sala Grande ormai era deserta; le candele si erano quasi consumate, dando ai sorrisi frastagliati delle zucche un’aria inquietante e tremolante.

«Allora» disse Cedric con un vago sorriso. «Siamo di nuovo avversari!»

«Già» disse Harry. Non riuscì a trovare proprio nulla da dire.

Nella sua testa regnava il caos più totale, come se il suo cervello fosse stato saccheggiato.

«Allora… dimmi…» disse Cedric mentre raggiungevano la Sala d’Ingresso, che ora era illuminata solo da torce, in assenza del Calice di Fuoco. «Come hai fatto a mettere dentro il tuo nome?»

«Non l’ho fatto» rispose Harry guardandolo da sotto in su. «Non l’ho messo. Ho detto la verità».

«Ah… Ok». disse Cedric. Harry capì che non gli credeva. «Be’… ci vediamo, allora».

Cedric si diresse verso una porta alla sua destra. Harry rimase ad ascoltarlo mentre scendeva i gradini, poi, lentamente, prese a salire la scala di marmo.

Qualcuno, a parte Ron e Hermione, gli avrebbe creduto, o avrebbero pensato tutti che si era candidato per il Torneo? Ma come facevano a crederlo, quando avrebbe dovuto competere con altri che avevano avuto tre anni di istruzione magica più di lui, quando avrebbe dovuto affrontare prove che non solo avevano l’aria di essere molto pericolose ma dovevano essere portate a termine davanti a centinaia di persone? Sì, ci aveva pensato… aveva fantasticato… ma era stato uno scherzo, davvero, una specie di vana chimera… non aveva mai pensato veramente, seriamente di partecipare…

Ma qualcun altro sì… qualcun altro l’aveva voluto al Torneo, e si era assicurato che vi prendesse parte. Perché? Per fargli un regalo? Non ne era molto convinto…

Per vederlo mentre si copriva di ridicolo? Be’, era probabile che il suo desiderio si avverasse…

Ma per farlo uccidere? Moody era fissato come al solito? Non era possibile che qualcuno avesse messo il nome di Harry nel Calice per scherzo, per fargli un tiro mancino? Qualcuno lo voleva davvero morto?

Harry rispose subito a questo interrogativo. Sì, qualcuno lo voleva morto, fin da quando aveva solo un anno… Voldemort. Ma come avrebbe potuto assicurarsi che il nome di Harry finisse nel Calice di Fuoco? Voldemort doveva trovarsi molto, molto lontano, in qualche paese remoto, nascosto, solo… debole e privo di potere…

Eppure nel suo sogno, appena prima di svegliarsi con la cicatrice dolorante, Voldemort non era solo… parlava con Codaliscia… progettava l’assassinio di Harry…

Harry sussultò quando si trovò faccia a faccia con la Signora Grassa: non si era accorto di dove stava andando. Fu una sorpresa anche scoprire che non era sola dentro la cornice. La strega avvizzita che si era insinuata nel quadro del vicino quando Harry si era unito ai campioni ora era seduta con aria tronfia accanto alla Signora Grassa: doveva essersi precipitata di dipinto in dipinto lungo le sette rampe di scale per arrivare lì prima di lui. Sia lei che la Signora Grassa lo stavano guardando col massimo interesse.

«Bene, bene, bene» disse la Signora Grassa. «Violet mi ha appena raccontato tutto. Chi è appena stato scelto come campione della scuola, allora?»

«Guazzabuglio» rispose Harry torpido.

«Assolutamente no!» disse la strega pallida, indignata.

«No, no, Vi, è la parola d’ordine» disse la Signora Grassa in tono conciliante, e ruotò sui cardini per lasciar entrare Harry nella sala comune.

Il boato che scaturì all’apertura del ritratto quasi lo ributtò indietro. Un attimo dopo, una dozzina di paia di mani lo trascinavano dentro, e Harry si trovò faccia a faccia con la Casa di Grifondoro al completo, che urlava, applaudiva e fischiava.

«Dovevi dircelo, che ci provavi!» mugghiò Fred, in parte seccato, in parte profondamente colpito.

«Come hai fatto a riuscirci senza beccarti la barba? Eccezionale!» ruggì George.

«Non ho fatto un bel niente» rispose Harry. «Non so come…»

Ma Angelina lo aveva ghermito. «Oh, se non posso essere io, almeno è un Grifondoro…»

«Potrai ripagare Diggory per l’ultima partita a Quidditch, Harry!» strillò Katie Bell, un’altra dei Cacciatori di Grifondoro.

«C’è da mangiare, Harry, vieni a prendere…»

«Non ho fame, ho mangiato abbastanza al banchetto…»

Ma nessuno volle sentire che era sazio; nessuno volle sentire che non aveva messo il nome nel Calice; non una singola persona parve accorgersi che non era affatto dell’umore giusto per festeggiare… Lee Jordan aveva recuperato da qualche parte uno stendardo di Grifondoro, e insistette per avvolgerlo attorno a Harry come un mantello. Harry non riuscì ad allontanarsi, tutte le volte che cercava di sgattaiolare verso la scala che portava ai dormitori, la folla attorno a lui serrava i ranghi e lo costringeva a trangugiare un’altra Burrobirra, e gli ficcava in mano patatine e noccioline… tutti volevano sapere come aveva fatto, come aveva raggirato la Linea dell’Età di Silente ed era riuscito a mettere il suo nome nel Calice…

«Non ce l’ho messo» ripeté ancora e ancora, «non so com’è potuto succedere».

Ma per quel che lo ascoltavano, avrebbe anche potuto non rispondere affatto.

«Sono stanco!» urlò alla fine, dopo quasi mezz’ora. «No, davvero. George… vado a dormire…»

Voleva più di ogni altra cosa trovare Ron e Hermione, trovare il lume della ragione, ma sembrava che nessuno di questi fosse nella sala comune. Insistette che aveva bisogno di dormire, quasi calpestò i piccoli fratelli Canon che cercavano di tendergli un agguato ai piedi delle scale, e infine riuscì a scrollarsi di dosso tutti quanti, e si arrampicò su nel dormitorio più in fretta che poté.

Con suo grande sollievo, scoprì che Ron era steso sul suo letto nel dormitorio altrimenti deserto, ancora vestito da capo a piedi. Alzò lo sguardo quando Harry sbatté la porta alle sue spalle.

«Dove sei stato?» gli chiese Harry.

«Oh, ciao» disse Ron.

Sorrideva, ma il suo era un sorriso molto strano, forzato. Harry si rese conto all’improvviso che indossava ancora lo stendardo scarlatto di Grifondoro che Lee gli aveva legato al collo. Si affrettò a toglierselo, ma era annodato molto stretto. Ron rimase sul letto senza muoversi, a guardare Harry che cercava di levarselo di dosso.

«Allora» disse, quando finalmente Harry si fu levato lo stendardo e lo ebbe gettato in un angolo. «Congratulazioni».

«Come sarebbe a dire, congratulazioni?» esclamò Harry, fissando Ron. C’era decisamente qualcosa che non andava nel sorriso di Ron; era più che altro una smorfia.

«Be’… nessun altro è riuscito a superare la Linea dell’Età» disse Ron. «Nemmeno Fred e George. Che cos’hai usato, il Mantello dell’Invisibilità?»

«Il Mantello dell’Invisibilità non mi avrebbe fatto oltrepassare quella linea» disse Harry lentamente.

«Ah, giusto» disse Ron. «Credevo che me l’avresti detto se fosse stato il Mantello… perché ci avrebbe coperti tutti e due, no? Invece hai trovato un altro modo, vero?»

«Senti» disse Harry, «non ho messo il mio nome in quel Calice. Dev’essere stato qualcun altro».

Ron alzò le sopracciglia. «E perché lo avrebbe fatto?»

’Per uccidermi’, pensò Harry, ma sentì che sarebbe stato troppo melodrammatico.

«Non lo so» rispose.

Le sopracciglia di Ron si alzarono così tanto che rischiarono di sparire inghiottite dai capelli.

«Va bene, lo sai, a me puoi dire la verità» disse. «Se non vuoi che nessun altro lo sappia, d’accordo, ma non capisco perché ti preoccupi di mentire, non sei finito nei guai, no? Quell’amica della Signora Grassa, quella Violet, ci ha già raccontato tutto. Silente ti lascia partecipare. Un premio in denaro di mille galeoni, eh? E non devi nemmeno fare gli esami di fine anno…»

«Non ho messo il mio nome in quel Calice!» ripeté Harry, che cominciava a spazientirsi.

«Sì, sì, va bene» disse Ron, con lo stesso tono scettico di Cedric. «Solo che stamattina hai detto che se fossi stato tu, l’avresti messo ieri notte, e nessuno ti avrebbe visto… non sono stupido, sai».

«Ma stai facendo di tutto per sembrarlo» scattò Harry.

«Davvero?» disse Ron, e ora non c’era traccia di sorriso, più o meno forzato, sulla sua faccia. «Vorrai andare a dormire, Harry, immagino che dovrai alzarti presto domattina per un servizio fotografico o roba del genere».

Afferrò le tende attorno al suo letto a baldacchino e le chiuse di scatto. Harry rimase in piedi vicino alla porta, a fissare le cortine di velluto rosso, che in quel momento nascondevano una delle poche persone che avrebbero dovuto credergli.

CAPITOLO 18

LA PESA DELLE BACCHETTE

Quando Harry si svegliò la domenica mattina, gli ci volle un po’ per capire perché si sentisse così infelice e preoccupato; poi il ricordo della notte precedente gli precipitò addosso. Si alzò a sedere e scostò bruscamente le tende del suo letto, deciso a parlare con Ron, a costringerlo a credergli — solo per scoprire che il letto di Ron era vuoto; evidentemente era già sceso a colazione.

Harry si vestì e scese la scala a chiocciola che portava nella sala comune. Nell’istante in cui comparve, i ragazzi che avevano già fatto colazione scoppiarono di nuovo in un applauso. La prospettiva di scendere nella Sala Grande e affrontare il resto dei Grifondoro, che lo trattava come una specie di eroe, non era allettante; o così, comunque, o rimanere lì e lasciarsi assediare dai fratelli Canon, che gli facevano entrambi gesti frenetici perché si unisse a loro. Si diresse deciso verso il buco del ritratto, lo aprì e si trovò faccia a faccia con Hermione.

«Ciao» disse lei, porgendogli una pila di toast avvolti in un tovagliolo. «Ti ho portato questi… ti va una passeggiata?»

«Buona idea» rispose Harry, grato.

Scesero, attraversarono in fretta l’Ingresso senza guardare dentro la Sala Grande, e ben presto si trovarono a percorrere il prato in direzione del lago, dove era ormeggiata la nave di Durmstrang, sagoma nera riflessa nell’acqua. Era una mattinata gelida, e camminarono mangiando, mentre Harry raccontava a Hermione che cosa era successo esattamente dopo che aveva lasciato il tavolo di Grifondoro la sera prima. Con suo immenso sollievo, Hermione accettò la sua storia senza riserve.

«Be’, naturalmente lo sapevo che non ti eri fatto avanti tu» disse, quando lui ebbe finito di riferirle la scena avvenuta nella stanza accanto alla Sala Grande. «Dovevi vederti quando Silente ha letto il tuo nome! Ma la domanda è: chi è stato a metterlo nel Calice? Perché Moody ha ragione, Harry… non credo che nessuno degli studenti avrebbe potuto farlo… non sarebbero mai stati in grado di imbrogliare il Calice, o scavalcare Silente e i suoi…»

«Hai visto Ron?» la interruppe Harry.

Hermione esitò.

«Ehm… sì… era a colazione» rispose.

«Pensa ancora che sia stato io a dare il mio nome?»

«Be’… no, non credo… non per davvero» disse Hermione imbarazzata.

«Che vuol dire “non per davvero”?»

«Oh, Harry, non hai capito?» disse Hermione accoratamente. «È geloso!»

«Geloso?» esclamò Harry incredulo. «Geloso di cosa? Vuole fare la figura dell’idiota davanti a tutta la scuola, eh?»

«Senti» disse Hermione paziente, «tu sei sempre al centro dell’attenzione, lo sai che è così. Lo so che non è colpa tua» aggiunse in fretta, vedendo che Harry spalancava la bocca infuriato, «lo so che non vai a cercartelo… ma, be’, lo sai, Ron ha tutti quei fratelli con cui competere a casa, e tu sei il suo migliore amico, e sei così famoso — viene sempre messo in disparte quando ci sei tu, e lo sopporta, e non ne parla mai, ma credo che questa sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso…»

«Magnifico» disse Harry amaramente. «Davvero magnifico. Digli da parte mia che facciamo cambio quando vuole. Digli da parte mia che è il benvenuto… la gente che sbircia la mia cicatrice ovunque vada…»

«Non gli dirò un bel niente» disse Hermione brusca. «Diglielo tu. È il solo modo di risolvere la faccenda».

«Non ho intenzione di corrergli dietro per dirgli di crescere!» rispose Harry, così forte che parecchi gufi su un albero vicino spiccarono il volo allarmati. «Forse si convincerà che non mi sto divertendo quando mi sarò rotto l’osso del collo o…»

«Non fa ridere» disse Hermione piano. «Non fa ridere neanche un po’». Sembrava estremamente preoccupata. «Harry, stavo pensando… lo sai che cosa dobbiamo fare, vero? Subito, appena torniamo al castello?»

«Sì, dobbiamo dare a Ron un bel calcio nel…»

«Scrivere a Sirius. Devi dirgli che cosa è successo. Ti ha chiesto di tenerlo al corrente di tutto quello che succede a Hogwarts… è come se si aspettasse qualcosa del genere. Ho qui una pergamena e una penna…»

«Piantala!» disse Harry, guardandosi intorno per essere sicuro che nessuno ascoltasse; ma i prati erano deserti. «È tornato solo perché mi faceva male la cicatrice. Probabilmente correrà al castello se gli dico che qualcuno mi ha iscritto al Torneo Tremaghi…»

«Lui vorrebbe che glielo dicessi» disse Hermione con fermezza. «Lo scoprirà comunque…»

«Come?»

«Harry, questa cosa non passerà sotto silenzio» disse Hermione molto seria. «Questo Torneo è famoso, e tu sei famoso, sarei davvero sorpresa se la Gazzetta del Profeta non scrivesse niente su di te… sei già citato in metà dei libri su Tu-Sai-Chi, lo sai… e Sirius preferirebbe saperlo da te, lo so che è così».

«Ok, ok, gli scriverò» disse Harry, gettando l’ultimo pezzo di pane tostato nel lago. Entrambi rimasero a guardarlo galleggiare per un attimo, prima che un grosso tentacolo spuntasse dall’acqua e lo facesse sparire. Poi tornarono al castello.

«Che gufo devo usare?» disse Harry mentre salivano le scale. «Mi ha scritto di non usare più Edvige».

«Chiedi a Ron se ti presta…»

«A Ron non chiedo un bel niente» disse Harry in tono perentorio.

«Be’, allora prendi uno dei gufi della scuola, li possono usare tutti» disse Hennione.

Salirono alla Guferia. Hermione diede a Harry una pergamena, una penna e una boccetta d’inchiostro, poi si mise a passeggiare tra le lunghe file di trespoli, osservando i gufi così diversi, mentre Harry sedeva con la schiena appoggiata al muro e scriveva la sua lettera.

Caro Sirius,

Mi hai detto di tenerti informato su quello che succede a Hogwarts, così eccomi qui. Non so se hai sentito, ma il Torneo Tremaghi si tiene quest’anno e sabato sera sono stato scelto come quarto campione. Non so chi ha messo il mio nome nel Calice di Fuoco, perché non sono stato io. L’altro campione di Hogwarts è Cedric Diggory, di Tassorosso.

A questo punto s’interruppe e ridletté. Avrebbe voluto dirgli del peso terribile che pareva essersi installato nel suo petto dalla sera prima, ma non riusci a trovare le parole per dirlo, così si limitò a intingere di nuovo la penna nell’inchiostro e scrisse:

Spero che tu e Fierobecco stiate bene.

Harry

«Finito» disse a Hennione, alzandosi e spazzolando via la paglia dall’abito. A quell’atto, Edvige scese svolazzando sulla sua spalla, e tese la zampa.

«Non posso mandare te» le disse Harry, cercando con lo sguardo i gufi della scuola. «Devo usare uno di questi…»

Edvige ululò molto forte, e decollò così all’improvviso che i suoi artigli gli penetrarono nella spalla. Si tenne lontana da Harry mentre lui legava la lettera alla zampa di un grosso barbagianni. Quando il barbagianni fu volato via, Harry tese la mano per accarezzare Edvige, ma lei fece scattare il becco con rabbia e volò verso le travi, fuori tiro.

«Prima Ron, poi tu» esclamò Harry con rabbia. «Non è colpa mia».

* * *

Se Harry aveva pensato che le cose sarebbero migliorate non appena tutti si fossero abituati all’idea che era uno dei campioni, il giorno seguente gli dimostrò quanto si sbagliava. Non poté più evitare il resto della scuola quando ripresero le lezioni — ed era chiaro che il resto della scuola, proprio come i Grifondoro, era convinto che Harry si fosse proposto per il Torneo. A differenza dei Grifondoro, però, non sembravano affatto entusiasti.

I Tassorosso, che di solito erano in ottimi rapporti con i Grifondoro, erano diventati decisamente freddi nei loro confronti: una lezione di Erbologia bastò a dimostrarlo. Evidentemente i Tassorosso sentivano che Harry aveva rubato la gloria al loro campione; un sentimento inasprito, forse, dal fatto che la casa di Tassorosso molto di rado si copriva di gloria, e che Cedric era uno dei pochi ad avergliene conferita, quando aveva battuto Grifondoro a Quidditch. Ernie Macmillan e Justin Finch-Fletchley, con i quali Harry di solito andava molto d’accordo, non gli rivolsero la parola anche se stavano trapiantando Bulbi Balzellanti allo stesso tavolo: in compenso risero in maniera piuttosto sgradevole quando uno dei Bulbi Balzellanti si divincolò dalla presa di Harry e lo schiaffeggiò. Nemmeno Ron gli rivolgeva la parola: Hermione sedeva tra di loro, sforzandosi di fare conversazione, ma anche se tutti e due le rispondevano normalmente, evitavano di guardarsi. Harry pensò che perfino la professoressa Sprite sembrava fredda con lui: ma d’altra parte era la Direttrice della casa di Tassorosso.

In circostanze normali non avrebbe visto l’ora di parlare con Hagrid, ma Cura delle Creature Magiche voleva dire trovarsi faccia a faccia con i Serpeverde — per la prima volta da quando era diventato campione.

Com’era prevedibile, Malfoy arrivò alla capanna di Hagrid con il consueto ghigno beffardo al suo posto.

«Ah, guardate, ragazzi, c’è il campione» disse a Tiger e Goyle nell’istante in cui arrivò a portata di Harry. «Avete i vostri libri degli autografi? Meglio chiedere una firma adesso, perché dubito che sarà in circolazione ancora a lungo… metà campioni del Tremaghi sono morti… quanto pensi che resisterai, Potter? Dieci minuti dall’inizio della prima prova, scommetto».

Tiger e Goyle scoppiarono docilmente a ridere, ma Malfoy non poté andare avanti perché Hagrid spuntò da dietro la capanna, portando una torre pericolante di cassette, ciascuna delle quali conteneva uno Schiopodo molto grosso. Con orrore della classe, Hagrid spiegò che la ragione per cui gli Schiopodi si ammazzavano a vicenda era un eccesso di energia repressa, e che la soluzione era che ciascuno di loro mettesse un guinzaglio a uno Schiopodo e lo portasse a fare una passeggiatina. La sola cosa buona del progetto fu che distrasse completamente Malfoy da Harry.

«Portare questa roba a passeggio?» ripeté Malfoy disgustato, guardando dentro una delle cassette. «E dove esattamente dovremmo far passare il guinzaglio? Attorno al pungiglione, alla coda esplosiva o alla ventosa?»

«Lì intorno in mezzo» indicò Hagrid. «Ehm… forse è meglio che vi mettete i guanti di pelle di drago, così, per precauzione, insomma. Harry… vieni qui e aiutami con questo grosso qua…»

La vera intenzione di Hagrid era di parlare con Harry lontano dal resto della classe.

Attese finché tutti gli altri furono partiti con i loro Schiopodi, poi si rivolse a Harry e disse, molto serio: «Allora… sei in gara, Harry. Nel Torneo. Campione della scuola».

«Uno dei campioni» lo corresse Harry.

I neri occhi lucidi di Hagrid erano pieni d’ansia sotto le sopracciglia incolte. «Non hai idea di chi ti ci ha messo dentro, Harry?»

«Allora tu ci credi che non sono stato io?» esclamò Harry, nascondendo a fatica un fiotto di gratitudine.

«Ma certo che ci credo» grugnì Hagrid. «Tu dici che non sei stato tu, e io ti credo — e Silente ti crede, ecco».

«Vorrei proprio sapere chi è stato» disse Harry amaramente.

Guardarono tutti e due verso il prato; la classe era sparpagliata, e in grande difficoltà. Gli Schiopodi erano lunghi più di un metro, ed estremamente robusti. Non erano più nudi e privi di colore, ma coperti da una sorta di spessa, lucente corazza grigiastra. Sembravano un incrocio tra scorpioni giganti e granchi oblunghi — ma sempre senza testa o occhi riconoscibili. Erano diventati spaventosamente forti, e molto difficili da controllare.

«Si divertono, eh?» esclamò Hagrid allegramente. Harry dedusse che stava parlando degli Schiopodi, perché i suoi compagni certo non si divertivano: ogni tanto, con un bang preoccupante, una delle code degli Schiopodi esplodeva, sparando la bestia parecchi metri più avanti, e trascinando sulla pancia il malcapitato accompagnatore.

«Ah, io non so, Harry» disse Hagrid all’improvviso con un gran sospiro, tornando a guardarlo preoccupato. «Campione della scuola… sembra che capita tutto a te, vero?»

Harry non rispose. Sì, sembrava che capitasse tutto a lui… era più o meno quello che aveva detto Hermione camminando attorno al lago, ed era questa la ragione, secondo lei, per cui Ron non gli rivolgeva più la parola.

* * *

I giorni che seguirono furono tra i più brutti di Harry a Hogwarts. Era arrivato a sentirsi così male solo durante quei mesi del secondo anno, in cui gran parte della scuola lo aveva sospettato di pietrificare i suoi compagni. Ma allora Ron era suo amico. Harry era convinto che sarebbe riuscito a sopportare il resto della scuola se solo avesse potuto riavere Ron al suo fianco, ma non intendeva cercare di convincerlo a parlargli se lui non voleva. Ora si sentiva solo, con il livore che gli pioveva addosso da tutte le parti.

Poteva capire l’atteggiamento dei Tassorosso, anche se non gli piaceva; avevano il loro campione da sostenere. Non si aspettava altro che biechi insulti dai Serpeverde — era estremamente impopolare tra loro e lo era sempre stato, perché con i colori di Grifondoro li aveva battuti un’infinità di volte, sia a Quidditch che nella Coppa delle Case. Ma aveva sperato che i Corvonero sarebbero stati disposti a tifare per lui come per Cedric. Invece no: i Corvonero parevano convinti in gran parte che avesse imbrogliato il Calice solo perché era avido di celebrità.

Poi c’era il fatto che Cedric sembrava un campione, molto più di lui. Straordinariamente bello, con quel naso diritto, i capelli scuri e gli occhi grigi, era difficile dire chi fosse più ammirato in quei giorni, se lui o Viktor Krum. Harry vide addirittura le stesse ragazze del sesto anno che avevano smaniato per l’autografo di Krum supplicare Cedric di firmare le loro borse, un giorno a pranzo.

Nel frattempo non c’era risposta da Sirius, Edvige si rifiutava di avvicinarsi a lui, la professoressa Cooman prediceva la sua morte con ancor più sicurezza del solito, e Harry andò cosi male in Incantesimi di Appello alla lezione del professor Vitious che gli toccarono dei compiti in più: fu l’unico ad averli, oltre Neville.

«Davvero, non è così difficile, Harry» cercò di rassicurarlo Hermione mentre uscivano dalla lezione di Vitious: lei aveva attirato oggetti da tutta la stanza per tutta la lezione, come se fosse stata una calamita per cancellini, cestini della carta straccia e Lunascopi. «È solo che non ti sei concentrato nel modo giusto…»

«Chissà perché» borbottò Harry cupo, mentre Cedric Diggory lo superava, circondato da un bel gruppo di ragazze miagolanti, che guardarono tutte Harry come se fosse uno Schiopodo particolarmente grosso. «Comunque… non c’è problema, eh? Oggi pomeriggio doppie Pozioni, non vedo l’ora…»

La doppia lezione di Pozioni era sempre un’esperienza terribile, ma in quei giorni rasentava la tortura. Essere rinchiusi in una cantina per un’ora e mezza con Piton e i Serpeverde, tutti decisi, a quanto pareva, a fargli pagare l’ardire di essere diventato campione della scuola, era la cosa più orrenda che Harry potesse immaginare, o quasi. Aveva già sofferto per un venerdì, con Hermione seduta accanto a lui che ripeteva “Ignorali, ignorali, ignorali” sottovoce, e non vedeva perché quel giorno le cose avrebbero dovuto andare meglio.

Quando lui e Hermione raggiunsero il sotterraneo di Piton dopo pranzo, scoprirono che i Serpeverde li aspettavano fuori, ognuno con una grossa spilla appuntata sulla divisa in bella vista. Per un folle attimo Harry pensò che si trattasse di spille CREPA — poi si accorse che avevano tutte lo stesso slogan a lettere rosse che brillavano vivaci nel corridoio sotterraneo scarsamente illuminato:

TIFATE PER CEDRIC DIGGORY — IL VERO CAMPIONE DI HOGWARTS!

«Ti piacciono, Potter?» esclamò Malfoy ad alta voce mentre Harry si avvicinava. «E non è tutto: guarda!»

Premette la spilla e lo slogan sparì, sostituito da un altro, questa volta verde:

POTTER FA SCHIFO

I Serpeverde ulularono dalle risate. Anche loro, tutti quanti, premettero le loro spille, finché la frase POTTER FA SCHIFO non scintillò intorno a Harry. Lui sentì il calore invadergli di colpo la faccia e il collo.

«Oh, molto divertente» disse Hermione sarcastica a Pansy Parkinson e alla sua banda di ragazze di Serpeverde, che ridevano più di tutti, «davvero spiritoso».

Ron era appoggiato al muro con Dean e Seamus. Non rideva, ma non prese nemmeno le parti di Harry.

«Ne vuoi una, Granger?» disse Malfoy, tendendo una spilla a Hermione. «Ne ho un sacco. Però non toccarmi la mano Me la sono appena lavata, sai, non voglio che una Mezzosangue ci sbavi sopra».

La rabbia che Harry provava da giorni e giorni parve irrompere dal suo petto come da una diga. Prima ancora di pensare a ciò che faceva, cercò la bacchetta. I ragazzi intorno si ritrassero rapidamente, indietreggiando nel corridoio.

«Harry!» esclamò Hermione in tono di avvertimento.

«Vai avanti, allora, Potter» disse tranquillamente Malfoy, estraendo la sua bacchetta. «Moody adesso non è qui a tenerti d’occhio — fallo, se ne hai il coraggio…»

Per un attimo si guardarono negli occhi, poi scattarono, esattamente nello stesso istante.

«Furnunculus!» urlò Harry.

«Densaugeo!» strillò Malfoy.

Getti di luce irruppero da entrambe le bacchette, cozzarono a mezz’aria e rimbalzarono indietro ad angoli diversi: quella di Harry colpì Goyle in faccia, e quella di Malfoy colpì Hermione. Goyle ululò e si portò le mani al naso, dove stavano eruttando grosse orribili bolle; Hermione, gemendo terrorizzata, si teneva la bocca.

«Hermione!» esclamò Ron, scattando verso di lei.

Harry si voltò e vide che Ron strappava via la mano di Hermione dal suo viso. Non era un bello spettacolo. I denti davanti di Hermione — già più grandini del normale — stavano crescendo a un ritmo preoccupante; lei assomigliava sempre più a un castoro mentre i denti le si allungavano, spuntavano da sotto il labbro superiore, dritto verso il mento: presa dal panico, li toccò, ed emise un urlo terrorizzato.

«Si può sapere che cos’è tutto questo fracasso?» disse una bassa voce feroce. Era arrivato Piton.

Nel chiasso generale, i Serpeverde cercarono di dare la loro versione dei fatti. Piton puntò un lungo dito giallastro verso Malfoy e disse: «Spiegati».

«Potter mi ha aggredito, signore…»

«Ci siamo attaccati nello stesso istante!» urlò Harry.

«… e ha colpito Goyle: guardi…»

Piton esaminò Goyle, il cui volto assomigliava a qualcosa che sarebbe stato di casa in un libro sui funghi velenosi.

«In infermeria, Goyle» disse tranquillamente.

«Malfoy ha colpito Hermione!» intervenne Ron. «Guardi!»

Costrinse Hermione a mostrare i denti a Piton — lei stava facendo del suo meglio per nasconderli con le mani, anche se era difficile, visto che ormai avevano superato il colletto della divisa. Pansy Parkinson e le altre di Serpeverde erano piegate in due dalle risate silenziose e additavano Hermione da dietro le spalle di Piton.

Piton guardò con freddezza Hermione, poi disse: «Non vedo nessuna differenza».

Hermione emise un gemito; gli occhi le si riempirono di lacrime, girò sui tacchi e corse via su per il corridoio fino a sparire.

Fu una fortuna, forse, che sia Harry che Ron cominciassero a gridare contro Piton nello stesso momento; fu una fortuna che le loro voci rimbombassero così tanto nel corridoio di pietra, perché nel confuso clamore Piton non riuscì a sentire esattamente quali epiteti gli scagliavano contro. Comunque, se ne fece un’idea.

«Vediamo» disse con voce quanto mai suadente. «Cinquanta punti in meno a Grifondoro e una punizione per Potter e Weasley. Ora entrate, o la punizione durerà una settimana».

A Harry rimbombavano le orecchie. Voleva ridurre Piton in mille viscidi pezzi con un incantesimo, per quella mostruosa ingiustizia. Lo superò, raggiunse con Ron il fondo del sotterraneo, e scaraventò la borsa dei libri sul tavolo. Anche Ron tremava di rabbia — per un istante, fu come se tutto tra loro fosse tornato normale, ma poi Ron si voltò e si sedette con Dean e Seamus, lasciando Harry solo al suo tavolo. Dalla parte opposta, Malfoy voltò le spalle a Piton e premette la spilla con un ghigno. POTTER FA SCHIFO lampeggiò ancora una volta attraverso la stanza.

Harry rimase a sedere con gli occhi fissi su Piton mentre la lezione cominciava, immaginandolo vittima delle cose più orribili. Se solo avesse saputo come scagliare la Maledizione Cruciatus… avrebbe avuto Piton lì disteso sulla schiena come quel ragno, a strillare e contorcersi…

«Antidoti!» annunciò Piton, volgendo intorno lo sguardo, i freddi occhi neri che brillavano di una luce sgradevole. «Dovreste aver tutti preparato le vostre pozioni, adesso. Voglio che le facciate distillare con cura, e poi sceglieremo qualcuno su cui sperimentarne una…»

Gli occhi di Piton incontrarono quelli di Harry, e Harry seppe che cosa si preparava. Piton aveva intenzione di avvelenare proprio lui. Immaginò di prendere il calderone, scagliarsi in avanti e rovesciarlo sulla testa unta di Piton…

E poi un toc toc alla porta del sotterraneo interruppe i suoi pensieri.

Era Colin Canon; avanzò lentamente nella stanza, con un gran sorriso per Harry, e raggiunse la scrivania di Piton, in fondo.

«Sì?» disse Piton asciutto.

«Mi scusi, signore, devo accompagnare di sopra Harry Potter».

Piton fissò dall’alto del naso ricurvo il piccolo Colin, e il sorriso svanì dal suo viso impaziente.

«Potter ha un’altra ora di Pozioni» disse freddamente. «Verrà di sopra quando la lezione sarà finita».

Colin arrossì.

«Signore… signore, lo vuole il signor Bagman» disse in tono nervoso. «Tutti i campioni devono andare, credo che vogliano fargli delle foto…»

Harry avrebbe dato tutto ciò che possedeva per impedire a Colin di pronunciare quelle ultime parole. Azzardò una mezza occhiata a Ron, ma Ron stava fissando con determinazione il soffitto.

«Molto bene, molto bene» ribatté Piton. «Potter, lascia qui la tua roba, voglio che più tardi torni di sotto a provare il tuo antidoto».

«La prego, signore… deve portare la sua roba con sé» squittì Colin. «Tutti i campioni…»

«Molto bene!» disse Piton. «Potter… prendi la tua borsa e sparisci!»

Harry si gettò la borsa sulla spalla, si alzò e si diresse verso la porta. Mentre passava accanto ai banchi dei Serpeverde, POTTER FA SCHIFO ammicco verso di lui da tutte le direzioni.

«È incredibile, vero, Harry?» disse Colin, cominciando a parlare nell’istante in cui Harry si richiuse alle spalle la porta della segreta. «Vero? Che tu sia un campione?»

«Sì, davvero incredibile» rispose Harry in tono pesante, mentre risalivano i gradini diretti alla Sala d’Ingresso. «Perché vogliono le foto. Colin?»

«Per La Gazzetta del Profeta, credo!»

«Grandioso» commentò Harry, depresso. «Proprio quello di cui ho bisogno. Un altro po’ di pubblicità».

«Buona fortuna!» esclamò Colin quando ebbero raggiunto la stanza giusta. Harry bussò alla porta ed entrò.

Si trovava in una classe decisamente piccola; gran parte dei banchi erano stati spinti in fondo alla stanza, lasciando un grande spazio al centro; tre, però, erano stati sistemati, uno accanto all’altro, di fronte alla lavagna, e ricoperti da un lungo drappo di velluto. Dietro erano disposte cinque sedie: su una sedeva Ludo Bagman, e parlava con una strega vestita di cremisi che Harry non aveva mai visto prima.

Viktor Krum era in piedi in un angolo, malmostoso come al solito, e non parlava con nessuno. Cedric e Fleur stavano chiacchierando. Fleur sembrava parecchio più allegra di quanto non fosse stata fino a quel momento; continuava a gettare indietro la testa in modo che i suoi lunghi capelli argentei catturassero la luce. Un uomo panciuto, che reggeva una grossa macchina fotografica nera da cui usciva un fil di fumo, osservava Fleur con la coda dell’occhio.

Bagman all’improvviso intercettò Harry, si alzò in fretta e avanzò saltellando. «Ah, eccolo qui! Il campione numero quattro! Entra, Harry, entra… non c’è niente di cui preoccuparsi, è solo la cerimonia della Pesa delle Bacchette, gli altri giudici saranno qui a momenti…»

«La Pesa delle Bacchette?» ripeté Harry nervosamente.

«Dobbiamo controllare che le vostre bacchette siano perfettamente efficienti, senza problemi, sai, visto che sono i vostri strumenti più importanti nelle prove che vi aspettano» disse Bagman. «L’esperto adesso è di sopra con Silente. E poi ci sarà il tempo per qualche scatto. Questa è Rita Skeeter» aggiunse, indicando la strega con il vestito cremisi, «scriverà un piccolo articolo sul Torneo per La Gazzetta del Profeta…»

«Forse non tanto piccolo, Ludo» disse Rita Skeeter, gli occhi fissi su Harry.

I suoi capelli erano acconciati in riccioli elaborati e curiosamente rigidi che facevano uno strano contrasto con il viso dalla mascella pronunciata. Portava occhiali incorniciati di strass. Le grosse dita che stringevano la borsetta di pelle di coccodrillo terminavano con unghie lunghe almeno cinque centimetri, dipinte di rosso cremisi.

«Chissà se posso scambiare due parole con Harry prima di cominciare…» disse a Bagman, continuando a fissare Harry. «Il campione più giovane, sai… per aggiungere un po’ di colore…»

«Ma certo!» strillò Bagman. «Cioè — se Harry non ha niente in contrario…»

«Ehm…» disse Harry.

«Splendido» disse Rita Skeeter, e in un attimo le sue dita dai rossi artigli stringevano il braccio di Harry con forza sorprendente, lei lo pilotava fuori della stanza, e apriva una porta lì accanto.

«Non è il caso che rimaniamo di là con tutto quel rumore» disse. «Vediamo… ah, si, qui è carino e intimo».

Era un ripostiglio delle scope. Harry la fissò perplesso.

«Vieni, caro — così — splendido» disse di nuovo Rita Skeeter, appollaiandosi in precario equilibrio su un secchio rovesciato, spingendo Harry a sedere su una scatola di cartone e chiudendo la porta, così che si trovarono immersi nell’oscurità. «Ora, vediamo un po’…»

Aprì con uno schiocco la borsetta di coccodrillo ed estrasse una manciata di candele, che accese con un colpo di bacchetta e fece magicamente galleggiare a mezz’aria.

«Non ti dispiace, Harry, se uso una Penna Prendiappunti? Mi permette di parlarti normalmente…»

«Una cosa?» disse Harry.

Il sorriso di Rita Skeeter si fece più largo (Harry contò tre denti d’oro). Frugò di nuovo nella borsa di coccodrillo e ne sfilò una lunga penna verde acido e un rotolo di pergamena, che srotolò fra loro su una cassetta di Solvente Magico di Nonna Acetonella per Ogni Tipo di Sporcizia. S’infilò in bocca la punta della penna verde, la succhiò per un momento con evidente piacere, poi la mise in piedi sulla pergamena, dove rimase in equilibrio sulla punta, vibrando lievemente.

«Prova… sono Rita Skeeter, inviato della Gazzetta del Profeta».

Harry gettò un’occhiata. Nell’istante in cui Rita Skeeter aveva aperto bocca, la piuma verde aveva cominciato a scrivere freneticamente, scivolando sulla pergamena:

L’attraente bionda Rita Skeeter, quarantatré anni, la cui indomita penna ha punzecchiato molti palloni gonfiati…

«Splendido» disse ancora una volta Rita Skeeter. Strappò la striscia superiore del rotolo, la appallottolò e la ficcò nella borsetta. Poi si chinò verso Harry e disse: «Allora, Harry… che cosa ti ha convinto a partecipare al Torneo Tremaghi?»

«Ehm…» disse di nuovo Harry, ma era distratto dalla penna. Anche se lui non stava parlando, sfrecciava sulla pergamena, e nella sua scia riuscì a distinguere una nuova frase:

Una brutta cicatrice, ricordo di un tragico passato, sfigura l’altrimenti affascinante volto di Harry Potter, i cui occhi…

«Ignora la penna, Harry» disse Rita Skeeter con decisione. A malincuore, Harry alzò gli occhi verso di lei. «Allora… perché hai deciso di prendere parte al Torneo. Harry?»

«Non ho deciso» rispose Harry. «Non so come ha fatto il mio nome a finire dentro il Calice di Fuoco. Non ce l’ho messo io».

Rita Skeeter sollevò un sopracciglio pesantemente ritoccato con la matita nera. «Andiamo, Harry, non è il caso di aver paura di finire nei guai. Sappiamo tutti che non avresti dovuto affatto partecipare. Ma non preoccuparti. I nostri lettori adorano i ribelli».

«Ma io non mi sono fatto avanti» ripeté Harry. «Non so chi…»

«Che cosa provi quando pensi alle prove che ti attendono?» chiese Rita Skeeter. «Sei eccitato? Nervoso?»

«Veramente non ci ho pensato… sì, nervoso, immagino» disse Harry. A queste parole qualcosa si contorse in maniera spiacevole dentro di lui.

«Sono morti dei campioni nel passato, vero?» disse Rita Skeeter tutta frizzante. «Non ci hai pensato?»

«Be’… dicono che quest’anno sarà molto più sicuro» disse Harry.

La penna sfrecciò sulla pergamena tra di loro, avanti e indietro, come se stesse pattinando.

«Naturalmente tu hai già visto la morte in faccia, vero?» disse Rita Skeeter guardandolo con attenzione. «Diresti che questo ha lasciato un segno su di te?»

«Ehm» ripeté Harry.

«Credi che il trauma del tuo passato possa averti indotto a metterti alla prova? A dimostrare di essere all’altezza della tua fama? Credi che forse ti sia venuto il desiderio di iscriverti al Torneo Tremaghi perché…»

«Non mi sono iscritto» ribatté Harry, che cominciava a irritarsi.

«Ti ricordi vagamente i tuoi genitori?» chiese Rita Skeeter, dandogli sulla voce.

«No» rispose Harry.

«Come credi che si sentirebbero se sapessero che parteciperai al Torneo Tremaghi? Orgogliosi? Preoccupati? Arrabbiati?»

Ora Harry era seccato davvero. Come diavolo faceva a sapere cos’avrebbero provato i suoi genitori se fossero stati vivi? Si accorse che Rita Skeeter lo osservava con molta attenzione. Incupito, evitò il suo sguardo e lesse le parole che la penna aveva appena tracciato.

I suoi occhi di un verde stupefacente si riempiono di lacrime quando la nostra conversazione verte sui genitori che a stento ricorda.

«Non ho gli occhi pieni di lacrime!» disse Harry ad alta voce.

Prima che Rita Skeeter potesse proferir parola, la porta del ripostiglio delle scope si aprì. Harry alzò gli occhi, strizzandoli nella luce forte. Albus Silente era in piedi e guardava tutti e due lì schiacciati nello sgabuzzino.

«Silente!» strillò Rita Skeeter, apparentemente deliziata: ma Harry notò che penna e pergamena erano spariti all’improvviso da sopra la scatola di Solvente Magico, e le dita artigliate di Rita facevano scattare in gran fretta il fermaglio della sua borsa di coccodrillo. «Come sta?» disse, alzandosi e tendendo una delle sue manone mascoline a Silente. «Spero che durante l’estate abbia letto il mio articolo sulla Conferenza della Confederazione Internazionale dei Maghi…»

«Di una perfidia incantevole» commentò Silente, con gli occhi che brillavano. «Ho particolarmente apprezzato il fatto che lei mi abbia definito un obsoleto pisquano».

Rita Skeeter non parve nemmeno vagamente imbarazzata. «Stavo solo sottolineando che alcune delle sue idee sono un po’ vecchio stile, Silente, e che molti maghi della strada…»

«Ascolterò con vero piacere l’argomentazione dietro alla villania, Rita» disse Silente, con un inchino galante e un sorriso, «ma temo che dovremo discutere la questione più tardi. La Pesa delle Bacchette sta per cominciare, e non può aver luogo se uno dei nostri campioni è nascosto in un ripostiglio delle scope».

Assai lieto di sfuggire a Rita Skeeter, Harry tornò in fretta nella stanza. Gli altri campioni erano seduti vicino alla porta; lui si mise subito vicino a Cedric, e guardò verso il tavolo coperto di velluto, dove ora erano schierati quattro dei cinque giudici: il professor Karkaroff, Madame Maxime, il signor Crouch e Ludo Bagman. Rita Skeeter si sistemò in un angolo; Harry la vide far scivolare di nuovo la pergamena fuori dalla borsa, spiegarla sul ginocchio, succhiare la punta della Penna Prendiappunti e sistemarla sul foglio.

«Vi presento il signor Olivander» disse Silente, sedendosi al tavolo dei giudici e rivolgendosi ai campioni. «Sarà lui a controllare le vostre bacchette per assicurarsi che siano in buone condizioni prima del Torneo».

Harry alzò gli occhi e con un sussulto di sorpresa vide un vecchio mago dai grandi occhi pallidi immobile vicino alla finestra. Harry aveva già incontrato il signor Olivander: era il fabbricante di bacchette dal quale aveva comprato la sua più di tre anni prima a Diagon Alley.

«Mademoiselle Delacour, può farsi avanti per prima, prego?» disse Olivander, avanzando nello spazio vuoto al centro della stanza.

Fleur Delacour raggiunse Olivander e gli consegnò la sua bacchetta.

«Hmmm…» disse lui.

Fece ruotare la bacchetta tra le lunghe dita e quella sprigionò una serie di scintille rosa e oro. Poi l’avvicinò agli occhi e la osservò con attenzione.

«Sì» disse piano, «nove pollici e mezzo… rigida… legno di rosa… e contiene… santo cielo…»

«Un capello della testa di una Veela» concluse Fleur. «Era mia nonna».

E così Fleur era in effetti in parte Veela, pensò Harry, prendendo mentalmente nota della cosa per dirlo a Ron… poi si ricordò che Ron non gli rivolgeva la parola.

«Sì» disse il signor Olivander, «sì, io non ho mai usato capelli di Veela, naturalmente. Trovo che siano adatte a bacchette piuttosto umorali… comunque, a ciascuno la sua, e se questa va bene per lei…»

Il signor Olivander fece scorrere le dita lungo la bacchetta, in apparenza alla ricerca di graffi o bozzi; poi borbottò; «Orchideous!» e dalla punta sbucò un mazzo di fiori.

«Molto bene, molto bene, è in buone condizioni» disse Olivander, afferrando i fiori e porgendoli a Fleur con la sua bacchetta. «Signor Diggory, ora tocca a lei».

Fleur tornò al suo posto e sorrise a Cedric quando lui le passò accanto.

«Ah, certo, questa è una delle mie, vero?» disse il signor Olivander molto più animato mentre Cedric gli consegnava la sua bacchetta.

«Sì, me la ricordo bene. Contiene un unico crine della coda di un unicorno maschio particolarmente bello… doveva essere alto almeno un metro e ottanta; mi ha quasi trafitto col suo corno dopo che gli ho spennato la coda. Dodici pollici e un quarto… frassino… piacevolmente flessibile. E in buone condizioni… fai regolarmente manutenzione?»

«L’ho lucidata ieri sera» rispose Cedric con un sorriso.

Harry guardò la sua bacchetta e vide che era coperta di impronte. Afferrò un lembo della veste e cercò di lucidarla di nascosto. Parecchie scintille d’oro sprizzarono dalla sua punta. Fleur Delacour gli scoccò uno sguardo molto condiscendente, e lui lasciò perdere.

Il signor Olivander scagliò con la bacchetta di Cedric una scia di anelli di fumo d’argento attraverso la stanza, si disse soddisfatto e poi esclamò: «Signor Krum, prego».

Viktor Krum si alzò e si fece avanti ingobbito, ciondolante e a piedi piatti. Estrasse la bacchetta e rimase lì imbronciato, con le mani in tasca.

«Hmmm» disse Olivander, «questa è una creazione di Gregorovich, o mi sbaglio? Un bravo fabbricante di bacchette, anche se il suo design non è mai proprio… comunque…»

Sollevò la bacchetta e la esaminò minuziosamente, facendola ruotare più volte davanti agli occhi.

«Sì… carpine e fibra di cuore di drago?» esclamò rivolto a Krum, che annuì. «E parecchio più spessa del solito… piuttosto rigida… dieci pollici e un quarto… Avis!»

La bacchetta schioccò come una pistola, e uno stormo di uccellini cinguettanti decollò dalla sua estremità, uscì dalla finestra e volò via nella luce acquosa.

«Bene» disse il signor Olivander, restituendo la bacchetta a Krum. «Quindi rimane… il signor Potter».

Harry si alzò, passò davanti a Krum e raggiunse Olivander. Gli consegnò la bacchetta.

«Aaaah, sì» disse quest’ultimo, gli occhi pallidi improvvisamente accesi. «Sì, sì, sì. Ricordo benissimo».

Anche Harry ricordava. Ricordava come se fosse stato ieri…

… Quattro estati prima, il giorno del suo undicesimo compleanno, Harry entrò con Hagrid nel negozio del signor Olivander. Questi gli prese le misure e cominciò a fargli provare le bacchette. Harry impugnò probabilmente tutte le bacchette del negozio, finché finalmente non trovò quella adatta a lui: fatta di agrifoglio, lunga undici pollici e con un’unica piuma dalla coda di una fenice. Il signor Olivander rimase molto sorpreso dal fatto che Harry fosse compatibile con quella bacchetta. «Curioso» disse, «… curioso», ma solo dopo che Harry glielo ebbe chiesto spiegò cosa c’era di tanto curioso: la piuma di quella bacchetta proveniva dalla stessa fenice che aveva fornito il nucleo di quella di Voldemort.

Harry non aveva mai confidato questa cosa a nessuno. Era molto affezionato alla sua bacchetta, e per quello che lo riguardava, la sua parentela con la bacchetta di Voldemort era una cosa che non poteva evitare: un po’ come non poteva evitare di essere imparentato con zia Petunia. Comunque, sperava davvero che il signor Olivander non avesse intenzione di raccontarlo ai presenti: aveva la strana sensazione che in tal caso la Penna Prendiappunti di Rita Skeeter sarebbe semplicemente scoppiata di gioia.

Il signor Olivander impiegò molto più tempo per osservare la bacchetta di Harry. Alla fine ne fece sprizzare una fontana di vino e la riconsegnò a Harry, sentenziando che era ancora in perfette condizioni.

«Grazie a tutti voi» disse Silente, alzandosi al tavolo dei giudici. «Ora potete tornare alle vostre lezioni… o forse sarebbe più pratico che scendeste direttamente a cena, visto che stanno per finire…»

Con la sensazione che quel giorno qualcosa era finalmente andato per il verso giusto, Harry si alzò e fece per uscire, ma l’uomo con la macchina fotografica nera balzò in piedi e si schiari la voce.

«Le foto, Silente, le foto!» strillo Bagman eccitato. «I giudici insieme ai campioni. Cosa ne dici, Rita?»

«Ehm… si, facciamo prima quelle» rispose Rita Skeeter, gli occhi di nuovo puntati addosso a Harry. «E poi magari qualche scatto singolo».

Le fotografie richiesero molto tempo. Madame Maxime faceva ombra a tutti gli altri ovunque si sistemasse, e il fotografo non riusciva ad allontanarsi tanto da farla stare nell’obiettivo. Alla fine lei dovette sedersi mentre tutti gli altri la circondavano in piedi. Karkaroff continuava ad arrotolarsi la barbetta sul dito per arricciarla di più; Krum, che secondo Harry doveva essere abituato a quel genere di cose, si rannicchiò dietro a tutti, cercando di nascondersi. Il fotografo sembrava assolutamente deciso a tenere davanti Fleur, ma Rita Skeeter continuava a correre in avanti e a trascinare Harry dove era più visibile. Poi insistette per scattare foto di tutti i campioni uno per uno. Finalmente furono liberi di andarsene.

Harry scese a cena. Hermione non c’era — immaginò che si trovasse ancora in infermeria a farsi sistemare i denti. Cenò tutto solo all’estremità del tavolo, poi tornò alla Torre di Grifondoro. pensando a tutto il lavoro extra sugi; Incantesimi di Appello che doveva fare. Su in dormitorio, incrociò Ron.

«Ti è arrivato un gufo» disse Ron in tono brusco, appena entrato. Indicò il cuscino di Harry. Il barbagianni della scuola lo aspettava lì.

«Oh… bene» disse Harry.

«E la punizione è domani sera, nel sotterraneo di Piton» aggiunse Ron.

Poi uscì dalla stanza senza guardarlo. Per un istante, Harry pensò di seguirlo — non sapeva se voleva parlargli o picchiarlo, entrambe le possibilità erano piuttosto allettanti — ma la risposta di Sirius lo attirava come una calamita. Harry raggiunse il barbagianni, gli sfilò la lettera dalla zampa e la srotolò.

Harry,

Non posso dire tutto quello che vorrei per lettera, è troppo rischioso nel caso che il gufo venga intercettato: dobbiamo parlare, faccia a faccia. Puoi fare in modo di trovarti da solo vicino al fuoco nella Torre di Grifondoro il 22 novembre all’una di notte?

So meglio di chiunque altro che sei in grado di badare a te stesso, e finché Silente e Moody sono nelle vicinanze non credo che nessuno possa farti del male. Comunque, pare che qualcuno ci stia provando sul serio. Farti partecipare al Torneo è stata una mossa molto azzardata, soprattutto sotto il naso di Silente.

Stai in guardia, Harry. Avvertimi subito se succede qualcosa di strano. Per il 22 novembre, fammi sapere al più presto.

Sirius

CAPITOLO 19

L’UNGARO SPINATO

La prospettiva di parlare faccia a faccia con Sirius fu la sola cosa che sostenne Harry per i quindici giorni che seguirono, l’unica luce in un orizzonte che non era mai stato più cupo. Lo shock di essere campione della scuola ormai si era un po’ attenuato, e cominciava a farsi strada la paura per ciò che lo attendeva. La prima prova era sempre più vicina; la sentiva acquattata davanti a lui come un mostro orrendo che gli sbarrava il cammino. I suoi nervi non avevano mai sofferto così tanto, nemmeno prima di un incontro di Quidditch, compreso l’ultimo contro Serpeverde, in cui Grifondoro aveva vinto la Coppa. Harry non riusciva a pensare a un dopo, era come se tutta la sua vita lo avesse condotto alla prima prova, e con questa dovesse finire…

A dire il vero, non sapeva come Sirius avrebbe potuto migliorare il suo stato d’animo. Doveva affrontare una prova sconosciuta di difficile, pericolosa magia davanti a centinaia di persone, ma la sola vista di un volto amichevole sarebbe stata preziosa, al momento. Harry rispose a Sirius: scrisse che si sarebbe trovato davanti al fuoco della sala comune all’ora concordata, e lui e Hermione passarono molto tempo a studiare piani per costringere eventuali intrusi a uscire dalla sala comune la notte in questione. Nella peggiore delle ipotesi, avrebbero lanciato un sacchetto di Caccabombe, ma speravano di no: Gazza li avrebbe scuoiati vivi.

Nel frattempo, la vita di Harry nel castello peggiorò ancora quando uscì l’articolo di Rita Skeeter sul Torneo Tremaghi: si scoprì infatti che era non tanto un pezzo sul Torneo quanto la storia della vita di Harry tratteggiata a tinte forti. Una foto di Harry occupava gran parte della prima pagina; l’articolo (che continuava alle pagine due, sei e sette) era tutto su Harry, i nomi dei campioni di Beauxbatons e Durmstrang (scritti sbagliati) erano stati infilati nell’ultima riga dell’articolo, e Cedric non era stato nemmeno citato.

L’articolo era uscito dieci giorni prima, e tutte le volte che ci pensava, Harry provava ancora un senso di nausea e vergogna bruciante. Rita Skeeter aveva riferito una mostruosa quantità di cose che lui non ricordava di aver mai detto nella vita, men che meno nel ripostiglio delle scope.

«Credo di aver ereditato la mia forza dai miei genitori. So che sarebbero molto fieri di me se potessero vedermi… sì, qualche volte la notte piango ancora per loro, non mi vergogno di ammetterlo… so che nulla mi potrà ferire durante il Torneo, perché loro vegliano su di me…»

Ma Rita Skeeter era andata oltre: non solo aveva trasformato i suoi “ehm” in lunghe frasi stucchevoli, ma aveva anche intervistato altri sul suo conto.

Harry a Hogwarts ha finalmente trovato l’amore. Il suo intimo amico Colin Canon dice che Harry è quasi sempre in compagnia di una certa Hermione Granger, una ragazza straordinariamente graziosa, Babbana per nascita, che, come Harry, è una degli studenti migliori della scuola.

Dal momento in cui uscì l’articolo, Harry dovette sopportare un’incredibile quantità di battute e commenti sarcastici da parte di tutti, soprattutto i Serpeverde.

«Vuoi un fazzoletto, Harry? Così se per caso ti metti a piangere a Trasfigurazione…»

«Da quando sei uno degli allievi migliori della scuola, Potter? O è una scuola che tu e Paciock avete messo su insieme?»

«Ehi… Harry!»

Harry si voltò di scatto: ne aveva abbastanza. «Sì, è vero!» urlò esasperato. «Mi sono appena cavato gli occhi a forza di piangere la mamma morta, e adesso ho intenzione di continuare…»

«No… era solo… ti è caduta la penna».

Era Cho. Harry diventò di fiamma.

«Oh… va bene… scusa…» borbottò, riprendendosi la penna.

«Ehm… buona fortuna per martedì» disse lei. «Spero davvero che tu te la cavi bene».

Harry non poté che sentirsi molto stupido.

Anche Hermione si sorbiva la sua bella dose di battute sgradevoli, ma non aveva ancora cominciato a strillare ai passanti innocenti; in effetti, Harry era davvero ammirato per il modo in cui affrontava la situazione.

«Straordinariamente graziosa? Lei?» aveva esclamato Pansy Parkinson la prima volta che si era trovata faccia a faccia con Hermione dopo l’uscita dell’articolo di Rita. «Chi aveva in mente? Un castoro?»

«Ignorale» disse Hermione con voce piena di dignità, oltrepassando a testa alta le Serpeverde sogghignanti come se non esistessero. «Ignorale e basta, Harry».

Ma Harry non ci riusciva. Ron non gli rivolgeva la parola da quando gli aveva detto del castigo di Piton. Harry aveva mezzo sperato che si sarebbero rappacificati durante le due ore nelle quali furono costretti a mettere sott’aceto cervelli di ratto nel sotterraneo di Piton, ma proprio quel giorno era uscito l’articolo di Rita, a rafforzare la convinzione di Ron che Harry si stesse davvero godendo tutta l’attenzione di cui era oggetto.

Hermione era arrabbiata con tutti e due; andava dall’uno all’altro, cercando di costringerli a parlarsi, ma Harry era irremovibile: avrebbe parlato con Ron solo se lui avesse riconosciuto che Harry non aveva messo il suo nome nel Calice di Fuoco, e si fosse scusato per averlo definito un bugiardo.

«Non sono stato io a cominciare» diceva Harry cocciuto. «È un problema suo».

«Ma lui ti manca!» esclamava Hermione impaziente. «E io so che tu manchi a lui…»

«Lui mancarmi?» diceva Harry. «Non mi manca affatto…»

Ma era una bugia bella e buona. A Harry piaceva molto Hermione, ma non era come con Ron. Ridevi molto meno, e stavi molto di più in biblioteca se Hermione era la tua migliore amica. Harry non padroneggiava ancora gli Incantesimi di Appello, sembrava aver sviluppato una specie di blocco, e Hermione insistette che apprendere la teoria gli sarebbe servito. Di conseguenza passarono un sacco di tempo chini sui libri all’ora di pranzo.

Anche Viktor Krum passava un mucchio di tempo in biblioteca, e Harry si chiese che cosa stava tramando. Studiava, o cercava informazioni che gli potessero tornar utili per superare la prima prova? Hermione si lamentava della presenza di Krum — non perché desse loro fastidio, ma perché da dietro gli scaffali spuntavano spesso interi gruppi di ragazzine ridacchianti e sospiranti, venute a spiarlo, e Hermione trovava irritante tutto quel chiasso.

«Non è nemmeno carino!» borbottava arrabbiata, scrutando torva il profilo aguzzo di Krum. «Lo adorano solo perché è famoso! Non lo guarderebbero due volte se non sapesse fare quella roba, quella Falsa Wonky…»

«Finta Wronsky» la corresse Harry a denti stretti: oltre al fastidio nel sentir storpiare i termini del Quidditch, aveva provato una fitta di nostalgia al pensiero della faccia di Ron se avesse sentito Hermione parlare di False Wonky.

* * *

È strano, ma quando si ha paura di qualcosa, e si darebbe tutto per rallentare il tempo, quest’ultimo ha la spiacevole abitudine di accelerare. I giorni che precedettero la prima prova parvero scivolar via come se qualcuno avesse regolato gli orologi sulla doppia velocità. Quella sensazione di panico a stento controllato seguiva Harry ovunque andasse, onnipresente come le battute maligne sull’articolo della Gazzetta del Profeta.

Il sabato prima della prova, tutti gli studenti dal terzo anno in su ebbero il permesso di andare in gita al villaggio di Hogsmeade. Hermione disse a Harry che gli avrebbe fatto bene allontanarsi dal castello per un po’, e Harry non tardò molto a farsi convincere.

«Ma, e Ron?» disse. «Non vuoi andarci con lui?»

«Oh… be’…» Hermione arrossi. «Pensavo che potremmo vederci ai Tre Manici di Scopa…»

«No» disse Harry in tono netto.

«Oh, Harry, è una cosa così stupida…»

«Verrò, ma non ho intenzione di vedere Ron, e mi porto il Mantello dell’Invisibilità».

«Oh, va bene, allora…» sbottò Hermione, «ma detesto parlarti quando ce l’hai addosso, non so mai se devo guardarti o no».

Così Harry si mise il Mantello dell’lnvisibilità su in dormitorio, tornò di sotto e lui e Hermione partirono insieme per Hogsmeade.

Harry si sentiva meravigliosamente libero sotto il Mantello; osservò gli altri studenti superarli mentre entravano nel villaggio, e molti ostentavano spille con la scritta TIFA PER CEDRIC DIGGORY, ma una volta tanto non fu oggetto di commenti sarcastici, e nessuno citò quello stupido articolo.

«Adesso continuano a guardare me» disse più tardi Hermione imbronciata, mentre uscivano da Mielandia mangiando grossi cioccolatini ripieni. «Credono che parli da sola».

«Non muovere cosi tanto le labbra, allora».

«Ma dai, ti prego, togliti quel mantello per un po’. Qui nessuno ti darà fastidio».

«Ah, davvero?» disse Harry. «Guardati alle spalle».

Rita Skeeter e il suo amico fotografo erano appena usciti dal pub Tre Manici di Scopa. Passarono proprio accanto a Hermione senza guardarla, parlando a bassa voce. Harry si ritrasse contro il muro di Mielandia perché Rita Skeeter la smettesse di colpirlo con la sua borsetta di coccodrillo.

Quando se ne furono andati, Harry disse: «Rimane qui al villaggio. Scommetto che verrà a vedere la prima prova».

Nel dirlo, il suo stomaco fu invaso da un’ondata di panico purissimo. Non lo disse; lui e Hermione non avevano discusso molto di ciò che lo aspettava; Harry aveva la sensazione che lei non volesse pensarci.

«Se n’è andata» disse Hermione, guardando dritto attraverso Harry verso la fine della High Street. «Perché non andiamo a berci una Burrobirra ai Tre Manici di Scopai Fa un po’ freddo, no? Non sei obbligato a parlare con Ron!» aggiunse seccata, interpretando correttamente il suo silenzio.

I Tre Manici di Scopa era pieno zeppo, soprattutto di studenti di Hogwarts che si godevano il pomeriggio di libertà, ma anche di personaggi magici che si potevano incontrare solo lì. Harry immaginava che Hogsmeade, essendo il solo villaggio completamente magico di tutta la Gran Bretagna, fosse una sorta di porto franco per creature come le megere, che non erano abili come i maghi nel camuffarsi.

Era molto difficile spostarsi tra la folla con addosso il Mantello dell’Invisibilità, perché potevi pestare per sbaglio i piedi a qualcuno, cosa che tendeva ad attirare domande inopportune. Harry avanzò lentamente verso un tavolo libero nell’angolo mentre Hermione andava a prendere le bibite. Attraversando il pub, Harry notò Ron seduto con Fred, George e Lee Jordan. Resistendo all’impulso di dargli una bella manata sulla nuca, finalmente raggiunse il tavolo e si sedette.

Hermione arrivò un attimo dopo e gli fece scivolare una Burrobirra sotto il mantello.

«Sembro una scema, qui seduta da sola» borbottò. «Meno male che mi sono portata qualcosa da fare».

Ed estrasse un quaderno in cui teneva il registro dei membri di CREPA. Harry vide il suo nome e quello di Ron in cima alla brevissima lista. Sembrava passato un secolo da quando avevano inventato insieme le profezie per la professoressa Cooman, ed era spuntata Hermione e li aveva nominati segretario e tesoriere.

«Sai, forse dovrei cercare di coinvolgere un po’ di gente del villaggio in CREPA» disse Hermione pensierosa, guardandosi attorno.

«Si, certo» disse Harry. Bevve una sorsata di Burrobirra da sotto il mantello. «Hermione, quando hai intenzione di lasciar perdere questa storia del CREPA?»

«Quando gli elfi domestici avranno salari e condizioni di lavoro dignitosi!» gli sibilò in risposta. «Sai, sto cominciando a pensare che sia venuto il momento di passare a un’azione più diretta. Chissà come si fa a entrare nelle cucine della scuola…»

«Non ne ho idea, chiedi a Fred e George» suggerì Harry.

Hermione cadde in un silenzio meditabondo, mentre Harry beveva la sua Burrobirra e osservava gli avventori del pub. Sembravano tutti allegri e rilassati. Ernie Macmillan e Hannah Abbott si stavano scambiando le figurine delle Cioccorane a un tavolo vicino; entrambi portavano la spilla con scritto TIFA PER CEDRIC DIGGORY appuntata al mantello. Vicino alla porta vide Cho con un grappo di amiche di Corvonero. Non aveva la spilla però… cosa che rincuorò Harry, ma appena appena…

Che cosa non avrebbe dato per essere uno di loro, seduto a ridere e parlare, senza niente di cui preoccuparsi tranne i compiti. Immaginò come sarebbe stato essere lì se il suo nome non fosse uscito dal Calice di Fuoco. Non avrebbe indossato il Mantello dell’lnvisibilità, prima di tutto. Ron sarebbe stato seduto accanto a lui. Loro tre probabilmente si sarebbero divertiti a immaginare quale pericolo mortale avrebbero affrontato i campioni nella prova di martedì. Avrebbe aspettato con impazienza il momento di vederli in azione, di qualunque cosa si trattasse… di tenere per Cedric assieme a tutti gli altri, al sicuro in un posto in fondo agli spalti…

Si chiese che cosa dovevano provare gli altri campioni. Le ultime volte che aveva incrociato Cedric, era circondato da ammiratori e sembrava nervoso ma eccitato. Harry scorgeva Fleur Delacour di tanto in tanto nei corridoi; aveva la stessa aria di sempre, altezzosa e impeccabile. E Krum si limitava a star seduto in biblioteca, chino sui libri.

Harry pensò a Sirius. e il nodo che gli stringeva forte il petto parve allentarsi un po’. Avrebbe parlato con lui esattamente di lì a dodici ore, perché quella era la notte in cui si sarebbero incontrati davanti al camino della sala comune — ammesso che nulla andasse storto, come viceversa era successo ultimamente…

«Guarda, è Hagrid!» esclamò Hermione.

Il retro del testone lanoso di Hagrid — aveva provvidenzialmente abbandonato i ciuffctti affiorava sopra la folla. Harry si chiese come mai non lo avesse notato subito, visto che Hagrid era così grosso, ma alzandosi con cautela vide che Hagrid era chino verso il professor Moody. Hagrid aveva di fronte il solito boccale enorme, ma Moody beveva dalla fiaschetta. Madama Rosmerta, la graziosa ostessa, non sembrava apprezzarlo molto; osservava sospettosa Moody mentre raccoglieva i bicchieri dai tavoli attorno a loro. Forse pensava che fosse un insulto al suo idromele aromatizzato, ma Harry capiva perfettamente. Moody aveva detto a tutti loro durante l’ultima lezione di Difesa contro le Arti Oscure che preferiva prepararsi sempre da sé cibo e bevande, perché era molto facile per i Maghi Oscuri avvelenare una tazza incustodita.

Hagrid e Moody si alzarono per uscire. Harry agitò la mano, poi gli venne in mente che Hagrid non poteva vederlo. Moody però si fermò, l’occhio magico puntato verso l’angolo nel quale si trovava Harry. Diede un colpetto a Hagrid nel fondoschiena (non riuscendo a raggiungere la sua spalla), gli borbottò qualcosa, e poi entrambi riattraversarono il pub diretti al tavolo di Harry e Hermione.

«Tutto bene, Hermione?» esclamò Hagrid a voce alta.

«Ciao» disse Hermione, ricambiando il suo sorriso.

Moody zoppicò attorno al tavolo e si curvò; Harry credette che stesse leggendo il quaderno di CREPA, finché non lo sentì mormorare: «Bel mantello, Potter».

Harry lo fissò stupefatto. Così da vicino, il grosso pezzo mancante del naso di Moody era particolarmente evidente. Moody fece un ghigno.

«Il suo occhio… voglio dire, lei può…?»

«Sì, può vedere attraverso i Mantelli dell’Invisibilità» disse tranquillamente Moody. «E a volte si è rivelato utile, te lo assicuro».

Anche Hagrid sorrideva a Harry dall’alto. Harry sapeva che Hagrid non poteva vederlo, ma evidentemente Moody gli aveva detto dov’era.

Hagrid si chinò con la scusa di leggere sul quaderno di CREPA e disse, in un sussurro cosi sommesso che solo Harry riuscì a sentirlo: «Harry, ci vediamo stanotte a mezzanotte alla mia capanna. Mettiti il mantello».

Raddrizzandosi, esclamò ad alta voce: «È stato un piacere vederti, Hermione», strizzò l’occhio e se ne andò. Moody lo seguì.

«Perché vuole vedermi a mezzanotte?» chiese Harry, molto sorpreso.

«Già, perché?» disse Hermione, allarmata. «Chissà che cos’ha in mente. Non so se dovresti andare. Harry…» Si guardò intorno con aria nervosa, e sibilò: «Rischi di arrivare in ritardo da Sirius».

Era vero che scendere fino alla capanna di Hagrid a mezzanotte voleva dire lasciare un margine molto stretto all’appuntamento con Sirius; Hermione suggerì di spedire Edvige da Hagrid per dirgli che non poteva — sempre che accettasse di portare il biglietto, naturalmente — ma Harry ridletté che era meglio andare e sbrigarsi, qualunque cosa volesse Hagrid. Era molto curioso di scoprirlo; Hagrid non gli aveva mai chiesto di andarlo a trovare così a notte fonda.

* * *

Quella sera alle undici e mezzo Harry, che aveva finto di andare a dormire presto, indossò di nuovo il Mantello dell’Invisibilità e sgattaiolò giù per le scale e attraverso la sala comune. Erano rimasti in pochi. I fratelli Canon erano riusciti a impossessarsi di un bel mucchio di spille TIFA PER CEDRIC DIGGORY e stavano cercando di stregarle in modo da trasformare gli slogati in SOSTIENI HARRY POTTER. Fino a quel momento, comunque, tutto quello che erano riusciti a fare era bloccarle su POTTER FA SCHIFO. Harry li superò, raggiunse il buco del ritratto e attese per un minuto circa, con un occhio all’orologio. Poi Hermione aprì la Signora Grassa dall’esterno come avevano stabilito. Le scivolò accanto sussurrando «Grazie!» e attraversò il castello.

Il parco era molto buio. Harry percorse il prato in discesa puntando alle luci che brillavano nella capanna di Hagrid. Anche l’interno dell’enorme carrozza di Beauxbatons era illuminato; Harry riconobbe la voce di Madame Maxime.

«Sei tu, Harry?» sussurrò Hagrid, aprendo la porta e guardandosi attorno.

«Sì» rispose Harry, scivolando all’interno e sfilandosi il cappuccio dalla testa. «Che cosa succede?»

«C’è una cosa che devo farti vedere» disse Hagrid.

Era terribilmente agitato. All’occhiello esibiva un fiore che assomigliava a un enorme carciofo. Sembrava che avesse smesso di usare la morchia, ma evidentemente aveva cercato di pettinarsi: Harry distinse i denti spezzati del pettine impigliati nella sua chioma.

«Di che si tratta?» chiese Harry cauto, chiedendosi se gli Schiopodi avessero deposto le uova, o Hagrid fosse riuscito a comprare un altro cane gigante a tre teste da uno straniero in un pub.

«Vieni con me, fai pianino e stai coperto» disse Hagrid. «Non portiamo Thor, a lui non ci piacerebbe…»

«Senti, Hagrid, non posso fermarmi tanto… devo tornare al castello entro l’una…»

Ma Hagrid non ascoltava; stava aprendo la porta della capanna e si addentrava nella notte. Harry si affrettò a seguirlo e con sua grande sorpresa scoprì che Hagrid lo guidava verso la carrozza di Beauxbatons.

«Hagrid, che cosa…?»

«Sssst!» disse Hagrid, e bussò tre volte alla porta effigiata con le bacchette d’oro incrociate.

Fu Madame Maxime ad aprire. Attorno alle spalle massicce portava uno scialle di seta. Sorrise quando vide Hagrid. «Ah. Agrìd… è ora?»

«Bonsuàr» disse Hagrid con un sorriso radioso, e le porse la mano per aiutarla a scendere i gradini d’oro.

Madame Maxime si richiuse la porta alle spalle, Hagrid le offri il braccio e i due s’incamminarono costeggiando lo steccato che ospitava i cavalli alati giganti di Madame Maxime, mentre Harry, completamente sbalordito, correva per tener loro dietro. Hagrid aveva voluto mostrargli Madame Maxime? Poteva vederla tutte le sante volte che voleva… non era proprio difficile da individuare…

Ma pareva che ci fosse una sorpresa anche per Madame Maxime, perché dopo un po’ disse in tono giocoso: «Dove mi stai portondo, Hagrid?»

«Ti piacerà» rispose Hagrid burbero. «Ne vale la pena, credimi. Solo che non devi dire a nessuno che te li ho fatti vedere, d’accordo? Non dovresti saperlo».

«Certo che no» disse Madame Maxime sbattendo le lunghe ciglia nere.

E proseguirono, e Harry diventava sempre più irritato mentre trotterellava dietro di loro, controllando l’orologio di tanto in tanto. Hagrid aveva per la testa un qualche progetto scervellato, che rischiava di fargli perdere l’appuntamento con Sirius. Se non fossero arrivati in fretta, decise che si sarebbe voltato, sarebbe tornato dritto filato al castello e avrebbe lasciato Hagrid a godersi la sua passeggiata al chiar di luna con Madame Maxime…

Ma poi — dopo essersi allontanati lungo i confini della Foresta al punto che il castello e il lago non erano più visibili — Harry sentì qualcosa. C’erano degli uomini che gridavano laggiù… poi si udì un ruggito assordante, da spaccare i timpani…

Hagrid guidò Madame Maxime oltre una macchia di alberi e si arrestò. Harry si affrettò ad affiancarli — per un istante credette di vedere dei falò, e degli uomini che correvano tutto intorno — e poi rimase a bocca spalancata.

Draghi.

Quattro enormi draghi completamente sviluppati, dall’aria malvagia, si impennavano in uno spazio recintato da spesse assi di legno, ruggendo e sbuffando: torrenti di fuoco sprizzavano nel cielo buio dalle loro bocche spalancate e zannute, sorrette dai colli tesi a quindici metri di altezza. Ce n’era uno di un blu argenteo con lunghe corna appuntite, che ringhiava e tentava di mordere i maghi a terra; uno verde ricoperto di scaglie lisce, che si contorceva e pestava i piedi con tutte le sue forze; uno rosso con una strana frangia d’oro lucente attorno al muso, che sparava nuvole di fuoco a forma di fungo nell’aria; e uno nero gigantesco, più simile a un lucertolone degli altri, il più vicino a loro.

Almeno trenta maghi, sette o otto per ciascun drago, cercavano di tenerli sotto controllo, tirando le catene agganciate a pesanti collari di cuoio fissati attorno al collo e alle zampe dei bestioni. Ipnotizzato, Harry guardò in su, molto in alto, e vide gli occhi del drago nero, dalle pupille verticali come quelle di un gatto, sporgere per la paura o la furia, non sapeva dire perché… emetteva un suono terribile, un urlo stridente, quasi un ululato…

«Stai indietro, Hagrid!» gridò un mago vicino alla staccionata, tirando la catena che aveva in mano. «Sputano fuoco nel raggio di sei metri, sai! Questo Spinato è arrivato anche a dodici, l’ho visto io!»

«Non è bello?» disse Hagrid dolcemente.

«Non serve!» urlò un altro mago. «Schiantesimo, al mio tre!»

Harry vide tutti i Guardadraghi estrarre le bacchette magiche.

«Stupeficium!» urlarono in coro, e gli Schiantesimi sfrecciarono nell’oscurità come razzi infiammati, esplodendo in una pioggia di stelle sulla pelle squamosa dei draghi…

Harry vide il drago più vicino barcollare pericolosamente sulle zampe dietro; la mascella si aprì in un gemito improvvisamente muto; le narici d’un tratto furono prive di fiamme, pur continuando a fumare; poi, molto lentamente, cadde: parecchie tonnellate di nerboruto drago nero squamato si schiantarono a terra con un tonfo che, Harry lo avrebbe giurato, fece tremare gli alberi dietro di lui.

I Guardadraghi abbassarono le bacchette e avanzarono verso le bestie afflosciate, ciascuna delle quali aveva le dimensioni di una collinetta. Si affrettarono a stringere le catene e a fissarle saldamente a pioli di ferro che piantarono in profondità nel terreno con le loro bacchette.

«Vuoi vederli più da vicino?» chiese Hagrid a Madame Maxime, eccitato. I due avanzarono fino alla staccionata, e Harry li seguì. Il mago che aveva avvertito Hagrid di non avvicinarsi oltre si voltò e Harry lo riconobbe: era Charlie Weasley.

«Tutto bene, Hagrid?» disse ansante, avvicinandosi per parlare. «Ora dovrebbero essere a posto — li avevamo messi fuori gioco con una Pozione Sonnifera venendo qui, pensavamo che sarebbe stato meglio se si svegliavano al buio, in un posto tranquillo — ma, come hai visto, non erano contenti, nemmeno un po’…»

«Di che razza sono, Charlie?» chiese Hagrid, contemplando il drago più vicino — quello nero — quasi con reverenza. Gli occhi del mostro erano ancora semiaperti. Harry vide una striscia di un giallo brillante sotto la rugosa palpebra nera.

«Questo è un Ungaro Spinato» disse Charlie. «Lì abbiamo un Gallese Comune Verde, il più piccolo; un Grugnocorto Svedese, quello blugrigio; e un Petardo Cinese, quello rosso».

Charlie si guardò attorno; Madame Maxime si stava avvicinando allo steccato, e fissava i draghi.

«Non sapevo che l’avresti portata, Hagrid» disse Charlie, accigliato. «I campioni non dovrebbero sapere che cosa li aspetta… si sentirà in dovere di dirlo alla sua allieva, no?»

«Ho pensato solo che le piaceva vederli» disse Hagrid scrollando le spalle, senza smettere di fissare rapito i draghi.

«Un appuntamento veramente romantico, Hagrid» disse Charlie, scuotendo la testa.

«Quattro…» disse Hagrid, «quindi ce n’è uno per ciascuno, vero? Che cosa devono fare, combatterci contro?»

«Solo superarli, credo» rispose Charlie. «Noi saremo pronti a intervenire se le cose si mettono male, con gli Incantesimi Idranti a portata di bacchetta. Hanno voluto delle madri in cova, non so perché… ma ti dico una cosa, non invidio il ragazzo a cui toccherà lo Spinato. È davvero malvagio. È pericoloso dietro quanto davanti, guarda».

Charlie indicò la coda dello Spinato, e Harry vide una serie di lunghe punte color del bronzo che spuntavano a intervalli di pochi centimetri.

In quel momento cinque colleghi di Charlie avanzarono barcollando verso lo Spinato, trasportando un mucchio di grosse uova color granito su una coperta che tenevano per gli orli. Li deposero con cautela accanto allo Spinato. Hagrid lanciò un gemito di desiderio.

«Le ho fatte contare, Hagrid» disse Charlie con fermezza. Poi aggiunse: «Come sta Harry?»

«Bene» rispose Hagrid senza distogliere lo sguardo dalle uova.

«Spero solo che starà bene anche dopo aver affrontato questi qua» disse Charlie cupo, guardando verso il recinto dei draghi. «Non ho avuto il coraggio di dire a mia madre in che consiste la prima prova, è già così agitata…» Charlie imitò la voce ansiosa di sua madre. «“Come hanno potuto permettere che partecipasse a quel torneo, è troppo, troppo giovane! Credevo che fossero tutti al sicuro, credevo che ci sarebbe stato un limite d’età!” Era una fontana dopo quell’articolo della Gazzetta del Profeta su di lui. “Piange ancora per i suoi genitori! Oh, poverino, e io non l’ho mai saputo!”»

Harry ne aveva avuto abbastanza. Certo che Hagrid non avrebbe sentito la sua mancanza, con le attrattive di quattro draghi e di Madame Maxime a tenerlo occupato; si voltò in silenzio e s’incamminò di ritorno verso il castello.

Non sapeva se essere contento di aver visto ciò che lo aspettava o no. Forse cosi era meglio. Ora il primo shock era passato. Forse se avesse visto i draghi per la prima volta martedì, sarebbe svenuto secco davanti a tutta la scuola… ma forse sarebbe svenuto comunque… avrebbe avuto come unica arma la bacchetta — che al momento non sembrava niente più che una strisciolina di legno — contro un drago sputafuoco alto quindici metri, squamoso e irto di punte. E doveva superarlo. Davanti a tutti. Come?

Harry accelerò, costeggiando il limitare della Foresta; aveva meno di quindici minuti per tornare davanti al camino e parlare con Sirius, e non ricordava di aver mai desiderato tanto parlare con qualcuno — quando inaspettatamente urtò contro qualcosa di molto duro.

Harry cadde all’indietro, gli occhiali di traverso, stringendosi addosso il mantello. Una voce molto vicina disse: «Ahia! Chi è là?»

Harry verificò in fretta che il mantello lo ricoprisse e rimase disteso immobile a fissare la sagoma scura che aveva urtato. Riconobbe il pizzetto… era Karkaroff.

«Chi è là?» ripeté Karkaroff, molto sospettoso, guardandosi intorno nell’oscurità. Harry rimase immobile, in silenzio. Dopo un minuto. Karkaroff sembrò convincersi che si fosse trattato di un qualche animale; si guardò attorno all’altezza della vita, come se si aspettasse di veder spuntare un cane. Poi scivolò di nuovo al riparo degli alberi, e prese ad avanzare verso il luogo in cui si trovavano i draghi.

Lentamente, con molta cautela, Harry si rialzò e ripartì, più velocemente possibile senza far troppo rumore, e si affrettò nell’oscurità diretto a Hogwarts.

Harry non aveva alcun dubbio su ciò che stava per fare Karkaroff. Era sgattaiolato giù dalla sua nave per cercare di scoprire quale sarebbe stata la prima prova. Forse aveva addirittura visto Hagrid e Madame Maxime allontanarsi insieme verso la Foresta — non erano certo difficili da individuare, anche in lontananza… e ora tutto quello che doveva fare era seguire il suono delle voci, e cosi avrebbe saputo che cosa era in serbo per i campioni. A quanto pareva, il solo che martedì avrebbe affrontato l’ignoto era Cedric.

Harry raggiunse il castello, scivolò dentro per la porta principale e prese a salire la scalinata di marmo; era molto affannato, ma non osò rallentare… aveva meno di cinque minuti per raggiungere il fuoco…

«Guazzabuglio!» boccheggiò alla Signora Grassa, che stava ronfando nella sua cornice davanti al passaggio.

«Se lo dici tu» borbottò lei assonnata, senza aprire gli occhi, e il quadro scattò come una porta per lasciarlo passare. Harry si arrampicò all’interno. La sala comune era deserta, e, a giudicare dall’odore normale, Hermione non aveva dovuto ricorrere alle Caccabombe per garantire la privacy a lui e Sirius.

Harry si sfilò il Mantello dell’Invisibilità e si lasciò cadere in una poltrona davanti al fuoco. La stanza era immersa nella semioscurità; le fiamme erano l’unica fonte di luce. Lì accanto, sul tavolo, le spille TIFA PER CEDRIC DIGGORY che i Canon avevano cercato di modificare scintillavano al bagliore del fuoco: ora dicevano POTTER FA DAVVERO SCHIFO. Harry tornò a guardare le fiamme e sobbalzò.

La testa di Sirius troneggiava nel fuoco. Se Harry non avesse visto il signor Diggory fare esattamente la stessa cosa nella cucina dei Weasley, gli sarebbe venuto un colpo. Invece, con il volto illuminato dal primo sorriso dopo giorni e giorni, si rizzò in piedi, si accoccolò vicino al camino e disse: «Sirius… come stai?»

Sirius era diverso da come lo ricordava Harry. Quando si erano salutati, il suo volto era magro e incavato, circondato da una gran massa di lunghi capelli neri aggrovigliati: ma ora i capelli erano corti e puliti, il viso era florido, e Sirius sembrava molto più giovane, molto più simile alla sola fotografia che Harry aveva di lui, scattata al matrimonio di James e Lily Potter.

«Non pensare a me. come stai tu?» disse Sirius serio.

«Io…» Per un istante, Harry cercò di dire «bene», ma non ce la fece. Prima di riuscire a fermarsi, si ritrovò a parlare più di quanto non avesse fatto da giorni: di come nessuno credesse che non era stato a lui a proporsi per il Torneo, delle bugie di Rita Skeeter sulla Gazzetta del Profeta, di come non poteva fare un passo senza essere preso in giro — e di Ron, Ron che non gli credeva, Ron che era geloso…

«… e adesso Hagrid mi ha appena fatto vedere che cosa succederà nella prima prova, e si tratta di draghi, Sirius, e io sono perduto» concluse disperato.

Sirius lo scrutò ansiosamente, con occhi che non avevano ancora perso lo sguardo fosco e spiritato che Azkaban gli aveva impresso. Aveva lasciato parlare Harry tino allo sfinimento senza interromperlo, ma ora disse: «Coi draghi possiamo vedercela. Harry, ma ci arriveremo tra un minuto: non posso restare molto… sono penetrato in una casa di maghi per usare il fuoco, ma potrebbero tornare da un momento all’altro. Devo metterti in guardia da alcune cose».

«Cosa?» esclamò Harry. sentendo l’umore scendere ancora di qualche tacca… non poteva certo esserci in arrivo niente di peggio dei draghi.

«Karkaroff» disse Sirius. «Harry, era un Mangiamorte. Lo sai che cosa sono i Mangiamorte, vero?»

«Sì… lui… cosa?»

«Fu catturato, era ad Azkaban con me, ma è stato rilasciato. Scommetterei qualunque cosa che Silente ha voluto un Auror a Hogwarts quest’anno per tenerlo d’occhio. Moody prese Karkaroff e lo schiaffò ad Azkaban».

«Karkaroff è stato rilasciato?» disse Harry lentamente: il suo cervello sembrava lottare contro un altro shock. «Perché lo hanno rilasciato?»

«Ha trovato un accordo con il Ministero della Magia» disse Sirius con amarezza. «Ha dichiarato di aver capito l’errore delle sue scelte, e poi ha fatto dei nomi… ha fatto finire un mucchio di altra gente al suo posto ad Azkaban… non è molto popolare laggiù, te lo assicuro. E da quando è uscito, per quel che ne so, insegna le Arti Oscure a tutti gli studenti che passano per quella sua scuola. Quindi guardati anche dal campione di Durmstrang».

«Ok» disse Harry lentamente. «Ma… stai dicendo che è stato Karkaroff a mettere il mio nome nel Calice? Perché se è stato lui, è davvero un bravo attore. Sembrava furibondo. Voleva impedirmi di gareggiare».

«Sappiamo che è un bravo attore» disse Sirius. «perché ha convinto il Ministero della Magia a liberarlo, no? Ora, sto tenendo d’occhio La Gazzetta del Profeta, Harry…»

«Tu e il resto del mondo» lo interruppe Harry amareggiato.

«… e leggendo tra le righe del pezzo di quella Skeeter il mese scorso, be’, Moody è stato aggredito la sera prima di cominciare a lavorare a Hogwarts. Si, lo so che lei sostiene che si è trattato di un altro falso allarme» aggiunse Sirius in fretta, vedendo che Harry stava per parlare, «ma io non credo che sia così. Credo che qualcuno abbia tentato di impedirgli di venire a Hogwarts. Credo che qualcuno sapesse che il suo compito sarebbe stato molto più difficile con lui nei paraggi. E nessuno ha intenzione di indagare a fondo, Malocchio denuncia intrusi un po’ troppo spesso. Ma questo non significa che non sia più in grado di riconoscere i pericoli. Moody era l’Auror migliore che il Ministero abbia mai avuto».

«Allora… che cosa vorresti dire?» disse Harry esitante. «Karkaroff sta cercando di uccidermi? Ma… perché?»

Sirius esitò.

«Ho sentito dire cose molto strane» rispose lentamente. «I Mangiamorte ultimamente sembrano un po’ più attivi del solito. Si sono fatti vedere alla Coppa del Mondo di Quidditch, no? Qualcuno ha evocato il Marchio Nero… e poi… hai sentito parlare di quella strega del Ministero della Magia che è scomparsa?»

«Bertha Jorkins?» disse Harry.

«Precisamente… è sparita in Albania, e quello è proprio il posto in cui correva voce che si trovasse Voldemort… e lei lo sapeva che si stava preparando il Torneo Tremaghi, no?»

«Sì, ma… non è molto probabile che sia andata dritta da Voldemort, no?»

«Senti, conosco Bertha Jorkins» disse Sirius con una smorfia. «Era a Hogwarts quando c’ero anch’io, qualche classe avanti a me e a tuo padre. Ed era un’idiota. Molto indiscreta, e senza cervello, nemmeno un po’. Non è una bella combinazione. Sarebbe stato molto facile attirarla in una trappola».

«Allora… allora Voldemort potrebbe aver scoperto del Torneo?» disse Harry. «È questo che vuoi dire? Credi che Karkaroff potrebbe essere qui per suo ordine?»

«Non lo so» rispose Sirius soppesando le parole, «non lo so proprio… Karkaroff non mi sembra il tipo che tornerebbe da Voldemort a meno di non essere certo che Voldemort sia abbastanza potente da proteggerlo. Ma chiunque ha messo il tuo nome in quel Calice lo ha fatto per una ragione, e non posso fare a meno di pensare che il Torneo sarebbe un gran bel modo di eliminarti, e di farlo sembrare un incidente».

«Mi sembra davvero un ottimo piano» disse Harry sconsolato. «Dovranno solo stare in un angolo e lasciar fare ai draghi».

«Giusto, i draghi» disse Sirius, parlando molto in fretta. «C’è un modo, Harry. Non farti tentare da uno Schiantesimo: i draghi sono forti e hanno una magia troppo potente per essere abbattuti così. Servono una mezza dozzina di maghi insieme per sopraffare un drago…»

«Sì, lo so, ho appena visto» commentò Harry.

«Ma puoi farcela da solo» riprese Sirius. «C’è un modo, e ti serve solo un semplice incantesimo. Basta che…»

Ma a un tratto Harry alzò una mano per zittirlo, con il cuore che batteva all’impazzata, come se stesse per esplodere. Dei passi scendevano la scala a chiocciola alle sue spalle.

«Vai!» sibilò a Sirius. «Vai! Sta arrivando qualcuno!»

Harry si raddrizzò, nascondendo il fuoco. Se qualcuno avesse visto la faccia di Sirius entro le mura di Hogwarts, sarebbe successo un pandemonio: il Ministero sarebbe stato coinvolto; lui, Harry, sarebbe stato interrogato su dove si trovava Sirius…

Harry udì un piccolo pop nel fuoco alle sue spalle, e seppe che Sirius se n’era andato. Fissò la parte più bassa della scala a chiocciola: chi aveva deciso di fare una passeggiatina all’una del mattino e aveva impedito a Sirius di dirgli come fare a superare un drago?

Era Ron. Si fermò di botto quando si trovò di fronte Harry dall’altra parte della stanza, e si guardò intorno.

«Con chi stavi parlando?» chiese.

«Che te ne frega?» ringhiò Harry. «Che cosa fai quaggiù a quest’ora della notte?»

«Mi stavo chiedendo dov’eri…» Ron s’interruppe e alzò le spalle. «Niente. Torno a dormire».

«Hai pensato che dovevi venire a ficcare il naso, eh?» gridò Harry. Sapeva che Ron non aveva idea di ciò che aveva interrotto, sapeva che non l’aveva fatto apposta, ma non gì’importava: in quel momento odiava tutto di Ron, perfino i parecchi centimetri di caviglie nude che spuntavano dai pantaloni del suo pigiama a disegni marrone.

«Scusa tanto» disse Ron, rosso di rabbia. «Avrei dovuto capirlo che non volevi essere disturbato. Me ne vado subito, così potrai continuare a fare le prove per la prossima intervista in santa pace».

Harry afferrò una delle spille POTTER FA DAVVERO SCHIFO dal tavolo e la scagliò con violenza attraverso la stanza. La spilla colpì Ron sulla fronte e rimbalzò a terra.

«Tieni» sibilò Harry. «Portati questa, martedì. Magari adesso avrai anche tu una cicatrice, se sei fortunato… è questo che vuoi, no?»

Scappò via dalla stanza e si precipitò per le scale; una parte di lui si aspettava che Ron lo fermasse, magari che gli tirasse un pugno, ma Ron restò lì nel suo pigiama troppo piccolo, e Harry giacque a lungo insonne e agitato, e non lo sentì salire a dormire.

CAPITOLO 20

LA PRIMA PROVA

Harry si alzò la domenica mattina, e si vestì così distrattamente che ci mise un po’ ad accorgersi che stava cercando di infilarsi il cappello sul piede al posto del calzino. Quando finalmente ebbe sistemato tutti gli abiti sulle parti giuste del corpo, andò a cercare Hermione, e la trovò nella Sala Grande al tavolo di Grifondoro, dove stava facendo colazione con Ginny. Troppo irrequieto per mangiare, Harry attese che Hermione ingollasse la sua ultima cucchiaiata di porridge, poi la trascinò fuori per un’altra passeggiata. Mentre facevano un altro lungo giro attorno al lago, le raccontò tutto dei draghi, e quasi tutto quello che aveva detto Sirius.

Pur allarmata per gli avvertimenti di Sirius a proposito di Karkaroff, Hermione continuava a pensare che i draghi fossero il problema più urgente.

«Troviamo il modo di farti restare vivo fino a martedì sera» disse accoratamente, «e poi potremo preoccuparci di Karkaroff».

Fecero tre volte il giro del lago, cercando di pensare a un incantesimo semplice che potesse soggiogare un drago. Ma non gliene venne in mente nessuno, così si rinchiusero in biblioteca. Qui Harry sfilò dagli scaffali tutti i libri sui draghi che riusci a trovare, e tutti e due si misero a consultarli uno dopo l’altro.

«Come tagliare gli artigli d incanto… Come curare la carie delle scaglie… questa roba non serve, va bene per svitati come Hagrid che vogliono tenerli in forma…»

«I draghi sono estremamente difficili da uccidere, a causa dell’antica magia che intride la loro spessa pelle, che solo gli incantesimi più potenti sono in grado di perforare… ma Sirius ha detto che ne basta uno semplice…»

«Proviamo con dei libri di incantesimi semplici, allora» disse Harry, gettando via Uomini Che Amano Troppo i Draghi.

Tornò al tavolo con una pila di libri di formule magiche, li posò e cominciò a scorrerli uno per uno, con Hermione che sussurrava ininterrottamente al suo fianco. «Be’, ci sono gli Incantesimi di Scambio… ma a cosa serve Scambiare? A meno che tu non scambi le sue zanne con gomma da masticare o roba del genere, così diventerebbe meno pericoloso… il guaio è che come dice il libro non c’è molto che possa trapassare la pelle di drago… ti suggerirei di Trasfigurarlo, ma una cosa così grossa, non hai la minima speranza, dubito che anche la professoressa McGranitt… a meno che tu non debba scagliare l’incantesimo su di te… Forse per attribuirti dei poteri in più? Ma quelli non sono incantesimi semplici, voglio dire, non ne abbiamo fatto nemmeno uno in classe, io so solo che esistono perché faccio i test di G.U.F.O. per esercitarmi…»

«Hermione» disse Harry a denti stretti, «vuoi stare un po’ zitta, per favore? Sto cercando di concentrarmi».

Ma tutto quello che successe quando Hermione tacque fu che il cervello di Harry si riempì di una specie di vuoto ronzio, che non lasciava spazio alla concentrazione. Scorse senza speranza l’indice di Incantesimi-base per chi ha poco tempo: rasatura istantanea… ma i draghi non avevano il pelo… alito pepato… probabilmente avrebbe solo aumentato la gittata del fuoco di un drago… lìngua cornuta… proprio quello di cui aveva bisogno, regalargli un’arma in più…

«Oh, no, è tornato un’altra volta, perché non può leggere sulla sua stupida nave?» sbottò Hermione seccata mentre Viktor Krum entrava ciondolando, scoccava un’occhiata arcigna verso di loro e si sistemava in un angolo lontano con una pila di libri. «Andiamo, Harry… torneremo in sala comune… il suo fan club sarà qui a momenti, tutto cinguettante…»

E in effetti, mentre uscivano, una banda di ragazze entrò in punta di piedi. Una di loro portava una sciarpa della Bulgaria legata alla vita.

* * *

Quella notte Harry dormì appena. Quando si svegliò il lunedì mattina, per la prima volta in assoluto prese seriamente in considerazione l’idea di fuggire da Hogwarts. Ma mentre si guardava intorno nella Sala Grande a colazione, pensò a ciò che avrebbe significato lasciare il castello, e seppe che non poteva. Era l’unico posto in cui fosse stato mai felice… be’. doveva esserlo stato anche con i suoi genitori, ma non se lo ricordava.

In qualche modo, gli faceva bene sapere che trovarsi lì e affrontare un drago era meglio che essere ancora a Privet Drive con Dudley; lo faceva sentire un po’ più tranquillo. Finì a fatica la pancetta (la gola non gli funzionava molto bene), e mentre lui e Hermione si alzavano vide Cedric Diggory allontanarsi dal tavolo di Tassorosso.

Cedric non sapeva ancora dei draghi… era il solo campione a non sapere, se Harry aveva ragione di pensare che Madame Maxime e Karkaroff lo avrebbero detto a Fleur e Krum…

«Hermione, ci vediamo alle serre» disse Harry, seguendo con gli occhi Cedric che usciva. «Vai avanti, io ti raggiungo».

«Harry, farai tardi, la campana sta per suonare…»

«Ti raggiungo, va bene?»

Quando Harry giunse ai piedi della scalinata di marmo, Cedric era in cima, con un gruppo di amici del sesto anno. Harry non voleva parlargli davanti a loro; erano di quelli che lo bersagliavano di battute sull’articolo di Rita Skeeter tutte le volte che lo incontravano. Seguì Cedric tenendosi a distanza, e vide che puntava verso il corridoio dell’aula di Incantesimi. Ciò gli diede un’idea. Fermandosi a una certa distanza da loro, estrasse la bacchetta e prese la mira con cura.

«Diffindo!»

La borsa di Cedric si strappò. Pergamene, penne e libri si sparpagliarono sul pavimento. Parecchie boccette d’inchiostro andarono in frantumi.

«Non importa» disse Cedric seccato, mentre i suoi amici si chinavano per aiutarlo, «dite a Vitious che sto arrivando, andate…»

Era esattamente ciò che Harry sperava. Fece sparire la bacchetta, attese che gli amici di Cedric fossero entrati in classe, e corse nel corridoio, ora completamente deserto, a parte loro due.

«Ciao» disse Cedric, raccogliendo la sua Guida alla Trasfigurazione Avanzata che ora era macchiata di inchiostro. «Mi si è appena rotta la borsa… e pensare che era nuova di zecca…»

«Cedric» disse Harry, «la prima prova è con i draghi».

«Cosa?» esclamò Cedric alzando gli occhi.

«Draghi» disse Harry parlando in fretta, nel caso che il professor Vitious uscisse a vedere che cosa stava facendo Cedric. «Ce ne sono quattro, uno per ciascuno, e dobbiamo superarli».

Cedric lo fissò sbalordito. Harry vide un po’ del panico che provava da sabato notte balenare negli occhi grigi di Cedric.

«Sei sicuro?» gli chiese, con voce soffocata.

«Sicurissimo» rispose Harry. «Li ho visti».

«Ma come hai fatto a scoprirlo? Non dovremmo sapere…»

«Non è importante» disse Harry in fretta: sapeva che Hagrid sarebbe finito nei guai se avesse detto la verità. «Ma non sono solo io a saperlo. Maxime e Karkaroff hanno visto i draghi, ormai lo sapranno anche Fleur e Krum…».

Cedric si alzò, le braccia cariche di penne, pergamene e libri macchiati d’inchiostro, la borsa strappata che penzolava dalla spalla. Osservò Harry con uno sguardo perplesso, quasi sospettoso.

«Perché sei venuto a dirmelo?»

Harry lo guardò incredulo. Era sicuro che Cedric non glielo avrebbe chiesto se avesse visto i draghi con i suoi occhi. Harry non avrebbe lasciato nemmeno il suo peggior nemico ad affrontare quei mostri impreparato — be’, forse Malfoy o Piton…

«È solo che è… corretto, no?» disse a Cedric. «Adesso lo sappiamo tutti… partiamo alla pari, no?»

Cedric lo guardava ancora con vago sospetto quando Harry udì un ticchettio familiare alle sue spalle. Si voltò e vide Malocchio Moody uscire da una delle aule vicine.

«Vieni con me, Potter» ringhiò. «Diggory, vai».

Harry fissò Moody allarmato. Li aveva sentiti? «Ehm… professore, dovrei essere a Erbologia…»

«Dopo, Potter. Nel mio ufficio, prego…»

Harry lo seguì, chiedendosi che cosa gli sarebbe successo. E se Moody voleva sapere come aveva fatto a scoprire i draghi? Sarebbe andato da Silente e avrebbe denunciato Hagrid, o si sarebbe limitato a trasformare Harry in un furetto? Be’, poteva essere più facile superare un drago sotto le sembianze di un furetto, Harry ridletté depresso, sarebbe stato molto più piccolo, molto meno visibile da un’altezza di quindici metri…

Seguì Moody nel suo ufficio. Moody chiuse la porta e si rivolse a Harry, l’occhio magico puntato su di lui come quello normale.

«Hai fatto una cosa molto onesta, Potter» disse Moody tranquillamente.

Harry non sapeva cosa dire; non era questa la reazione che si era aspettato.

«Siediti» disse Moody, e Harry sedette e si guardò intorno.

Era entrato in quell’ufficio al tempo di due dei suoi occupanti precedenti. All’epoca del professor Allock, le pareti erano tappezzate di ritratti sorridenti di Allock stesso che facevano l’occhiolino. Quando c’era Lupin, era più probabile imbattersi in un esemplare di qualche nuova, affascinante Creatura Oscura che si era procurato per la lezione. Ora, invece, l’ufficio era pieno di una serie di oggetti straordinariamente stravaganti che Moody doveva aver usato nei giorni in cui era un Auror.

Sulla sua scrivania c’era quella che sembrava una grossa trottola di vetro incrinato: era uno Spioscopio. Harry lo riconobbe subito perché ne aveva uno anche lui, molto più piccolo di quello di Moody. Su un tavolino nell’angolo c’era un oggetto che sembrava un’antenna televisiva dorata decisamente arzigogolata. L’antenna ronzava. Quello che sembrava uno specchio era appeso alla parete di fronte a Harry, ma non rifletteva la stanza. Sagome in ombra si muovevano al suo interno, nessuna completamente a fuoco.

«Ti piacciono i miei Detector Oscuri, eh?» chiese Moody, che studiava attentamente Harry.

«Quello cos’è?» chiese Harry, indicando l’antenna d’oro arzigogolata.

«Un Sensore Segreto. Vibra quando capta dissimulazioni e bugie… qui non serve, naturalmente, ci sono troppe interferenze — studenti da tutte le parti che mentono sul perché non hanno fatto i compiti. Ronza da quando sono arrivato. Ho dovuto disattivare lo Spioscopio perché non smetteva mai di fischiare. È molto sensibile, capta segnali nel raggio di un chilometro. Naturalmente è in grado di captare molto più della solita roba da bambini» aggiunse con un brontolio.

«E lo specchio a cosa serve?»

«Oh, quello è il mio Avversaspecchio. Li vedi quelli là che gironzolano? Non sono davvero nei guai finché non distinguo il bianco dei loro occhi. Allora apro il baule».

Esplose in una breve risata roca e indicò un grosso baule sotto la finestra. Aveva sette serrature in fila. Harry si chiese che cosa c’era dentro, finché la domanda successiva di Moody non lo riportò bruscamente sulla terra.

«Allora… hai saputo dei draghi, vero?»

Harry esitò. Era quello che aveva temuto: ma non aveva detto a Cedric, e certo non aveva intenzione di dire a Moody, che Hagrid aveva violato le regole.

«Va tutto bene» disse Moody, sedendosi e stendendo la gamba di legno con un lamento. «Imbrogliare è una componente tradizionale del Torneo Tremaghi, lo è sempre stata».

«Non ho imbrogliato» disse Harry seccamente. «L’ho scoperto per caso».

Moody sorrise. «Non ti stavo accusando, ragazzo. È dall’inizio che lo ripeto a Silente, può fare il nobile quanto gli pare, ma ci puoi scommettere che il vecchio Karkaroff e la Maxime non lo saranno. Avranno raccontato ai loro campioni tutto quello che potevano. Vogliono vincere. Vogliono battere Silente. Vogliono dimostrare che è un essere umano».

Moody scoppiò in una risata rauca, e il suo occhio magico vorticò così in fretta che nel guardarlo a Harry venne la nausea.

«Allora… hai già idea di come farai a superare il tuo drago?»

«No» rispose Harry.

«Be’, non ho intenzione di dirtelo» disse Moody burbero. «Non faccio favoritismi, io. Ti darò solo qualche buon consiglio generale. E il primo è: gioca secondo le tue forze».

«Non ne ho» disse Harry, prima di riuscire a trattenersi.

«Se permetti» ringhiò Moody, «te lo dico io che le hai. Ora rifletti. Qual è la cosa che sai fare meglio?»

Harry si sforzò di concentrarsi. Qual era la cosa che sapeva fare meglio? Be’, era facile davvero…

«Il Quidditch» rispose depresso, «e mi sarà molto utile…»

«È vero» disse Moody, fissandolo intensamente, l’occhio magico quasi immobile. «Sei maledettamente bravo a volare, da quel che ho sentito».

«Sì, ma…» Harry restituì lo sguardo. «Non mi è concesso portare la scopa, ho solo la bacchetta…»

«Il mio secondo consiglio generale» lo interruppe Moody ad alta voce, «è usare un bell’incantesimo facile che ti permetta di ottenere ciò di cui hai bisogno».

Harry gli rivolse uno sguardo vacuo. Di che cosa aveva bisogno?

«Andiamo, ragazzo…» borbottò Moody. «Fai due più due… non è così difficile…»

E poi tutto andò al suo posto. La cosa che faceva meglio era volare. Doveva superare il drago via aria. Per riuscirci, aveva bisogno della sua Firebolt. E per avere la sua Firebolt, aveva bisogno di…

«Hermione» sussurrò Harry dieci minuti dopo, arrivando di corsa nella serra numero tre, biascicando delle scuse affrettate alla professoressa Sprite mentre le passava davanti, «Hermione… devi aiutarmi».

«Che cosa credi che stia cercando di fare, Harry?» ribatté lei, gli occhi sbarrati dall’ansia al di sopra del fremente Cespuglio Farfallino che stava potando.

«Hermione, devo imparare a fare un Incantesimo di Appello come si deve entro domani pomeriggio».

* * *

E così si allenarono. Non pranzarono, ma cercarono un’aula vuota, e qui Harry tentò con tutte le sue forze di attirare a sé svariati oggetti attraverso la stanza. Aveva ancora qualche difficoltà. I libri e le penne continuavano a perdere potenza a metà strada e a cadere a terra come sassi.

«Concentrati, Harry, concentrati…»

«Cosa credi che stia facendo?» ribatté Harry infuriato. «Continua a venirmi in mente uno schifoso drago enorme, chissà perché… Ok, ci riprovo…»

Voleva saltare Divinazione per continuare ad allenarsi, ma Hermione si rifiutò decisamente di bigiare Aritmanzia, e non aveva senso restare senza di lei. Così dovette sopportare più di un’ora di professoressa Cooman, che passò metà della lezione a dire a tutti che, in base alla posizione di Marte rispetto a Saturno in quel momento, le persone nate in luglio correvano seri pericoli di morte improvvisa e violenta.

«Be’, magnifico» disse Harry forte, sentendosi invadere dalla rabbia, «basta che sia una cosa rapida, non voglio soffrire».

Per un attimo parve che Ron stesse per scoppiare a ridere; di sicuro incrociò lo sguardo di Harry per la prima volta da giorni, ma Harry provava ancora troppo rancore per badargli. Passò il resto della lezione cercando di attirare a sé con la bacchetta piccoli oggetti sotto il tavolo. Riuscì a far volare una mosca dritto nel palmo della mano, anche se non era del tutto certo che fosse dovuto alla sua abilità nell’Incantesimo di Appello: forse la mosca era solo stupida.

Cercò di buttar giù qualcosa per cena dopo Divinazione, poi tornò nell’aula vuota con Hermione, usando il Mantello dell’Invisibilità per evitare gli insegnanti. Continuarono ad allenarsi fino a mezzanotte passata. Sarebbero rimasti anche più a lungo, ma comparve Pix, che fingendo di credere che Harry volesse farsi tirare addosso le cose, cominciò a scaraventare sedie per la stanza. Harry e Hermione se ne andarono di corsa prima che il frastuono attirasse Gazza, e tornarono nella sala comune di Grifondoro, che ora era misericordiosamente vuota.

Alle due di notte, Harry era in piedi vicino al camino, circondato da cataste di oggetti — libri, penne, parecchie sedie rovesciate, un vecchio kit di Gobbiglie e il rospo di Neville, Oscar. Solo nel corso dell’ultima ora era riuscito davvero a padroneggiare l’Incantesimo di Appello.

«Va meglio, Harry, va molto meglio» disse Hermione, sfinita ma molto soddisfatta.

«Be’, adesso sappiamo cosa fare la prossima volta che non riesco a imparare un incantesimo» esclamò Harry, lanciando a Hermione il Dizionario delle Rune per riprovare, «basta che mi minacci con un drago. Pronti…» Levò ancora una volta la bacchetta. «Accio Dizionario!»

Il librone decollò dalla mano di Hermione, attraversò la stanza volando e Harry lo afferrò.

«Harry, l’hai imparato davvero!» disse Hermione incantata.

«Basta che funzioni domani» disse Harry. «La Firebolt sarà molto più lontana di questa roba, sarà dentro il castello, e io sarò fuori nel parco…»

«Non ha importanza» disse Hermione decisa. «Basta che tu sia molto, molto concentrato, e verrà. Harry, sarà meglio che dormiamo un po’… ne avrai bisogno».

* * *

Quella sera Harry si era concentrato così tanto per imparare l’Incantesimo di Appello che un po’ della sua paura cieca lo aveva abbandonato. La mattina dopo, comunque, tornò tutta intera. L’atmosfera nella scuola era di grande tensione ed eccitazione. Le lezioni sarebbero terminate a mezzogiorno, dando modo a tutti gli studenti di scendere al recinto dei draghi, anche se naturalmente non sapevano ancora che cosa avrebbero trovato laggiù.

Harry si sentiva stranamente isolato da tutti, sia che gli augurassero buona fortuna sia che sibilassero «Teniamo pronta una scatola di fazzoletti, Potter» al suo passaggio. Era talmente nervoso che si chiese se nel momento di affrontare il drago non avrebbe semplicemente perso la testa, scagliando incantesimi su tutti quanti.

Il tempo si comportava in modo più stravagante che mai: filava via a grandi blocchi, così che un momento gli sembrava di essere seduto in classe per la prima lezione, Storia della Magia, e il momento dopo stava andando a pranzo… e poi (dov’era finita la mattinata? Le ultime ore senza draghi?) ecco che la professoressa McGranitt gli correva incontro nella Sala Grande. Un sacco di ragazzi gli puntarono gli occhi addosso.

«Potter, i campioni devono venire giù nel parco adesso… dovete prepararvi per la prima prova».

«Va bene» disse Harry alzandosi, mentre la forchetta cadeva nel piatto con un tintinnio.

«Buona fortuna, Harry» sussurrò Hermione. «Andrà tutto bene!»

«Certo» disse Harry con una voce che non somigliava affatto alla sua.

Uscì dalla Sala Grande assieme alla professoressa McGranitt. Quasi non sembrava lei; in effetti, era preoccupata quasi quanto Hermione. Mentre lo scortava giù per i gradini di pietra nel freddo pomeriggio di novembre, gli posò una mano sulla spalla.

«Ora, non farti prendere dal panico» disse, «cerca di restare distaccato… abbiamo maghi a disposizione per controllare la situazione se sfugge di mano… la cosa più importante è che tu faccia meglio che puoi, e nessuno penserà male di te… ti senti bene?»

«Si» Harry si sentì rispondere. «Si, sto bene».

Lo stava guidando verso il luogo in cui si trovavano i draghi, lungo il limitare della Foresta, ma quando si avvicinarono alla macchia di alberi oltre la quale lo steccato sarebbe stato chiaramente visibile, Harry vide che era stata eretta una tenda: l’ingresso era davanti a loro e nascondeva i draghi.

«Devi entrare là con gli altri campioni» disse la professoressa McGranitt con voce piuttosto tremante, «e aspettare il tuo turno, Potter. Il signor Bagman è là dentro… ti spiegherà la… la procedura… buona fortuna».

«Grazie» disse Harry con voce sorda e distante. Lei lo lasciò all’ingresso delia tenda. Harry entrò.

Fleur Delacour era seduta in un angolo su un basso sgabello di legno. Non sembrava affatto calma come al solito, ma era pallida e sudaticcia. Viktor Krum sembrava anche più arcigno del solito, e Harry suppose che fosse il suo modo di manifestare la tensione. Cedric camminava avanti e indietro. All’ingresso di Harry, gli rivolse un sorrisetto, che Harry ricambiò, accorgendosi che i suoi muscoli facciali facevano fatica a lavorare, come se avessero dimenticato come si faceva.

«Harry! Ehilà!» disse Bagman allegro, voltandosi a guardarlo. «Entra, entra, mettiti comodo!»

Bagman sembrava vagamente un personaggio dei cartoni animati un po’ gonfiato, lì in mezzo ai campioni pallidi e tirati. Indossava di nuovo la sua vecchia divisa da Vespa.

«Be’, ora che ci siamo tutti è giunto il momento di informarvi!» disse Bagman in tono vivace. «Quando il pubblico avrà preso posto, vi consegnerò questa borsa» — mostrò un sacchetto di seta viola e lo scosse — «da cui estrarrete a turno un modellino della cosa che state per affrontare! Ce ne sono diversi — ehm — tipi, sapete. E devo dirvi anche qualcos’altro… ah, sì… il vostro compito e impadronirvi dell’uovo d’oro

Harry si guardò attorno. Cedric aveva annuito una volta, per mostrare che aveva capito le parole di Bagman, e poi aveva ripreso a percorrere la tenda su e giù; era un po’ verdastro. Fleur Delacour e Krum non avevano avuto alcuna reazione. Forse pensavano che ad aprire la bocca avrebbero vomitato; era proprio cosi che si sentiva Harry. Ma loro, almeno, si erano fatti avanti spontaneamente…

E in un attimo, si udirono centinaia e centinaia di paia di piedi al di là della tenda, mentre i loro proprietari parlavano eccitati, ridevano, scherzavano… Harry si sentiva separato dalla folla come se fosse di un’altra specie. E poi — dopo quello che gli parve un secondo — Bagman aprì il sacchetto di seta viola.

«Prima le signore» disse, porgendolo a Fleur Delacour.

La ragazza infilò una mano tremante nel sacchetto ed estrasse un minuscolo, perfetto modellino di drago: un Gallese Verde. Attorno al collo aveva appeso il numero due. E Harry seppe, dal fatto che Fleur non diede segno di sorpresa, ma piuttosto una determinata rassegnazione, che aveva avuto ragione: Madame Maxime le aveva detto che cosa la aspettava.

La stessa cosa valse per Krum. Lui estrasse il Petardo Cinese. Aveva il numero tre attorno al collo. Krum non batté ciglio, si limitò a fissare il terreno.

Cednc infilò la mano nel sacchetto e ne uscì il Grugnocorto Svedese blugrigio, col numero uno appeso al collo. Sapendo che cosa era rimasto, Harry mise la mano nel sacchetto di seta ed estrasse l’Ungaro Spinato, il numero quattro. Mentre lo guardava, quello spalancò le ali e scoprì le minuscole zanne.

«Bene, ci siamo!» disse Bagman. «Ciascuno di voi ha estratto il drago che dovrà affrontare, e i numeri si riferiscono all’ordine in cui li sfiderete, capito? Ora, fra un attimo vi devo lasciare, perché farò la telecronaca. Signor Diggory, lei è il primo, non deve far altro che entrare nel recinto quando sente un fischio, d’accordo? Ora… Harry… posso dirti due parole? Fuori?»

«Ehm… sì» disse Harry confuso, e si alzò e uscì dalla tenda con Bagman, che lo condusse poco distante, tra gli alberi, e poi gli si rivolse con fare paterno.

«Ti senti bene, Harry? C’è qualcosa che posso farti avere?»

«Cosa?» disse Harry. «Io… no, niente».

«Hai un piano?» gli chiese Bagman, abbassando la voce in tono cospiratorio. «Perché non mi dispiace darti qualche consiglio, se ti va, insomma. Voglio dire» continuò Bagman, a voce ancora più bassa, «tu sei quello messo peggio qui, Harry… se posso fare qualcosa per aiutarti…»

«No» rispose Harry, così in fretta che capì di essere stato sgarbato, «no… io… ho già deciso che cosa fare, grazie».

«Non lo verrebbe a sapere nessuno, Harry» disse Bagman con una strizzatina d’occhio.

«No, sto bene» disse Harry, chiedendosi perché continuava a ripeterlo a tutti, e domandandosi se era mai stato meno bene. «Ho un piano che ho escogitato, io…»

Da qualche parte risuonò un fischio.

«Oh cielo, devo correre!» esclamò Bagman allarmato, e filò via.

Harry tornò verso la tenda e vide uscirne Cedric, più verde che mai. Cercò di augurargli buona fortuna mentre passava, ma dalla sua bocca non uscì altro che una specie di rauco grugnito.

Harry tornò dentro da Fleur e Krum. Qualche secondo più tardi, udirono il ruggito della folla, a indicare che Cedric era entrato nello steccato e si trovava faccia a faccia con l’equivalente in carne e ossa del suo modellino…

Fu peggio di quanto Harry avesse mai potuto immaginare, star lì seduto ad ascoltare. La folla urlò… strillò… trattenne il respiro come una sola entità dotata di molte teste, mentre Cedric s’ingegnava a superare il Grugnocorto Svedese. Krum continuava a fissare a terra. Fleur ripercorreva i passi di Cedric, intorno alla tenda. E la cronaca di Bagman rendeva tutto molto, molto peggiore… immagini terribili si formarono nella mente di Harry mentre sentiva: «Oooh, c’è mancato poco, molto poco»… «Corre dei rischi, questo signore!»… «Bella mossa… peccato che non abbia funzionato!»

E poi, dopo circa quindici minuti, Harry udì il frastuono assordante che poteva significare solo una cosa: Cedric aveva superato il suo drago e afferrato l’uovo d’oro.

«Davvero molto bene!» gridava Bagman, «E ora il punteggio dei giudici!»

Ma non gridò i punti; Harry immaginò che i giudici li tenessero alti e li mostrassero alla folla.

«Fuori uno, tre ancora in gara!» strillò Bagman, mentre il fischietto suonava di nuovo. «Signorina Delacour, prego!»

Fleur tremava da capo a piedi; Harry si senti più bendisposto nei suoi confronti di quanto non fosse stato fino ad allora, mentre lei usciva dalla tenda a testa alta, con la mano che stringeva convulsamente la bacchetta. Lui e Krum rimasero soli, ai lati opposti della tenda, evitando di incrociare gli sguardi.

Tutto ricominciò daccapo… «Oh, non sono sicuro che sia stata una mossa saggia!» udirono Bagman gridare gaiamente. «Oh… quasi! Attenta ora… Santo cielo, credevo che ci fosse riuscita!»

Dieci minuti dopo, Harry sentì la folla esplodere di nuovo in un applauso… anche Fleur doveva avercela fatta. Una pausa, mentre venivano mostrati i punti di Fleur… altri battimani… poi, per la terza volta, il fischio.

«Ed ecco il signor Krum!» strillò Bagman, e Krum usci ciondolando, lasciando Harry solo.

Si sentiva molto più consapevole del solito di possedere un corpo; molto consapevole del suo cuore che batteva forte e delle sue dita che formicolavano di paura… eppure allo stesso tempo gli pareva di essere fuori da se stesso, di vedere le pareti della tenda e di sentire la folla come da una grande distanza…

«Molto audace!» stava urlando Bagman, e Harry udì il Petardo Cinese dare in un orrendo gemito ruggente, mentre la folla tratteneva il respiro come un sol uomo. «Sta dimostrando un bel coraggio… e… sì, ha preso l’uovo!»

Gli applausi incrinarono l’aria invernale tesa come un vetro; Krum aveva finito; a momenti sarebbe toccato a Harry.

Si alzò, notando vagamente che le sue gambe sembravano fatte di zucchero filato. Attese. E poi sentì il fischietto suonare. Usci dall’ingresso della tenda, il panico crescente dentro di lui. Ed ecco che oltrepassava gli alberi, ecco che entrava nello steccato attraverso un’apertura.

Vide ogni cosa davanti a lui come se si trattasse di un sogno a colori vivacissimi. C’erano centinaia e centinaia di facce che lo fissavano da tribune che erano state erette per magia dall’ultima volta che era stato li. E c’era lo Spinato, all’altro capo del recinto, accoccolato sulla sua covata, le ali ripiegate a metà, i malvagi occhi gialli fissi su di lui, un mostruoso lucertolone dalle squame nere che agitava la coda irta di punte, scavando solchi lunghi un metro nel terreno duro. La folla faceva un gran frastuono, ma Harry non sapeva né si curò di scoprire se fosse amichevole o meno. Era ora di fare ciò che doveva fare… di concentrare la mente, totalmente e assolutamente, sulla cosa che era la sua sola possibilità…

Levò la bacchetta.

«Accio Firebolt!» urlò.

Attese, ogni fibra del suo corpo che sperava, pregava… se non avesse funzionato… sembrava che vedesse ogni cosa intorno attraverso una sorta di barriera trasparente e luccicante, come una foschia di calore, che faceva fluttuare in modo strano il recinto e le centinaia di facce attorno a lui…

E poi la sentì sfrecciare nell’aria alle sue spalle; si voltò e vide la sua Firebolt che si scagliava verso di lui costeggiando il bosco, galleggiava nel recinto, e s’immobilizzava a mezz’aria accanto a lui, in attesa che la cavalcasse. La folla faceva ancora più rumore… Bagman urlava qualcosa… ma le orecchie di Harry non funzionavano più a dovere… ascoltare non era importante…

Gettò la gamba oltre la scopa e decollò. E un istante dopo, accadde qualcosa di miracoloso…

Mentre si alzava in volo, mentre il vento gli soffiava nei capelli, mentre là sotto i volti del pubblico diventavano semplici punte di spillo color carne e lo Spinato rimpiccioliva diventando delle dimensioni di un cane, capi che non si era lasciato indietro solo il suolo, ma anche la sua paura… era tornato nel suo elemento…

Quella era solo un’altra partita a Quidditch, ecco tutto… solo un’altra partita a Quidditch, e lo Spinato era solo un’altra brutta squadra avversaria…

Guardò giù il mucchio di uova, e riconobbe quello d’oro, che brillava contro i compagni color granito, tutti ammucchiati al sicuro tra le zampe davanti del drago. «Ok» si disse Harry, «tattica diversiva… andiamo…»

Si tuffò. Il muso dello Spinato lo seguì; Harry conosceva le sue intenzioni, e scartò dalla picchiata appena in tempo; un getto di fuoco aveva investito il punto preciso in cui si sarebbe trovato se non avesse deviato… ma Harry non vi fece caso: era esattamente come evitare un Bolide…

«Santo cielo, questo è volare!» strillò Bagman mentre la folla gemeva e tratteneva il respiro. «Visto che roba, signor Krum?»

Harry si levò più su, in cerchio; lo Spinato stava ancora seguendo la sua avanzata, con la testa che dondolava sul lungo collo — se continuava così, l’avrebbe intontito un bel po’ — ma meglio non esagerare, o avrebbe sputato fuoco un’altra volta…

Harry scese a picco proprio mentre lo Spinato spalancava la bocca, ma questa volta ebbe meno fortuna: evitò le fiamme, ma la coda si alzò sferzante per intercettarlo, e mentre deviava a sinistra, una delle lunghe punte gli scalfì la spalla, strappandogli l’abito…

Sentì un bruciore, udì strilli e gemiti salire dalla folla, ma la ferita non sembrava profonda… sfrecciò attorno al dorso dello Spinato, e gli balenò in mente una possibilità…

Lo Spinato non sembrava intenzionato a prendere il volo, era troppo impegnato a proteggere le uova. Anche se si contorceva e si agitava, spalancando e ripiegando le ali e tenendo i temibili occhi gialli fissi su Harry, aveva paura di allontanarsi troppo… lui doveva riuscire a indurlo a spostarsi, o non si sarebbe mai avvicinato alle uova… il trucco era farlo con cautela, un po’ alla volta…

Prese a volare prima da una parte poi dall’altra, non abbastanza vicino da provocare una fiammata, ma simulando una minaccia sufficiente affinché gli tenesse gli occhi incollati addosso. Il suo testone dondolava da una parte all’altra, mentre lo guardava con quelle pupille verticali, le zanne scoperte…

Volò più su. La testa dello Spinato si levò con lui, il collo ora teso al massimo, ancora oscillante, come un serpente davanti al suo incantatore…

Harry si alzò ancora di qualche metro, e il drago emise un ruggito esasperato. Per lui Harry era come una mosca, una mosca che desiderava scacciare; la sua coda si dibatté di nuovo, ma ora era troppo in alto per raggiungerlo… sputò fuoco nell’aria, e lui lo schivò… le sue mascelle si spalancarono…

«Andiamo» sibilò Harry, scartando sopra di lui in modo da tentarlo, «andiamo, vieni a prendermi… vieni su, ora…»

E poi il drago si levò, spalancando finalmente le grandi ali di cuoio nero, larghe come quelle di un piccolo aeroplano — e Harry si tuffò. Prima che il drago avesse capito ciò che aveva fatto, o dove fosse sparito, Harry sfrecciava verso il suolo a velocità massima, verso le uova ora non più difese dalle zampe anteriori armate di artigli — ecco che levava le mani dalla Firebolt — ecco che afferrava l’uovo d’oro…

E con un’enorme accelerata era su, galleggiava sopra le tribune, il pesante uovo al sicuro sotto il braccio ancora sano, e fu come se qualcuno avesse appena rialzato il volume: per la prima volta, si accorse del fragore della folla, che urlava e applaudiva forte come i tifosi irlandesi alla Coppa del Mondo…

«Ma guardate!» strillava Bagman. «Ma guardate un po’! Il nostro campione più giovane è stato il più veloce a prendere l’uovo! Bene, ciò abbasserà le quote sul signor Potter!»

Harry vide i guardiani accorrere per domare lo Spinato, e, all’ingresso del recinto, la professoressa McGranitt, il professor Moody e Hagrid che gli correvano incontro e gli facevano tutti segno di avvicinarsi, i sorrisi ben visibili anche a quella distanza. Tornò a volare sulle tribune, mentre il frastuono della folla gli pulsava nelle orecchie, e atterrò dolcemente, il cuore più leggero di quanto non fosse stato da settimane… aveva superato la prima prova, era sopravvissuto…

«Ottimo, Potter!» urlò la professoressa McGranitt mentre lui scendeva dalla Firebolt: detto da lei era un complimento insolito. Notò che le tremavano le mani mentre indicava la sua spalla. «Devi andare da Madama Chips prima che i giudici ti diano i punti… laggiù, ha già dovuto sistemare Diggory…»

«Ce l’hai fatta, Harry!» esclamò Hagrid con voce roca. «Ce l’hai fatta! E proprio contro lo Spinato, te lo ricordi che cos’aveva detto, Charlie, che era il peg…»

«Grazie, Hagrid» disse Harry ad alta voce, in modo che Hagrid non continuasse a blaterare rivelando che gli aveva mostrato i draghi in anticipo.

Anche il professor Moody sembrava molto soddisfatto; il suo occhio magico ballava tra le palpebre.

«Come bere un bicchier d’acqua, Harry» ringhiò.

«Di là, Potter, nella tenda prontosoccorso, per favore…» insistette la professoressa McGranitt.

Harry uscì dal recinto, ancora ansante, e vide Madama Chips in piedi all’ingresso di una seconda tenda. Aveva l’aria agitata.

«Draghi!» esclamò in tono disgustato, trascinando dentro Harry. La tenda era divisa in cubicoli; Harry distinse l’ombra di Cedric attraverso la tela, ma Cedric non sembrava ferito gravemente; era seduto, almeno. Madama Chips esaminò la spalla di Harry, parlando in tono arrabbiato per tutto il tempo. «L’anno scorso i Dissennatori, quest’anno i draghi, cos’altro faranno entrare a scuola l’anno prossimo? Sei molto fortunato… è piuttosto superficiale… devo ripulirla prima di medicarla, però…»

Pulì il taglio con una spruzzata di un liquido violetto che fumava e bruciava, poi gli sfiorò la spalla con la bacchetta e la sentì guarire all’istante.

«Ora, stai lì seduto tranquillo un minuto… seduto! E poi potrai andare a vedere il punteggio».

Si precipitò fuori dalla tenda e Harry la sentì entrare nel cubicolo accanto e chiedere: «Come va adesso, Diggory?»

Harry non voleva star seduto; era ancora troppo carico di adrenalina. Si alzò per vedere che cosa succedeva fuori, ma prima di aver raggiunto l’ingresso della tenda, Hermione entrò di corsa, seguita da Ron.

«Harry, sei stato eccezionale!» disse Hermione con voce roca. C’erano graffi sul suo viso, nei punti in cui aveva affondato le unghie per la paura. «Sei stato straordinario! Davvero!»

Ma Harry stava guardando Ron, che era molto pallido, e lo fissava come se fosse un fantasma.

«Harry» disse in tono molto serio, «chiunque abbia messo il tuo nome in quel Calice… io… io credo che stiano cercando di farti fuori!»

Era come se le ultime settimane non fossero mai passate, come se Harry incontrasse Ron per la prima volta appena dopo essere stato designato campione.

«Ci sei arrivato, eh?» disse freddamente. «Ci hai messo un bel po’».

Hermione stava in mezzo a loro, tesa, guardando dall’uno all’altro. Ron aprì la bocca, incerto. Harry capì che stava per scusarsi e all’improvviso sentì che non aveva bisogno di ascoltarlo.

«È tutto ok» disse, prima che Ron potesse spiccicar parola. «Lascia perdere».

«No» disse Ron. «Non avrei dovuto…»

«Lascia perdere» ripeté Hany.

Ron gli sorrise, imbarazzato, e Harry ricambiò il sorriso.

Hermione scoppiò in lacrime.

«Non c’è niente da piangere!» le disse Harry, sbalordito.

«Voi due siete così stupidi!» gridò lei tra le lacrime, pestando il piede a terra. Poi, prima che uno di loro potesse fermarla, abbracciò tutti e due e sfrecciò via. singhiozzando con tutte le sue forze.

«Quante storie» commentò Ron, scuotendo la testa. «Harry, andiamo, staranno dando il punteggio…»

Prendendo l’uovo d’oro e la Firebolt. più sollevato di quanto non avesse creduto possibile solo un’ora prima, Harry si chinò per uscire dalla tenda, con Ron al fianco, che parlava in fretta.

«Sei stato il migliore, davvero, non c’è paragone. Cedric ha fatto una cosa strana, ha Trasfigurato una pietra per terra… l’ha trasformata in un cane… voleva che il drago lo inseguisse. Be’, è stata una gran bella Trasfigurazione, e ha funzionato, in un certo senso, perché ha preso l’uovo, ma si è anche bruciato: il drago ha cambiato idea a metà strada e ha deciso che preferiva acchiappare lui, se l’è cavata per un pelo. E quella Fleur ha tentato una specie di incantesimo, credo che volesse ipnotizzarlo o roba del genere; be’, ha funzionato, un po’, almeno, il drago era tutto insonnolito, ma poi ha sbuffato, ed è venuto fuori un gran getto di fuoco, e la sua gonna ha preso fuoco: l’ha spenta facendo uscire dalla bacchetta un po’ d’acqua. E Krum — non ci crederai, ma non gli è nemmeno venuto in mente di volare! Probabilmente è stato il migliore dopo di te, comunque. L’ha beccato nell’occhio con un incantesimo. Solo che quello si è messo a calpestare tutto dal dolore e ha schiacciato metà delle uova vere; gli hanno tolto dei punti, non doveva danneggiarle».

Ron riprese fiato mentre lui e Harry raggiungevano lo steccato. Ora che lo Spinato era stato portato via, Harry vide dov’erano seduti i cinque giudici: all’altro capo, in postazioni elevate rivestite d’oro.

«Ciascuno può dare al massimo dieci» disse Ron, e Harry, strizzando gli occhi per vedere dall’altra parte del campo, vide il primo giudice — Madame Maxime — levare per aria la bacchetta. Ne sfuggì quello che parve un lungo nastro d’argento, che si curvò in un grande otto.

«Non male!» esclamò Ron tra gli applausi della folla. «Credo che ti abbia tolto dei punti per via della spalla…»

Poi toccò al signor Crouch, che sparò in aria un nove.

«Sta andando bene!» strillò Ron, dando dei gran colpi nella schiena a Harry.

Poi Silente. Anche lui disegnò un nove. La folla applaudiva più forte che mai.

Ludo Bagman: dieci.

«Dieci?» disse Harry incredulo. «Ma… mi sono fatto male… a che gioco sta giocando?»

«Harry, non lamentarti!» gridò Ron eccitato.

E poi Karkaroff levò la bacchetta. Si fermò un attimo, e poi anche dalla sua bacchetta filò fuori un numero: quattro.

«Cosa?» tuonò Ron infuriato. «Quattro? Tu, sporca canaglia parziale, a Krum hai dato dieci!»

Ma a Harry non importava, non gli sarebbe importato nemmeno se Karkaroff gli avesse dato zero; l’indignazione di Ron valeva almeno cento punti per lui. Non lo disse a Ron, naturalmente, ma il suo cuore era più leggero dell’aria quando si voltò per uscire dallo steccato. E non era solo Ron… non erano solo i Grifondoro quelli che applaudivano nella folla. Quando si era arrivati al dunque, quando avevano visto che cosa doveva affrontare, gran parte dei ragazzi della scuola si erano schierati dalla sua parte, come da quella di Cedric… non gli importava dei Serpeverde, ora poteva sopportare qualunque insulto da parte loro.

«Sei al primo posto alla pari, Harry! Tu e Krum!» disse Charlie Weasley, affrettandosi a raggiungerli mentre tornavano a scuola. «Senti, devo correre, devo mandare un gufo a mamma, le ho giurato di dirle che cosa succedeva — ma è stato incredibile! Oh, si — e devi restare qui ancora qualche minuto… Bagman vuole parlarti nella tenda dei campioni».

Ron disse che lo avrebbe aspettato, così Harry tornò nella tenda, che ora sembrava diversa: amichevole e accogliente. Ripensò a quello che aveva provato mentre schivava lo Spinato, e lo paragonò alla lunga attesa prima di uscire ad affrontarlo… non c’era confronto, l’attesa era stata incommensurabilmente peggiore.

Fleur, Cedric e Krum entrarono insieme.

Un lato del viso di Cedric era coperto da una densa pasta arancione, che presumibilmente stava curando la sua scottatura. Sorrise a Harry quando lo vide. «Bel colpo, Harry».

«Anche il tuo» disse Harry, e gli restituì il sorriso.

«Ben fatto, tutti quanti!» esclamò Ludo Bagman, entrando saltellando nella tenda, soddisfatto come se fosse stato lui a superare un drago. «Ora, solo due parole veloci. Avete una bella pausa lunga prima della seconda prova, che avrà luogo la mattina del 24 febbraio alle nove e mezza — ma nel frattempo vi diamo qualcosa a cui pensare! Se guardate le uova d’oro che tenete in mano, vedrete che si aprono… vedete il segno? Dovete risolvere l’indovinello che c’è nel vostro uovo, perché vi dirà qual è la seconda prova, e vi permetterà di prepararvi! È tutto chiaro? Sicuri? Bene, allora potete andare!»

Harry uscì dalla tenda, raggiunse Ron e insieme camminarono lungo il limitare della Foresta, parlando fitto; Harry voleva sapere nel dettaglio che cos’avevano fatto gli altri campioni. Poi, mentre aggiravano il ciuffo di alberi dietro il quale Harry aveva visto i draghi ruggire per la prima volta, una strega gli si parò davanti all’improvviso.

Era Rita Skeeter. Quel giorno era vestita di verde acido, che s’intonava perfettamente con la Penna Prendiappunti, pronta all’azione.

«Congratulazioni, Harry!» disse con un gran sorriso. «Chissà se hai voglia di dirmi una parolina… Cos’hai provato affrontando il drago? Che cosa ne pensi dei punteggi, secondo te sono giusti?»

«Sì, ho proprio voglia di dirle una parolina» disse Harry con ferocia. «Addio».

E ripartì con Ron alla volta del castello.

CAPITOLO 21

IL FRONTE DI LIBERAZIONE DEGLI ELFI DOMESTICI

Quella sera Harry, Ron e Hermione salirono alla Guferia a cercare Leo: Harry voleva scrivere a Sirius per dirgli che era riuscito a superare incolume la prova del drago. Lungo le scale, Harry aggiornò Ron su tutto quello che Sirius gli aveva detto di Karkaroff. Sulle prime Ron fu sconvolto dalla notizia che Karkaroff era stato un Mangiamorte, ma quando entrarono nella Guferia decretò che avrebbero dovuto sospettarlo fin dall’inizio.

«Tutto torna, no?» disse. «Ti ricordi quello che aveva detto Malfoy sul treno, che suo padre e Karkaroff erano amici? Ora sappiamo dove si sono conosciuti. Probabilmente giravano insieme incappucciati alla Coppa del Mondo. Però, Harry, se è stato davvero Karkaroff a mettere il tuo nome nel Calice, adesso si sentirà un idiota, no? Non ha funzionato, eh? Ti sei fatto appena un graffio! Vieni qui: faccio io…»

Leo era cosi sovreccitato all’idea di una consegna che continuava a svolazzare attorno alla testa di Harry, ululando ininterrottamente. Ron afferrò il piccolo gufo e lo tenne ben stretto mentre Harry gli fissava la lettera alla zampa.

«Non è assolutamente possibile che le altre prove siano cosi pericolose: come potrebbero?» riprese Ron portando Leo verso la finestra. «La sai una cosa? Scommetto che potresti vincere il Torneo, Harry, dico sul serio».

Harry sapeva che Ron voleva solo farsi perdonare il comportamento delle ultime settimane, ma gli fece piacere lo stesso. Hermione, invece, si appoggiò alla parete della Guferia, incrociò le braccia e guardò torva Ron.

«Harry ha ancora un bel po’ di strada da fare prima della fine del Torneo» disse seria. «Se quella era la prima prova, non oso pensare a quello che si prepara».

«Sempre ottimista, eh?» ribatté Ron beffardo. «Tu e la professoressa Cooman dovreste uscire insieme qualche volta».

Lanciò Leo fuori dalla finestra. Il gufetto precipitò per quattro metri prima di riuscire a rimettersi diritto; la lettera fissata alla sua zampa era molto più lunga e pesante del solito, perché Harry non aveva potuto fare a meno di scrivere la cronaca dettagliata di come aveva schivato, accerchiato e infine giocato l’Ungaro Spinato.

Guardarono Leo sparire nell’oscurità, e poi Ron disse: «Be’, sarà meglio scendere per la tua festa a sorpresa, Harry. Fred e George ormai dovrebbero aver rubato abbastanza cibo dalle cucine».

E quando fecero il loro ingresso nella sala comune di Grifondoro questa esplose di nuovo di urla e applausi. C’erano montagne di torte e brocche di succo di zucca e di Burrobirra dappertutto; Lee Jordan aveva sparato alcuni Favolosi Fuochi d’Artificio Freddi del dottor Filibuster con Innesco ad Acqua, e l’aria era pervasa di stelline e scintille; e Dean Thomas, che disegnava benissimo, aveva appeso alcuni stendardi nuovi davvero notevoli, con Harry che sfrecciava attorno alla testa dello Spinato sulla sua Firebolt, anche se, a dir la verità, un paio mostravano Cedric con la testa in fiamme. Harry aveva quasi dimenticato cht cosa si provava ad aver davvero fame, e si sedette con Ron e Hermione. Non riusciva a credere alla sua felicità: aveva di nuovo Ron al suo fianco, aveva superato la prima prova, e non avrebbe dovuto affrontare la seconda prima di tre mesi.

«Accidenti, quanto pesa» disse Lee Jordan, soppesando l’uovo d’oro che Harry aveva posato su un tavolo. «Aprilo, Harry, dai! Vediamo un po’ che cosa c’è dentro!»

«Dovrebbe cercare di risolvere l’indovinello da solo» intervenne prontamente Hermione. «Sono le regole del Torneo…»

«Avrei dovuto arrangiarmi da solo anche per superare il drago» sussurrò Harry, in modo che solo Hermione lo sentisse, e lei gli sorrise con aria colpevole.

«Sì, dai, Harry, aprilo!» ripeterono in parecchi.

Lee passò l’uovo a Harry, che infilò le dita nel solco che correva tutto intorno, e lo divise in due.

Era cavo e completamente vuoto: ma nell’istante in cui Harry lo aprì, un fragore tremendo, un gemito alto e stridulo invase la stanza. La cosa più simile che Harry avesse mai sentito era stato alla Festa di Complemorte di Nick-Quasi-Senza-Testa, dove tutti i componenti dell’Orchestra Fantasma suonavano la Sega Musicale.

«Fallo star zitto!» ululò Fred, le mani premute sulle orecchie. Harry lo richiuse di scatto.

«Che cos’era?» chiese Seamus Finnigan, fissando l’uovo. «Sembrava una Banshee… forse la prossima volta dovrai affrontarne una, Harry!»

«Era qualcuno che stavano torturando!» esclamò Neville, che era impallidito bruscamente rovesciando panini alla salsiccia su tutto il pavimento. «Dovrai vedertela con la Maledizione Cruciatus!»

«Non dire sciocchezze, Neville, è illegale» disse George. «Non userebbero la Maledizione Cruciatus sui campioni. Secondo me assomigliava un po’ a Percy quando canta… forse la tua prova è attaccarlo mentre fa la doccia, Harry».

«Vuoi una crostatina alla marmellata, Hermione?» disse Fred.

Hermione guardò perplessa il vassoio che le porgeva. Fred fece un gran sorriso.

«È tutto a posto» disse. «Non gli ho fatto niente. Ma stai attenta a quelle con la crema…»

Neville, che ne aveva appena addentata una, tossicchiò e la sputò.

Fred scoppiò a ridere. «Era solo uno scherzetto, Neville…»

Hermione prese una crostatina alla marmellata. Poi chiese: «Tutta questa roba l’hai presa nelle cucine, Fred?»

«Sicuro» rispose Fred con un sorriso. Fece uno squittio acuto e imitò un elfo domestico. «“Le daremo tutto quello che vuole, signore, tutto tutto!” Sono spaventosamente utili… mi cucinerebbero un bue arrosto se dicessi che ho un certo languorino».

«Com’è che fate a entrare laggiù?» chiese Hermione in tono innocente e casuale.

«Facile» rispose Fred, «c’è una porta nascosta dietro un quadro di una ciotola di frutta. Basta fare il solletico alla pera, e si mette a ridere e…» S’interruppe e la guardò con sospetto. «Perché?»

«Oh, niente» rispose lei in fretta.

«Vuoi provare a organizzare uno sciopero degli elfi domestici, vero?» disse George. «Hai deciso di lasciar perdere i volantini e sobillarli direttamente fino all’insurrezione?»

Parecchi ragazzi ridacchiarono. Hermione non rispose.

«Guai a te se vai giù a spaventarli con la faccenda della libertà e dello stipendio!» l’ammonì Fred. «Li distrai dai fornelli!»

In quel momento tutti si voltarono a guardare Neville che si stava trasformando in un grosso canarino.

«Oh… mi dispiace, Neville!» gridò Fred al di sopra delle risate. «Mi ero dimenticato… erano proprio le crostatine alla crema che abbiamo stregato…»

Un minuto dopo, comunque, Neville fu in piena muta, e appena gli furono cadute le piume, riprese il suo aspetto di sempre. Si unì addirittura alle risate.

«Crostatine Canarine!» gridò Fred alla folla agitata. «Le abbiamo inventate io e George… sette zellini l’una, è un affare!»

Era quasi l’una del mattino quando finalmente Harry salì in dormitorio con Ron, Neville. Seamus e Dean. Prima di chiudere le tende del suo letto a baldacchino. Harry sistemò il modellino dell’Ungaro Spinato sul tavolo accanto al letto, e quello sbadigliò, si acciambellò e chiuse gli occhi. Davvero, pensò Harry tirando le tende, Hagrid aveva ragione, dopotutto… erano a posto, i draghi…

L’inizio di dicembre portò a Hogwarts vento e nevischio. Per quanto d’inverno il castello fosse sempre pieno di spifferi, Harry si rallegrava dei suoi fuochi e dei muri spessi tutte le volte che passava davanti alla nave di Durmstrang. che beccheggiava sul lago al vento forte, le vele nere gonfie contro il cielo oscuro. Probabilmente, rifletteva, anche la carrozza di Beauxbatons era piuttosto gelida. Hagrid si assicurava che i cavalli di Madame Maxime fossero sempre ben riforniti della loro bevanda preferita, whisky di malto; i vapori che si levavano dall’abbeveratoio nell’angolo del loro recinto bastavano a far girare la testa a tutta quanta la classe di Cura delle Creature Magiche. Cosa inutile se non dannosa, dal momento che si stavano ancora occupando degli orrendi Schiopodi e avevano bisogno di essere del tutto lucidi.

«Non so bene se vanno in letargo o no» disse Hagrid alla classe che rabbrividiva nell’orto delle zucche spazzato dal vento la lezione dopo. «Magari possiamo provare a vedere se ci va una dormitina… Mettiamoli in queste casse…»

Erano rimasti solo dieci Schiopodi: a quanto pareva, tra quelli non si era manifestata la tendenza ad ammazzarsi a vicenda. Al momento raggiungevano una lunghezza di due metri: la spessa corazza grigia, le potenti zampe brulicanti, i pungiglioni e i succhiatoi contribuivano a rendere gli Schiopodi le creature più repellenti che Harry avesse mai visto. La classe guardò scoraggiata le enonni casse che Hagrid aveva portato fuori, tutte foderate di cuscini e soffici coperte.

«Poi li portiamo dentro» disse Hagrid, «e ci mettiamo sopra il coperchio, e stiamo a vedere cos’è che succede».

Ma gli Schiopodi, si dedusse, non andavano in letargo, e non apprezzarono il fatto di venire costretti prima a entrare, poi a essere rinchiusi in casse imbottite di cuscini. Ben presto Hagrid si trovò a strillare: «Niente paura, insomma, niente paura!» mentre gli Schiopodi zampettavano furiosi nell’orto delle zucche, costellato dai resti bruciacchiati delle casse. Gran parte dei ragazzi — Malfoy, Tiger e Goyle per primi — si erano rifugiati nella capanna di Hagrid passando per la porta sul retro e vi si erano barricati; Harry, Ron e Hermione, invece, furono tra quelli che rimasero all’aperto a cercare di aiutare Hagrid. Insieme riuscirono a bloccare e legare nove Schiopodi, anche se a costo di numerosi tagli e scottature; alla fine ne rimase solo uno.

«Adesso non spaventatelo!» gridò Hagrid, mentre Ron e Harry usavano le bacchette per sparare getti di scintille ardenti contro lo Schiopodo, che avanzava minaccioso verso di loro, il pungiglione inarcato, vibrante, sopra la schiena. «Provate un po’ a farci scivolare la corda attorno al pungiglione, così non fa del male agli altri!»

«Sicuro, non sia mai!» urlò Ron arrabbiato mentre lui e Harry arretravano contro il muro della capanna di Hagrid, continuando a tenere a distanza lo Schiopodo con le scintille.

«Bene, bene, bene… questo si chiama divertirsi».

Rita Skeeter era appoggiata allo steccato che circondava il giardino di Hagrid, e guardava il caos lì dentro. Portava un pesante mantello rosso vivo con il collo di pelliccia viola, e la borsetta di coccodrillo a tracolla.

Hagrid si tuffò sullo Schiopodo che minacciava Harry e Ron e lo schiacciò a terra; dalla coda partì un getto di fuoco, che carbonizzò le piante di zucca lì intorno.

«Lei chi è?» chiese Hagrid a Rita Skeeter, stringendo in un cappio il pungiglione dello Schiopodo.

«Rita Skeeter, inviato della Gazzetta del Profeta» rispose Rita con un gran sorriso. I suoi denti d’oro luccicarono.

«Silente non aveva detto che lei non aveva più il permesso di girare dentro la scuola?» disse Hagrid, e si oscurò in viso mentre scendeva dalla groppa dello Schiopodo ora leggermente ammaccata e cominciava a spingerlo verso i suoi compagni.

Rita fece finta di niente.

«Come si chiamano queste affascinanti creature?» chiese con un sorriso ancor più ampio.

«Schiopodi Sparacoda» brontolò Hagrid.

«Davvero’?» esclamò Rita, che sembrava interessatissima. «Non ne ho mai sentito parlare… da dove vengono?»

Harry osservò un rossore preoccupante salire di sotto la barba incolta di Hagrid, e il suo cuore ebbe un tuffo. Dove li aveva presi, Hagrid, gli Schiopodi?

Hermione, che stava pensando la stessa cosa, disse in fretta: «Sono molto interessanti, vero? Vero, Harry?»

«Cosa? Oh, sì… ahia… interessanti» rispose Harry mentre lei gli pestava un piede.

«Ah, sei qui, Harry!» esclamò Rita Skeeter voltandosi. «Allora Cura delle Creature Magiche ti piace, eh? È una delle tue materie preferite?»

«Sì» rispose Harry risoluto. Hagrid gli rivolse un sorriso enorme.

«Splendido» commentò Rita. «Davvero splendido. Insegna da molto?» aggiunse, rivolta a Hagrid.

Harry notò che i suoi occhi passavano in rassegna Dean (che aveva un brutto taglio sulla guancia), Lavanda (che aveva i vestiti bruciacchiati), Seamus (che aveva parecchie dita scottate) e poi si posarono sulle finestre della capanna, dietro le quali si trovava gran parte della classe, i nasi schiacciati contro il vetro, aspettando il via libera.

«Questo è solo il secondo anno» rispose Hagrid.

«Splendido… Non le andrebbe di rilasciare un’intervista? Rendere note alcune delle sue esperienze con le Creature Magiche? Il Profeta ha una rubrica dedicata agli animali tutti i mercoledì, sono certa che lo sa. Potremmo parlare di questi — ehm — Schifoidi Spegnicoda».

«Schiopodi Sparacoda» la corresse Hagrid, entusiasta. «Ehm… sì, perché no?»

Harry aveva un brutto presentimento, ma non ci fu modo di comunicarlo a Hagrid senza che Rita Skeeter se ne accorgesse, così dovette rimanere lì impalato in silenzio mentre Hagrid e Rita si accordavano per incontrarsi ai Tre Manici di Scopa per una lunga intervista. Poi su al castello suonò la campana, il segnale della fine delle lezioni.

«Be’, arrivederci, Harry!» esclamò allegramente Rita Skeeter. «A venerdì sera, allora, Hagrid!»

«Non farà che distorcere tutto quello che le dirà» mormorò Harry sottovoce.

«Purché non li abbia importati illegalmente, quegli Schiopodi» disse Hermione sconfortata. Si scambiarono uno sguardo: era esattamente il genere di cosa che Hagrid avrebbe potuto fare.

«Hagrid si è ficcato in un mucchio di guai prima d’ora, e Silente non lo ha mai licenziato» rispose Ron in tono consolatorio. «Il peggio che può capitare è che Hagrid si debba liberare degli Schiopodi. Ooops… ho detto il peggio? Volevo dire il meglio».

Harry e Hermione risero, e andarono a pranzo un po’ più tranquilli.

Harry si godette appieno le due ore di Divinazione quel pomeriggio; erano ancora alle prese con mappe stellari e predizioni, ma ora che lui e Ron erano tornati amici, la cosa era di nuovo molto divertente. La professoressa Cooman, che era stata così soddisfatta di tutti e due quando avevano predetto la propria orrenda morte, ben presto reagì bruscamente alle loro risatine, che facevano da sottofondo alla sua spiegazione dei vari modi in cui Plutone poteva sconvolgere la vita quotidiana.

«Sarei indotta a credere» disse, in un sussurro mistico che non nascondeva la sua evidente irritazione, «che alcuni di noi» — e scoccò uno sguardo molto eloquente a Harry — «sarebbero un po’ meno frivoli se avessero visto ciò che ho visto io durante il mio esame della sfera la scorsa notte. Mentre ero là seduta, assorta nel mio ricamo, la necessità di consultare l’Occhio mi ha sopraffatta. Mi sono alzata, ho preso posto davanti a esso e ho scrutato nelle sue profondità cristalline… e cosa credete che abbia visto là dentro?»

«Un brutto vecchio pipistrello con gli occhiali enormi?» bisbigliò Ron a mezza voce.

Harry si sforzò intensamente di restare serio.

«La Morte, miei cari».

Sia Calì che Lavanda si portarono le mani alla bocca, terrificate.

«Sì» riprese la professoressa Cooman, e annuì con decisione, «viene, è sempre più vicina, volteggia sopra di noi come un avvoltoio, sempre più bassa… sempre più bassa sui castello…»

Fissò con insistenza Harry, che sbadigliò vistosamente.

«Metterebbe un po’ più paura se non l’avesse già fatto un’ottantina di volte» disse Harry, quando finalmente tornarono all’aria fresca delle scale fuori dall’aula della professoressa Cooman. «Ma se fossi caduto stecchito tutte le volte che me l’ha predetto, sarei un miracolo della scienza medica».

«Saresti una specie di fantasma superconcentrato» sghignazzò Ron, mentre incrociavano il Barone Sanguinario che avanzava nella direzione opposta, i grandi occhi sinistramente fissi. «Almeno non ci ha dato compiti. Spero che Hermione se ne becchi un bel po’ dal professor Vector, adoro non avere da studiare quando lei sgobba…»

Ma Hermione non venne a cena, e non era nemmeno in biblioteca più tardi, quando andarono a cercarla. La sola persona là dentro era Victor Krum. Ron gironzolò dietro gli scaffali per un po’, osservò Krum, discusse bisbigliando con Harry se era il caso di chiedergli l’autografo: ma poi si rese conto che sei o sette ragazze erano appostate nel corridoio lì dietro, intente a discutere la stessa identica cosa, e il suo entusiasmo svanì.

«Chissà dov’è andata» disse Ron, mentre lui e Harry tornavano alla Torre di Grifondoro.

«Non so… Guazzabuglio».

Ma la Signora Grassa aveva appena cominciato a scattare in avanti quando un rumore di passi affrettati alle loro spalle annunciò l’arrivo di Hermione.

«Harry!» esclamò ansante, fermandosi di colpo dietro di lui (la Signora Grassa la guardò dall’alto inarcando le sopracciglia). «Harry, devi venire — devi venire, è successa una cosa incredibile… per favore…»

Afferrò Harry per un braccio e cercò di trascinarlo indietro nel corridoio.

«Che cosa succede?» le chiese Harry.

«Te lo farò vedere quando saremo là… oh, andiamo, presto…»

Harry cercò con gli occhi Ron, che rispose al suo sguardo, incuriosito.

«Ok» disse Harry, seguendo Hermione lungo il corridoio, mentre Ron gli teneva dietro.

«Oh, non fate caso a me!» gridò loro la Signora Grassa, seccata. «Non scusatevi per avermi disturbato! Devo restare qui appesa a occhi aperti finché non tornate, vero?»

«Sì, grazie» gridò Ron al di sopra della propria spalla.

«Hermione, dove stiamo andando?» chiese Harry dopo che lei li ebbe trascinati giù per sei piani ed ebbe imboccato la scalinata di marmo che portava alla Sala d’Ingresso.

«Vedrete, vedrete fra un minuto!» disse Hermione eccitata.

Ai piedi delle scale voltò a sinistra e corse verso la porta che Cedric Diggory aveva varcato la notte dopo che il Calice di Fuoco aveva sputato il suo nome e quello di Harry. Harry non l’aveva mai oltrepassata prima. Lui e Ron seguirono Hermione giù per una rampa di scalini di pietra, ma invece di finire in un cupo passaggio sotterraneo come quello che portava alla cantina di Piton, si ritrovarono in un ampio corridoio di pietra, ben illuminato da torce, e decorato da allegri quadri che raffiguravano soprattutto cibo.

«Oh, aspetta un po’…» disse Harry lentamente a metà del corridoio. «Aspetta un attimo, Hermione…»

«Cosa?» Lei si voltò a guardarlo.

«So di che cosa si tratta» disse Harry.

Diede una gomitata a Ron e indicò il quadro alle spalle di Hermione. Ritraeva una gigantesca ciotola d’argento piena di frutta.

«Hermione!» esclamò Ron, cominciando a capire. «Stai cercando di incastrarci in quella faccenda di CREPA!»

«No, no, non è così!» disse lei in fretta. «Non è CREPA, Ron…»

«Hai cambiato il nome?» disse Ron guardandola torvo. «Adesso che cosa siamo, il Fronte di Liberazione degli Elfi Domestici? Non ho intenzione di piombare in quella cucina per cercare di farli smettere di lavorare, non lo farò…»

«Non ti sto chiedendo questo!» ribatté Hermione con impazienza. «Sono appena scesa a parlare con loro, e ho scoperto… oh, andiamo, Harry, voglio che tu veda!»

Lo afferrò di nuovo per il braccio, lo trascinò davanti al quadro della ciotola gigante, tese l’indice e fece il solletico alla grossa pera verde, che prese a contorcersi, ridacchiando, e all’improvviso si trasformò in una grossa maniglia verde. Hermione la afferrò, spalancò la porta e spinse con decisione Harry all’interno.

Harry ebbe appena il tempo di scorgere un’enorme stanza dal soffitto alto, con cumuli di pentole e padelle di rame lucente accatastate lungo le pareti di pietra, e un enorme focolare di mattoni all’altro capo, quando qualcosa di piccolo sfrecciò verso di lui dal centro della stanza, squittendo: «Harry Potter, signore! Harry Potter!»

Un istante dopo l’elfo urlatore gli piombò dritto contro lo stomaco, abbracciandolo così forte che credette che gli si spezzassero le costole.

«D-Dobby?» disse, boccheggiando.

«Sì, è proprio Dobby, signore, sì!» disse la vocina acuta da un punto imprecisato nei dintorni del suo ombelico. «Dobby sperava tanto di vedere Harry Potter, signore, e Harry Potter è venuto a trovarlo, signore!»

Dobby lo lasciò andare e fece qualche passo indietro, sorridendogli da sotto in su, gli enormi occhi verdi a forma di palline da tennis traboccanti di lacrime di felicità. Aveva quasi lo stesso aspetto che ricordava Harry: naso a matita, orecchie da pipistrello, mani e piedi lunghi — tutto tranne gli abiti, che erano molto diversi. Quando Dobby lavorava per i Malfoy, indossava sempre la stessa vecchia federa sudicia. Ora, invece, portava il più stravagante assortimento di vestiti che Harry avesse mai visto; era ancora peggio dei maghi camuffati da Babbani alla Coppa del Mondo. In testa aveva un copriteiera con attaccato un bel numero di spille vistose; una cravatta a disegni di ferri di cavallo sul petto nudo, un paio di quelli che sembravano pantaloncini da calcio taglia bambino, e calzini spaiati. Uno era quello che Harry aveva usato per far sì che Lucius Malfoy liberasse Dobby; l’altro era a strisce rosa e arancioni.

«Dobby, che cosa ci fai qui?» disse Harry stupefatto.

«Dobby è venuto a lavorare a Hogwarts, signore!» strillò Dobby eccitato. «Il professor Silente ha trovato un lavoro a Dobby e a Winky, signore!»

«Winky?» disse Harry. «Anche lei è qui?»

«Si, signore, sì!» esclamò Dobby. Afferrò la mano di Harry e lo trascinò dentro le cucine, passando tra quattro lunghi tavoli di legno disposti esattamente sotto ognuno dei quattro tavoli delle Case che si trovavano di sopra, nella Sala Grande. Al momento erano sgombri, visto che la cena era terminata, ma immaginò che un’ora prima fossero stati coperti di piatti che venivano spediti su, attraverso il soffitto, ai loro corrispondenti.

Almeno un centinaio di piccoli elfi gremivano la cucina: sorridevano, si inchinavano e facevano riverenze mentre Dobby guidava Harry. Portavano tutti la stessa uniforme: uno strofinaccio con ricamato il blasone di Hogwarts, drappeggiato a mo’ di toga.

Dobby si fermò davanti al focolare di mattoni.

«Winky, signore!» disse. Winky era seduta su uno sgabello vicino al fuoco. A differenza di Dobby, evidentemente non era andata in cerca di vestiti particolari. Indossava un grazioso completino e un cappellino blu coordinato, con dei buchi per far posto alle sue grandi orecchie. Comunque, mentre ciascun pezzo della stravagante collezione di abiti di Dobby era così pulito e ben tenuto che sembrava nuovo di zecca, era chiaro che Winky non si prendeva affatto cura dei suoi vestiti. C’erano macchie di minestra sulla camicetta e una bruciatura sulla gonna.

«Ciao, Winky» la salutò Harry.

Le labbra di Winky tremarono. Poi l’elfa scoppiò in lacrime, che zampillarono dai suoi grandi occhi marroni e le bagnarono gli abiti, proprio come alla Coppa del Mondo di Quidditch.

«Oh, santo cielo» disse Hermione. Lei e Ron avevano seguito Harry e Dobby all’altro capo della cucina. «Winky, non piangere, ti prego, non…»

Ma Winky gemette più forte che mai. Dobby sorrise a Harry.

«Harry Potter gradisce una tazza di tè?» squittì ad alta voce, sovrastando i singhiozzi di Winky.

«Ehm… si, va bene» disse Harry.

In un attimo, sei elfi domestici gli si avvicinarono trotterellando con un grosso vassoio d’argento carico di teiere, tazze per Harry, Ron e Hermione, un bricco del latte e un bel piattone di biscotti.

«Il servizio è ottimo!» commentò Harry impressionato. Hermione lo guardò cupa, ma tutti gli elfi sembravano felicissimi; fecero un profondo inchino e arretrarono.

«Da quanto tempo sei qui, Dobby?» gli chiese Harry, mentre Dobby serviva il tè.

«Solo da una settimana, Harry Potter, signore!» disse Dobby allegramente. «Dobby è venuto a trovare il professor Silente, signore. Signore, è molto difficile per un elfo domestico che è stato licenziato trovare un nuovo lavoro, signore, davvero molto difficile…»

A queste parole, Winky gemette ancora più forte, mentre il naso a pomodoro schiacciato le colava abbondantemente, ma lei non faceva niente per arginare il flusso.

«Dobby ha girato il paese per due anni interi, signore, cercando di trovare lavoro» strillò Dobby. «Ma Dobby non ha trovato lavoro, signore, perché Dobby vuole essere pagato, adesso!»

A queste parole gli elfi domestici sparsi per la cucina, che avevano guardato e ascoltato con interesse, distolsero tutti lo sguardo, come se Dobby avesse detto qualcosa di volgare e imbarazzante.

Hermione invece disse: «Meglio per te, Dobby!»

«Grazie, signorina!» disse Dobby rivolgendole un sorriso a trentadue denti. «Ma gran parte dei maghi non vogliono un elfo domestico che vuole la paga, signorina. “Gli elfi domestici non fanno così” dicono, e hanno chiuso la porta in faccia a Dobby! A Dobby piace lavorare, ma vuole mettersi dei vestiti e vuole essere pagato, Harry Potter… a Dobby piace essere libero!»

Gli elfi domestici di Hogwarts avevano cominciato a tenersi a distanza da Dobby, come se avesse una malattia contagiosa. Winky rimase dov’era, anche se il volume del suo pianto si alzò decisamente.

«E poi, Harry Potter, Dobby va a trovare Winky, e scopre che anche Winky è stata liberata, signore!» disse Dobby incantato.

A questo punto, Winky si gettò dallo sgabello su cui era seduta e piombò lunga distesa a faccia in giù sui lastroni di pietra, picchiando i piccoli pugni per terra e ululando di dolore. Hermione si chinò accanto a lei e cercò di consolarla, ma niente di ciò che disse riuscì a fare la minima differenza.

Dobby riprese il suo racconto, urlando per sovrastare gli strilli di Winky. «E poi a Dobby è venuta l’idea, Harry Potter, signore! “Perché Dobby e Winky non trovano lavoro insieme?” dice Dobby. “Dove c’è abbastanza lavoro per due elfi domestici?” dice Winky. E Dobby pensa, e poi gli viene in mente, signore! A Hogwarts! Così Dobby e Winky sono venuti a trovare il professor Silente, signore, e il professor Silente ci ha presi!»

Dobby fece un gran sorriso, e lacrime di felicità gli inumidirono di nuovo gli occhi.

«E il professor Silente dice che pagherà Dobby, signore, se Dobby vuole essere pagato! E così Dobby è un elfo libero, signore, e Dobby guadagna un galeone alla settimana e ha un giorno libero al mese!»

«Non è molto!» gridò Hermione indignata dal pavimento, sovrastando gli urli e il picchiar di pugni di Winky.

«Il professor Silente ha offerto a Dobby dieci galeoni la settimana, e i finesettimana di riposo» disse Dobby, con un improvviso piccolo brivido, come se la prospettiva di tanti agi e ricchezze fosse spaventosa, «ma Dobby gli ha fatto abbassare il prezzo, signorina… A Dobby piace la libertà, signorina, ma lui non pretende troppo, signorina, preferisce il lavoro».

«E tu, Winky? Quanto ti paga il professor Silente?» chiese Hermione gentilmente.

Se aveva pensato che questo avrebbe rincuorato Winky, si sbagliava di grosso. Winky in effetti smise di piangere, ma quando si alzò a sedere guardò torva Hermione con gli enormi occhi marroni, il viso completamente bagnato e d’un tratto furibondo.

«Winky è un’elfa caduta in disgrazia, ma Winky non si fa ancora pagare!» strillò. «Winky non è caduta così in basso! Winky si vergogna di essere stata liberata, come è giusto che sia!»

«Si vergogna?» ripeté Hermione senza capire. «Ma… Winky, andiamo! È il signor Crouch che dovrebbe vergognarsi, non tu! Tu non hai fatto niente di sbagliato, lui è stato davvero orribile con te…»

Ma a queste parole, Winky si picchiò le mani sui buchi nel cappello, schiacciandosi le orecchie in modo da non riuscire a sentire una parola, e strillò: «Tu non deve insultare il mio padrone, signorina! Tu non insulta signor Crouch! Signor Crouch è un bravo mago, signorina! Signor Crouch fa bene a licenziare cattiva Winky!»

«Winky ha qualche difficoltà ad adattarsi, Harry Potter» squittì Dobby in tono confidenziale. «Winky dimentica che non è più legata al signor Crouch; adesso può dire quello che pensa, ma non vuole farlo».

«Gli elfi domestici non possono dire quello che pensano dei loro padroni, allora?» chiese Harry.

«Oh no, signore, no» disse Dobby, improvvisamente serio. «Fa parte della schiavitù dell’elfo domestico, signore. Noi tiene i loro segreti e sta zitti, signore, noi tiene alto l’onore della famiglia, e non parla mai male di loro… anche se il professor Silente ha detto a Dobby che non è severo su questa cosa. Il professor Silente ha detto che noi è liberi di… di…» parve improvvisamente nervoso, e fece cenno a Harry di avvicinarsi. Harry si curvò in avanti e Dobby sussurrò: «Ha detto che noi è liberi di chiamarlo… vecchio rimbambito se ci va, signore!»

Scoppiò in una risatina spaventata. «Ma Dobby non vuole, Harry Potter» continuò, tornando a parlare normalmente, e scuotendo la testa tanto che le orecchie sbatacchiarono di qua e di là. «A Dobby piace tanto il professor Silente, signore, ed è fiero di tenere i suoi segreti per sé».

«Ma adesso puoi dire quello che vuoi dei Malfoy?» gli chiese Harry sorridendo.

Uno sguardo vagamente terrorizzato invase gli occhi enormi di Dobby.

«Dobby… Dobby potrebbe» disse in tono dubbioso. Raddrizzò le piccole spalle. «Dobby potrebbe dire a Harry Potter che i suoi vecchi padroni erano… cattivi Maghi Oscuri

Dobby per un istante fu scosso da un tremito, sconvolto dalla sua stessa audacia: poi corse al tavolo più vicino e cominciò a picchiarci la testa contro, molto forte, e a squittire «Dobby cattivo! Dobby cattivo!»

Harry afferrò Dobby per il nodo della cravatta e lo allontanò dal tavolo.

«Grazie, Harry Potter, grazie» disse Dobby senza fiato, massaggiandosi la testa.

«Hai solo bisogno di un po’ di allenamento» disse Harry.

«Allenamento!» squittì Winky furiosa. «Tu dovrebbe vergognarti, Dobby, di parlare così dei tuoi padroni!»

«Loro non è più i miei padroni, Winky!» esclamò Dobby in tono di sfida. «A Dobby non importa più di quello che loro pensa!»

«Oh, tu è un elfo cattivo, Dobby!» gemette Winky mentre le lacrime riprendevano a scorrerle sul viso. «Il mio povero signor Crouch, che cosa farà senza Winky? Ha bisogno di me, ha bisogno del mio aiuto! Io ha curato i Crouch per tutta la vita, e mia madre l’ha fatto prima di me, e la mia nonna prima di lei… oh, che cosa direbbe loro due se sapesse che Winky è stata liberata? Oh, che vergogna, che vergogna!» Seppellì di nuovo il viso nella gonna e ululò.

«Winky» intervenne Hermione con fermezza, «sono sicura che il signor Crouch se la cava benissimo senza di te. L’abbiamo incontrato, sai…»

«I signori ha visto il mio padrone?» esclamò Winky senza fiato, alzando la faccia striata di lacrime dalla gonna e fissando Hermione. «I signori l’ha visto a Hogwarts?»

«Sì» rispose Hermione. «Lui e il signor Bagman sono giudici al Torneo Tremaghi».

«Viene anche il signor Bagman?» squittì Winky, e con gran sorpresa di Harry (e anche di Ron e di Hermione, a giudicare dalle loro espressioni), parve di nuovo arrabbiata. «Il signor Bagman è un mago cattivo! Un mago tanto cattivo! Al mio padrone non piace, oh no, neanche un po’!»

«Bagman… cattivo?» chiese Harry.

«Oh sì» rispose Winky, e annuì furiosamente. «Il mio padrone dice delle cose a Winky! Ma Winky non le ripete… Winky… Winky custodisce i segreti del suo padrone…»

Si sciolse di nuovo in lacrime; la sentirono singhiozzare nella gonna: «Povero padrone, povero padrone, niente più Winky che lo aiuta!»

Non riuscirono a cavarle un’altra parola sensata. La lasciarono al suo pianto, e finirono di bere il tè mentre Dobby chiacchierava allegramente della sua vita di elfo liberato e dei progetti che aveva per i risparmi.

«Dobby si compra presto un golfino, Harry Potter!» disse tutto felice, indicando il petto nudo.

«Sai che cosa ti dico, Dobby?» disse Ron, che sembrava aver preso in gran simpatia l’elfo. «Ti regalerò quello che la mia mamma mi farà per Natale. Me ne regala sempre uno. Ti piace il marrone, vero?»

Dobby ne fu felicissimo.

«Forse dovremo rimpicciolirlo un po’ per fartelo andar bene» gli disse Ron, «ma starà a meraviglia con il tuo copriteiera».

Mentre lasciavano la cucina, molti degli elfi tutti intorno li assediarono, offrendo spuntini da portare di sopra. Hermione rifiutò, osservando con sguardo addolorato gli elfi che continuavano a fare inchini e riverenze, ma Harry e Ron si riempirono le tasche di tortine e pasticcini.

«Grazie mille!» disse Harry agli elfi, tutti radunati attorno alla porta per dar loro la buonanotte. «Ci vediamo, Dobby!»

«Harry Potter… Dobby può venire a trovarti qualche volta, signore?» chiese Dobby esitante.

«Ma certo che puoi» gli rispose Harry, e Dobby sorrise radioso.

«La sapete una cosa?» disse Ron quando lui, Hermione e Harry si furono lasciati alle spalle le cucine e presero a salire i gradini che portavano all’Ingresso. «Per tutti questi anni ho sempre ammirato tanto Fred e George che rubavano cibo dalle cucine… be’, non si può dire che sia difficile, vero? Non vedono l’ora di dartelo!»

«È la cosa migliore che sia potuta capitare a quegli elfi» disse Hermione, precedendo gli altri su per la scalinata di marmo. «Il fatto che Dobby sia venuto a lavorare qui, intendo. Gli altri elfi vedranno com’è felice, ora che è libero, e piano piano capiranno che è proprio quello che desiderano anche loro!»

«Speriamo che non facciano troppo caso a Winky» disse Harry.

«Oh, si riprenderà» disse Hermione, anche se sembrava un po’ perplessa. «Quando lo shock sarà passato, e lei si sarà abituata a Hogwarts, capirà quanto sta meglio senza quel Crouch».

«Pare che lo adori» disse Ron masticando una crostatina alla crema.

«Non ha molta stima per Bagman, però, vero?» disse Harry. «Chissà come ne parla Crouch a casa».

«Probabilmente dice che non è un granché come Capufficio» disse Hermione, «e diciamocelo… ha le sue ragioni, non è così?»

«Comunque preferirei lavorare per lui che per il vecchio Crouch» disse Ron. «Almeno Bagman ha il senso dell’umorismo».

«Se ti sentisse Percy» disse Hermione con un sorrisetto.

«Sì, be’, Percy non vorrebbe lavorare con nessuno che abbia senso dell’umorismo, no?» esclamò Ron, addentando un cremino al cioccolato. «Percy non riconoscerebbe una battuta di spirito nemmeno se ballasse nuda davanti a lui con il copriteiera di Dobby in testa».

CAPITOLO 22

LA PROVA INASPETTATA

«Potter! Weasley! Volete stare attenti!» La voce irritata della professoressa McGranitt sibilò come una frusta attraverso l’aula di Trasfigurazione il giovedì, e Harry e Ron sobbalzarono e la guardarono.

Era la fine della lezione; avevano concluso il loro lavoro; i merli indiani che avevano trasformato in porcellini d’India erano stati rinchiusi in una grossa gabbia sulla scrivania della professoressa McGranitt (il porcellino di Neville aveva ancora le piume); avevano ricopiato i compiti dalla lavagna (’Descrivete con degli esempi i modi in cui gli Incantesimi Trasformanti devono essere adattati quando si formulano Scambi Intraspecie’). La campana sarebbe suonata a momenti, e Harry e Ron, che stavano tirando di scherma in fondo alla classe con due delle bacchette finte di George e Fred, alzarono lo sguardo: Ron brandiva un pappagallo di latta, e Harry un merluzzo di gomma.

«Ora che Potter e Weasley sono così gentili da comportarsi come si conviene alla loro età» disse la professoressa McGranitt scoccando ai due uno sguardo furente mentre la testa del merluzzo di Harry si afflosciava e cadeva silenziosa a terra — il becco del pappagallo di Ron si era staccato qualche istante prima — «devo dire qualcosa a tutti quanti.

«Si avvicina il Ballo del Ceppo: un evento tradizionale nell’ambito del Torneo Tremaghi e un’opportunità per noi di socializzare con i nostri ospiti stranieri. Ora, il ballo sarà aperto solo a quelli dal quarto anno in su — anche se potete invitare una studentessa più giovane, se volete…»

Lavanda Brown fece una risatina acuta. Calì Patil le diede una gomitata forte nelle costole, il viso contratto mentre cercava di non scoppiare a ridere a sua volta. Entrambe si voltarono verso Harry. La professoressa McGranitt le ignorò, cosa che Harry giudicò profondamente ingiusta, dal momento che aveva appena rimproverato lui e Ron.

«È di rigore l’abito da cerimonia» riprese la professoressa McGranitt. «Il ballo comincerà alle otto della sera di Natale, e finirà a mezzanotte, nella Sala Grande. Ora…»

La professoressa McGranitt scrutò la classe con aria eloquente.

«Naturalmente in occasione del Ballo del Ceppo tutte noi possiamo — ehm — sciogliere i capelli» disse in tono di disapprovazione.

Lavanda rise più forte, la mano premuta sulla bocca per soffocare il rumore. Harry questa volta capì che cosa c’era da ridere: la professoressa McGranitt, che portava i capelli in una stretta crocchia, aveva l’aria di non averli mai lasciati giù.

«Ma questo NON significa» continuò la professoressa McGranitt «che saranno ammesse eccezioni alle regole di comportamento richieste agli studenti di Hogwarts. Sarò profondamente rammaricata se uno studente di Grifondoro metterà in imbarazzo la scuola in qualunque maniera».

Suonò la campana, e ci fu la solita confusione di sedie smosse e preparativi vari.

La professoressa McGranitt disse, sovrastando il rumore: «Potter… devo parlarti, se non ti dispiace».

Temendo che ciò avesse qualcosa a che fare con il merluzzo di gomma senza testa, Harry si avviò depresso verso la cattedra.

La professoressa McGranitt attese che il resto della classe se ne fosse andato e poi disse: «Potter, i campioni e i loro partner…»

«Quali partner?» esclamò Harry.

La professoressa McGranitt lo guardò sospettosa, come se lui avesse cercato di fare lo spiritoso.

«I partner per il Ballo del Ceppo, Potter» disse gelida. «I vostri partner per le danze».

Le viscere di Harry si contorsero. «Partner per le danze?» Si sentì arrossire. «Io non ballo» aggiunse in fretta.

«Oh sì, che balli» disse la professoressa McGranitt irritata. «E quello che ti sto dicendo. Per tradizione, i campioni e i loro partner aprono le danze».

Harry ebbe un’improvvisa visione di se stesso in frac e tuba, accompagnato da una ragazza addobbata di pizzi e volant come zia Petunia quando andava alle feste di lavoro di zio Vernon.

«Io non ballo» ripeté.

«Fa parte della tradizione» disse la professoressa McGranitt con fermezza. «Tu sei un campione di Hogwarts, e farai quello che ci si aspetta da te come rappresentante della scuola. Quindi fai in modo di procurarti una dama, Potter».

«Ma… io non…»

«Mi hai sentito, Potter» disse la professoressa McGranitt in tono definitivo.

* * *

Una settimana prima, Harry avrebbe dichiarato che trovare una dama per il ballo era una bazzecola rispetto all’idea di sfidare un Ungaro Spinato. Ma ora che aveva compiuto quest’ultima impresa, e doveva affrontare la prospettiva di invitare una ragazza al ballo, sentì che avrebbe preferito fare un altro giro con lo Spinato.

Harry non aveva mai visto tanta gente decidere di rimanere a Hogwarts per Natale; lui lo faceva sempre, naturalmente, perché l’alternativa era tornare a Privet Drive, e fino ad allora aveva sempre fatto parte della minoranza che restava. Quell’anno, invece, sembrava che tutti i ragazzi dal quarto anno in su avessero deciso di rimanere, e a Harry pareva che fossero tutti ossessionati dal ballo imminente — almeno le ragazze lo erano, ed era straordinario quante ragazze all’improvviso c’erano a Hogwarts; non l’aveva quasi notato prima. Ragazze che bisbigliavano nei corridoi, ragazze che scoppiavano a ridere al passaggio dei maschi, ragazze eccitate che si scambiavano mucchi di bigliettini su quello che avrebbero indossato la notte di Natale…

«Perché devono muoversi in branco?» chiese Harry a Ron, mentre una dozzina di ragazze passavano loro davanti ridendo sotto i baffi e fissando Harry. «Come si fa a beccarne una da sola per invitarla?»

«L’acchiappi al lazo?» suggerì Ron. «Tu sai già con chi vuoi provarci?»

Harry non rispose. Sapeva perfettamente chi gli sarebbe piaciuto invitare, ma trovare il coraggio era un’altra cosa… Cho era un anno più grande di lui; era molto carina, era un’ottima giocatrice di Quidditch, ed era anche molto popolare. Ron parve capire che cosa stava succedendo nella testa di Harry.

«Senti, andrà tutto liscio. Sei uno dei campioni. Hai appena sconfitto un Ungaro Spinato. Scommetto che faranno la fila per venire con te».

In nome della loro amicizia recentemente ricucita, Ron aveva parlato con appena un velo di amarezza nella voce. E in più, con gran meraviglia di Harry, si scoprì che aveva ragione.

Una ragazza ricciuta del terzo anno di Tassorosso con cui Harry non aveva mai parlato gli chiese di andare al ballo con lei proprio il giorno dopo. Harry fu colto così alla sprovvista che disse «no» prima ancora di aver preso in considerazione la possibilità. La ragazza si allontanò con aria ferita, e Harry dovette sopportare le battute di Dean, Seamus e Ron per tutta l’ora di Storia della Magia. Il giorno dopo, altre due ragazze gli chiesero la stessa cosa, una del secondo anno e (con suo profondo terrore) una del quinto che aveva l’aria di poterlo mandare ko se avesse rifiutato.

«Era piuttosto carina» disse Ron sincero, quando ebbe smesso di ridere.

«Era trenta centimetri più alta di me» ribatté Harry, ancora sgomento. «Pensa che figura avrei fatto a cercare di ballare con lei».

Le parole di Hermione a proposito di Krum continuavano a tornargli in mente: «Lo adorano solo perché è famoso!» E infatti Harry dubitava che le ragazze che gli avevano chiesto di accompagnarle avrebbero voluto andare al ballo con lui se non fosse stato un campione della scuola. Però, se fosse stata Cho a invitarlo, non gliene sarebbe importato niente del perché lo faceva, purché lo facesse…

Nel complesso, Harry dovette ammettere che anche con l’imbarazzante prospettiva di dover aprire il ballo, la vita era decisamente migliorata dopo la prima prova. Nei corridoi non era più il bersaglio di tante battute sarcastiche, e sospettava che la cosa avesse parecchio a che fare con Cedric: doveva aver detto ai Tassorosso di lasciare in pace Harry, in cambio della soffiata sui draghi. Circolavano anche meno spille TIFA PER CEDRIC DIGGORY. Draco Malfoy, naturalmente, citava ancora l’articolo di Rita Skeeter tutte le volte che se ne presentava l’occasione, ma suscitava sempre meno risate. E ad aumentare il senso di benessere di Harry, sulla Gazzetta del Profeta non erano apparse pagine su Hagrid.

«Non sembrava che ci interessassero tanto le Creature Magiche, a dirti la verità» disse Hagrid, quando Harry, Ron e Hermione gli chiesero com’era andata l’intervista con Rita Skeeter durante l’ultima lezione di Cura delle Creature Magiche del trimestre. Con loro gran sollievo, Hagrid aveva rinunciato a ogni contatto diretto con gli Schiopodi, e quel giorno erano al riparo dietro la sua capanna, seduti a un tavolo a cavalietti a preparare una nuova selezione di cibi coi quali tentare gli Schiopodi.

«Voleva solo che ci parlavo di te, Harry» continuò Hagrid a voce più bassa. «Be’, io ci dico che siamo amici da quando ti ero venuto a prendere dai Dursley. “Non ha mai dovuto rimproverarlo in quattro anni?” mi fa. “Non le ha mai dato fastidio a lezione?” Io ci dico di no, e lei non sembra per niente contenta. Mi sa che preferiva se ci dicevo che eri terribile, Harry».

«Ma certo» disse Harry, gettando brani di fegato di drago in una grossa ciotola di metallo e impugnando il coltello per tagliarne degli altri. «Non può continuare con la storia del piccolo eroe tragico, alla lunga è noioso».

«Vuole una nuova prospettiva, Hagrid» disse Ron saggiamente, sgusciando uova di salamandra. «Dovevi dire che Harry è un delinquente pazzo!»

«Ma non è vero!» esclamò Hagrid, sinceramente colpito.

«Doveva intervistare Piton» disse Harry con una smorfia. «Lui mi cuocerebbe a puntino. Potter passa il limite da quando ha messo piede in questa scuola…»

«Ha detto così, eh?» disse Hagrid, mentre Ron e Hermione ridevano. «Be’, magari hai mandato al diavolo qualche regoletta, Harry, ma sei un tipo a posto».

«Grazie, Hagrid» disse Harry, con un gran sorriso.

«Ci sarai anche tu a quella storia del ballo di Natale, Hagrid?» gli chiese Ron.

«Pensavo di venire a darci un’occhiata, sì» rispose Hagrid burbero. «Dev’essere bello, mi sa. Apri le danze, vero, Harry? Chi è che hai invitato?»

«Ancora nessuno» rispose Harry, e si accorse di arrossire. Hagrid non insistette.

L’ultima settimana del trimestre divenne sempre più turbolenta. Dappertutto correvano voci sul Ballo del Ceppo, anche se Harry non credeva alla metà di esse: per esempio, si diceva che Silente avesse acquistato ottocento barili di idromele aromatico da Madama Rosmerta. Pareva certo, invece, che avesse ingaggiato le Sorelle Stravagarie. Harry non sapeva esattamente chi o che cosa fossero le Sorelle Stravagarie, non avendo mai avuto la possibilità di ascoltare una radio da maghi, ma dalla folle eccitazione di quelli che erano cresciuti con le frequenze di RSN (Radio Strega Network) ne dedusse che si trattava di un gruppo musicale molto famoso.

Alcuni dei professori rinunciarono a insegnar loro granché quando le loro menti erano cosi evidentemente altrove; il minuscolo professor Vitious li lasciò giocare durante la sua lezione del mercoledì, e lui stesso rimase a lungo a parlare con Harry del perfetto Incantesimo di Appello che aveva usato nella prima prova del Torneo Tremaghi. Altri insegnanti non furono così generosi. Nulla avrebbe mai distolto il professor Rüf, per esempio, dall’arrancare tra i suoi appunti sulle rivolte dei goblin: visto che Rüf non aveva permesso nemmeno alla propria morte di impedirgli di continuare a insegnare, sospettavano che una cosetta come il Natale non lo avrebbe dissuaso. Era incredibile come riuscisse a far sembrare le più turpi e sanguinarie rivolte dei goblin noiose come la relazione di Percy sui fondi di calderone. Anche i professori McGranitt e Moody li fecero lavorare fino all’ultimo, e Piton, naturalmente, li avrebbe lasciati giocare in classe tanto quanto avrebbe nominato Harry suo erede universale. Fissandoli con aria cattiva, li informò che li avrebbe messi alla prova sugli antidoti ai veleni nel corso dell’ultima lezione del trimestre.

«È proprio perfido» disse Ron amaramente quella sera nella sala comune di Grifondoro. «Assegnarci un test l’ultimo giorno. Rovinare l’ultimo pezzetto di trimestre con un bel mucchio di ripasso».

«Mmm… non è che proprio tu ti stia ammazzando di lavoro, vero?» osservò Hermione, guardandolo da sopra gli appunti di Pozioni. Ron era indaffarato a costruire un castello di carte prese dal suo MazzoBum, molto più interessanti delle carte Babbane, perché c’era la possibilità che tutto quanto saltasse in aria da un momento all’altro.

«È Natale, Hermione» disse Harry pigramente: stava rileggendo per la decima volta I Magnifici Sette sprofondato in una poltrona vicino al fuoco.

Hermione guardò severa anche lui. «Credevo che facessi qualcosa di costruttivo, Harry, anche se non vuoi imparare gli antidoti!»

«Tipo?» disse Harry, mentre osservava Joey Jenkins dei Cannoni sparare un Bolide verso un Cacciatore dei Pipistrelli di Ballycastle.

«Quell’uovo!» sibilò Hermione.

«Dai, Hermione, ho tempo fino al 24 febbraio» disse Harry.

Aveva rinchiuso l’uovo d’oro nel suo baule, di sopra, e non l’aveva aperto dai festeggiamenti dopo la prima prova. Mancavano ancora due mesi e mezzo prima di dover sapere che cosa significava quell’ululato stridente, dopotutto.

«Ma potresti metterci settimane per capirlo!» esclamò Hermione. «Passerai per un vero idiota se tutti gli altri sapranno che cos’è la seconda prova e tu no!»

«Lascialo in pace, Hermione, se l’è meritato un po’ di riposo» disse Ron, e depose le ultime due carte in cima al castello, che esplose in grande stile, bruciacchiandogli le sopracciglia.

«Sei carino, Ron… s’intonerà con il tuo abito da sera».

Erano Fred e George. Sedettero al tavolo con Hermione e Ron mentre quest’ultimo si tastava la faccia per valutare i danni.

«Ron, ci presti Leo?» chiese George.

«No, è fuori a consegnare una lettera» rispose Ron. «Perché?»

«Perché George vuole invitarlo al ballo» disse Fred sarcastico.

«Perché vogliamo spedire una lettera, razza di scemo» disse George.

«Si può sapere a chi è che continuate a scrivere, voi due, eh?» disse Ron.

«Smettila di ficcare il naso nelle cose che non ti riguardano, Ron, o ti brucerò anche quello» disse Fred, agitando la mano con fare minaccioso. «Allora… avete già tutti una dama o un cavaliere per il ballo?»

«No» rispose Ron.

«Be’, sarà meglio che ti sbrighi, ragazzo, o quelle carine saranno tutte occupate» disse Fred.

«E tu con chi ci vai?» chiese Ron.

«Con Angelina» rispose Fred immediatamente, senza alcuna traccia di imbarazzo.

«Cosa?» disse Ron, sorpreso. «L’hai già invitata?»

«Giusto» disse Fred. Si voltò e gridò attraverso la sala comune: «Ehi! Angelina!»

Angelina, che stava chiacchierando con Alicia Spinnet vicino al fuoco, si voltò a guardarlo.

«Cosa c’è?» gridò in risposta.

«Vuoi venire al ballo con me?»

Angelina scoccò a Fred uno sguardo di apprezzamento.

«Sì, ok» rispose, poi tornò a rivolgersi ad Alicia e riprese a chiacchierare con un mezzo sorriso stampato in faccia.

«Ecco fatto» disse Fred a Harry e Ron. «Semplicissimo». Si alzò sbadigliando: «Allora sarà meglio che usiamo un gufo della scuola, George, andiamo…»

Uscirono. Ron smise di tastarsi le sopracciglia e guardò Harry attraverso le rovine fumanti del suo castello di carte.

«In effetti dovremmo darci da fare, sai… invitare qualcuno. Ha ragione. Non vogliamo certo finire con un paio di troll».

Hermione farfugliò indignata. «Un paio di… come hai detto?»

«Be’… hai capito» disse Ron alzando le spalle. «Preferirei andarci da solo che con… con Eloise Midgen, diciamo».

«La sua acne è migliorata moltissimo ultimamente… ed è molto simpatica!»

«Ha il naso storto» osservò Ron.

«Oh, capisco» disse Hermione incollerita. «Quindi in pratica inviterai la ragazza più carina che sia disposta ad accettarti, anche se è un tipo spaventoso?»

«Ehm… sì, è più o meno così» rispose Ron.

«Vado a dormire» scattò Hermione, e filò verso la scala delle ragazze senza aggiungere un’altra parola.

* * *

Il corpo insegnante di Hogwarts, nello sforzo continuo di impressionare i visitatori di Beauxbatons e Durmstrang, sembrava deciso a mostrare il castello al suo meglio per Natale. Quando le decorazioni furono tutte al loro posto, Harry notò che erano le più straordinarie che avesse mai visto a scuola. Ghiaccioli Sempiterni erano stati appesi ai corrimani della scalinata di marmo; i soliti dodici alberi di Natale della Sala Grande erano coperti di qualunque cosa, dalle bacche luminose di agrifoglio ad autentici gufi d’oro ululanti, e le armature erano state tutte stregate in modo da intonare canti di Natale quando qualcuno gli passava davanti. Era davvero una cosa straordinaria sentire Venite, fedeli cantato da un elmo vuoto che sapeva solo metà delle parole. Gazza il custode dovette estrarre parecchie volte Pix dalle armature, dove aveva preso l’abitudine di nascondersi, colmando le lacune nelle canzoni con rime di sua invenzione, tutte decisamente maleducate.

E Harry non aveva ancora invitato Cho al ballo. Lui e Ron cominciavano a innervosirsi, anche se, come osservò Harry, Ron senza una compagna avrebbe fatto la figura dello stupido molto meno di lui: Harry doveva aprire le danze con gli altri campioni.

«C’è sempre Mirtilla Malcontenta» disse tetro, alludendo al fantasma che infestava il bagno delle ragazze al secondo piano.

«Harry… dobbiamo solo stringere i denti e farlo» disse Ron il venerdì mattina, nel tono di chi medita di prendere d’assalto una fortezza inespugnabile. «Questa sera, quando torneremo in sala comune, avremo tutti e due una dama… d’accordo?»

«Ehm… ok» rispose Harry.

Ma tutte le volte che sbirciò Cho quel giorno — all’intervallo, e poi a pranzo, e una volta mentre andava a Storia della Magia — lei era circondata da amiche. Non andava mai da nessuna parte da sola? Forse poteva tenderle un agguato mentre andava in bagno? Ma no: pareva che anche là ci andasse con una scorta di quattro o cinque ragazze. Ma se non agiva in fretta, sarebbe stata di sicuro invitata da qualcun altro.

Trovò difficile concentrarsi per il test di antidoti di Piton, e di conseguenza si scordò di aggiungere l’ingrediente-chiave — un bezoar — cosi prese un voto bassissimo. Ma non gli importava; era troppo occupato a mettere insieme tutto il suo coraggio per ciò che stava per fare. Quando suonò la campana, afferrò la borsa e corse verso la porta della cantina.

«Ci vediamo a cena» disse a Ron e Hermione, e sfrecciò su per le scale.

Doveva solo dire a Cho che voleva parlarle a quattr’occhi, tutto qui… corse attraverso i corridoi affollati, cercandola, e (più in fretta del previsto) la trovò che usciva da una lezione di Difesa contro le Arti Oscure.

«Ehm… Cho, posso parlarti un momento?»

Le risatine dovrebbero essere messe fuori legge, pensò Harry infuriato mentre tutte le ragazze attorno a Cho si sbellicavano. Lei però no. Disse «Ok» e lo seguì lontano dalle orecchie delle sue compagne.

Harry si voltò a guardarla e il suo stomaco fece un balzo, come se scendendo le scale avesse saltato un gradino.

«Ehm» disse.

Non poteva invitarla. Non poteva. Ma doveva. Cho rimase lì a guardarlo, perplessa.

Le parole gli uscirono di bocca prima che Harry le avesse pronunciate.

«Vunralbllocommè?»

«Cosa?» disse Cho.

«Vuoi… vuoi venire al ballo con me?» disse Harry. Perché doveva arrossire proprio ora? Perché?

«Oh!» disse Cho, e arrossì anche lei. «Oh, Harry, mi dispiace tanto» e sembrava davvero sincera. «Ma… ho già promesso di andare con qualcun altro».

«Oh» disse Harry.

Che strano: un attimo prima le sue viscere si contorcevano come serpi, ma ora gli sembrava di non avere affatto delle viscere.

«Oh. Ok» disse, «non c’è problema».

«Mi dispiace davvero» ripeté lei.

«Non c’è problema» ripeté Harry.

Rimasero lì a guardarsi, e poi Cho disse: «Be’…»

«Sì» disse Harry.

«Be’, ciao» disse Cho, sempre molto rossa. Si allontanò.

Harry le gridò dietro, prima di riuscire a trattenersi:

«Con chi ci vai?»

«Oh… con Cedric» rispose lei. «Con Cedric Diggory».

«Oh, certo» disse Harry.

Gli erano tornate le viscere. Era come se durante la loro assenza qualcuno le avesse imbottite di piombo.

Del tutto dimentico della cena, risalì lentamente fino alla Torre di Grifondoro, con la voce di Cho che gli risuonava nelle orecchie a ogni gradino. “Cedric… Cedric Diggory”. Cedric aveva cominciato quasi a piacergli: era disposto a sorvolare sul fatto che una volta lo aveva battuto a Quidditch, e che era bello, e famoso, e che era il campione preferito praticamente da tutti. Ora all’improvviso realizzò che Cedric in effetti era un inutile bamboccio che non aveva abbastanza cervello da riempirci un portauovo.

«Luci Fatate» disse in tono piatto alla Signora Grassa: la parola d’ordine era stata cambiata il giorno prima.

«Sì, certo, caro!» trillò lei, raddrizzandosi il nuovo cerchietto fermacapelli di latta mentre scattava in avanti per lasciarlo passare.

Harry entrò nella sala comune, si guardò attorno, e con sua sorpresa vide Ron seduto in un angolo lontano, pallidissimo. Ginny era seduta vicino a lui e gli parlava a bassa voce, in tono consolatorio.

«Che cosa è successo, Ron?» chiese Harry unendosi a loro.

Ron alzò gli occhi verso Harry, una sorta di cieco terrore stampato in volto.

«Perché l’ho fatto?» esclamò, fuori di sé. «Non so che cosa mi è preso!»

«Cosa?» chiese Harry.

«Lui… ehm… ha appena invitato al ballo Fleur Delacour» spiegò Ginny. Sembrava trattenere a stento un sorrisetto, ma continuò a dare pacche comprensive sul braccio di Ron.

«Tu che cosa?» esclamò Harry.

«Non so che cosa mi è preso!» ripeté Ron senza fiato. «Che cosa avevo in testa? C’era un sacco di gente… tutto intorno… sono impazzito… tutti lì a guardare! Le stavo passando davanti nell’Ingresso… era lì che parlava con Diggory… ed è stato più forte di me… e gliel’ho chiesto!»

Ron gemette e si nascose il viso tra le mani. Continuò a parlare, meglio, a farfugliare. «Mi ha guardato come se fossi una lumaca marina o roba del genere. Non mi ha nemmeno risposto. E poi… non so… è come se fossi tornato in me, e sono scappato via».

«È in parte Veela» disse Harry. «Avevi ragione… sua nonna era una Veela. Non è stata colpa tua, scommetto che sei passato di lì proprio mentre faceva un incantesimo da Veela per Diggory e ci sei rimasto in mezzo… ma comunque perdeva il suo tempo. Lui va al ballo con Cho Chang».

Ron lo fissò di sotto in su.

«L’ho appena invitata» disse Harry in tono inespressivo, «e me l’ha detto».

Ginny all’improvviso aveva smesso di sorridere.

«Ma è pazzesco» disse Ron, «siamo i soli rimasti a non avere nessuno… be’, a parte Neville. Ehi, indovina chi ha invitato? Hermione!»

«Cosa?» esclamò Harry, preso in contropiede dalla straordinaria notizia.

«Sì, è vero!» disse Ron, e un po’ di colore gli tornò in viso mentre cominciava a ridere. «Me l’ha detto dopo Pozioni! Ha detto che lei è sempre così gentile, che lo aiuta con i compiti eccetera… ma lei gli ha detto che ci va già con un altro. Ah! Figuriamoci! È solo che non voleva andarci con Neville… voglio dire, chi la inviterebbe?»

«Sta’ zitto!» intervenne Ginny seccata. «Non ridere…»

In quel momento Hermione entrò dal buco del ritratto.

«Perché voi due non siete venuti a cena?» disse, e si unì a loro.

«Perché… oh, smettetela di ridere, voi due… perché tutti e due sono appena stati bidonati dalle ragazze che avevano invitato al ballo!» disse Ginny.

Questo chiuse la bocca a Harry e Ron.

«Grazie mille, Ginny» disse Ron in tono aspro.

«Tutte quelle carine erano già occupate, Ron?» disse Hermione altezzosa. «Eloise Midgen comincia a sembrarti niente male adesso, eh? Be’, sono sicura che da qualche parte troverai qualcuna che ti dirà di sì».

Ma Ron stava fissando Hermione come se all’improvviso la vedesse in una nuova luce. «Hermione, Neville ha ragione… tu sei una ragazza…»

«Però, sei un fulmine» ribatté lei, acida.

«Be’… puoi venire con uno di noi due!»

«No, non posso» replicò Hermione.

«Oh, andiamo» disse lui impaziente, «abbiamo bisogno di una compagna, faremo la figura degli stupidi se non troviamo nessuno, tutti gli altri hanno…»

«Non posso venirci con te» disse Hermione, e arrossì, «perché ci vado già con un altro».

«No, non è vero!» disse Ron. «L’hai detto solo per liberarti di Neville!»

«Oh, davvero?» disse Hermione, gli occhi che lampeggiavano pericolosamente. «Solo perché tu ci hai messo tre anni per accorgertene, Ron, non vuol dire che nessun altro ha capito che sono una ragazza!»

Ron la fissò stupefatto. Poi sorrise di nuovo.

«Ok, ok, lo sappiamo che sei una ragazza» disse. «Va bene? Adesso ci vieni?»

«Te l’ho già detto» ripeté Hermione, molto arrabbiata. «Ci vado con un altro!»

E uscì precipitosamente, diretta al dormitorio femminile.

«Sta mentendo» disse Ron tranquillamente, guardandola allontanarsi.

«Non è vero» disse Ginny piano.

«E allora chi è?» chiese Ron in tono brusco.

«Non sarò io a dirtelo, sono affari suoi» disse Ginny.

«Giusto» disse Ron, decisamente sconcertato, «questa faccenda sta diventando assurda. Ginny, tu puoi andare con Harry, e io…»

«Non posso» disse Ginny, e diventò anche lei scarlatta. «Ci vado con… con Neville. Mi ha invitata quando Hermione gli ha detto di no, e ho pensato… be’… che altrimenti non potevo andarci, io non sono del quarto anno». Sembrava molto avvilita. «Credo che andrò a cena» disse, e si alzò e uscì a testa china dal buco del ritratto.

Ron guardò Harry con gli occhi sbarrati.

«Che cosa gli è preso, a tutti quanti?»

Ma Harry aveva appena visto Calì e Lavanda entrare dal buco del ritratto. Era giunto il momento di un’azione decisa.

«Aspettami qui» disse a Ron, poi si alzò, andò risoluto verso Calì e disse: «Calì, vuoi venire al ballo con me?»

Calì fu scossa dalle risate. Harry attese che si spegnessero, le dita incrociate nelle tasche.

«Sì, allora va bene» disse infine, e arrossì furiosamente.

«Grazie» disse Harry, sollevato. «Lavanda… tu ci vieni con Ron?»

«Ci va con Seamus» disse Calì, e tutte e due ridacchiarono più forte che mai.

Harry sospirò.

«Non vi viene in mente nessuna che possa andare con Ron?» disse, abbassando la voce in modo che Ron non sentisse.

«Hermione Granger?» propose Calì.

«Ci va con un altro».

Calì rimase esterrefatta.

«Ooooh… con chi?» chiese con avidità.

Harry alzò le spalle. «Non ne ho idea» rispose. «Allora, per Ron?»

«Be’…» disse Calì lentamente, «credo che mia sorella potrebbe… Padma, sai… di Corvonero. Se vuoi glielo chiedo».

«Sì, sarebbe splendido» disse Harry. «Fammi sapere, d’accordo?»

E tornò da Ron, convinto che questo ballo fosse un guaio ben peggiore di quello che valeva, e sperando intensamente che il naso di Padma Patil fosse ben diritto.

CAPITOLO 23

IL BALLO DEL CEPPO

Nonostante l’enorme mole di compiti per le vacanze, Harry non era dell’umore giusto per stare chino sui libri alfa fine del trimestre, e trascorse la settimana che precedeva il Natale divertendosi più che poteva insieme a tutti gli altri. La Torre di Grifondoro era di poco meno affollata che durante l’anno scolastico; sembrava anche che si fosse rimpicciolita, dal momento che i suoi occupanti erano molto più scalmanati del solito. Fred e George avevano avuto un gran successo con le loro Crostatine Canarine, e nei primi due giorni delle vacanze c’era dappertutto gente che si riempiva di piume all’improvviso. In breve, tutti i Grifondoro impararono a trattare con estrema cautela il cibo che veniva loro offerto, nel caso che avesse una Crostatina Canarina nascosta al centro, e George rivelò a Harry che lui e Fred al momento stavano lavorando alla creazione di qualcosa di nuovo. Harry prese mentalmente nota di non accettare nemmeno una patatina da Fred e George in futuro: non aveva ancora dimenticato Dudley e la Mou Mollelingua.

La neve cadeva fitta sul castello e sul parco. La carrozza azzurro chiaro di Beauxbatons sembrava una grossa, fredda zucca glassata dal gelo vicino alla casetta di zenzero ghiacciata che era la capanna di Hagrid, mentre i boccaporti della nave di Durmstrang erano ricoperti di ghiaccio e il sartiame candido di neve. Gli elfi domestici giù nelle cucine stavano superando se stessi con una serie di ricchi stufati speciali e ottimi pasticci, e solo Fleur Delacour riusciva a trovare qualcosa di cui lamentarsi.

«È troppo pesonte, questo mongiare di Hogvàrts» la sentirono brontolare una sera, mentre uscivano alle sue spalle dalla Sala Grande (Ron seminascosto dietro Harry, ben deciso a non farsi riconoscere da Fleur). «Non riuscirò a ontrare nel mio vestito da sera!»

«Ooooh, che tragedia» sbottò Hermione, mentre Fleur entrava nell’Ingresso. «Si crede davvero chissà che cosa, quella là, vero?»

«Hermione… con chi vai al ballo?» disse Ron.

Continuava a rivolgerle questa domanda a tradimento, nella speranza di coglierla di sorpresa e farla rispondere, ma Hermione si limitava a metter su il broncio e ripetere: «Non te lo dico, mi prenderesti in giro e basta».

«Stai scherzando, Weasley?» disse Malfoy alle loro spalle. «Vorresti dire che qualcuno ha invitato quella roba al ballo? Non la Mezzababbana zannuta?»

Harry e Ron si voltarono insieme di scatto, ma Hermione salutò qualcuno alle spalle di Malfoy e disse ad alta voce: «Buonasera, professor Moody!»

Malfoy impallidì e fece un balzo all’indietro, guardandosi intorno terrorizzato, ma Moody era ancora al tavolo degli insegnanti a finire lo stufato.

«Sei un furetto nervosetto, eh, Malfoy?» disse Hermione sprezzante, e lei, Harry e Ron salirono la scalinata di marmo ridendo di cuore.

«Hermione» disse Ron guardandola di sottecchi, improvvisamente accigliato, «i tuoi denti…»

«Cos’hanno?» disse lei.

«Be’, sono diversi… L’ho appena notato…»

«Ma certo… credevi che mi sarei tenuta le zanne che mi aveva fatto crescere Malfoy?»

«No, voglio dire, sono diversi da com’erano prima che ti scagliasse l’incantesimo… sono tutti… diritti e… e grandi giusti».

All’improvviso Hermione fece un sorriso molto malizioso e allora se ne accorse anche Harry: era un sorriso molto diverso da quello che ricordava.

«Be’… quando sono andata da Madama Chips a farmeli rimpicciolire, lei ha preso uno specchio e mi ha detto di fermarla quando fossero tornati alla loro misura» disse. «E io l’ho solo… lasciata andare avanti un po’». Il sorriso divenne ancora più largo. «Mamma e papà non saranno tanto contenti. Sono secoli che cerco di convincerli a farmeli rimpicciolire, ma loro volevano che continuassi con l’apparecchio. Sapete, sono dentisti, pensano che denti e magia non dovrebbero… guardate! È tornato Leo!»

Il gufetto di Ron ululava all’impazzata in cima al corrimano coperto di ghiaccioli, un rotolo di pergamena legato alla zampa. I ragazzi che gli passavano davanti lo additavano e ridevano, e un gruppo di ragazzine del terzo anno si fermò e disse: «Oh, guardate quel gufetto! Non è carino

«Stupido piccolo idiota piumato!» sibilò Ron, correndo su per le scale e afferrando Leo. «Le lettere le devi portare dritto al destinatario! Non devi perdere tempo a metterti in mostra!»

Leo cantò allegramente, la testina che spuntava dal pugno di Ron. Le ragazzine del terzo anno sembravano scioccate.

«Sparite!» sbottò Ron, agitando il pugno che strizzava Leo, il quale cantò più allegramente che mai. «Ecco… prendila, Harry» aggiunse sottovoce, mentre le ragazzine del terzo anno filavano via con aria scandalizzata. Sfilò la risposta di Sirius dalla zampa di Leo, Harry se la cacciò in tasca e corsero su alla Torre di Grifondoro per leggerla.

Tutti quanti in sala comune erano troppo impegnati a sfogare le loro energie vacanziere per notare che cosa facevano gli altri. Harry, Ron e Hermione presero posto lontano dagli altri vicino a un’oscura finestra che si stava lentamente coprendo di neve, e Harry lesse:

Caro Harry,

Congratulazioni per essere riuscito a superare lo Spinato, chiunque abbia messo il tuo nome in quel Calice non deve essere troppo felice adesso! Volevo suggerirti un Incantesimo Conjunctivitus, visto che gli occhi sono il punto debole dei draghi…

«È quello che ha usato Krum!» sussurrò Hermione.

ma la tua idea si è rivelata migliore, sono davvero ammirato.

Però non credere che sia finita, Harry. Hai superato solo una prova: chiunque ti abbia buttato nella mischia ha molte altre opportunità di farti del male. Tieni gli occhi aperti in particolare quando la persona di cui abbiamo parlato è nei dintorni e concentrati su una cosa: tenerti fuori dai guai.

Rimani in contatto, voglio sempre essere informato su qualunque fatto insolito.

Sirius

«Tale e quale a Moody» disse Harry piano, infilando di nuovo la lettera nella tasca dell’abito. «Vigilanza costante! Come se io andassi in giro a occhi chiusi, sbattendo contro i muri…»

«Ma ha ragione, Harry» disse Hermione, «tu hai ancora due prove da superare. Dovresti proprio dare un’occhiata a quell’uovo, sai, e cominciare a capire che cosa vuol dire…»

«Hermione, ha ancora un sacco di tempo!» sbottò Ron. «Ti va di fare una partita a scacchi, Harry?»

«Sì, ok» disse Harry. Poi, notando l’espressione di Hermione, disse: «Dai, come faccio a concentrarmi con tutto questo baccano? Non riuscirei nemmeno a sentire l’uovo».

«Oh, immagino di no» disse lei con un sospiro, e si sedette a guardare la loro partita a scacchi, che culminò in un eccitante scaccomatto di Ron, che coinvolse un paio di coraggiosissimi pedoni e un alfiere molto violento.

* * *

Harry si svegliò di soprassalto la mattina di Natale. Chiedendosi il perché, aprì gli occhi, e vide una creatura dai grandissimi, tondi occhi verdi fissarlo di rimando nell’oscurità, cosi vicino che i loro nasi quasi si sfioravano.

«Dobby!» strillò Harry, ritraendosi così in fretta dall’elfo che quasi cadde dal letto. «Non farlo mai più!»

«Dobby è spiacente, signore!» squittì Dobby ansioso, balzando indietro, le lunghe dita premute sulla bocca. «Dobby vuole solo augurare a Harry Potter Buon Natale e dargli un regalo, signore! Harry Potter ha detto che Dobby poteva venire a trovarlo una volta o l’altra, signore!»

«Ok» disse Harry, il respiro ancora affannato, mentre il battito del cuore tornava normale. «Solo… solo la prossima volta dammi una spintarella, non so, non piombarmi addosso così…»

Harry tirò indietro le tende che circondavano il letto, prese gli occhiali dal comodino e li inforcò. Il suo strillo aveva svegliato Ron, Seamus, Dean e Neville. Tutti e quattro spiavano dalle fessure tra le loro tende, gli occhi gonfi e i capelli arruffati.

«Qualcuno ha cercato di aggredirti, Harry?» chiese Seamus assonnato.

«No, è solo Dobby» borbottò Harry. «Tornate a dormire».

«Nooo… i regali!» esclamò Seamus, notando il grosso mucchio ai piedi del suo letto. Ron, Dean e Neville decisero che ormai che erano svegli potevano anche loro dedicarsi all’apertura dei pacchi. Harry si voltò di nuovo verso Dobby, in piedi accanto al suo letto, ancora nervoso per aver spaventato Harry. C’era un ciondolo natalizio legato all’occhiello in cima al copriteiera.

«Dobby può dare a Harry Potter il suo regalo?» squitti esitante.

«Ma certo che puoi» disse Harry. «Ehm… anch’io ho qualcosa per te».

Era una bugia; non aveva comprato proprio niente per Dobby, ma aprì in fretta il baule ed estrasse un paio di calzini appallottolati particolarmente sformati. Erano i più vecchi e i più orrendi che avesse, giallo senape, ed erano appartenuti a zio Vernon. Erano superbitorzoluti perché Harry da un anno li usava per avvolgerci il suo Spioscopio. Estrasse lo Spioscopio e diede i calzini a Dobby, dicendo: «Scusa, mi sono dimenticato di impacchettarli…»

Ma Dobby ne fu davvero deliziato.

«I calzini sono i vestiti preferitissimi di Dobby, signore!» disse, sfilandosi quelli vecchi e mettendosi quelli di zio Vernon. «Io ne ha sette adesso, signore… ma, signore…» disse, gli occhi sgranati, dopo aver tirato su al massimo i calzini che ora sfioravano l’orlo dei pantaloncini, «loro ha fatto uno sbaglio al negozio, Harry Potter, loro ti ha dato due calzini uguali!»

«Ah no, Harry, come hai fatto a non accorgertene!» disse Ron, ghignando dal suo letto coperto di carta da regalo. «Sai che cosa ti dico, Dobby? Ecco… prendi questi due, così puoi mescolarli come si deve. E qui c’è il tuo golfino».

Gettò a Dobby un paio di calzini violetti che aveva appena scartato, e il golf lavorato ai ferri mandato dalla signora Weasley.

Dobby fu sopraffatto dall’emozione. «Signore è molto gentile!» squittì, gli occhi di nuovo colmi di lacrime, facendo un profondo inchino a Ron. «Dobby lo sapeva che il signore deve essere un grande mago, perché è il più grande amico di Harry Potter, ma Dobby non sapeva che era anche generoso di spirito, nobile, altruista…»

«Sono solo calzini» disse Ron, che era arrossito in zona orecchie, però sembrava piuttosto compiaciuto. «Wow, Harry…» Aveva appena aperto il regalo di Harry: un berretto dei Cannoni di Chudley. «Forte!» Se lo ficcò in testa: faceva a pugni con il colore dei suoi capelli.

Dobby tese a Harry un pacchetto, che si rivelò contenere… calzini.

«Dobby li fa lui con le sue mani, signore!» disse l’elfo allegramente. «Compra la lana con i soldi del suo stipendio, signore!»

Il calzino sinistro era rosso vivo, con un motivo di manici di scopa; quello destro era verde, con un disegno di Boccini.

«Sono… sono davvero… be’, grazie, Dobby» disse Harry, e se li infilò, scatenando nell’elfo un nuovo pianto di gioia.

«Dobby adesso deve andare, signore, noi sta già preparando la cena di Natale nelle cucine!» disse Dobby, e usci di corsa dal dormitorio, salutando Ron e gli altri con la mano.

Gli altri regali di Harry furono molto più soddisfacenti dei calzini spaiati di Dobby: con l’ovvia eccezione di quello dei Dursley, che consisteva in un unico fazzoletto di carta — un minimo storico. Harry pensò che si ricordassero bene la Mou Mollelingua. Hermione gli aveva regalato un libro intitolato Squadre di Quidditch della Gran Bretagna e dell’Irlanda; Ron, un sacchetto pieno di Caccabombe; Sirius, un utile coltellino munito di accessori per aprire ogni serratura e disfare ogni nodo; e Hagrid, una gran scatola di dolci che comprendeva tutti i suoi preferiti: Gelatine Tuttigusti+1, Cioccorane, SuperPallaGomme di Drooble e Api Frizzole. C’era anche, naturalmente, il solito pacco della signora Weasley, con un nuovo golf (verde, con un drago ricamato: Harry immaginava che Charlie le avesse raccontato tutto dello Spinato) e una gran quantità di tortini fatti in casa.

Harry e Ron s’incontrarono con Hermione in sala comune, e scesero insieme a colazione. Passarono gran parte della mattinata nella Torre di Grifondoro, dove tutti si stavano godendo i loro regali, poi tornarono nella Sala Grande per un pranzo sontuoso, che comprendeva almeno cento tacchini e pudding di Natale, e montagne di Cracker Magici.

Nel pomeriggio uscirono nel parco; la neve era intatta, eccetto per i profondi solchi tracciati dagli studenti di Durmstrang e Beauxbatons per salire al castello. Hermione decise di assistere alla battaglia a palle di neve di Harry e dei Weasley invece di prendervi parte, e alle cinque annunciò che tornava su alla Torre a prepararsi per il ballo.

«Cosa, ti ci vogliono tre ore?» disse Ron, fissandola incredulo, e pagando la momentanea distrazione quando George lo centrò in pieno con una grossa palla di neve. «Con chi ci vai?» urlò dietro a Hermione, ma lei si limitò a sventolare la mano, risalì i gradini di pietra e sparì nel castello.

Non ci fu il tè di Natale quel giorno, dal momento che il ballo comprendeva un banchetto, cosi alle sette, quando ormai era difficile prendere bene la mira, tutti abbandonarono la battaglia a palle di neve e tornarono insieme in sala comune. La Signora Grassa era seduta nella cornice con la sua amica Violet del piano di sotto: entrambe erano decisamente brille, e scatole vuote di cioccolatini al liquore ingombravano la parte inferiore del quadro.

«Fuci Latate, è questa la parola giusta!» ridacchiò quando le dissero la parola d’ordine, e scattò in avanti per lasciarli passare.

Harry, Ron, Seamus, Dean e Neville indossarono gli abiti da cerimonia su nel dormitorio, tutti molto impacciati anche se mai quanto Ron, che si guardava atterrito nel lungo specchio nell’angolo. Non c’era niente da fare: quel coso assomigliava tremendamente a un vestito da donna. In un disperato tentativo di farlo sembrare più maschile, scagliò un Incantesimo Tagliuzzante sui pizzi al collo e ai polsi. Funzionò a meraviglia: i pizzi erano spariti, anche se non aveva fatto un lavoro molto preciso, e gli orli erano ancora spaventosamente sfilacciati mentre si apprestavano a scendere.

«Non riesco ancora a capire come avete fatto voi due a beccarvi le ragazze più carine del nostro anno» mugugnò Dean.

«Magnetismo animale» disse Ron cupamente, tirando i fili che penzolavano dai polsini dell’abito.

La sala comune aveva un’aria strana, così piena di ragazzi dai vestiti colorati invece della solita massa nera. Calì aspettava Harry ai piedi delle scale. In effetti era molto carina, con un abito rosa shocking, un nastro d’oro nella lunga treccia scura, e braccialetti d’oro che scintillavano ai polsi. Harry fu sollevato vedendo che non ridacchiava.

«Stai… ehm… bene» le disse esitante.

«Grazie» ribatté lei. «Padma ti aspetta nella Sala d’Ingresso» aggiunse, rivolta a Ron.

«Va bene» disse Ron, guardandosi intorno. «Dov’è Hermione?»

Calì alzò le spalle. «Allora, scendiamo, Harry?»

«Ok» disse Harry, che avrebbe tanto voluto poter rimanere in sala comune. Fred gli fece l’occhiolino quando gli passò davanti uscendo dal buco del ritratto.

Anche la Sala d’Ingresso era stipata di studenti che ciondolavano in attesa delle otto, quando le porte della Sala Grande si sarebbero aperte. I ragazzi che dovevano incontrarsi con i partner di case diverse si facevano largo tra la folla, cercandosi. Calì scorse sua sorella Padma e la guidò da Harry e Ron.

«Ciao» disse Padma, che era carina quanto Calì nel suo vestito di un turchese vivo. Non parve però troppo entusiasta di avere Ron come partner; i suoi occhi scuri indugiarono sul colletto e sui polsi sfilacciati dell’abito mentre lo squadrava da capo a piedi.

«Ciao» disse Ron senza guardarla, scrutando la folla. «Oh, no…»

Piegò appena le ginocchia per nascondersi dietro Harry, perché stava passando Fleur Delacour, favolosa nel suo abito di satin grigio argento, accompagnata dal capitano della squadra di Quidditch di Corvonero, Roger Davies. Quando furono scomparsi, Ron si raddrizzò di nuovo e guardò oltre le teste della folla.

«Ma dov’è Hermione?» esclamò ancora una volta.

Un gruppo di Serpeverde sali dai gradini della loro sala comune sotterranea. Davanti c’era Malfoy; indossava un abito di velluto nero con il colletto alto, che secondo Harry lo faceva assomigliare a un vicario. Pansy Parkinson stringeva il braccio di Malfoy, avvolta in un abito rosa pallido molto sontuoso. Tiger e Goyle erano vestiti di verde tutti e due; sembravano sassi color muschio, e nessuno dei due, Harry fu lieto di notare, era riuscito a trovare un’accompagnatrice.

Il portone di quercia si aprì, e tutti si voltarono a guardare l’ingresso degli studenti di Durmstrang con il professor Karkaroff. Krum era in testa al gruppo, accompagnato da una ragazza carina vestita di azzurro che Harry non conosceva. Oltre le loro teste vide che una parte del prato davanti al castello era stata trasformata in una sorta di grotta piena di luci fatate: centinaia di fatine in carne e ossa erano sedute nei cespugli di rose fatti apparire sul posto, e svolazzavano sulla statua di Babbo Natale e le sue renne.

Poi la voce della professoressa McGranitt gridò: «I campioni qui, per favore!»

Calì si risistemò i braccialetti, radiosa; lei e Harry dissero «Ci vediamo fra un attimo» a Ron e Padma, e avanzarono, mentre la folla chiacchierina si apriva per lasciarli passare. La professoressa McGranitt, che indossava un abito da sera scozzese rosso, e si era sistemata una ghirlanda di cardi piuttosto bruttina attorno alla tesa del cappello, disse loro di aspettare su un lato della porta mentre entravano tutti gli altri; dovevano fare il loro ingresso nella Sala Grande in corteo una volta che il resto degli studenti avesse preso posto ai tavoli. Fleur Delacour e Roger Davies si disposero vicino alla porta; Davies sembrava così esterrefatto per la fortuna di avere Fleur come partner che riusciva a stento a toglierle gli occhi di dosso. Anche Cedric e Cho erano vicini a Harry, che guardò altrove in modo da non dover fare conversazione. Il suo sguardo invece cadde sulla ragazza al braccio di Krum… e rimase a bocca aperta.

Era Hermione.

Ma non somigliava affatto a Hermione. Si era fatta qualcosa ai capelli; non erano più cespugliosi, ma lisci e lucenti, e legati in un nodo elegante dietro la testa. Indossava un abito di un morbido tessuto blu pervinca, e aveva un portamento in qualche modo diverso — o forse era solo l’assenza della solita ventina di libri che di solito portava appesi alla schiena. Sorrideva, anche — piuttosto nervosamente, a dire il vero — e si notava moltissimo che i denti davanti erano rimpiccioliti. Harry non riusciva a capire come aveva fatto a non accorgersene prima.

«Ciao, Harry!» esclamò. «Ciao, Calì!»

Calì fissava Hermione con uno sguardo incredulo assai poco lusinghiero. Non era la sola, comunque: quando si aprirono le porte della Sala Grande, il fan club di Krum in biblioteca entrò tutto impettito, scoccando a Hermione occhiate di profondo disgusto. Pansy Parkinson la guardò a occhi sbarrati entrando con Malfoy, e anche lui parve non riuscire a trovare un insulto da rivolgerle. Ron le passò davanti senza guardarla.

Una volta che tutti si furono sistemati nella Sala Grande, la professoressa McGranitt disse ai campioni e ai loro accompagnatori di mettersi in fila a coppie e di seguirla. Obbedirono, e la Sala Grande applaudì mentre facevano il loro ingresso e avanzavano verso un grande tavolo rotondo all’altra estremità della Sala, dove avevano preso posto i giudici.

Le pareti della Sala erano tutte coperte di brina d’argento scintillante, con centinaia di ghirlande di edera e vischio che s’incrociavano attraverso il nero soffitto stellato. I tavoli delle Case erano spariti; al loro posto ce n’erano un centinaio più piccoli, illuminati da lanterne, e ciascuno ospitava una dozzina di persone.

Harry si sforzò di non inciampare nei propri piedi. Calì aveva l’aria di divertirsi; rivolgeva gran sorrisi a tutti, portando Harry con tanta energia da farlo sentire un cane da esibizione guidato a bacchetta. Scorse Ron e Padma mentre si avvicinava al tavolo dei giudici. Ron scrutava Hermione con gli occhi ridotti a fessure. Padma era imbronciata.

Silente sorrise allegramente mentre i campioni si avvicinavano al suo tavolo, ma Karkaroff ostentava un’espressione molto simile a quella di Ron mentre guardava Krum e Hermione avvicinarsi. Ludo Bagman, che per l’occasione indossava una veste di un viola acceso a grandi stelle gialle, batteva le mani con l’entusiasmo degli studenti; e Madame Maxime, che aveva sostituito la sua solita uniforme di satin nero con un abito dall’ampia gonna di seta color lavanda, applaudiva educatamente. Ma il signor Crouch, Harry notò all’improvviso, non c’era. Il quinto posto del tavolo era occupato da Percy Weasley.

Quando i campioni e i loro accompagnatori ebbero raggiunto il tavolo, Percy scostò la sedia vuota al suo fianco e fissò Harry con uno sguardo eloquente; Harry capì al volo e si sedette accanto a lui, che indossava un abito da sera nuovissimo, blu marino, e un’espressione di assoluto compiacimento.

«Sono stato promosso» disse, prima ancora che Harry potesse chiederglielo, e dal tono parve annunciare la sua elezione a Supremo Reggente dell’Universo. «Ora sono l’assistente personale del signor Crouch, e sono qui in sua vece».

«Perché non è venuto?» chiese Harry. Non aveva una gran voglia di sorbirsi una conferenza sui fondi di calderone per tutta la cena.

«Mi dispiace dire che il signor Crouch non sta bene, non sta affatto bene. È così dalla Coppa del Mondo. Non c’è da stupirsi: troppo lavoro. Non è più quello di una volta, anche se è ancora piuttosto notevole, naturalmente, la testa è rimasta eccezionale. Ma la Coppa del Mondo è stata un disastro per tutto il Ministero e il signor Crouch ha subito un grave colpo a causa del comportamento scorretto di quella sua elfa domestica, Blinky o come accidenti si chiamava. Naturalmente l’ha allontanata subito dopo, ma — be’, come ho già detto, tira avanti, ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lui, e credo che da quando lei se n’è andata il suo ménage familiare sia decisamente peggiorato. E poi abbiamo dovuto organizzare il Torneo, e ci sono stati gli strascichi della Coppa — con quella rivoltante Skeeter che ci ronza intorno continuamente — no, pover’uomo, si sta godendo un meritato, tranquillo Natale. Sono solo felice che sapesse di avere come sostituto qualcuno su cui contare».

Harry aveva un gran desiderio di chiedergli se il signor Crouch aveva smesso di chiamarlo “Weatherby”, ma resistette alla tentazione.

I lucenti piatti d’oro erano ancora vuoti, ma c’erano piccoli menu disposti di fronte a ciascuno dei commensali. Harry prese il suo, esitante, e si guardò attorno: non c’erano camerieri. Silente, però, passò attentamente in rassegna il proprio menu e poi disse con voce chiara, rivolto al suo piatto: «Costolette di maiale!»

E le costolette di maiale apparvero. Colto il meccanismo, anche il resto della tavolata fece le sue ordinazioni ai piatti. Harry guardò Hermione per vedere come reagiva a quel nuovo, più complicato modo di cenare — che doveva significare un sacco di lavoro in più per gli elfi domestici — ma per una volta Hermione non sembrava concentrata suo CREPA: era immersa in una fitta conversazione con Viktor Krum, e pareva accorgersi a malapena di quello che mangiava.

In quel momento Harry si sorprese a pensare che non aveva mai veramente sentito parlare Krum prima, però al momento parlava eccome, e con molto entusiasmo.

«Be’, noi anche abiamo un castello, anche se non grosso come qvesto, e non così comodo, io crede» stava spiegando a Hermione. «Noi abiamo solo qvatro piani, e i fuochi viene acesi solo per scopi di magia. Ma noi abiamo un parco più grosso di qvesto… anche se d’inverno noi ha molto poco luce, e così noi usiamo esso non molto. Ma d’estate noi foliamo tutti i giorni, su lago, su montagna…»

«Insomma, insomma, Viktor!» disse Karkaroff, con una risata che non si estese agli occhi gelidi. «Non raccontare anche il resto, altrimenti la tua affascinante amica saprà dove trovarci!»

Silente sorrise, un brillio negli occhi. «Igor, quanti misteri… si potrebbe pensare che non volete visitatori».

«Be’, Silente» disse Karkaroff, scoprendo i denti ingialliti in tutto il loro splendore, «cerchiamo tutti di proteggere i nostri domini privati, no? Non vegliamo tutti gelosamente sulle case della conoscenza che ci sono state affidate? Non siamo giustamente fieri di essere i soli a conoscere i segreti della nostra scuola, non abbiamo ragione di proteggerli?»

«Oh, non mi sognerei mai di pretendere di conoscere tutti i segreti di Hogwarts, Igor» disse Silente in tono amabile. «Solo stamattina, per esempio, ho preso la direzione sbagliata mentre andavo in bagno e mi sono ritrovato in una stanza di magnifiche proporzioni che non avevo mai visto prima, che ospitava una collezione di vasi da notte davvero notevole. Quando sono tornato indietro per guardare meglio, ho scoperto che la stanza era sparita. Ma devo tenerla d’occhio. È probabile che sia accessibile solo alle cinque e mezza del mattino. O che compaia solo quando la luna è a un quarto… o quando colui che la cerca ha la vescica straordinariamente gonfia».

Harry sbuffò nel suo piatto di goulash. Percy si accigliò, ma Harry avrebbe giurato che Silente gli avesse fatto l’occhiolino.

Nel frattempo Fleur Delacour criticava le decorazioni di Hogwarts parlando con Roger Davies.

«Cosine da nionte» disse in tono sbrigativo, guardando le pareti scintillanti della Sala Grande. «Al palazzo di Beauxbatons abiamo sculture di ghiascio tutto intorno la Sala da Pranzo a Natale. Non si sciolgono, naturalmonte… sono grondi statue di diamonte che brillano. E il mongiare è sempliscemonte superbe. E abiamo cori di ninfe dei boschi, mentre mongiamo. Non abiamo quelle brutte armature nei corridoi, e se un poltergeist mai ontra a Beauxbatons, viene espulso comme ça». E colpi sonoramente il tavolo con la mano.

Roger Davies la guardava parlare ipnotizzato, e non riusciva a centrare la bocca con la forchetta. Harry aveva l’impressione che Davies fosse troppo occupato a contemplare Fleur per capire anche solo una parola di quello che stava dicendo.

«Verissimo» disse in fretta, picchiando la mano sul tavolo come aveva fatto Fleur. «Commsà. Sì».

Harry si guardò intorno. Hagrid era seduto a un altro dei tavoli degli insegnanti; indossava di nuovo il suo orrendo vestito marrone peloso, e scrutava il tavolo dei giudici. Harry lo vide agitare timidamente la mano e seguendo il suo sguardo vide Madame Maxime rispondergli, gli opali che scintillavano alla luce delle candele.

Hermione stava insegnando a Krum a pronunciare il suo nome per bene; lui continuava a chiamarla “Hermi-un”.

«Her-mai-o-ni» disse scandendo le sillabe.

«Herr-Mioni».

«Quasi» disse lei, intercettando lo sguardo di Harry con un sorriso.

Quando tutto il cibo fu consumato, Silente si alzò e chiese agli studenti di imitarlo. Poi, a un colpo di bacchetta, i tavoli schizzarono via e si disposero lungo i muri, lasciando il pavimento sgombro. Silente fece apparire una piattaforma sopraelevata lungo la parete di destra. Sopra c’erano una batteria completa, parecchie chitarre, un liuto, un violoncello e alcune cornamuse.

Le Sorelle Stravagarie salirono sul palcoscenico salutate da applausi entusiasti; erano tutte eccezionalmente irsute e vestite in lunghi abiti neri che erano stati accuratamente strappati e lacerati. Presero gli strumenti, e Harry, che era così impegnato a guardarle da aver quasi dimenticato che cosa stava per succedere, all’improvviso si accorse che le lanterne su tutti gli altri tavoli si erano spente, e che gli altri campioni e i loro accompagnatori erano in piedi.

«Dai!» sibilò Cali. «Dobbiamo ballare!»

Alzandosi, Harry inciampò nel vestito. Le Sorelle Stravagarie attaccarono una melodia lenta e lugubre; Harry avanzò sulla pista da ballo bene illuminata, badando bene a non incrociare lo sguardo di nessuno (vide Seamus e Dean che lo salutavano con la mano e ridacchiavano), e un attimo dopo, Calì lo aveva afferrato per le mani, gliene aveva sistemata una attorno alla propria vita e teneva ben stretta l’altra nella sua.

Non era poi così male, pensò Harry, girando lentamente sul posto (era Calì a portare). Tenne gli occhi fissi sulle teste degli spettatori, e ben presto anche molti di loro li raggiunsero sulla pista da ballo, così che i campioni non furono più al centro dell’attenzione. Neville e Ginny ballavano lì vicino — vide Ginny strizzare gli occhi mentre Neville le pestava i piedi — e Silente volteggiava con Madame Maxime. La sproporzione tra i due era tale che la punta del cappello di Silente solleticava appena il mento di lei; comunque, Madame Maxime si muoveva con molta grazia per essere così robusta. Malocchio Moody era impegnato in un goffo two-step con la professoressa Sinistra, che evitava nervosamente la sua gamba di legno.

«Bei calzini, Potter» ringhiò Moody passandogli accanto, l’occhio magico che scrutava attraverso l’abito di Harry.

«Oh… sì, me li ha fatti Dobby l’elfo domestico» disse Harry con un gran sorriso.

«È così pauroso!» sussurrò Calì mentre Moody si allontanava un tonfo dopo l’altro. «Non credo che quell’occhio dovrebbe essere permesso

Harry accolse con sollievo la tremolante nota finale della cornamusa. Le Sorelle Stravagarie smisero di suonare, gli applausi riempirono di nuovo la Sala, e Harry mollò immediatamente Calì. «Sediamoci, eh?»

«Oh… ma… questa è proprio bella!» esclamò Calì mentre le Sorelle Stravagarie attaccavano un’altra canzone, molto più veloce.

«No, non mi piace» mentì Harry, e la condusse via dalla pista, oltre Fred e Angelina, che ballavano con tanto entusiasmo che i ragazzi attorno a loro si scostavano per paura di essere travolti, verso il tavolo dove erano seduti Ron e Padma.

«Come va?» chiese Harry a Ron, prendendo posto e aprendo una bottiglia di Burrobirra.

Ron non rispose. Stava fissando cupo Hermione e Krum che ballavano lì vicino. Padma era seduta con braccia e gambe incrociate, un piede che dondolava a tempo con la musica. Ogni tanto scoccava uno sguardo scontento a Ron, che la ignorava completamente. Calì si sedette di fronte a Harry, incrociò a sua volta gambe e braccia, e dopo pochi minuti fu invitata a ballare da un ragazzo di Beauxbatons.

«Non ti dispiace, vero, Harry?» disse Calì.

«Cosa?» disse Harry, che stava guardando Cho e Cedric.

«Oh, non importa» sbottò Calì, e se ne andò con il ragazzo di Beauxbatons. Alla fine della canzone, non fece ritorno.

Hermione si avvicinò e si sedette sulla sedia lasciata vuota da Calì. Era un po’ rossa in faccia.

«Ciao» disse Harry. Ron rimase zitto.

«Fa caldo, vero?» disse Hermione, sventolandosi con la mano. «Viktor è andato a prendere da bere».

Ron le scoccò un’occhiata fulminante.

«Viktor?» esclamò. «Non ti ha ancora chiesto di chiamarlo Vicky

Hermione lo guardò sorpresa.

«Che cos’hai?» chiese.

«Se non lo sai tu» rispose Ron sprezzante, «non ho intenzione di spiegartelo».

Hermione lo fissò, poi guardò Harry, che si strinse nelle spalle. «Ron, che cosa…?»

«È di Durmstrang!» esplose Ron. «Gareggia contro Harry! Contro Hogwarts! Tu… tu stai…» Ron evidentemente stava cercando parole abbastanza forti per definire il crimine di Hermione, «fraternizzando con il nemico, ecco che cosa stai facendo!»

Hermione rimase a bocca aperta.

«Non fare lo stupido!» disse dopo un attimo. «Il nemico! Ma insomma… chi era quello scalmanato quando li ha visti arrivare? Chi era quello che voleva il suo autografo? Chi tiene un suo modellino su nel dormitorio?»

Ron fece finta di non sentire. «Immagino che ti abbia chiesto di accompagnarlo quando eravate tutti e due in biblioteca».

«Proprio così» disse Hermione, con le guance sempre più rosse. «E allora?»

«Che cosa è successo… hai cercato di convincerlo a unirsi a CREPA, vero?»

«No, non è vero! Se proprio lo vuoi sapere, lui… lui ha detto che veniva in biblioteca tutti i giorni per cercare di parlare con me, ma non trovava il coraggio!» disse precipitosamente Hermione, e arrossì tanto da diventare dello stesso colore del vestito di Calì.

«Si, certo… questo è quello che dice lui» disse Ron maligno.

«E con ciò che cosa vorresti dire?»

«È ovvio, no? Lui è uno studente di Karkaroff, no? Lui sa chi frequenti… sta solo cercando di avvicinarsi a Harry… di ottenere informazioni riservate su di lui… o di avvicinarsi quel tanto che basta per stregarlo…»

Sembrava che Ron l’avesse schiaffeggiata. Quando parlò, la voce di Hermione tremava di rabbia. «Per tua informazione, non mi ha chiesto una singola cosa a proposito di Harry, non una…»

Ron cambiò strategia alla velocità della luce. «Allora spera che tu lo aiuti a scoprire che cosa vuol dire il suo uovo! Immagino che vi siate ben consultati in quei vostri incontri ravvicinati in biblioteca…»

«Non lo aiuterei mai a scoprire che cosa dice l’uovo!» esclamò Hermione, fuori di sé. «Mai! Come hai potuto dire una cosa del genere… io voglio che Harry vinca il Torneo! Harry lo sa, vero, Harry?»

«Hai uno strano modo di dimostrarlo» disse Ron sarcastico.

«Il Torneo ha lo scopo di mettere in contatto maghi stranieri e fare amicizia con loro!» disse Hermione con voce acuta.

«No, non è vero!» urlò Ron. «Lo scopo è vincere!»

Gli altri ragazzi cominciavano a guardarli.

«Ron» disse Harry piano, «non mi dà nessun fastidio che Hermione sia venuta al ballo con Krum…»

Ma Ron ignorò anche Harry.

«Perché non vai a cercare Vicky? Si starà chiedendo dove sei finita» disse.

«Non chiamarlo Vicky!» Hermione balzò in piedi e corse via sulla pista da ballo. Ben presto scomparve tra la folla.

Ron la guardò allontanarsi con un misto di rabbia e soddisfazione.

«Hai intenzione di invitarmi a ballare?» gli chiese Padma.

«No» rispose Ron, continuando a guardare torvo nella direzione di Hermione.

«Bene» sbottò Padma, e si alzò per andare a raggiungere Calì e il ragazzo di Beauxbatons, che riuscì a recuperare un amico tanto in fretta che Harry pensò che avesse usato un Incantesimo di Appello.

«Dov’è Herr-Mioni?» disse una voce.

Krum era appena arrivato al loro tavolo con due Burrobirre.

«Non ne ho idea» rispose Ron ostinato, guardandolo di sottecchi. «L’hai persa, eh?»

Krum era di nuovo arcigno.

«Be’, se fedete lei, dite che ho da bere» disse, e andò via dondolando.

«Hai fatto amicizia con Viktor Krum, eh, Ron?»

Percy si avvicinò scattante, sfregandosi le mani con aria molto pomposa. «Ottimo! È questo lo scopo, sai… Cooperazione Magica Internazionale!»

Con gran fastidio di Harry, prese immediatamente il posto lasciato libero da Padma. Il tavolo dei giudici era vuoto; il professor Silente ballava con la professoressa Sprite; Ludo Bagman con la professoressa McGranitt; Madame Maxime e Hagrid aprivano un ampio varco sulla pista mentre volteggiavano tra gli studenti e Karkaroff era sparito. Quando la canzone successiva fu finita, tutti applaudirono di nuovo, e Harry vide Ludo Bagman fare il baciamano alla professoressa McGranitt e tornare tra la folla: in quel momento gli si avvicinarono Fred e George.

«Che cosa credono di fare, infastidire un membro anziano del Ministero?» sibilò Percy, osservando con sospetto Fred e George. «Non hanno nessun rispetto…»

Ma Ludo Bagman si liberò in fretta di Fred e George; poi vide Harry, agitò la mano e si avvicinò al loro tavolo.

«Spero che i miei fratelli non la stessero disturbando, signor Bagman» disse subito Percy.

«Cosa? Oh, niente affatto, niente affatto!» disse Bagman. «No, mi stavano solo dicendo qualcosa di più di quelle loro bacchette finte. Forse posso dar loro una mano per metterle in commercio. Ho promesso di metterli in contatto con un paio di conoscenze che ho all’Emporio degli Scherzi di Zonko…»

Percy non parve affatto felice, e Harry era pronto a scommettere che si sarebbe precipitato a raccontare tutto alla signora Weasley non appena tornato a casa. A quanto pareva i progetti di Fred e George erano diventati ancora più ambiziosi ultimamente, se speravano di vendere al pubblico.

Bagman aprì la bocca per chiedere qualcosa a Harry, ma Percy lo interruppe. «Come le sembra che stia andando il Torneo, signor Bagman? Il nostro Ufficio è piuttosto soddisfatto… quell’intoppo con il Calice di Fuoco…» — scoccò un’occhiata a Harry — «è stato leggermente spiacevole, certo, ma da allora pare che le cose siano filate lisce, non crede?»

«Oh, sì» disse Bagman allegramente, «ci si diverte un sacco. Come sta il vecchio Barty? Peccato che non sia potuto venire».

«Oh, sono certo che il signor Crouch si rimetterà molto in fretta» disse Percy solennemente, «ma nel frattempo sono più che disposto a dargli una mano. Naturalmente non si tratta solo di venire ai balli» — rise con leggerezza — «oh no, ho avuto a che fare con ogni genere di cose saltate fuori durante la sua assenza: avete sentito che Alì Bashir è stato sorpreso a contrabbandare un carico di tappeti volanti nel paese? E stiamo cercando di convincere i Transilvani a firmare il Bando Internazionale dei Duelli. Ho un incontro con il loro Capo della Cooperazione Magica all’inizio dell’anno nuovo…»

«Andiamo a fare due passi» borbottò Ron a Harry, «andiamo via da Percy…»

Fingendo di avere sete, Harry e Ron si allontanarono dal tavolo, costeggiarono la pista da ballo e uscirono nella Sala d’Ingresso. Il portone era ancora aperto, e le luci danzanti delle fatine nel giardino delle rose baluginavano e scintillavano mentre loro due scendevano i gradini. Poi si trovarono circondati da cespugli, tortuosi sentieri ornamentali e grandi statue di pietra. Harry sentì un gocciolio: sembrava proprio una fontana. Qua e là, panchine intagliate ospitavano ragazzi e ragazze. Harry e Ron s’incamminarono lungo uno dei viottoli tortuosi attraverso i cespugli di rose, ma avevano fatto pochi passi quando udirono una voce sgradevolmente familiare.

«… non vedo che cosa c’è da agitarsi tanto, Igor».

«Severus, non puoi fingere che non stia succedendo niente!» La voce di Karkaroff era bassa e ansiosa, come se si sforzasse di non farsi sentire da altri. «È diventato sempre più evidente negli ultimi mesi, sono davvero preoccupato, non posso negarlo…»

«Allora scappa» disse bruscamente la voce di Piton. «Vattene, farò io le tue scuse. Io, comunque, rimango a Hogwarts».

Piton e Karkaroff svoltarono l’angolo. Piton aveva la bacchetta in mano, e faceva saltar via i cespugli di rose, con un cipiglio decisamente ostile. Da molti dei cespugli si levarono strilli e spuntarono sagome scure.

«Dieci punti in meno per Tassorosso, Fawcett!» sibilò Piton a una ragazza in fuga. «E dieci punti in meno anche per Corvonero, Stebbins!» a un ragazzo che la segui di corsa. «E voi due che cosa state facendo?» aggiunse, notando Harry e Ron sul sentiero davanti a sé. Karkaroff, osservò Harry, parve piuttosto preoccupato di vederli lì. La mano gli corse nervosamente al pizzetto, e cominciò a riarrotolarselo sul dito.

«Stiamo camminando» rispose Ron asciutto. «Non è contro la legge, vero?»

«Continuate a camminare, allora!» sibilò Piton, e li oltrepassò velocemente, il lungo mantello nero che ondeggiava alle sue spalle. Karkaroff lo seguì di corsa. Harry e Ron ripresero a scendere il sentiero.

«Che cos’è che preoccupa tanto Karkaroff?» borbottò Ron.

«E da quando lui e Piton si danno del tu?» aggiunse Harry piano.

Avevano raggiunto una grossa renna di pietra, su cui zampillava l’acqua scintillante di un’alta fontana. Su una panchina accanto spiccavano le nere sagome di due esseri enormi, intenti a guardare l’acqua alla luce della luna. E poi Harry udì la voce di Hagrid.

«L’ho capito dal primo momento che ti ho vista» stava dicendo, con voce curiosamente roca.

Harry e Ron rimasero paralizzati. Non era proprio il genere di situazione da interrompere bruscamente… Harry si guardò intorno, su per il sentiero, e vide Fleur Delacour e Roger Davies seminascosti dietro un cespuglio di rose lì vicino. Diede un colpetto a Ron sulla spalla e fece cenno con la testa verso di loro, per dire che potevano sgattaiolare via da quella parte senza farsi notare (Fleur e Davies gli parvero parecchio indaffarati), ma Ron, gli occhi sgranati dall’orrore alla vista di Fleur, scosse vigorosamente la testa e trascinò Harry nell’ombra fitta dietro la renna.

«Che cosa hai capito, Agrìd?» disse Madame Maxime, con voce talmente bassa che sembrava stesse facendo le fusa.

Harry non aveva nessuna intenzione di stare a sentire; Hagrid avrebbe detestato essere spiato in una situazione del genere (Harry personalmente non l’avrebbe sopportato): potendo, si sarebbe infilato le dita nelle orecchie e avrebbe cominciato a canticchiare ad alta voce, ma non era certo una soluzione praticabile. Invece cercò di concentrarsi su uno scarabeo che zampettava lungo la schiena della renna di pietra, ma lo scarabeo non era abbastanza interessante da fargli ignorare le parole che seguirono.

«Lo sapevo e basta… sapevo che tu eri come me… era tua mamma o tuo papà?»

«Io… io non so tu che vuole dire, Agrìd…»

«Per me era mia mamma» disse Hagrid piano. «Era una delle ultime della Gran Bretagna. Certo che non me la ricordo tanto bene… è andata via, sai. Quando avevo tre anni. Non era il tipo materno, proprio no. Be’… non fa parte della loro natura, vero? Non so cosa ci è successo… potrebbe anche essere morta per quello che ne so…»

Madame Maxime non disse niente. E Harry, suo malgrado, distolse gli occhi dallo scarabeo e guardò oltre la renna, ascoltando… non aveva mai sentito Hagrid parlare della sua infanzia prima d’allora.

«Al mio papà ci si è spezzato il cuore quando è andata via. Un piccoletto, era mio papà. A sei anni riuscivo a tirarlo su e metterlo in cima alla credenza se mi sgridava. Lo facevo ridere tanto…» La voce profonda di Hagrid si spezzò. Madame Maxime lo ascoltava immobile, fissando, almeno in apparenza, la fontana argentata. «È stato lui a tirarmi su… ma è morto subito dopo che ho cominciato la scuola. Da allora ho dovuto arrangiarmi. Silente è stato un grande aiuto, sai. Tanto gentile con me, è stato…»

Hagrid tirò fuori un fazzolettone di seta tutto macchiato e si soffiò il naso con una gran pernacchia. «Così… comunque… su di me ho già detto abbastanza. E tu? Di che origini sei?»

Ma Madame Maxime si era improvvisamente alzata in piedi.

«Fa freddo» disse, ma quale che fosse il tempo, non era nemmeno remotamente freddo come la sua voce. «Io torna dentro».

«Eh?» esclamò Hagrid smarrito. «No, non andare! Io… io non ne ho mai incontrato un altro prima d’ora!»

«Un altro che cosa, esattamonte?» chiese Madame Maxime, in tono gelido.

Se avesse potuto, Harry avrebbe detto a Hagrid che era meglio non rispondere; invece rimase lì nell’ombra, stringendo i denti, sperando con tutto se stesso che non succedesse… ma fu inutile.

«Un altro Mezzogigante, naturalmente!» disse Hagrid.

«Come osi!» strillò Madame Maxime. La sua voce rimbombò come una sirena nella quieta aria notturna; alle spalle di Harry, Fleur e Roger furono sbalzati via dal loro cespuglio di rose. «Nessuno mai ha insultato me in tutta la vita! Mezzagigonte? Moi? Ho solo le ossa grondi

E scappò; ampi sciami multicolori di fatine si levarono nell’aria mentre passava spazzando via i cespugli. Hagrid rimase seduto sulla panchina a guardarla. Era troppo buio per vedere la sua faccia. Poi, dopo un minuto, si alzò e si allontanò, non in direzione del castello, ma dall’altra parte, nel parco oscuro, verso la sua capanna.

«Dai» disse Harry a Ron, molto piano. «Andiamo…»

Ma Ron non si mosse.

«Che cosa c’è?» chiese Harry.

Ron si voltò verso Harry, con espressione davvero molto seria.

«Lo sapevi?» sussurrò. «Che Hagrid era Mezzogigante’?»

«No» rispose Harry con un’alzata di spalle. «E allora?»

Dall’occhiata di Ron capì all’istante che stava rivelando una volta ancora la sua scarsa conoscenza del mondo magico. Era stato cresciuto dai Dursley, e quindi c’erano molte cose che i maghi davano per scontate e che per lui erano rivelazioni: ma queste sorprese erano diminuite da quando era entrato a scuola. In quel momento, però, si rese conto che la maggior parte dei maghi non avrebbe detto «E allora?» scoprendo che uno dei loro amici aveva per madre una gigantessa.

«Ti spiego quando siamo dentro» disse Ron piano. «Dai…»

Fleur e Roger Davies erano spariti, probabilmente in un cespuglio più intimo. Harry e Ron fecero ritorno nella Sala Grande. Calì e Padma sedevano a un tavolo lontano con una folla intera di ragazzi di Beauxbatons, e Hermione stava ballando ancora con Krum. Harry e Ron presero posto a un tavolo piuttosto lontano dalla pista da ballo.

«Allora?» Harry incalzò Ron. «Che cos’hanno i giganti?»

«Be’, sono… sono…» Ron si sforzò di trovare le parole. «Ehm… poco simpatici» concluse debolmente.

«E allora?» disse Harry. «Hagrid è a posto!»

«Lo so, ma… accidenti, non mi meraviglio che non ci tenga a farlo sapere» rispose Ron, scuotendo la testa. «Ho sempre creduto che fosse incappato in un brutto Incantesimo di Ingozzamento da piccolo, o roba del genere. Non voleva parlarne…»

«Ma chi se ne importa se sua madre era una gigantessa?»

«Be’… a nessuno di quelli che lo conoscono importerà niente, perché sanno che non è pericoloso» disse Ron lentamente. «Ma… Harry, sono malvagi, i giganti. È come ha detto Hagrid, è nella loro natura, sono come i troll… gli piace uccidere, lo sanno tutti. Comunque in Gran Bretagna non ce ne sono più».

«Che cosa gli è successo?»

«Be’, si stavano estinguendo comunque, e un sacco sono stati uccisi dagli Auror. Dovrebbero esserci dei giganti all’estero, però… si nascondono soprattutto sulle montagne…»

«Ma chi vuole prendere in giro, quella Maxime?» disse Harry, osservando Madame Maxime seduta da sola al tavolo dei giudici, con aria molto cupa. «Se Hagrid è un Mezzogigante, allora lo è anche lei. Ossa grandi… la sola cosa con ossa più grandi delle sue è un dinosauro».

Harry e Ron passarono il resto della festa a discutere di giganti nel loro angolino, visto che nessuno dei due aveva alcuna voglia di ballare. Harry cercò di ignorare Cho e Cedric; quei due gli mettevano addosso una gran voglia di prendere a calci qualcosa.

Quando a mezzanotte le Sorelle Stravagarie smisero di suonare, tutti rivolsero loro un ultimo, sonoro scroscio di applausi, e cominciarono ad avviarsi verso la Sala d’Ingresso. Molti ragazzi dicevano che avrebbero voluto che il ballo durasse di più, ma Harry fu assolutamente felice di andare a dormire; per quello che lo riguardava, la serata non era stata granché divertente.

Fuori nella Sala d’Ingresso, Harry e Ron videro Hermione augurare la buonanotte a Krum prima che lui facesse ritorno alla nave di Durmstrang. Lei rivolse a Ron un’occhiata gelida, e lo superò di corsa su per la scalinata di marmo, senza dire una parola. Harry e Ron la seguirono, ma a metà della scalinata Harry si sentì chiamare.

«Ehi… Harry!»

Era Cedric Diggory. Saliva di corsa le scale per raggiungerlo, mentre Cho aspettava di sotto nell’Ingresso.

«Sì?» disse Harry freddamente.

Cedric esitò, lasciando capire di voler parlare a quattr’occhi con Harry. Ron scrollò le spalle stizzito e continuò a salire da solo.

«Senti…» Cedric abbassò la voce mentre Ron spariva. «Mi hai detto dei draghi, quindi ti devo un favore. Sai l’uovo d’oro? Il tuo ulula quando lo apri?»

«Sì» rispose Harry.

«Be’… fatti un bagno, ok?»

«Cosa?»

«Fatti un bagno, e… ehm… porta con te l’uovo, e… ehm… pensaci su nell’acqua calda. Ti aiuterà a riflettere… fidati».

Harry lo guardò sbalordito.

«E te ne dico un’altra» aggiunse Cedric. «Usa il bagno dei Prefetti. Quarta porta a sinistra della statua di Boris il Basito al quinto piano. La parola d’ordine è Frescopino. Devo andare… volevo dare la buonanotte…»

Fece un altro gran sorriso a Harry e corse giù per le scale da Cho.

Harry tornò alla Torre di Grifondoro da solo. Era un consiglio estremamente bizzarro. Perché mai un bagno avrebbe dovuto aiutarlo a capire che cosa voleva dire l’uovo ululante? Cedric lo stava prendendo in giro? Stava cercando di fargli fare la figura dell’idiota, cosi Cho per contro lo avrebbe ammirato ancora di più?

La Signora Grassa e la sua amica Vi russavano nel ritratto sopra il buco. Harry dovette strillare «Luci fatate!» per svegliarle, cosa che le irritò parecchio. Salì nella sala comune, e là trovò che Ron e Hermione stavano litigando furiosamente: a tre metri di distanza l’uno dall’altra, si urlavano addosso, rossi in faccia.

«Be’, se non ti va, lo sai qual è la soluzione, eh?» gridò Hermione; i capelli le stavano crollando dalla crocchia elegante, e il suo volto era contratto dalla rabbia.

«Ah sì?» urlò Ron di rimando. «E qual è?»

«La prossima volta che c’è un ballo, invitami prima che lo faccia qualcun altro, e non come ultima spiaggia!»

Ron aprì e chiuse la bocca senza parlare come un pesce rosso fuori dall’acqua, mentre Hermione girava sui tacchi e correva su per la scala delle ragazze. Ron si voltò a guardare Harry.

«Be’» farfugliò, folgorato, «be’… questo dimostra solo… non ha proprio capito…»

Harry non disse nulla. Era troppo contento di essere di nuovo amico di Ron per dire la sua in quel momento: ma dentro di sé pensava che Hermione avesse capito molto più di Ron.

CAPITOLO 24

LO SCOOP DI RITA SKEETER

Il 26 dicembre tutti si svegliarono tardi. La sala comune di Grifondoro era molto più tranquilla di quanto non fosse stata ultimamente, e frequenti sbadigli punteggiavano le pigre conversazioni. I capelli di Hermione erano di nuovo crespi; confessò a Harry di aver usato una gran quantità della Tricopozione Lisciariccio per il ballo, «ma è troppo complicato farlo tutti i giorni» concluse in tono pratico, grattando dietro le orecchie un Grattastinchi impegnato a fare le fusa.

Ron e Hermione parevano aver raggiunto un tacito accordo: non parlare della loro lite. Erano piuttosto amichevoli l’uno verso l’altra, anche se stranamente formali. Ron e Harry comunque le raccontarono subito della conversazione tra Madame Maxime e Hagrid, ma Hermione, a differenza di Ron, non trovò affatto spaventosa la notizia che Hagrid fosse un Mezzogigante.

«Be’, me lo immaginavo» disse, alzando le spalle. «Sapevo che non poteva essere un gigante puro, perché sono alti sei metri. Ma sinceramente, tutta questa agitazione per i giganti… Non possono essere tutti terribili… è lo stesso tipo di pregiudizio che la gente nutre nei confronti dei Lupi Mannari… è solo fanatismo, no?»

Ron aveva l’aria di voler ribattere qualcosa di tagliente, ma forse non voleva scatenare un’altra lite, perché si accontentò di scuotere la testa incredulo mentre Hermione non lo guardava.

Era giunto il momento di pensare ai compiti che avevano trascurato durante la prima settimana di vacanza. Tutti sembravano piuttosto giù di tono, ora che il Natale era passato: o meglio, tutti tranne Harry che cominciava (di nuovo) a sentirsi un po’ nervoso.

Il guaio era che il 24 febbraio sembrava molto più vicino visto da questo versante del Natale, e lui non aveva ancora fatto niente per decifrare l’indovinello dentro l’uovo d’oro. Quindi cominciò a tirar fuori l’uovo dal baule tutte le volte che saliva al dormitorio, ad aprirlo e ad ascoltare attentamente, nella speranza che questa volta l’ululato avrebbe avuto un senso. Si sforzò di pensare che cosa gli ricordava quel suono, a parte trenta Seghe Musicali, ma non aveva mai sentito niente del genere. Chiuse l’uovo, lo scosse vigorosamente e lo riaprì per vedere se i rumori erano cambiati, ma niente da fare. Cercò di interrogare l’uovo, strillando più forte dei suoi gemiti, ma non successe nulla. Arrivò a scagliare l’uovo attraverso la stanza, anche se non si aspettava davvero che servisse.

Harry non aveva dimenticato il suggerimento di Cedric, ma i sentimenti men che amichevoli che nutriva nei suoi confronti al momento comportavano che preferiva non accettare il suo aiuto se poteva farne a meno. E comunque, se Cedric voleva davvero dargli una mano, avrebbe dovuto essere molto più esplicito. Lui, Harry, gli aveva detto esattamente che cosa sarebbe successo nella prima prova: e Cedric lo ricambiava dicendogli di farsi un bagno. Be’, non aveva bisogno di quella schifezza di suggerimento: e soprattutto non da parte di uno che continuava a camminare per i corridoi mano nella mano con Cho. E così giunse il primo giorno del nuovo trimestre, e Harry scese per andare a lezione, carico di libri, pergamene e penne come al solito, ma anche con il pensiero fisso dell’uovo che gli pesava sullo stomaco, come se lo avesse mangiato.

La neve era ancora alta nel parco, e nella classe di Erbologia le finestre della serra erano coperte di una condensa così fitta che non si riusciva a vedere fuori. Nessuno aveva una gran voglia di andare a Cura delle Creature Magiche visto il tempo, anche se, come osservò Ron, gli Schiopodi probabilmente li avrebbero aiutati a scaldarsi, o rincorrendoli o sparando scintille con tanta forza da appiccare il fuoco alla capanna di Hagrid.

Ma quando arrivarono, trovarono davanti alla porta una vecchia strega coi capelli grigi tagliati cortissimi e il mento molto pronunciato.

«Muovetevi, allora, la campana è suonata cinque minuti fa» abbaiò contro di loro, mentre avanzavano a fatica nella neve.

«Chi è lei?» disse Ron, fissandola. «Dov’è Hagrid?»

«Mi chiamo professoressa Caporal» disse lei in tono brusco, «e sono la vostra supplente di Cura delle Creature Magiche».

«Dov’è Hagrid?» ripeté Harry a voce alta.

«È indisposto» rispose seccamente la professoressa Caporal.

Harry udì alle sue spalle un suono di risate basse e sgradevoli. Si voltò: Draco Malfoy e il resto dei Serpeverde erano in arrivo. Erano tutti giulivi, e nessuno parve sorpreso di vedere la professoressa Caporal.

«Da questa parte, prego» disse quest’ultima, avanzando lungo il recinto degli enormi cavalli di Beauxbatons, che tremavano di freddo. Harry, Ron e Hermione la seguirono, guardando verso la capanna di Hagrid. Tutte le tende erano tirate. Hagrid era là dentro, solo e malato?

«Che cos’ha Hagrid?» disse Harry, affrettandosi a raggiungere l’insegnante.

«Non è affar tuo» rispose lei.

«Invece si» ribatté Harry infervorato. «Che cosa gli è successo?»

La professoressa Caporal finse di non sentirlo. Li guidò oltre il recinto che ospitava i cavalli di Beauxbatons, rannicchiati l’uno contro l’altro per difendersi dal freddo, verso un albero al limitare della Foresta, dov’era legato un grosso, bell’esemplare di unicorno.

Un coro di «Oooooh!» si levò dalle ragazze.

«Oh, è così bello!» sussurrò Lavanda Brown. «Come ha fatto? Devono essere difficilissimi da catturare!»

L’unicorno era di un bianco cosi splendente che a confronto la neve sembrava grigia. Grattava il suolo nervosamente con gli zoccoli d’oro, gettando indietro la testa cornuta.

«I ragazzi stiano indietro!» abbaiò la professoressa Caporal, tendendo un braccio e urtando forte Harry in pieno petto. «Preferiscono il tocco femminile, gli unicorni. Le ragazze davanti, e avvicinatevi con cautela. Avanti, adagio!»

Lei e le ragazze avanzarono lentamente verso l’unicorno, lasciando i ragazzi indietro, vicino alla staccionata, a guardare.

Nell’istante in cui la professoressa Caporal fu fuori tiro, Harry si rivolse a Ron. «Che cosa credi che abbia? Non pensi che uno Schiopodo…?»

«Oh, non è stato aggredito, Potter, se è questo che temi» disse Malfoy piano. «No, è solo che si vergogna troppo a far vedere quel suo brutto faccione».

«Che stai dicendo?» esclamò Harry brusco.

Malfoy infilò la mano nella tasca dell’abito e ne estrasse un foglio di giornale piegato.

«Ecco qui» disse. «Mi dispiace così tanto di essere io il latore, Potter…»

Sogghignò mentre Harry afferrava il foglio, lo spiegava e leggeva, con Ron, Seamus, Dean e Neville sopra la sua spalla. Era un articolo corredato di una foto di Hagrid con l’aria decisamente imbarazzata.

L’ERRORE GIGANTESCO DI SILENTE

Albus Silente, eccentrico Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, non ha mai avuto paura di fare scelte discutibili in fatto di personale docente, scrive Rita Skeeter, inviato speciale. A settembre di quest’anno ha assunto Alastor «Malocchio» Moody, il noto ex Auror iettatore, per insegnare Difesa contro le Arti Oscure, una decisione che ha fatto aggrottare molte fronti al Ministero della Magia, data la ben nota abitudine di Moody di aggredire chiunque faccia un movimento brusco in sua presenza. Malocchio Moody, comunque, sembra gentile e responsabile, se confrontato con il semiumano che Silente ha assunto per insegnare Cura delle Creature Magiche.

Rubeus Hagrid, che ammette di essere stato espulso da Hogwarts al terzo anno, da allora si gode il posto di guardiacaccia, lavoro garantitogli da Silente. Lo scorso anno, però, Hagrid ha fatto uso della sua misteriosa influenza sul Preside per assicurarsi anche il posto di insegnante di Cura delle Creature Magiche, davanti a parecchi candidati con migliori credenziali.

Hagrid, decisamente enorme e feroce di aspetto, ha usato l’autorità da poco acquisita per terrorizzare gli studenti a lui affidati con una successione di orrende creature. Mentre Silente finge di non vedere, Hagrid ha causato menomazioni a parecchi allievi durante una serie di lezioni che molti ammettono essere state «decisamente spaventose». «Io sono stato aggredito da un Ippogrifo, e il mio amico Vìncent Tiger si è preso un brutto morso da un Vermicolo» dichiara Draco Malfoy, uno studente del quarto anno. «Tutti quanti detestiamo Hagrid, ma abbiamo troppa paura per parlare».

Hagrid non intende comunque porre fine alla sua campagna intimidatoria. Nel corso della sua conversazione con un inviato della Gazzetta del Profeta il mese scorso, ha ammesso di allevare creature che ha battezzato «Schiopodi Sparacoda»: si tratta di un incrocio altamente pericoloso tra una Manticora e un Fiammagranchio. La creazione di nuove razze di creature magiche è, come tutti sanno, un’attività generalmente tenuta sotto stretto controllo dall’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Hagrid, a quanto pare, si considera al di sopra di queste futili restrizioni.

«Mi stavo solo divertendo un po’» ha dichiarato prima di cambiare argomento in fretta e furia.

Come se non bastasse, la Gazzetta del Profeta ha ora scoperto le prove del fatto che Hagrid non è — come ha sempre finto di essere — un mago purosangue. In effetti non è nemmeno un umano purosangue. Siamo in grado di rivelare in esclusiva che sua madre è nientemeno che la gigantessa Fridwulfa, il cui domicilio è attualmente sconosciuto.

Sanguinari e violenti, i giganti sono arrivati alla soglia dell’estinzione combattendo gli uni contro gli altri nel corso dell’ultimo secolo. I pochi superstiti si sono uniti a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, e si sono macchiati di alcune delle più terribili stragi di Babbani del suo regno di terrore.

Mentre molti dei giganti che hanno servito Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sono stati uccisi dagli Auror in lotta contro il Lato Oscuro, Fridwulfa non era tra di loro. È possibile che sia fuggita in una delle comunità di giganti ancora esistenti tra monti stranieri. Se le sue bizzarrie nel corso delle lezioni di Cura delle Creature Magiche significano qualcosa, comunque, il figlio di Fridwulfa sembra aver ereditato la sua natura violenta.

Per un bizzarro scherzo del fato, Hagrid pare aver stretto una salda amicizia con il ragazzo che ha provocato la caduta di Voi-Sapete-Chi, costringendo di conseguenza la propria stessa madre, come il resto dei sostenitori di Voi-Sapete-Chi, a nascondersi. Forse Harry Potter non conosce la sgradevole verità sul suo grosso amico: ma Albus Silente certo ha il dovere di garantire che Harry Potter, con i suoi compagni, sia messo in guardia contro i pericoli che corre chi frequenta Mezzigiganti.

Harry finì di leggere e guardò Ron, che era rimasto a bocca aperta.

«Come ha fatto a scoprirlo?» sussurrò.

Ma non era questo a infastidire Harry.

«Cosa vorrebbe dire, “Tutti quanti detestiamo Hagrid”?» esplose rivolto a Malfoy. «Che cosa sono quelle sciocchezze sul fatto che lui» e indicò Tiger, «sarebbe stato morso da un Vermicolo? Non hanno nemmeno i denti!»

Tiger ridacchiava, decisamente compiaciuto.

«Be’, credo che con questo la carriera di insegnante di quel deficiente dovrebbe essere finita» disse Malfoy, con gli occhi che brillavano. «Mezzogigante… e io che pensavo che si fosse trangugiato una bottiglia di Crescicresci da piccolo… ai nostri genitori questa faccenda non andrà proprio giù… avranno paura che si mangi i loro figli, ah, ah…»

«Tu…»

«Ehi, laggiù, state guardando?»

La voce della professoressa Caporal raggiunse i ragazzi; le ragazze erano tutte attorno all’unicorno, e lo accarezzavano. Harry era così arrabbiato che l’articolo della Gazzetta del Profeta gli tremò fra le mani mentre si voltò a guardare (senza vederlo) l’unicorno, di cui la professoressa Caporal stava elencando le molte proprietà magiche a voce alta, in modo che sentissero anche i ragazzi.

«Spero tanto che resti, quella donna!» disse Calì Patil a lezione finita, mentre stavano tornando al castello per pranzo. «È così che mi sono sempre immaginata Cura delle Creature Magiche… creature come si deve come gli unicorni, non dei mostri…»

«E a Hagrid non pensi?» esclamò Harry arrabbiato mentre salivano la scala.

«Hagrid?» rispose Calì con voce dura. «Può sempre fare il guardiacaccia, no?»

Da dopo il ballo Calì era molto fredda con Harry. Lui sospettava che avrebbe dovuto dedicarle più attenzioni, ma lei pareva comunque essersi divertita un mondo. Di certo raccontava a tutti che si sarebbe incontrata con il ragazzo di Beauxbatons il prossimo fine settimana a Hogsmeade.

«È stata una gran bella lezione» commentò Hermione mentre entravano nella Sala Grande. «Non sapevo la metà delle cose che la professoressa Caporal ci ha detto sugli uni…»

«Guarda qua!» ringhiò Harry, ficcandole sotto il naso l’articolo della Gazzetta del Profeta.

Hermione rimase a bocca aperta mentre leggeva. La sua reazione fu esattamente la stessa di Ron. «Come ha fatto quell’orrida Skeeter a scoprirlo? Non è possibile che gliel’abbia detto Hagrid!»

«No» rispose Harry, avanzando verso il tavolo di Grifondoro e lasciandosi cadere su una sedia, furioso. «Non l’ha mai detto nemmeno a noi, no? Suppongo che fosse così arrabbiata perché lui non gli ha detto un sacco di roba schifosa su di me che è andata in giro a ficcare il naso per vendicarsi».

«Forse ha sentito quando lui l’ha detto a Madame Maxime al ballo» disse Hermione piano.

«L’avremmo vista in giardino!» esclamò Ron. «E poi non ha più il permesso di girare a scuola, Hagrid ha detto che Silente l’ha buttata fuori…»

«Forse ha un Mantello dell’Invisibilità» disse Harry, servendosi di pollo in umido con tanta veemenza che schizzò sugo dappertutto. «È proprio il genere di cosa che farebbe, nascondersi nei cespugli a spiare la gente».

«Come avete fatto tu e Ron, vuoi dire» disse Hermione.

«Noi non l’abbiamo fatto apposta!» disse Ron indignato. «Non avevamo scelta! Quell’idiota, parlare della sua mamma gigantessa dove chiunque poteva sentirlo!»

«Dobbiamo andare a trovarlo» disse Harry. «Questa sera, dopo Divinazione. Dobbiamo dirgli che lo rivogliamo… Tu lo rivuoi?» scattò, rivolto a Hermione.

«Io… be’, non voglio far finta che non sia stata una piacevole novità, seguire per una volta una vera lezione di Cura delle Creature Magiche… ma certo che voglio indietro Hagrid, è ovvio!» aggiunse in fretta Hermione, intimidita dallo sguardo furibondo di Harry.

Così quella sera dopo cena il terzetto uscì di nuovo dal castello e discese i prati ghiacciati verso la capanna di Hagrid. Bussarono. A rispondere furono i latrati cavernosi di Thor.

«Hagrid, siamo noi!» gridò Harry, picchiando sulla porta. «Apri!»

Non rispose. Sentirono Thor grattare alla porta, mugolando, ma quella non si aprì. La tempestarono per altri dieci minuti; Ron andò anche a bussare forte a una finestra, ma non ci fu risposta.

«Perché ci evita?» disse Hermione, quando finalmente si furono arresi e s’incamminarono di nuovo verso la scuola. «Non crederà che c’importi che è un Mezzogigante?»

Ma evidentemente a Hagrid importava. Per tutta la settimana non si fece vivo. Non comparve al tavolo degli insegnanti alle ore dei pasti, non lo videro svolgere i suoi compiti di guardiacaccia nel parco, e la professoressa Caporal continuò a insegnare Cura delle Creature Magiche. Malfoy gongolava a più non posso.

«Ti manca il tuo amichetto?» continuava a sussurrare a Harry tutte le volte che c’era un insegnante nei paraggi, in modo da sfuggire alla vendetta. «Ti manca l’Uomo-Elefante?»

A metà di gennaio era prevista una gita a Hogsmeade. Hermione fu molto sorpresa che Harry contasse di andarci.

«Credevo che avresti approfittato del fatto che la sala comune sarà tranquilla» disse. «Che ti saresti messo a lavorare sul serio su quell’uovo».

«Oh, io… io credo di sapere di che cosa si tratta» mentì Harry.

«Davvero?» disse Hermione, colpita. «Bravo!»

Lo stomaco di Harry si contorse per i sensi di colpa, ma lui decise di ignorarlo. Aveva ancora cinque settimane per risolvere l’indovinello dell’uovo, dopotutto, e praticamente erano secoli… e se andava a Hogsmeade, magari avrebbe incontrato Hagrid, e avrebbe potuto convincerlo a tornare.

Il sabato, lui, Ron e Hermione uscirono insieme dal castello, e si diressero al cancello attraverso il parco freddo e bagnato. Mentre passavano davanti alla nave di Durmstrang ancorata nel lago, videro Viktor Krum salire in coperta, con addosso solo un costume da bagno. Era davvero magro, ma evidentemente molto più forte di quel che sembrava, perché si arrampicò sul fianco della nave, tese le braccia e si tuffò dritto nel lago.

«È pazzo!» disse Harry, fissando la testa scura di Krum che rispuntava in mezzo allo specchio d’acqua. «Dev’essere gelato, siamo in gennaio!»

«Dalle sue parti fa molto più freddo» disse Hermione. «Magari qui per lui è abbastanza caldino».

«Sì, ma c’è sempre la piovra gigante» disse Ron. Non sembrava preoccupato: speranzoso, semmai. Hermione notò il suo tono di voce e si accigliò.

«È davvero simpatico, sai» disse. «Non è affatto come uno potrebbe immaginare, visto che è di Durmstrang. Mi ha detto che gli piace molto di più qui da noi».

Ron tacque. Non aveva nominato Krum dal ballo, ma il 26 dicembre Harry aveva trovato sotto il suo letto un braccino in miniatura che sembrava strappato via da una bambolina vestita con i colori della squadra di Quidditch della Bulgaria.

Harry tenne gli occhi bene aperti in cerca di Hagrid per tutta la High Street invasa dal fango, e una volta scoperto che Hagrid non si trovava in nessuno dei negozi suggerì una visita ai Tre Manici di Scopa.

Il pub era affollato come al solito, ma una rapida occhiata a tutti i tavoli disse a Harry che Hagrid non c’era. Col cuore pesante, si avvicinò al bancone con Ron e Hermione, ordinò tre Burrobirre a Madama Rosmerta e si disse cupamente che dopotutto avrebbe fatto meglio a restare a casa ad ascoltare l’uovo ululante.

«Ma non ci va mai in ufficio?» sussurrò Hermione all’improvviso. «Guardate!»

Indicò lo specchio dietro il bancone, e Harry vi vide riflesso Ludo Bagman, seduto in un angolo nella penombra con un gruppo di goblin. Bagman parlava molto in fretta a voce bassa con i goblin, che tenevano tutti le braccia incrociate e avevano l’aria piuttosto minacciosa.

Era davvero strano, pensò Harry, che Bagman si trovasse lì ai Tre Manici di Scopa in un fine settimana privo di eventi legati al Torneo Tremaghi, e quindi senza obblighi di giurato. Osservò Bagman nello specchio. Sembrava di nuovo teso, quasi come la notte nella foresta prima della comparsa del Marchio Oscuro. Ma proprio in quell’istante Bagman guardò verso il bancone, vide Harry e si alzò.

«Un attimo, un attimo!» Harry lo udì dire bruscamente ai goblin, e Bagman gli si avvicinò di fretta, il ghigno fanciullesco di nuovo al suo posto.

«Harry!» esclamò. «Come stai? Speravo proprio di incontrarti! Va tutto bene?»

«Bene, grazie» rispose Harry.

«Posso parlarti a quattr’occhi, Harry? È una cosa veloce» disse Bagman con insistenza. «Non potreste lasciarci soli un attimo, voi due?»

«Ehm… ok» disse Ron, e lui e Hermione andarono a cercarsi un tavolo.

Bagman guidò Harry lungo il bancone, il più lontano possibile da Madama Rosmerta.

«Be’, è solo che volevo complimentarmi di nuovo con te per la tua splendida esibizione contro quello Spinato, Harry» disse Bagman. «Davvero superbo».

«Grazie» disse Harry, ben sapendo che non poteva essere tutto lì, perché Bagman avrebbe potuto congratularsi con lui anche davanti a Ron e Hermione. Ma Bagman non pareva avere una gran fretta di vuotare il sacco. Harry lo guardò gettare un’occhiata nello specchio ai goblin, che stavano studiando lui e Harry in silenzio attraverso gli scuri occhi a fessura.

«Un incubo assoluto» disse Bagman a Harry sottovoce, notando che anche Harry osservava i goblin. «Il loro inglese non è granché… è come essere di nuovo con tutti quei Bulgari alla Coppa del Mondo di Quidditch… ma almeno loro usavano un linguaggio dei segni che un altro essere umano poteva capire. Questi qua continuano a blaterare in Goblinese… e io so solo una parola di Goblinese. Bladvak. Vuol dire “piccone”. Non mi va di usarla perché non vorrei che pensassero che li sto minacciando». Esplose in una breve risata cavernosa.

«Che cosa vogliono?» chiese Harry, notando che i goblin stavano ancora osservando Bagman con molta attenzione.

«Ehm… be’…» disse Bagman, improvvisamente molto nervoso. «Loro… ehm… stanno cercando Barty Crouch».

«Perché lo cercano qui?» disse Harry. «È al Ministero a Londra, no?»

«Ehm… in effetti, non ho idea di dove sia» disse Bagman. «È che ha… smesso di venire a lavorare. Ormai manca da un paio di settimane. Il giovane Percy, il suo assistente, dice che è ammalato. A quanto pare manda istruzioni via gufo. Ma ti dispiace non farne parola con nessuno, Harry? Perché Rita Skeeter è ancora lì che s’impiccia dove può, e io ci scommetto che trasformerebbe la malattia di Barty in qualcosa di sinistro. Probabilmente scriverebbe che è scomparso come Bertha Jorkins».

«Si sa niente di lei?» chiese Harry.

«No» rispose Bagman, di nuovo teso. «Ho delle persone che la stanno cercando, naturalmente…» (Era ora, pensò Harry), «ed è tutto molto strano. È sicuro che c’è arrivata, in Albania, perché là ha incontrato la sua seconda cugina. E poi è partita per andare a sud a trovare una zia… e sembra che sia sparita senza lasciare alcuna traccia, per strada. Che mi prenda un colpo se capisco che cos’ha in testa… non è proprio il tipo che fugge, comunque… però… ma che cosa facciamo, stiamo qui a parlare di goblin e di Bertha Jorkins? Veramente volevo chiederti» e abbassò la voce, «come va con l’uovo d’oro?»

«Ehm… non male» mentì Harry.

Bagman parve capire che non era sincero.

«Senti, Harry» disse (sempre a voce bassissima), «questa cosa mi fa star male… tu ci sei finito dentro, nel Torneo, non ti sei fatto avanti da solo… e se» (la sua voce era così bassa che Harry dovette avvicinarsi per sentire), «… se posso darti una mano… una spintarella nella direzione giusta… tu mi piaci proprio… come hai superato quel drago!… Be’, basta che tu lo dica».

Harry guardò il tondo, roseo faccione di Bagman e i suoi grandi occhi azzurro bebè.

«Dobbiamo risolvere gli indovinelli da soli, no?» disse, ben attento a mantenere un tono di voce leggero, per non dare l’impressione di star accusando il Capo dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici di violare le regole.

«Be’… be’, sì» disse Bagman impaziente, «ma… andiamo, Harry… vogliamo tutti che vinca Hogwarts, no?»

«Ha offerto una mano anche a Cedric?» chiese Harry.

Un’impercettibile ruga solcò il volto liscio di Bagman.

«No» rispose, «lo… be’, come ho detto, ti ho preso in simpatia. Ho pensato che potevo offrirti…»

«Be’, grazie» disse Harry, «ma credo di esserci quasi, con l’uovo… dovrebbero bastare un paio di giorni».

Non era del tutto certo del motivo per cui stava rifiutando l’offerta di Bagman, a parte il fatto che Bagman era quasi un estraneo, e che accettare il suo aiuto gli sembrava molto più un imbroglio che non chiedere consiglio a Ron, Hermione o Sirius.

Bagman parve quasi offeso, ma non riuscì ad aggiungere altro, perché a quel punto comparvero Fred e George.

«Salve, signor Bagman» disse Fred allegramente. «Possiamo offrirle da bere?»

«Ehm… no» rispose Bagman, con un ultimo sguardo deluso a Harry, «no, grazie, ragazzi…»

Fred e George parvero delusi quasi quanto Bagman, che guardava Harry come se lo avesse crudelmente tradito.

«Be’, devo scappare» disse. «È stato un piacere vedervi. Buona fortuna, Harry».

E corse fuori dal pub. I goblin scivolarono tutti giù dalle sedie e uscirono dopo di lui. Harry andò a raggiungere Ron e Hermione.

«Che cosa voleva?» chiese Ron.

«Si è offerto di aiutarmi con l’uovo d’oro» disse Harry.

«Ma non dovrebbe!» esclamò Hermione, molto turbata. «È uno dei giudici! E comunque, tu l’hai già scoperto… vero?»

«Ehm… quasi» disse Harry.

«Be’, non credo che a Silente piacerebbe sapere che Bagman ha cercato di convincerti a barare!» disse Hermione, con uno sguardo di profonda disapprovazione. «Spero che stia cercando di aiutare anche Cedric!»

«No, gliel’ho chiesto» disse Harry.

«E chi se ne importa se qualcuno aiuta Diggory?» ribatté Ron. Dentro di sé Harry si disse perfettamente d’accordo.

«Quei goblin non sembravano molto bendisposti» disse Hermione sorseggiando la sua Burrobirra. «Che cosa ci facevano qui?»

«Cercavano Crouch, secondo Bagman» disse Harry. «È ancora ammalato. Non va a lavorare».

«Forse Percy lo sta avvelenando» disse Ron. «Probabilmente crede che se Crouch tira le cuoia diventerà lui il Capo dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale».

Hermione scoccò a Ron uno sguardo del tipo non-si-scherza-su-queste-cose e disse: «Buffo, dei goblin che cercano il signor Crouch… dovrebbero trattare con l’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche».

«Crouch però sa un sacco di lingue» osservò Harry. «Forse hanno bisogno di un interprete».

«Ti dai pena per quei poveri piccoli goblin, adesso, eh?» chiese Ron a Hermione. «Stai pensando a fondare lo S.P.U.R.G.A. o qualcosa del genere? Società per la Protezione e l’Utilizzo Ragionevole dei Goblin Abietti?»

«Ah, ah, ah» disse Hermione sarcastica. «I goblin non hanno bisogno di protezione. Non avete sentito quello che ci ha spiegato il professor Rüf sulle rivolte dei goblin?»

«No» risposero Harry e Ron in coro.

«Be’, sono piuttosto bravi a trattare con i maghi» disse Hermione, sorseggiando un altro po’ di Burrobirra. «Sono molto abili. Non sono come gli elfi domestici, che non si difendono mai».

«Oh oh» disse Ron, fissando la porta.

Rita Skeeter era appena entrata. Quel giorno era vestita di giallo banana; le lunghe unghie erano dipinte di rosa shocking, ed era accompagnata dal solito fotografo panciuto. Prese da bere per entrambi, e i due si fecero strada tra la folla fino a un tavolo vicino. Harry, Ron e Hermione la guardarono torvi mentre si avvicinava. Parlava in fretta e sembrava molto soddisfatta di qualcosa.

«… non sembrava che avesse molta voglia di parlare con noi, eh, Bozo? Ora, perché, secondo te? E che cosa ci fa con un branco di goblin al seguito, comunque? Gli fa visitare la zona… che sciocchezza… è sempre stato un pessimo bugiardo. Forse sta succedendo qualcosa? Credi che dovremmo indagare un po’? L’ex Capo degli Sport Magici caduto in disgrazia, Ludo Bagman… bell’attacco, Bozo… dobbiamo solo trovare una storia che gli si adatti…»

«Sta cercando di rovinare la vita a qualcun altro?» disse Harry ad alta voce.

Alcune persone si voltarono. Gli occhi di Rita Skeeter si dilatarono dietro gli occhiali tempestati di pietre quando vide chi aveva parlato.

«Harry!» esclamò con un gran sorriso. «Ma è splendido! Perché non ti unisci a…?»

«Non le verrei vicino con un manico di scopa lungo tre metri» disse Harry infuriato. «Perché ha fatto quella cosa a Hagrid, eh?»

Rita Skeeter inarcò le sopracciglia pesantemente ritoccate.

«I nostri lettori hanno il diritto di sapere la verità, Harry, sto solo facendo il mio…»

«Chi se ne importa se è un Mezzogigante?» urlò Harry. «Lui è a posto!»

Nel pub era calato il silenzio. Madama Rosmerta guardava da dietro il bancone, senza accorgersi che il boccale che stava riempiendo di idromele già traboccava.

Il sorriso di Rita Skeeter s’incrinò appena, ma un attimo dopo tornò smagliante; aprì con uno scatto la borsa di coccodrillo, estrasse la Penna Prendiappunti e disse: «Cosa ne dici di un’intervista sull’Hagrid che conosci tu, Harry? L’uomo dietro i muscoli? La tua improbabile amicizia e le ragioni che la sostengono? Lo definiresti un surrogato della figura paterna?»

Hermione scattò in piedi di colpo, il bicchiere di Burrobirra stretto in mano come una granata.

«Lei è disgustosa» disse a denti stretti, «passerebbe sopra a tutto, pur di mettere insieme una storia, e va bene chiunque, vero? Anche Ludo Bagman…»

«Siediti, stupida ragazzina, e non parlare di cose che non capisci» disse freddamente Rita Skeeter, guardando Hermione con occhi improvvisamente duri. «So delle cose di Ludo Bagman che ti farebbero arricciare i capelli… non che ne abbiano bisogno…» aggiunse, con un’occhiata alla chioma crespa di Hermione.

«Andiamo» disse Hermione. «Dai, Harry… Ron…»

Uscirono, seguiti da parecchi sguardi. Quando furono sulla soglia, Harry si voltò. La Penna Prendiappunti di Rita Skeeter era in azione; sfrecciava avanti e indietro su un rotolo di pergamena posato sul tavolo.

«Sarai tu la prossima vittima, Hermione» disse Ron a voce bassa e preoccupata mentre risalivano la strada in fretta.

«Deve solo provarci!» strillò Hermione; tremava di rabbia. «Le farò vedere! Una stupida ragazzina, questo sarei? Oh, la pagherà, prima Harry, poi Hagrid…»

«Non vorrai fare una scenata a Rita Skeeter» disse Ron nervoso. «Dico sul serio, Hermione, troverà qualcosa su di te…»

«I miei genitori non leggono La Gazzetta del Profeta, non può costringere me a nascondermi!» esclamò Hermione, camminando così in fretta che Harry e Ron le stavano dietro a fatica. L’ultima volta che l’avevano vista così arrabbiata, Hermione aveva dato un ceffone a Draco Malfoy. «E nemmeno Hagrid! Non avrebbe mai dovuto farsi sconvolgere da quella sottospecie di essere umano! Andiamo!»

Cominciò a correre e li precedette su per la strada, attraverso i cancelli fiancheggiati da cinghiali alati, e poi su per i prati fino alla capanna di Hagrid.

Le tende erano ancora tirate, e avvicinandosi sentirono Thor abbaiare.

«Hagrid!» urlò Hermione, picchiando sulla porta. «Hagrid, adesso basta! Lo sappiamo che sei lì dentro! Non importa a nessuno se tua madre era una gigantessa, Hagrid! Non puoi permettere a quella viscida Skeeter di farti questo! Hagrid, vieni fuori, ti stai comportando…»

La porta si aprì. Hermione sbottò: «Era o…!» e poi si interruppe bruscamente, perché si trovò faccia a faccia non con Hagrid, ma con Albus Silente.

«Buon pomeriggio» disse il Preside in tono amabile, sorridendo.

«Noi… ehm… volevamo vedere Hagrid» disse Hermione con una vocina sottile sottile.

«Sì, l’avevo sospettato» disse Silente, gli occhi che brillavano. «Perché non entrate?»

«Oh… ehm… ok» disse Hermione.

I tre amici entrarono nella capanna; Thor si slanciò addosso a Harry, abbaiando come un pazzo e cercando di leccargli le orecchie. Harry parò l’assalto e si guardò intorno.

Hagrid era seduto al tavolo, sul quale erano posati due grossi boccali di tè. Era in uno stato pietoso. Aveva la faccia tutta a macchie, gli occhi gonfi, e quanto ai capelli era andato da un estremo all’altro: aveva rinunciato a tentare di domarli e cosi ora sembravano una parrucca di fil di ferro aggrovigliato.

«Ciao, Hagrid» disse Harry.

Hagrid alzò gli occhi.

«Cia’» disse con voce molto roca.

«Ci vuole dell’altro tè, credo» disse Silente, chiudendo la porta alle spalle del terzetto, estraendo la bacchetta e facendola roteare un po’; un vassoio da tè apparve ruotando a mezz’aria, assieme a un piatto di dolcetti. Silente fece planare il vassoio sul tavolo, e tutti si sedettero. Ci fu una breve pausa, e poi Silente disse: «Per caso hai sentito quello che stava gridando la signorina Granger, Hagrid?»

Hermione arrossì, ma Silente le sorrise e riprese: «Hermione, Harry e Ron sembrano ancora intenzionati a esserti amici, a giudicare dal modo in cui hanno cercato di sfondare la porta».

«Ma certo che vogliamo ancora essere tuoi amici!» disse Harry, guardando Hagrid. «Non crederai che le cose che dice quella schifosa di una Skeeter… scusi, professore» aggiunse in fretta, rivolto a Silente.

«Sono diventato momentaneamente sordo e non ho idea di quello che hai detto, Harry» disse Silente, girandosi i pollici, gli occhi al soffitto.

«Ehm… d’accordo» disse Harry imbarazzato. «Volevo solo dire… Hagrid, come hai potuto credere che dessimo peso alle cose che quella… donna… ha scritto su di te?»

Due grosse lacrime colarono dagli occhi nero pece di Hagrid e caddero lentamente nella sua barba aggrovigliata.

«Questi tre amici sono la prova vivente di quello che ti stavo dicendo, Hagrid» disse Silente, sempre osservando il soffitto con grande attenzione. «Ti ho mostrato le lettere di innumerevoli genitori che ti ricordano da quando erano studenti qui, e che mi dicono in termini inequivocabili che se ti licenziassi avrebbero qualcosa da ridire…»

«Non tutti» disse Hagrid con voce rauca. «Non tutti vogliono che resto».

«Insomma, Hagrid, se stai cercando di ottenere il consenso universale, temo che resterai chiuso in questa capanna per un sacco di tempo» disse Silente, che ora lo scrutava con sguardo deciso attraverso gli occhialetti a mezzaluna. «Da quando sono diventato Preside di questa scuola, non ho passato una settimana senza ricevere almeno un gufo di protesta per il modo in cui la dirigo. Ma che cosa dovrei fare? Barricarmi nel mio studio e rifiutarmi di parlare con chicchessia?»

«Lei… lei non è un Mezzogigante!» gracchiò Hagrid.

«Hagrid, ma guarda che parenti ho io!» esclamò Harry con veemenza. «Pensa ai Dursley!»

«Ottimo argomento» disse il professor Silente. «Mio fratello Aberforth è stato processato per aver praticato incantesimi inopportuni su una capra. Era su tutti i giornali, ma Aberforth si è nascosto? Certo che no! Ha tenuto la testa alta ed è andato avanti a fare le sue cose come al solito! Certo, non sono proprio sicuro che sappia leggere, quindi potrebbe non essere stato coraggio, il suo…»

«Torna a insegnare, Hagrid» disse Hermione piano, «ti prego, ritorna, ci manchi davvero».

Hagrid deglutì. Altre lacrime gli caddero sulle guance e nella barba arruffata. Silente si alzò.

«Mi rifiuto di accettare le tue dimissioni, Hagrid, e mi aspetto che tu torni a lavorare lunedì» disse. «Ci vediamo a colazione alle otto e mezzo nella Sala Grande. Niente scuse. Buon pomeriggio a tutti».

Silente uscì dalla capanna, fermandosi solo per grattare Thor dietro le orecchie. Quando la porta si fu chiusa alle sue spalle, Hagrid prese a singhiozzare con la faccia affondata nelle mani. Hermione continuò a dargli dei colpetti sul braccio, e alla fine Hagrid alzò gli occhi, davvero molto rossi, e disse: «Grand’uomo, Silente… grand’uomo…»

«Sì, è vero» disse Ron. «Posso prendere uno di quei dolcetti, Hagrid?»

«Serviti pure» disse Hagrid, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. «Oh, ha ragione, certo… avete ragione tutti… sono stato uno stupido… il mio papà si sarebbe vergognato di come mi sono comportato…» Sgorgarono altre lacrime, ma le asciugò con più decisione e disse: «Non vi ho mai fatto vedere una foto del mio vecchio, vero? Ecco qua…»

Hagrid si alzò, aprì un cassetto del comò e ne estrasse la foto di un mago basso con i suoi stessi occhi neri infossati, che sorrideva seduto sulla spalla di Hagrid. Quest’ultimo era alto più di due metri, a giudicare dal melo alle sue spalle, ma il suo viso era senza barba, giovane, rotondo e liscio: non dimostrava più di undici anni.

«Questa è stata fatta subito dopo che ero entrato a Hogwarts» disse Hagrid con voce gracchiante. «Papà era arcicontento… certo che potevo anche non essere mica un mago, sapete, per via che la mia mamma… be’, insomma. Certo che non sono mai stato granché in magia, davvero… ma almeno non ha saputo che mi avevano buttato fuori. Sapete, è morto che facevo il secondo anno…

«Silente è quello che è stato dalla mia parte dopo che papà se n’è andato. Mi ha trovato il lavoro di guardiacaccia… si fida della gente, lui. Ci dà a tutti un’altra possibilità… è per questo che è diverso dagli altri Presidi, ecco. Piglierebbe chiunque a Hogwarts, basta che ci hanno talento. Lo sa che la gente può venir fuori ok anche se le loro famiglie non erano… be’… proprio rispettabili. Ma alcuni non lo capiscono. Ce ne sono certi che te lo rinfacciano sempre… ci sono certi che farebbero finta di essere solo un po’ grossi invece di alzarsi e dire: sono quello che sono e non mi vergogno. “Non vergognarti mai” mi diceva il mio vecchio, “e se qualcuno te lo rinfaccia, è gente che non vale una cicca”. E ci aveva ragione. Io con lei non ci perdo più tempo, ve lo prometto. Ossa grandi… gliele do io, le ossa grandi».

Harry, Ron e Hermione si guardarono nervosamente; Harry avrebbe preferito portare a passeggio cinquanta Schiopodi Sparacoda piuttosto che ammettere davanti a Hagrid di averlo sentito parlare con Madame Maxime, ma Hagrid continuò a parlare, senza accorgersi dell’effetto delle sue parole.

«La sai una cosa, Harry?» disse, alzando lo sguardo dalla foto del padre, gli occhi molto luminosi. «La prima volta che ti ho visto mi ricordavi un po’ me. Niente mamma e papà, e credevi che a Hogwarts non ti ci saresti mica ritrovato, ti ricordi? Non eri sicuro di essere all’altezza… e adesso guardati, Harry! Campione della scuola!»

Fissò un attimo Harry e poi disse, in tono molto serio: «Lo sai cosa mi piacerebbe, Harry? Mi piacerebbe se vinci, davvero. Fagli vedere, a quelli, che uno non deve essere purosangue per farcela. Non devi vergognarti di quello che sei. Fagli vedere che è Silente che ha ragione, a prendere tutti, basta che sanno fare le magie. Come va con quell’uovo, Harry?»

«Benissimo» rispose Harry. «Davvero benissimo».

La faccia triste di Hagrid s’illuminò di un sorriso umido. «Così si fa… Fagliela vedere a tutti, Harry. Stendili».

Mentire a Hagrid non era esattamente come mentire a chiunque altro. Quel pomeriggio, più tardi, Harry tornò al castello con Ron e Hermione senza riuscire a cancellare dalla mente la faccia felice di Hagrid al pensiero che lui vincesse il Torneo. Quella sera l’incomprensibile uovo pesò più che mai sulla coscienza di Harry, e al momento di andare a dormire aveva deciso: era giunto il momento di mettere da parte l’orgoglio, e vedere se il suggerimento di Cedric valeva qualcosa.

CAPITOLO 25

L’UOVO E L’OCCHIO

Visto che Harry non aveva idea di quanto dovesse durare il bagno per scoprire il segreto dell’uovo d’oro, decise di farlo di notte, quando avrebbe potuto prendersi tutto il tempo che voleva. Pur riluttante all’idea di accettare altri favori da Cedric, decise anche di usare il bagno dei Prefetti; erano pochissime le persone ammesse là dentro, quindi era molto meno probabile che qualcuno lo disturbasse.

Harry preparò accuratamente il suo piano, perché era già stato sorpreso una volta da Gazza il custode fuori dal letto e nel posto sbagliato nel cuore della notte, e non desiderava ripetere l’esperienza. Il Mantello dell’Invisibilità, naturalmente, sarebbe stato fondamentale, e come ulteriore precauzione Harry pensò di portare con sé la Mappa del Malandrino, che, insieme al Mantello, era il mezzo più efficace che possedesse per infrangere le regole. Sulla mappa era riportata l’intera Hogwarts, comprese le sue molte scorciatoie e i passaggi segreti, e, cosa più importante di tutte, mostrava le persone all’interno del castello, ferme o in movimento, come minuscoli puntini con tanto di nome, così che Harry avrebbe potuto individuare in tempo chiunque si fosse avvicinato al bagno.

Il giovedì sera Harry scivolò fuori dal letto, indossò il Mantello, sgattaiolò di sotto e, proprio come aveva fatto la sera che Hagrid lo aveva portato dai draghi, attese che il buco del ritratto si aprisse. Stavolta era Ron ad aspettare fuori per dire la parola d’ordine alla Signora Grassa (’Frittelle di banana’). «Buona fortuna» mormorò entrando nella sala comune mentre Harry usciva di soppiatto.

Quella notte era strano muoversi sotto il Mantello, perché Harry teneva il pesante uovo sotto un braccio, e reggeva la mappa davanti al naso con l’altro. Comunque, i corridoi illuminati dalla luna erano deserti e silenziosi, e controllando la mappa a intervalli strategici, Harry si assicurò di non incontrare nessuno che voleva evitare. Quando raggiunse la statua di Boris il Basito, un mago dall’aria smarrita con i guanti infilati sulle mani sbagliate, individuò la porta giusta, le si avvicinò e borbottò la parola d’ordine, Frescopino, proprio come gli aveva detto Cedric.

La porta si aprì cigolando. Harry la oltrepassò, la chiuse a chiave e si sfilò il Mantello dell’Invisibilità, guardandosi attorno.

Il suo primo pensiero fu che valeva la pena di diventare Prefetto solo per poter usare quel bagno. Era illuminato dolcemente da un magnifico candeliere acceso, ed era tutto di marmo bianco, compresa quella che sembrava una piscina vuota rettangolare incassata al centro del pavimento. Almeno un centinaio di rubinetti d’oro si trovavano ai bordi della piscina, ciascuno con una pietra di colore diverso incastonata nel pomolo. C’era anche un trampolino. Lunghe tende di lino bianco pendevano alle finestre; una grossa pila di soffici asciugamani candidi si ergeva in un angolo, e sulla parete c’era un solo dipinto con la cornice dorata. Ritraeva una sirena bionda profondamente addormentata su una roccia, i lunghi capelli che le fluttuavano davanti al viso tutte le volte che russava.

Harry avanzò, guardandosi attorno, mentre i suoi passi rimbombavano. Per quanto splendido fosse il bagno — e benché avesse un gran desiderio di provare un po’ di quei rubinetti — ora che si trovava lì non riusciva a scacciare l’idea che Cedric l’avesse preso in giro. Come diavolo era possibile che tutto questo lo aiutasse a risolvere il mistero dell’uovo? Alla fine depose uno dei soffici asciugamani, il Mantello, la mappa e l’uovo accanto alla vasca grande come una piscina, poi si inginocchiò e aprì alcuni rubinetti.

Ne scorse acqua mischiata a vari tipi di bagnoschiuma, anche se era un genere di bagnoschiuma che Harry non aveva mai provato prima. Da un rubinetto schizzavano bolle rosa e azzurre grandi come palloni da calcio, un altro versava una schiuma candida così densa all’aspetto che pareva ci si potesse camminare sopra; un terzo spruzzava nubi violette dall’aroma intenso che galleggiavano appena sopra l’acqua. Harry si divertì per un po’ ad aprire e chiudere i rubinetti, apprezzandone soprattutto uno, dal getto che rimbalzava in ampi archi sulla superficie dell’acqua. Poi, quando la piscina fu piena di acqua calda, schiuma e bolle (e ci mise pochissimo tempo, considerate le dimensioni), Harry chiuse tutti i rubinetti, si sfilò la vestaglia, il pigiama e le pantofole, e scivolò dentro.

Era così profonda che toccava appena, e fece un paio di vasche prima di tornare accanto al bordo e tenersi a galla fissando l’uovo. Per quanto piacevole fosse nuotare nell’acqua calda e schiumosa con nuvole di vapore colorato che gli danzavano intorno, non gli venne alcun lampo di genio né ebbe un’improvvisa rivelazione.

Harry allungò le braccia, prese l’uovo tra le mani bagnate e lo aprì. L’alto, stridulo gemito riempì il bagno, echeggiando contro le pareti di marmo, ma era incomprensibile come al solito, se non di più, a causa dell’eco. Lo richiuse di scatto, temendo che il rumore potesse attrarre Gazza e chiedendosi se non fosse proprio quello il piano di Cedric; e poi qualcuno parlò, facendolo sobbalzare tanto che l’uovo gli cadde e rotolò con un gran fracasso sul pavimento del bagno.

«Io proverei a metterlo dentro l’acqua, se fossi in te».

Harry aveva inghiottito un bel po’ di bolle per lo spavento. Si rimise diritto, sputacchiando, e vide il fantasma di una ragazza dall’aria molto depressa seduto a gambe incrociate sopra un rubinetto. Era Mirtilla Malcontenta, che di solito singhiozzava nel tubo di scarico di un bagno tre piani più giù.

«Mirtilla!» esclamò Harry indignato. «Io… non ho niente addosso!»

La schiuma era così densa che non si vedeva nulla, ma Harry aveva la sgradevole sensazione che Mirtilla lo avesse spiato da uno dei rubinetti fin dal suo arrivo.

«Ho chiuso gli occhi quando sei entrato» disse lei, strizzando gli occhi attraverso gli occhiali spessi. «Sono secoli che non vieni a trovarmi».

«Sì… be’…» disse Harry, piegando appena le ginocchia, giusto per essere sicuro che Mirtilla non vedesse altro che la sua testa. «Non dovrei venire nel tuo bagno, no? È uno di quelli delle femmine».

«Una volta non ci badavi» disse Mirtilla malinconica. «Ci venivi sempre».

Era vero, anche se era solo perché Harry, Ron e Hermione avevano scoperto nel bagno guasto di Mirtilla il luogo adatto per preparare in segreto la Pozione Polisucco, una miscela proibita che aveva trasformato Harry e Ron in copie viventi di Tiger e Goyle per un’ora, in modo da permettere loro di intrufolarsi nella sala comune di Serpeverde.

«E infatti mi sono beccato una punizione» disse Harry, cosa vera solo a metà: una volta Percy l’aveva sorpreso mentre usciva dal bagno di Mirtilla. «Ho pensato che era meglio non tornarci, dopo».

«Oh… capisco…» disse Mirtilla, tormentandosi un brufolo sul mento con aria bellicosa. «Be’… comunque… io proverei l’uovo nell’acqua. Cedric Diggory ha fatto così».

«Hai spiato anche lui?» disse Harry indignato. «Che cosa fai, t’intrufoli qui dentro la sera per vedere i Prefetti che fanno il bagno?»

«A volte» rispose Mirtilla in tono malizioso, «ma non sono mai venuta fuori a parlare con qualcuno prima d’ora».

«Sono commosso» ribatté Harry, cupo. «Tieni gli occhi chiusi!»

Controllò che Mirtilla avesse coperto bene gli occhiali con le mani prima di issarsi su dalla vasca, avvolgersi l’asciugamano ben stretto e andare a prendere l’uovo.

Una volta che fu tornato nell’acqua, Mirtilla spiò tra le dita e disse: «Avanti, dai… aprilo sott’acqua!»

Harry mise l’uovo sotto la superficie schiumosa e lo aprì… e questa volta non si lamentò. Ne usci invece un suono gorgogliante, una canzone le cui parole non si riuscivano a distinguere attraverso l’acqua.

«Devi mettere sotto anche la testa» disse Mirtilla, che sembrava divertirsi moltissimo a dargli ordini. «Avanti!»

Harry trasse un bel respiro e scivolò sott’acqua. E poi, seduto sul fondo di marmo della vasca piena di bolle, udì un coro di voci misteriose che cantava dentro l’uovo aperto tra le sue mani:

«Vieni a cercarci dove noi cantiamo,
che sulla terra cantar non possiamo,
e mentre cerchi, sappi di già:
abbiam preso ciò che ti mancherà,

hai tempo un’ora per poter cercare
quel che rubammo. Non esitare,
che tempo un’ora mala sorte avrà:
ciò che fu preso mai ritornerà».

Harry ritornò a galla e infranse la superficie coperta di bolle, scuotendosi via i capelli dagli occhi.

«Sentito?» disse Mirtilla.

«Sì… “Vieni a cercarci dove noi cantiamo…” e poi una specie di minaccia… aspetta, devo ascoltarlo un’altra volta…» E si rituffò sott’acqua.

Ci vollero altri tre ascolti subacquei prima che Harry imparasse la canzone a memoria; poi rimase a galla per un po’, lambiccandosi il cervello, mentre Mirtilla stava lì seduta a guardarlo.

«Devo andare a cercare delle persone che non possono usare la loro voce sulla terraferma…» disse lentamente. «Ehm… chi potrebbero essere?»

«Sei un po’ tardo, eh?»

Non aveva mai visto Mirtilla Malcontenta così allegra, a parte il giorno in cui la dose di Pozione Polisucco aveva appioppato a Hermione un muso peloso e la coda di un gatto.

Harry si guardò intorno, pensando… se le voci si potevano sentire solo sott’acqua, allora potevano verosimilmente appartenere a creature subacquee. Espose la teoria a Mirtilla, che gli rivolse un sorrisetto di superiorità.

«Be’, è quello che pensava Diggory» disse. «È rimasto li a parlare da solo per un secolo. Un secolo… erano sparite quasi tutte le bolle…»

«Sott’acqua…» disse Harry lentamente. «Mirtilla… che cosa vive nel lago, a parte la piovra gigante?»

«Oh, un sacco di creature» rispose lei. «A volte ci vado, laggiù… a volte non ho scelta, se qualcuno tira l’acqua quando non me lo aspetto…»

Cercando di non pensare a Mirtilla Malcontenta che finiva nel lago risucchiata da un tubo assieme al contenuto di un water, Harry chiese: «Be’, là sotto c’è qualcosa che ha voci umane? Aspetta…»

Lo sguardo di Harry era caduto sulla sirena che russava appesa al muro. «Mirtilla, ci sono sirene là sotto, vero?»

«Oooh, molto bene» replicò lei, gli spessi occhiali che brillavano. «Diggory ci ha messo molto di più! Eppure lei era sveglia…» — Mirtilla fece un cenno verso la sirena con una smorfia di disgusto sulla faccia triste — «che ridacchiava e si metteva in mostra e agitava la coda…»

«È così, vero?» disse Harry eccitato. «La seconda prova è andare a cercare le sirene nel lago e… e…»

Ma all’improvviso capì quello che stava dicendo, e sentì l’entusiasmo svanire come se qualcuno avesse appena tirato via un tappo dal suo stomaco. Non nuotava molto bene; non aveva mai avuto occasioni per farlo. Dudley aveva preso lezioni quando era piccolo, ma zia Petunia e zio Vernon, senza dubbio nella speranza che prima o poi annegasse, non si erano preoccupati che Harry imparasse a sua volta. Un paio di vasche di quella piscina andavano benissimo, ma il lago era molto grande, e molto profondo… e le sirene di sicuro non vivevano in superficie…

«Mirtilla» disse Harry lentamente, «come faccio a respirare

A quelle parole, gli occhi di Mirtilla si riempirono di nuovo di lacrime.

«Insensibile!» mormorò, frugandosi in tasca alla ricerca di un fazzoletto.

«Perché insensibile?» disse Harry, esterrefatto.

«Parlare di respirare davanti a me!» disse lei con voce acuta, e la sua voce rimbombò contro le pareti del bagno. «Quando non posso… quando non… da secoli…» Seppellì il viso nel fazzoletto e tirò su forte col naso.

Harry si ricordò che Mirtilla era sempre stata permalosa sul fatto di essere morta, mentre nessun altro fantasma a lui noto faceva tante storie. «Scusa» disse, impaziente. «Non volevo… È solo che mi sono dimenticato…»

«Oh, certo, è facile dimenticarsi che Mirtilla è morta» ribatté Mirtilla singhiozzando e guardandolo con gli occhi gonfi. «Nessuno ha sentito la mia mancanza, anche quando ero viva. Gli ci sono volute ore e ore per scoprire il mio corpo — lo so, ero là seduta ad aspettarli. Olive Hornby è venuta in bagno — “Sei ancora li a fare il muso, Mirtilla?” ha detto. “Perché il professor Dippet mi ha detto di venire a cercarti…” E poi ha visto il mio cadavere… ooooh, non se l’è dimenticato finché è vissuta, ho fatto le cose per bene… l’ho seguita dappertutto e gliel’ho ricordato, sissì, e una volta, al matrimonio di suo fratello…»

Ma Harry non la ascoltava; stava pensando di nuovo alla canzone delle sirene. “Abbiamo preso ciò che ti mancherà”. Suonava come se volessero rubare qualcosa di suo, qualcosa che doveva riprendersi. Che cosa avrebbero portato via?

«… e poi, naturalmente, è andata al Ministero della Magia perché smettessi di perseguitarla, così sono dovuta tornare qui a vivere nel mio bagno».

«Bene» disse Harry in tono distratto. «Be’, ne so molto più di prima… chiudi ancora gli occhi, per favore, devo uscire».

Recuperò l’uovo dal fondo della vasca, si arrampicò fuori, si asciugò e si rimise il pigiama e la vestaglia.

«Verrai a trovarmi ancora nel mio bagno qualche volta?» chiese Mirtilla Malcontenta in tono lugubre, mentre Harry raccoglieva il Mantello dell’Invisibilità.

«Ehm… ci proverò» disse Harry, anche se dentro di sé pensava che sarebbe andato al bagno di Mirtilla solo se ogni altro bagno del castello fosse stato intasato. «Ci vediamo, Mirtilla… grazie per il tuo aiuto».

«Ciao ciao» disse lei cupa, e mentre si infilava il Mantello dell’Invisibilità, Harry la vide sparire di nuovo su per il rubinetto.

Fuori, nel buio corridoio, Harry studiò la Mappa del Malandrino per controllare che la strada fosse ancora libera. Sì, i puntini con i nomi di Gazza e Mrs Purr erano ancora al sicuro nei loro uffici… tutto sembrava immobile tranne Pix, che saltellava nella sala dei trofei al piano di sopra… Harry aveva fatto il primo passo verso la Torre di Grifondoro, quando qualcos’altro sulla mappa attrasse la sua attenzione… qualcosa di decisamente strano.

Pix non era la sola cosa in movimento. Un singolo puntino volteggiava in una stanza nell’angolo in basso a sinistra: l’ufficio di Piton. Ma il puntino non era marchiato “Severus Piton”… era Bartemius Crouch.

Harry fissò la macchiolina. Il signor Crouch stava troppo male per andare a lavorare o per partecipare al Ballo del Ceppo: e allora che cosa stava facendo di nascosto a Hogwarts all’una del mattino? Harry guardò attentamente mentre il puntino girava per la stanza, fermandosi qua e là…

Harry esitò, riflettendo… e poi la curiosità prevalse. Si voltò e s’incamminò dalla parte opposta, verso la scala più vicina. Voleva vedere che cosa stava combinando Crouch.

Scese le scale più piano che poteva, anche se i volti in alcuni ritratti si girarono incuriositi allo scricchiolio di un’asse, al fruscio del suo pigiama. Sgattaiolò lungo il corridoio, spinse di lato un arazzo a metà strada e imboccò una scala più stretta, una scorciatoia che lo avrebbe portato due piani più in basso. Continuava a scrutare la mappa, perplesso… non era in carattere con il corretto, rigoroso signor Crouch intrufolarsi nell’ufficio di un’altra persona a quell’ora della notte…

E poi, a metà della scala, senza pensare ad altro che al bizzarro comportamento del signor Crouch, Harry sprofondò dritto nello scalino infido che Neville dimenticava sempre di saltare. Annaspò e l’uovo d’oro, ancora umido per il bagno, gli scivolò da sotto il braccio. Si lanciò in avanti per cercare di prenderlo al volo, ma era troppo tardi; l’uovo cadde giù per la lunga scala con un boato di grancassa a ogni gradino… il Mantello dell’Invisibilità scivolò via… Harry lo afferrò, e la Mappa del Malandrino gli sfuggì di mano e cadde giù per sei gradini, dove, sprofondato com’era nello scalino fino al ginocchio, non poteva arrivare a prenderla.

L’uovo d’oro rotolò al di là dell’arazzo ai piedi della scala, si aprì di scatto e cominciò a ululare. Harry estrasse la bacchetta e cercò di toccare la Mappa del Malandrino per cancellarla, ma era troppo lontana…

Rimettendosi addosso il Mantello, Harry si rialzò, le orecchie tese, gli occhi sbarrati dalla paura… e quasi immediatamente…

«Pix!»

Era l’inconfondibile urlo di guerra di Gazza il custode. Harry sentì i suoi rapidi passi strascicati che si avvicinavano sempre di più, la voce affannosa vibrante di rabbia.

«Che cos’è questo fracasso? Vuoi svegliare tutto il castello? Ti prenderò, Pix, ti prenderò, sai… e questo cos’è?»

I passi di Gazza si arrestarono; si udì un tintinnio di metallo contro metallo, e l’ululato s’interruppe. Gazza aveva raccolto l’uovo e l’aveva chiuso. Harry rimase immobile, una gamba ancora incastrata profondamente nel gradino magico, in ascolto. Da un momento all’altro, Gazza avrebbe scostato l’arazzo, aspettandosi di vedere Pix… e non ci sarebbe stato nessun Pix… ma se avesse salito le scale, avrebbe visto la Mappa del Malandrino… e, Mantello dell’Invisibilità o no, la mappa avrebbe mostrato un “Harry Potter” nel punto esatto in cui si trovava lui.

«Un uovo?» disse piano mastro Gazza ai piedi delle scale. «Tesorino!» (Mrs Purr era evidentemente con lui). «Questo è uno degli enigmi del Tremaghi! Appartiene a un campione della scuola!»

Harry si sentì male; il cuore gli martellava forte…

«Pix!» ruggì Gazza trionfante. «Hai rubato!»

Scostò bruscamente l’arazzo, e Harry vide il suo orrendo viso gonfio e i pallidi occhi sporgenti che scrutavano la scala oscura e, per Gazza, deserta.

«Ti nascondi, eh?» disse piano. «Vengo a prenderti, Pìx… hai rubato un enigma del Tremaghi, Pix… Silente ti butterà fuori di qui per questo, sporco ladruncolo di un poltergeist…»

Gazza prese a salire le scale, l’ossuta gatta color polvere alle caviglie. Gli occhi a lampadina di Mrs Purr, così simili a quelli del suo padrone, erano fissi proprio addosso a Harry. Lui s’era già chiesto prima d’allora se il Mantello dell’Invisibilità funzionasse con i gatti… sopraffatto dall’ansia, osservò Gazza avvicinarsi sempre di più avvolto nella vecchia vestaglia di flanella. Cercò disperatamente di liberare la gamba imprigionata, ma riuscì solo a sprofondare ancora di qualche centimetro. A momenti, Gazza avrebbe visto la mappa o gli sarebbe venuto addosso…

«Gazza? Che cosa succede?»

Gazza si fermò qualche gradino più in basso di Harry e si voltò. Ai piedi delle scale c’era l’unica persona in grado di peggiorare la situazione: Piton. Indossava una lunga camicia da notte grigia e sembrava cadaverico.

«È Pix, professore» sussurrò Gazza, malevolo. «Ha gettato quest’uovo giù dalle scale».

Piton salì in fretta le scale e si fermò accanto a Gazza. Harry strinse i denti, certo che il cuore, che batteva tanto forte, lo avrebbe tradito da un momento all’altro…

«Pix?» disse piano Piton, guardando l’uovo tra le mani di Gazza. «Ma Pix non avrebbe potuto entrare nel mio ufficio…»

«Quest’uovo era nel suo ufficio, professore?»

«Certo che no» sbottò Piton. «Ho sentito dei colpi e degli ululati…»

«Sì, professore, era l’uovo…»

«… Stavo venendo a vedere…»

«… L’ha tirato Pix, professore…»

«… e quando sono passato davanti al mio ufficio, ho visto che le torce erano accese e lo sportello di un armadio era aperto! Qualcuno ci ha frugato dentro!»

«Ma Pix non poteva…»

«Lo so che non poteva, Gazza!» esplose Piton. «Sigillo il mio ufficio con un incantesimo che solo un mago potrebbe spezzare!» Piton guardò su per le scale, diritto attraverso Harry, e poi giù nel corridoio sottostante. «Voglio che tu venga ad aiutarmi a cercare l’intruso, Gazza».

«Io… sì, professore… ma…»

Gazza guardò con desiderio su per le scale, passando da parte a parte Harry, che capì che esitava a rinunciare all’opportunità di incastrare Pix. Vai, lo supplicò in silenzio, vai con Piton… vai… Mrs Purr spiava da dietro le gambe di Gazza… Harry ebbe la netta impressione che riuscisse a fiutarlo… perché aveva riempito la vasca con tutta quella schiuma profumata?

«Il fatto è, professore» disse Gazza in tono supplichevole, «che il Preside dovrà starmi a sentire questa volta, Pix ha rubato a uno studente, potrebbe essere la mia occasione per farlo espellere dal castello una volta per tutte…»

«Gazza, non m’importa un accidente di quel maledetto poltergeist, è il mio ufficio che è…»

Clunk. Clunk. Clunk.

Piton zittì all’improvviso. Lui e Gazza guardarono giù, verso i piedi della scala. Harry vide Malocchio Moody avanzare zoppicando nello stretto spazio tra le loro teste. Moody indossava il vecchio mantello da viaggio sulla camicia da notte, e si appoggiava al bastone come al solito.

«Cos’è, un pigiama party?» ringhiò su per le scale.

«Io e il professor Piton abbiamo sentito dei rumori, professore» disse subito Gazza. «Pix il poltergeist, che buttava roba in giro come al solito… e poi il professor Piton ha scoperto che qualcuno è penetrato nel suo uff…»

«Zitto!» sibilò Piton a Gazza.

Moody fece un passo verso i piedi delle scale. Harry vide il suo occhio magico soffermarsi su Piton, e poi, senz’ombra di dubbio, su di lui.

Il cuore di Harry ebbe un tuffo. Moody riusciva a vedere attraverso i Mantelli dell’Invisibilità… soltanto lui poteva cogliere la bizzarria della situazione… Piton in camicia da notte, Gazza con l’uovo stretto tra le mani, e lui, Harry, imprigionato nella scala sopra di loro. La fessura obliqua che Moody aveva per bocca si spalancò dalla sorpresa. Per qualche secondo, lui e Harry si guardarono negli occhi. Poi Moody chiuse la bocca e rivolse di nuovo l’occhio azzurro su Piton.

«Ho sentito bene, Piton?» chiese lentamente. «Qualcuno è penetrato nel tuo ufficio?»

«Non è importante» disse Piton freddamente.

«Al contrario» ringhiò Moody, «è molto importante. Chi potrebbe voler penetrare nel tuo ufficio?»

«Uno studente, direi» rispose Piton. Harry vide una vena pulsare in modo orribile sulla tempia unticcia di Piton. «È già successo prima. Ingredienti di pozioni sono spariti dalla mia dispensa privata… studenti che cercavano di preparare misture illegali, senza dubbio…»

«Quindi devo dedurre che stavano cercando ingredienti di pozioni, eh?» disse Moody. «Non è che tu nascondi qualcos’altro nel tuo ufficio?»

Harry vide i contorni del viso giallastro di Piton diventare di un brutto color mattone, mentre la vena nella tempia pulsava più in fretta.

«Lo sai che non nascondo niente, Moody» disse, in tono calmo e minaccioso, «dal momento che tu stesso hai frugato con gran cura nel mio ufficio».

Il viso di Moody si contorse in un sorriso. «Privilegi da Auror, Piton. Silente mi ha detto di tenere d’occhio…»

«Si dà il caso che Silente si fidi di me» disse Piton a denti stretti. «Mi rifiuto di credere che ti abbia dato ordine di perquisire il mio ufficio!»

«Ma certo che Silente si fida di te» ringhiò Moody. «E un uomo fiducioso, vero? È convinto che a tutti sia dovuta una seconda possibilità. Ma io… io dico che ci sono macchie che non vengono via, Piton. Macchie che non vengono mai via, capisci quello che voglio dire?»

Piton all’improvviso fece una cosa molto strana. Si afferrò convulsamente il braccio sinistro con la mano destra, come se gli facesse male.

Moody scoppiò a ridere. «Torna a dormire, Piton».

«Tu non hai l’autorità di mandarmi da nessuna parte!» sibilò Piton, lasciando andare il braccio di botto, come se fosse arrabbiato con se stesso. «Ho diritto quanto te di aggirarmi in questa scuola di notte!»

«Allora aggirati lontano da qui» disse Moody, con voce carica di minaccia. «Spero tanto di incontrarti in un corridoio buio una volta o l’altra… a proposito, ti è caduto qualcosa…»

Con una fitta di panico, Harry vide Moody indicare la Mappa del Malandrino, che si trovava ancora sulle scale, sei gradini sotto di lui. Mentre Piton e Gazza si voltavano a guardare, Harry gettò alle ortiche ogni precauzione: alzò le braccia sotto il Mantello e le agitò furiosamente rivolto a Moody per attirare la sua attenzione, e disse, muovendo solo le labbra: «È mia! Mia

Piton si era proteso per prenderla, con una terribile espressione di improvvisa consapevolezza…

«Accio pergamena

La mappa si alzò da terra, scivolò tra le dita tese di Piton e scese le scale svolazzando a mezz’aria per atterrare in mano a Moody.

«Colpa mia» disse Moody tranquillamente. «È mia… dev’essermi caduta prima…»

Ma gli occhi neri di Piton dardeggiarono dall’uovo tra le braccia di Gazza alla mappa in mano a Moody, e Harry capì che stava facendo due più due, come solo lui sapeva…

«Potter» disse piano.

«Cosa?» disse Moody quietamente, ripiegando la mappa e intascandola.

«Potter!» ringhiò Piton, poi voltò la testa e fissò esattamente il punto in cui si trovava Harry, come se all’improvviso riuscisse a vederlo. «Quell’uovo è l’uovo di Potter. Quel foglio di pergamena appartiene a Potter. L’ho visto prima, lo riconosco! Potter è qui! Potter, col suo Mantello dell’Invisibilità!»

Piton tese le mani come un cieco, e prese a salire le scale; Harry avrebbe giurato che le sue larghe narici erano dilatate, nel tentativo di fiutarlo… Intrappolato, Harry si tirò indietro, cercando di evitare la punta delle dita di Piton, ma da un momento all’altro…

«Qui non c’è niente, Piton!» abbaiò Moody. «Ma sarò felice di riferire al Preside con quanta prontezza hai pensato a Harry Potter!»

«Cosa vorrebbe dire?» ringhiò Piton, voltandosi di nuovo a guardare Moody, le mani ancora tese, a pochi centimetri dal petto di Harry.

«Vorrebbe dire che Silente è molto interessato a sapere chi ce l’ha con quel ragazzo!» disse Moody, zoppicando più vicino ai piedi delle scale. «E anch’io, Piton… molto interessato…» La luce della torcia baluginò sul suo viso straziato, così che le cicatrici e il pezzo di naso mancante parvero più fondi e cupi che mai.

Piton stava guardando Moody, e Harry non riuscì a vederlo in faccia. Per un istante, nessuno si mosse né parlò. Poi Piton abbassò lentamente le mani.

«Pensavo solo» disse, la voce forzatamente calma, «che se Potter fosse di nuovo in giro di notte… è un’abitudine sbagliata… bisognerebbe impedirglielo. Per… per la sua incolumità».

«Ah, capisco» disse Moody dolcemente. «Ti stanno molto a cuore gli interessi di Potter, vero?»

Ci fu una pausa. Piton e Moody continuavano a scrutarsi. Mrs Purr diede in un sonoro miagolio, sempre spiando tra le gambe di Gazza, alla ricerca della fonte del profumo di bagnoschiuma di Harry.

«Credo che tornerò a letto» disse Piton bruscamente.

«È l’idea migliore che ti sia venuta in tutta la notte» ribatté Moody. «Ora, Gazza, se vuole darmi quell’uovo…»

«No!» disse Gazza, stringendo l’uovo come se fosse il suo figlioletto primogenito. «Professor Moody, questa è la prova della slealtà di Pix!»

«È di proprietà del campione a cui l’ha rubato» disse Moody. «Ora me lo consegni».

Piton scese le scale e oltrepassò Moody senza aggiungere una parola. Gazza richiamò Mrs Purr, che fissò Harry con sguardo vacuo per qualche altro istante prima di voltarsi e seguire il suo padrone. Col respiro ancora affannoso, Harry sentì Piton allontanarsi lungo il corridoio; Gazza tese a Moody l’uovo, e sparì a sua volta, borbottando rivolto a Mrs Purr: «Non importa, carina… domattina andremo da Silente… gli diremo che cos’ha combinato Pix…»

Una porta sbatté. Harry rimase a fissare Moody, che posò il bastone sull’ultimo scalino e cominciò a salire a fatica verso di lui, con un sordo clunk un gradino sì e uno no.

«C’è mancato poco, Potter» borbottò.

«Sì… io… ehm… grazie» disse Harry debolmente.

«Che cos’è questa cosa?» chiese Moody, estraendo la Mappa del Malandrino dalla tasca e dispiegandola.

«Una mappa di Hogwarts» disse Harry, sperando che Moody lo tirasse fuori presto dalla scala; la gamba gli faceva proprio male.

«Per la barba di Merlino» sussurrò Moody, fissando la mappa, l’occhio magico che roteava impazzito. «Questa… questa sì che è una mappa, Potter!»

«Sì, è… piuttosto utile» disse Harry. Gli occhi gli cominciavano a lacrimare dal dolore. «Ehm… professor Moody, crede che potrebbe aiutarmi…?»

«Cosa? Oh! Sì… sì, certo…»

Moody afferrò Harry per le braccia e tirò; la gamba di Harry si liberò dal gradino infingardo, e lui si mise diritto su quello di sopra.

Moody continuava a osservare la mappa. «Potter…» disse lentamente, «non è che per caso tu abbia visto chi è entrato nell’ufficio di Piton, vero? Su questa mappa, voglio dire?»

«Ehm… sì che l’ho visto…» ammise Harry. «Era il signor Crouch».

L’occhio magico di Moody scorse roteando l’intera mappa. All’improvviso Moody parve preoccupato.

«Crouch?» disse. «Ne sei… ne sei sicuro, Potter?»

«Sicurissimo» disse Harry.

«Be’, non è più qui» disse Moody, l’occhio che continuava a sfrecciare sulla mappa. «Crouch… ciò è molto… molto interessante…»

Non disse nulla per quasi un minuto, continuando a fissare il foglio. Harry capì che la notizia aveva per lui un preciso significato, e desiderava tanto sapere qual era. Chissà se avrebbe osato chiederlo. Moody gli faceva un po’ paura… però lo aveva appena aiutato a evitare un bel mucchio di guai…

«Ehm… professor Moody… secondo lei perché il signor Crouch voleva dare un’occhiata all’ufficio di Piton?»

Moody distolse l’occhio magico dalla mappa e lo fissò ancora vibrante su Harry. L’occhio sembrava passare Harry da parte a parte, e lui ebbe l’impressione che Moody stesse valutando se rispondergli o no e quanto rivelargli.

«Mettiamola così, Potter» borbottò Moody alla fine, «dicono che il vecchio Malocchio ha la fissazione di catturare Maghi Oscuri… ma Malocchio è niente — niente — in confronto a Barty Crouch».

Continuò a scrutare la pergamena. Harry bruciava dalla voglia di saperne di più.

«Professor Moody» disse di nuovo. «Crede… che questo possa avere qualcosa a che fare con… forse il signor Crouch crede che stia succedendo qualcosa…»

«Che cosa?» chiese Moody con voce secca.

Harry si chiese quanto poteva dire. Non voleva che Moody sospettasse che aveva una fonte d’informazione al di fuori di Hogwarts; ciò avrebbe potuto portare a domande spinose su Sirius.

«Non lo so» borbottò Harry, «ultimamente succedono cose strane, no? C’era scritto anche sulla Gazzetta del Profeta… il Marchio Nero alla Coppa del Mondo, e i Mangiamorte e il resto…»

Entrambi gli occhi male assortiti di Moody si allargarono.

«Sei un ragazzo sveglio, Potter» disse. L’occhio magico tornò a vagare sulla Mappa del Malandrino. «È possibile che Crouch la pensi così» disse lentamente. «Alquanto possibile… ultimamente sono circolate strane voci… corroborate da Rita Skeeter, naturalmente. Fanno innervosire parecchie persone, credo». Un cupo sorriso gli increspò la bocca storta. «Oh, se c’è una cosa che odio» sussurrò, più rivolto a se stesso che a Harry, mentre l’occhio magico era immobile sull’angolo in basso a sinistra del foglio, «è un Mangiamorte rimesso in libertà…»

Harry lo fissò sbigottito. Possibile che Moody volesse dire proprio quello che pensava Harry?

«E ora voglio fare una domanda a te, Potter» disse Moody, in tono più pratico.

Il cuore di Harry sprofondò; lo sapeva che ci si sarebbe arrivati. Moody stava per chiedergli dove aveva preso quella mappa, che era un oggetto magico alquanto dubbio — e la storia di come era finita nelle sue mani incolpava non solo lui, ma suo padre, Fred e George Weasley, e il professor Lupin, il loro ultimo professore di Difesa contro le Arti Oscure. Moody agitò la mappa davanti a Harry, che si preparò…

«Me la puoi prestare?»

«Oh!» disse Harry. Era molto affezionato alla sua mappa, ma d’altra parte era decisamente sollevato che Moody non gli chiedesse dove l’aveva presa, e senza dubbio gli doveva un favore. «Sì, certo».

«Bravo ragazzo» ringhiò Moody. «Posso farne buon uso… potrebbe essere esattamente ciò di cui avevo bisogno… su, a letto, Potter, andiamo…»

Salirono insieme fino in cima alla rampa di scale, con Moody che esaminava la mappa come se fosse un tesoro di cui non avesse mai visto l’uguale prima d’allora. Avanzarono in silenzio fino alla porta dell’ufficio di Moody, e qui quest’ultimo si fermò e alzò gli occhi verso Harry. «Mai pensato a una carriera come Auror, Potter?»

«No» rispose Harry, preso alla sprovvista.

«È il caso che tu ci pensi su» disse Moody annuendo, e guardando Harry, pensieroso. «Si, davvero… e tra parentesi… suppongo che tu non stessi portando quell’uovo a passeggio stanotte, eh?»

«Ehm… no» disse Harry, sorridendo. «Stavo riflettendo sull’indovinello».

Moody gli strizzò l’occhio, mentre quello magico impazziva di nuovo. «Non c’è niente di meglio di un giretto notturno per farti venir delle idee, Potter… ci vediamo domani…» Entrò nel suo ufficio, gli occhi di nuovo incollati alla Mappa del Malandrino, e chiuse la porta.

Harry tornò lentamente alla Torre di Grifondoro, assorto: pensava a Piton, e a Crouch, e a quel che significava tutta la faccenda… perché Crouch fingeva di essere ammalato, se poteva entrare a Hogwarts quando voleva? Cosa credeva che Piton nascondesse nel suo ufficio?

E Moody pensava che lui, Harry, dovesse diventare un Auror! Idea interessante… ma dieci minuti dopo, mentre s’infilava piano nel letto a baldacchino, l’uovo e il Mantello di nuovo al sicuro nel baule, Harry ridletté che valeva la pena di controllare quante cicatrici avessero tutti gli altri prima di intraprendere quella carriera.

CAPITOLO 26

LA SECONDA PROVA

«Avevi detto che avevi già risolto l’indovinello dell’uovo!» esclamò Hermione indignata.

«Parla più piano!» sibilò Harry. «Ho solo bisogno di… perfezionarlo, va bene?»

Lui, Ron e Hermione erano seduti in fondo alla classe di Incantesimi con un tavolo tutto per loro. Quel giorno dovevano esercitarsi nell’opposto dell’Incantesimo di Appello: l’Incantesimo di Esilio. A causa del rischio di brutti incidenti quando gli oggetti continuavano a volare per la stanza, il professor Vitious aveva dato a ciascuno una pila di cuscini con cui fare esercizio, perché non facessero del male a nessuno se non arrivavano a destinazione. Era giusto, in teoria, ma in pratica non funzionava granché. La mira di Neville era cosi scarsa che continuava a spedire per sbaglio attraverso la stanza cose molto più pesanti: come il professor Vitious, per esempio.

«Scordati l’uovo per un minuto, d’accordo?» sibilò Harry mentre il professor Vitious sfrecciava sopra di loro con aria rassegnata, atterrando in cima a un grosso stipo. «Sto cercando di raccontarti di Piton e Moody…»

Quella lezione era la copertura ideale per una conversazione riservata, dal momento che tutti quanti si divertivano troppo per prestar loro attenzione. Ormai da una mezz’ora Harry ripercorreva le sue avventure della notte prima sussurrando a spizzichi e bocconi.

«Piton ha detto che Moody ha perquisito anche il suo ufficio?» mormorò Ron, gli occhi accesi d’interesse mentre Esiliava un cuscino con un colpo di bacchetta (quello si alzò a mezz’aria e portò via il cappello dalla testa di Calì). «Cosa… credi che Moody si trovi qui per tenere d’occhio Piton oltre che Karkaroff?»

«Be’, non so se è quello che Silente gli ha chiesto di fare, ma è quello che fa, senza dubbio» disse Harry, agitando la bacchetta senza far molta attenzione, così che il suo cuscino fece una specie di buffa capriola e cadde dal tavolo. «Moody ha detto che Silente permette a Piton di restare qui solo perché gli sta dando una seconda possibilità, o roba del genere…»

«Cosa?» esclamò Ron, gli occhi sgranati, mentre il suo cuscino roteava in alto, rimbalzava contro il candelabro e ricadeva pesantemente sulla scrivania di Vitious. «Harry… forse Moody crede che sia stato Piton a mettere il tuo nome nel Calice di Fuoco!»

«Oh, Ron» disse Hermione, scuotendo il capo scettica, «una volta pensavamo che Piton stesse cercando di uccidere Harry, ed è saltato fuori che gli stava salvando la vita, ti ricordi?»

Esiliò un cuscino che attraversò in volo la stanza e atterrò nello scatolone dove avrebbero dovuto finire tutti quanti. Harry guardò Hermione, riflettendo… era vero che Piton gli aveva salvato la vita una volta, ma la cosa strana era che Piton lo detestava a morte, proprio come aveva detestato il padre di Harry quando erano stati compagni di scuola. Piton adorava togliere punti a Harry, e certamente non aveva mai perso l’occasione per punirlo, o per suggerire la sua sospensione dalla scuola.

«Non m’importa che cosa dice Moody» riprese Hermione, «Silente non è uno stupido. Ha avuto ragione a fidarsi di Hagrid e del professor Lupin, anche se un mucchio di gente non gli avrebbe dato un lavoro, e allora perché non dovrebbe aver ragione a proposito di Piton, anche se Piton è un po’…»

«… malvagio» concluse prontamente Ron. «Andiamo, Hermione, allora perché tutti questi cacciatori di Maghi Oscuri frugano nel suo ufficio?»

«Perché il signor Crouch finge di essere ammalato?» disse Hermione, ignorando Ron. «È un po’ strano, no, che non ce la faccia a venire al Ballo del Ceppo ma riesca a venire quassù nel cuore della notte quando gli va?»

«A te non piace Crouch per via di quell’elfa, Winky» disse Ron, e spedì un cuscino contro la finestra.

«E a te piace pensare che Piton stia tramando qualcosa» disse Hermione, spedendo il suo cuscino dritto nello scatolone.

«A me piacerebbe sapere che cos’ha fatto Piton della sua prima possibilità, se adesso è alla seconda» rispose Harry cupo, e il suo cuscino, con sua gran sorpresa, volò attraverso la stanza e atterrò con precisione su quello di Hermione.

* * *

Per soddisfare il desiderio di Sirius di sapere tutto ciò che di strano accadeva a Hogwarts, quella sera Harry gli spedì una lettera via gufo bruno, e gli raccontò tutto: che il signor Crouch era penetrato nell’ufficio di Piton, e della conversazione tra Moody e Piton. Poi rivolse tutta la sua attenzione al problema più urgente che gli stava davanti: come sopravvivere sott’acqua per un’ora il 24 febbraio.

A Ron piaceva l’idea di usare ancora l’Incantesimo di Appello: Harry aveva parlato di respiratori da sub, e Ron non capiva perché Harry non avrebbe dovuto farne arrivare uno dalla più vicina città babbana. Hermione demolì il piano sottolineando che, nell’improbabile eventualità che Harry riuscisse a imparare come si usa un respiratore entro il tempo massimo di un’ora, sarebbe stato di certo squalificato per infrazione al Codice Internazionale di Segretezza Magica: era troppo sperare che nessun Babbano avrebbe visto un respiratore filare per la campagna in direzione di Hogwarts.

«Naturalmente, la soluzione ideale sarebbe che ti Trasfigurassi in un sottomarino» disse. «Se solo avessimo già fatto Trasfigurazione umana! Ma non credo che si faccia prima del sesto anno, e può finire malissimo se non sai quello che fai…»

«Sì, non ho una gran voglia di andarmene in giro con un periscopio che mi spunta dalla testa» disse Harry. «Ma potrei sempre aggredire qualcuno davanti a Moody, così potrebbe trasformarmi lui…»

«Però sceglierebbe lui in cosa trasformarti» disse Hermione serissima. «No, credo che la cosa migliore sia un incantesimo».

Così Harry, pensando che ben presto ne avrebbe avuto abbastanza della biblioteca per tutta la vita, si seppellì di nuovo tra i volumi polverosi, alla ricerca di un incantesimo che consentisse a un essere umano di sopravvivere senza ossigeno. Comunque, anche se lui, Ron e Hermione fecero ricerche all’ora di pranzo, la sera e per tutti i fine settimana, anche se Harry chiese alla professoressa McGranitt il permesso di usare il Reparto Proibito, e domandò aiuto perfino all’irritabile Madama Pince con quella sua aria da avvoltoio, non trovarono proprio niente che consentisse a Harry di trascorrere un’ora sott’acqua e di riuscire a raccontarlo.

Familiari sensazioni di panico presero a tormentare Harry, che una volta ancora trovò difficile concentrarsi sulle lezioni. Il lago, che Harry aveva sempre dato per scontato come una delle tante parti del parco, catturava il suo sguardo tutte le volte che si trovava vicino a una finestra: una vasta massa di acqua gelata color grigio ferro, le cui cupe, ghiacciate profondità cominciavano a sembrare remote quanto la luna.

Proprio come prima della sfida contro lo Spinato, il tempo scivolava via come se qualcuno avesse stregato gli orologi. Mancava una settimana al 24 febbraio (c’era ancora tempo)… mancavano cinque giorni (presto avrebbe trovato qualcosa)… tre giorni… (per favore, fa’ che trovi qualcosa… per favore…)

A meno due giorni, Harry cominciò a digiunare di nuovo. L’unica cosa buona della colazione il lunedì fu il ritorno del gufo bruno che aveva spedito a Sirius. Sfilò la pergamena, la srotolò e vide la lettera più breve che Sirius gli avesse mai scritto.

Mandami la data del prossimo fine settimana a Hogsmeade via stesso gufo.

Harry voltò il foglietto, sperando di trovare qualcos’altro, ma era in bianco.

«Fra due fine settimana» sussurrò Hermione, che aveva letto il messaggio da sopra la spalla di Harry. «Tieni… prendi la mia penna e rimanda subito indietro il gufo».

Harry scarabocchiò la data sul retro della lettera di Sirius, legò di nuovo quest’ultima alla zampa del gufo bruno e lo guardò decollare. Che cosa si era aspettato? Un consiglio su come sopravvivere sott’acqua? Aveva pensato solo a raccontare a Sirius tutto di Piton e Moody, e così si era dimenticato di parlare dell’indovinello dell’uovo.

«Perché vuole sapere del prossimo fine settimana a Hogsmeade?» chiese Ron.

«Non so» rispose Harry sordamente. La temporanea felicità che lo aveva pervaso alla vista del gufo era svanita. «Andiamo… Cura delle Creature Magiche».

Harry non sapeva se Hagrid volesse farsi perdonare per gli Schiopodi Sparacoda, o se fosse perché ne erano rimasti solo due, o perché stava cercando di dimostrare di essere all’altezza della professoressa Caporal, ma comunque da quando era tornato al lavoro aveva continuato le lezioni sugli unicorni. Saltò fuori che Hagrid sugli unicorni la sapeva lunga quanto sui mostri, anche se era chiaro che trovava deludente la loro mancanza di zanne velenose.

Quel giorno era riuscito a catturare due puledri di unicorno. A differenza degli esemplari adulti, erano d’oro puro. Calì e Lavanda furono rapite alla loro vista, e anche Pansy Parkinson dovette fare uno sforzo per nascondere quanto le piacevano.

«Sono più facili da vedere degli adulti» disse Hagrid alla classe. «Diventano d’argento quando hanno due anni, e a quattro ci cresce il corno. Non diventano bianchi finché non sono cresciuti, più o meno a sette anni. Da cuccioli sono un po’ più tranquilli… quasi quasi ci piacciono anche i maschi… dai, venite avanti, potete accarezzarli se vi va… dateci un po’ di questi zuccherini…

«Stai bene, Harry?» borbottò Hagrid avvicinandosi a lui mentre tutti gli altri si assiepavano attorno ai piccoli unicorni.

«Sì» rispose Harry.

«Sei solo nervoso, eh?» disse Hagrid.

«Un po’» rispose Harry.

«Harry» disse Hagrid, battendogli una manona sulla spalla, così che Harry piegò le ginocchia sotto il peso, «mi preoccupavo prima di vederti alle prese con quello Spinato, ma adesso lo so che puoi fare tutto quello che ti metti in testa. Non ho proprio nessun pensiero. Sarai bravissimo. Hai già risolto l’indovinello, vero?»

Harry annuì, ma nel farlo fu sopraffatto dal folle desiderio di confessare che non aveva idea di come sopravvivere in fondo al lago. Alzò gli occhi verso Hagrid: forse qualche volta doveva immergersi nel lago, per trattare con le creature che lo popolavano? Dopotutto si occupava di tutto il resto del parco…

«Vincerai» ringhiò Hagrid, battendo di nuovo sulla spalla di Harry, che si sentì sprofondare un altro po’ nel terreno fangoso. «Lo so. Me lo sento. Vincerai, Harry».

Harry non ebbe cuore di cancellare il sorriso lieto e fiducioso dalla faccia di Hagrid. Fingendo di essere interessato ai cuccioli di unicorni, si sforzò a sua volta di sorridere e andò con gli altri ad accarezzarli.

* * *

La sera prima della seconda prova, Harry si sentiva prigioniero di un incubo. Era pienamente consapevole che se anche per miracolo fosse riuscito a scoprire un incantesimo adatto, imparare a padroneggiarlo nel giro di una notte era un’impresa disperata.

Come aveva fatto a ridursi così? Perché non si era messo a lavorare prima sull’indovinello? Perché si era distratto in classe? E se un insegnante una volta avesse accennato a come respirare sott’acqua?

Lui, Ron e Hermione erano seduti in biblioteca mentre fuori il sole tramontava, sfogliando febbrilmente pagine e pagine di incantesimi, nascosti l’uno all’altro da enormi pile di libri. Harry aveva un gran tuffo al cuore tutte le volte che su una pagina vedeva la parola «acqua», ma quasi sempre era roba del tipo «Prendete due pinte d’acqua, mezza libbra di foglie di mandragola a pezzetti e un tritone…»

«Non credo che ci riusciremo» disse Ron con voce inespressiva dall’altro capo del tavolo. «Non c’è niente. Niente. Quello che ci va più vicino è quella roba per prosciugare pozzanghere e stagni, quell’Incantesimo Essiccante, ma non è nemmeno vagamente così potente da svuotare il lago».

«Eppure dev’esserci qualcosa» borbottò Hermione, avvicinandosi una candela. Aveva gli occhi così stanchi che stava china sui minuscoli caratteri di Antichi Stregamenti e Incanti Obliati col naso a due centimetri dalla pagina. «Non possono aver preparato una prova infattibile».

«E invece sì» disse Ron. «Harry, domani vai giù al lago, va bene, ci ficchi dentro la testa, urli a quelle sirene di restituirti quello che ti hanno rubato e sta’ un po’ a vedere se lo ributtano fuori. È il meglio che tu possa fare, amico».

«Un modo c’è!» disse Hermione contrariata. «Ci deve essere!»

Aveva l’aria di prendere la mancanza di informazioni utili in biblioteca come un affronto personale; la biblioteca non l’aveva mai tradita prima.

«Lo so che cosa dovevo fare» disse Harry, giacendo a faccia in giù su Trucchi Sfiziosi per Tipi Scherzosi. «Avrei dovuto imparare a diventare un Animagus come Sirius».

«Sì, così potevi trasformarti in un pesce rosso quando ti andava!» disse Ron.

«O in una rana» disse Harry sbadigliando. Era sfinito.

«Ci vogliono anni per diventare Animagus, e poi devi iscriverti al registro» disse Hermione in tono vago, strizzando gli occhi per scrutare l’indice di Curiosi Dilemmi Magici e Loro Soluzioni. «Ce l’ha detto la professoressa McGranitt, vi ricordate… bisogna iscriversi all’Ufficio per l’Uso Improprio della Magia… dichiarare in che tipo di animale sei in grado di trasformarti, e le tue caratteristiche, perché non puoi farlo quando ne hai voglia…»

«Hermione, stavo scherzando» disse stancamente Harry. «Lo so che non ho uno straccio di possibilità di trasformarmi in una rana di qui a domani mattina…»

«Oh, questo non serve» disse Hermione, chiudendo con un colpo secco Curiosi Dilemmi Magici e Loro Soluzioni. «Chi mai vorrebbe farsi crescere il naso a riccioli?»

«A me non dispiacerebbe» disse la voce di Fred Weasley. «Sarebbe un bell’argomento di conversazione, no?»

Harry, Ron e Hermione alzarono lo sguardo. Fred e George erano appena spuntati da dietro una scaffalatura.

«Che cosa ci fate voi due qui?» chiese Ron.

«Vi stavamo cercando» spiegò George. «La McGranitt vuole vederti, Ron. E anche te, Hermione».

«Perché?» domandò Hermione, sorpresa.

«Non so… era un po’ triste, però» disse Fred.

«Dobbiamo accompagnarvi giù nel suo ufficio» disse George.

Ron e Hermione fissarono Harry, che si sentì sprofondare lo stomaco. La professoressa McGranitt avrebbe dato una strigliata a Ron e Hermione per quanto lo stavano aiutando, quando avrebbe dovuto scoprire come affrontare la prova da solo?

«Ci rivediamo in sala comune» disse Hermione a Harry alzandosi per andare via con Ron: erano tutti e due parecchio preoccupati. «Porta tutti i libri che riesci, ok?»

«Va bene» disse Harry inquieto.

Alle otto, Madama Pince aveva spento tutte le lampade e venne a cacciar via Harry dalla biblioteca. Barcollando sotto il peso di tutti i libri che riusciva a trasportare, Harry tornò nella sala comune di Grifondoro, trascinò un tavolo in un angolo e riprese a cercare. Non c’era nulla in Mitiche Magie per Stregoni Stravaganti… nulla in Guida alla Stregoneria Medievale… nemmeno un accenno a gesta subacquee in Antologia degli Incantesimi del Diciottesimo Secolo, né in Allucinanti Abitatori degli Abissi, né in Poteri che Non Sapevate di Avere: Cosa Farvene ora che Avete Aperto gli Occhi.

Grattastinchi si arrampicò in grembo a Harry e si acciambellò, facendo le fusa. La sala comune si svuotò lentamente attorno a Harry. Tutti continuavano a fargli gli auguri per la mattina dopo con voci allegre e fiduciose come quella di Hagrid, tutti evidentemente convinti che stesse per mettere a segno un’altra stupefacente esibizione come quella che era riuscito a compiere nella prima prova. Harry non riusciva a rispondere, si limitava ad annuire, con la sensazione che gli si fosse incastrata in gola una pallina da golf. Dalle dieci a mezzanotte rimase solo nella stanza con Grattastinchi. Aveva sfogliato tutti i libri che restavano, e Ron e Hermione non erano tornati.

È finita, si disse. Non puoi farcela. Domattina ti toccherà andare giù al lago e dire ai giudici…

Si vide mentre spiegava che non poteva affrontare la prova. Immaginò gli occhi di Bagman sgranati dallo stupore, il sorriso giallastro e compiaciuto di Karkaroff. Riusciva quasi a sentire la voce di Fleur Delacour: «Lo sapevo… è troppo piccolo, è solamonte un ragazzino». Vide Malfoy far lampeggiare la spilla POTTER FA SCHIFO davanti alla folla, vide il volto mortificato e incredulo di Hagrid…

Dimenticando di avere in grembo Grattastinchi, Harry si alzò di botto; Grattastinchi soffiò irato mentre piombava a terra, rivolse a Harry uno sguardo di disgusto e se ne andò con la coda a scovolo per aria, ma Harry stava già correndo su per la scala a chiocciola che portava al dormitorio… voleva prendere il Mantello dell’Invisibilità e tornare in biblioteca, sarebbe rimasto là tutta la notte, se ce n’era bisogno…

«Lumos» sussurrò quindici minuti più tardi, mentre apriva la porta della biblioteca.

Con la punta della bacchetta accesa, sgattaiolò lungo gli scaffali, sfilando altri libri: libri di stregonerie e di incantesimi, libri sulle sirene e sui mostri marini, libri su maghi e streghe celebri, su invenzioni magiche, su qualunque cosa potesse comprendere una citazione di passaggio su come sopravvivere sott’acqua. Li portò tutti a un tavolo, poi si mise al lavoro, consultandoli alla debole luce della bacchetta, controllando l’orologio di quando in quando…

L’una del mattino… le due… il solo modo di andare avanti era continuare a ripetersi: “Nel prossimo libro… nel prossimo… nel prossimo…”

* * *

La sirena del quadro nel bagno dei Prefetti rideva. Harry galleggiava come un tappo nell’acqua spumeggiante vicino alla sua roccia, mentre lei teneva la Firebolt in alto, fuori dalla sua portata.

«Vieni a prenderla!» ridacchiava maliziosamente. «Vai, salta!»

«Non posso» disse Harry affannato, allungandosi verso la Firebolt, e cercando di non finire sott’acqua. «Dammela!»

Ma lei lo colpi al fianco con il manico della scopa, sghignazzando.

«Fa male… vattene… ahia…»

«Harry Potter si deve svegliare, signore!»

«Smettila di picchiarmi…»

«Dobby deve picchiare Harry Potter, signore, deve svegliarsi!»

Harry aprì gli occhi. Si trovava ancora in biblioteca; il Mantello dell’Invisibilità gli era scivolato via nel sonno, e la guancia era appiccicata alle pagine di Dove c’è una Bacchetta, c’è un Modo. Si alzò a sedere, raddrizzandosi gli occhiali, strizzando gli occhi alla chiara luce del giorno.

«Harry Potter deve sbrigarsi!» strillò Dobby. «La seconda prova comincia fra dieci minuti, e Harry Potter…»

«Dieci minuti?» gracchiò Harry. «Dieci… dieci minuti

Guardò l’orologio. Dobby aveva ragione. Erano le nove e venti. Un grosso peso morto parve sfondare il petto di Harry e invadergli lo stomaco.

«Presto, Harry Potter!» squittì Dobby, tirando Harry per la manica. «Tu dovrebbe essere giù al lago con gli altri campioni, signore!»

«È troppo tardi, Dobby» disse Harry disperato. «Non affronterò la seconda prova, non so come…»

«Harry Potter farà la seconda prova!» squittì l’elfo. «Dobby lo sapeva che Harry non aveva trovato il libro giusto, così Dobby l’ha fatto al posto suo!»

«Cosa?» esclamò Harry. «Ma tu non sai qual è la seconda prova…»

«Dobby lo sa, signore! Harry Potter deve andare dentro il lago e trovare quello rosso…»

«Trovare che cosa?»

«… e portar via quello rosso alle sirene!»

«Che cos’è quello rosso?»

«Il suo amico rosso, signore, quello rosso… quello rosso che ha regalato a Dobby il golfino!»

Dobby si tirò il golfino marrone ristretto che portava sopra i pantaloncini.

«Cosa?» esclamò Harry senza fiato. «Hanno preso… hanno preso Ron

«Ciò che mancherà a Harry Potter, signore!» squittì Dobby. «E tempo un’ora…»

«…“mala sorte avrà”» recitò Harry, fissando l’elfo, paralizzato dal terrore, «“ciò che fu preso mai ritornerà…” Dobby… che cosa devo fare?»

«Harry Potter deve mangiare questo, signore!» strillò l’elfo, e s’infilò una mano nella tasca dei pantaloncini per estrarne una pallottola di quelle che sembravano viscide code di ratto di un verde grigiastro. «Appena prima di entrare nel lago, signore… è Algabranchia!»

«A cosa serve?» disse Harry, fissando l’Algabranchia.

«Farà respirare Harry Potter sott’acqua, signore!»

«Dobby» disse Harry agitatissimo, «ascoltami… ne sei sicuro?»

Non poteva fare a meno di ricordare che l’ultima volta che Dobby aveva cercato di “aiutarlo”, si era ritrovato senz’ossa nel braccio destro.

«Dobby è molto sicuro, signore!» disse l’elfo convinto. «Dobby ascolta, signore, è un elfo domestico, va su e giù per il castello ad accendere le luci e pulire i pavimenti, Dobby ha sentito la professoressa McGranitt e il professor Moody in sala professori che parlavano della prossima prova… Dobby non può permettere che Harry Potter si perde il suo rosso!»

I dubbi di Harry svanirono. Balzando in piedi, si tolse il Mantello dell’Invisibilità, lo ficcò nella borsa, prese l’Algabranchia e se la mise in tasca, poi si precipitò fuori dalla biblioteca con Dobby alle calcagna.

«Dobby dovrebbe essere in cucina, signore!» strillò Dobby mentre irrompevano in corridoio. «Si accorgeranno che Dobby non c’è… buona fortuna, Harry Potter, signore, buona fortuna!»

«A più tardi, Dobby!» gridò Harry, e sfrecciò lungo il corridoio e giù per le scale, facendo i gradini tre alla volta.

Nella Sala d’Ingresso c’erano pochi ritardatari, che avevano lasciato la Sala Grande dopo colazione e ora uscivano dal portone di quercia per andare ad assistere alla seconda prova. Rimasero sbigottiti alla vista di Harry che sfrecciava via, travolgendo Colin e Dennis Canon mentre balzava giù dai gradini di pietra e si precipitava nel parco luminoso e gelato.

Correndo giù per il prato vide che i sedili che a novembre avevano circondato la staccionata dei draghi ora erano disposti sulla riva opposta, schierati in tribune colme fino a scoppiare che si riflettevano nel lago di sotto; il chiacchiericcio eccitato della folla echeggiava stranamente sull’acqua mentre Harry correva a gambe levate dall’altra parte del lago, verso i giudici, che erano seduti a un altro tavolo ricoperto d’oro, sulla riva. Cedric, Fleur e Krum erano accanto al tavolo dei giudici, e guardavano Harry sfrecciare verso di loro.

«Sono… qui…» disse Harry ansimando, fermandosi di colpo nel fango e schizzando senza volerlo l’abito di Fleur.

«Dove sei stato?» disse una voce autoritaria in tono di disapprovazione. «La prova sta per cominciare!»

Harry si voltò. Percy Weasley sedeva al tavolo dei giudici: il signor Crouch era di nuovo assente.

«Insomma, insomma, Percy!» disse Ludo Bagman, che sembrava decisamente sollevato di vedere Harry. «Lasciagli riprendere fiato!»

Silente sorrise a Harry, ma Karkaroff e Madame Maxime non sembravano affatto contenti di vederlo… era ovvio dai loro sguardi che erano convinti che non si sarebbe presentato.

Harry si chinò, le mani sulle ginocchia, cercando di prendere fiato; aveva una fitta al fianco, come un coltello piantato tra le costole, ma non c’era tempo per liberarsene; Ludo Bagman si muoveva tra i campioni, disponendoli lungo la riva a tre metri di distanza l’uno dall’altro. Harry era l’ultimo della fila, vicino a Krum, che indossava i calzoncini da bagno e aveva la bacchetta pronta.

«Tutto a posto, Harry?» sussurrò Ludo Bagman, mentre lo allontanava ancora un po’ da Krum. «Sai quello che devi fare?»

«Sì» sbuffò Harry, massaggiandosi le costole.

Bagman gli diede una strizzatina alla spalla, e tornò al tavolo dei giudici; puntò la bacchetta verso la propria gola come aveva fatto alla Coppa del Mondo, disse «Sonorus!» e la sua voce si levò fragorosa verso le tribune, al di là dell’acqua scura.

«Bene, tutti i nostri campioni sono pronti per la seconda prova, che comincerà al mio fischio. Hanno un’ora esatta per recuperare ciò che è stato sottratto loro. Uno… due… tre

Il fischio echeggiò acuto nell’acqua fredda e immobile; le tribune risuonarono di urla e applausi; senza voltarsi a guardare che cosa facevano gli altri campioni, Harry si tolse le scarpe e le calze, estrasse dalla tasca la manciata di Algabranchia, se la ficcò in bocca ed entrò nel lago.

Era così freddo che sentì la pelle delle gambe bruciare come se fosse fuoco e non acqua ghiacciata. La veste inzuppata lo appesantiva mentre avanzava sprofondando; ora l’acqua gli arrivava oltre le ginocchia, e i piedi, che diventavano rapidamente insensibili, slittavano sul limo e sulle piatte pietre scivolose. Masticava l’Algabranchia più in fretta e con più vigore che poteva; era sgradevolmente viscida e gommosa, come tentacoli di polpo. Quando l’acqua gli arrivava ormai alla vita si fermò, deglutì e aspettò che succedesse qualcosa.

Sentiva le risate della folla, e sapeva di avere un’aria stupida, lì a camminare nel lago senza mostrare alcuna traccia di poteri magici. Ciò che di lui era ancora asciutto era coperto di pelle d’oca; semisommerso dall’acqua gelata, mentre un venticello crudele lo spettinava, Harry prese a tremare violentemente. Evitò di guardare le tribune; le risate si facevano più alte, e si udivano fischi e grida di scherno dei Serpeverde…

Poi, all’improvviso, Harry si sentì come se qualcuno gli stesse premendo un cuscino invisibile sul naso e sulla bocca. Cercò di inspirare, ma gli girava la testa; aveva i polmoni vuoti, e d’un tratto provò un dolore acuto da entrambi i lati del collo…

Harry si strinse le mani attorno alla gola, e avvertì due grossi tagli proprio sotto le orecchie, che sbatacchiavano nell’aria fredda… aveva le branchie. Senza riflettere, fece l’unica cosa sensata: si tuffò in acqua.

La prima sorsata di gelido lago fu come un soffio vitale. La testa non gli girava più; inghiottì altra acqua e la sentì scorrere attraverso le branchie, inviando ossigeno al cervello. Tese le mani davanti a sé e le guardò. Erano verdi e spettrali sott’acqua, ed erano diventate palmate. Si contorse per guardarsi i piedi nudi: si erano allungati ed erano anch’essi palmati; era come se gli fossero cresciute delle pinne.

E nemmeno l’acqua sembrava più gelata… al contrario, si sentiva piacevolmente rinfrescato, e leggerissimo… Harry si slanciò in avanti, stupito dalla rapidità con cui avanzava, grazie ai piedi pinnati, e si accorse che ci vedeva chiaramente, senza aver più bisogno di sbattere le palpebre. Ben presto non riuscì più a scorgere il fondo del lago: allora si rigirò e si tuffò dritto verso l’abisso.

Il silenzio premeva contro le orecchie mentre sprofondava in uno strano, tetro, nebuloso paesaggio. Vedeva solo nel raggio di tre metri, e mentre filava nell’acqua nuove immagini affioravano all’improvviso dall’oscurità sempre più fitta; foreste di alghe nere aggrovigliate che oscillavano, vaste piane di fango coperto di scure pietre luccicanti. Nuotò sempre più giù, verso il centro del lago, gli occhi bene aperti, fissando l’acqua pervasa di un misterioso lucore grigiastro attorno a lui fino alle ombre più giù, dove diventava opaca.

Piccoli pesci saettavano oltrepassandolo come frecce d’argento. Una o due volte gli parve di vedere qualcosa di più grosso muoversi davanti a lui, ma quando si avvicinò, scoprì che non era altro che un grosso tronco annerito, o un fitto cespo di alghe. Non c’era traccia degli altri campioni, di sirene, di Ron — né, per fortuna, della piovra gigante.

Alghe di un verde brillante si allungavano davanti a lui a vista d’occhio, alte più di mezzo metro, come un prato di erba molto cresciuta. Harry fissava davanti a sé senza strizzare gli occhi, cercando di distinguere le forme nell’oscurità… e poi, senza preavviso, qualcosa gli afferrò una caviglia.

Harry si voltò indietro e vide un Avvincino, un piccolo demone acquatico cornuto, spuntare dalle alghe, le lunghe dita strette attorno alla sua gamba, le zanne puntute scoperte. Harry infilò in fretta la mano palmata nella veste e frugò in cerca della bacchetta: il tempo di afferrarla, e altri due Avvincini erano affiorati dal tappeto di alghe, si erano aggrappati alla veste di Harry e tentavano di trascinarlo giù.

«Relascio!» urlò Harry, ma non uscì alcun suono… una grossa bolla gli scivolò fuori dalla bocca, e la bacchetta, invece di spedire scintille all’indirizzo degli Avvincini, scagliò loro quello che pareva un getto di acqua bollente, perché sulla loro pelle verde, nei punti colpiti, comparvero macchie di un vivido rosso. Harry sfilò la caviglia dalla presa dell’Avvincino e nuotò più veloce che poteva, sparando di quando in quando altri getti di acqua bollente oltre la spalla, dietro di sé, a caso; ogni tanto un Avvincino tentava di nuovo di afferrargli il piede, e scalciava forte; alla fine, sentì il piede cozzare contro un cranio cornuto e guardando indietro vide l’Avvincino stordito allontanarsi nell’acqua, arrabbiato, mentre i suoi compagni alzavano i pugni contro Harry e ripiombavano tra le alghe.

Harry rallentò un po’, nascose la bacchetta sotto la veste e si guardò intorno, tendendo di nuovo l’orecchio. Si voltò del tutto, il silenzio che premeva più forte che mai contro i timpani. Sapeva di trovarsi ancora più in basso, ora, ma nulla si muoveva, a parte le alghe oscillanti.

«Come va?»

A Harry venne quasi un infarto. Si voltò di scatto e vide Mirtilla Malcontenta che fluttuava confusamente davanti a lui, guardandolo attraverso le spesse lenti perlacee.

«Mirtilla!» Harry cercò di gridare: ma ancora una volta dalla sua bocca non uscì altro che una grossa bolla. Mirtilla Malcontenta invece fece una risatina.

«Devi provare laggiù!» disse, indicando col dito. «Io non verrò con te… non mi piacciono granché, mi inseguono sempre quando mi avvicino troppo…»

Harry alzò i pollici per ringraziarla e ripartì, facendo attenzione a nuotare un po’ più su rispetto alle alghe, per evitare altri Avvincini in agguato lì sotto.

Continuò a nuotare per almeno una ventina di minuti. Stava passando sopra vaste distese di fango nero, che vorticavano oscure mentre spostava l’acqua. Poi, finalmente, sentì un frammento del canto ammaliante delle sirene.

«Hai tempo un’ora per poter cercare
quel che rubammo. Non esitare…»

Harry nuotò più in fretta, e presto vide una grossa roccia spuntare nell’acqua fangosa davanti a sé. Sopra c’erano disegni che raffiguravano il popolo sirenesco; i personaggi brandivano lance e inseguivano quello che sembrava la piovra gigante. Harry superò la roccia, seguendo la canzone delle sirene.

«…metà del tempo hai speso, or non ti attardare
se ciò a cui tieni vuoi recuperare…»

Un mucchio di edifici di pietra viva macchiati di alghe apparvero all’improvviso dall’oscurità, da tutti i lati. Qua e là alle scure finestre Harry vide dei volti… volti che non avevano alcuna somiglianza con il dipinto della sirena nel bagno dei Prefetti… Il popolo delle sirene aveva la pelle grigiastra e lunghe, arruffate chiome verde scuro. Gli occhi erano gialli, come i denti spezzati, e portavano spesse collane di ciottoli attorno al collo. Sguardi maligni seguirono Harry al suo passaggio; un paio di tritoni affiorarono dalle caverne per osservarlo meglio, le potenti code pinnate d’argento che battevano l’acqua, le lance strette in mano.

Harry accelerò, guardandosi attorno, e ben presto le caverne diventarono più numerose; c’erano giardini di alghe attorno ad alcune, e vide perfino un Avvincino domestico legato a un palo fuori da una porta. Il popolo delle sirene spuntava da tutte le parti, osservandolo con curiosità, indicando le sue mani palmate e le branchie, parlottando e nascondendosi dietro le mani. Harry svoltò un angolo in fretta, e davanti ai suoi occhi comparve uno spettacolo molto strano.

Una folla di sirene e tritoni nuotava davanti alle case che fiancheggiavano quella che sembrava la versione sirenesca della piazza di un villaggio. Al centro cantava un coro di sirene, per attirare i campioni, e dietro si ergeva una statua molto rozza: un tritone gigantesco sbozzato in una roccia. Quattro persone erano legate strette alla sua coda di pietra.

Ron stava tra Hermione e Cho Chang. C’era anche una ragazzina che non dimostrava più di otto anni, e la sua nube di capelli di un biondo argenteo convinse Harry che dovesse trattarsi della sorella di Fleur Delacour. Tutti e quattro sembravano immersi in un sonno profondo. Le loro teste ciondolavano sulle spalle, e fili sottili di bollicine salivano dalle loro bocche.

Harry si affrettò ad avvicinarsi ai prigionieri, aspettandosi quasi che i tritoni abbassassero le lance e lo attaccassero, ma quelli non fecero nulla. Le corde d’alga che tenevano avvinti gli ostaggi alla statua erano spesse, viscide e molto robuste. Per un furtivo istante Harry pensò al coltellino che Sirius gli aveva regalato a Natale: chiuso nel suo baule al castello a un quarto di miglia di distanza, non gli era di alcun aiuto.

Si guardò intorno. Molti dei tritoni che li circondavano erano armati di lance. Nuotò rapido verso uno alto più di due metri con una lunga barba verde e una collanina di denti di squalo, e cercò di chiedergli a gesti la lancia. Il tritone scoppiò a ridere e scosse il capo.

«Noi non aiutiamo» disse con voce aspra e roca.

«ANDIAMO!» esclamò Harry furioso (ma dalla sua bocca non uscirono altro che bolle), e cercò di sfilare la lancia dalla mano del tritone, ma quest’ultimo la allontanò, scuotendo la testa e ridendo.

Harry si voltò in fretta, guardando nell’acqua. Qualcosa di affilato… qualunque cosa…

Sul fondo del lago c’erano un sacco di pietre. Si tuffò e ne afferrò una particolarmente tagliente, e tornò verso la statua. Cominciò a segare le funi che legavano Ron, e dopo parecchi minuti di duro lavoro finalmente si spezzarono. Ron, svenuto, si sollevò fluttuando dal fondo del lago, sospinto dalla corrente.

Harry si guardò intorno. Non c’era traccia degli altri campioni. A che gioco stavano giocando? Perché non si sbrigavano? Si voltò verso Hermione, brandì la pietra tagliente e cominciò a segare anche le sue funi…

All’improvviso, parecchie robuste mani grigie lo afferrarono. Una mezza dozzina di tritoni lo stavano allontanando da Hermione: agitavano le teste verdecrinite e ridevano.

«Tu prendi il tuo prigioniero» gli disse uno di loro. «Lascia gli altri…»

«Non se ne parla!» disse Harry arrabbiato: ma dalla sua bocca uscirono solo due grosse bolle.

«Il tuo compito è salvare il tuo amico… lascia gli altri…»

«Anche lei è mia amica!» strillò Harry, indicando Hermione, e un’enorme bolla argentata scivolò senza alcun rumore tra le sue labbra. «E non voglio che nemmeno loro muoiano!»

Cho aveva il capo posato sulla spalla di Hermione; la bambina coi capelli d’argento era pallidissima, di un verde spettrale. Harry lottò per respingere i tritoni, ma quelli risero più forte, trattenendolo. Harry si guardò intorno, disperato. Dov’erano gli altri campioni? Ce la faceva a portare su Ron e a tornare giù a recuperare Hermione e le altre? Sarebbe riuscito a ritrovarle? Guardò l’orologio per vedere quanto tempo gli restava: si era fermato.

Ma in quel momento i tritoni attorno a lui cominciarono a indicare eccitati qualcosa sopra di lui. Harry guardò in su e vide Cedric nuotare verso di loro. Attorno alla testa aveva una bolla enorme, che faceva sembrare i suoi lineamenti stranamente larghi e deformati.

«Mi sono perso!» disse, muovendo solo le labbra, terrorizzato. «Fleur e Krum stanno arrivando!»

Infinitamente sollevato, Harry guardò Cedric estrarre un coltello dalla tasca e liberare Cho. La portò verso l’alto, finché sparirono.

Harry si guardò intorno, in attesa. Dov’erano Fleur e Krum? Il tempo stringeva e, secondo la canzone, gli ostaggi sarebbero stati perduti dopo un’ora…

I tritoni presero a strillare agitati. Quelli che immobilizzavano Harry allentarono la presa e si volsero indietro. Harry si voltò e vide qualcosa di mostruoso che fendeva l’acqua sopra di loro: un corpo umano in calzoncini da bagno, con la testa di squalo… era Krum. Evidentemente si era Trasfigurato: però male.

L’uomo-squalo nuotò diritto verso Hermione e prese ad addentare e a mordere le funi: il guaio era che i nuovi denti di Krum si trovavano in una posizione difficile per mordere qualunque cosa più piccola di un delfino, e Harry era sicuro che se Krum non fosse stato attento, avrebbe tagliato in due Hermione. Sfrecciando in avanti, diede una gran botta sulla spalla di Krum, e gli tese la pietra tagliente. Krum la afferrò e cominciò a liberare Hermione. Entro pochi secondi ce l’aveva fatta; prese Hermione per la vita e, senza guardarsi indietro, cominciò a risalire rapidamente con lei verso la superficie.

E adesso? Harry pensò disperato. Se fosse stato sicuro che Fleur era in arrivo… Ma non c’era ancora traccia di lei. Non c’era nulla…

Raccolse la pietra che Krum aveva lasciato cadere, ma i tritoni si chiusero attorno a Ron e alla ragazzina, scuotendo di nuovo la testa.

Harry estrasse la bacchetta. «Toglietevi di mezzo!»

Dalla sua bocca uscirono solo bolle, ma ebbe la chiara impressione che i tritoni lo avessero capito, perché all’improvviso cessarono di ridere. I loro occhi giallastri erano puntati sulla bacchetta di Harry, e sembravano spaventati. Potevano anche essere in netta maggioranza, ma Harry capì dalle loro espressioni che di magia ne sapevano quanto la piovra gigante.

«Vi do tempo fino al tre!» urlò Harry; emise un fiotto di bolle, ma levò tre dita tese per assicurarsi che avessero capito il messaggio. «Uno…» (abbassò un dito) «due…» (abbassò il secondo)…

Si dispersero. Harry scattò in avanti e prese a colpire le funi che legavano la bambina alla statua; e finalmente fu libera. La prese per la vita, afferrò il colletto dell’abito di Ron e si allontanò scalciando dal fondo.

La salita fu lentissima. Non poteva più usare le mani palmate per spingersi in avanti; agitava furiosamente le pinne, ma Ron e la sorellina di Fleur erano come sacchi pieni di patate che lo trascinavano in giù… puntò gli occhi verso il cielo, anche se sapeva di essere ancora molto in profondità, l’acqua sopra di lui era così scura…

I tritoni salivano con lui. Li vedeva guizzare disinvoltamente attorno a lui e osservarlo nella sua lotta dentro l’acqua… lo avrebbero tirato di nuovo giù in fondo, a tempo scaduto? Forse mangiavano gli umani? Le gambe gli si stavano bloccando per lo sforzo di continuare a nuotare; le spalle gli facevano un male terribile per la fatica di trascinare Ron e la bambina…

Respirava con estrema difficoltà. Sentì di nuovo male ai lati del collo… avvertì la sensazione dell’acqua che gli riempiva la bocca… eppure l’oscurità scemava a vista d’occhio… vide la luce del giorno sopra di lui…

Scalciò forte con le pinne e scoprì che non erano altro che piedi… l’acqua gli scorreva in bocca e gli invadeva i polmoni… cominciava a sentirsi stordito, ma sapeva che la luce e l’aria erano a soli tre metri di distanza… doveva arrivarci… doveva…

Harry agitò le gambe così forte e così veloce che fu come se i suoi muscoli urlassero per protestare; era come se il cervello gli si fosse impregnato d’acqua, non riusciva a respirare, aveva bisogno di ossigeno, doveva continuare a muoversi, non poteva fermarsi…

E poi sentì la testa infrangere la superficie del lago; l’aria pura, fredda e meravigliosa, gli punse la faccia bagnata; la inghiottì, con la sensazione di non aver mai davvero respirato prima, e ansimando tirò su anche Ron e la bambina. Tutto intorno, teste arruffate di capelli verdi affioravano dall’acqua con lui, ma ora gli sorridevano.

La folla sulle tribune faceva un gran baccano; pareva che tutti fossero in piedi a urlare e sgolarsi; forse credevano che Ron e la bambina fossero morti, ma si sbagliavano; avevano entrambi aperto gli occhi; la bambina sembrava spaventata e confusa, ma Ron si limitò a sputare un gran getto d’acqua, strizzò gli occhi alla luce forte, si voltò verso Harry e disse: «È bagnata, eh?» Poi vide la sorellina di Fleur. «Perché l’hai portata su?»

«Fleur non si è vista. Non potevo lasciarla là» disse Harry ansante.

«Harry, scemo» disse Ron, «non avrai preso sul serio quella canzone, eh? Silente non avrebbe permesso che nessuno di noi annegasse!»

«Ma la canzone diceva…»

«Solo per far sì che tu tornassi entro il tempo limite!» disse Ron. «Spero che tu non abbia perso tempo là sotto a fare l’eroe!»

Harry si sentì stupido e arrabbiato insieme. Per Ron andava tutto bene; lui dormiva, lui non si era accorto di come tutto era inquietante laggiù in fondo al lago, attorniati da tritoni armati di lance che sembravano più che disposti a uccidere.

«Andiamo» disse Harry in tono asciutto, «dammi una mano, non credo che sappia nuotare bene».

Trascinarono la sorellina di Fleur nell’acqua, verso la riva dove i giudici erano schierati a guardare, con venti tritoni che li scortavano come una guardia d’onore, cantando le loro terrificanti canzoni stridule.

Harry vide Madama Chips affannarsi attorno a Hermione, Krum, Cedric e Cho, tutti avvolti in pesanti coperte. Silente e Ludo Bagman rivolsero a Harry e Ron un gran sorriso dalla riva mentre questi si avvicinavano a nuoto, ma Percy, che era molto pallido e sembrava in qualche modo molto più giovane del solito, venne loro incontro schizzando acqua. Nel frattempo Madame Maxime cercava di trattenere Fleur Delacour, che era pressoché isterica e lottava con le unghie e con i denti per tornare in acqua.

«Gabrielle! Gabrielle! È viva? È ferita?»

«Sta bene!» cercò di dirle Harry, ma era così sfinito che riusciva a stento a parlare — figuriamoci a gridare.

Percy afferrò Ron e lo trascinò a riva («Mollami, Percy, sto benissimo!»); Silente e Bagman rimisero in piedi Harry; Fleur si liberò dalla presa di Madame Maxime e abbracciò la sorella.

«Sono stati gli Avvinscini… mi agredivano… oh, Gabrielle, credevo… credevo…»

«Venite qui, voi» disse Madama Chips; afferrò Harry e lo spinse verso Hermione e gli altri, lo avvolse così stretto in una coperta che gli parve di trovarsi dentro una camicia di forza, e lo costrinse a trangugiare una dose di pozione bollente. Un fiotto di vapore gli uscì dalle orecchie.

«Harry, sei stato grande!» gridò Hermione. «Ce l’hai fatta, hai trovato il modo, da solo!»

«Be’…» cominciò Harry. Le avrebbe voluto dire di Dobby, ma aveva appena notato che Karkaroff lo stava osservando. Era il solo giudice a non essersi alzato dal tavolo; il solo giudice a non dar segno di soddisfazione e sollievo per il fatto che Harry, Ron e la sorellina di Fleur erano tornati sani e salvi. «Sì, proprio cosi» concluse Harry, alzando appena la voce in modo da farsi sentire da Karkaroff.

«Tu ha scarabeo per la testa, Herr-Mioni» disse Krum.

Pareva che Krum cercasse di attirare l’attenzione di Hermione, forse per ricordarle che l’aveva appena salvata dal lago, ma lei scacciò bruscamente lo scarabeo e disse: «Però hai superato il tempo massimo, Harry… Ci hai messo un secolo a trovarci?»

«No… vi ho trovati facilmente…»

Harry si sentiva sempre più stupido. Ora che era fuori dall’acqua, gli pareva perfettamente chiaro che le misure di sicurezza di Silente non avrebbero consentito la morte di un ostaggio solo perché il suo campione non si era fatto vedere. Perché non aveva preso Ron, e via? Sarebbe stato il primo a tornare su… Cedric e Krum non avevano perso tempo a preoccuparsi degli altri; non avevano preso sul serio la canzone delle sirene…

Silente era accovacciato accanto all’acqua, immerso in una fitta conversazione con quella che sembrava la leader del popolo delle sirene, una femmina dall’aria particolarmente selvaggia e feroce. Stava facendo lo stesso tipo di rumori stridenti che emettevano i tritoni sott’acqua; era chiaro che Silente sapeva parlare sirenesco. Alla fine si rialzò, si rivolse ai colleghi giudici e disse: «Credo che sia necessario un consulto prima di assegnare i punteggi».

I giudici presero a confabulare. Madama Chips era andata a salvare Ron dagli abbracci convulsi di Percy; lo condusse da Harry e dagli altri, gli diede una coperta e un po’ di Pozione Pepata, poi andò a recuperare Fleur e la sorellina. Fleur aveva parecchi tagli sul viso e sulle braccia, e la veste strappata, ma non gliene importava, e non voleva che Madama Chips glieli disinfettasse.

«Pensi a Gabrielle» le disse, e poi si rivolse a Harry. «Tu hai salvata» disse, senza fiato. «Anche se non era il tuo ostagio».

«Sì» disse Harry, che al momento desiderava con tutto il cuore di aver lasciato tutte e tre le ragazze legate alla statua.

Fleur si chinò, baciò Harry due volte su ciascuna guancia (lui si sentì bruciare la faccia, e non si sarebbe stupito se gli fosse uscito di nuovo il fumo dalle orecchie), poi disse a Ron: «E anche tu… tu hai aiutato lui…»

«Sì» disse Ron, molto speranzoso, «sì, un pochino…»

Fleur piombò anche su di lui e lo baciò. Hermione era semplicemente furiosa, ma proprio in quel momento la voce prodigiosamente amplificata di Ludo Bagman risuonò altissima, facendoli sobbalzare tutti e riducendo al silenzio la folla nelle tribune.

«Signore e signori, abbiamo preso una decisione. La Capitansirena Murcus ci ha raccontato che cosa è successo in fondo al lago, e di conseguenza abbiamo deciso di assegnare un punteggio su base cinquanta a ciascuno dei campioni, come segue…

«La signorina Fleur Delacour, anche se ha dimostrato una padronanza eccellente dell’Incantesimo Testabolla, è stata aggredita dagli Avvincini mentre si avvicinava all’obiettivo, e non è riuscita a recuperare il suo ostaggio. Le assegniamo venticinque punti».

Applausi dalle tribune.

«Mi meritavo zero» disse Fleur con voce roca, scuotendo la splendida chioma.

«Il signor Cedric Diggory, che a sua volta ha fatto uso dell’Incantesimo Testabolla, è stato il primo a fare ritorno col suo ostaggio, anche se è riemerso un minuto oltre il tempo massimo di un’ora». Fragorosi evviva dai Tassorosso in platea; Harry vide Cho scoccare a Cedric uno sguardo raggiante. «Quindi conquista quarantasette punti».

Il cuore di Harry sprofondò. Se Cedric era tornato fuori tempo massimo, figuriamoci lui.

«Il signor Viktor Krum ha usato una forma incompleta di Trasfigurazione, che nondimeno si è rivelata efficace, ed è stato il secondo a tornare col suo ostaggio. Gli attribuiamo quaranta punti».

Karkaroff applaudì molto forte, con aria decisamente altezzosa.

«Il signor Harry Potter ha usato l’Algabranchia con grande efficacia» continuò Bagman. «È tornato per ultimo, e ben oltre il tempo massimo di un’ora. Tuttavia, la Capitansirena ci informa che il signor Potter è stato il primo a raggiungere gli ostaggi, e che il ritardo nel suo ritorno è stato causato dalla sua decisione di riportare indietro tutti gli ostaggi, e non solo il suo».

Sia Ron che Hermione rivolsero a Harry uno sguardo un po’ esasperato, un po’ compassionevole.

«Quasi tutti i giudici» — e qui Bagman scoccò a Karkaroff un’occhiata molto torva — «ritengono che ciò sia prova di tempra morale e meriti il punteggio pieno. Tuttavia… il punteggio del signor Potter è di quarantacinque punti».

Lo stomaco di Harry sussultò: ora era primo alla pari con Cedric. Ron e Hermione, colti di sorpresa, lo fissarono sbigottiti, poi scoppiarono a ridere e presero ad applaudire forte con il resto della folla.

«E vai, Harry!» urlò Ron sopra il frastuono. «Allora non stavi facendo lo scemo: stavi dimostrando tempra morale!»

Anche Fleur batteva le mani con grande vigore, ma Krum non sembrava affatto contento. Cercò di nuovo di parlare con Hermione, ma lei era troppo occupata a festeggiare Harry per ascoltarlo.

«La terza e ultima prova avrà luogo il ventiquattro giugno al tramonto» riprese Bagman. «I campioni verranno informati su ciò che li attende con un mese esatto di anticipo. Grazie a tutti voi per il sostegno che avete dato loro».

Era finita, pensò Harry inebetito, mentre Madama Chips spingeva i campioni e gli ostaggi verso il castello per procurare loro degli abiti asciutti… era finita, ce l’aveva fatta… non doveva pensare a nulla, ora, fino al ventiquattro giugno…

La prossima volta che fosse andato a Hogsmeade, decise mentre risaliva la scalinata di pietra, avrebbe comperato a Dobby un paio di calzini per ogni giorno dell’anno.

CAPITOLO 27

IL RITORNO DI FELPATO

Una delle cose più belle dei giorni successivi fu che tutti facevano a gara per sapere nel dettaglio ciò che era accaduto in fondo al lago, e per una volta Ron condivise con Harry le luci della ribalta. C’è da dire che la versione dei fatti data da Ron cambiava leggermente ogni volta che la ripeteva. All’inizio, raccontò quella che pareva la verità, o almeno collimava con il racconto di Hermione: nell’ufficio della professoressa McGranitt, Silente aveva fatto cadere tutti gli ostaggi in un sonno incantato, dopo aver assicurato loro che non avrebbero corso rischi e si sarebbero svegliati una volta fuori dall’acqua. Una settimana dopo, però, Ron narrava di un rapimento sensazionale in cui aveva lottato da solo contro cinquanta tritoni armati fino ai denti che dovettero dargli un sacco di botte per riuscire a legarlo.

«Ma io avevo la bacchetta nascosta nella manica» assicurò a Padma Patil: Ron le piaceva molto di più ora che era sotto i riflettori, e gli rivolgeva la parola tutte le volte che si incrociavano nei corridoi. «Potevo uccidere tutti quegli stupidi tritoni quando volevo».

«E come, russandogli addosso?» disse Hermione pungente. Tutti la prendevano in giro perché era risultata la cosa più cara a Viktor Krum, e quindi era piuttosto irritabile.

A quella battuta le orecchie di Ron diventarono rosse, e da quel momento si attenne alla versione del sonno incantato.

All’inizio di marzo il tempo divenne più asciutto, ma venti crudeli mordevano le mani e il viso degli studenti tutte le volte che uscivano nel parco. Ci furono ritardi nella consegna della posta perché i gufi continuavano a essere dirottati. Il gufo bruno che Harry aveva spedito a Sirius con la data del finesettimana di Hogsmeade ricomparve il venerdì mattina a colazione con tutte le penne arruffate contropiuma; Harry non fece in tempo ad aprire la lettera che quello prese il volo, chiaramente terrorizzato all’idea di essere rispedito là fuori.

La lettera di Sirius era breve quasi quanto la precedente.

Trovati allo steccato alla fine della strada che esce da Hogsmeade (dopo Mondomago) sabato pomeriggio alle due. Porta tutto il cibo che puoi.

«Non sarà mica tornato a Hogsmeade» disse Ron incredulo.

«Parrebbe di si, invece» disse Hermione.

«Non ci posso credere» commentò Harry, nervoso. «Se lo prendono…»

«Ma finora se l’è cavata, no?» disse Ron. «E la zona non pullula più di Dissennatori».

Harry ripiegò la lettera e ridletté. A essere sincero, aveva una gran voglia di rivedere Sirius. Quindi si accinse a seguire l’ultima lezione del pomeriggio — doppie Pozioni — molto più disteso del solito.

Malfoy, Tiger e Goyle erano davanti alla classe insieme a Pansy Parkinson e alla sua banda di ragazze di Serpeverde. Guardavano qualcosa che Harry non riuscì a vedere e sghignazzavano con tutta l’anima. Il muso da carlino di Pansy spuntò eccitato da dietro la vasta schiena di Goyle mentre Harry, Ron e Hermione si avvicinavano.

«Eccoli, eccoli!» disse con una risatina, e il manipolo di Serpeverde si disperse. Harry vide che Pansy aveva in mano una rivista: Il Settimanale delle Streghe. La foto animata sulla copertina mostrava una strega ricciuta che esibiva un sorriso tutto denti e puntava la bacchetta contro una grossa torta di pan di Spagna.

«Guarda un po’ qui dentro, magari ci trovi qualcosa di interessante, Granger!» disse Pansy ad alta voce, e lanciò la rivista a Hermione, che la prese al volo, perplessa. In quel momento, la porta della cantina si aprì, e Piton fece loro cenno di entrare.

Hermione, Harry e Ron si diressero a un tavolo in fondo, come al solito. Quando Piton ebbe voltato loro le spalle per trascrivere alla lavagna gli ingredienti della pozione del giorno, Hermione sfogliò rapida la rivista sotto il banco. Finalmente, nella sezione centrale, Hermione trovò ciò che stavano cercando. Harry e Ron si fecero più vicini. Una foto a colori di Harry apriva un breve servizio intitolato LE PENE D’AMORE DI HARRY POTTER e firmato Rita Skeeter.

È un ragazzo fuori dal comune, forse, eppure è un ragazzo che vive tutti i consueti tormenti dell’adolescenza. Privato degli affetti fin dalla tragica fine dei suoi genitori, Harry Potter, quattordici anni, credeva di aver trovato conforto nella sua fidanzata ufficiale a Hogwarts, Hermione Granger, Babbana di nascita. Certo non poteva immaginare che ben presto avrebbe dovuto subire un altro grande dolore in una vita già costellata di gravi perdite personali.

Hermione Granger, una ragazza bruttina ma ambiziosa, sembra aver sviluppato un’inclinazione per i maghi celebri che Harry da solo non riesce a soddisfare. Fin dall’arrivo a Hogwarts di Viktor Krum, Cercatore della Nazionale Bulgara ed eroe della scorsa Coppa del Mondo di Quidditch, Hermione Granger gioca con i sentimenti di entrambi. Krum, palesemente innamorato cotto dell’ambigua ragazza, l’ha già invitata a fargli visita in Bulgaria durante le vacanze estive, e ripete: «Non ho mai provato niente di simile per nessun’altra».

Comunque, potrebbero non essere state le dubbie attrattive naturali di Hermione Granger a catturare l’interesse di questi sventurati ragazzi.

«È proprio brutta» dichiara Pansy Parkinson, una graziosa, vivace ragazza del quarto anno, «ma è probabile che abbia preparato un Filtro d’Amore, è piuttosto sveglia. Credo proprio che ci sia riuscita così».

I Filtri d’Amore naturalmente sono proibiti a Hogwarts, e senz’alcun dubbio Albus Silente vorrà indagare su queste accuse. Nel frattempo, i sostenitori di Harry Potter devono augurarsi che la prossima volta egli affidi il suo cuore a una candidata più meritevole.

«Te l’avevo detto!» sibilò Ron a Hermione che fissava l’articolo sbalordita. «Te l’avevo detto di non dar fastidio a Rita Skeeter! Ti ha fatto diventare una specie di… di donna scarlatta!»

Hermione abbandonò l’aria stupefatta e scoppiò a ridere.

«Donna scarlatta?» ripeté, voltandosi a guardare Ron, sbellicandosi dalle risate.

«È così che le chiama mia madre» borbottò Ron, le orecchie paonazze.

«Se questo è il meglio che Rita sa fare, sta perdendo la mano» disse Hermione, sempre ridacchiando, e gettò Il Settimanale delle Streghe sulla sedia vuota accanto a lei. «Che bel mucchio di porcherie».

Guardò verso i Serpeverde, che fissavano lei e Harry dall’altra parte della stanza per vedere se l’articolo li aveva turbati. Hermione rivolse loro un sorriso sarcastico e un saluto con la mano, e lei, Harry e Ron tirarono fuori gli ingredienti necessari per preparare la Pozione Aguzzaingegno.

«È curioso, però» disse Hermione dieci minuti dopo, il pestello sospeso a mezz’aria sopra una ciotola di scarabei. «Come faceva Rita Skeeter a sapere…?»

«A sapere che cosa?» disse Ron in fretta. «Non hai preparato dei Filtri d’Amore, vero?»

«Non dire sciocchezze» sbottò Hermione, e riprese a pestare gli scarabei. «No, è solo… come faceva a sapere che Viktor mi ha chiesto di andarlo a trovare quest’estate?»

Nel dire ciò Hermione divenne effettivamente scarlatta, ed evitò di incrociare lo sguardo di Ron.

«Cosa?» fece Ron, lasciando cadere il pestello con un tonfo sordo.

«Me l’ha chiesto appena mi ha tirato fuori dal lago» mormorò Hermione. «Dopo che si era liberato della testa di squalo. Madama Chips ha dato a tutti e due una coperta e poi lui mi ha allontanato dai giudici perché non sentissero, e ha detto che se quest’estate non facevo niente di speciale, magari mi andava di…»

«E tu che cosa gli hai risposto?» chiese Ron, che aveva ripreso il pestello e ora lo batteva sul tavolo, a una ventina di centimetri dalla ciotola, perché aveva gli occhi fissi su Hermione.

«E lui in effetti ha detto che non aveva mai provato niente di simile per nessun’altra» riprese Hermione, e arrossì così intensamente che Harry riuscì quasi a sentire il calore, «ma come ha fatto Rita Skeeter a sentire? Non c’era… o invece c’era? Forse è vero che ha un Mantello dell’Invisibilità, forse è sgattaiolata nel parco per assistere alla seconda prova…»

«E tu che cosa gli hai risposto?» ripeté Ron, picchiando il pestello così forte che lasciò il segno sul tavolo.

«Be’, ero troppo occupata a vedere se tu e Harry stavate bene per…»

«Per quanto affascinante possa essere la tua vita sociale, e certo lo è, signorina Granger» disse una voce gelida alle loro spalle, «devo chiederti di non discuterne durante le mie lezioni. Dieci punti in meno per Grifondoro».

Piton si era avvicinato di soppiatto al loro tavolo mentre stavano parlando. Ora tutta la classe li fissava; Malfoy colse l’occasione per accendere la spilla POTTER FA SCHIFO e farla lampeggiare in direzione di Harry.

«Ah, in più leggete sotto il banco?» aggiunse Piton, afferrando la copia del Settimanale delle Streghe. «Altri dieci punti in meno per Grifondoro… oh, ma naturalmente…» Gli occhietti neri di Piton scintillarono indugiando sull’articolo di Rita Skeeter. «Potter deve tenersi aggiornato con la rassegna stampa…»

Nella cantina echeggiarono le risate dei Serpeverde, e un sorriso sgradevole increspò la bocca sottile di Piton. Con gran rabbia di Harry, l’insegnante cominciò a leggere l’articolo ad alta voce.

«Le pene d’amore di Harry Potter… caro, caro il nostro Potter, ora che cosa ti affligge? Un ragazzo fuori dal comune, forse…»

Harry sentì la faccia ardere. Piton faceva una pausa alla fine di ogni frase per consentire ai Serpeverde di farsi una bella risata. Letto da Piton, l’articolo suonava dieci volte più disgustoso.

«…i sostenitori di Harry Potter devono sperare che la prossima volta egli affidi il suo cuore a una candidata più meritevole. Davvero commovente» concluse Piton con un sorrisetto beffardo, arrotolando la rivista mentre i Serpeverde continuavano a sghignazzare. «Be’, credo che sia meglio separarvi, voi tre, cosi potrete concentrarvi sulle vostre pozioni invece che sulla vostra complicata vita sentimentale. Weasley, tu resti qui. Signorina Granger, laggiù, vicino alla signorina Parkinson. Potter… quel tavolo davanti alla mia cattedra. Muovetevi. Ora».

Furibondo, Harry gettò i suoi ingredienti e la borsa nel calderone e lo trascinò davanti, verso il tavolo vuoto. Piton lo seguì, prese posto alla cattedra e osservò Harry svuotare il calderone. Deciso a non guardarlo, Harry riprese a pestare i suoi scarabei, immaginando che ciascuno avesse la faccia di Piton.

«Tutta questa attenzione da parte della stampa sembra averti montato quella testa che peraltro avevi già piena di arie, Potter» disse Piton piano, quando il resto della classe si fu rimesso al lavoro.

Harry non ribatté. Sapeva che Piton stava cercando di provocarlo; l’aveva già fatto in passato. Senza dubbio sperava di trovare un’altra scusa per togliere una bella cinquantina di punti a Grifondoro prima della fine della lezione.

«Può anche darsi che tu continui a coltivare l’illusione di aver catturato l’interesse di tutto quanto il mondo della magia» continuò Piton, così piano che nessun altro poteva sentirlo (Harry continuò a pestare i suoi scarabei, anche se li aveva già ridotti a una polverina finissima), «ma a me non importa quante volte la tua foto compare sui giornali. Per me, Potter, non sei altro che un ragazzino odioso che si considera al di sopra delle regole».

Harry versò gli scarabei polverizzati nel calderone e prese a tagliuzzare le radici di zenzero. Gli tremavano le mani per la rabbia, ma tenne gli occhi bassi, fingendo di non sentire.

«Quindi ti avverto, Potter» riprese Piton, con voce più suadente e minacciosa, «fama e gloria o no… se ti sorprendo un’altra volta a entrare nel mio ufficio…»

«Non mi sono nemmeno avvicinato al suo ufficio!» disse Harry rabbioso, dimenticando la pretesa sordità.

«Non mentire» sibilò Piton, gli impenetrabili occhi neri che perforavano quelli di Harry. «La pelle di Girilacco. L’Algabranchia. Vengono tutte e due dalle mie scorte personali, e io so chi le ha rubate».

Harry fissò Piton di rimando, deciso a non batter ciglio né ad assumere un’aria colpevole. In verità non aveva rubato nessuna di quelle due cose. Hermione aveva preso la pelle di Girilacco quando facevano il secondo anno — serviva loro per preparare la Pozione Polisucco — e mentre all’epoca Piton aveva sospettato di Harry, non era mai stato in grado di dimostrarlo. E l’Algabranchia naturalmente l’aveva rubata Dobby.

«Non so di cosa sta parlando» mentì freddamente.

«Non eri nel tuo letto la notte che il mio ufficio è stato violato!» sibilò Piton. «Lo so, Potter! Ora, Malocchio Moody può anche essersi unito al tuo fan club, ma io non ho intenzione di tollerare il tuo comportamento! Un’altra passeggiatina notturna nel mio ufficio, Potter, e la pagherai!»

«Va bene» disse Harry in tono sostenuto, tornando a occuparsi delle sue radici di zenzero, «me lo ricorderò se mai mi verrà voglia di entrarci».

Gli occhi di Piton lampeggiarono. Infilò una mano nella veste nera. Per un folle istante, Harry credette che Piton stesse per estrarre la bacchetta e scagliargli contro una maledizione: poi si accorse che aveva preso una bottiglietta di cristallo piena di un liquido completamente trasparente. Harry la guardò incuriosito.

«Lo sai che cos’è questa, Potter?» disse Piton, gli occhi accesi di nuovo da un luccichio pericoloso.

«No» rispose Harry, questa volta con assoluta sincerità.

«È Veritaserum: una Pozione della Verità così potente che solo tre gocce ti costringerebbero a rivelare i tuoi più intimi segreti davanti a tutta la classe» disse Piton in tono maligno. «Ora, l’uso di questa pozione è regolato da severissime disposizioni del Ministero. Ma se non stai attento a quello che fai, può anche darsi che la mia mano scivoli» e scosse leggermente la bottiglietta di cristallo «proprio sopra il tuo succo di zucca serale. E allora, Potter… allora scopriremo se sei stato nel mio ufficio o no».

Harry non disse nulla. Tornò a guardare le sue radici di zenzero, brandì il coltello e cominciò ad affettarle di nuovo. Non gli piaceva affatto quella storia della Pozione della Verità, e non escludeva che Piton potesse propinargliene un po’. Represse un brivido al pensiero di ciò che sarebbe potuto uscire dalla sua bocca in quel caso… a parte il fatto che avrebbe messo nei guai un sacco di persone — Hermione e Dobby, tanto per cominciare — c’erano tutte le altre cose che teneva segrete… come il fatto che era in contatto con Sirius… e — lo stomaco gli si contorse al pensiero — i sentimenti che provava per Cho… Gettò anche le radici di zenzero nel calderone e si chiese se non fosse il caso di prendere esempio da Moody e cominciare a bere solo da una fiaschetta personale.

Qualcuno bussò alla porta della cantina.

«Avanti» disse Piton con la voce di sempre.

La classe si voltò a guardare mentre la porta si apriva. Entrò il professor Karkaroff. Tutti lo osservarono mentre si avvicinava alla cattedra di Piton. Si attorcigliava di nuovo il dito attorno al pizzetto, e sembrava agitato.

«Dobbiamo parlare» disse Karkaroff all’improvviso, raggiunto Piton. Pareva così deciso a non far sentire a nessuno quello che diceva che aprì a stento le labbra; era come un ventriloquo piuttosto scadente. Harry tenne gli occhi sulle radici di zenzero e tese le orecchie.

«Parlerò con te alla fine della lezione, Karkaroff…» borbottò Piton, ma Karkaroff lo interruppe.

«Voglio parlarti ora che non puoi sfuggirmi, Severus. Tu mi eviti».

«Dopo la lezione» sbottò Piton.

Con la scusa di alzare per aria un bicchiere dosatore per vedere se aveva versato abbastanza bile di armadillo, Harry scoccò ai due uno sguardo di sottecchi. Karkaroff era decisamente preoccupato, e Piton era furioso.

Karkaroff rimase a incombere dietro la cattedra di Piton per quel che restava delle due ore. Sembrava intenzionato a impedire a Piton di sgattaiolare via alla fine della lezione. Deciso a sentire quello che Karkaroff aveva da dire, Harry rovesciò di proposito la bottiglia di bile di armadillo due minuti prima della campana, cosa che gli diede il pretesto di chinarsi dietro il proprio calderone ad asciugare il danno mentre gli altri si accalcavano rumorosamente verso la porta.

«Che cosa c’è di tanto urgente?» sentì Piton sibilare rivolto a Karkaroff.

«Questo» rispose Karkaroff, e Harry, spiando da dietro il calderone, vide Karkaroff tirar su la manica sinistra dell’abito e mostrare a Piton qualcosa all’interno dell’avambraccio.

«E allora?» disse Karkaroff, sempre sforzandosi di non muovere le labbra. «Visto? Non è mai stato così nitido, nemmeno quando…»

«Fallo sparire!» ringhiò Piton, gli occhi neri che scorrevano attorno all’aula.

«Ma tu devi essertene accorto…» cominciò Karkaroff con voce agitata.

«Possiamo parlare più tardi, Karkaroff!» esplose Piton. «Potter! Che cosa fai?»

«Asciugo la bile di armadillo, professore» rispose Harry in tono innocente, rialzandosi e mostrando a Piton lo straccio zuppo che aveva in mano.

Karkaroff girò sui tacchi ed uscì a grandi passi dalla cantina. Sembrava preoccupato e furioso insieme. Per nulla desideroso di restare da solo con un Piton straordinariamente arrabbiato, Harry gettò i libri e gli ingredienti nella borsa, e uscì con la massima rapidità per andare a raccontare a Ron e Hermione la scena a cui aveva appena assistito.

* * *

La mattina dopo i tre amici uscirono dal castello a mezzogiorno. Un debole sole argenteo brillava sul parco. Il clima non era mai stato così mite dall’inizio dell’anno: il tempo di arrivare a Hogsmeade, e tutti e tre avevano dovuto togliersi i mantelli. Il cibo che Sirius aveva chiesto loro di portare era nella borsa di Harry; avevano rubato una dozzina di cosce di pollo, una pagnotta grande e un fiasco di succo di zucca dalla tavola del pranzo.

Entrarono da Stratchy Sons, Abbigliamento per Maghi per comprare un regalo a Dobby, e si divertirono a scegliere i calzini più orrendi, compreso un paio con stelle d’oro e d’argento lampeggianti, e un altro che strillava forte quando diventava troppo puzzolente. Poi, all’una e mezza, risalirono la High Street, oltrepassarono Mondomago e si diressero verso il limitare del villaggio.

Harry non era mai stato da quella parte prima. Il viottolo tortuoso li portava verso l’aperta campagna attorno a Hogsmeade. Qui le case erano più rare, e avevano giardini più grandi; i tre avanzavano verso le pendici della montagna nella cui ombra si stendeva Hogsmeade. Poi svoltarono un angolo, e videro una staccionata alla fine del viottolo. In attesa, le zampe davanti posate sul palo più alto, c’era un cane nero molto grosso dal pelo ispido, con alcuni giornali in bocca e l’aria molto familiare…

«Ciao, Sirius» disse Harry, quando si furono avvicinati.

Il cane nero annusò avidamente la borsa di Harry, scodinzolò una volta, poi si voltò e prese a trotterellare per il terreno coperto di cespugli che s’inerpicava lungo le pendici rocciose. Harry, Ron e Hermione scavalcarono la staccionata e lo seguirono.

Sirius li guidò in alto, dove il suolo era coperto di rocce e massi. Era facile per lui, a quattro zampe, ma Harry, Ron e Hermione ben presto furono senza fiato. Seguirono Sirius più in alto, sulla montagna vera e propria. Per quasi mezz’ora salirono lungo un sentiero ripido, tortuoso e sassoso, seguendo la coda sventolante di Sirius, sudando al sole, mentre le cinghie della borsa di Harry gli segavano la spalla.

Poi, alla fine, Sirius sparì dalla loro vista, e quando raggiunsero il luogo in cui era scomparso, videro una piccola apertura nella roccia. Vi s’insinuarono e si trovarono in una fresca caverna quasi completamente buia. Legato sul fondo, un capo della corda fissato attorno a una grossa roccia, c’era Fierobccco l’Ippogrifo. Metà cavallo grigio, metà aquila gigante, Fierobecco fece lampeggiare i fieri occhi arancioni alla loro vista. Tutti e tre gli fecero un profondo inchino, e dopo averli scrutati con aria arrogante per un attimo, l’animale piegò le ginocchia squamate, e permise a Hermione di avvicinarsi e di accarezzargli il collo piumato. Harry, invece, guardava il cane nero, che si era appena trasformato nel suo padrino.

Sirius indossava una veste grigia strappata: la stessa di quando era fuggito da Azkaban. I suoi capelli neri erano più lunghi di quando era apparso nel fuoco, ed erano di nuovo arruffati e in disordine. Era molto magro.

«Pollo!» esclamò con voce roca dopo essersi sfilato di bocca i vecchi numeri della Gazzetta del Profeta e averli gettati a terra.

Harry aprì la borsa e gli tese il fagotto con il pollo e il pane.

«Grazie» disse Sirius. Afferrò una coscia, si sedette sul pavimento della grotta e addentò un grosso pezzo di carne. «Finora ho mangiato soprattutto topi. Non posso rubare troppo cibo a Hogsmeade; attirerei l’attenzione».

Fece un gran sorriso a Harry, che lo ricambiò riluttante.

«Che cosa ci fai qui, Sirius?» domandò.

«Compio il mio dovere di padrino» rispose Sirius, rosicchiando l’osso di pollo con piglio molto cantino. «Non preoccuparti per me, fingo di essere un adorabile randagio».

Rise ancora, ma vedendo il volto preoccupato di Harry, disse, più serio: «Voglio essere sul posto. La tua ultima lettera… be’, diciamo che le cose si fanno più sospette. Rubo il giornale tutte le volte che qualcuno lo butta via, e a quanto pare non sono il solo a essere in pensiero».

Accennò alle copie ingiallite della Gazzetta del Profeta sparse per terra. Ron le prese e le aprì.

Harry, invece, continuò a fissare Sirius. «E se ti prendono? E se ti vedono?»

«Voi tre e Silente siete gli unici qui attorno a sapere che sono un Animagus» rispose Sirius, alzando le spalle, senza smettere di divorare la coscia di pollo.

Ron fece un cenno a Harry e gli passò i giornali. Erano due numeri; il primo titolava MISTERIOSA MALATTIA DI BARTEMIUS CROUCH, il secondo STREGA DEL MINISTERO ANCORA DISPERSA — Il MINISTERO DELLA MAGIA INDAGA.

Harry scorse l’articolo su Crouch. Gli balzarono all’occhio alcune frasi: non compare in pubblico da novembre… la sua casa sembra deserta… no comment dall’Ospedale di San Mungo per Malattie Magiche… Il Ministero si rifiuta di confermare le voci di una grave malattia…

«A sentir loro è come se fosse moribondo» disse Harry lentamente. «Ma non può essere tanto malato se è riuscito a venire fin quassù…»

«Mio fratello è l’assistente personale del signor Crouch» disse Ron a Sirius. «Dice che Crouch soffre di stress da superlavoro».

«Però sembrava davvero malato l’ultima volta che l’ho visto da vicino» ribatté Harry, continuando a leggere l’articolo. «La sera che dal Calice è venuto fuori il mio nome…»

«Ha quel che si meritava per aver licenziato Winky, no?» disse Hermione freddamente. Accarezzava Fierobecco, impegnato a sgranocchiare le ossa di pollo avanzate da Sirius. «Scommetto che adesso gli dispiace… scommetto che sente la differenza adesso che lei non è là a prendersi cura di lui». Ron le scoccò un’occhiata cupa.

«Hermione ha la fissa degli elfi domestici» borbottò a Sirius.

Sirius, però, parve interessato. «Crouch ha licenziato il suo elfo domestico?»

«Sì, alla Coppa del Mondo di Quidditch» disse Harry, e si lanciò nel resoconto della comparsa del Marchio Nero, e del ritrovamento di Winky con la sua bacchetta stretta in mano, e dell’ira di Crouch.

Quando Harry ebbe finito, Sirius era di nuovo in piedi e aveva cominciato a misurare la caverna a grandi passi. «Fammi capire bene» disse dopo un po’, brandendo un’altra coscia di pollo. «Avete visto l’elfa per la prima volta in Tribuna d’Onore. Stava tenendo il posto per Crouch, giusto?»

«Giusto» risposero in coro Harry, Ron e Hermione.

«Ma Crouch non si è fatto vedere alla partita?»

«No» rispose Harry. «Ha detto che aveva da fare, credo».

Sirius misurò la caverna passo dopo passo, in silenzio. Poi disse: «Harry, hai controllato se avevi la bacchetta in tasca dopo essere sceso dalla Tribuna d’Onore?»

«Ehm…» Harry si sforzò di riflettere. «No» disse alla fine. «Non ne ho avuto bisogno finché non siamo stati nella foresta. E allora ho messo la mano in tasca, e c’era solo l’Omniocolo». Fissò Sirius, in attesa. «Vuoi dire che chi ha evocato il Marchio mi ha rubato la bacchetta in Tribuna d’Onore?»

«È probabile» rispose Sirius.

«Winky non ha rubato la bacchetta!» disse Hermione con voce acuta.

«L’elfa non era la sola in Tribuna» disse Sirius, la fronte aggrottata, mentre continuava a camminare avanti e indietro. «Chi c’era seduto dietro di voi?»

«Un sacco di gente» rispose Harry. «Dei ministri bulgari… Cornelius Caramell… i Malfoy…»

«I Malfoy!» esclamò Ron all’improvviso, cosi forte che la sua voce rimbombò nella caverna, e Fierobecco scrollò la testa, innervosito. «Ci scommetto che è stato Lucius Malfoy!»

«Qualcun altro?» disse Sirius.

«Nessuno» rispose Harry.

«Sì, qualcuno c’era, Ludo Bagman» gli ricordò Hermione.

«Oh, sì…»

«Non so nulla di Bagman, a parte che è stato Battitore delle Vespe di Wimbourne» disse Sirius senza fermarsi. «Che tipo è?»

«È a posto» rispose Harry. «Continua a offrirmi il suo aiuto per il Torneo Tremaghi».

«Davvero?» fece Sirius, ancor più accigliato. «E come mai?»

«Dice che mi si è affezionato» disse Harry.

«Hmmm» fece Sirius, pensieroso.

«L’abbiamo visto nella foresta appena prima della comparsa del Marchio Nero» disse Hermione. «Vi ricordate?» aggiunse, rivolta a Harry e Ron.

«Sì, ma non è rimasto nella foresta, no?» rispose Ron. «Quando gli abbiamo detto degli scontri, è andato al campeggio».

«Come fai a dirlo?» ribatté Hermione. «Come fai a sapere dove andava quando si è Smaterializzato?»

«Andiamo» disse Ron incredulo, «vorresti dire che sospetti che sia stato Ludo Bagman a evocare il Marchio Nero?»

«È più facile che sia stato lui che non Winky» replicò Hermione ostinata.

«Te l’avevo detto» disse Ron, scoccando a Sirius un’occhiata eloquente, «te l’avevo detto che ha la fissa degli el…»

Ma Sirius alzò una mano per zittirlo. «Quando è apparso il Marchio Nero e l’elfa è strata trovata con la bacchetta di Harry, che cosa ha fatto Crouch?»

«È andato a guardare tra i cespugli» disse Harry, «ma non c’era nessuno».

«Ma certo» borbottò Sirius andando avanti e indietro, «ma certo, avrebbe accusato chiunque tranne la sua elfa… e poi l’ha licenziata?»

«Sì» si accalorò Hermione, «l’ha licenziata, solo perché non era rimasta nella sua tenda a farsi calpestare…»

«Hermione, vuoi darci un taglio con quell’elfa?» disse Ron.

Ma Sirius scosse la testa e disse: «Ha capito Crouch meglio di te, Ron. Se vuoi sapere com’è un uomo, guarda bene come tratta i suoi inferiori, non i suoi pari».

Si passò una mano sul viso ispido per la barba non fatta, riflettendo. «Tutte queste assenze di Barty Crouch… si preoccupa che la sua elfa domestica gli tenga un posto alla Coppa del Mondo di Quidditch ma non si cura di andarci. Lavora sodo per ripristinare il Torneo Tremaghi, e poi smette di venire anche qui… non è da Crouch. Se è mai rimasto assente dal lavoro per malattia prima d’ora, mi mangio Fierobecco».

«Allora lo conosci?» chiese Harry.

Sirius si rabbuiò. All’improvviso apparve pericoloso come la notte del suo primo incontro con Harry, la notte in cui Harry era ancora convinto che fosse un assassino.

«Oh, conosco benissimo Crouch» disse piano. «È stato lui a dare l’ordine che mi spedissero ad Azkaban… senza processo».

«Cosa?» esclamarono insieme Ron e Hermione.

«Stai scherzando!» aggiunse Harry.

«No» disse Sirius, staccando un altro grosso morso dal pollo. «Crouch era il Capo delle Forze dell’Ordine Magiche, non lo sapevate?»

Harry, Ron e Hermione scossero la testa.

«Lo davano come prossimo Ministro della Magia» spiegò Sirius. «È un gran mago, Barty Crouch, un mago molto potente… e assetato di potere. Oh, non un sostenitore di Voldemort, questo mai» proseguì, cogliendo lo sguardo di Harry. «No, Barty Crouch è sempre stato esplicitamente contro il Lato Oscuro. Ma allora tante persone che erano contro il Lato Oscuro… be’, non potete capire… siete troppo giovani…»

«È quello che ha detto mio padre alla Coppa del Mondo» disse Ron, con una traccia d’irritazione nella voce. «Mettici alla prova, no?»

Un sorriso illuminò il viso magro di Sirius. «Va bene, vi metterò alla prova…»

Ripercorse la caverna avanti e indietro, e poi cominciò: «Immaginate che ora Voldemort sia potente. Voi non sapete chi sono i suoi sostenitori, non sapete chi lavora per lui e chi no; sapete che è in grado di controllare le persone in modo da costringerle a fare cose orribili senza riuscire a fermarsi. Avete paura per voi, la vostra famiglia, e i vostri amici. Ogni settimana, nuove notizie di altre morti, altre sparizioni, altre torture… il Ministero della Magia nel caos, non sanno cosa fare, cercano di tenere tutto nascosto ai Babbani, ma nel frattempo muoiono anche dei Babbani. Terrore ovunque… panico… confusione… era così allora.

«Be’, tempi come quelli fanno tirar fuori il meglio a certe persone, e il peggio ad altre. I principi di Crouch potevano anche essere sani all’inizio; non saprei. Fece una rapida carriera al Ministero, e prese a impartire misure molto severe contro i sostenitori di Voldemort. Gli Auror furono investiti di nuovi poteri: il potere di uccidere invece di catturare, per esempio. E io non fui l’unico a essere consegnato ai Dissennatori senza processo. Crouch combatteva la violenza con la violenza, e autorizzava l’uso delle Maledizioni Senza Perdono contro i sospetti. Oserei dire che divenne spietato e crudele quanto molti del Lato Oscuro. Aveva i suoi sostenitori, badate: moltissima gente era convinta che stesse affrontando le cose nella maniera giusta, e c’erano un sacco di maghi e streghe che premevano perché diventasse Ministro della Magia. Quando Voldemort scomparve, parve che fosse solo questione di tempo prima che Crouch ottenesse la massima carica. Ma poi accadde una vera disgrazia…» Sirius fece un sorriso cupo. «Il figlio di Crouch fu sorpreso con un gruppo di Mangiamorte che erano riusciti a farsi rilasciare da Azkaban. A quanto pareva volevano trovare Voldemort e innalzarlo di nuovo al potere».

«Hanno preso il figlio di Crouch?» disse Hermione senza fiato.

«Già» fece Sirius. Poi lanciò l’osso di pollo a Fierobecco, si chinò a prendere la pagnotta e la spezzò in due. «Un bel colpo per il vecchio Barty, direi. Avrebbe dovuto passare un po’ più di tempo a casa con la sua famiglia, no? Doveva uscire presto dall’ufficio una volta ogni tanto… imparare a conoscere suo figlio».

Prese a divorare grossi pezzi di pane.

«Suo figlio era davvero un Mangiamorte?» chiese Harry.

«Non ne ho idea» rispose Sirius, ingollando altro pane. «Ero anch’io ad Azkaban quando lo portarono. Queste sono quasi tutte cose che ho scoperto dopo essere uscito. Quando fu arrestato, il ragazzo era senza dubbio in un gruppo di Mangiamorte: ma può darsi che si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, come quell’elfa domestica».

«Crouch ha cercato di tirar fuori suo figlio?» sussurrò Hermione.

Sirius sbottò in una risata molto simile a un latrato. «Crouch tirar fuori suo figlio? Pansavo che l’avessi capito, Hermione. Qualunque cosa minacciasse di macchiare la sua reputazione doveva sparire, aveva consacrato tutta la vita a un solo progetto, diventare Ministro della Magia. L’hai visto licenziare una devota elfa domestica perché lo legava ancora una volta al Marchio Nero… non ti basta per capire che tipo è? L’affetto paterno di Crouch è arrivato solo al punto di concedere al figlio un processo, e comunque, per lui non è stato altro che un pretesto per dimostrare quanto detestava il ragazzo… poi l’ha spedito dritto ad Azkaban».

«Ha consegnato suo figlio ai Dissennatori?» chiese Harry piano.

«Proprio così» rispose Sirius, e non era nient’affatto divertito, ora. «Ho visto i Dissennatori portarlo dentro, li ho guardati da dietro le sbarre. Non poteva avere più di diciannove anni. L’hanno rinchiuso in una cella vicina alla mia. Già la sera invocava sua madre. Dopo qualche giorno si è calmato, però… si calmavano tutti, alla fine… tranne quando urlavano nel sonno…»

Per un attimo, lo sguardo di Sirius si fece più spento che mai, come se dietro le sue pupille si fossero chiuse delle persiane.

«Quindi è ancora ad Azkaban?» chiese Harry.

«No» rispose Sirius in tono tetro. «No, non è più là. È morto un anno dopo esserci entrato».

«E morto

«Non è stato l’unico» disse Sirius con amarezza. «Là dentro impazziscono quasi tutti, e molti alla fine smettono di mangiare. Perdono la voglia di vivere. Si capiva sempre quando qualcuno stava per morire, perché i Dissennatori lo sentivano, diventavano eccitati. Quel ragazzo aveva già un’aria malata quando è arrivato. Visto che Crouch era un membro importante del Ministero, a lui e sua moglie fu concessa una visita in punto di morte. È stata l’ultima volta che ho visto Barty Crouch: è passato davanti alla mia cella sorreggendo sua moglie. È morta anche lei, a quanto pare, poco dopo. Di dolore. Si è consumata come il ragazzo. Crouch non è mai venuto a prendere il corpo di suo figlio. I Dissennatori l’hanno seppellito fuori dalla fortezza, li ho visti io».

Sirius mise da parte il pane che aveva appena portato alla bocca, prese il fiasco di succo di zucca e lo svuotò.

«Così il vecchio Crouch ha perso tutto, proprio quando credeva di avercela fatta» riprese, asciugandosi col dorso della mano. «Un attimo prima era un eroe, pronto a diventare Ministro della Magia… e un attimo dopo suo figlio è morto, sua moglie è morta, il buon nome della famiglia è disonorato e, così almeno ho sentito dire da quando sono fuggito, la sua popolarità è calata bruscamente. Morto il ragazzo, tutti hanno cominciato a sentirsi più comprensivi verso di lui e a chiedersi com’era possibile che un ragazzo simpatico di buona famiglia si fosse rovinato così. Hanno concluso che suo padre non gli aveva mai voluto veramente bene. Così Cornelius Caramell si è preso il posto migliore, Crouch è stato messo da parte ed è finito all’Ufficio della Cooperazione Magica Internazionale».

Cadde un lungo silenzio. Harry stava pensando agli occhi sporgenti di Crouch che fissava la sua elfa domestica disobbediente nel bosco alla Coppa del Mondo di Quidditch. Forse per quello Crouch aveva reagito in modo tanto spropositato al ritrovamento di Winky sotto il Marchio Nero: aveva fatto riaffiorare in lui ricordi del figlio, e del vecchio scandalo, e della sua caduta in disgrazia al Ministero.

«Moody sostiene che Crouch è ossessionato dall’idea di catturare Maghi Oscuri» disse Harry a Sirius.

«Sì, ho sentito dire che è diventata un po’ una mania» annuì Sirius. «Secondo me crede ancora che se riesce a catturare un altro Mangiamorte tornerà popolare come una volta».

«Ed è venuto quassù di nascosto per frugare nell’ufficio di Piton!» disse Ron trionfante, guardando Hermione.

«Sì, ed è una cosa che non ha senso» disse Sirius.

«Sì, invece!» esclamò Ron vivacemente.

Ma Sirius scosse la testa. «Senti, se Crouch vuole indagare su Piton, perché non è venuto a fare il giudice al Torneo? Sarebbe stata la scusa ideale per far visita regolarmente a Hogwarts e tenerlo d’occhio».

«Quindi sei convinto che Piton potrebbe avere in mente qualcosa?» gli chiese Harry, ma Hermione s’intromise.

«Sentite, non m’importa di quello che dite, Silente si fida di Piton…»

«Oh, andiamo, Hermione» la interruppe Ron impaziente, «lo so che Silente è fantastico e tutto, ma questo non vuol dire che un Mago Oscuro davvero abile non riuscirebbe a ingannarlo…»

«E allora perché Piton ha salvato la vita a Harry il primo anno, eh? Perché non l’ha lasciato morire?»

«Tu che cosa ne dici, Sirius?» disse forte Harry, e Ron e Hermione smisero di rimbeccarsi per stare a sentire.

«lo credo che abbiano ragione tutti e due» rispose Sirius, guardandoli pensieroso. «Da quando ho scoperto che Piton insegnava qui, mi sono chiesto come mai Silente gli ha offerto un lavoro. Piton è sempre stato attratto dalle Arti Oscure, a scuola era celebre per questo. Era un tipo viscido, untuoso, coi capelli appiccicaticci» aggiunse Sirius, e Harry e Ron si scambiarono un sorrisetto. «Quando è arrivato a scuola, conosceva più incantesimi di metà degli allievi del settimo anno e faceva parte di una banda di Serpeverde che sono diventati quasi tutti Mangiamorte».

Sirius alzò le mani e prese a elencare i nomi. «Rosier e Wilkes: furono entrambi uccisi dagli Auror l’anno prima della caduta di Voldemort. I Lestrange, marito e moglie: si trovano ad Azkaban. Avery: ho sentito dire che è riuscito a togliersi dai guai sostenendo che aveva agito sotto la Maledizione Imperius, è ancora in libertà. Ma per quel che ne so, Piton non è mai nemmeno stato accusato di essere un Mangiamorte. Non che questo conti molto. Molti di loro non furono mai catturati. E Piton è certo abbastanza abile e astuto da tenersi fuori dai guai».

«Piton conosce molto bene Karkaroff, ma vuole che non si sappia» disse Ron.

«Si, dovevi vedere la faccia che ha fatto quando Karkaroff è venuto a Pozioni ieri!» aggiunse Harry in fretta. «Karkaroff voleva parlare con lui, sostiene che Piton lo sta evitando. Sembrava proprio preoccupato. Ha fatto vedere a Piton qualcosa che aveva sul braccio, ma non sono riuscito a vedere cos’era».

«Ha fatto vedere a Piton qualcosa che aveva sul braccio?» chiese Sirius. decisamente perplesso. Si passò distrattamente le dita tra i capelli sporchi, poi alzò di nuovo le spalle. «Be’, non ho idea di che cosa sia… ma se Karkaroff è davvero preoccupato, e vuole sapere qualcosa da Piton…»

Sirius fissò la parete della caverna, poi fece un sorriso amaro. «C’è ancora il fatto che Silente si fida di Piton, e io so che Silente si fida là dove molte altre persone non io farebbero, ma non ce lo vedo a permettere che Piton faccia l’insegnante a Hogwarts se avesse mai lavorato per Voldemort».

«Perché Moody e Crouch sono cosi decisi a entrare nell’ufficio di Piton, allora?» chiese Ron ostinato.

«Be’» rispose Sirius lentamente, «non escludo che Malocchio abbia perquisito gli uffici di ogni singolo insegnante quando è arrivato a Hogwarts. Prende sul serio la sua Difesa contro le Arti Oscure, Moody. Non so se esiste qualcuno di cui si fida, e con le cose che ha visto non mi sorprende. Ma c’è da dire una cosa a favore di Moody, che non ha mai ucciso se poteva evitarlo. Ha sempre consegnato prigionieri vivi, per quanto era possibile. Era duro, ma non è mai sceso al livello dei Mangiamorte. Crouch, però… è di un’altra pasta… sarà davvero malato? E se sì, perché ha fatto la fatica di trascinarsi fino all’ufficio di Piton? E se no… che cos’ha in mente? Che cosa doveva fare di tanto importante alla Coppa del Mondo da non mettere piede in Tribuna d’Onore? Che cosa faceva mentre avrebbe dovuto prendere parte al Torneo come giudice?»

Sirius tacque, senza smettere di fissare la parete della caverna. Fierobecco frugava nel terreno roccioso, in cerca di ossa che gli fossero sfuggite.

Alla fine Sirius alzò gli occhi verso Ron. «Hai detto che tuo fratello è l’assistente personale di Crouch? Non potresti chiedergli se ha visto Crouch di recente?»

«Posso provarci» rispose Ron dubbioso. «Meglio non fargli capire che sospetto che Crouch stia combinando qualcosa di losco, però. Percy adora Crouch».

«E già che ci sei potresti cercare di scoprire se hanno qualche indizio su Bertha Jorkins» aggiunse Sirius, indicando un’altra copia della Gazzetta del Profeta.

«Bagman mi ha detto che non ne hanno» rispose Harry.

«Sì, è citato nell’articolo» disse Sirius. «La fa tanto lunga sulla pessima memoria di Bertha. Be’, può essere cambiata da quando la conoscevo io, ma quella Bertha non era affatto smemorata, semmai il contrario. Era un po’ ottusa, ma aveva un’ottima memoria per i pettegolezzi. Cosa che la metteva spesso nei guai, non sapeva mai quando tenere la bocca chiusa. Un bel peso per il Ministero della Magia… forse è per questo che Bagman ha aspettato così tanto a cercarla…»

Sirius emise un gran sospiro e si strofinò gli occhi pesti. «Che ore sono?»

Harry guardò l’orologio, poi gli venne in mente che non funzionava da quando aveva trascorso un’ora nel lago.

«Sono le tre e mezzo» disse Hermione.

«È meglio che torniate a scuola» disse Sirius, alzandosi. «Ora, sentite…» Lanciò un’occhiata particolarmente intensa a Harry. «Non voglio che voi tre scappiate via da scuola per venire a trovarmi, capito? Mandatemi dei messaggi e basta. Voglio ancora sapere se succede qualcosa di strano. Ma non dovete uscire da Hogwarts senza permesso, sarebbe l’occasione ideale se qualcuno vi volesse aggredire».

«Finora nessuno ha cercato di aggredirmi, a parte un drago e un paio di Avvincini» disse Harry.

Ma Sirius lo guardò severamente. «Non m’importa… Tirerò un sospiro di sollievo quando questo Torneo sarà finito, e cioè non prima di giugno. E non dimenticate: se parlate di me tra di voi, chiamatemi Tartufo, d’accordo?»

Tese a Harry il tovagliolo e il fiasco vuoto, e andò ad accarezzare Fierobecco per salutarlo. «Verrò con voi fino all’inizio del villaggio» disse, «così vedo se riesco a scroccare un altro giornale».

Si trasformò di nuovo nell’enorme cane nero prima che uscissero dalla caverna, e i tre amici ridiscesero lungo il fianco della montagna con lui, attraversarono la landa cosparsa di massi e raggiunsero lo steccato. Qui Sirius permise loro di accarezzargli la testa a turno, prima di voltarsi e dirigersi di corsa verso il limitare del villaggio.

Harry, Ron e Hermione riattraversarono Hogsmeade e puntarono verso Hogwarts.

«Chissà se Percy sa tutte queste cose di Crouch» disse Ron mentre risalivano il viale che conduceva al castello. «Ma forse non gl’importa… probabilmente non farebbe che aumentare la sua ammirazione per Crouch. Percy adora le regole. Direbbe solo che Crouch si è rifiutato di violarle per suo figlio».

«Percy non darebbe mai nessuno della sua famiglia in pasto ai Dissennatori» disse Hermione in tono serio.

«Non lo so» rispose Ron. «Se si convincesse che siamo d’intralcio alla sua carriera… Percy è proprio ambizioso, sai…»

Risalirono i gradini di pietra ed entrarono nell’Ingresso, dove gli aromi squisiti della cena aleggiarono verso di loro dalla Sala Grande.

«Povero vecchio Tartufo» disse Ron, ansante. «Deve proprio volerti bene, Harry… pensa un po’, dover vivere di topi».

CAPITOLO 28

LA FOLLIA DEL SIGNOR CROUCH

Domenica dopo colazione Harry, Ron e Hermione salirono alla Guferia per spedire una lettera a Percy e chiedergli, come aveva suggerito Sirius, se avesse visto il signor Crouch ultimamente. Usarono Edvige, perché era tantissimo tempo che non le affidavano un incarico. Quando l’ebbero vista sparire dalla finestra della Guferia, scesero nelle cucine per portare a Dobby i suoi calzini nuovi.

Gli elfi domestici diedero loro un caloroso benvenuto, facendo inchini e riverenze e affannandosi a preparare di nuovo il tè. Dobby fu estasiato da! regalo.

«Harry Potter è troppo buono con Dobby!» squittì, asciugandosi i lacrimoni dagli occhi enormi.

«Mi hai salvato la vita con l’Algabranchia, Dobby, veramente» disse Harry.

«Non è che ci sono ancora quei bigné, eh’?» disse Ron, guardando gli elfi domestici impegnati a sorridere radiosi e inchinarsi.

«Hai appena fatto colazione!» esclamò Hermione irritata, ma un gran vassoio d’argento carico di bigné stava già sfrecciando verso di loro, portato da quattro elfi.

«Dovremmo prendere qualcosa da mandare a Tartufo» sussurrò Harry.

«Buona idea» disse Ron. «Diamo qualcosa da fare a Leo. Non potreste darci un po’ di cibo in più, eh?» disse agli elfi che lo circondavano. Quelli s’inchinarono rapiti e corsero a prendere altra roba.

«Dobby, dov’è Winky?» chiese Hermione, guardandosi attorno.

«Winky è laggiù vicino al fuoco, signorina» disse Dobby piano, le orecchie un po’ afflosciate.

«Oh poverina» disse Hermione quando la vide.

Anche Harry guardò verso il focolare. Winky era seduta sullo stesso sgabello dell’ultima volta, ma si era tanto trascurata che sulle prime non si riusciva a distinguerla dai mattoni anneriti dal fumo che le facevano da sfondo. I suoi abiti erano strappati e sudici. Brandiva una bottiglia di Burrobirra e oscillava sullo sgabello, fissando il fuoco. Mentre la guardavano, singhiozzò sonoramente.

«Adesso Winky ne butta giù sei bottiglie al giorno» sussurrò Dobby a Harry.

«Be’, non è forte, quella roba» disse Harry.

Ma Dobby scosse la testa. «Per un elfo domestico è forte, signore» disse.

Winky singhiozzò di nuovo. Gli elfi che avevano portato i bignè le scoccarono sguardi di disapprovazione mentre tornavano al lavoro.

«Winky si strugge, Harry Potter» mormorò Dobby in tono triste. «Winky vuole andare a casa. Winky crede ancora che il signor Crouch è il suo padrone, signore, e niente di quello che dice Dobby la convincerà che il professor Silente è il suo padrone adesso».

«Ehi, Winky» disse Harry, colto da un’improvvisa ispirazione, avvicinandosi e chinandosi per parlarle, «non sai che cos’ha in mente il signor Crouch, per caso? Perché ha smesso di venire a fare il giudice al Torneo Tremaghi».

Gli occhi di Winky s’illuminarono. Le sue enormi pupille si fermarono su Harry. Si dondolò ancora un pochino e poi disse: «P-padrone ha smesso — hic — di venire?»

«Sì» disse Harry, «non lo vediamo dalla prima prova. La Gazzetta del Profeta dice che è malato».

Winky si dondolò ancora un po’, fissando confusamente Harry. «Padrone — hic — malato?»

Il labbro inferiore prese a tremare.

«Ma non siamo certi che sia vero» intervenne rapida Hermione.

«Padrone ha bisogno della sua — hic — Winky!» piagnucolò l’elfa. «Padrone non può — hic — farcela — hic — tutto solo…»

«Altre persone riescono a fare i lavori di casa da soli, sai, Winky» disse severamente Hermione.

«Winky — hic — non fa solo — hic — i lavori di casa per il signor Crouch!» strillò l’elfa indignata, dondolandosi più forte che mai e versando la Burrobirra sulla camicia già coperta di macchie. «Padrone affida — hic — a Winky — hic — il più importante — hic — il più segreto…»

«Cosa?» chiese Harry.

Ma Winky scosse violentemente la testa, rovesciandosi addosso dell’altra Burrobirra.

«Winky tiene — hic — i segreti del suo padrone» disse in tono riottoso, oscillando forte e guardando Harry in cagnesco con gli occhi strabici. «Tu sta — hic — ficcando il naso, tu sta».

«Winky non deve parlare così a Harry Potter!» disse Dobby adirato. «Harry Potter è coraggioso e nobile e Harry Potter non è un impiccione!»

«Lui ficca il naso — hic — nelle cose segrete e private — hic — del mio padrone — hic — Winky è una brava elfa domestica — Winky tiene la bocca chiusa — hic — la gente cerca di — hic — impicciarsi — hic…» Le palpebre di Winky si abbassarono e all’improvviso, senza preavviso, l’elfa scivolò giù dallo sgabello nel focolare, russando forte. La bottiglia vuota di Burrobirra rotolò via sul pavimento di pietra.

Una mezza dozzina di elfi si avvicinarono di corsa, disgustati. Uno di loro raccolse la bottiglia, gli altri coprirono Winky con un’ampia tovaglia a quadretti e ne rimboccarono bene i capi, nascondendola alla vista.

«Noi è costernati che voi ha dovuto vedere questo, signori e signorina!» squitti un elfo lì accanto, scuotendo la testa vergognoso. «Noi spera che voi non ci giudica tutti da come si comporta Winky, signori e signorina!»

«È infelice!» esclamò Hermione, esasperata. «Perché non cercate di tirarla un po’ su invece di coprirla?»

«Lei ci scusa tanto, signorina» disse l’elfo domestico con un altro profondo inchino, «ma gli elfi domestici non ha il diritto di essere infelici quando c’è del lavoro da fare e dei padroni da servire».

«Oh, per l’amor del cielo!» abbaiò Hermione. «Statemi bene a sentire, tutti quanti! Avete diritto quanto i maghi di essere infelici! Avete il diritto di ottenere salari e vacanze e abiti come si deve, non dovete fare tutto quello che vi si ordina: guardate Dobby!»

«Signorina, per favore, tiene Dobby fuori da questa faccenda» borbottò Dobby, con aria spaventata. I sorrisi allegri erano scomparsi dai volti degli elfi domestici. All’improvviso occhieggiarono Hermione come se fosse una pazza pericolosa.

«Noi ha il cibo in più per voi!» squittì un elfo al gomito di Harry, e gli ficcò tra le braccia un grosso prosciutto, una dozzina di torte e della frutta. «Arrivederci!»

Gli elfi si affollarono attorno a Harry, Ron e Hermione e cominciarono a spingerli fuori dalla cucina, premendo con tante manine sui loro sederi.

«Grazie per i calzini, Harry Potter!» gridò Dobby depresso. Stava in piedi presso il fuoco, vicino alla tovaglia bitorzoluta che era Winky.

«Non potevi tenere la bocca chiusa, eh, Hermione?» disse Ron arrabbiato mentre la porta della cucina sbatteva alle loro spalle. «Ora non vorranno più che andiamo a trovarli! Potevamo cercare di scoprire da Winky qualcosa di più sul signor Crouch!»

«Oh, come se te ne importasse!» sbottò Hermione sprezzante. «A te piace venire quaggiù solo per il cibo!»

Dopodiché la giornata fu piuttosto tesa. Harry era così stanco di vedere Ron e Hermione battibeccare al di sopra dei compiti in sala comune che quella sera portò da solo il cibo per Sirius su alla Guferia.

Leo era troppo piccolo per trasportare un prosciutto intero su per la montagna da solo, così Harry chiese anche l’aiuto di due allocchi di palude della scuola. Quando furono decollati nella luce del tramonto, tre bizzarre sagome che trasportavano insieme il grosso pacco, Harry si appoggiò al davanzale, guardando il parco, le cupe cime fruscianti degli alberi della Foresta Proibita, e le vele agitate della nave di Durmstrang. Un gufo reale attraversò in volo il filo di fumo che saliva dal camino di Hagrid; planò verso il castello, circumnavigò la Guferia e sparì. Guardando in giù, Harry vide Hagrid scavare con foga davanti alla capanna. Si chiese che cosa stesse facendo; era come se stesse preparando un nuovo orticello. In quel momento Madame Maxime sbucò dal carro di Beauxbatons e raggiunse Hagrid. Cercò di coinvolgerlo in una conversazione. Hagrid si appoggiò alla pala, ma non sembrava desideroso di prolungare la chiacchierata, perché Madame Maxime poco dopo tornò alla sua carrozza.

Harry non aveva voglia di tornare nella Torre di Grifondoro ad ascoltare Ron e Hermione che si insultavano. Così guardò Hagrid scavare finché l’oscurità non lo inghiottì, e i gufi attorno a lui presero a risvegliarsi e si tuffarono nella notte a gran colpi d’ala.

* * *

Il giorno dopo a colazione il malumore di Ron e di Hermione si era dissipato, e con gran sollievo di Harry, le cupe profezie di Ron sul fatto che a causa degli insulti di Hermione gli elfi domestici avrebbero mandato cibo più scadente al tavolo di Grifondoro si rivelarono false; il bacon, le uova e le aringhe affumicate erano buoni come sempre.

Quando arrivarono i gufi postini, Hermione guardò in su, con l’aria di aspettare qualcosa.

«Percy non avrà avuto ancora tempo di rispondere» disse Ron. «Abbiamo spedito Edvige solo ieri».

«No, non è quello» disse Hermione. «Mi sono appena abbonata alla Gazzetta del Profeta. Sono stufa di venire a sapere tutto dai Serpeverde».

«Buona idea!» esclamo Harry, alzando a sua volta gli occhi verso i gufi. «Ehi, Hermione. credo che tu sia fortunata…»

Un gufo grigio planava verso di lei.

«Ma non ha un giornale» disse, delusa. «È…»

Con sua sorpresa, il gufo grigio atterrò davanti al suo piatto, seguito da vicino da quattro barbagianni, un gufo bruno e un allocco.

«Quanti abbonamenti hai fatto?» chiese Harry, afferrando il calice di Hermione prima che venisse rovesciato dal grappolo di gufi, che si urtavano tutti cercando di recapitare per primi la loro lettera.

«Cosa accidenti…» cominciò Hermione. Sfilò la lettera dal gufo grigio, la aprì e cominciò a leggerla «Oh, roba da matti!» balbettò, arrossendo.

«Cosa c’è?» disse Ron.

«È… oh, che cosa ridicola…» Gettò la lettera a Harry, che vide che non era scritta a mano ma composta con lettere incollate che sembravano ritagliate dalla Gazzetta del Profeta.

SEI UNA RAGAZZA CATTIVA, HARRY POTTER SI MERITAVA DI MEGLIO. TORNA DAI BABBANI DA DOVE SEI VENUTA.

«Sono tutte così!» disse Hermione sconvolta, aprendo una lettera dopo l’altra. «“Harry Potter può fare molto meglio dei tuoi pari…” “Meriti di finire bollita in gelatina di rana…” Ahia!»

Aveva aperto l’ultima busta, e un liquido di un verde giallastro con un intenso odore di benzina le schizzò sulle mani, che cominciarono a coprirsi di grosse bolle gialle.

«Pus di Bubotubero puro!» gridò Ron, raccogliendo con circospezione la busta per annusarla.

«Ahi!» gridò Hermione, e gli occhi le si riempirono di lacrime mentre cercava di pulirsi le mani con un tovagliolo, ma ormai le sue dita erano talmente coperte di piaghe doloranti che sembrava avesse indosso un paio di guanti bitorzoluti.

«Vai in infermeria, presto» disse Harry, mentre i gufi attorno a Hermione spiccavano il volo, «lo diremo noi alla professoressa Sprite…»

«L’avevo avvertita!» disse Ron mentre Hermione correva fuori dalla Sala Grande reggendosi le mani. «L’avevo avvertita di non dare fastidio a Rita Skeeter! Guarda questa…» Lesse ad alta voce una delle lettere che Hermione non aveva ancora visto. «“Ho letto sul Settimanale delle Streghe che stai prendendo in giro Harry Potter e quel ragazzo ne ha già passate tante e ti spedirò una maledizione con la prossima posta non appena riesco a trovare una busta abbastanza grande”. Accidenti, è meglio che si guardi le spalle».

Hermione non si fece vedere a Erbologia. Mentre Harry e Ron uscivano dalla serra per andare a lezione di Cura delle Creature Magiche, videro Malfoy, Tiger e Goyle scendere i gradini di pietra davanti al castello. Dietro di loro, Pansy Parkinson e il suo gruppetto parlavano a bassa voce ridacchiando. Come vide Harry, Pansy gridò: «Potter, ti sei mollato con la tua ragazza? Come mai a colazione era così sconvolta?»

Harry la ignorò; non voleva darle la soddisfazione di scoprire quanti guai aveva provocato l’articolo del Settimanale delle Streghe.

Hagrid, che nella lezione precedente aveva annunciato di aver finito con gli unicorni, li aspettava davanti alla sua capanna con una nuova dotazione di casse aperte ai suoi piedi. Il cuore di Harry ebbe un tuffo — e se era un’altra covata di Schiopodi? — ma quando fu abbastanza vicino da guardarci dentro, si trovò davanti a tante soffici creature nere dai lunghi musi. Le zampe davanti erano curiosamente piatte, come badili, e gli esserini sbattevano le palpebre davanti alla classe, rispondendo con educata perplessità a tutta quell’attenzione.

«Questi sono Snasi» spiegò Hagrid quando la classe lo ebbe attorniato. «Li si trova soprattutto giù nelle miniere. Gli piacciono le cose che brillano… ecco, guardate».

Uno degli Snasi all’improvviso balzò in alto nel tentativo di strappare con un morso l’orologio da polso di Pansy Parkinson, che strillò e fece un salto indietro.

«Sono dei piccoli, utili trovatesori» disse Hagrid allegramente. «Ho pensato che oggi ci potevamo divertire un po’ con loro. Vedete laggiù?» E indicò il bel pezzo di terra appena vangata che Harry lo aveva visto lavorare dalla finestra della Guferia. «Ho sepolto delle monete d’oro. Ho un premio per chi sceglie lo Snaso che ne trova di più. Toglietevi gli oggetti preziosi, scegliete uno Snaso e preparatevi a liberarli».

Harry si tolse l’orologio (lo portava solo per abitudine, dal momento che non funzionava più), e se lo infilò in tasca. Poi scelse uno Snaso, che gli ficcò nell’orecchio il lungo muso e annusò entusiasta. Era decisamente una bestiola coccolosa.

«Un momento» disse Hagrid, guardando nella cassa, «qui avanza uno Snaso… chi è che manca? Dov’è Hermione?»

«È dovuta andare in infermeria» disse Ron.

«Ti spieghiamo dopo» borbottò Harry; Pansy Parkinson era in ascolto.

Cura delle Creature Magiche non era mai stata così divertente. Gli Snasi si tuffavano dentro e fuori dal pezzetto di terra come se fosse stata acqua, e ciascuno tornava zampettando dallo studente che l’aveva liberato e gli sputava in mano una moneta. Quello di Ron era particolarmente svelto; ben presto gli riempì le mani.

«Si possono comprare per tenerli in casa, Hagrid?» chiese eccitato mentre il suo Snaso si rituffava nella terra, schizzandogli i vestiti.

«Tua mamma non sarebbe contenta, Ron» spiegò Hagrid con un gran sorriso. «Devastano le case, gli Snasi. Mi sa che hanno quasi finito adesso» aggiunse, camminando su e giù attorno al fazzoletto di terra smossa, mentre gli Snasi continuavano a immergersi. «Ho sepolto solo un centinaio di monete. Oh, eccoti qui, Hermione!»

Hermione veniva verso di loro attraverso il prato. Aveva le mani coperte di bende e l’aria tristissima. Pansy Parkinson la osservava con occhi attenti.

«Bene, vediamo come siete andati!» disse Hagrid. «Contate le monete! E non è il caso di rubarle, Goyle» aggiunse, stringendo gli occhi nerissimi. «È oro dei Lepricani. Sparisce dopo qualche ora».

Goyle si svuotò le tasche, decisamente imbronciato. Si scoprì che lo Snaso di Ron era stato il più bravo di tutti, e Hagrid lo premiò con un blocco enorme di cioccolato di Mielandia. La campana del pranzo echeggiò nel parco; il resto della classe s’incamminò verso il castello, ma Harry, Ron e Hermione rimasero indietro per aiutare Hagrid a rimettere gli Snasi nelle loro cassette. Harry notò Madame Maxime che li guardava dalla finestra della carrozza.

«Che cosa ti sei fatta alle mani, Hermione?» chiese Hagrid preoccupato.

Hermione gli raccontò dei messaggi anonimi che aveva ricevuto la mattina, e della busta piena di pus di Bubotubero.

«Aaah, non pensarci» disse Hagrid gentilmente, guardandola. «Anch’io ne ho ricevute un po’ dopo che Rita Skeeter aveva scritto della mia mamma. “Sei un mostro e dovresti essere eliminato”. “Tua madre ha ucciso tante persone innocenti e se avessi un po’ di dignità ti butteresti nel lago”».

«No!» esclamò Hermione, colpita.

«Sì» disse Hagrid, impilando le casse degli Snasi accanto alla parete della capanna. «Sono solo matti, Hermione. Se te ne arrivano delle altre non aprirle. Buttale dritte nel fuoco».

«Ti sei persa proprio una bella lezione» disse Harry a Hermione mentre tornavano al castello. «Sono forti, gli Snasi, vero, Ron?»

Ron però scrutava il cioccolato da sotto le sopracciglia aggrottate. Sembrava arrabbiato per qualcosa.

«Che cosa c’è?» gli chiese Harry. «Questo gusto non ti va?»

«No» rispose brusco Ron. «Perché non mi avevi detto dell’oro?»

«Quale oro?» disse Harry.

«L’oro che ti avevo dato alla Coppa del Mondo di Quidditch» rispose Ron. «L’oro dei Lepricani che ti avevo dato per pagarmi l’Omniocolo. In Tribuna d’Onore. Perché non mi hai detto che era sparito?»

Harry ci mise un po’ a capire di che cosa stava parlando Ron.

«Oh…» disse, quando finalmente si ricordò. «Io non… non mi sono mai accorto che era sparito. Ero più preoccupato per la mia bacchetta, no?»

Risalirono i gradini fino alla Sala d’Ingresso ed entrarono in Sala Grande per pranzare.

«Dev’essere bello» disse Ron all’improvviso, mentre si servivano di roast-beef e contorni vari. «Avere così tanti soldi da non accorgerti se ti sparisce una manciata di galeoni».

«Senti, avevo altre cose per la testa quella sera!» esclamò Harry spazientito. «E non solo io, ti ricordi?»

«Non lo sapevo che l’oro dei Lepricani scompare» borbottò Ron. «Ero convinto di averti restituito i tuoi soldi. Non avresti dovuto regalarmi il berretto dei Cannoni di Chudley per Natale».

«Lascia perdere, va bene?» disse Harry.

Ron infilzò sulla forchetta una patata arrosto, scrutandola con rabbia. Poi disse: «Odio essere povero».

Harry e Hermione si scambiarono uno sguardo. Nessuno dei due sapeva cosa dire.

«È uno schifo» proseguì Ron, senza smettere di fissare la sua patata. «Non biasimo Fred e George perché cercano di far soldi. Vorrei poterlo fare anch’io. Vorrei avere uno Snaso».

«Be’, adesso sappiamo cosa regalarti il prossimo Natale» disse Hermione allegramente. Poi, visto che Ron continuava a restare imbronciato, aggiunse: «Andiamo, Ron, potrebbe andar peggio. Almeno tu non hai le dita piene di pus». Hermione faceva una gran fatica a maneggiare forchetta e coltello, con le dita così gonfie e rigide. «Odio quella Skeeter!» esplose furibonda. «Gliela farò pagare, fosse l’ultima cosa che faccio!»

* * *

La settimana dopo Hermione continuò a ricevere lettere anonime, e anche se lei seguì il consiglio di Hagrid e smise di aprirle, parecchi dei suoi nemici spedirono Strillettere, che esplosero al tavolo di Grifondoro coprendola di insulti davanti a tutta la Sala Grande. Anche quelli che non leggevano il Settimanale delle Streghe ormai sapevano tutto del presunto triangolo Harry-Krum-Hermione. Harry cominciava a essere stanco di ripetere a tutti che Hermione non era la sua fidanzata.

«Si calmerà tutto, comunque» disse a Hermione, «se facciamo finta di niente… la gente si è stufata della roba che aveva scritto su di me l’ultima volta…»

«Voglio capire come fa Rita Skeeter ad ascoltare le nostre conversazioni private quando le era stato vietato di avvicinarsi al parco!» esclamò Hermione furibonda.

Alla fine della lezione seguente di Difesa contro le Arti Oscure, si fermò a chiedere qualcosa al professor Moody. Il resto della classe aveva una gran fretta di andarsene; Moody aveva dato loro un compito in classe così difficile di deviazione di malefici che molti di loro accusavano piccole ferite. Harry aveva una forma così ostinata di Orecchie Agitate che dovette tenerle ferme con le mani mentre si allontanava dalla classe.

«Be’, è chiaro che Rita non usa un Mantello dell’Invisibilità» sbuffò Hermione cinque minuti dopo, raggiungendo di corsa Harry e Ron in Sala d’Ingresso e togliendo la mano da una delle Orecchie Agitate di Harry perché la sentisse. «Moody dice che non l’ha vista attorno al tavolo dei giudici alla seconda prova, e nemmeno vicino al lago!»

«Hermione, serve a qualcosa dirti di lasciar perdere?» disse Ron.

«No!» esclamò Hermione ostinata. «Voglio sapere come ha fatto a sentirmi parlare con Viktor! E anche come ha fatto a scoprire della madre di Hagrid!»

«Forse ti ha messo una cimice» azzardò Harry.

«Una cimice?» chiese Ron con sguardo vacuo. «Cosa… le avrebbe buttato addosso un insetto?»

Harry spiegò che si trattava di microfoni nascosti, microspie e attrezzature di registrazione. Ron ne fu affascinato, ma Hermione li interruppe. «Voi due non leggerete mai Storia di Hogwarts

«A che cosa serve?» disse Ron. «Tu la sai a memoria, basta che chiediamo a te».

«Tutti i surrogati della magia che usano i Babbani — l’elettricità, e i computer e i radar e quelle cose là — impazziscono attorno a Hogwarts, c’è troppa magia nell’aria. No, Rita usa la magia per origliare, dev’essere così… se solo riuscissi a scoprire che cos’è… ooh, se è illegale, l’avrò in pugno…»

«Non abbiamo abbastanza cose di cui preoccuparci?» le chiese Ron. «Dobbiamo anche imbastire una vendetta contro Rita Skeeter?»

«Non ti sto chiedendo di aiutarmi!» sbottò Hermione. «Farò tutto da sola!»

E risalì la scalinata di marmo senza guardarsi indietro. Harry era certo che fosse diretta in biblioteca.

«Quanto scommetti che torna con una scatola di spille ODIO RITA SKEETER?» disse Ron.

Hermione, comunque, non chiese a Harry e Ron di aiutarla a vendicarsi di Rita Skeeter, cosa per la quale entrambi le furono grati, perché il loro carico di compiti diventava sempre più pesante man mano che si avvicinavano le vacanze di Pasqua. Harry era francamente stupito che Hermione riuscisse a fare ricerche sui metodi magici per ascoltare le conversazioni altrui con tutto quello che avevano da fare. Lui lavorava come un pazzo solo per riuscire a star dietro a tutti i compiti e le lezioni, anche se ci teneva a spedire regolarmente pacchi di viveri alla caverna sulla montagna per Sirius; dopo la scorsa estate, non aveva dimenticato cosa si provava ad avere continuamente fame. Allegava biglietti per Sirius, in cui scriveva che non era successo niente di straordinario, e che erano ancora in attesa di una risposta da Percy.

Edvige non fece ritorno fino alla fine delle vacanze di Pasqua. La lettera di Percy era infilata in un pacco di uova di Pasqua spedite dalla signora Weasley. Quella di Harry e quella di Ron erano grandi come uova di drago, e ripiene di mou fatto in casa. Invece quello di Hermione era più piccolo di un uovo di gallina. Quando lo vide, rimase a bocca aperta.

«Non è che per caso la tua mamma legge il Settimanale delle Streghe, eh, Ron?» chiese sottovoce.

«Sì» rispose Ron, con la bocca piena di mou. «Lo compra sempre per le ricette».

Hermione guardò malinconica l’ovetto striminzito.

«Non vuoi vedere la lettera di Percy?» si affrettò a chiederle Harry.

La lettera di Percy era breve e irritata.

Come continuo a ripetere alla Gazzetta del Profeta, il signor Crouch si è preso una meritata vacanza. Spedisce gufi regolari con le istruzioni. No, non l’ho visto di persona, ma credo di poter dire con tutta sicurezza di conoscere la scrittura del mio superiore. Ho già parecchio da fare al momento senza dover mettere a lacere queste ridicole voci. Per favore non seccarmi più a meno che non si tratti di una cosa importante. Buona Pasqua.

* * *

Di solito l’inizio del trimestre estivo significava per Harry allenamenti serrati in vista della partita finale di Quidditch della stagione. Quest’anno, invece, doveva prepararsi alla terza e ultima prova del Torneo Tremaghi, ma non sapeva ancora che cosa avrebbe dovuto fare. Finalmente, l’ultima settimana di maggio, dopo Trasfigurazione la professoressa McGranitt lo trattenne.

«Dobbiamo scendere al campo di Quidditch stasera alle nove, Potter» gli disse. «Ci sarà il signor Bagman, e spiegherà la terza prova ai campioni».

Così quella sera alle otto e mezzo Harry lasciò Ron e Hermione nella Torre di Grifondoro e scese le scale. Mentre attraversava la Sala d’Ingresso, Cedric sali dalla sala comune di Tassorosso.

«Di che cosa credi che si tratterà?» chiese a Harry mentre scendevano insieme la scala di pietra e si addentravano nella notte nuvolosa. «Fleur continua a parlare di tunnel sotterranei, pensa che dobbiamo trovare dei tesori».

«Non sarebbe male» disse Harry, pensando che in tal caso avrebbe potuto chiedere a Hagrid uno dei suoi Snasi e quello avrebbe fatto tutto da solo.

Discesero il prato buio fino allo stadio di Quidditch, passarono attraverso una fessura tra le tribune ed entrarono in campo.

«Che cosa gli hanno fatto?» esclamò Cedric indignato, fermandosi di colpo.

Il campo di Quidditch non era più liscio e piatto. Sembrava che qualcuno gli avesse costruito sopra un intrico di lunghe mura basse, che piegavano e s’incrociavano in tutte le direzioni.

«Sono siepi!» disse Harry, curvandosi per osservare la più vicina.

«Salute, laggiù!» gridò una voce allegra.

Ludo Bagman era in piedi al centro del campo con Krum e Fleur. Harry e Cedric li raggiunsero, scavalcando le siepi. Fleur fece un gran sorriso a Harry: aveva cambiato completamente atteggiamento nei suoi confronti, da quando Harry aveva tirato fuori la sua sorellina dal lago.

«Be’, cosa ne dite?» disse Bagman tutto felice, mentre Harry e Cedric superavano l’ultima siepe. «Crescono bene, vero? Date loro un mese e Hagrid riuscirà a farle diventare alte sei metri. Non preoccupatevi» aggiunse gioviale, notando l’espressione men che lieta dipinta sulla faccia di Harry e Cedric, «riavrete il vostro campo di Quidditch una volta finita la prova! Ora, suppongo che siale riusciti a immaginare che cosa abbiamo in mente…»

Per un attimo nessuno parlò. Poi…

«Labirinto» grugnì Krum.

«Esatto!» esclamò Bagman. «Un labirinto. La terza prova è veramente chiara. La Coppa Tremaghi verrà messa al centro del labirinto. Il primo campione che la tocca otterrà punteggio pieno».

«Dobbiamo solo attraversare il labirinto?» chiese Fleur.

«Ci saranno degli ostacoli» spiegò Bagman allegramente, saltellando in punta di piedi. «Hagrid sta preparando una serie di creature… poi ci saranno incantesimi da spezzare… tutta roba del genere, insomma. Ora, i campioni che conducono la classifica partiranno in vantaggio». Bagman sorrise a Harry e Cedric. «Poi entrerà il signor Krum… poi la signorina Delacour. Ma avrete tutti la possibilità di battervi, tutto dipenderà da come supererete gli ostacoli. Dovrebbe essere divertente, eh?»

Harry, che conosceva fin troppo bene il genere di creature che Hagrid avrebbe sfoderato per un’occasione del genere, pensò che era alquanto improbabile che la cosa si rivelasse divertente. Comunque, annuì educatamente come gli altri campioni.

«Molto bene… se non avete domande, torneremo al castello, vero, fa un po’ freddino…»

Bagman si affrettò a raggiungere Harry mentre si facevano strada tra le siepi per uscire dal labirinto in crescita. Harry aveva la sensazione che Bagman stesse per offrirgli di nuovo il suo aiuto, ma in quel momento Krum gli batté sulla spalla.

«Posso con te parlare?»

«Sì, certo» disse Harry, sorpreso.

«Fiene tu con me?»

«Ok» rispose Harry incuriosito.

Bagman parve vagamente turbato. «Ti aspetto, Harry, va bene?»

«No, è tutto a posto, signor Bagman» disse Harry, reprimendo un sorrisetto, «credo che riuscirò a ritrovare il castello da solo, grazie».

Harry e Krum uscirono insieme dallo stadio, ma Krum non prese la strada che portava alla nave di Durmstrang. S’incamminò invece verso la Foresta.

«Perché andiamo da questa parte?» chiese Harry mentre superavano la capanna di Hagrid e la carrozza illuminata di Beauxbatons.

«Io non vuole che qvalcuno ci sente» rispose secco Krum.

Quando finalmente ebbero raggiunto un prato tranquillo, non lontano dal recinto dei cavalli di Beauxbatons, Krum si fermò all’ombra degli alberi e si voltò ad affrontare Harry.

«Io vuole sapere» profferì, guardandolo in cagnesco, «cosa esserci fra te e Herr-Mioni».

Harry, che dal fare reticente di Krum si era aspettato qualcosa di molto più serio, fissò Krum di sotto in su, sbalordito.

«Niente» rispose. Ma Krum lo guardò torvo, e Harry, colpito di nuovo dall’altezza di Krum, si spiegò meglio. «Siamo amici. Non è la mia fidanzata e non lo è mai stata. È solo quella Skeeter che s’inventa le cose».

«Herr-Mioni dice sempre su te» rispose Krum, sospettoso.

«Sì» disse Harry, «perché siamo amici».

Non riusciva a credere di trovarsi nel bel mezzo di una conversazione del genere con Viktor Krum, il famoso giocatore internazionale di Quidditch. Era come se il diciottenne Krum fosse convinto che lui, Harry, era un suo pari — un autentico rivale…

«Foi non afete mai… foi non afete…»

«No» rispose Harry con decisione.

Krum parve un po’ più allegro. Fissò Harry per qualche istante, poi disse: «Tu molto bravo a folare. Io te guardato alla prima profa».

«Grazie» disse Harry con un gran sorriso, e all’improvviso si sentì anche lui molto più alto. «Ti ho visto alla Coppa del Mondo di Quidditch. Quella Finta Wronsky, sei stato davvero…»

Ma qualcosa si mosse tra gli alberi dietro Krum, e Harry, che aveva una certa esperienza del genere di cose che si acquattavano nella Foresta, afferrò d’istinto Krum per il braccio e lo trasse a sé.

«Cosa era qvesto?»

Harry scosse la testa, guardando il punto in cui aveva visto un movimento. Fece scivolare la mano nella veste, in cerca della bacchetta.

Un attimo dopo un uomo uscì barcollando da dietro un’alta quercia. Per un istante, Harry non lo riconobbe… poi vide che era il signor Crouch.

Sembrava che fosse in viaggio da giorni. Aveva la veste strappata e insanguinata all’altezza delle ginocchia, il volto coperto di graffi, la barba lunga e il viso grigio di stanchezza. I capelli e i baffi di solito così in ordine avevano bisogno di una lavata e una regolata. Il suo strano aspetto, comunque, era nulla in confronto al suo comportamento. Il signor Crouch borbottava e gesticolava come se stesse parlando con qualcuno che vedeva solo lui. A Harry fece venire in mente con chiarezza un vecchio barbone che aveva visto una volta quando era a fare compere con i Dursley. Anche quell’uomo discuteva animatamente con il vuoto: zia Petunia aveva afferrato la mano di Dudley e l’aveva trascinato dall’altra parte della strada per evitarlo; zio Vernon poi aveva inflitto alla famiglia una lunga tirata su quello che avrebbe voluto fare di mendicanti e vagabondi.

«Non è giudice?» chiese Krum, fissando il signor Crouch. «Non è del fostro Ministero?»

Harry annuì, esitò per un attimo, poi si avvicinò lentamente al signor Crouch, che non lo guardò ma continuò a parlare con un albero li vicino: «…e quando hai finito, Weatherby, manda un gufo a Silente per confermare il numero di studenti di Durmstrang che prenderanno parte al Torneo, Karkaroff ha appena fatto sapere che saranno in dodici…»

«Signor Crouch» disse Harry con delicatezza.

«…e poi manda un altro gufo a Madame Maxime, perché può darsi che voglia aumentare il numero di studenti della sua delegazione, ora che Karkaroff è arrivato a una dozzina tonda… lo farai, Weatherby, vero? Vero? Ve…» Il signor Crouch aveva gli occhi fuori dalle orbite. Rimase lì a fissare l’albero, mormorando in silenzio. Poi barcollò da un lato e cadde in ginocchio.

«Signor Crouch?» chiese Harry a voce alta. «Si sente bene?»

Crouch roteò gli occhi. Harry cercò lo sguardo di Krum, che lo aveva seguito tra gli alberi e guardava Crouch allarmato.

«Cosa succede lui?»

«Non ne ho idea» sussurrò Harry. «Senti, è meglio che tu vada a chiamare qualcuno…»

«Silente!» esclamò il signor Crouch senza fiato. Tese una mano e afferrò il vestito di Harry, trascinandolo più vicino, anche se i suoi occhi guardavano oltre la testa di Harry. «Devo… vedere… Silente…»

«Ok» disse Harry, «se si alza, signor Crouch, possiamo andare al…»

«Ho fatto… una cosa… stupida…» esalò il signor Crouch. Sembrava decisamente impazzito. I suoi occhi roteavano sporgenti, e un rivolo di saliva gli scivolava giù per il mento. Ogni parola che pronunciava pareva costargli un sforzo tremendo. «Devo… dire… a Silente…»

«Si alzi, signor Crouch» disse Harry con voce forte e chiara. «Si alzi. La porterò da Silente!»

Gli occhi di Crouch si fissarono in quelli di Harry, roteando.

«Chi… sei?» mormorò.

«Sono un allievo della scuola» rispose Harry, cercando con gli occhi l’aiuto di Krum, che si teneva a distanza e sembrava decisamente teso.

«Non sei… suo?» borbottò Crouch, con la bocca che tremava.

«No» rispose Harry, senza avere la benché minima idea di cosa intendesse dire.

«Di Silente?»

«Proprio così» disse Harry.

Crouch lo tirava a sé; Harry cercò di allentare la stretta sulla veste, ma era troppo forte.

«Avverti… Silente…»

«Andrò a chiamare Silente se lei mi lascia andare» disse Harry. «Mi lasci, signor Crouch, e andrò a chiamarlo…»

«Grazie, Weatherby, e quando hai finito, vorrei una tazza di tè. Mia moglie e mio figlio arriveranno tra poco, stasera andiamo a un concerto con il signore e la signora Caramell». Ora Crouch aveva ripreso a parlare tranquillamente con un albero, e sembrava del tutto ignaro della presenza di Harry; quest’ultimo ne fu così sorpreso che non si accorse nemmeno che Crouch lo aveva lasciato andare. «Sì, mio figlio ha appena preso dodici G.U.F.O., una bella soddisfazione, sì, grazie, sì, sono davvero molto fiero di lui. Ora, se puoi portarmi quel promemoria del Ministero della Magia di Andorra, credo che avrò tempo di buttar giù una risposta…»

«Tu resta qui con lui!» disse Harry a Krum. «lo vado a chiamare Silente, farò in fretta, so dov’è il suo ufficio…»

«È pazzo» disse Krum dubbioso, fissando Crouch, che continuava a blaterare rivolto all’albero, convinto che si trattasse di Percy.

«Rimani con lui» disse Harry, e fece per alzarsi, ma il suo gesto parve innescare un altro brusco mutamento nel signor Crouch, che lo afferò alle ginocchia e lo trascinò di nuovo a terra.

«Non… abbandonarmi!» sussurrò, gli occhi di nuovo sporgenti. «Io… sono… fuggito… devo avvertire… devo dire… vedere Silente… colpa mia… tutta colpa mia… Bertha… morta… tutta colpa mia… mio figlio… colpa mia… dire a Silente… Harry Potter… Il Signore Oscuro… più forte… Harry Potter…»

«Andrò a chiamare Silente se mi lascia andare, signor Crouch!» esclamò Harry. Poi si rivolse a Krum, infuriato. «Vuoi aiutarmi?»

Krum, decisamente preoccupato, si fece avanti e si accoccolò vicino al signor Crouch.

«Trattienilo qui» disse Harry, liberandosi dalla presa di Crouch. «Tornerò con Silente».

«Fai in fretta, sì?» gli gridò dietro Krum mentre Harry filava via dalla Foresta e correva su per il parco immerso nell’oscurità. Erano completamente soli; Bagman, Cedric e Fleur erano scomparsi. Harry corse all’impazzata su per i gradini di pietra, varcò il portone di quercia e schizzò su per la scalinata di marmo, diretto al secondo piano. Cinque minuti dopo correva verso un gargoyle di pietra eretto a metà di un corridoio vuoto.

«Sor… sorbetto al limone!» esclamò ansante.

Era la parola d’ordine per la scala nascosta che portava all’ufficio di Silente: o almeno lo era due anni prima. Nel frattempo evidentemente era cambiata, perché il gargoyle di pietra non prese vita e non balzò di lato, ma rimase lì immobile, scrutando Harry con sguardo malvagio.

«Muoviti!» lo investì Harry. «Andiamo!»

Ma nulla a Hogwarts si era mai mosso solo perché gli strillavi contro. Harry guardò su e giù per il corridoio buio. Forse Silente era in sala professori? Prese a correre più veloce che poteva verso la scala…

«POTTER!»

Harry si fermò di colpo e si voltò.

Piton era appena spuntato dalla scala nascosta dietro il gargoyle di pietra. Il muro si stava ancora chiudendo alle sue spalle mentre faceva segno a Harry di tornare indietro. «Che cosa ci fai qui, Potter?»

«Devo vedere il professor Silente!» disse Harry, ripercorrendo di corsa il corridoio e fermandosi davantri a Piton. «Il signor Crouch… è appena tornato… è nella Foresta… chiede…»

«Che sciocchezze vai dicendo?» disse Piton, gli occhi neri scintillanti. «Di che cosa stai parlando?»

«Il signor Crouch!» urlò Harry. «Del Ministero! Sta male, non so… È nella Foresta, vuole vedere Silente! Mi dia solo la parola d’ordine…

«Il Preside è occupato, Potter» rispose Piton, le labbra incurvate in un sorriso sgradevole.

«Devo parlare con Silente!» gridò Harry.

«Non hai sentito, Potter?»

Harry avrebbe giurato che Piton si stava divertendo, negandogli quello che chiedeva e lasciandolo nel panico.

«Senta» sbottò, infuriato, «Crouch sta male… è… è fuori di sé… dice che vuole avvertire…»

Il muro di pietra alle spalle di Piton si aprì. Silente era lì, vestito di un lungo abito verde, con un’espressione di vaga curiosità.

«C’è qualche problema?» disse, guardando tra Harry e Piton.

«Professore!» esclamò Harry, prima che Piton potesse aprir bocca. «Il signor Crouch è qui… è giù nella Foresta, vuole parlarle!»

Harry si aspettava che Silente facesse qualche domanda, ma, con suo gran sollievo, non lece nulla del genere. «Guidami» disse immediatamente, e s’incamminò dietro a Harry lungo il corridoio, lasciando Pìton in piedi accanto al gargoyle: era brutto il doppio.

«Che cos’ha detto il signor Crouch, Harry?» chiese Silente mentre scendevano in fretta la scalinata di marmo.

«Ha detto che vuole avvertirla… dice che ha fatto qualcosa di orribile… ha parlato di suo figlio… e di Bertha Jorkins… e… e di Voldemort… ha detto che Voldemort è diventato più forte…»

«Ma senti» disse Silente, e affrettò il passo mentre uscivano nella notte nera come la pece.

«Non si comporta in modo normale» continuò Harry, camminando più in fretta al fianco di Silente. «Sembra che non sappia dove si trova. Continua a parlare come se credesse di trovarsi davanti a Percy Weasley, e poi cambia, e dice che deve vedere lei… l’ho lasciato con Viktor Krum».

«Cosa?» sbottò brusco Silente, e prese a camminare ancora più in fretta, così che Harry dovette correre per stargli dietro. «Sai se qualcun altro ha visto il signor Crouch?»

«No» rispose Harry. «Io e Krum stavamo parlando, il signor Bagman aveva appena finito di spiegarci la terza prova, siamo rimasti indietro, e poi abbiamo visto il signor Crouch uscire dalla Foresta…»

«Dove sono?» chiese Silente mentre la carrozza di Beauxbatons affiorava dall’oscurità.

«Laggiù» disse Harry, superando Silente e facendogli strada attraverso gli alberi. Non sentiva più la voce di Crouch, ma sapeva dove era diretto; non era molto più in là della carrozza di Beauxbatons… da qualche parte lì intorno…

«Viktor!» urlò Harry.

Nessuno rispose.

«Erano qui» disse Harry a Silente. «Erano di sicuro qui da qualche parte…»

«Lumos» disse Silente, accendendo la bacchetta e tenendola alta.

Il suo raggio sottile rimbalzò da un tronco scuro all’altro, illuminando il terreno. E poi cadde su un paio di piedi.

Harry e Silente corsero avanti. Krum era steso a terra. Sembrava privo di sensi. Di Crouch nessuna traccia. Silente si chinò su Krum e gli sollevò delicatamente una palpebra.

«Schiantato» disse piano. Gli occhiali a mezzaluna brillarono alla luce della bacchetta mentre scrutava gli alberi tutto attorno.

«Devo andare a chiamare qualcuno?» disse Harry. «Madama Chips?»

«No» rispose in fretta Silente. «Stai qui».

Levò la bacchetta e la puntò verso la capanna di Hagrid. Harry vide qualcosa di argenteo sfrecciare fuori dalla punta e dirigersi attraverso gli alberi come un uccello spettrale. Poi Silente si curvò di nuovo su Krum, gli puntò contro la bacchetta e sussurrò: «Innerva».

Krum apri gli occhi. Sembrava intontito. Quando vide Silente, cercò di alzarsi a sedere, ma il Preside gli mise una mano sulla spalla e lo costrinse a rimanere disteso.

«Lui ha me aggredito!» borbottò Krum, portando una mano alla testa. «Quel vecchio folle ha me aggredito! Mentre io guardava dove andato Potter, lui attaccava mie spalle!»

«Resta giù ancora un po’» disse Silente.

Li raggiunse un rumore di passi tonanti, e Hagrid spuntò ansante con Thor alle calcagna. Era armato di balestra.

«Professor Silente!» disse, gli occhi sgranati. «Harry… che cosa…»

«Hagrid, devi andare a chiamare il professor Karkaroff» disse Silente. «Il suo allievo è stato aggredito. Quando hai fatto, ti prego di avvertire il professor Moody…»

«Non serve, Silente, sono qui». Moody avanzò zoppicando, appoggiandosi al bastone, la bacchetta accesa. «Dannata gamba» ringhiò. «Sarei arrivato prima… che cosa è successo? Piton ha detto qualcosa a proposito di Crouch…»

«Crouch?» esclamò Hagrid, ignaro.

«Karkaroff, per favore. Hagrid!» disse Silente in tono brusco.

«Oh, si… Ha ragione, professore…» disse Hagrid; poi si voltò e sparì tra gli alberi oscuri, seguito da Thor.

«Non so dove sia Barty Crouch» disse Silente a Moody, «ma è fondamentale che riusciamo a trovarlo».

«Ci penso io» ringhiò Moody, e alzata la bacchetta si allontanò zoppicando nella Foresta.

Né Silente né Harry aprirono bocca finché non udirono il rumore inconfondibile di Hagrid e Thor che tornavano. Karkaroff li seguiva di corsa. Indossava la sua liscia pelliccia argentea e sembrava pallido e agitato.

«Che cosa succede?» gridò, quando vide Krum a terra, e Silente e Harry accanto a lui. «Cos’è successo?»

«Io è stato aggredito!» disse Krum, levandosi a sedere e massaggiandosi la testa. «Qvel Krautsch, o come lui chiama…»

«Crouch ti ha aggredito? Crouch ti ha aggredito? Il giudice del Tremaghi?»

«Igor» esordì Silente, ma Karkaroff si erse in tutta la sua altezza, stringendosi addosso la pelliccia, furente.

«Tradimento!» ululò, puntando il dito contro Silente. «È una congiura! Tu e il Ministero della Magia mi avete attirato qui con l’inganno, Silente! Questa non è una gara corretta! Prima tramate per ammettere Potter al Torneo, anche se è troppo giovane! Ora uno dei tuoi amici del Ministero cerca di mettere fuori gioco il mio campione! Io subodoro doppiezza e corruzione in tutta quanta la faccenda, e tu, Silente, tu, con tutti i tuoi discorsi sui rapporti magici internazionali più stretti, sull’importanza di ricreare vecchi legami, di dimenticare vecchie divergenze… ecco che cosa penso di te

Karkaroff sputò ai piedi di Silente. Con un rapido gesto, Hagrid afferrò Karkaroff per la pelliccia, lo sollevò e lo sbatté contro un albero vicino.

«Chiedi scusa!» ringhiò Hagrid, mentre Karkaroff annaspava, col grosso pugno del guardiacaccia alla gola, i piedi penzoloni a mezz’aria.

«Hagrid, no!» gridò Silente, gli occhi lampeggianti.

Hagrid ritirò la mano che inchiodava Karkaroff all’albero, e quest’ultimo scivolò lungo il tronco e si afflosciò a terra; una piccola pioggia di rametti e foglie lo colpì sulla testa.

«Ti prego di scortare Harry fino al castello, Hagrid» disse Silente in tono asciutto.

Respirando affannosamente, Hagrid scoccò a Karkaroff uno sguardo minaccioso. «Forse è meglio che sto qui, Preside…»

«Tu riporti Harry a scuola, Hagrid» ripeté Silente con decisione. «Portalo difilato su alla Torre di Grifondoro. E Harry, voglio che tu vi rimanga. Qualunque cosa ti venga in mente di fare — qualunque gufo tu voglia spedire — possono aspettare fino a domattina, mi hai capito?»

«Ehm… si» rispose Harry, guardandolo negli occhi. Come faceva Silente a sapere che proprio in quell’istante aveva pensato di spedire Leo difilato da Sirius, per fargli sapere cosa era successo?

«Lascio Thor qui con te, Preside» disse Hagrid, senza smettere di fissare torvo Karkaroff, che era ancora ai piedi dell’albero, in un groviglio di pellicce e radici. «Rimani qui, Thor. Andiamo, Harry».

Insieme oltrepassarono la carrozza di Beauxbatons e ripresero la salita verso il castello.

«Come osa» ringhiò Hagrid mentre passavano accanto al lago. «Come osa accusare Silente. Silente non fa ’ste cose. Silente non ti voleva al Torneo. Preoccupato! Non so quando ho mai visto Silente più preoccupato di adesso. E tu!» esclamò Hagrid all’improvviso rivolto a Harry, che guardò in su, sorpreso. «Che cos’è che facevi, cosa andavi in giro a fare con quel tipaccio di Krum? È di Durmstrang, Harry! Poteva farti il malocchio! Moody non ti ha insegnato niente? Ma pensa a te, lui che ti attira là fuori da solo…»

«Krum è a posto!» disse Harry mentre risalivano i gradini verso la Sala d’Ingresso. «Non stava cercando di farmi il malocchio, voleva solo parlare di Hermione…»

«Ci dirò due paroline anche a lei» disse Hagrid cupo, salendo pesantemente i gradini. «Meno tutti quanti voi avete a che fare con quegli stranieri, meglio sarà. Non potete fidarvi di nessuno di quelli là».

«Tu però andavi d’accordo con Madame Maxime» disse Harry, irritato.

«Non parlarmi di lei!» disse Hagrid, e per un attimo parve davvero spaventoso. «Adesso sì che l’ho capita! Sta cercando di fare la pace solo perché vuole che le dico che cosa succede nella terza prova. Ha! Non ci si può fidare di nessuno di quelli là!»

Hagrid era così di malumore che Harry fu contento di separarsi da lui davanti alla Signora Grassa. Attraversò il buco de! ritratto, si arrampicò su nella sala comune e raggiunse in fretta l’angolo in cui sedevano Ron e Hermione per raccontare loro l’accaduto.

CAPITOLO 29

IL SOGNO

«Il punto è questo» disse Hermione, massaggiandosi la fronte. «O il signor Crouch ha aggredito Viktor, o qualcun altro ha aggredito tutti e due mentre Viktor non guardava».

«Dev’essere stato Crouch» disse subito Ron. «Ecco perché era sparito quando Harry e Silente sono arrivati laggiù. Era scappato via».

«Non credo» rispose Harry, scuotendo la testa. «Sembrava proprio debole… Non credo che volesse Smaterializzarsi o altro».

«Non ci si può Smaterializzare entro i confini di Hogwarts, ve l’ho detto mille volte!» esclamò Hermione.

«Ok, sentite un po’ questa» disse Ron eccitato. «Krum aggredisce Crouch — no, aspettate un attimo — e poi si Schianta!»

«E il signor Crouch è evaporato, vero?» fece Hermione freddamente.

«Oh, va be’…»

Era l’alba. Harry, Ron e Hermione erano sgattaiolati fuori dai loro letti molto presto, ed erano corsi insieme su alla Guferia per spedire un biglietto a Sirius. Ora erano in piedi e guardavano il parco immerso in una nebbiolina. Tutti e tre avevano gli occhi gonfi ed erano pallidi, perché avevano parlato di Crouch fino a tardi.

«Ricomincia daccapo, Harry» disse Hermione. «Allora, che cos’ha detto il signor Crouch?»

«Te l’ho detto, non aveva molto senso» disse Harry. «Ha detto che voleva mettere in guardia Silente da qualcosa. Ha nominato Bertha Jorkins, questo è certo, e sembrava convinto che fosse morta. Continuava a dire che era colpa sua… ha parlato di suo figlio».

«Be’, quella è stata sì colpa sua» disse Hermione stizzita.

«Era fuori di testa» disse Harry. «Metà del tempo sembrava convinto che sua moglie e suo figlio fossero ancora vivi, e continuava a parlare di lavoro con Percy e a dargli istruzioni».

«E… ripeti un po’ cos’ha detto di Tu-Sai-Chi» disse Ron esitante.

«Te l’ho detto» ripeté Harry ostinato. «Diceva che sta diventando più forte».

Ci fu una pausa.

Poi Ron cominciò, in tono falsamente fiducioso: «Ma era fuori di testa, come dicevi tu, quindi probabilmente metà delle cose che ha detto erano puro delirio…»

«Era in sé quando cercava di parlare di Voldemort» rispose Harry. Ron sussultò. «Faceva una gran fatica a mettere insieme due parole, ma solo quando sembrava che sapesse dov’era e cosa voleva fare. Continuava a ripetere che doveva vedere Silente».

Harry si allontanò dalla finestra e prese a scrutare le travi. Metà dei molti trespoli erano vuoti; ogni tanto, un altro gufo piombava giù da una delle finestre, di ritorno dalla caccia notturna con un topo nel becco.

«Se Piton non mi avesse trattenuto» disse Harry con amarezza, «forse saremmo arrivati in tempo. “Il Preside è occupato, Potter… che cosa sono queste sciocchezze, Potter?” Perché non si è tolto di torno e basta?»

«Forse non voleva che tu arrivassi in tempo!» incalzò Ron. «Forse — aspetta un po’ — quanto ci poteva mettere ad arrivare giù alla Foresta? Credi che possa essere arrivato prima di te e Silente?»

«No, a meno che non sappia trasformarsi in pipistrello» rispose Harry.

«Non lo escluderei» borbottò Ron.

«Dobbiamo vedere il professor Moody» disse Hermione. «Dobbiamo scoprire se ha trovato il signor Crouch».

«Facile, se aveva con sé la Mappa del Malandrino» disse Harry.

«A meno che Crouch non fosse già fuori dal parco» aggiunse Ron, «perché la Mappa arriva solo fino ai confini, non…»

«Ssst!» fece Hermione all’improvviso.

Qualcuno stava salendo alla Guferia. Harry udì due voci battibeccare, sempre più vicine.

«… è ricatto, ecco cos’è, potremmo finire nei guai, guai seri…»

«… abbiamo cercato di essere corretti, adesso è il momento di giocare sporco, come lui. Non vorrebbe certo che il Ministero della Magia sapesse che cos’ha fatto…»

«Ti dico che se lo metti per iscritto è un ricatto!»

«Sì, ma poi mica ti lamenti se otteniamo una bella ricompensa, vero?»

La porta della Guferia si spalancò. Fred e George attraversarono la soglia, poi si fermarono di botto alla vista di Harry, Ron e Hermione.

«Che cosa fate qui?» dissero Ron e Fred contemporaneamente.

«Spediamo una lettera» risposero Harry e George all’unisono.

«Come, a quest’ora?» dissero Hermione e Fred.

Fred sorrise. «Bene… noi non vi chiederemo che cosa state facendo se voi non lo chiedete a noi» disse.

Aveva in mano una busta sigillata. Harry le diede un’occhiata, ma Fred, per caso o di proposito, spostò la mano così da coprire il nome del destinatario.

«Be’, non vogliamo trattenervi» disse, facendo un buffo inchino e indicando la porta.

Ron non si mosse. «Chi state ricattando?» chiese.

Il sorriso scomparve dalle labbra di Fred. George gli lanciò un’occhiata prima di rivolgersi a Ron.

«Non fare lo stupido, stavo solo scherzando» rispose con disinvoltura.

«Non sembrava proprio» osservò Ron.

Fred e George si scambiarono un’altra occhiata. Poi Fred disse bruscamente: «Te l’ho già detto, Ron, tieni il naso fuori da questa faccenda, se ti piace così com’è. Non capisco come mai, ma…»

«Sono fatti miei se state ricattando qualcuno» incalzò Ron. «George ha ragione, potreste cacciarvi in un grosso guaio».

«Te l’ho detto. Stavo scherzando» insisté George. Si avvicinò a Fred, gli sfilò la lettera di mano e la legò alla zampa del barbagianni più vicino. «Cominci ad assomigliare al nostro caro fratello maggiore, sai, Ron. Continua così e ti faranno Prefetto».

«No!» disse Ron veemente.

George portò il barbagianni alla finestra e quello spiccò il volo. Poi si voltò con un gran sorriso.

«Be’, allora smettila di dire alla gente cosa deve fare. A più tardi».

Lui e Fred se ne andarono. Harry, Ron e Hermione si guardarono perplessi.

«Non credete che sappiano qualcosa di questa faccenda, eh?» sussurrò Hermione. «Di Crouch e del resto?»

«No» rispose Harry. «Se fosse una cosa così seria, lo direbbero a qualcuno. Lo direbbero a Silente».

Ron, comunque, sembrava a disagio.

«Cosa c’è?» gli chiese Hermione.

«Be’…» disse Ron lentamente, «non so se lo farebbero. Sono… sono ossessionati dall’idea di far soldi ultimamente, me ne sono accorto stando con loro… quando… sapete…»

«Noi non ci parlavamo» concluse Harry per lui. «Sì, ma un ricatto…»

«È quella loro idea del negozio di scherzi» disse Ron. «Credevo che ne parlassero solo per irritare la mamma, ma fanno sul serio, vogliono aprirne uno. Gli manca solo un anno per finire Hogwarts, continuano a ripetersi che è ora di pensare al futuro, e papà non li può aiutare, e hanno bisogno di soldi per cominciare».

Fu la volta di Hermione di essere a disagio. «Si, ma… non farebbero nulla di illegale per ottenere del denaro…»

«Tu dici?» le fece eco Ron con aria scettica. «Non so… non è che gli importi granché di infrangere le regole, no?»

«Sì, ma questa è la legge» disse Hermione spaventata. «Questa non è una stupida regola della scuola… prenderanno ben più di una punizione se ricattano qualcuno! Ron… forse sarebbe meglio se lo dicessi a Percy…»

«Sei pazza?» disse Ron. «Dirlo a Percy? Probabilmente farebbe come Crouch e li denuncerebbe». Fissò la finestra dalla quale era partito il barbagianni di Fred e George, poi si riscosse: «Dai, andiamo a fare colazione».

«Credete che sia troppo presto per andare dal professor Moody?» domandò Hermione mentre scendevano la scala a chiocciola.

«Sì» rispose Harry. «Probabilmente ci fulminerebbe da dietro la porta se lo svegliassimo all’alba. Crederebbe che stiamo cercando di assalirlo nel sonno. Aspettiamo l’intervallo».

Di rado una lezione di Storia della Magia era stata così lunga. Harry continuava a guardare l’orologio di Ron. visto che finalmente aveva rinunciato al suo, ma quello di Ron si muoveva così piano che sembrava essersi rotto anche quello. Erano tutti e tre così stanchi che avrebbero posato volentieri la testa sul banco per dormire; perfino Hermione non prendeva appunti come al solito, ma era seduta con la testa appoggiata alla mano e fissava il professor Rüf con occhi vuoti.

Quando finalmente suonò la campana, corsero lungo ì corridoi fino alla classe di Difesa contro le Arti Oscure, e incontrarono il professor Moody che ne usciva. Sembrava stanco quanto loro. La palpebra dell’occhio normale era afflosciata, e dava al suo viso un aspetto ancora più deforme del solito.

«Professor Moody!» gridò Harry mentre gli si avvicinavano facendosi largo tra la folla.

«Salute, Potter» ringhiò Moody. L’occhio magico seguì un paio di ragazzini del primo anno che filarono via con aria nervosa; roteò girandosi verso l’interno della testa di Moody e li guardò girare l’angolo. Poi Moody parlò di nuovo. «Entrate».

Si ritrasse per lasciarli entrare nell’aula vuota, zoppicò dietro di loro e chiuse la porta.

«L’ha trovato?» chiese Harry senza preamboli. «Il signor Crouch?»

«No» rispose Moody. Si avvicinò alla scrivania, sedette, allungò la gamba di legno con un lieve gemito ed estrasse la fiaschetta.

«Ha usato la mappa?» chiese Harry.

«Certo» disse Moody, e bevve. «Ho preso esempio da te, Potter. L’ho consultata dal mio ufficio fino nella Foresta. Non era da nessuna parte».

«Allora si è Smaterializzato?» disse Ron.

«Non ci si può Smaterializzare nella cerchia del castello, Ron!» esclamò Hermione. «Può aver usato altri modi per sparire, vero, professore?»

L’occhio magico di Moody vibrò indugiando su Hermione.

«Tu sei un’altra che dovrebbe pensare alla carriera di Auror» le disse. «La tua testa lavora nel modo giusto, Granger».

Hermione arrossì compiaciuta.

«Be’, non era invisibile» disse Harry, «la mappa mostra anche le persone invisibili. Allora dev’essersene andato».

«Ma di sua volontà?» disse Hermione impaziente. «O perché qualcuno lo ha costretto?»

«Sì, è possibile che qualcuno… che qualcuno lo abbia messo su un manico di scopa e sia volato via con lui, no?» aggiunse Ron rapido, guardando speranzoso Moody, come se volesse sentirsi dire che anche lui aveva l’istinto di un Auror.

«Non possiamo escludere un rapimento» ringhiò Moody.

«Allora» disse Ron «pensa che possa essere da qualche parte a Hogsmeade?»

«Potrebbe essere ovunque» disse Moody scuotendo la testa. «La sola cosa che sappiamo per certo è che non è qui».

Fece un gran sbadiglio, e le cicatrici si distesero, e la bocca storta rivelò una serie di denti mancanti.

Poi disse: «Ora, Silente mi ha detto che voi tre vi credete investigatori, ma non potete far nulla per Crouch. Adesso lo cercherà il Ministero, Silente li ha informati. Potter, concentrati sulla terza prova».

«Come?» disse Harry. «Oh, certo…»

Non aveva pensato una volta al labirinto da quando lo aveva lasciato assieme a Krum la sera prima.

«Dovrebbe essere la cosa giusta per te, questa» disse Moody, guardando Harry e grattandosi il mento segnato dalle cicatrici e coperto di peli ispidi. «Da quello che ha detto Silente, sei riuscito a superare cose del genere un sacco di volte. Ti sei fatto strada oltrepassando un bel po’ di ostacoli che custodivano la Pietra Filosofale al primo anno, vero?»

«Gli abbiamo dato una mano» intervenne rapido Ron. «Io e Hermione gli abbiamo dato una mano».

Moody fece un gran sorriso. «Be’, dategli una mano a esercitarsi per questa cosa, e sarò molto sorpreso se non vince» disse. «Nel frattempo… vigilanza costante, Potter. Vigilanza costante». Trasse un’altra gran sorsata dalla fiaschetta, e l’occhio magico roteò verso la finestra, da cui si scorgeva la vela più alta della nave di Durmstrang.

«Voi due» — l’occhio normale era puntato su Ron e Hermione — «state vicini a Potter, d’accordo? Io tengo d’occhio tutto, ma comunque… gli occhi aperti non bastano mai».

* * *

Sirius rispedì indietro il loro gufo la mattina dopo. Planò davanti a Harry mentre un allocco atterrava di fronte a Hermione, con una copia della Gazzetta del Profeta stretta nel becco. Lei prese il giornale, scorse le prime pagine, disse «Ha! Non ha saputo di Crouch!», poi si unì a Ron e Harry nella lettura dei commenti di Sirius sui fatti misteriosi di due notti prima.

Harry, che cosa ti viene in mente di andare nella Foresta con Viktor Krum? Voglio che tu mi giuri a stretto giro di gufo che non uscirai di notte con nessuno. C’è qualcuno estremamente pericoloso a Hogwarts. E evidente che questo qualcuno voleva impedire a Crouch di incontrare Silente ed è probabile che tu ti sia trovato nell’oscurità a pochi metri da costui. Potevi rimanere ucciso.

Il tuo nome non è finito per caso nel Calice di Fuoco. Se qualcuno sta cercando di farti del male, ha la sua ultima possibilità. Non allontanarti da Ron e Hermione, non uscire dalla Torre di Grifondoro la sera, e preparati alla terza prova. Esercitati a Schiantare e Disarmare. Non sarebbe male che provassi anche qualche stregoneria. Non puoi fare niente per Crouch. Giù la testa e bada a te stesso. Aspetto una tua lettera in cui mi dai la tua parola che non uscirai più dal castello.

Sirius

«Chi si crede di essere, a farmi la predica perché sono uscito dal castello?» esclamò Harry indignato mentre ripiegava la lettera di Sirius e se la infilava in tasca. «Con tutte le cose che ha combinato lui a scuola!»

«È in pensiero per te!» disse Hermione bruscamente. «Come Moody e Hagrid! Quindi dai loro retta!»

«Nessuno cerca di aggredirmi» ribatté Harry. «Nessuno mi ha fatto niente…»

«Tranne mettere il tuo nome nel Calice di Fuoco» lo interruppe Hermione. «E deve averlo fatto per un buon motivo, Harry. Tartufo ha ragione. Forse questo qualcuno sta solo prendendo tempo. Forse è questa la prova che ha scelto per prenderti».

«Senti» disse Harry, impaziente, «diciamo che Tartufo ha ragione, e che qualcuno ha Schiantato Krum per rapire Crouch. Be’, doveva essere li tra gli alberi vicino a noi, no? Ma ha aspettato che io fossi lontano prima di agire, no? Quindi non pare proprio che sia io il suo obiettivo, no?»

«Non poteva farlo passare per un incidente, se ti assassinava nella Foresta!» esclamò Hermione. «Ma se muori durante una prova…»

«Però non ha avuto problemi ad aggredire Krum, vero?» disse Harry. «Perché non mi ha fatto fuori nella stessa occasione? Poteva far finta che io e Krum ci fossimo sfidati a duello, o qualcosa del genere».

«Harry, non capisco neanch’io» sospirò Hermione sconfortata. «So solo che stanno succedendo un sacco di cose strane, e non mi piacciono… Moody ha ragione, Tartufo ha ragione, devi cominciare ad allenarti per la terza prova, e subito. E rispondi subito a Tartufo e promettigli che non scapperai via da solo un’altra volta».

* * *

Il parco di Hogwarts non era mai apparso cosi invitante, da quando Harry doveva restare chiuso dentro il castello. Nei giorni che seguirono trascorse tutto il suo tempo libero in biblioteca con Hermione e Ron, a studiare stregonerie, o in qualche classe vuota dove sgattaiolavano per esercitarsi. Harry si era concentrato sullo Schiantesimo, che non aveva mai usato prima. Il guaio era che fare pratica comportava parecchi sacrifici da parte di Ron e Hermione.

«Non possiamo rapire Mrs Purr?» propose Ron lunedì all’ora di pranzo, mentre giaceva lungo disteso nel bel mezzo della classe di Incantesimi: era appena stato Schiantato e risvegliato da Harry per la quinta volta di seguito. «Possiamo Schiantare lei qualche volta. Oppure puoi usare Dobby, Harry. Scommetto che farebbe qualunque cosa per aiutarti. Non è che mi lamenti» si alzò in piedi cautamente, massaggiandosi la schiena «ma mi fa male dappertutto…»

«Be’, certo, se continui a mancare i cuscini!» esclamò Hermione impaziente, risistemando la pila di cuscini che avevano usato per l’Incantesimo di Esilio e che Vitious aveva lasciato in un armadio.

«Quando sei Schiantato non riesci a prendere la mira molto bene, Hermione!» ribatté rabbiosamente Ron. «Perché non vieni tu al mio posto?»

«Be’, credo che Harry l’abbia imparato, ormai» disse Hermione in fretta. «E non dobbiamo darci pensiero per l’Incantesimo di Disarmo, perché sono secoli che lo sa fare… Credo che stasera dovremmo cominciare con qualche stregoneria».

Scorse la lista che avevano fatto in biblioteca.

«Mi piace questo qui» disse, «questo Incantesimo di Ostacolo. Dovrebbe rallentare qualunque cosa cerchi di aggredirti, Harry. Cominceremo con questo».

Suonò la campana. Rimisero in fretta i cuscini nell’armadio di Vitious, e sgattaiolarono fuori dalla classe.

«Ci vediamo a cena!» disse Hermione, diretta ad Aritmanzia, mentre Harry e Ron andavano verso la Torre Nord, a Divinazione. Ampie strisce di abbagliante luce solare attraversavano il corridoio entrando a fiotti dalle alte finestre. Il cielo era di un azzurro così luminoso che sembrava smaltato.

«Ci sarà da cuocere nell’aula della Cooman, quella non spegne mai il fuoco» disse Ron, mentre salivano la scala che portava alla scaletta argentata e alla botola.

Aveva ragione. Nella stanza pervasa da una luce fioca c’era un caldo soffocante. Gli effluvi del fuoco profumato erano più grevi che mai. Harry si sentì stordito mentre si avvicinava a una delle finestre schermate da tende. Mentre la professoressa Cooman guardava dall’altra parte, intenta a sbrogliare lo scialle da una lampada, l’aprì di qualche centimetro e si risistemò nella poltrona foderata di chintz, in modo che un venticello leggero gli accarezzasse il viso. Era decisamente piacevole.

«Miei cari» esordì la professoressa Cooman, seduta in una profonda poltrona di fronte alla classe, scrutando i ragazzi uno per uno con gli occhi stranamente ingranditi dalle lenti, «abbiamo quasi finito il nostro lavoro sulla divinazione planetaria. Oggi, comunque, ci si presenta un’ottima occasione per osservare gli effetti di Marte, perché in questo momento si trova in una posizione assolutamente interessante. Se volete guardare da questa parte, spegnerò le luci…»

Agitò la bacchetta e le lampade si spensero. Il fuoco rimase l’unica fonte di luce. La professoressa Cooman si chinò e prese da sotto la sedia un modellino in miniatura del sistema solare rinchiuso sotto una cupola di vetro. Era un oggetto molto bello; ciascuna delle lune scintillava dolcemente al suo posto attorno ai nove pianeti e al sole che brillava forte, e ciascun globo galleggiava a mezz’aria sotto il vetro. Harry guardò pigramente mentre la professoressa Cooman cominciava a indicare l’angolo affascinante che Marte formava con Nettuno. Vapori dal greve profumo gli aleggiavano addosso, e l’arietta che entrava dalla finestra gli giocherellava sul viso. Udì il morbido ronzio di un insetto da qualche parte dietro la finestra. Le palpebre gli si fecero pesanti…

Cavalcava un gufo reale, e insieme planavano nel cielo azzurro chiaro verso una vecchia casa ricoperta d’edera aggrappata sul fianco di una collina. Volavano sempre più in basso, e il vento soffiava piacevole sul viso di Harry, finché non raggiunsero un’oscura finestra rotta al piano di sopra della casa, ed entrarono. Ora sfrecciavano lungo un corridoio buio, verso una porta alla fine… la varcarono ed entrarono in una stanza dalle finestre chiuse con tavole di legno…

Harry scese dal dorso del gufo… lo guardò svolazzare attraverso la stanza e posarsi su una poltrona voltata verso il fuoco… c’erano due forme scure sul pavimento davanti alla poltrona… entrambe si agitavano…

Uno era un serpente enorme… l’altro era un uomo… un uomo basso, quasi calvo, un uomo con gli occhi acquosi e il naso appuntito… ansimava e singhiozzava sul tappetino davanti al camino…

«Sei fortunato, Codaliscia» una voce fredda e acuta si levò dalla poltrona su cui era atterrato il gufo. «Hai davvero molta fortuna. Il pasticcio che hai combinato non ha rovinato tutto. È morto».

«Mio signore!» esclamò l’uomo sul pavimento, senza fiato. «Mio signore, sono… sono così contento… e mi dispiace tanto…»

«Nagini» disse la voce fredda, «tu sei sfortunata. Non ti darò in pasto Codaliscia, dopotutto… ma non preoccuparti, non preoccuparti… c’è sempre Harry Potter…»

Il serpente sibilò. Harry vide la sua lingua saettare.

«Ora, Codaliscia» disse la voce fredda, «forse è il caso di ricordarti perché non ho intenzione di tollerare che tu combini un altro guaio…»

«Mio Signore… no… vi supplico…»

Dalla poltrona emerse la punta di una bacchetta. Era puntata contro Codaliscia. «Crucio» disse la voce gelida.

Codaliscia urlò, urlò come se ogni nervo che aveva in corpo fosse in preda alle fiamme, e le urla riempirono le orecchie di Harry mentre la cicatrice che aveva sulla fronte gli bruciava insopportabilmente; anche lui si ritrovò a urlare… Voldemort l’avrebbe sentito, avrebbe scoperto che era lì…

«Harry! Harry!»

Harry aprì gli occhi. Era disteso sul pavimento della stanza della professoressa Cooman, con le mani sulla faccia. La cicatrice gli bruciava ancora così forte che gli lacrimavano gli occhi. Il dolore era vero. Tutta la classe era in piedi attorno a lui, e Ron era inginocchiato al suo fianco, terrorizzato.

«Ti senti bene?» disse.

«Certo che no!» esclamò la professoressa Cooman, profondamente agitata. I suoi enormi occhi indugiarono su Harry, scrutandolo. «Che cos’è stato, Potter? Una premonizione? Un’apparizione? Che cos’hai visto?»

«Nulla» mentì Harry. Si alzò a sedere. Si accorse di tremare violentemente. Non riuscì a impedirsi di guardare attorno, nel fitto delle ombre alle sue spalle; la voce di Voldemort era sembrata così vicina…

«Ti stavi toccando la cicatrice!» esclamò la professoressa Cooman. «Ti sei rotolato per terra, toccandoti la cicatrice! Andiamo, Potter, ho una certa esperienza in materia!»

Harry alzò gli occhi verso di lei.

«Devo andare in infermeria, credo» disse. «Ho un brutto mal di testa».

«Mio caro, senz’alcun dubbio sei stato sollecitato dalle eccezionali vibrazioni chiaroveggenti della mia aula!» disse la professoressa Cooman. «Se adesso te ne vai, potresti perdere l’occasione di vedere più lontano di quanto tu non abbia mai…»

«Non voglio vedere altro che una medicina per il mal di testa» disse Harry.

Si alzò. I compagni indietreggiarono. Sembravano tutti nervosi.

«A dopo» sussurrò Harry a Ron, poi prese la borsa e si diresse alla botola, ignorando la professoressa Cooman che ostentava un’aria profondamente delusa, come se le fosse appena stato negato un grosso regalo.

Quando Harry fu ai piedi della scala a pioli, comunque, non si diresse verso l’infermeria. Non aveva alcuna intenzione di andarci. Sirius gli aveva detto che fare se la cicatrice gli avesse fatto di nuovo male, e Harry avrebbe seguito il suo consiglio: stava andando difilato nell’ufficio del Preside. Percorse i corridoi pensando a ciò che aveva visto nel sogno… era reale quanto quello che lo aveva svegliato di soprassalto a Privet Drive… ripassò i particolari nella mente, cercando di ricordarli… aveva sentito Voldemort accusare Codaliscia di aver combinato un pasticcio… ma il gufo aveva portato buone notizie, il guaio era stato rimediato, qualcuno era morto… quindi Codaliscia non sarebbe stato dato in pasto al serpente… questa sorte sarebbe toccata a lui, Harry…

Harry aveva oltrepassato senza accorgersene il gargoyle di pietra che sorvegliava l’ingresso dell’ufficio di Silente. Sbatté le palpebre, si guardò attorno, capì che cos’aveva fatto e tornò sui suoi passi per fermarsi davanti alla statua. Poi gli venne in mente che non sapeva la parola d’ordine.

«Sorbetto al limone?» disse esitante.

Il gargoyle non si mosse.

«OK» disse Harry, squadrandolo. «Goccia di pera. Ehm… Bacchetta di liquirizia. Ape Frizzola. SuperPallaGomma di Drooble. Gelatine Tuttigusti+1… oh no, non gli piacciono, vero? Oh insomma, apriti, no?» sbottò. «Devo assolutamente vederlo, è urgente!»

Il gargoyle rimase immobile.

Harry gli sferrò un calcio, con l’unico risultato di farsi un male tremendo all’alluce.

«Cioccorana!» urlò furioso, saltellando su un piede solo. «Piuma di zucchero! Scarafaggi a Grappolo!»

Il gargoyle prese vita e balzò da un lato. Harry strizzò gli occhi.

«Scarafaggi a Grappolo?» disse, stupefatto. «Stavo solo scherzando…»

Si affrettò a varcare l’apertura e salì il primo gradino di una scala a chiocciola di pietra, che si avvolse lentamente verso l’alto mentre le porte si chiudevano alle sue spalle e lo portò fino a una porta di quercia lucida con un battente di ottone.

Udì delle voci all’interno dell’ufficio. Scese dalla scala mobile ed esitò, tendendo le orecchie.

«Silente, mi spiace ma non vedo il nesso, non lo vedo proprio!» Era la voce del Ministro della Magia, Cornelius Caramell. «Ludo sostiene che Bertha è perfettamente in grado di perdersi. Sono d’accordo, ormai avremmo dovuto trovarla, ma comunque non abbiamo alcuna prova che sia stato commesso un delitto, Silente, assolutamente no. E nemmeno che la sua scomparsa sia legata a quella di Barty Crouch!»

«E cosa crede che sia successo a Barty Crouch, Ministro?» disse la voce ringhiosa di Moody.

«Vedo due possibilità, Alastor» rispose Caramell. «O Crouch alla fine è crollato — è più che probabile, sono sicuro che lei la pensa come me, vista la sua storia personale — ha perso la testa e ora sta vagando chissà dove…»

«Vaga con estrema rapidità, se è questo che è successo, Cornelius» commentò Silente con tranquillità.

«Oppure… be’…» Caramell sembrava imbarazzato. «Be’, mi astengo dal giudizio finché non avrò visto il luogo in cui l’hanno incontrato, ma… lei dice che era subito dopo la carrozza di Beauxbatons? Silente, lo sa che cos’è quella donna?»

«Io la ritengo una Preside molto capace… e un’ottima ballerina» disse Silente piano.

«Silente, andiamo!» esclamò Caramell infuriato. «Non crede di essere parziale nei suoi confronti a causa di Hagrid? Non si rivelano tutti innocui — sempre che Hagrid si possa definire innocuo, con quella sua mania per i mostri…»

«Non sospetto di Madame Maxime più che di Hagrid» disse Silente, con la medesima calma. «Ritengo possibile che sia lei ad essere prevenuto, Cornelius».

«Possiamo chiudere questa discussione?» ringhiò Moody.

«Sì, sì, andiamo giù nel parco, allora» disse Caramell impaziente.

«No, non è per questo» disse Moody, «è solo che Potter vuole parlarle, Silente. È fuori dalla porta».

CAPITOLO 30

IL PENSATOIO

La porta dell’ufficio si aprì.

«Salute, Potter» disse Moody. «Entra, allora».

Harry entrò. Era già stato una volta nell’ufficio di Silente; era una camera circolare, molto bella, tappezzata di ritratti di Presidi di Hogwarts del passato, tutti immersi in un sonno profondo, il petto che si alzava e si abbassava dolcemente.

Cornelius Caramell era in piedi accanto alla scrivania di Silente, col suo solito mantello gessato e la bombetta verde acido in mano.

«Harry!» esclamò cordiale, facendo un passo avanti. «Come stai?»

«Bene» mentì Harry.

«Stavamo parlando della notte in cui il signor Crouch è apparso nel parco» disse Caramell. «Sei stato tu a trovarlo, vero’?»

«Sì» rispose Harry. Poi, visto che era inutile fingere di non aver origliato la loro conversazione, aggiunse: «Però non ho visto Madame Maxime da nessuna parte, e farebbe fatica a nascondersi, no?»

Alle spalle di Caramell, Silente sorrise a Harry, gli occhi scintillanti.

«Sì, be’» rispose Caramell, imbarazzato, «stiamo per andare a fare una passeggiata nel parco, Harry, se non ti dispiace… forse se torni in classe…»

«Volevo parlare con lei, professore» disse Harry rapido a Silente, che gli scoccò uno sguardo indagatore.

«Aspettami, Harry» disse. «Il nostro sopralluogo nel parco non durerà a lungo».

Uscirono in drappello, silenziosi, e chiusero la porta. Dopo un minuto circa, Harry udì i tonfi della gamba di legno di Moody diventare più deboli nel corridoio di sotto. Si guardò intorno.

«Ciao, Fanny» disse.

Fanny, la fenice del professor Silente, era appollaiata sul trespolo d’oro accanto alla porta. Grande come un cigno, coperta di splendide piume scarlatte e dorate, agitò la lunga coda e strizzò gli occhi in uno sguardo benevolo.

Harry si sedette davanti alla scrivania di Silente. Per parecchi minuti rimase a guardare i vecchi Presidi russare nelle cornici, riflettendo su quanto aveva appena udito, e strofinandosi la cicatrice. Aveva smesso di fargli male.

Si sentiva molto più tranquillo ora che si trovava nell’ufficio di Silente, sapendo che di lì a poco gli avrebbe raccontato il suo sogno. Guardò la parete dietro la scrivania. Il Cappello Parlante, rattoppato e strappato, si trovava su una mensola. Una bacheca di vetro lì accanto racchiudeva una splendida spada d’argento, con grossi rubini incastonati nell’elsa, e Harry la riconobbe: era quella che aveva estratto dal Cappello Parlante al secondo anno. La spada era appartenuta a Godric Grifondoro, fondatore della Casa di Harry. La fissò, ricordando come era venuta in suo aiuto quando ormai credeva che ogni speranza fosse perduta, e fu allora che notò una macchia di luce argentata danzare e vibrare sulla teca di vetro. Si volse a cercarne la fonte, e vide una lama di luce di un biancore argenteo scintillare da un armadio nero alle sue spalle: lo sportello non era stato chiuso bene. Harry esitò, lanciò un’occhiata a Fanny, poi si alzò, attraversò l’ufficio e aprì lo sportello dell’armadio.

Dentro c’era un basso bacile di pietra, con strane figure incise sul bordo; rune e simboli che Harry non riconobbe. La luce d’argento emanava dal contenuto del bacile, che non somigliava a nulla che Harry avesse mai visto prima. Non riuscì a capire se la sostanza fosse liquida o gassosa. Era di un colore argento luminoso e biancastro, e si muoveva incessantemente; la superficie s’increspò come acqua accarezzata dal vento, e poi, simile alle nuvole in cielo, si separò e vorticò dolcemente. Sembrava luce liquida — o vento solido; Harry non riuscì a capirlo.

Voleva toccarla, scoprire com’era al tatto, ma quasi quattro anni di esperienza del mondo magico gli suggerivano che infilare la mano in una ciotola piena di una sostanza sconosciuta era una cosa molto stupida da fare. Quindi estrasse la bacchetta, gettò un’occhiata nervosa intorno, guardò di nuovo il contenuto del bacile e lo tentò con la punta. La superficie della cosa argentea prese a vorticare molto in fretta.

Harry si avvicinò; ormai aveva la testa dentro l’armadio. La sostanza argentea era diventata trasparente; sembrava vetro. Vi guardò dentro, aspettandosi di vedere il fondo di pietra del bacile, e invece vide un’enorme sala, una sala che gli parve di guardare da una finestra rotonda nel soffitto.

Una luce fioca illuminava l’ambiente; poteva trovarsi sottoterra, perché non c’erano finestre, solo torce sorrette da bracci come quelle che illuminavano le sale di Hogwarts. Abbassando il viso fin quasi a sfiorare col naso la sostanza vetrosa, Harry vide file e file di maghi e streghe seduti lungo tutte le pareti, sopra quelle che sembravano panche disposte a diverse altezze. Nel centro della stanza troneggiava una sedia vuota. Aveva un aspetto vagamente sinistro. Dai braccioli pendevano delle catene.

Dov’era quel luogo? Certo non a Hogwarts; non aveva mai visto una sala del genere nel castello. Per di più, la folla nella sala misteriosa in fondo al bacile era formata da adulti, e Harry sapeva che non ce n’erano così tanti a Hogwarts. Pareva che stessero aspettando qualcosa; anche se vedeva solo le punte dei loro cappelli, sembrava che fossero tutti rivolti nella stessa direzione, e non parlavano tra loro.

Dal momento che il bacile era circolare e la sala che stava osservando quadrata, Harry non riusci a vedere che cosa succedeva negli angoli. Si chinò ancora di più, cercando di vedere…

Poi la punta del suo naso toccò la superficie vetrosa.

L’ufficio di Silente sussultò con violenza: Harry fu scagliato in avanti e precipitò a testa in giù dentro il bacile…

Ma non urtò contro il fondo di pietra. Stava cadendo dentro qualcosa di gelido e nero; era come essere risucchiati in un gorgo oscuro…

E all’improvviso si ritrovò seduto su una panca in fondo alla sala dentro il bacile, una panca più in alto delle altre. Guardò verso l’alto soffitto di pietra, aspettandosi di vedere la finestra circolare dalla quale aveva appena osservato la scena, ma lassù non c’era altro che scura, solida pietra.

Respirando affannosamente, Harry si guardò attorno. Non uno dei maghi, non una delle streghe presenti (e ce n’erano almeno duecento) lo stava guardando. Nessuno pareva essersi accorto che un ragazzo di quattordici anni era appena piovuto tra loro dal soffitto. Harry si voltò verso il mago che sedeva accanto a lui e gettò un alto grido di sorpresa che echeggiò nella sala silenziosa.

Era seduto al fianco di Albus Silente.

«Professore!» sussurrò affannosamente. «Mi dispiace… non volevo… stavo solo guardando il bacile nell’armadio… io… dove siamo?»

Ma Silente non si mosse né parlò. Ignorò del tutto Harry. Come ogni altro mago sulle panche, fissava l’angolo più remoto della sala, dove si apriva una porta.

Interdetto, Harry guardò Silente, poi la folla in silenziosa attesa, poi di nuovo Silente. E poi cominciò a capire…

Gli era già successo di trovarsi in un posto dove nessuno poteva vederlo o sentirlo. Quella volta era caduto dentro una pagina di un diario stregato, diritto nella memoria di un altro… e a meno che non si sbagliasse di grosso, era successa di nuovo una cosa del genere…

Harry alzò la mano destra, esitò, poi la sventolò con foga davanti al volto di Silente. Quest’ultimo non batté ciglio, non si volse verso Harry, non si mosse affatto. E ciò, per Harry, sistemava la faccenda: Silente non lo avrebbe ignorato così. Si trovava dentro un ricordo, e quello non era il Silente di oggi. Eppure non poteva essere passato molto tempo… il Silente seduto accanto a lui in quel momento aveva i capelli d’argento, proprio come il Silente di oggi. Ma che cos’era quel posto? Che cosa aspettavano tutti quei maghi?

Harry si guardò attorno più attentamente. La sala, come aveva sospettato osservandola dall’alto, era quasi certamente sottoterra: una segreta, pensò. Vi aleggiava un’atmosfera cupa e inquietante: non c’erano quadri alle pareti, solo quelle file serrate di panche che si alzavano in ranghi, tutte disposte in modo da godere di una vista indisturbata su quella sedia con le catene sui braccioli.

Prima che Harry potesse giungere a qualche conclusione, udì dei passi. La porta nell’angolo della segreta si aprì, ed entrarono tre persone: o meglio, un uomo, scortato da due Dissennatori.

Harry si sentì gelare. I Dissennatori, alte creature incappucciate dai volti nascosti, scivolarono lentamente verso la sedia al centro della sala, le mani putrefatte attorno alle braccia del prigioniero, che sembrava sul punto di svenire. Harry lo capiva: ricordava perfettamente il potere dei Dissennatori, benché ora non potessero toccarlo, dentro la memoria di un altro. La folla in attesa si ritrasse mentre i Dissennatori spingevano l’uomo sulla sedia e uscivano silenziosamente dalla sala. La porta si chiuse alle loro spalle.

Harry guardò l’uomo seduto: era Karkaroff.

A differenza di Silente, sembrava molto più giovane; i capelli e il pizzetto erano neri. Non indossava soffici pellicce, ma un abito leggero e strappato. Era scosso dai brividi. Sotto gli occhi di Harry, le catene sui braccioli della sedia scintillarono d’oro all’improvviso e strisciarono lungo le sue braccia, avviluppandolo.

«Igor Karkaroff» disse una voce asciutta alla sinistra di Harry. Lui si voltò, e vide il signor Crouch in piedi al centro della panca al suo fianco. Aveva i capelli scuri, il volto molto meno segnato e sembrava sano e vigile. «Sei stato portato da Azkaban per deporre davanti al Ministero della Magia. Ci hai lasciato capire di avere delle informazioni importanti per noi».

Karkaroff si raddrizzò meglio che poteva, legato com’era.

«È così, signore» disse, e anche se il suo tono di voce era molto spaventato, Harry vi riconobbe la familiare nota melliflua. «Desidero rendermi utile al Ministero. Desidero collaborare. Io… io so che il Ministero sta cercando di… di isolare gli ultimi sostenitori del Signore Oscuro. Sono disposto a collaborare come posso…»

Tra le panche si diffuse un mormorio. Alcuni maghi e streghe osservavano Karkaroff con interesse, altri con esplicita diffidenza. Poi Harry udì distintamente una voce ben nota ringhiare una parola dall’altro lato di Silente: «Feccia».

Harry si protese in avanti. Accanto a Silente c’era Malocchio Moody — un Malocchio molto diverso dal solito. Non aveva l’occhio magico, ma due occhi normali. Entrambi scrutavano Karkaroff, ed entrambi erano stretti in un’espressione di profondo disgusto.

«Crouch lo lascerà andare» sussurrò piano a Silente. «Ha fatto un patto con lui. Ci ho messo sei mesi a scovarlo, e Crouch lo lascerà andare se otterrà nuovi nomi a sufficienza. Sentiamo quello che ha da dire, dico io, e poi ributtiamolo subito in pasto ai Dissennatori».

Silente emise un piccolo sbuffo di dissenso dal lungo naso adunco.

«Ah, dimenticavo… a te non piacciono i Dissennatori, vero, Albus?» disse Moody con un sorriso sardonico.

«No» rispose tranquillamente Silente. «Temo di no. Da tempo ritengo che il Ministero sbagli ad allearsi con creature del genere».

«Ma per feccia come questa…» disse piano Moody.

«Sostieni di essere in grado di fare dei nomi, Karkaroff» riprese Crouch. «Sentiamoli, allora».

«Dovete capire» disse in fretta Karkaroff «che Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ha sempre agito con la massima segretezza… preferiva che noi — voglio dire, i suoi sostenitori — e io ora mi rammarico profondamente di essere stato uno di loro…»

«Vai avanti» sogghignò Moody.

«… che non conoscessimo mai i nomi di tutti i nostri compagni… solo lui sapeva esattamente chi eravamo…»

«Saggia mossa davvero, visto che ha impedito a uno come te, Karkaroff, di denunciarli tutti» borbottò Moody.

«Eppure tu dici di conoscerli?» disse il signor Crouch.

«Io… io sì» disse Karkaroff senza fiato. «Ed erano sostenitori importanti, badate. Li ho visti eseguire i suoi ordini con i miei occhi. Vi fornisco queste informazioni come prova della mia totale e piena rinuncia a lui, e sono pervaso da un rimorso così profondo che riesco a stento…»

«Allora, questi nomi?» esclamò secco il signor Crouch.

Karkaroff trasse un profondo respiro.

«C’era Antonin Dolohov» disse. «Io… io l’ho visto torturare innumerevoli Babbani e… e non-sostenitori del Signore Oscuro».

«E gli hai dato man forte» mormorò Moody.

«Abbiamo già arrestato Dolohov» disse Crouch. «È stato catturato poco dopo di te».

«Davvero?» disse Karkaroff, con gli occhi che gli si dilatavano. «Io… io sono lieto di saperlo!»

Ma non lo sembrava affatto. Harry capì che la notizia era stata un grave colpo per lui. Uno dei suoi nomi non valeva nulla.

«Altri nomi?» chiese Crouch con freddezza.

«Be’, sì… c’era Rosier» disse Karkaroff in fretta. «Evan Rosier».

«Rosier è morto» rispose Crouch. «Anche lui è stato acciuffato poco dopo di te. Ha preferito combattere invece di seguirci, ed è stato ucciso durante lo scontro».

«Ma si è portato via un mio pezzo» sussurrò Moody. Harry si voltò di nuovo verso di lui e lo vide indicare a Silente il grosso pezzo mancante di naso.

«Nessuno… nessuno se l’è meritato più di Rosier!» esclamò Karkaroff, una nota di autentico panico nella voce: cominciava a temere che nessuna delle sue informazioni sarebbe stata di alcuna utilità al Ministero. Gli occhi di Karkaroff saettarono verso la porta nell’angolo, dietro la quale certo incombevano ancora i Dissennatori, in attesa.

«Altro?» disse Crouch.

«Si!» esclamò Karkaroff. «C’era Travers… è stato complice dell’assassinio dei McKinnon! Mulciber… si era specializzato nella Maledizione Imperius, ha costretto tantissime persone a fare cose orribili! Rookwood, che era una spia, e passava a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato informazioni utili dall’interno del Ministero!»

Stavolta Karkaroff aveva fatto centro. Un mormorio corse tra la folla.

«Rookwood?» chiese Crouch, facendo un cenno a una strega seduta davanti a lui che prese a scrivere in fretta su un rotolo di pergamena. «Augustus Rookwood del Dipartimento dei Misteri?»

«Proprio lui» disse Karkaroff con impazienza. «Credo che usasse una rete di maghi in posizioni strategiche, sia dentro il Ministero che fuori, per raccogliere informazioni…»

«Ma Travers e Mulciber li abbiamo già presi» disse Crouch. «Molto bene, Karkaroff, se questo è tutto, verrai ricondotto ad Azkaban mentre decidiamo…»

«Non ancora!» urlò Karkaroff, disperato. «Aspettate, ne ho altri!»

Harry lo vide sudare alla luce delle torce, la pelle candida che faceva un netto contrasto con la barba e i capelli neri.

«Piton!» gridò. «Severus Piton!»

«Piton è stato assolto da questo tribunale» disse Crouch in tono gelido. «Albus Silente si è fatto garante per lui».

«No!» urlò Karkaroff, tendendo le catene che lo legavano alla sedia. «Ve lo assicuro! Severus Piton è un Mangiamorte!»

Silente si alzò. «Ho già deposto a questo proposito» disse chiaramente. «Severus Piton è stato un Mangiamorte, è vero. Però è tornato dalla nostra parte prima della caduta di Voldemort e ha fatto la spia per noi, a suo rischio e pericolo. Ora non è un Mangiamorte più di quanto lo sia io».

Harry guardò Malocchio Moody. La sua espressione alle spalle di Silente era di profondo scetticismo.

«Molto bene. Karkaroff» concluse Crouch freddamente, «sei stato d’aiuto. Riesaminerò il tuo caso. Nel frattempo farai ritorno ad Azkaban…»

La voce di Crouch si fece remota. Harry si guardò intorno; la segreta si stava dissolvendo come se fosse fatta di fumo; tutto sbiadiva, riusciva a distinguere solo il proprio corpo, tutto il resto era oscurità vorticante…

E poi la segreta riapparve. Harry era seduto in un altro posto; sempre sulla panca più in alto, ma questa volta alla sinistra di Crouch. L’atmosfera sembrava diversa; rilassata, perfino allegra. I maghi e le streghe tutto attorno parlavano tra loro, quasi fossero a un incontro sportivo. Una strega a metà della fila di panche di fronte attrasse l’attenzione di Harry. Aveva corti capelli biondi, era vestita di cremisi e succhiava la punta di una penna verde acido. Era un’inconfondibile Rita Skeeter più giovane. Harry si guardò intorno; Silente era seduto di nuovo accanto a lui. con una veste diversa. Il signor Crouch sembrava più stanco e in certo modo più feroce, più emaciato… Harry capì. Era un altro ricordo, un altro giorno… un altro processo.

La porta nell’angolo si aprì, ed entrò Ludo Bagman.

Non era un Ludo Bagman sciupato, ma un Ludo Bagman giocatore di Quidditch, chiaramente al massimo della forma. Non aveva il naso rotto; era alto, atletico e muscoloso. Sembrava nervoso quando prese posto nella sedia incatenata, ma questa non lo legò come aveva legato Karkaroff, e Bagman, forse rincuorato, volse lo sguardo sulla folla che lo osservava, salutò con la mano un paio di conoscenti e tentò un sorrisetto.

«Ludovic Bagman, sei stato condotto qui al cospetto del Tribunale della Legge Magica per rispondere di accuse connesse alle attività dei Mangiamorte» disse Crouch. «Abbiamo ascoltato le testimonianze contro di te, e stiamo per raggiungere un verdetto. Hai qualcosa da aggiungere alla tua deposizione prima che la sentenza venga emessa?»

Harry non credeva alle sue orecchie. Ludo Bagman un Mangiamorte?

«Solo…» disse Bagman con un sorriso imbarazzato, «be’… lo so che sono stato un bell’idiota…»

Alcuni maghi e streghe nei posti circostanti sorrisero con indulgenza. Crouch non parve condividere i loro sentimenti. Fissava Ludo Bagman con un’espressione di massima severità e profondo disgusto.

«Non hai mai detto niente di più vero, ragazzo» borbottò seccamente qualcuno a Silente dietro le spalle di Harry. Lui si voltò e vide di nuovo Moody. «Se non sapessi che è sempre stato un po’ tardo, avrei detto che quei Bolidi gli hanno provocato danni permanenti al cervello…»

«Ludovic Bagman, sei stato sorpreso a trasmettere informazioni ai sostenitori di Voldemort» disse Crouch. «Per questo io chiedo la condanna ad Azkaban per un periodo non inferiore a…»

Ma dalle panche circostanti si levò un clamore rabbioso. Parecchi maghi e streghe si alzarono scuotendo la testa e levando i pugni contro Crouch.

«Ma ve l’ho detto, non ne sapevo nulla!» gridò Bagman in tono convinto sovrastando il brusio della folla, gli occhi azzurri sgranati. «Nulla di nulla! Il vecchio Rookwood era un amico di mio padre… non mi è mai passato per la mente che fosse un alleato di Voi-Sapete-Chi! Credevo di raccogliere informazioni per il nostro partito! E Rookwood continuava a ripetere che più in là mi avrebbe procurato un incarico al Ministero… quando la mia stagione del Quidditch sarà finita, sapete… voglio dire, non posso continuare a farmi bersagliare da Bolidi per il resto dei miei giorni, no?»

Risatine dalla folla.

«Verrà messo ai voti» disse gelido Crouch. Si voltò verso i ranghi sulla destra. «La giuria è pregata di alzare la mano… chi è a favore della detenzione…»

Nessuno alzò la mano. Molti maghi e streghe cominciarono ad applaudire. Una delle streghe della giuria si alzò.

«Sì?» abbaiò Crouch.

«Vogliamo solo complimentarci con il signor Bagman per la sua magnifica prova a favore dell’Inghilterra nell’incontro di Quidditch contro la Turchia di sabato scorso» disse la strega, tutto d’un fiato.

Crouch era furente. La segreta ora risuonava di applausi. Bagman si alzò e s’inchinò, con un gran sorriso.

«Ignominioso» sbottò Crouch a Silente, e si mise a sedere mentre Bagman usciva dalla segreta. «Rookwood trovargli un lavoro, figuriamoci… il giorno in cui Ludo Bagman si unirà a noi sarà un giorno molto triste per il Ministero…»

E la segreta scomparve di nuovo. Quando riapparve, Harry si guardò intorno. Lui e Silente erano ancora seduti accanto a Crouch, ma l’atmosfera non avrebbe potuto essere più diversa. C’era un silenzio assoluto, rotto solo dai singhiozzi senza lacrime di una fragile strega mingherlina al fianco di Crouch. Stringeva con mani tremanti un fazzoletto vicino alla bocca. Harry guardò Crouch e vide che era più magro e grigio che mai. Sulla tempia gli si contraeva un nervo.

«Fateli entrare» disse, e la sua voce echeggiò nella segreta silenziosa. La porta nell’angolo si aprì ancora una volta. Questa volta entrarono sei Dissennatori, scortando un gruppo di quattro persone. Harry vide che molti tra il pubblico si voltavano a guardare Crouch. Alcuni si scambiarono sussurri.

Le sedie incatenanti stavolta erano quattro. I Dissennatori vi spinsero i prigionieri: c’era un uomo grosso che fissò Crouch con occhi vacui, un uomo più magro e nervoso i cui occhi si spostavano rapidi tra il pubblico, una donna con una folta, scura chioma lucente e le palpebre semichiuse, seduta sulla sedia con le catene come una regina su un trono, e un ragazzo sui vent’anni, che sembrava nientemeno che pietrificato. Tremava, i capelli color paglia gli ricadevano sul viso, la pelle lentigginosa era di un bianco latteo. La piccola strega accanto a Crouch cominciò a dondolarsi avanti e indietro, singhiozzando dentro il fazzoletto.

Crouch si alzò e guardò i quattro con un’espressione di odio allo stato puro.

«Siete stati condotti di fronte al Tribunale della Legge Magica» disse con voce chiara, «perché siate giudicati per un crimine atroce…»

«Padre» disse il ragazzo dai capelli color paglia. «Padre… ti prego…»

«… del quale raramente abbiamo udito il pari in questa corte» Crouch alzò la voce, sovrastando quella del figlio. «Abbiamo ascoltato le testimonianze contro di voi. Siete accusati di aver catturato un Auror — Frank Paciock — e di averlo sottoposto a Maledizione Cruciatus, convinti che conoscesse l’attuale dimora del vostro signore in esilio, Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato…»

«Padre, non è vero!» strillò il ragazzo in catene. «Non è vero, lo giuro, padre, non rimandarmi dai Dissennatori…»

«Siete inoltre accusati» tuonò Crouch, «di aver usato la Maledizione Cruciatus contro la moglie di Frank Paciock, quando egli non vi ha dato le informazioni richieste. Avete progettato di restaurare il dominio di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, e di tornare alla vita di violenza che probabilmente avete condotto quando era potente. Io ora chiedo alla giuria…»

«Madre!» urlò il ragazzo, e la piccola strega accanto a Crouch singhiozzò più forte, dondolandosi avanti e indietro. «Madre, fermalo, madre, non ho fatto niente, non sono stato io!»

«Io ora chiedo alla giuria» gridò Crouch, «di alzare la mano se è convinta, come me, che questi crimini meritino una condanna a vita ad Azkaban!»

Tutti insieme, maghi e streghe dell’ala destra della segreta alzarono la mano. La folla disposta lungo le pareti scoppiò in un applauso come aveva fatto per Bagman, i volti pervasi di selvaggio trionfo. Il ragazzo prese a urlare.

«No! Madre, no! Non ho fatto niente, non ho fatto niente, non sapevo! Non lasciare che mi mandi laggiù, non lasciarglielo fare!»

I Dissennatori rientrarono scivolando. I tre compagni del ragazzo si alzarono in silenzio; la donna dalle palpebre pesanti guardò Crouch e gridò: «Il Signore Oscuro risorgerà, Crouch! Gettaci pure ad Azkaban, noi aspetteremo! Risorgerà e verrà a cercarci, e ricompenserà noi più di ogni altro suo seguace! Solo noi siamo fedeli! Solo noi abbiamo cercato di trovarlo!»

Ma il ragazzo cercò di respingere i Dissennatori, anche se Harry vide che già cedeva al loro freddo potere divorante. La folla lanciava grida di scherno, alcuni in piedi, mentre la donna veniva portata fuori dalla sala, e il ragazzo continuava a divincolarsi.

«Sono tuo figlio!» urlò a Crouch. «Sono tuo figlio!»

«Tu non sei affatto mio figlio!» tuonò Crouch, gli occhi all’improvviso fuori dalle orbite. «Io non ho figli!»

La strega ossuta accanto a lui trattenne il fiato e si accasciò. Era svenuta. Crouch non parve accorgersene.

«Portateli via!» ruggì ai Dissennatori, sputando saliva. «Portateli via, e che possano marcire laggiù!»

«Padre! Padre, io non c’entro! No! No! Padre, ti prego!»

«Harry, credo che sia ora di tornare nel mio ufficio» disse una voce tranquilla all’orecchio di Harry.

Harry sobbalzò. Diede un’occhiata attorno. Poi di lato.

Alla sua destra c’era un Albus Silente che guardava portar via dai Dissennatori il figlio di Crouch — e c’era un Albus Silente alla sua sinistra, che guardava lui.

«Vieni» disse il Silente alla sua sinistra, e lo prese per il gomito. Harry si sentì sollevare a mezz’aria; la segreta si dissolse attorno a lui; per un attimo tutto fu scuro, e poi gli parve di aver fatto una capriola al rallentatore; d’improvviso atterrò in piedi, in quella che sembrava la luce accecante dell’ufficio di Silente inondato di sole. Il bacile di pietra scintillava nell’armadio accanto a lui, e Albus Silente era in piedi al suo fianco.

«Professore» boccheggiò Harry. «Lo so che non avrei dovuto… non volevo… la porta dell’armadio era aperta e…»

«Capisco» disse Silente. Prese il bacile, lo portò alla sua scrivania e si sedette. Fece cenno a Harry di sedersi di fronte a lui.

Harry obbedì, fissando il bacile di pietra. Il suo contenuto era tornato allo stato originario, di un bianco argenteo, e vorticava e s’increspava sotto il suo sguardo.

«Che cos’è?» chiese Harry con voce incrinata.

«Questo? Si chiama Pensatoio» rispose Silente. «A volte, e sono certo che conosci questa sensazione, ho l’impressione di avere semplicemente troppi pensieri e troppi ricordi stipati nella mente».

«Ehm…» rispose Harry, che in tutta sincerità non poteva dire di aver mai provato niente del genere.

«Quando mi capita» proseguì Silente «uso il Pensatoio. Basta travasare i pensieri in eccesso dalla propria mente, versarli nel bacile e esaminarli a piacere. Diventa più facile riconoscere trame e collegamenti, sai, quando assumono questa forma».

«Vorrebbe dire… che quelle cose sono i suoi pensieri?» chiese Harry, scrutando la sostanza bianca che vorticava nel bacile.

«Certo» disse Silente. «Ora ti faccio vedere».

Estrasse la bacchetta e infilò la punta tra i propri capelli d’argento, vicino alla tempia. Quando la tolse, parve che dei capelli vi restassero attaccati; ma Harry si accorse che si trattava di una striscia scintillante della stessa strana sostanza bianco-argentea che riempiva il Pensatoio. Silente aggiunse quel pensiero fresco agli altri, e Harry, esterrefatto, vide il proprio volto galleggiare nel bacile.

Silente pose le lunghe mani sui lati del Pensatoio e lo fece ruotare, come un cercatore d’oro che setaccia la sabbia per scoprire frammenti del prezioso metallo… e Harry vide il proprio volto trasformarsi gradualmente in quello di Piton, che aprì la bocca e parlò al soffitto, mentre la sua voce echeggiava appena. «Sta tornando… anche quello di Karkaroff… più forte e nitido che mai…»

«Un collegamento che avrei potuto fare anche da solo» sospirò Silente, «ma non importa». Sbirciò Harry al di sopra degli occhiali a mezzaluna; il ragazzo guardava a bocca aperta il viso di Piton, che continuava a roteare. «Stavo usando il Pensatoio quando Caramell è venuto all’appuntamento, e l’ho riposto in gran fretta. È indubbio che non ho chiuso bene lo sportello dell’armadio. Era naturale che attirasse la tua attenzione».

«Mi dispiace» borbottò Harry.

Silente scosse il capo.

«La curiosità non è un peccato» disse. «Ma dovremmo andarci cauti, con la curiosità… sì, davvero…»

Lievemente accigliato, con la punta della bacchetta diede un colpetto alla superficie vetrosa. Immediatamente ne emerse una sagoma, una ragazzina robusta e torva sui sedici anni, che prese a girare lentamente, i piedi ancora dentro la sostanza. Non fece alcun caso a Harry o al professor Silente. Quando parlò, la sua voce echeggiò come quella di Piton poco prima, come se provenisse dal profondo del bacile di pietra: «Mi ha scagliato un incantesimo, professor Silente, e io lo stavo solo prendendo in giro, avevo solo detto che l’avevo visto baciare Florence dietro le serre giovedì scorso…»

«Ma perché, Bertha» disse Silente in tono triste, guardando la ragazza che ora girava senza parlare, «perché ti è venuto in mente di seguirlo?»

«Bertha?» sussurrò Harry, senza distogliere gli occhi. «È… era Bertha Jorkins?»

«Sì» rispose Silente, sfiorando i pensieri con la punta della bacchetta; Bertha vi si immerse di nuovo, e quelli tornarono argentei e opachi. «Quella era Bertha come la ricordo a scuola».

La luce che emanava dal Pensatoio riverberò sul viso di Silente, e all’improvviso Harry fu colpito da quanto fosse vecchio. Sapeva, ovvio, che Silente era avanti con gli anni, ma per qualche ragione non pensava mai a lui come a un vecchio.

«Allora, Harry» disse piano il Preside. «Prima di perderti tra i miei pensieri, volevi dirmi qualcosa».

«Sì» rispose Harry. «Professore… poco fa ero a Divinazione, e… ehm… mi sono addormentato».

A quel punto esitò, incerto se aspettarsi un rimprovero, ma Silente si limitò a dire: «Comprensibile, direi. Continua».

«Be’, ho fatto un sogno» riprese Harry. «Ho sognato Voldemort. Stava torturando Codaliscia… lei sa chi è Codaliscia…»

«Lo so» disse prontamente il Preside. «Ti prego, continua».

«Voldemort ha ricevuto una lettera via gufo. Ha detto una cosa tipo “il guaio di Codaliscia è stato rimediato”. Ha detto che qualcuno era morto. Poi ha detto che Codaliscia non sarebbe finito in pasto al serpente — c’era un serpente vicino alla sua poltrona. Ha detto… ha detto che al suo posto gli avrebbe dato in pasto me. Poi ha scagliato la Maledizione Cruciatus su Codaliscia… e la cicatrice ha cominciato a bruciarmi» concluse Harry. «Faceva così male che mi ha svegliato».

Silente si limitò a guardarlo.

«Ehm… è tutto» disse Harry.

«Capisco» disse Silente piano. «Capisco. Ora, la cicatrice ti ha fatto male ancora quest’anno, a parte quella volta che ti ha svegliato la scorsa estate?»

«No, io… come fa a sapere che mi ha svegliato la scorsa estate?» chiese Harry, sbalordito.

«Non sei l’unico corrispondente di Sirius» disse Silente. «Anch’io sono in contatto con lui da quando se n’è andato da Hogwarts l’anno scorso. Sono stato io a suggerirgli che la caverna sul fianco della montagna era il posto più sicuro dove nascondersi».

Silente si alzò e prese a camminare su e giù dietro la scrivania. Ogni tanto si puntava la bacchetta alla tempia, prelevava un altro scintillante pensiero d’argento e lo aggiungeva al Pensatoio. I pensieri là dentro cominciarono a vorticare così in fretta che Harry non riuscì a distinguere nulla; era solo un turbine confuso di colore.

«Professore» mormorò dopo un paio di minuti.

Silente smise di andare avanti e indietro e lo guardò.

«Le mie scuse» disse a voce bassa. Riprese posto alla scrivania.

«Lei… lei sa perché la cicatrice mi fa male?»

Silente guardò intensamente Harry per un istante, poi disse: «Ho una teoria, niente di più… È mia convinzione che la cicatrice ti faccia male sia quando Voldemort si trova vicino a te, sia quando prova un moto d’odio particolarmente violento».

«Ma… perché?»

«Perché tu e lui siete legati dalla maledizione fallita» spiegò Silente. «Quella non è una ferita normale».

«Quindi lei crede… che quel sogno… sia successo davvero?»

«È possibile» disse Silente. «Direi… probabile. Harry… hai visto Voldemort?»

«No» rispose Harry. «Solo lo schienale della sua poltrona. Ma… non ci sarebbe stato niente da vedere, no? Voglio dire, non ha un corpo, vero? Ma… ma allora come faceva a tenere la bacchetta?» aggiunse lentamente.

«Già. come?» mormorò Silente. «Come…»

Per un po’ né Silente né Harry parlarono. Silente guardava fisso attraverso!a stanza; ogni tanto avvicinava la bacchetta alla tempia e aggiungeva un altro lucente pensiero argenteo alla massa fremente contenuta nel Pensatoio.

«Professore» disse Harry alla fine, «crede che stia diventando più forte?»

«Voldemort?» chiese Silente, guardando Harry al di sopra del Pensatoio. Era il tipico sguardo penetrante che Silente gli aveva rivolto in altre occasioni, e che faceva sempre provare a Harry la sensazione che il Preside vedesse attraverso di lui, in un modo impossibile perfino per l’occhio magico di Moody. «Ancora una volta, Harry, posso solo rivelarti i miei sospetti».

Silente sospirò di nuovo, e parve più vecchio e stanco che mai.

«Gli anni dell’ascesa al potere di Voldemort» disse. «furono segnati dalle sparizioni. Bertha Jorkins è scomparsa senza lasciar traccia nell’ultimo luogo in cui si è avuta notizia di Voldemort. Anche Crouch è scomparso… e proprio qui al castello. E c’è stata una terza sparizione, che il Ministero, mi rammarica dirlo, non considera di alcuna importanza, perché riguarda un Babbano. Si chiamava Frank Bryce, viveva nel villaggio in cui è cresciuto il padre di Voldemort, e non è più stato visto dallo scorso agosto. Vedi, io leggo i giornali Babbani, a differenza di gran parte dei miei amici al Ministero».

Silente rivolse a Harry uno sguardo molto serio. «A me queste sparizioni sembrano collegate. Il Ministero non è d’accordo… come forse hai sentito mentre aspettavi fuori dal mio ufficio».

Harry annuì. Tra i due cadde di nuovo il silenzio; ogni tanto Silente si sfilava dei pensieri. Harry sentiva che era ora di andarsene, ma la curiosità lo trattenne sulla sedia.

«Professore» disse di nuovo.

«Sì, Harry?»

«Ehm… posso chiederle… di quel tribunale in cui sono stato… nel Pensatoio?»

«Puoi» rispose Silente con gravità. «Vi ho preso parte molte volte, ma alcuni processi mi tornano in mente più nitidi di altri… soprattutto ora…»

«Sa… sa il processo in cui mi ha trovato? Quello contro il figlio di Crouch? Be’… parlavano dei genitori di Neville?»

Silente lanciò a Harry un’occhiata penetrante.

«Neville non ti ha mai detto perché è cresciuto con sua nonna?» chiese.

Harry scosse la testa, chiedendosi come mai non gli era mai venuto in mente di domandarlo a Neville, in quasi quattro anni che lo conosceva.

«Sì, parlavano dei genitori di Neville» disse Silente. «Suo padre, Frank, era un Auror proprio come il professor Moody. Lui e sua moglie furono torturati per estorcere loro informazioni su dove si trovava Voldemort dopo aver perso i suoi poteri, come hai sentito».

«Quindi sono morti?» chiese Harry molto piano.

«No» rispose Silente, con un’amarezza che Harry non gli aveva mai sentito prima, «sono pazzi. Si trovano tutti e due all’Ospedale di San Mungo per Malattie e Ferite Magiche. Credo che Neville vada a trovarli, con la nonna, durante le vacanze. Loro non lo riconoscono».

Harry rimase lì seduto, impietrito dall’orrore. Non aveva mai saputo… mai, in quattro anni, si era dato la pena di scoprire…

«I Paciock erano molto famosi» riprese Silente. «Furono aggrediti dopo la caduta di Voldemort, quando ormai tutti credevano di essere al sicuro. Ciò che subirono provocò un’ondata di rabbia senza precedenti. Il Ministero fu sottoposto a forti pressioni per la cattura dei responsabili. Sfortunatamente, viste le loro condizioni, la testimonianza dei Paciock non era molto affidabile».

«Ma allora può darsi che il figlio del signor Crouch non vi fosse coinvolto?» chiese Harry lentamente.

Silente scosse la testa. «Quanto a questo, non ne ho idea».

Harry rimase ancora una volta seduto in silenzio, gli occhi fissi al turbolento contenuto del Pensatoio. C’erano altre due domande che moriva dalla voglia di fare… ma riguardavano le colpe di persone viventi…

«Ehm» disse, «il signor Bagman…»

«… non è mai stato accusato di attività Oscure da allora» concluse tranquillo Silente.

«Bene» disse Harry in fretta, tornando a scrutare il contenuto del Pensatoio, che vorticava più lentamente ora che Silente aveva smesso di riversarvi altri pensieri. «E… ehm…»

Ma il Pensatoio parve formulare la domanda al suo posto. Il volto di Piton affiorò di nuovo. Silente gli gettò un’occhiata, poi alzò lo sguardo verso Harry.

«E nemmeno il professor Piton» disse.

Harry scrutò gli occhi azzurro chiaro di Silente, e la domanda cruciale gli sfuggì di bocca prima che riuscisse a fermarsi. «Che cosa le ha fatto credere che avesse davvero smesso di sostenere Voldemort, professore?»

Silente sostenne lo sguardo di Harry per qualche secondo, e poi rispose: «Questa, Harry, è una faccenda tra il professor Piton e me».

Harry seppe che la conversazione era finita. Silente non sembrava arrabbiato, ma una nota definitiva nel suo tono di voce suggerì a Harry che era ora di andare. Si alzò, e cosi fece Silente.

«Harry» disse, mentre il ragazzo si avvicinava alla porta. «Ti prego di non raccontare a nessuno dei genitori di Neville. Ha il diritto di essere lui a parlarne, quando si sentirà pronto».

«Si, professore» disse Harry, e si voltò per andarsene.

«E…»

Harry si voltò.

Silente era in piedi davanti al Pensatoio, il viso illuminato dal basso dalle macchie di luce argentea, e sembrava più vecchio che mai. Fissò Harry per un attimo, e poi disse: «Buona fortuna per la terza prova».

CAPITOLO 31

LA TERZA PROVA

«Anche Silente crede che Voi-Sapete-Chi stia diventando di nuovo più forte?» sussurrò Ron.

Tutto ciò che Harry aveva visto nel Pensatoio, quasi tutto quello che Silente gli aveva raccontato e mostrato dopo, l’aveva confidato a Ron e Hermione: e naturalmente a Sirius, al quale aveva spedito un gufo nell’istante in cui era uscito dall’ufficio di Silente. Quella sera Harry, Ron e Hermione rimasero di nuovo alzati fino a tardi in sala comune a ridiscutere il tutto finché a Harry non cominciò a girare la testa, e capì che cosa intendeva Silente parlando di una mente cosi affollata di pensieri che sarebbe stato un sollievo riversarli altrove.

Ron fissò il fuoco della sala comune. A Harry parve che tremasse, anche se la serata era tiepida.

«E si fida di Piton?» chiese Ron. «Si fida veramente di Piton, anche se sa che era un Mangiamorte?»

«Sì» disse Harry.

Hermione non parlava da dieci minuti. Era seduta con la fronte tra le mani, a guardarsi le ginocchia. Anche lei sembrava avere urgente bisogno di un Pensatoio.

«Rita Skeeter» borbottò alla fine.

«Come fai a preoccuparti di lei in questo momento?» esclamò Ron incredulo.

«Non mi preoccupo di lei» disse Hermione alle sue ginocchia. «Sto solo pensando… ricordate quello che mi ha detto ai Tre Manici di Scopa? “So cose a proposito di Ludo Bagman che vi farebbero arricciare i capelli”. È a questo che alludeva, no? Ha fatto la cronaca del suo processo, sapeva che aveva passato delle informazioni ai Mangiamorte. E anche Winky, ricordate… “Il signor Bagman è un mago cattivo”. Il signor Crouch dev’essere stato furente che se la sia cavata, deve averne parlato a casa».

«Sì, ma Bagman non ha passato informazioni di proposito, no?»

Hermione alzò le spalle.

«E Caramell crede che Madame Maxime abbia aggredito Crouch?» chiese Ron.

«Sì» rispose Harry, «ma lo dice solo perché Crouch è scomparso vicino alla carrozza di Beauxbatons».

«A lei non abbiamo mai pensato, vero?» disse Ron lentamente. «Badate, è chiaro che ha sangue di gigante, e non vuole ammetterlo…»

«Certo che no» sbottò Hermione, alzando gli occhi. «Guarda cos’è successo a Hagrid quando Rita ha scoperto di sua madre. Guarda Caramell, che salta alle conclusioni su di lei solo perché è in parte gigante. Chi vuole quel genere di pregiudizio? Anch’io probabilmente direi che ho le ossa grandi se sapessi quel che ci guadagno a dire la verità».

Guardò l’orologio.

«Non abbiamo fatto esercizio!» esclamò, agitata. «Dovevamo fare l’Incantesimo di Ostacolo! Dovremo metterci d’impegno domani! Andiamo, Harry, devi dormire un po’».

Harry e Ron salirono lentamente le scale che portavano al loro dormitorio. Mentre Harry s’infilava il pigiama, guardò verso il letto di Neville. Aveva mantenuto la parola e non aveva raccontato a Ron e Hermione dei genitori di Neville. Mentre si toglieva gli occhiali e si arrampicava sul letto a baldacchino, cercò di immaginare che cosa si prova ad avere i genitori ancora in vita, ma incapaci di riconoscerti. Gli estranei avevano spesso compassione di lui perché era orfano, ma mentre ascoltava Neville russare, pensò che l’amico ne meritava molta di più. Disteso al buio, Harry provò un moto di rabbia e odio verso quelli che avevano torturato i Paciock… gli tornarono alla mente le grida di scherno della folla mentre il figlio di Crouch e i suoi compari venivano trascinati fuori dal tribunale dai Dissennatori… capiva cos’avevano provato… poi ripensò al viso bianco latteo del ragazzo urlante, e si rese conto con un sussulto che era morto un anno dopo…

Era Voldemort, rifletté Harry fissando il baldacchino nell’oscurità, tutto faceva capo a Voldemort… era lui che aveva diviso quelle famiglie, che aveva rovinato tutte quelle vite…

* * *

Ron e Hermione avrebbero dovuto ripassare per gli esami, che si sarebbero conclusi il giorno della terza prova, ma in realtà pensavano soprattutto ad aiutare Harry.

«Non preoccuparti» disse Hermione bruscamente quando Harry glielo fece osservare dicendo che poteva anche esercitarsi da solo per un po’. «Almeno prenderemo il massimo dei voti in Difesa contro le Arti Oscure, a lezione non avremmo mai scoperto tutti questi incantesimi».

«Un buon allenamento per quando saremo tutti Auror» disse Ron eccitato, scagliando l’Incantesimo di Ostacolo su una vespa che ronzava nella stanza e immobilizzandola a mezz’aria.

All’inizio di giugno l’atmosfera nel castello si fece di nuovo tesa e agitata. Tutti aspettavano con ansia la terza prova, che avrebbe avuto luogo una settimana prima della fine del trimestre. Harry si esercitava negli incantesimi in ogni momento libero. Si sentiva più tranquillo per questa prova che per le altre; certo, sarebbe stata difficile e pericolosa, ma Moody aveva ragione: Harry era riuscito a cavarsela davanti a creature mostruose e barriere incantate prima d’allora, questa volta lo sapeva in anticipo e poteva prepararsi per ciò che lo aspettava.

Stanca di imbattersi nel terzetto in tutti gli angoli della scuola, la professoressa McGranitt aveva dato a Harry il permesso di usare la classe di Trasfigurazione che era vuota all’ora di pranzo. Ben presto Harry padroneggiò l’Incantesimo di Ostacolo, che rallentava e ostacolava gli aggressori, l’Incantesimo Reductor, che gli consentiva di far saltare in aria oggetti solidi che fossero d’intralcio, e l’Incanto Quattro Punti, un’utile scoperta di Hermione che avrebbe indirizzato la sua bacchetta esattamente a nord, permettendogli di orientarsi all’interno del labirinto. Aveva ancora qualche difficoltà con il Sortilegio Scudo, però. Questo avrebbe dovuto creargli attorno un muro temporaneo invisibile che deviava gli incantesimi minori; ma Hermione riuscì a mandarlo in pezzi con una Fattura Gambemolli ben piazzata. Harry si aggirò barcollando per dieci minuti prima che lei riuscisse a scoprire la controfattura.

«Però vai molto bene, davvero» disse Hermione in tono incoraggiante, scorrendo la lista e cancellando gli incantesimi che avevano già imparato. «Alcuni di questi si riveleranno utili».

«Venite un po’ a vedere» disse Ron, che era alla finestra e guardava giù nel parco. «Che sta facendo Malfoy?»

Harry e Hermione si avvicinarono. Malfoy, Tiger e Goyle erano all’ombra di un albero. Tiger e Goyle erano intenti a far la guardia; entrambi avevano un sorriso perfido. Malfoy si teneva la mano vicino alla bocca e vi parlava dentro.

«Sembra che stia usando un walkie-talkie» disse Harry incuriosito.

«Non è possibile» disse Hermione. «Ve l’ho detto, quelle cose lì non funzionano a Hogwarts. Andiamo, Harry» aggiunse in tono pratico, allontanandosi dalla finestra e tornando al centro della stanza, «riproviamo il Sortilegio Scudo».

*

Sirius spediva gufi tutti i giorni, ormai. Come Hermione, sembrava deciso a concentrarsi su come far superare a Harry l’ultima prova, prima di pensare ad altro. In ogni lettera gli ricordava che qualunque cosa stesse accadendo al di fuori delle mura di Hogwarts non era sua responsabilità, né era in suo potere modificarla.

Se Voldemort sta davvero ritornando in forze, scrisse, il mio primo pensiero è accertarmi che tu sia al sicuro. Non può sperare di mettere le mani su di te finché ti trovi sotto la protezione di Silente, ma comunque non correre rischi: concentrati su come uscire sano e salvo da quel labirinto, e poi potremo rivolgere l’attenzione ad altre faccende.

Il nervosismo di Harry crebbe man mano che il 24 di giugno si avvicinava, ma non era paragonabile allo stato d’animo con cui aveva atteso la prima e la seconda prova. Primo, questa volta era sicuro di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per prepararsi. Secondo, era l’ostacolo finale, e che ne uscisse bene o male, finalmente il Torneo si sarebbe concluso, con suo enorme sollievo.

* * *

La mattina della terza prova la colazione al tavolo di Grifondoro fu molto rumorosa. Comparvero i gufi postini e consegnarono a Harry una cartolina di auguri da parte di Sirius. Era solo un foglio di pergamena piegato in due con stampata davanti un’impronta fangosa, ma Harry la gradì comunque. A Hermione arrivò un barbagianni con l’edizione del mattino della Gazzetta del Profeta, come al solito. Lei aprì il giornale, diede un’occhiata alla prima pagina e sputacchiò una sorsata di succo di zucca.

«Cosa c’è?» dissero Harry e Ron in coro, fissandola sbalorditi.

«Niente» rispose frettolosamente Hermione, cercando di far sparire il giornale, ma Ron lo afferrò.

Fissò il titolo e disse: «Non è possibile. Non oggi. Quella vecchia vacca».

«Cosa?» disse Harry. «Di nuovo Rita Skeeter?»

«No» rispose Ron, e come Hermione cercò di allontanare il giornale.

«Parla di me, vero?» disse Harry.

«No» rispose Ron, in tono nient’affatto convincente.

Ma prima che Harry potesse impuntarsi per vedere il giornale, Draco Malfoy gridò dal tavolo di Serpeverde:

«Ehi, Potter! Potter! Come va la testa? Ti senti bene? Sei sicuro che non ci farai a pezzi?»

Anche lui brandiva una copia della Gazzetta del Profeta. I Serpeverde seduti a tavola ridacchiavano, agitandosi sulle sedie per riuscire a vedere la reazione di Harry.

«Fammi vedere» disse Harry a Ron. «Dammelo».

Con molta riluttanza, Ron gli tese il quotidiano. Harry lo voltò e si ritrovò a fissare la propria foto sotto un titolo a caratteri cubitali:

HARRY POTTER È «DISTURBATO E PERICOLOSO»

Il ragazzo che ha sconfitto Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato è instabile e potenzialmente pericoloso, scrive Rita Skeeter, inviato speciale. Sono venute alla luce testimonianze allarmanti sullo strano comportamento di Harry Potter, che insinuano seri dubbi sull’opportunità che partecipi a una gara impegnativa come il Torneo Tremaghi, e perfino che frequenti la scuola di Hogwarts.

Potter, come la Gazzetta del Profeta è in grado di rivelare in esclusiva, sviene regolarmente durante le lezioni, e spesso lo si sente lamentare un dolore alla cicatrice che porta sulla fronte (ricordo della maledizione con la quale Voi-Sapete-Chi cercò di ucciderlo). Lunedì scorso, nel corso di un lezione di Divinazione, il vostro inviato della Gazzetta del Profeta può testimoniare che Potter è uscito di gran fretta dalla classe, sostenendo che la cicatrice gli faceva troppo male per continuare a studiare.

È possibile, spiegano i massimi esperti dell’Ospedale di San Mungo per le Malattie e Ferite Magiche, che il cervello di Potter sia stato danneggiato dall’aggressione di Voi-Sapete-Chi, e che la sua insistenza nel sostenere che la cicatrice gli fa ancora male sia una manifestazione del profondo stato confusionale in cui versa.

«Potrebbe anche fingere» ha dichiarato uno specialista, «la sua potrebbe essere una richiesta di attenzioni».

La Gazzetta del Profeta, intanto, ha scoperto fatti preoccupanti a proposito di Harry Potter che Albus Silente, Preside di Hogwarts, ha accuratamente tenuto nascosti al pubblico mago.

«Potter parla il Serpentese» rivela Draco Malfoy, uno studente del quarto anno di Hogwarts. «Un paio di anni fa si sono verificate parecchie aggressioni ai danni di studenti, e tutti pensavano che dietro ci fosse Potter: aveva perso la testa al Club dei Duellanti e aveva aizzato un serpente contro un altro ragazzo. Ma è stato tutto messo a tacere. Lui però ha anche fatto amicizia con lupi mannari e giganti. Siamo convinti che farebbe qualunque cosa per un briciolo di potere».

Il Serpentese, la capacità di parlare ai serpenti, da molto tempo è considerato un’Arte Oscura. In verità, il più celebre conoscitore del Serpentese dei nostri giorni è nientemeno che Voi-Sapete-Chi in persona. Un membro della Lega di Difesa contro le Arti Oscure, che preferisce conservare l’anonimato, ha dichiarato che riterrebbe ogni mago in grado di parlare Serpentese «passibile di indagini. Personalmente, nutrirei gravi sospetti su chiunque sapesse conversare con i serpenti, poiché questi rettili sono spesso usati nella Magia Oscura della peggior specie, e sono storicamente legati ai malfattori». Parimenti, «chiunque cerchi la compagnia di creature malvagie come lupi mannari e giganti parrebbe nutrire inclinazioni violente».

Albus Silente dovrebbe senza dubbio chiedersi se a un ragazzo del genere debba essere permesso gareggiare nel Torneo Tremaghi. C’è chi teme che Potter possa ricorrere alle Arti Oscure nel suo folle desiderio di vincere il Torneo, la terza prova del quale avrà luogo questa sera.

«Mi ha un po’ strapazzato, vero?» commentò Harry in tono leggero, ripiegando il giornale.

Al tavolo di Serpeverde, Malfoy, Tiger e Goyle ridevano di lui, si picchiavano la testa con le dita, facevano grottesche smorfie da matti e dardeggiavano la lingua come serpenti.

«Come ha fatto a sapere che ti faceva male la cicatrice a Divinazione?» disse Ron. «Non è possibile che fosse là, non c’è modo che possa aver sentito…»

«La finestra era aperta» disse Harry. «L’ho aperta per respirare».

«Eri in cima alla Torre Nord!» esclamò Hermione. «La tua voce non può essere arrivata fin giù nel parco!»

«Be’, sei tu quella che doveva indagare sui metodi magici di spionaggio!» disse Harry. «Devi dirmelo tu come ha fatto!»

«Ci sto provando!» replicò Hermione. «Ma io… ma…»

Una strana espressione rapita pervase all’improvviso il volto di Hermione. Alzò lentamente una mano e si fece scorrere le dita tra i capelli.

«Ti senti bene?» chiese Ron, guardandola accigliato.

«Sì» rispose Hermione in un sussurro. Fece scorrere di nuovo le dita tra i capelli, e poi avvicinò la mano alla bocca, come se parlasse in un walkie-talkie invisibile. Harry e Ron si guardarono stupiti.

«Mi è venuta un’idea» disse Hermione, fissando il vuoto. «Credo di sapere… perché così nessuno avrebbe visto… nemmeno Moody… e lei avrebbe potuto salire sul davanzale… ma non è autorizzata… non è assolutamente autorizzata… credo di averla incastrata! Datemi solo due secondi in biblioteca… solo per esserne certa!»

E con queste parole, Hermione afferrò la borsa e sfrecciò fuori dalla Sala Grande.

«Ehi!» le gridò Ron. «Abbiamo l’esame di Storia della Magia tra dieci minuti! Accidenti» disse a Harry, «deve proprio odiarla, quella Skeeter, per rischiare di perdersi l’inizio di un esame. Che cosa farai tu alla lezione di Rüf? Continuerai a leggere?»

Dispensato dalle prove di fine trimestre in quanto campione del Tremaghi, durante gli esami Harry sedeva in fondo alla classe, a cercare nuovi incantesimi.

«Immagino di sì» disse a Ron; ma in quel momento gli si avvicinò la professoressa McGranitt.

«Potter, i campioni si riuniscono nella saletta qui accanto dopo colazione» disse.

«Ma la prova comincia stasera!» disse Harry, e si rovesciò addosso le uova strapazzate, temendo di aver sbagliato orario.

«Lo so, Potter» disse lei. «I familiari dei campioni sono invitati ad assistere alla prova finale, lo sai. Questa è solo un’occasione per salutarli».

Si allontanò. Harry la guardò a bocca aperta.

«Non si aspetterà che arrivino i Dursley, vero?» chiese a Ron, incredulo.

«Non so» disse Ron. «Harry, è meglio che mi muova, o sarò in ritardo da Rüf. A più tardi».

Harry finì di fare colazione nella Sala Grande che si andava svuotando. Vide Fleur Delacour alzarsi dal tavolo di Corvonero e unirsi a Cedric che entrava nella saletta. Krum avanzò ciondolando e li raggiunse poco dopo. Harry rimase dov’era. Non voleva andarci, proprio no. Non aveva genitori: nessuno della sua famiglia sarebbe venuto a vederlo rischiare la vita, comunque. Ma proprio mentre si alzava, pensando che avrebbe potuto approfittarne per salire in biblioteca a fare un altro rapido ripasso di incantesimi, la porta della saletta si aprì, e sbucò la testa di Cedric.

«Harry, dai, ti stanno aspettando!»

Decisamente perplesso, Harry si alzò. I Dursley non potevano certo essere là dentro, vero? Attraversò la Sala e aprì la porta.

Cedric e i suoi genitori erano vicino all’ingresso. Viktor Krum era in un angolo e conversava fitto in bulgaro con il padre e la madre, entrambi scuri di capelli. Aveva ereditato dal padre il naso adunco. Dall’altro lato della stanza, Fleur chiacchierava in francese con la madre che teneva per mano la piccola Gabrielle. Salutò Harry agitando l’altra mano, e lui le rispose. Poi vide la signora Weasley e Bill in piedi davanti al camino, con un sorriso radioso tutto per lui.

«Sorpresa!» esclamò gioiosa la signora Weasley, mentre Harry li raggiungeva con un enorme sorriso. «Abbiamo pensato di venire a vederti, Harry!» Si chinò e lo baciò su una guancia.

«Tutto bene?» disse Bill, offrendo a Harry un ghigno e una stretta di mano. «Voleva venire anche Charlie, ma non è riuscito a prendersi un giorno di vacanza. Ha detto che sei stato incredibile contro lo Spinato».

Fleur Delacour, notò Harry, studiava Bill con profondo interesse da sopra la spalla della madre. Harry capì che non aveva proprio nulla da obiettare sui capelli lunghi o gli orecchini zannuti.

«È davvero gentile da parte vostra» mormorò Harry alla signora Weasley. «Per un attimo ho pensato… i Dursley…»

«Hmm» disse la signora Weasley, stringendo le labbra. Si era sempre trattenuta dal criticare i Dursley davanti a Harry, ma i suoi occhi lampeggiavano tutte le volte che venivano nominati.

«È magnifico essere di nuovo qui» disse Bill guardandosi attorno (Violet, l’amica della Signora Grassa, gli fece l’occhiolino dalla cornice). «Sono cinque anni che non vedo questo posto. È ancora in giro quel quadro col cavaliere suonato? Sir Cadogan?»

«Oh, sì» disse Harry, che aveva conosciuto Sir Cadogan l’anno prima.

«E la Signora Grassa?» chiese Bill.

«Era già qui ai miei tempi» disse la signora Weasley. «Mi ha fatto la predica una notte che ero tornata in dormitorio alle quattro del mattino…»

«Che cosa ci facevi fuori dal dormitorio alle quattro del mattino?» chiese Bill, guardando la madre stupito.

Lei fece un gran sorriso, gli occhi scintillanti.

«Io e tuo padre eravamo andati a fare una passeggiatina notturna» disse. «Lui fu sorpreso da Apollon Pringle — a quel tempo era lui il custode: ha ancora i segni».

«Ti va di farci fare un giretto, Harry?» disse Bill.

«Sì, certo» disse Harry, e si diressero verso la porta che dava nella Sala Grande.

Mentre passavano davanti ad Amos Diggory, lui si voltò. «Eccoti qui, allora» sbottò, squadrando Harry da capo a piedi. «Scommetto che non ti senti così tronfio adesso che Cedric ti ha raggiunto, eh?»

«Cosa?» fece Harry.

«Ignoralo» gli disse Cedric a bassa voce, guardando accigliato suo padre. «È arrabbiato da quando è uscito quell’articolo di Rita Skeeter sul Torneo Tremaghi… sai, quando lasciò capire che eri il solo campione di Hogwarts».

«E non si è preso la briga di correggerla, però, eh?» disse Amos Diggory, abbastanza forte da farsi sentire da Harry che stava per uscire con la signora Weasey e Bill. «Comunque… gliela farai vedere, Ced. L’hai già battuto una volta, no?»

«Rita Skeeter è solo contenta se può fare danni, Amos!» ribatté con forza la signora Weasley. «Credevo che lo sapessi, visto che lavori al Ministero!»

Il signor Diggory aveva l’aria di chi sta per dire qualcosa di feroce, ma sua moglie gli posò una mano sul braccio e lui si limitò ad alzare le spalle e a voltarsi dall’altra parte.

Harry trascorse una mattinata molto piacevole passeggiando per il parco inondato di sole con Bill e la signora Weasley; mostrò loro la carrozza di Beauxbatons e la nave di Durmstrang. La signora Weasley fu incuriosita dal Platano Picchiatore, che era stato piantato dopo che lei aveva finito gli studi, e si lasciò andare a diffusi ricordi del guardiacaccia predecessore di Hagrid, un uomo chiamato Ogg.

«Come sta Percy?» chiese Harry mentre costeggiavano le serre.

«Non bene» rispose Bill.

«È molto turbato» disse la signora Weasley, abbassando la voce e guardandosi intorno. «Il Ministero vuole tenere riservata la notizia della scomparsa del signor Crouch, ma Percy è stato convocato per un interrogatorio sulle istruzioni che Crouch gli spedisce. Sembrano convinti che non siano state scritte di suo pugno. Percy è sotto pressione. Non gli permettono di sostituire Crouch come quinto giudice stasera. Cornelius Caramell prenderà il suo posto».

Tornarono al castello per il pranzo.

«Mamma… Bill!» esclamò Ron esterrefatto arrivando al tavolo di Grifondoro. «Che cosa ci fate qui?»

«Siamo venuti a vedere Harry nell’ultima prova!» rispose allegramente la signora Weasley. «Devo dire che è una bella novità, non dover cucinare. Com’è andato il tuo esame?»

«Oh… bene» disse Ron. «Non mi ricordavo i nomi di tutti i goblin ribelli, così ne ho inventati un po’. Non ti preoccupare» aggiunse, servendosi di pasticcio della Cornovaglia, mentre la signora Weasley assumeva un cipiglio severo, «hanno tutti nomi tipo Bodrod il Barbuto e Urg l’Unticcio, non è stato difficile».

Anche Fred, George e Ginny si sedettero vicino a loro, e Harry si sentì così bene che gli parve quasi di essere tornato alla Tana; dimenticò la prova che lo aspettava, e solo quando ricomparve Hermione a metà pranzo gli venne in mente del suo lampo di genio a proposito di Rita Skeeter.

«Vuoi spiegarci…?»

Hermione lo ammonì con un cenno della testa e lanciò un’occhiata alla signora Weasley.

«Buongiorno, Hermione» disse lei, molto più rigida del solito.

«Buongiorno» rispose Hermione, ma il suo sorriso svanì di fronte davanti all’espressione fredda della signora Weasley.

Harry guardò l’una e l’altra, poi disse: «Signora Weasley, non avrà creduto alla robaccia che Rita Skeeter ha scritto sul Settimanale delle Streghe, vero? Perché Hermione non è la mia fidanzata».

«Oh!» esclamò la signora Weasley. «No… certo che no!»

Dopodiché però fu molto più affettuosa con Hermione.

Nel pomeriggio, Harry, Bill e la signora Weasley fecero una lunga passeggiata attorno al castello, e poi tornarono in Sala Grande per il banchetto serale. Ludo Bagman e Cornelius Caramell nel frattempo avevano preso posto al tavolo dei professori. Bagman sembrava piuttosto allegro, ma Cornelius Caramell, che era seduto accanto a Madame Maxime, era torvo e non parlava. Madame Maxime era concentrata sul suo piatto, e a Harry parve che avesse gli occhi rossi. Hagrid continuava a guardarla in tralice.

C’erano più portate del solito, ma Harry, che cominciava a sentirsi molto più teso, non mangiò molto. Mentre il soffitto incantato sopra le loro teste cominciava a sbiadire dall’azzurro a un violetto fosco, Silente si alzò al tavolo dei professori e subito cadde il silenzio.

«Signore e signori, tra cinque minuti vi chiederò di scendere al campo di Quidditch per la terza e ultima prova del Torneo Tremaghi. I campioni vogliano per favore seguire il signor Bagman giù allo stadio, adesso».

Harry si alzò. Tutti i Grifondoro lo applaudirono; i Weasley e Hermione gli augurarono tutti quanti buona fortuna, e lui uscì dalla Sala Grande con Cedric, Fleur e Krum.

«Tutto a posto, Harry?» gli chiese Bagman mentre scendevano gli scalini di pietra e si addentravano nel parco. «Tranquillo?»

«Sto bene» rispose Harry. Era quasi vero; era nervoso, ma lungo il tragitto continuava a ripetersi le fatture e gli incantesimi che aveva imparato, e scoprire che se li ricordava tutti lo fece sentire meglio.

Entrarono nel campo di Quidditch, che ormai era del tutto irriconoscibile. Una siepe alta sei metri correva per tutto il suo perimetro. C’era un’apertura proprio davanti a loro: l’ingresso dell’enorme labirinto. Il corridoio al di là era buio e sinistro.

Cinque minuti dopo, l’aria si riempì di voci eccitate e dello scalpiccio di innumerevoli piedi mentre centinaia di studenti riempivano le tribune. Il cielo era di un intenso, limpido azzurro, e cominciavano a spuntare le prime stelle. Hagrid, il professor Moody, la professoressa McGranitt e il professor Vitious si avvicinarono a Bagman e ai campioni. Portavano grosse stelle rosse lucenti sul cappello, tutti tranne Hagrid, che aveva fissato la sua sulla schiena del cappotto di talpa.

«Noi pattuglieremo l’esterno del labirinto» disse la professoressa McGranitt. «Se vi trovate in difficoltà e desiderate essere salvati, sparate in aria una raffica di scintille rosse, e uno di noi verrà a prendervi, avete capito?»

I campioni annuirono.

«Allora andate!» disse allegramente Bagman ai quattro di pattuglia.

«Buona fortuna, Harry» sussurrò Hagrid, e i quattro si allontanarono in direzioni diverse, per disporsi attorno al labirinto. Bagman si puntò la bacchetta alla gola, borbottò “Sonorus” e la sua voce amplificata per magia echeggiò sugli spalti.

«Signore e signori, sta per cominciare la terza prova del Torneo Tremaghi, la prova finale! Permettete che vi ricordi la situazione del punteggio! Al primo posto, alla pari, con ottantacinque punti ciascuno… il signor Cedric Diggory e il signor Harry Potter, entrambi della Scuola di Hogwarts!» Le grida e gli applausi fecero alzare in volo nel cielo sempre più scuro gli uccelli appollaiati sugli alberi della Foresta Proibita. «Al secondo posto, con ottanta punti… il signor Viktor Krum, dell’Istituto Durmstrang!» Altri applausi. «E al terzo posto… Mademoiselle Fleur Delacour, dell’Accademia di Beauxbatons!»

Harry riuscì a scorgere la signora Weasley, Bill, Ron e Hermione che applaudivano educatamente Fleur, a metà altezza delle tribune. Li salutò con la mano, ed essi gli risposero con grandi sorrisi d’incoraggiamento.

«Allora… al mio segnale, Harry e Cedric!» disse Bagman. «Tre… due… uno…»

Fischiò brevemente e Harry e Cedric scattarono in avanti ed entrarono nel labirinto.

Le siepi torreggianti proiettavano ombre nere sul sentiero, e, fosse perché erano così alte e fitte o perché erano state stregate, il fragore della folla circostante svanì nell’istante in cui misero piede nel labirinto. Harry si sentì quasi di nuovo sott’acqua. Estrasse la bacchetta, sussurrò «Lumos», e udì Cedric fare lo stesso alle sue spalle.

Dopo centocinquanta metri, si trovarono a un bivio. Si guardarono.

«Ci vediamo» disse Harry, e prese a sinistra, mentre Cedric prendeva a destra.

Harry udì per la seconda volta il fischio di Bagman. Krum era entrato nel labirinto. Harry accelerò. Il sentiero che aveva imboccato sembrava completamente deserto. Voltò a destra e avanzò rapido, la bacchetta tesa sopra la testa, cercando di vedere il più avanti possibile. Ma non c’era ancora nulla in vista.

Il segnale di Bagman suonò per la terza volta in lontananza. Ora tutti i campioni si trovavano nel labirinto.

Harry continuava a guardarsi alle spalle con la sensazione di essere osservato. Il labirinto era sempre più immerso nell’oscurità, man mano che il cielo diventava blu marino. Si trovò a un secondo bivio.

«Guidami» sussurrò alla bacchetta, tenendola piatta sul palmo della mano.

La bacchetta roteò una volta e puntò alla sua destra, verso il folto della siepe. Da quella parte c’era il nord, e sapeva di doversi dirigere a nord-ovest per raggiungere il centro del labirinto. La cosa migliore che poteva fare era prendere il sentiero a sinistra, e girare di nuovo a destra alla prima occasione.

La strada era deserta, e tale rimase anche quando Harry imboccò un sentiero sulla destra. Non sapeva perché, ma l’assenza di ostacoli lo rendeva nervoso. Avrebbe già dovuto incontrarne uno, no? Era come se il labirinto volesse indurlo a una falsa sensazione di sicurezza. Poi sentì un movimento alle sue spalle. Tese la bacchetta, pronto all’attacco, ma il raggio di luce colpì soltanto Cedric, che era appena sbucato di corsa da un sentiero a destra. Sembrava profondamente scosso. La manica della sua veste fumava.

«Gli Schiopodi Sparacoda di Hagrid!» sibilò. «Sono enormi… sono riuscito a fuggire per un pelo!»

Scosse la testa e sparì, imboccando un altro sentiero. Ben deciso a mettere una bella distanza tra sé e gli Schiopodi, Harry riprese a correre. Poi, voltò un angolo e vide…

Un Dissennatore avanzava scivolando verso di lui. Alto tre metri e mezzo, il volto nascosto dal cappuccio, le mani putrescenti e coperte di croste tese davanti a sé, si faceva strada alla cieca verso di lui. Harry ne udì il respiro simile a un rantolo; si sentì invadere da un gelo appiccicoso, ma sapeva che cosa doveva fare…

Evocò il pensiero più felice che poté, si concentrò con tutte le sue forze sul pensiero di uscire dal labirinto e festeggiare con Ron e Hermione, levò la bacchetta e urlò: «Expecto Patronum!»

Un cervo d’argento sbucò dalla punta della bacchetta di Harry e avanzò al galoppo verso il Dissennatore, che cadde indietro e s’impigliò nell’orlo della veste… Harry non aveva mai visto un Dissennatore inciampare.

«Aspetta!» gridò, avanzando nella scia del suo Patronus d’argento, «tu sei un Molliccio! Riddikulus!»

Si udì un colpo secco e forte, e la figura esplose in un fil di fumo. Il cervo d’argento svanì. Harry avrebbe voluto che restasse con lui, gli avrebbe fatto bene un po’ di compagnia… avanzò più rapidamente e silenziosamente possibile, le orecchie tese, la bacchetta di nuovo alta.

Sinistra… destra… ancora sinistra… due volte si trovò in un vicolo cieco. Rifece l’Incanto Quattro Punti, e scoprì che stava andando troppo a est. Fece dietrofront, svoltò a destra, e vide una strana nebbiolina dorata aleggiare davanti a lui.

Harry si avvicinò cautamente, la bacchetta puntata. Sembrava una qualche sorta di incantesimo. Si chiese se sarebbe stato capace di sbarazzarsene facendolo saltare per aria.

«Reducto!» esclamò.

La formula magica schizzò nella nebbiolina, lasciandola intatta. Si disse che avrebbe dovuto saperlo; l’Incantesimo Reductor funzionava con gli oggetti solidi. Che cosa sarebbe successo se avesse attraversato la nebbia? Valeva la pena di tentare, o doveva tornare sui suoi passi?

Era ancora incerto quando un grido lacerò il silenzio.

«Fleur!» gridò Harry.

Silenzio. Si guardò attorno. Che cosa le era accaduto? Il grido sembrava provenire da un punto più avanti. Trasse un profondo respiro e si tuffò nella nebbiolina incantata.

Il mondo si rovesciò. Harry penzolava dal suolo, coi capelli dritti, gli occhiali che minacciavano di cadere nel cielo senza fondo. Harry se li ricacciò sul naso e rimase lì a ciondolare, terrorizzato. Era come avere i piedi incollati all’erba. Sotto di lui il cielo scuro trapunto di stelle si stendeva all’infinito. Aveva la sensazione che se solo avesse cercato di muovere un piede, si sarebbe staccato per sempre dal terreno.

Pensa, si disse, mentre gli andava il sangue alla testa, pensa…

Ma nessuno degli incantesimi che aveva provato era progettato per opporsi a un improvviso scambio tra cielo e terra. Avrebbe osato spostare il piede? Sentiva il sangue pulsare nelle orecchie. Aveva due possibilità: o cercare di muoversi, o sparare in alto scintille rosse, farsi tirar fuori dal Labirinto ed essere squalificato.

Chiuse gli occhi per non vedere il cielo senza fondo e staccò con decisione il piede dal soffitto d’erba.

All’improvviso il mondo si raddrizzò. Harry cadde sulle ginocchia, sul terreno meravigliosamente solido. Per un attimo si senti molle dallo spavento. Respirò profondamente per calmarsi, poi si rialzò e corse avanti, guardandosi indietro mentre usciva dalla nebbiolina dorata, che scintillava innocente al chiaro di luna.

Si fermò a un incrocio e si guardò intorno, cercando qualche traccia di Fleur. Era sicuro che fosse stata lei a urlare. In cosa si era imbattuta? Stava bene? Non c’era segno di scintille rosse: significava che se l’era cavata, o che era nei guai al punto da non riuscire a recuperare la bacchetta? Harry imboccò il sentiero a destra con una sensazione di crescente disagio… ma nello stesso tempo non riuscì a non pensare un campione di meno…

La Coppa era da qualche parte nelle vicinanze, e a quel che pareva Fleur non era più in gara. Era arrivato fino a lì, no? E se fosse davvero riuscito a vincere? Fugacemente, e per la prima volta da quando si era ritrovato tra i campioni, si vide di nuovo alzare la Coppa Tremaghi davanti al resto della scuola…

Non incontrò nulla per dieci minuti, tranne vicoli ciechi. Due volte prese la stessa direzione sbagliata. Alla fine trovò un nuovo percorso e lo imboccò di corsa. La luce della bacchetta sobbalzava, agitando e deformando la sua ombra sulle pareti di siepe. Poi girò un altro angolo e si trovò davanti a uno Schiopodo Sparacoda.

Cedric aveva ragione: era proprio enorme. Lungo tre metri, sembrava più che altro uno scoipione gigante. Il suo lungo pungiglione era inarcato sopra la schiena. La spessa corazza brillò alla luce della bacchetta di Harry, che gliela puntò contro.

«Stupeficium!»

L’incantesimo colpì la corazza dello Schiopodo, e rimbalzò indietro; Harry si chinò appena in tempo, ma sentì odore di capelli bruciati: gli aveva strinato la testa. Lo Schiopodo emise un lampo di fuoco dalla coda, e gli si scagliò addosso.

«Impedimenta!» strillò Harry. L’incantesimo colpì di nuovo la corazza dello Schiopodo e rimbalzò indietro; Harry arretrò barcollando di qualche passo e inciampò. «IMPEDIMENTA!»

A pochi centimetri da lui, lo Schiopodo si fermò di colpo: Harry l’aveva colpito al ventre molle e indifeso. Ansante, si allontanò da lui e corse nella direzione opposta: l’Incantesimo di Ostacolo non era permanente, lo Schiopodo avrebbe riguadagnato l’uso delle zampe da un momento all’altro.

Prese un sentiero a sinistra, e finì in un vicolo cieco, uno a destra, e finì in un altro vicolo cieco: si costrinse a fermarsi, col cuore che martellava in petto, formulò l’Incanto Quattro Punti, tornò sui suoi passi e scelse un sentiero che lo avrebbe portato a nord-ovest.

Correva da qualche minuto quando udì qualcosa nel sentiero parallelo oltre la siepe, qualcosa che lo fece fermare di botto.

«Che cosa fai?» urlò la voce di Cedric. «Che cosa diavolo credi di fare?»

E poi Harry sentì la voce di Krum.

«Crucio!»

L’aria si riempì all’improvviso delle urla di Cedric. Atterrito, Harry scattò in avanti, cercando di trovare un passaggio per raggiungere Cedric. Quando capì che non ce n’erano, ritentò con l’Incantesimo Reductor. Non fu molto efficace, ma bruciò un buchetto nella siepe, in cui Harry fece passare a forza la gamba, prendendo a calci i fitti rovi e i rami finché non si spezzarono; s’infilò a fatica nel varco, strappandosi la veste, e guardando a destra vide Krum incombere su Cedric, che sussultava e si contorceva al suolo.

Harry si rialzò e puntò la bacchetta contro Krum proprio mentre questi alzava lo sguardo. Krum si voltò e cominciò a correre.

«Stupeficium!»

L’incantesimo colpì Krum alla schiena; si bloccò all’improvviso, cadde in avanti e giacque immobile a faccia in giù nell’erba. Harry raggiunse di corsa Cedric, che aveva smesso di contorcersi, ed era disteso, col respiro affannato e le mani sul viso.

«Stai bene?» disse Harry in tono brusco, afferrandolo per un braccio.

«Sì» rispose Cedric ansimando. «Sì… non posso crederci… mi è strisciato alle spalle… l’ho sentito, mi sono voltato e aveva la bacchetta puntata contro di me…»

Cedric si alzò. Era ancora scosso da un tremito. Lui e Harry guardarono Krum a terra.

«Non posso crederci… credevo che fosse a posto» disse Harry, fissando allibito Krum.

«Anch’io» disse Cedric.

«Prima hai sentito Fleur urlare?» chiese Harry.

«Sì» rispose Cedric. «Pensi che Krum abbia preso anche lei?»

«Non lo so» disse Harry lentamente.

«Dobbiamo lasciarlo qui?» borbottò Cedric.

«No» disse Harry. «Credo che dovremmo sparare delle scintille rosse. Qualcuno verrà a prenderlo… altrimenti è probabile che finisca in pasto a uno Schiopodo».

«Se lo meriterebbe» mormorò Cedric, ma levò la bacchetta e sparò uno spruzzo di scintille rosse, che rimasero sospese in alto sopra Krum, indicando il luogo in cui si trovava.

Harry e Cedric rimasero vicini nell’oscurità per un momento, guardandosi attorno. Poi Cedric disse: «Be’… credo che sia meglio andare avanti…»

«Cosa?» disse Harry. «Oh… sì… certo…»

Fu una sensazione strana. Per un attimo lui e Cedric si erano alleati contro Krum: ora entrambi si ricordarono di essere avversari. Avanzarono lungo il sentiero oscuro senza parlare, poi Harry prese a sinistra e Cedric a destra. Il rumore dei suoi passi ben presto svanì.

Harry avanzò, e ricorse più volte all’Incanto Quattro Punti per essere sicuro di andare nella direzione giusta. Ora si giocava tutto tra lui e Cedric. Il suo desiderio di arrivare alla Coppa per primo era più bruciante che mai, ma non riusciva a credere a ciò che aveva appena visto fare a Krum. L’uso di una Maledizione Senza Perdono su un proprio simile, un essere umano, significava la condanna a vita ad Azkaban, cosi aveva detto Moody. Krum non poteva certo desiderare la Coppa Tremaghi cosi ardentemente… Harry accelerò.

Ogni tanto imboccava altre strade senza uscita, ma l’oscurità sempre più fitta gli dava la certezza di essere vicino al centro del labirinto. Poi, mentre percorreva un lungo sentiero dritto, colse di nuovo un movimento, e il raggio della sua bacchetta cadde su una creatura straordinaria, che aveva visto solo disegnata nel Libro Mostro dei Mostri.

Era una sfinge. Aveva il corpo di un leone molto grosso, enormi zampe dotate di artigli, e una lunga coda giallastra che terminava con un ciuffo marrone. La testa, invece, era di donna. Puntò gli occhi a mandorla su Harry mentre quest’ultimo si avvicinava. Lui levò la bacchetta, esitante. Non era rannicchiata come per balzare, ma misurava il sentiero a grandi passi, sbarrandogli la strada.

Poi parlò, con voce rauca e profonda. «Sei molto vicino al tuo obiettivo. La via più breve è dopo di me».

«Quindi… quindi puoi spostarti, per favore?» disse Harry, che conosceva già la risposta.

«No» rispose, continuando ad andare avanti e indietro. «A meno che tu non risolva il mio enigma. Se rispondi al primo tentativo, ti lascerò passare. Se sbagli, ti attaccherò. Se rimani in silenzio, ti lascerò andar via illeso».

Lo stomaco di Harry si contrasse. Hermione era brava in quel genere di cose, non lui. Soppesò le possibilità: se l’enigma era troppo difficile, poteva starsene zitto, andarsene via illeso e cercare di trovare un percorso alternativo per il centro.

«Va bene» disse. «Posso ascoltare l’enigma?»

La sfinge sedette sulle zampe posteriori, proprio al centro del sentiero, e recitò:

La mia prima è la terza di passione,
e tre ne vuole la sottomissione,
la seconda è colei che, amica o amante,
del cuore è la compagnia costante,
la terza è un albero dalla chioma folta,
nobile ramo di foresta incolta.

Ora unisci le tre e dimmi, o tu, viandante:
nero, sei zampe, sporco e ripugnante,
veramente baciarlo è cosa grama.
Sai ora dirmi come esso si chiama?

Harry la guardò a bocca aperta.

«Potresti ripeterlo… più lentamente?» chiese esitante.

Lei batté le palpebre, sorrise e ripeté la poesia.

«Tutti gli indizi si sommano dando una creatura che non mi piacerebbe baciare?» chiese Harry.

La creatura si limitò a sorridere il suo sorriso misterioso. Harry lo considerò un sì. Si mise a riflettere. C’erano moltissimi animali che non avrebbe baciato volentieri; il primo che gli venne in mente fu uno Schiopodo Sparacoda, ma qualcosa gli disse che non era quella la risposta. Doveva cercare di risolvere l’enigma un pezzo alla volta…

«La prima è la terza di passione… sottomissione ne ha tre… aspetta… “S”! E poi… amica o amante… no… non lo so proprio… puoi ripetermi il terzo indovinello?»

La sfinge gli recitò la terza parte dell’enigma.

«Un albero… nobile ramo… quercia? No, impossibile… tasso? S-tasso? Non vuol dire niente… E com’era la fine?»

La sfinge, paziente, ripeté gli ultimi quattro versi.

«Nero… ripugnante… Un ragno? No, quello di zampe ne ha otto… Un insetto… baciarlo è cosa grama… Ma sì! Se l’albero è il faggio… Scarafaggio!»

La sfinge gli rivolse un sorriso più ampio. Si alzò, stiracchiò le zampe anteriori e poi si spostò per lasciarlo passare.

«Grazie!» esclamò Harry, e scattò in avanti, stupito della propria abilità.

Ormai doveva essere vicino, doveva… la bacchetta gli diceva che era proprio sulla strada giusta; se non incontrava nulla di troppo orrendo, forse aveva anche una possibilità…

In fondo c’era un bivio. «Guidami!» sussurrò di nuovo alla bacchetta, che ruotò sulla sua mano e gli indicò il sentiero a destra. Lo imboccò rapido e vide una luce davanti a sé.

La Coppa Tremaghi scintillava eretta su un piedistallo a un centinaio di metri. Harry si era appena messo a correre quando una sagoma scura sbucò davanti a lui sul sentiero.

Cedric sarebbe arrivato prima. Correva come il vento, verso la Coppa, e Harry capi che non lo avrebbe mai raggiunto. Cedric era molto più alto, aveva le gambe molto più lunghe…

Poi Harry vide qualcosa di immenso torreggiare su una siepe alla sua sinistra, qualcosa che si muoveva rapido lungo un sentiero che incrociava il suo; avanzava così in fretta che Cedric stava per urtarlo, e poiché aveva gli occhi fissi sulla Coppa, non l’aveva visto…

«Cedric!» urlò Harry. «A sinistra!»

Cedric si voltò a guardare appena in tempo per evitare l’urto e gettarsi oltre la cosa, ma inciampò nello slancio. La bacchetta gli sfuggì di mano, mentre un ragno gigantesco calava sul sentiero e avanzava verso di lui.

«Stupeficium!» gridò Harry. L’incantesimo colpì il mostruoso corpo nero e peloso, ma per l’effetto che ebbe avrebbe anche potuto tirargli un sasso; il ragno sobbalzò, si voltò zampettando e puntò diritto su di lui.

«Stupeficium! Impedimenta! Stupeficium!»

Ma non servì a nulla: il ragno era così grosso o così magico che gli incantesimi riuscivano solo a rallentarlo. Harry ebbe un’orrenda visione di otto occhi neri scintillanti e tenaglie come rasoi prima che gli fosse addosso.

Il ragno lo afferrò tra le zampe anteriori e lo sollevò in aria. Harry lottò furiosamente cercando di prenderlo a calci; la sua gamba urtò contro le tenaglie e un attimo dopo provò un dolore terribile. Udì Cedric urlare a sua volta «Stupeficium!», ma il suo incantesimo non ebbe effetto… Poi, mentre il ragno spalancava di nuovo le tenaglie, Harry levò la bacchetta ed esclamò: «Expelliarmus!»

Funzionò. L’Incantesimo di Disarmo costrinse il ragno a lasciarlo andare, ma con questo Harry cadde da un’altezza di quasi quattro metri sulla gamba già ferita, che si piegò sotto il suo peso. Senza fermarsi a riflettere, mirò dritto all’addome del ragno, come aveva fatto con lo Schiopodo, e urlò «Stupeficium!» contemporaneamente a Cedric.

I due incantesimi insieme riuscirono dove uno solo aveva fallito: il ragno si rovesciò su un fianco, schiacciando una siepe e invadendo il sentiero con un groviglio di zampe pelose.

«Harry!» gridò Cedric. «Tutto bene? Ti è caduto addosso?»

«No» rispose Harry, ansimando. Si guardò la gamba: sanguinava parecchio. Vide una sorta di spessa sostanza collosa emessa dalle tenaglie del ragno sulla veste strappata. Cercò di alzarsi, ma la gamba gli tremava violentemente e non riusciva a sostenere il suo peso. Si appoggiò alla siepe, cercando di prendere fiato, e si guardò intorno.

Cedric era a pochi metri dalla Coppa Tremaghi, che brillava alle sue spalle.

«Prendila, dai» ansimò Harry. «Avanti, prendila. Ormai ci sei».

Ma Cedric non si mosse. Rimase lì a guardare Harry. Poi si voltò verso la Coppa: nel riverbero dorato, Harry lo vide contemplare il trofeo con un’espressione di intenso desiderio. Cedric tornò a guardare Harry, che si era aggrappato alla siepe per rimanere in piedi e sospirò profondamente.

«Prendila tu. Tu devi vincere. È la seconda volta che mi salvi la vita qui dentro».

«Non è così che funziona» rispose Harry. Era arrabbiato; la gamba gli faceva un male tremendo, aveva tutto il corpo dolorante a causa della lotta con il ragno, e dopo tutti i suoi sforzi, Cedric l’aveva battuto, proprio come l’aveva battuto nell’invitare Cho al ballo. «Il primo che raggiunge la Coppa prende i punti. E quello sei tu. Ti assicuro che con questa gamba non vincerò nessuna corsa».

Cedric fece qualche passo verso il ragno, allontanandosi dalla Coppa, e scosse la testa.

«No» disse.

«Smettila di essere nobile» disse Harry irritato. «Prendila e basta, così possiamo uscire di qui».

Cedric osservò Harry raddrizzarsi, tenendosi stretto alla siepe.

«Tu mi hai detto dei draghi» disse Cedric. «Sarei crollato alla prima prova se non mi avessi detto che cosa mi aspettava».

«Anch’io sono stato aiutato, allora» sbottò Harry, cercando di asciugarsi con la veste la gamba insanguinata. «Tu mi hai aiutato con l’uovo… siamo pari».

«Sì, ma qualcuno mi aveva già detto dell’uovo» disse Cedric.

«Siamo sempre pari» insisté Harry, provando con cautela ad appoggiare la gamba ma la sentì tremare violentemente: quando il ragno lo aveva lasciato cadere si era storto la caviglia.

«Tu avresti dovuto prendere più punti per la seconda prova» disse Cedric ostinato. «Sei rimasto indietro per salvare tutti gli ostaggi. Avrei dovuto farlo io».

«Io sono stato l’unico a essere così stupido da prendere sul serio quella canzone!» esclamò Harry amaramente. «Avanti, prendi la Coppa!»

«No» disse Cedric.

Scavalcò le zampe aggrovigliate del ragno per avvicinarsi a Harry, che lo guardò stupito. Cedric diceva sul serio. Stava voltando le spalle a quella gloria che la casa di Tassorosso non conosceva da secoli.

«Vai tu» disse. Sembrava che ciò gli stesse costando fino all’ultima goccia di determinazione, ma aveva il volto risoluto, le braccia incrociate, e sembrava deciso.

Harry spostò lo sguardo da Cedric alla Coppa. Per un luminoso istante, si vide uscire dal labirinto reggendola tra le braccia. Si vide levare in alto la Coppa Tremaghi, udì il ruggito della folla, vide il viso di Cho radioso di ammirazione, più nitido di quanto non l’avesse mai visto… e poi l’immagine sbiadì, e si ritrovò a fissare l’ostinato volto in ombra di Cedric.

«Tutti e due» disse Harry.

«Come?»

«La prenderemo nello stesso istante. È sempre una vittoria di Hogwarts. Finiremo alla pari».

Cedric lo guardò stupefatto. Allargò le braccia. «Sei… sei sicuro?»

«Sì» rispose Harry. «Sì… ci siamo dati una mano a uscirne, no? Siamo arrivati fin qui tutti e due. Prendiamola insieme, e basta».

Per un attimo, Cedric parve non credere alle sue orecchie; poi sorrise, raggiante.

«Va bene» disse. «Dai, vieni».

Sostenne Harry e lo aiutò ad avvicinarsi zoppicando al piedistallo che reggeva la Coppa. Quando l’ebbero raggiunto, tesero una mano ognuno verso i manici scintillanti.

«Al tre, d’accordo?» disse Harry. «Uno… due… tre…»

Afferrarono i manici della Coppa.

Immediatamente Harry avvertì uno strappo in un punto imprecisato dietro l’ombelico. I suoi piedi si erano staccati da terra. Non riuscì ad aprire la mano che stringeva la Coppa Tremaghi; il trofeo lo trascinava in alto, in un ululato di vento e in un vortice di colori, con Cedric al suo fianco.

CAPITOLO 32

CARNE, SANGUE E OSSA

Harry sentì i piedi urtare il suolo; la gamba ferita cedette e lui cadde in avanti; la mano lasciò finalmente andare la Coppa Tremaghi. Alzò la testa.

«Dove siamo?» disse.

Cedric scosse la testa. Si tirò su, aiutò Harry ad alzarsi, e si guardarono intorno.

Quel luogo non faceva assolutamente parte del territorio di Hogwarts; era chiaro che avevano viaggiato per chilometri — forse centinaia di chilometri — perché anche le montagne che circondavano il castello erano sparite. Si trovavano in un cimitero buio e abbandonato; il profilo nero di una chiesetta era riconoscibile oltre un grande tasso alla loro destra. Alla loro sinistra s’innalzava una collina, sul cui versante Harry riuscì a distinguere la sagoma di una bella dimora antica.

Cedric guardò la Coppa Tremaghi, poi alzò gli occhi verso Harry.

«A te qualcuno aveva detto che la Coppa era una Passaporta?» chiese.

«No» disse Harry. Stava osservando il cimitero. Era immerso nel silenzio, e vagamente inquietante. «Questo dovrebbe far parte della prova?»

«Non lo so» rispose Cedric. Il suo tono di voce era teso. «Fuori le bacchette, che ne dici?»

«Sì» disse Harry, lieto che a suggerirlo fosse stato Cedric.

Estrassero le bacchette; Harry continuava a guardarsi intorno. Aveva di nuovo la strana sensazione di essere osservato.

«Arriva qualcuno» disse all’improvviso.

Aguzzando gli occhi nell’oscurità, videro una sagoma avanzare decisa tra le tombe, verso di loro. Harry non riuscì a distinguerne il viso; ma da come camminava e teneva le braccia, capì che stava trasportando qualcosa. Chiunque fosse, era basso, e indossava un mantello con il cappuccio abbassato per nascondere il volto. E man mano che la distanza tra loro si riduceva, vide che la cosa tra le braccia della persona sembrava un neonato… o era solo un fagotto di abiti?

Harry abbassò appena la bacchetta e gettò un’occhiata obliqua a Cedric. Cedric gli rispose con uno sguardo interrogativo. Entrambi tornarono a studiare la sagoma che si avvicinava.

Si fermò accanto a un’alta lapide di marmo, a un paio di metri di distanza. Per un attimo, tutti e tre si limitarono a guardarsi.

E poi, senza preavviso, la cicatrice di Harry esplose di dolore. Era un male che non aveva mai provato prima; la bacchetta gli cadde dalle dita mentre si portava le mani sul viso; le ginocchia cedettero; cadde a terra accecato dal dolore, la testa stava per spaccarglisi in due.

Da molto lontano sopra di lui, una voce fredda e acuta disse: «Uccidi l’altro».

Un sibilo, e una seconda voce urlò le parole nella notte: «Avada Kedavra!»

Un lampo di luce verde saettò attraverso le palpebre di Harry, e sentì qualcosa di pesante cadere a terra accanto a lui; il dolore alla cicatrice raggiunse un tale picco che fu preso da un conato di vomito, e poi diminuì; terrorizzato all’idea di ciò che stava per vedere, apri gli occhi che gli bruciavano.

Cedric era disteso a terra al suo fianco, a braccia aperte. Era morto.

Per un secondo lungo un’eternità, Harry fissò il viso di Cedric, i suoi occhi grigi aperti, vacui e privi di espressione come le finestre di una casa abbandonata, la bocca socchiusa in un’espressione di vaga sorpresa. E poi, prima che la mente di Harry potesse accettare ciò che aveva davanti agli occhi, prima che potesse provare altro che sorda incredulità, si sentì trarre in piedi.

L’uomo basso col mantello aveva deposto il fagotto, acceso la bacchetta e stava trascinando Harry verso la lapide di marmo. Harry vide il nome inciso tremare alla luce della bacchetta prima che l’uomo lo contringesse a voltarsi e lo scaraventasse contro la pietra.

TOM RIDDLE

L’uomo col mantello legò strettamente Harry con funi apparse dal nulla, assicurandolo da capo a piedi alla pietra tombale. Harry udì un respiro corto e affannato dall’interno del cappuccio; si divincolò, e l’uomo lo colpì — lo colpì con una mano che aveva un dito in meno. E Harry capì chi c’era sotto il cappuccio. Era Codaliscia.

«Tu!» disse, senza fiato.

Ma Codaliscia non rispose: controllava che le funi fossero ben strette, armeggiando attorno ai nodi con dita scosse da un tremito incontrollabile. Una volta sicuro che Harry era legato così bene da non potersi muovere di un centimetro, Codaliscia estrasse un pezzo di stoffa nera dall’interno del mantello e glielo ficcò bruscamente in bocca; poi, senza dire una parola, si voltò e corse via. Harry non riusciva a emettere un suono, né a girarsi per vedere dall’altra parte della pietra tombale; vedeva solo ciò che si trovava davanti a lui.

Il corpo di Cedric era disteso a sei metri di distanza. Un po’ più in là, lucente nell’oscurità, giaceva la Coppa Tremaghi. La bacchetta di Harry era a terra, ai suoi piedi. Il fagotto di stoffe che Harry aveva scambiato per un neonato era poco più in là, vicino alla tomba. Sembrava che si agitasse furiosamente. Harry lo osservò, e la cicatrice gli bruciò di nuovo… e all’improvviso seppe che non voleva vedere che cosa c’era lì dentro… non voleva che il fagotto venisse aperto…

Udì dei rumori e guardò in giù: un serpente gigantesco strisciava nell’erba, aggirando la pietra tombale a cui era legato. Il respiro rapido e affannoso di Codaliscia diventava di nuovo più forte. Era come se stesse spingendo qualcosa di pesante. Poi tornò nel campo visivo di Harry, che lo vide spingere un calderone di pietra ai piedi della tomba. Era pieno di quella che sembrava acqua — Harry ne sentì lo sciacquio — ed era più grande di qualunque calderone Harry avesse mai usato; un enorme ventre di pietra abbastanza vasto da contenere un uomo adulto seduto.

La cosa dentro il fagotto si agitava sempre di più, come se cercasse di liberarsi. Codaliscia stava trafficando con una bacchetta alla base del calderone. All’improvviso sotto di esso scoppiettò un fuoco. Il grosso serpente scomparve strisciando nell’oscurità.

Il liquido nel calderone parve scaldarsi molto in fretta. La superficie prese non solo a ribollire, ma anche a emettere scintille ardenti, come se fosse incendiata. Il vapore si addensava, offuscando la sagoma di Codaliscia che alimentava il fuoco. I movimenti sotto il mantello divennero più frenetici. E Harry udì di nuovo la voce fredda e acuta.

«Muoviti!»

Tutta la superficie dell’acqua era coperta di scintille. Sembrava incrostata di diamanti.

«È pronta, mio signore».

«Ora…» disse la voce fredda.

Codaliscia aprì il fagotto per terra, rivelandone il contenuto, e Harry si lasciò sfuggire un urlo che fu soffocato dal tappo di tessuto che gli sigillava la bocca.

Era come se Codaliscia avesse rivoltato una pietra per rivelare qualcosa di brutto, viscido e cieco: anzi, peggio, cento volte peggio. La cosa che Codaliscia aveva portato fin li aveva la forma di un bambino rannicchiato, ma Harry non aveva mai visto nulla di meno simile a un bambino. Era privo di capelli e coperto di squame palpitanti, di un cupo nero rossastro. Le braccia e le gambe erano sottili e deboli, e il viso — nessun bambino al mondo poteva avere un viso del genere — era piatto e serpentino, con occhi rossi scintillanti.

La cosa sembrava quasi innocua; levò le braccine e le mise attorno al collo di Codaliscia, che lo sollevò. Nel farlo, il cappuccio gli ricadde indietro, e nel bagliore del fuoco Harry vide l’espressione di disgusto sul volto pallido e debole di Codaliscia mentre portava la creatura fino alla bocca del calderone. Per un istante, Harry vide la malvagia faccia piatta illuminata dalle scintille che danzavano sulla superficie della pozione. E poi Codaliscia vi immerse la creatura. Quella scomparve sotto la superficie con un sibilo; Harry udì il suo corpo fragile cadere sul fondo con un tonfo lieve.

Lascialo annegare, pensò Harry, con la cicatrice che gli bruciava insopportabilmente, ti prego… lascialo annegare…

Codaliscia parlò. La sua voce tremava, sembrava spaventato più di quanto non potesse tollerare. Levò la bacchetta, chiuse gli occhi e parlò alla notte. «Osso del padre, donato a sua insaputa, rinnoverai il figlio!»

La superficie della tomba ai piedi di Harry si infranse. Paralizzato dall’orrore, Harry vide un sottile filo di polvere levarsi nell’aria all’ordine di Codaliscia, e ricadere dolcemente nel calderone. Lo specchio adamantino dell’acqua s’infranse con un sibilo; sprigionò scintille in tutte le direzioni, e divenne di un intenso blu venefico.

Ed ecco che Codaliscia si mise a piagnucolare. Estrasse un lungo, sottile pugnale d’argento dall’interno della veste. La sua voce si spezzò in singhiozzi impietriti. «Carne… del servo… donata con l’assenso… rinnoverai… il tuo signore».

Tese la mano destra davanti a sé: la mano priva di un dito. Strinse forte il pugnale nella sinistra, e lo levò in alto.

Harry capì ciò che Codaliscia stava per fare un secondo prima che accadesse: serrò disperatamente gli occhi, ma non poté fermare l’urlo che squarciò la notte, che lo attraversò come se anche lui fosse stato trafitto dal pugnale. Udì qualcosa cadere a terra, udì gli ansiti angosciati di Codaliscia, poi un tonfo rivoltante, mentre qualcosa veniva gettato nel calderone. Harry non osava guardare… ma la pozione era diventata di un rosso bruciante, la luce splendeva attraverso le sue palpebre serrate…

Codaliscia gemeva e si lamentava per il dolore. Harry non capì di averlo di fronte finché non ne avvertì il respiro affannoso sul volto.

«S-sangue del nemico… preso con la forza… farai risorgere… il tuo avversario».

Harry non poté far nulla per evitarlo, era legato troppo stretto… attraverso gli occhi socchiusi, lottando invano con le corde che lo avvincevano, vide il lucente pugnale d’argento tremare nella mano rimasta a Codaliscia. Avvertì la punta penetrare nell’incavo del braccio destro, e il sangue scorrere lungo la manica della veste strappata. Codaliscia, sempre ansimando di dolore, si frugò in tasca, estrasse un’ampolla di vetro e la riempì del sangue che scorreva dalla ferita di Harry.

Poi tornò barcollando al calderone e lo versò. Il liquido divenne di colpo di un bianco accecante. Codaliscia, compiuta la sua opera, cadde in ginocchio, poi scivolò su un fianco e rimase a terra, a reggersi il moncherino sanguinante, singhiozzando e gemendo.

Il calderone ribolliva, schizzando dappertutto le scintille simili a diamanti, di una lucentezza così abbagliante che trasformava tutto il resto in un unico velluto nero. Non accadde nulla…

Fa’ che sia annegato, pensò Harry, fa’ che tutto sia andato storto…

E poi, all’improvviso, le scintille che emanavano dal calderone si spensero. Al loro posto si levò un’ondata densa che cancellò tutto davanti a Harry, nascondendo Codaliscia, Cedric o altro che non fosse il vapore che fluttuava a mezz’aria… è andata male, pensò… è annegato… per favore… per favore, fa’ che sia morto…

Ma poi, con un sussulto di terrore, vide nella nebbia la sagoma scura di un uomo alto e scheletrico, che si ergeva lentamente dall’interno del calderone.

«Vestimi» disse la voce fredda e acuta e Codaliscia, tra lamenti e singhiozzi, reggendosi il braccio mutilato, strisciò a raccogliere da terra la veste nera, si alzò, e con una sola mano la protese al di sopra del capo del suo signore.

L’uomo magro uscì dal calderone, fissando Harry… e Harry a sua volta fissò il viso che da tre anni infestava i suoi incubi. Più bianco di un teschio, con grandi, lividi occhi rossi, il naso piatto come quello di un serpente, due fessure per narici…

Voldemort era risorto.

CAPITOLO 33

I MANGIAMORTE

Voldemort distolse lo sguardo da Harry, e prese a esaminare il proprio corpo. Le mani erano come grossi, pallidi ragni; le lunghe dita bianche sfiorarono il petto, le braccia, il viso; gli occhi rossi dalle pupille verticali come quelle di un gatto scintillarono ancor più vivi nell’oscurità. Alzò le mani e fletté le dita, l’espressione rapita e trionfante. Non badò affatto a Codaliscia, che giaceva a terra contorcendosi e sanguinando, né al grosso serpente, che era tornato strisciando e girava di nuovo attorno a Harry, sibilando. Voldemort fece scivolare una di quelle sue mani dalle dita innaturalmente lunghe in una tasca profonda, ed estrasse una bacchetta. Sfiorò anch’essa con dolcezza; e poi la levò, e la puntò contro Codaliscia, che fu sollevato da terra e scagliato contro la pietra tombale a cui era legato Harry, cadde vicino alla base e rimase lì accasciato a piangere. Voldemort rivolse gli occhi scarlatti verso Harry e rise, una risata acuta, fredda, senza gioia.

La veste di Codaliscia in cui aveva fasciato il moncherino ora luccicava di sangue. «Mio signore…» disse con voce soffocata, «mio signore… avevate promesso… avevate promesso…»

«Fuori il braccio» disse Voldemort pigramente.

«Oh, padrone… grazie, padrone…»

Tese il moncherino sanguinante, ma Voldemort rise di nuovo. «L’altro braccio, Codaliscia».

«Padrone, per favore… per favore…»

Voldemort si chinò, e afferrò il braccio sinistro di Codaliscia; gli spinse la manica della veste oltre il gomito e Harry vide qualcosa sulla pelle, qualcosa di simile a un tatuaggio di un rosso vivo — un teschio, con un serpente che sbucava dalla bocca — la stessa immagine che era comparsa nel cielo alla Coppa del Mondo di Quidditch: il Marchio Nero. Voldemort lo studiò attentamente, ignorando il pianto incontrollabile di Codaliscia.

«È tornato» disse piano, «se ne saranno accorti tutti… e ora vedremo… ora sapremo…»

Premette il lungo indice bianco sul segno sopra il braccio di Codaliscia.

Harry provò di nuovo una fitta d’intenso dolore alla cicatrice, e Codaliscia emise un altro gemito: Voldemort tolse il dito dal Marchio, e Harry vide che era diventato nero come il giaietto.

Con un’espressione di feroce soddisfazione, Voldemort si rialzò, gettò indietro la testa e osservò il cimitero nell’ombra.

«Quanti avranno il coraggio di tornare quando lo sentiranno?» sussurrò, i lucenti occhi rossi fissi alle stelle. «E quanti saranno così sciocchi da rimanere lontani?»

Prese a camminare avanti e indietro davanti a Harry e Codaliscia, mentre i suoi occhi percorrevano il camposanto. Dopo un minuto circa, guardò di nuovo Harry, con un sorriso crudele che gli deformava il volto di serpente.

«Tu ti trovi, Harry Potter, sui resti di mio padre» sibilò dolcemente. «Un Babbano e uno sciocco… molto simile alla tua cara madre. Ma entrambi hanno avuto la loro utilità, vero? Tua madre è morta per difenderti quando eri un bambino… e io ho ucciso mio padre, e vedi come si è dimostrato utile, da morto…»

Voldemort rise ancora. Andò avanti e indietro, guardandosi intorno, mentre il serpente continuava a strisciare in tondo nell’erba.

«La vedi quella casa sulla collina, Potter? Mio padre viveva lassù. Mia madre, una strega che abitava in questo villaggio, s’innamorò di lui. Ma lui la abbandonò quando lei gli rivelò chi era… non piaceva la magia, a mio padre…

«La lasciò e tornò dai suoi genitori Babbani prima che io nascessi, Potter, e lei morì dandomi alla luce, e così fui allevato in un orfanotrofio Babbano… ma promisi di ritrovarlo… mi vendicai di lui, di quello sciocco che mi aveva dato il suo nome… Tom Riddle…»

Continuò a camminare, gli occhi rossi che saettavano da una tomba all’altra.

«Ma senti un po’, eccomi qui a rievocare la storia della mia famiglia…» disse piano. «Davvero, sto diventando sentimentale… Ma guarda, Harry! La mia vera famiglia è di ritorno…»

L’aria si riempì all’improvviso del fruscio di mantelli. Tra le tombe, dietro il tasso, in ogni angolo in ombra, si Materializzavano maghi. Erano tutti incappucciati e mascherati. E uno a uno si fecero avanti… lenti, cauti, come se non credessero ai loro occhi. Voldemort rimase in silenzio, in attesa. Poi uno dei Mangiamorte cadde in ginocchio, arrancò verso Voldemort, e baciò l’orlo della sua nera veste.

«Padrone… padrone…» mormorò.

I Mangiamorte alle sue spalle fecero lo stesso: ciascuno si avvicinò a Voldemort avanzando sulle ginocchia e gli baciò la veste, prima di alzarsi e ritrarsi in un cerchio silenzioso con al centro la tomba di Tom Riddle, Harry, Voldemort, e il fagotto singhiozzante e fremente che era Codaliscia. Però lasciarono dei vuoti nel cerchio, come in attesa di altre persone. Voldemort, invece, aveva l’aria di non aspettarsi l’arrivo di altri. Guardò i volti incappucciati, e anche se non c’era vento, un fruscio parve diffondersi nel cerchio, scosso da un tremito improvviso.

«Benvenuti, Mangiamorte» disse Voldemort piano. «Tredici anni… tredici anni dall’ultima volta che ci siamo incontrati. Eppure rispondete alla mia chiamata come se fosse ieri… siamo ancora uniti sotto il Marchio Nero, allora! Vero?»

Riprese il suo cipiglio orribile e annusò, allargando le narici a fessura.

«Sento l’odore della colpa» disse. «C’è un puzzo di colpa nell’aria».

Un secondo brivido percorse il cerchio, come se ognuno desiderasse arretrare ma non osasse farlo.

«Vi vedo tutti, sani e immutati, con i vostri poteri intatti — che apparizione tempestiva, la vostra! — e mi chiedo… perché questa banda di maghi non è mai venuta in aiuto del suo padrone, al quale aveva giurato eterna lealtà?»

Nessuno parlò. Nessuno si mosse tranne Codaliscia, che era a terra e continuava a singhiozzare sul braccio sanguinante.

«E mi rispondo» sussurrò Voldemort «che devono avermi creduto sconfitto, hanno pensato che fossi perduto. Sono tornati nelle file dei miei nemici, e si sono dichiarati innocenti, e ignoranti, e stregati…

«E poi mi chiedo: ma come hanno potuto credere che non sarei risorto? Loro, che conoscevano le misure che ho preso, tempo fa, per proteggermi dalla morte dei mortali? Loro, che avevano visto le prove dell’immensità del mio potere, ai tempi in cui ero più grande di ogni altro mago vivente?

«E mi rispondo: forse hanno creduto che potesse esistere un potere ancora più grande, tale da poter vincere perfino il Signore Voldemort… forse ora sono fedeli a un altro… forse a quel paladino dei comuni mortali, dei Mezzibabbani e dei Babbani, Albus Silente?»

Nell’udire il nome di Silente, i membri del cerchio si agitarono, e alcuni borbottarono e scossero il capo.

Voldemort li ignorò. «È una delusione per me… mi confesso deluso…»

Uno degli uomini all’improvviso si gettò in avanti, spezzando il cerchio. Tremando da capo a piedi, si accasciò ai piedi di Voldemort.

«Padrone!» strillò. «Padrone, perdonami! Perdona tutti noi!»

Voldemort scoppiò a ridere. Alzò la bacchetta. «Crucio!»

Il Mangiamorte a terra si contorse e urlò; Harry era certo che la sua voce avrebbe raggiunto le case nelle vicinanze… fa’ che arrivi la polizia, pensò disperato… chiunque… qualunque cosa…

Voldemort levò la bacchetta. Il Mangiamorte torturato rimase a terra, boccheggiante.

«Alzati, Avery» disse dolcemente Voldemort. «Alzati. Tu chiedi perdono? Io non perdono. Io non dimentico. Tredici lunghi anni… voglio essere ripagato di tredici anni prima di perdonarvi. Codaliscia, qui, ha già pagato parte del suo debito, vero, Codaliscia?»

Guardò in giù, verso Codaliscia che singhiozzava.

«Tu sei tornato da me non per lealtà, ma per paura dei tuoi vecchi amici. Ti meriti questo dolore, Codaliscia. Lo sai, vero?»

«Sì, padrone» mugolò Codaliscia, «per favore, padrone… per favore…»

«Però mi hai aiutato a tornare nel mio corpo» proseguì freddamente Voldemort. «Buono a nulla e fedifrago come sei, mi hai aiutato… e il Signore Voldemort ricompensa chi lo aiuta…»

Voldemort levò di nuovo la bacchetta e la fece ruotare in aria. Una striscia di ciò che pareva argento fuso aleggiò lucente nella scia della bacchetta. Per un istante rimase informe, si contorse e poi si addensò nella copia di una mano umana, splendente come la luce della luna, che discese e si innestò sul polso sanguinante di Codaliscia. I singhiozzi cessarono all’improvviso: con il respiro aspro e irregolare, Codaliscia alzò la testa e fissò incredulo la mano d’argento, ora invisibilmente saldata al braccio, come fosse un guanto. Piegò le dita lucenti, poi, tremando, raccolse un rametto dal suolo e lo ridusse in polvere.

«Mio signore» sussurrò. «Signore… è bella… grazie… grazie…»

Avanzò goffamente sulle ginocchia e baciò l’orlo della veste di Voldemort.

«Che la tua fedeltà non abbia mai più a vacillare, Codaliscia» disse Voldemort.

«No, mio signore… mai più, mio signore…»

Codaliscia si alzò e prese posto nel cerchio, fissando la sua potente mano nuova, il volto ancora lucente di lacrime. Voldemort si avvicinò all’uomo alla destra di Codaliscia.

«Lucius, mio viscido amico» mormorò, fermandosi di fronte a lui. «Mi dicono che non hai ripudiato le vecchie abitudini, anche se davanti al mondo presenti un volto rispettabile. Sei ancora pronto a prendere il comando in una battuta di caccia al Babbano, suppongo. Eppure non hai mai cercato di trovarmi, Lucius… le tue imprese alla Coppa del Mondo di Quidditch sono state divertenti, oserei dire… ma le tue energie non sarebbero state meglio indirizzate nel trovare e nel sostenere il tuo padrone?»

«Mio signore, sono stato costantemente all’erta» disse pronta la voce di Lucius Malfoy da sotto il cappuccio. «Se vi fosse stato un segnale da parte vostra, una qualche voce su dove vi trovavate, sarei stato immediatamente al vostro fianco, nulla mi avrebbe potuto impedire…»

«Eppure sei fuggito davanti al mio Marchio, quando un Mangiamorte fedele l’ha inviato in cielo la scorsa estate» rispose Voldemort con voce melliflua, e Malfoy tacque all’improvviso. «Si, so tutto, Lucius… mi hai deluso… mi aspetto un servizio più leale in futuro».

«Ma certo, mio signore, ma certo… siete generoso, grazie…»

Voldemort avanzò, e si fermò a scrutare il vuoto — abbastanza grande da contenere due persone — che separava Malfoy dall’uomo successivo.

«I Lestrange dovrebbero trovarsi qui» disse piano Voldemort. «Ma sono sepolti vivi ad Azkaban. Sono stati fedeli. Sono finiti ad Azkaban piuttosto che rinnegarmi… quando le porte di Azkaban verranno spalancate, i Lestrange riceveranno onori oltre l’immaginabile. I Dissennatori si uniranno a noi… sono i nostri naturali alleati… richiameremo i giganti messi al bando… vedrò tornare a me i miei devoti servitori, e un esercito di creature temute da tutti…»

Avanzò ancora. Oltrepassò in silenzio alcuni dei Mangiamorte, ma davanti ad altri si fermò, e si rivolse loro.

«Macnair… ora fai a pezzi bestie pericolose per il Ministero della Magia, mi dice Codaliscia… Presto avrai vittime migliori, Macnair. Il Signore Voldemort te le offrirà…»

«Grazie, padrone… grazie» mormorò Macnair.

«E qui» Voldemort si avvicinò alle sagome incappucciate più robuste, «abbiamo Tiger… ti comporterai meglio questa volta, vero, Tiger? E tu, Goyle?»

I due fecero un goffo inchino e borbottarono ottusamente.

«Sì, padrone…»

«Certo, padrone…»

«Lo stesso vale per te, Nott» continuò piano Voldemort oltrepassando una figura curva all’ombra di Goyle.

«Mio signore, io mi prostro davanti a voi, sono il vostro più fedele…»

«Basta così» disse Voldemort.

Aveva raggiunto lo spazio più grande, e si fermò a osservarlo con i rossi occhi vuoti, come se potesse vedere delle persone lì ritte.

«E qui abbiamo sei Mangiamorte assenti… tre morti per servirmi. Uno troppo vile per fare ritorno… la pagherà. Uno che credo mi abbia lasciato per sempre… verrà ucciso, naturalmente… e uno, il mio servo più fedele, che è già rientrato al mio servizio».

I Mangiamorte si agitarono; Harry vide i loro occhi dardeggiare di lato per guardarsi a vicenda attraverso le maschere.

«Si trova a Hogwarts, quel servo fedele, ed è stato grazie ai suoi sforzi che il nostro giovane amico è arrivato stasera…

«Sì» proseguì Voldemort, con un ghigno che gli arricciava la bocca priva di labbra, mentre gli occhi di tutti saettavano verso Harry. «Harry Potter si è graziosamente unito a noi per la festa della mia rinascita. Ci si potrebbe perfino azzardare a definirlo il mio ospite d’onore».

Silenzio. Poi il Mangiamorte alla destra di Codaliscia fece un passo avanti, e la voce di Lucius Malfoy risuonò da sotto la maschera.

«Padrone, siamo avidi di sapere… vi supplichiamo di dirci… come siete riuscito a compiere questo… questo miracolo… come avete potuto tornare tra noi…»

«Ah, che gran bella storia è questa, Lucius» disse Voldemort. «E comincia… e finisce… con il mio giovane amico qui».

Si avvicinò a passi indolenti a Harry, così che gli occhi di tutti i componenti del cerchio furono puntati su di loro. Il serpente continuò a strisciare intorno.

«Sapete, naturalmente, che hanno definito questo ragazzo la mia caduta?» disse dolcemente Voldemort, gli occhi rossi fissi su Harry. La cicatrice prese a fargli così male che quasi urlò dal dolore. «Sapete tutti che la notte in cui persi i miei poteri e il mio corpo avevo cercato di ucciderlo. Sua madre morì nel tentativo di salvarlo… e senza volerlo gli fornì una protezione che, lo ammetto, non avevo previsto… non riuscii a toccare il bambino».

Voldemort alzò una delle lunghe dita bianche e la avvicinò alla guancia di Harry. «Sua madre lasciò su di lui le tracce del suo sacrificio… è magia antica, avrei dovuto ricordarmela, fui uno sciocco a non pensarci… ma non importa. Ora posso toccarlo».

Harry avvertì la punta fredda del lungo dito bianco che lo toccava, e credette che la testa gli esplodesse dal dolore.

Voldemort scoppiò in una risatina dolce al suo orecchio, poi tolse il dito e continuò a parlare, rivolto ai Mangiamorte. «Avevo fatto male i miei conti, amici miei, lo ammetto. Il mio maleficio fu deviato dall’insensato sacrificio di quella donna, e mi rimbalzò contro. Fui strappato via dal mio corpo, diventai meno che spirito, meno del più miserabile fantasma… eppure ero vivo. Che cosa fossi, nemmeno io lo so… Io, che mi sono spinto più in là di ogni altro sul sentiero che conduce all’immortalità. Conoscete il mio obiettivo: dominare la morte. E allora fui messo alla prova, e a quanto pare uno o più dei miei esperimenti funzionarono… perché non ero morto, anche se il maleficio avrebbe dovuto uccidermi. Comunque, ero inerme come la più debole creatura, e non potevo fare nulla… perché non avevo corpo, e qualunque incantesimo in grado di aiutarmi richiedeva l’uso di una bacchetta…

«Ricordo solo di aver costretto infinitamente me stesso, istante dopo istante, senza mai dormire, a esistere… Presi dimora in un luogo remoto, in una foresta, e aspettai… certo uno dei miei fedeli Mangiamorte avrebbe cercato di ritrovarmi… uno di loro sarebbe venuto a compiere la magia a me impossibile, a restituirmi un corpo… ma attesi invano…»

Il brivido percorse di nuovo il circolo di Mangiamorte in ascolto. Voldemort lasciò che il silenzio incombesse spaventoso su di loro prima di riprendere. «Mi era rimasto solo un potere. Potevo impossessarmi dei corpi altrui. Ma non osavo andare dove altri umani erano numerosi, perché sapevo che gli Auror erano ancora all’estero, impegnati a cercarmi. A volte abitavo gli animali — i serpenti, naturalmente, erano i miei preferiti — ma non stavo molto meglio dentro di loro che in forma di puro spirito, perché i loro corpi erano poco adatti a compiere magie… e quando li possedevo ciò abbreviava loro la vita; nessuno è durato a lungo…

«Poi… quattro anni fa… i mezzi per il mio ritorno parvero assicurati. Un mago — giovane, sciocco e ingenuo — attraversò la mia strada vagando nella foresta che avevo eletto a mia abitazione. Oh, parve proprio l’opportunità che sognavo… perché lui insegnava alla scuola di Silente… fu facile piegarlo al mio volere… mi riportò in questo paese, e dopo un po’ presi possesso del suo corpo, per sorvegliarlo da vicino mentre eseguiva i miei ordini. Ma il mio piano fallì. Non riuscii a rubare la Pietra Filosofale. Non sarei riuscito ad assicurarmi l’immortalità. Fui ostacolato… ostacolato ancora una volta da Harry Potter…»

Di nuovo silenzio; nulla si muoveva, nemmeno le foglie del tasso. I Mangiamorte erano immobili, gli occhi lucenti nelle maschere puntati su Voldemort, e su Harry.

«Il servo morì quando lasciai il suo corpo, e mi ritrovai debole come non mai» riprese Voldemort. «Tornai al mio nascondiglio remoto, e non fingerò con voi di non aver temuto, allora, di non riuscire mai a riguadagnare i miei poteri… sì, quella fu forse la mia ora più cupa… non potevo sperare che mi venisse mandato un altro mago da possedere… e avevo smesso di sperare, ormai, che uno dei miei Mangiamorte si preoccupasse di ciò che era stato di me…»

Un paio dei maghi mascherati in cerchio si mossero, a disagio, ma Voldemort non vi fece caso.

«E poi, nemmeno un anno fa, quando avevo ormai abbandonato ogni speranza, finalmente è successo… un servo è tornato a me: Codaliscia, qui, che aveva finto di essere morto per sfuggire alla giustizia, fu tratto dal suo nascondiglio da coloro che un tempo aveva considerato amici, e decise di tornare dal suo padrone. Mi cercò nel paese in cui da tempo si diceva che mi celassi… aiutato, naturalmente, dai topi che incontrò sul suo cammino. Codaliscia ha una strana affinità con i topi, vero, Codaliscia? I suoi sudici piccoli amici gli dissero che c’era un posto, nel cuore di una foresta albanese, che evitavano con cura, dove piccoli animali come loro avevano trovato la morte a opera di un’ombra oscura che s’impossessava di loro…

«Ma il suo viaggio per tornare da me non fu facile, vero, Codaliscia? Perché una notte, affamato, proprio sul limitare della foresta in cui aveva sperato di trovarmi, stupidamente si fermò in una locanda per mangiare… e chi incontrò, se non una certa Bertha Jorkins, una strega del Ministero della Magia?

«Ora vedete bene come la sorte favorisce il Signore Voldemort. Quella avrebbe potuto essere la fine di Codaliscia, e della mia ultima speranza di rinascere. Ma Codaliscia — dando prova di una presenza di spirito che da lui non mi sarei mai aspettata — convinse Bertha Jorkins ad accompagnarlo in una passeggiata notturna. La assalì… la portò da me. E Bertha Jorkins, che avrebbe potuto rovinare tutto, si rivelò invece un dono superiore ai miei più folli sogni… perché — certo, fu necessario esercitare un po’ di persuasione — divenne un’autentica miniera di informazioni.

«Mi disse che il Torneo Tremaghi si sarebbe tenuto a Hogwarts quest’anno. Mi disse che sapeva di un Mangiamorte fedele che avrebbe avuto una gran voglia di aiutarmi, se solo fossi riuscito a mettermi in contatto con lui. Disse molte cose… ma gli strumenti che usai per esercitare l’Incantesimo della Memoria su di lei erano potenti, e quando le ebbi strappato tutte le informazioni utili, la sua mente e il suo corpo erano entrambi irreparabilmente rovinati. Ormai era servita al suo scopo. Non potevo possederla. Me ne liberai».

Voldemort sorrise il suo orribile sorriso, gli occhi rossi vacui e implacabili.

«Il corpo di Codaliscia, naturalmente, era poco adatto a essere posseduto, poiché tutti lo credevano morto, e avrebbe attirato troppa attenzione se fosse stato visto. Comunque, era il servo robusto di cui avevo bisogno, e, benché come mago sia scarso, riuscì a eseguire le istruzioni che gli diedi, che mi restituirono un corpo rozzo e debole, un corpo che potessi abitare in attesa degli ingredienti essenziali a una vera rinascita… uno o due incantesimi di mia creazione… un piccolo aiuto dalla mia cara Nagini» — gli occhi rossi di Voldemort si soffermarono sul serpente che continuava a strisciare in cerchio — «una pozione ottenuta bollendo sangue di unicorno, e il veleno di serpente fornito da Nagini… ben presto fui restituito a una forma quasi umana, e fui abbastanza in forze da poter viaggiare.

«Non c’era più alcuna speranza di rubare la Pietra Filosofale, perché sapevo che Silente avrebbe provveduto a farla distruggere. Ma anelavo ad abbracciare di nuovo la vita mortale, prima di cercare quella immortale. Moderai le mie ambizioni… avrei cercato di ottenere il mio vecchio corpo, e la mia vecchia forza,

«Sapevo che per ottenere ciò — è un vecchio ritrovato della Magia Oscura, la pozione che mi ha fatto tornare in vita stanotte — avrei avuto bisogno di tre potenti ingredienti. Be’, uno era già a portata di mano, vero, Codaliscia? Carne donata da un servo…

«L’osso di mio padre, naturalmente, voleva dire che avremmo dovuto venire qui, dove fu sepolto. Ma il sangue di una vittima… Codaliscia voleva che usassi un mago qualunque, vero, Codaliscia? Un mago qualunque che mi odiasse… e sono ancora in tanti a odiarmi. Ma io sapevo chi dovevo usare, se volevo risorgere più potente di quando ero caduto. Volevo il sangue di colui che mi aveva spogliato del potere tredici anni prima, perché allora anche ciò che restava della protezione fornitagli da sua madre sarebbe scorso nelle mie vene…

«Ma come arrivare a Harry Potter? Perché è stato protetto meglio di quanto credo sappia lui stesso, protetto in modi architettati tempo fa da Silente, quando toccò a lui provvedere al futuro del ragazzo. Silente invocò un’antica magia per assicurare la protezione del ragazzo finché è affidato ai suoi parenti. Nemmeno io posso toccarlo quando è là… poi, naturalmente, ci fu la Coppa del Mondo di Quidditch… pensai che laggiù la sua protezione avrebbe potuto essere più labile, lontano dai parenti e da Silente, ma non ero ancora abbastanza forte da poter cercare di rapirlo nel bel mezzo di un’orda di maghi del Ministero. E poi il ragazzo sarebbe tornato a Hogwarts, dove è sotto il naso di quello sciocco filoBabbano da mane a sera. Allora, come fare per catturarlo?

«Be’… ma usando le informazioni di Bertha Jorkins, naturalmente. Usando il mio fedele Mangiamorte, di stanza a Hogwarts, per assicurarmi che il nome del ragazzo venisse inserito nel Calice di Fuoco. Usando il mio Mangiamorte per assicurarmi che il ragazzo vincesse il Torneo — che toccasse la Coppa Tremaghi per primo — la Coppa che il mio Mangiamorte aveva trasformato in una Passaporta, che lo avrebbe portato qui, lontano dall’aiuto e dalla protezione di Silente, tra le mie braccia aperte. Ed eccolo qui… il ragazzo che tutti voi avete creduto fosse stato la mia fine…»

Voldemort avanzò lentamente e si voltò a guardare Harry. Levò la bacchetta. «Crucio

Era un dolore al di là di quanto Harry avesse mai provato. Perfino le ossa erano in fiamme; la testa stava per spaccarsi lungo la cicatrice, lo sentiva; gli occhi gli roteavano folli nella testa; voleva che finisse… che si spegnesse… voleva morire…

E poi tutto passò. Si ritrovò abbandonato contro le funi che lo legavano alla pietra tombale del padre di Voldemort, a guardare quegli occhi rosso vivo attraverso una specie di nebbiolina. La notte echeggiava delle risate dei Mangiamorte.

«Vedete, credo, che sciocchezza è stata credere che questo ragazzo sarebbe mai potuto essere più forte di me» disse Voldemort. «Ma io voglio che non ci siano dubbi nella mente di nessuno. Harry Potter mi è sfuggito per una circostanza fortunata. E io ora dimostrerò il mio potere uccidendolo, qui e ora, davanti a tutti voi, ora che non c’è nessun Silente ad aiutarlo e nessuna madre a morire per lui. Gli darò un’opportunità. Potrà battersi, e voi non avrete più dubbi su chi di noi è il più forte. Ancora un po’, Nagini» sussurrò, e il serpente si allontanò strisciando nell’erba, verso il punto in cui i Mangiamorte stavano in piedi, in attesa.

«Ora slegalo, Codaliscia, e ridagli la bacchetta».

CAPITOLO 34

PRIOR INCANTATIO

Codaliscia si avvicinò a Harry, che tentò affannosamente di rimettersi in piedi, di reggersi prima che le corde fossero slegate. Codaliscia alzò la nuova mano d’argento, sfilò il tampone di tessuto che imbavagliava Harry e poi, con un solo colpo, tagliò le funi che lo fissavano alla pietra tombale.

Ci fu un rapido istante, forse, in cui Harry soppesò l’idea di darsi alla fuga, ma la gamba ferita tremò sotto il suo peso mentre si alzava sulla tomba ricoperta di erbacce, mentre i Mangiamorte serravano i ranghi, formando un cerchio più stretto attorno a lui e Voldemort, colmando gli spazi lasciati dai compagni assenti. Codaliscia uscì dal cerchio, si avvicinò al corpo di Cedric e fece ritorno con la bacchetta di Harry, che gli ficcò rudemente in mano senza guardarlo. Poi riprese il suo posto nel cerchio di Mangiamorte in attesa.

«Ti è stato insegnato come ci si sfida a duello, Harry Potter?» chiese Voldemort dolcemente, gli occhi rossi scintillanti nell’oscurità.

A quelle parole Harry ricordò, come se appartenesse a una vita precedente, il Club dei Duellanti a Hogwarts che aveva frequentato per poco tempo due anni prima… tutto ciò che aveva imparato era l’Incantesimo di Disarmo, Expelliarmus… e a cosa sarebbe servito, anche se vi fosse riuscito, privare Voldemort della sua bacchetta, quando era circondato da Mangiamorte in una proporzione di almeno trenta a uno? Non aveva mai imparato nulla che potesse rivelarglisi utile in quella circostanza. Sapeva di trovarsi di fronte alla cosa contro la quale Moody lo aveva sempre messo in guardia… l’inesorabile Maledizione Avada Kedavra — e Voldemort aveva ragione — sua madre questa volta non era lì a morire per lui… era decisamente inerme…

«Ora ci inchiniamo, Harry» disse Voldemort, curvandosi appena, senza distogliere il viso di serpente da Harry. «Andiamo, bisogna osservare le regole nel dettaglio… Silente sarebbe lieto che facessi sfoggio delle tue buone maniere… inchinati alla morte, Harry…»

I Mangiamorte ridevano di nuovo. La bocca senza labbra di Voldemort era piegata in un sorriso. Harry non s’inchinò. Non aveva intenzione di permettere a Voldemort di giocare con lui prima di ucciderlo… non gli avrebbe dato quella soddisfazione…

«Ho detto inchinati» disse Voldemort levando la bacchetta: e Harry senti la spina dorsale piegarsi come se un’enorme mano invisibile lo spingesse inesorabilmente in avanti, e i Mangiamorte risero più forte che mai.

«Molto bene» disse Voldemort dolcemente, e mentre alzava la bacchetta, si sollevò anche la pressione che schiacciava Harry. «E ora affrontami, da uomo a uomo… diritto e fiero, così come morì tuo padre…

«E ora… duelliamo».

Voldemort alzò la bacchetta, e prima che Harry potesse fare qualcosa per difendersi, prima ancora che potesse muoversi, fu di nuovo colpito dalla Maledizione Cruciatus. Il dolore fu così intenso, così ardente che non seppe più dov’era… coltelli incandescenti gli trafiggevano ogni centimetro di pelle, era certo che la testa gli sarebbe esplosa; urlò più forte che mai…

E poi cessò. Harry rotolò a terra e si rimise in piedi a fatica; era scosso da un tremito incontrollabile, come Codaliscia quando gli era stata tagliata la mano; barcollò di lato, contro il muro di Mangiamorte che assistevano alla scena, ed essi lo sospinsero indietro, verso Voldemort, ancora.

«Una piccola pausa» disse Voldemort, le narici a fessura dilatate dall’eccitazione, «una piccola pausa… ti ha fatto male, vero, Harry? Non vuoi che lo faccia ancora, vero?»

Harry non rispose. Sarebbe morto come Cedric, glielo dicevano quegli spietati occhi rossi… sarebbe morto, e non poteva farci nulla… ma non aveva intenzione di assecondare quel mostro. Non avrebbe obbedito a Voldemort… non lo avrebbe supplicato…

«Ti ho chiesto: vuoi che lo rifaccia?» ripeté Voldemort con voce dolce. «Rispondimi! Imperio!»

E Harry provò per la terza volta nella vita la sensazione che la sua mente venisse svuotata di qualunque pensiero… ah, che immenso piacere, non pensare, era come galleggiare, come sognare… basta che tu dica no… di’ di no… rispondi solo di no…

No, disse una voce più forte in fondo alla sua mente, non risponderò…

Di’ di no…

Non cederò, non lo dirò…

Di’ di no…

«MI RIFIUTO!»

E queste parole esplosero sulle labbra di Harry; echeggiarono nel cimitero, e la dimensione di sogno si dissolse all’improvviso, come se gli fosse stata gettata addosso dell’acqua fredda — rapidi fecero ritorno i dolori che l’Incantesimo Cruciatus gli aveva lasciato in tutto il corpo — rapida fece ritorno la coscienza di dov’era, e che cosa stava affrontando…

«Ti rifiuti?» chiese Voldemort piano, e questa volta i Mangiamorte non risero. «Ti rifiuti di dire di no? Harry, l’obbedienza è una virtù che devo insegnarti prima che tu muoia… forse un’altra piccola dose di dolore…»

Voldemort levò la bacchetta, ma questa volta Harry era pronto; con i riflessi sviluppati dagli allenamenti di Quidditch, si gettò a terra di lato, rotolò dietro la lapide di marmo del padre di Voldemort, e la udì spezzarsi mentre il maleficio lo mancava.

«Non stiamo giocando a nascondino, Harry» disse la voce gelida di Voldemort, avvicinandosi, mentre i Mangiamorte sghignazzavano. «Non puoi nasconderti da me. Vorrebbe forse dire che sei stanco del nostro duello? Vorrebbe forse dire che preferisci che vi ponga fine ora, Harry? Vieni fuori, Harry… vieni fuori a giocare, allora… farò in fretta… forse sarà perfino indolore… non saprei… non sono mai morto…»

Harry si rannicchiò dietro la pietra tombale, e seppe che era la fine. Non c’era alcuna speranza… alcun aiuto. E mentre sentiva Voldemort avvicinarsi, seppe una sola cosa, ed era al di là della paura o della ragionevolezza: non sarebbe morto rannicchiato lì come un bambino che gioca a nascondino; non sarebbe morto prostrandosi ai piedi di Voldemort… sarebbe morto in piedi come suo padre, e sarebbe morto cercando di difendersi, anche se nessuna difesa era possibile…

Prima che il viso serpentino di Voldemort spuntasse da dietro la lapide, Harry si rialzò… strinse forte la bacchetta, la tese davanti a sé, e si scagliò dall’altra parte della lapide, affrontando Voldemort.

Voldemort era pronto. Mentre Harry urlava «Expelliarmus», gridò «Avada Kedavra!»

Un fiotto di luce verde sgorgò dalla bacchetta di Voldemort mentre un fiotto di luce rossa esplodeva da quella di Harry: s’incontrarono a mezz’aria, e all’improvviso la bacchetta di Harry prese a vibrare come percorsa da una corrente elettrica; la mano gli si serrò attorno; nemmeno volendo l’avrebbe potuta lasciare… e un sottile raggio di luce ora univa le due bacchette, né rosso né verde, ma di un luminoso oro intenso. E Harry, seguendo il raggio con sguardo attonito, vide che anche le lunghe dita bianche di Voldemort stringevano una bacchetta che tremava e vibrava.

E poi — nulla avrebbe potuto preparare Harry per ciò che vide — si sentì alzare da terra. Lui e Voldemort furono entrambi sollevati per aria, le bacchette ancora unite da quel filo di luce d’oro scintillante. Volarono via dalla lapide del padre di Voldemort, e si posarono su un lembo di terreno spianato, privo di tombe… I Mangiamorte urlavano, chiedevano ordini a Voldemort; si stringevano, ricostituivano il cerchio attorno a Harry e Voldemort, e il serpente strisciava ai loro piedi, alcuni estrassero le bacchette…

Il filo d’oro che univa Harry e Voldemort andò in mille pezzi; le bacchette rimasero unite, mentre un centinaio di raggi disegnarono archi sopra di loro, incrociandosi tutto attorno, finché i due non si trovarono rinchiusi in una rete d’oro a forma di cupola, una gabbia di luce, oltre la quale i Mangiamorte si aggiravano come sciacalli, le loro urla stranamente soffocate…

«Non intervenite!» urlò Voldemort ai Mangiamorte, e Harry vide i suoi occhi rossi dilatarsi dallo stupore per quanto stava accadendo, lo vide lottare per spezzare il filo di luce che univa ancora la sua bacchetta a quella di Harry; Harry strinse più forte la sua, con tutt’e due le mani, e il filo d’oro rimase intatto. «Non intervenite se non ve lo ordino!»

E poi una musica ultraterrena e bellissima pervase l’aria… veniva da ogni filo della rete intessuta di luce che vibrava attorno a Harry e Voldemort. Era una musica che Harry riconobbe, anche se l’aveva udita solo una volta prima d’allora… il canto della fenice…

Per Harry fu la musica della speranza… la cosa più bella e benvenuta che avesse mai udito… gli parve che la canzone fosse dentro di lui invece che attorno a lui… era la musica che collegava a Silente, ed era quasi come se un amico gli stesse parlando all’orecchio…

Non interrompere il contatto.

Lo so, disse Harry alla musica, lo so che non devo… ma l’aveva appena pensato che la cosa divenne molto più difficile a farsi. La sua bacchetta prese a vibrare più intensamente che mai… e anche il raggio tra lui e Voldemort cambiò… era come se grosse perle di luce scivolassero su e giù per il filo che univa le bacchette. Harry sentì la sua sussultare nella mano, mentre le perle di luce cominciavano a scorrere lente e decise dalla sua parte… ora il raggio di luce si muoveva verso di lui, si allontanava da Voldemort, e sentì la bacchetta vibrare rabbiosa…

Mentre la perla di luce si avvicinava alla punta della bacchetta di Harry, il legno tra le sue dita divenne così caldo che temette di vederlo prendere fuoco. Più la perla si avvicinava, più forte vibrava la bacchetta; era certo che non sarebbe sopravvissuta al contatto; aveva l’impressione che stesse per andare in pezzi tra le sue dita…

Concentrò ogni minima particella della mente sullo sforzo di ricacciare la perla indietro, verso Voldemort, le orecchie invase dal canto della fenice, gli occhi ardenti, fissi… e lentamente, molto lentamente le perle si arrestarono tremando, e poi, altrettanto lentamente, presero a muoversi nella direzione opposta… ora era la bacchetta di Voldemort a vibrare foltissimo… era Voldemort ad apparire stupefatto, e quasi impaurito…

Una delle perle di luce vibrò a pochi centimetri dalla punta della bacchetta di Voldemort. Harry non capiva il perché, non sapeva a cosa potesse servire… ma si concentrò più che mai sull’idea di costringere quella perla di luce ad arretrare fino alla bacchetta di Voldemort… e lentamente… molto lentamente… si mosse lungo il filo d’oro… tremò per un attimo… e poi entrò in contatto…

All’istante, la bacchetta di Voldemort emise urla di dolore… poi — mentre gli occhi di Voldemort si dilatavano per lo stupore — una densa mano di fumo uscì volando dalla punta e scomparve… il fantasma della mano che aveva creato per Codaliscia… altre urla di dolore… e poi dalla punta della bacchetta prese a sbocciare qualcosa di molto più grosso, un enorme qualcosa grigiastro, che sembrava fatto del più denso e fitto fumo… era una testa… ora un petto, delle braccia… il torso di Cedric Diggory.

Harry rischiò di lasciar cadere la bacchetta per lo spavento, ma l’istinto gli disse di tenerla ben stretta in modo da non spezzare il filo di luce, anche se il denso spettro grigio di Cedric Diggory (era uno spettro? Sembrava così concreto) affiorava completamente dall’estremità della bacchetta di Voldemort, come se stesse uscendo a fatica da un tunnel molto stretto… e quell’ombra di Cedric si alzò, e guardò il filo di luce d’oro nella sua lunghezza, e parlò.

«Resisti, Harry» disse.

La sua voce era remota e rimbombante. Harry guardò Voldemort… i suoi occhi rossi dilatati erano ancora colmi di sorpresa… non era più preparato di Harry a ciò che stava accadendo… e poi udì, molto fioche, le urla terrorizzate dei Mangiamorte che si aggiravano attorno al perimetro della cupola d’oro…

Altre urla di dolore sgorgarono dalla bacchetta… e poi dalla punta affiorò qualcos’altro… l’ombra densa di una seconda testa, seguita subito da braccia e busto… un vecchio che Harry aveva visto una volta in sogno si spingeva fuori dall’estremità della bacchetta come aveva fatto Cedric… e il suo fantasma, o la sua ombra, o quello che era, cadde accanto a quello di Cedric, e scrutò Harry e Voldemort, e la rete d’oro, e le bacchette unite, vagamente sorpreso, appoggiandosi al bastone da passeggio…

«Allora era davvero un mago?» disse il vecchio, gli occhi su Voldemort. «Mi ha ucciso, eh sì… stendilo, ragazzo…»

Ma già un’altra testa affiorava… e questa testa, grigia come una statua di fumo, apparteneva a una donna… Harry, con le mani che tremavano mentre cercava di tenere ferma la bacchetta, vide la sagoma cadere a terra e rialzarsi come le altre, guardandosi attorno…

L’ombra di Bertha Jorkins osservò la battaglia a occhi sgranati.

«Non mollare adesso!» gridò, e la sua voce echeggiò come quella di Cedric, come da molto lontano. «Non lasciare che ti prenda, Harry… non mollare!»

Lei e le altre due sagome d’ombra presero a misurare a grandi passi le pareti interne della rete d’oro, mentre i Mangiamorte aleggiavano all’esterno… e le vittime di Voldemort sussurravano girando attorno ai duellanti, sussurravano parole d’incoraggiamento a Harry, e sibilavano parole che Harry non riusciva a udire contro Voldemort.

Ed ecco che un’altra testa spuntava dalla punta della bacchetta di Voldemort… e Harry nel vederla seppe di chi si trattava… lo seppe, come se non avesse atteso altro fin dal momento in cui Cedric era apparso dalla bacchetta… lo seppe, perché la donna che comparve era colei alla quale aveva pensato più spesso quella notte…

L’ombra di fumo di una giovane donna dai capelli lunghi cadde al suolo come Bertha poco prima, si rialzò e lo guardò… e Harry, con le braccia che tremavano follemente, guardò a sua volta il volto del fantasma di sua madre.

«Tuo padre sta arrivando…» disse piano lo spettro. «Vuole vederti… andrà tutto bene… resisti…»

E lui venne… prima la testa, poi il corpo… un uomo alto con i capelli spettinati come quelli di Harry, la sagoma di fumo e d’ombra di James Potter sbocciò dalla punta della bacchetta di Voldemort, cadde a terra e si rialzò come aveva fatto sua moglie. Si avvicinò a Harry, lo guardò e parlò con la stessa voce remota e rimbombante degli altri, però sottovoce, così che Voldemort, il volto livido di terrore mentre le sue vittime si aggiravano attorno a lui, non potesse sentire…

«Quando il contatto s’interromperà, rimarremo qui solo per pochi istanti… ma ti daremo il tempo… devi correre alla Passaporta, ti riporterà a Hogwarts… hai capito, Harry?»

«Sì» disse Harry senza fiato, lottando per mantenere la presa sulla bacchetta che gli scivolava tra le dita.

«Harry…» sussurrò la sagoma di Cedric, «riporterai indietro il mio corpo, vero? Riporta il mio corpo ai miei genitori…»

«Lo farò» disse Harry, il volto contratto nello sforzo di trattenere la bacchetta.

«Fallo ora» sussurrò la voce di suo padre. «Preparati a correre… ora…»

«ORA!» urlò Harry: non credeva di poter resistere un istante di più. Puntò la bacchetta in alto con un potente strattone, e il filo d’oro si spezzò; la gabbia di luce svanì, il canto della fenice si spense… ma le sagome d’ombra delle vittime di Voldemort non scomparvero: accerchiarono Voldemort, nascondendo Harry alla sua vista…

E Harry corse come non aveva mai corso in tutta la vita, urtando due Mangiamorte esterrefatti; sfrecciò zigzagando tra le lapidi, avvertì le loro maledizioni che lo inseguivano, li sentì colpire le pietre tombali… scansava incantesimi e lapidi, precipitandosi verso il corpo di Cedric, senza più avvertire il dolore alla gamba, tutto il suo essere concentrato su ciò che doveva fare…

«Schiantatelo!» udì Voldemort gridare.

A tre metri da Cedric, Harry si tuffò dietro un angelo di marmo per evitare gli spruzzi di luce rossa e vide la punta dell’ala andare in pezzi, colpita dall’incantesimo. Tenendo più stretta la bacchetta, sfrecciò fuori da dietro l’angelo…

«Impedimento!» urlò, puntando furiosamente la bacchetta indietro, contro i Mangiamorte che gli stavano alle calcagna.

Da uno strillo soffocato credette di aver fermato almeno uno di loro, ma non ci fu il tempo di voltarsi a guardare; balzò oltre la Coppa e si slanciò in avanti mentre sentiva altri dardi saettare alle sue spalle; altri fiotti di luce gli volarono sopra la testa mentre cadeva, tendendo la mano per afferrare il braccio di Cedric…

«State indietro! Lo ucciderò io! È mio!» strillò Voldemort.

La mano di Harry si chiuse sul polso di Cedric; solo una pietra tombale lo separava da Voldemort, ma Cedric era troppo pesante da trasportare, e la Coppa era irraggiungibile…

Gli occhi rossi di Voldemort dardeggiarono nell’oscurità. Harry vide la sua bocca arricciarsi in un sorriso, lo vide levare la bacchetta.

«Accio!» gridò, puntando la sua verso la Coppa Tremaghi.

Il trofeo si alzò in volo e planò verso di lui. Harry lo afferrò per uno dei manici.

Udì l’urlo di rabbia di Voldemort nello stesso istante in cui avvertì lo strappo dietro l’ombelico che significava che la Passaporta era in funzione: ed ecco che lo trascinava via in un vortice di vento e colori, e Cedric era con lui… stavano tornando indietro…

CAPITOLO 35

VERITASERUM

Harry si sentì scagliare a terra; aveva il viso schiacciato nell’erba; il suo odore gli riempì le narici. Aveva chiuso gli occhi mentre la Passaporta lo trasportava, e li tenne chiusi. Non si mosse. Sembrava che tutto il fiato gli fosse stato sottratto a forza; la testa gli girava così forte che il terreno sotto di lui gli parve dondolare come il ponte di una nave. Per cercare di restare fermo, si aggrappò più forte alle due cose che teneva ancora strette: il liscio, freddo manico della Coppa Tremaghi, e il corpo di Cedric. Sentiva che sarebbe scivolato via nell’oscurità che si addensava sulla soglia della sua mente se solo avesse mollato la presa dell’uno o dell’altro. Lo spavento e la stanchezza lo trattennero a terra, a respirare l’odore dell’erba, in attesa… in attesa che qualcuno facesse qualcosa… che succedesse qualcosa… e intanto, la cicatrice era un dolore sordo sulla fronte…

Una cascata di rumori lo assordò e lo confuse, c’erano voci dappertutto, uno scalpiccio di passi, urla… rimase dov’era, il viso contratto per il frastuono, come se si trattasse di un incubo che sarebbe passato…

Poi due mani lo afferrarono bruscamente e lo rivoltarono.

«Harry! Harry!»

Aprì gli occhi.

Si ritrovò a guardare il cielo stellato, con Albus Silente chino su di lui. Le ombre scure della folla premevano attorno a loro, avvicinandosi a spintoni; Harry sentì il terreno vibrare sotto la testa, scosso dai loro passi.

Era tornato al limitare del labirinto. Vide le tribune innalzarsi sopra di lui, su di esse le sagome di gente che si muoveva, le stelle in alto.

Harry lasciò andare la Coppa, ma strinse ancora più forte a sé il braccio di Cedric. Alzò la mano libera e afferrò Silente per un polso, mentre il volto del mago fluttuava, un attimo nitido, l’attimo dopo sfuocato.

«E tornato» sussurrò. «È tornato. Voldemort».

«Che cosa succede? Che cosa è successo?»

Il viso di Cornelius Caramell apparve sopra Harry, alla rovescia; era pallido, sconvolto.

«Cielo… Diggory!» sussurrò. «Silente… ma è morto!»

Le parole furono ripetute, le sagome in ombra che premevano attorno le mormorarono senza fiato ai loro vicini… e poi altri le urlarono — le strillarono — nella notte: «È morto!» «È morto!» «Cedric Diggory! Morto!»

«Harry, lascialo andare» sentì dire la voce di Caramell, e avvertì dita che cercavano di separarlo dal corpo svuotato di Cedric, ma lui non voleva lasciarlo.

Poi il volto di Silente, ancora confuso e nebuloso, si avvicinò. «Harry, ora non puoi aiutarlo. È finita. Lascialo».

«Voleva che lo portassi indietro» sussurrò Harry… gli parve importante spiegarlo. «Voleva che lo riportassi ai suoi genitori…»

«Va bene, Harry… adesso però lascialo…»

Silente si curvò e, con una forza straordinaria per un uomo così vecchio e magro, sollevò Harry da terra e lo rimise in piedi. Harry barcollò. La testa gli pulsava. La gamba ferita non reggeva più il suo peso. Le persone affollate attorno a lui si facevano avanti sgomitando, lottavano per avvicinarsi, incombevano minacciose su di lui… «Cos’è successo?» «Che cos’ha che non va?» «Diggory è morto!»

«Deve andare in infermeria!» disse Caramell ad alta voce. «Sta male, è ferito… Silente, i genitori di Diggory, sono qui, sono in tribuna…»

«Ci penso io ad accompagnare Harry, Silente, lo porto io…»

«No, è meglio che…»

«Silente, Amos Diggory sta correndo da questa parte… ormai è vicino… non credi che dovresti dirgli… prima che veda…?»

«Harry, rimani qui…»

Strilli e singhiozzi isterici di ragazze… la scena parve guizzare stranamente davanti ai suoi occhi…

«Va tutto bene, ragazzo, ti reggo io… andiamo… infermeria…»

«Silente ha detto di restare» disse Harry con voce incerta. La ferita gli pulsava tanto che credette di essere sul punto di vomitare; la sua vista era sempre più annebbiata.

«Devi stenderti… andiamo, adesso…»

Qualcuno più grosso e forte di Harry un po’ lo spingeva un po’ lo trasportava di peso attraverso la folla terrorizzata; Harry la udì trattenere il fiato, urlare e gridare mentre l’uomo che lo sosteneva si faceva strada e lo riportava al castello. Su per il prato, oltre il lago e la nave di Durmstrang, Harry non udiva altro che il respiro affannoso dell’uomo che lo aiutava a camminare.

«Che cosa è successo, Harry?» chiese infine l’uomo, trascinando Harry su per i gradini di pietra. Clunk. Clunk. Clunk. Era Malocchio Moody.

«La Coppa era una Passaporta» disse Harry mentre attraversavano la Sala d’Ingresso. «Ha portato me e Cedric in un cimitero… e c’era Voldemort… Voldemort…»

Clunk, Clunk. Clunk. Su per gli scalini di marmo…

«C’era il Signore Oscuro? E poi che cos’è successo?»

«Ha ucciso Cedric… hanno ucciso Cedric…»

«E poi?»

Clunk. Clunk. Clunk. Lungo il corridoio…

«Ha fatto una pozione… si è ripreso il suo corpo…»

«Il Signore Oscuro si è ripreso il suo corpo? È tornato?»

«E sono venuti i Mangiamorte… e poi abbiamo duellato…»

«Hai duellato con il Signore Oscuro?»

«Gli sono sfuggito… la mia bacchetta… ha fatto una cosa strana… ho visto mia madre e mio padre… sono usciti dalla sua bacchetta…»

«Entra qui, Harry… vieni qui, e siediti… ora ti sentirai meglio… bevi questo…»

Harry udì una chiave grattare in una serratura, e sentì che gli mettevano tra le mani una tazza.

«Bevi… ti sentirai meglio… andiamo, ora, Harry, devo sapere esattamente che cos’è successo…»

Moody aiutò Harry a bere; Harry tossì, mentre un sapore pungente gli bruciava la gola. L’ufficio di Moody fu meno sfuocato, e anche Moody… era pallido come Caramell, ed entrambi i suoi occhi erano puntati immobili sul volto di Harry.

«Voldemort è tornato, Harry? Sei certo che sia tornato? Come ha fatto?»

«Ha preso qualcosa dalla tomba di suo padre, e da Codaliscia, e da me» rispose Harry. La testa gli si snebbiava; la cicatrice non faceva poi così male; ora vedeva distintamente il volto di Moody, anche se l’ufficio era buio. Udì ancora gemiti e grida dal lontano campo di Quidditch.

«Che cosa ti ha preso il Signore Oscuro?» gli domandò Moody.

«Sangue» rispose Harry, alzando il braccio. La manica era strappata dove il pugnale di Codaliscia l’aveva lacerata.

Moody si lasciò sfuggire un lungo, basso fischio. «E i Mangiamorte? Sono tornati?»

«Sì» disse Harry. «Tantissimi…»

«Come li ha trattati?» chiese Moody piano. «Li ha perdonati?»

Ma Harry all’improvviso ricordò. Avrebbe dovuto dirlo a Silente, avrebbe dovuto dirlo subito… «C’è un Mangiamorte a Hogwarts! C’è un Mangiamorte qui… è stato lui a mettere il mio nome nel Calice di Fuoco, è stato lui a fare in modo che arrivassi fino alla fine…»

Harry cercò di alzarsi, ma Moody lo risospinse indietro.

«Io so chi è il Mangiamorte» disse piano.

«Karkaroff?» esclamò Harry agitato. «Dov’è? L’avete preso? È prigioniero?»

«Karkaroff?» disse Moody con una strana risata. «Karkaroff è fuggito stasera, quando ha sentito il Marchio Nero bruciargli il braccio. Ha tradito troppi fedeli seguaci del Signore Oscuro per avere voglia di incontrarli… ma dubito che andrà lontano. Il Signore Oscuro ha i suoi metodi per scovare i suoi nemici».

«Karkaroff è sparito? È scappato? Ma allora… non è stato lui a mettere il mio nome nel calice?»

«No» rispose Moody lentamente. «No, non è stato lui. Sono stato io».

Harry lo sentì, ma non gli credette.

«No, non è vero» disse. «Non è stato lei… non può essere stato…»

«Ti assicuro di sì» disse Moody, e l’occhio magico roteò e si fermò sulla porta, e Harry capi che stava controllando che fuori non ci fosse nessuno. Nello stesso tempo, Moody estrasse la bacchetta e la puntò contro Harry.

«Allora li ha perdonati?» disse. «I Mangiamorte che sono rimasti in libertà? Quelli che hanno sfuggito Azkaban?»

«Cosa?» disse Harry.

Stava guardando la bacchetta di Moody puntata verso di lui. Era un brutto scherzo, doveva essere così.

«Ti ho chiesto» insisté Moody a voce bassa «se ha perdonato la feccia che non è mai andata a cercarlo. Quei codardi traditori che non sono nemmeno riusciti ad affrontare Azkaban per lui. L’infedele, indegna spazzatura che ha avuto il coraggio di saltellare mascherata alla Coppa del Mondo di Quidditch, ma che se l’è data a gambe alla vista del Marchio Nero quando l’ho sparato in cielo».

«Lei ha sparato… ma che cosa sta dicendo?»

«Te l’ho detto, Harry… te l’ho detto. Se c’è una cosa che odio più di ogni altra, è un Mangiamorte rimasto in libertà. Hanno voltato le spalle al mio padrone, quando aveva più bisogno di loro. Mi aspettavo che li punisse. Mi aspettavo che li torturasse. Dimmi che ha fatto loro del male, Harry…» Il volto di Moody a un tratto s’illuminò di un sorriso folle. «Dimmi che ha detto loro che io, io solo sono rimasto fedele… pronto a rischiare tutto per consegnargli la cosa che desiderava più di ogni altra… te».

«Lei non… non… non può essere lei…»

«Chi ha messo il tuo nome nel Calice di Fuoco, sotto il nome di una scuola diversa? Io. Chi ha terrorizzato qualunque persona che pensavo potesse farti del male o impedirti di vincere il Torneo? Io. Chi ha convinto Hagrid a mostrarti i draghi? Io. Chi ti ha aiutato a capire qual era il solo modo per superare il drago? Io».

L’occhio magico di Moody si era allontanato dalla porta. Era puntato su Harry. La bocca obliqua si schiuse in un sorriso più turpe che mai.

«Non è stato facile, Harry, guidarti attraverso queste prove senza suscitare sospetti. Ho dovuto ricorrere a ogni grammo di astuzia in mio possesso, in modo che il mio intervento non fosse riconoscibile nella tua vittoria. Silente si sarebbe alquanto insospettito se tu te la fossi cavata troppo facilmente. Purché tu entrassi in quel labirinto, possibilmente con un vantaggio dignitoso… allora sapevo che avrei avuto una possibilità di sbarazzarmi degli altri campioni e spianarti la strada. Ma ho dovuto anche combattere contro la tua stupidità. La seconda prova… è stato allora che ho più temuto che non ce la facessimo. Ti tenevo d’occhio, Potter. Sapevo che non avevi risolto l’indovinello dell’uovo, cosi ho dovuto darti un altro suggerimento…»

«Non è vero» disse Harry con voce roca. «È stato Cedric a darmi la chiave…»

«Chi ha detto a Cedric di aprirlo sott’acqua? Io. Contavo sul fatto che ti avrebbe passato l’informazione. Le persone oneste sono così facili da manovrare, Potter. Ero sicuro che Cedric avrebbe voluto restituirti il piacere, visto che gli avevi detto dei draghi, e così ha fatto. Ma anche allora, Potter, anche allora sembrava probabile che avresti fallito. Io sono stato di guardia tutto il tempo… tutte quelle ore in biblioteca. Non hai capito che il libro di cui avevi bisogno è rimasto sempre nel tuo dormitorio? Ce l’avevo messo io parecchio tempo prima, l’avevo dato al giovane Paciock, non ricordi? Magiche Piante Acquatiche del Mediterraneo e Loro Proprietà. Ti avrebbe detto tutto quello che ti serviva sull’Algabranchia. Mi aspettavo che chiedessi aiuto a tutti, ma proprio tutti. Paciock te l’avrebbe detto in un secondo. Ma invece no… no… quel tuo tocco di orgoglio e indipendenza avrebbe potuto rovinare tutto quanto.

«E allora che cosa potevo fare? Fornirti l’informazione attraverso un’altra fonte ignara. Al Ballo del Ceppo mi avevi raccontato che un elfo domestico di nome Dobby ti aveva fatto un regalo di Natale. Ho chiamato l’elfo in sala professori perché venisse a prendere delle vesti da lavare. Ho inscenato una conversazione a voce alta con la professoressa McGranitt sugli ostaggi che erano stati scelti, e le ho chiesto se era dell’opinione che Potter avrebbe pensato di ricorrere all’Algabranchia. E il tuo amichetto elfo è corso dritto alla dispensa di Piton e si è affrettato a venirti a cercare…»

La bacchetta di Moody era ancora puntata al cuore di Harry. Alle sue spalle, sagome nebulose si muovevano nell’Avversaspecchio appeso alla parete. «Sei rimasto così a lungo in quel lago, Potter, che ho pensato che fossi annegato. Ma per fortuna Silente ha scambiato la tua imbecillità per nobiltà, e ti ha dato un punteggio alto. Ho respirato di sollievo un’altra volta.

«Naturalmente questa sera nel labirinto per te è stato più facile di quanto non avrebbe dovuto» disse Moody. «E questo perché ero di pattuglia attorno al perimetro, potevo vedere attraverso le siepi esterne e sono riuscito a eliminare parecchi ostacoli dal tuo percorso. Ho Schiantato Fleur Delacour quando è passata. Ho scagliato l’Incantesimo Imperius su Krum, in modo che eliminasse Diggory, e ti lasciasse libero il cammino verso la Coppa».

Harry fissò Moody, stupefatto. Non riusciva a capire come fosse possibile… l’amico di Silente, il celebre Auror… colui che aveva catturato tanti Mangiamorte… non aveva senso… nessun senso…

Le forme nebulose nell’Avversaspecchio si precisavano, diventavano più definite. Harry vide la sagoma di tre persone dietro a Moody, tre persone che si avvicinavano. Ma Moody non stava guardando. Il suo occhio magico era puntato su Harry.

«Il Signore Oscuro non è riuscito a ucciderti, Potter, e lo desiderava tanto» sussurrò Moody. «Prova a pensare come mi ricompenserà, quando scoprirà che l’ho fatto io al posto suo. Io ti ho consegnato a lui — tu, la cosa di cui più di ogni altra aveva bisogno per rigenerarsi — e poi ti ho ucciso per lui. Verrò onorato più di ogni altro Mangiamorte. Sarò il suo più caro, il suo più intimo sostenitore… più vicino di un figlio…»

L’occhio normale di Moody sporgeva, l’occhio magico era fisso su Harry. La porta era sbarrata, e Harry sapeva che non sarebbe mai riuscito a raggiungere la bacchetta in tempo…

«Io e il Signore Oscuro» disse Moody, e ormai sembrava completamente folle, chino su Harry con un orrendo sorriso storto sulle labbra «abbiamo molto in comune. Entrambi, per esempio, abbiamo avuto padri molto deludenti… davvero molto deludenti. Entrambi abbiamo subito l’oltraggio, Harry, di prendere il nome da quei padri. Ed entrambi abbiamo avuto il piacere… l’enorme piacere… di uccidere i nostri padri, per assicurare l’ascesa ininterrotta dell’Ordine Oscuro!»

«Lei è pazzo» esclamò Harry, senza riuscire a trattenersi. «Lei è pazzo!»

«Pazzo, io?» disse Moody, la voce che si alzava incontrollabile. «La vedremo! Vedremo chi è pazzo, ora che il Signore Oscuro è tornato, con me al suo fianco! È tornato, Harry Potter, non l’hai vinto… e ora… io vincerò te!»

Moody levò la bacchetta, apri la bocca, Harry affondò la mano nella veste…

«Stupeficium!» Ci fu un lampo accecante di luce rossa, e con un’esplosione fragorosa la porta dell’ufficio di Moody andò in pezzi…

Moody fu scagliato all’indietro e cadde sul pavimento. Harry, che non aveva smesso di fissare il punto in cui un attimo prima c’era il viso di Moody, vide Albus Silente, il professor Piton e la professoressa McGranitt restituirgli lo sguardo dall’Avversaspecchio. Si voltò e vide il terzetto in piedi sulla soglia, Silente in testa, la bacchetta tesa.

In quel momento, Harry comprese fino in fondo per la prima volta perché si diceva che Silente era l’unico mago di cui Voldemort avesse mai avuto paura. L’espressione di Silente mentre scrutava il corpo privo di sensi di Malocchio Moody era più terribile di quanto Harry avesse mai potuto immaginare. Non c’era alcun sorriso benevolo sul suo volto, alcun brillio ironico negli occhi dietro le lenti. Una fredda furia era incisa in ogni tratto del suo viso antico; un senso di potere emanava da lui, come se sprigionasse vapore bollente.

Entrò, infilò un piede sotto il corpo abbandonato di Moody e con un calcio lo rovesciò sulla schiena, in modo da vederlo in faccia. Piton lo segui, guardando l’Avversaspecchio, nel quale il suo volto era ancora visibile, intento a scrutare torvo la stanza.

La professoressa McGranitt andò subito da Harry.

«Vieni con me, Potter» sussurrò. La sua bocca sottile si contrasse come se stesse per piangere. «Andiamo… in infermeria…»

«No» disse Silente seccamente.

«Silente, dovrebbe proprio… guardalo… ne ha passate abbastanza stanotte…»

«Rimarrà, Minerva, perché deve capire» ribatté Silente asciutto. «Capire è il primo passo per accettare, e solo accettando si può guarire. Deve sapere chi lo ha condotto alle sofferenze di questa notte, e perché».

«Moody» disse Harry. Era ancora completamente incredulo. «Come può essere stato Moody?»

«Questo non è Alastor Moody» rispose piano Silente. «Tu non hai mai conosciuto Alastor Moody. Il vero Moody non ti avrebbe allontanato da me dopo ciò che è successo stanotte. Nel momento in cui ti ha portato via, ho capito… e vi ho seguiti».

Silente si chinò sul corpo afflosciato di Moody e infilò una mano nella sua veste. Estrasse la fiaschetta di Moody e un mazzo di chiavi fissate a un anello. Poi si voltò verso la McGranitt e Piton.

«Severus, per favore, portami la Pozione della Verità più potente che possiedi, e poi scendi in cucina e porta qui l’elfa domestica di nome Winky. Minerva, gentilmente vai alla capanna di Hagrid, dove troverai un grosso cane nero nell’orto delle zucche. Porta il cane nel mio ufficio, digli che lo raggiungerò tra poco, poi torna qui».

Se Piton o la McGranitt trovarono queste istruzioni stravaganti, non lo dettero a vedere. Entrambi uscirono immediatamente dall’ufficio. Silente posò la fiaschetta sulla scrivania, si avvicinò al baule con sette serrature, infilò la prima chiave nella serratura, e lo aprì. Conteneva un gran numero di libri di magia. Silente chiuse il coperchio, infilò una seconda chiave nella seconda serratura, e lo riaprì. I libri di magia erano scomparsi; questa volta conteneva un assortimento di Spioscopi rotti, penne e pergamena, e quello che sembrava un Mantello dell’Invisibilità argentato. Harry guardò attonito Silente infilare la terza, la quarta, la quinta e la sesta chiave nelle rispettive serrature, riaprendo ogni volta il baule che rivelava ogni volta un contenuto diverso. Poi infilò la settima chiave nella serratura, sollevò il coperchio, e Harry si lasciò sfuggire un urlo di sorpresa.

Si ritrovò a guardare in una specie di pozzo, una stanza sotterranea, e disteso al suolo tre metri più in basso, apparentemente immerso in un sonno profondo, magro e affamato, giaceva il vero Malocchio Moody. La gamba di legno era sparita, l’orbita che avrebbe dovuto accogliere l’occhio magico sembrava vuota sotto la palpebra, e gli mancavano ciuffi di capelli grigi. Harry, attonito, spostò lo sguardo dal Moody addormentato nel baule al Moody svenuto disteso sul pavimento dell’ufficio.

Silente entrò nel baule, si calò e si lasciò cadere con un balzo sul pavimento accanto al Moody addormentato. Si curvò su di lui.

«Schiantato… controllato dalla Maledizione Imperius… molto debole» sentenziò. «Naturalmente avevano bisogno di tenerlo in vita. Harry, buttami giù il mantello di quell’impostore, Alastor è gelato. Madama Chips dovrà occuparsi di lui, ma non sembra in pericolo immediato».

Harry eseguì; Silente avvolse Moody nel mantello, e si arrampicò fuori dal baule. Poi prese la fiaschetta dalla scrivania, svitò il tappo e la rovesciò. Un liquido denso e vischioso schizzò sul pavimento dell’ufficio.

«Pozione Polisucco, Harry» disse Silente. «Vedi com’è tutto semplice e geniale. Perché Moody non beve mai se non dalla sua fiaschetta, lo sanno tutti. L’impostore, naturalmente, aveva bisogno di tenere a portata di mano il vero Moody, in modo da poter continuare a prepararsi la Pozione. Hai visto i suoi capelli…» Silente gettò uno sguardo al Moody in fondo al baule. «L’impostore glieli ha continuati a tagliare per tutto l’anno, vedi dove sono irregolari? Ma credo che nell’agitazione di questa notte il nostro falso Moody si sia dimenticato di prenderla tanto spesso quanto avrebbe dovuto… allo scoccare dell’ora… ogni ora… vedremo».

Silente prese la sedia da sotto la scrivania e vi sedette, gli occhi puntati sul Moody svenuto sul pavimento. Anche Harry lo fissò. I minuti passarono in silenzio…

Poi, sotto gli occhi di Harry, il volto dell’uomo disteso a terra prese a cambiare. Le cicatrici sparivano, la pelle diventava liscia; il naso mozzato tornò intero, e rimpicciolì. La lunga criniera di capelli grigi brizzolati si ritirava nella cute, e diventava color paglia. All’improvviso, con un sordo clunk, la gamba di legno cadde mentre una gamba normale ricresceva al suo posto; un attimo dopo, la pupilla magica schizzò fuori dall’occhio dell’uomo, sostituita da un occhio vero; rotolò sul pavimento e continuò a roteare da una parte all’altra.

Davanti a Harry giaceva un uomo pallido, con vaghe lentiggini e un ciuffo di capelli biondi. Sapeva chi era. L’aveva visto nel Pensatoio di Silente, l’aveva visto mentre i Dissennatori lo portavano via e lui cercava di convincere Crouch della sua innocenza… ma ora era segnato attorno agli occhi, e sembrava molto più vecchio…

Nel corridoio si udirono passi affrettati. Piton entrò con Winky alle calcagna. La professoressa McGranitt era dietro di loro.

«Crouch!» esclamò Piton, restando immobile sulla soglia. «Barty Crouch!»

«Santo cielo» disse la professoressa McGranitt, fissando l’uomo disteso al suolo.

Sporca e scarmigliata, Winky sbirciò da dietro le gambe di Piton. La sua bocca si spalancò e l’elfa emise uno strillo penetrante. «Padron Barty, padron Barty, che cosa fa tu qui?»

Si gettò sul petto del giovane. «Voi l’ha ucciso! Voi l’ha ucciso! Voi ha ucciso il figlio del padrone!»

«È solo Schiantato, Winky» disse Silente. «Fatti da parte, per favore. Severus, hai portato la pozione?»

Piton consegnò a Silente una bottiglietta di vetro colma di un liquido trasparente: il Veritaserum col quale aveva minacciato Harry in classe. Silente si alzò, si chinò sull’uomo a terra e lo mise a sedere contro il muro dietro l’Avversaspecchio, dal quale le sagome riflesse di Silente, Piton e della McGranitt continuavano a scrutarli, cupe. Winky rimase in ginocchio, tremante, le mani sul viso. Silente aprì a forza la bocca dell’uomo e vi lasciò cadere tre gocce. Poi gli puntò la bacchetta contro il petto e disse: «Innerva».

Il figlio di Crouch aprì gli occhi. Aveva il viso molle, lo sguardo perso. Silente si inginocchiò accanto a lui, in modo da guardarlo dritto in faccia.

«Mi senti?» chiese a bassa voce.

L’uomo sbatté le palpebre.

«Sì» borbottò.

«Vorrei che ci dicessi» disse piano Silente «come mai sei qui. Come hai fatto a fuggire da Azkaban?»

Crouch trasse un profondo respiro tremante, poi prese a parlare in tono piatto e inespressivo. «Mi ha salvato mia madre. Sapeva di stare per morire. Ha convinto mio padre a salvarmi come ultimo desiderio. Lui l’amava come non ha mai amato me. Acconsentì. Vennero a trovarmi. Mi diedero una dose di Pozione Polisucco che conteneva un capello di mia madre. Lei bevve una dose di Pozione Polisucco che conteneva un mio capello. Prendemmo l’uno le sembianze dell’altra».

Winky scuoteva il capo, tremante. «Non dire altro, padron Barty, non dire altro, tu mette tuo padre nei guai!»

Ma Crouch trasse un altro respiro profondo e riprese, con la stessa voce piatta: «I Dissennatori sono ciechi. Hanno avvertito una persona sana e una morente entrare ad Azkaban. Hanno avvertito una persona sana e una morente uscirne. Mio padre mi portò fuori di nascosto, travestito da mia madre, nel caso che qualche prigioniero guardasse dalla porta della cella.

«Mia madre morì poco dopo ad Azkaban. Fece attenzione a bere la Pozione Polisucco fino alla fine. Fu sepolta col mio nome e le mie sembianze. Tutti credettero che si trattasse di me».

L’uomo sbatté le palpebre.

«E che cosa fece di te tuo padre una volta che ti ebbe riportato a casa?» chiese Silente piano.

«Inscenò la morte di mia madre. Un funerale privato, discreto. Quella tomba è vuota. L’elfa domestica mi guarì. Poi dovetti rimanere nascosto. Dovevo essere controllato. Mio padre fu costretto a ricorrere a parecchi incantesimi per soggiogarmi. Quando ebbi ripreso le forze, pensai solo a ritrovare il mio maestro… a tornare al suo servizio».

«Come fece tuo padre a soggiogarti?» chiese Silente.

«Con l’Incantesimo Imperius» disse Crouch. «Ero in potere di mio padre. Ero costretto a indossare un Mantello dell’Invisibilità giorno e notte. Ero sempre con l’elfa domestica. Era la mia governante e custode. Le facevo pena. Convinse mio padre a farmi qualche regalino. Come ricompensa della mia buona condotta».

«Padron Barty, padron Barty» disse Winky singhiozzando attraverso le dita. «Tu non deve dirglielo, noi finisce nei guai…»

«Nessuno ha mai scoperto che eri ancora vivo?» chiese piano Silente. «Nessuno lo sapeva tranne tuo padre e l’elfa domestica?»

«Sì» rispose Crouch, sbattendo di nuovo le palpebre. «Una strega dell’ufficio di mio padre. Bertha Jorkins. Venne da noi con dei documenti da far firmare a mio padre. Lui non era in casa. Winky la fece entrare e tornò in cucina, da me. Ma Bertha Jorkins la sentì parlare con me. Venne a vedere. Ascoltò abbastanza da indovinare chi si nascondeva sotto il Mantello dell’Invisibilità. Mio padre tornò. Lei lo affrontò. Lui le scagliò un potente Incantesimo della Memoria per farle dimenticare ciò che aveva scoperto. Troppo potente. Disse che le aveva danneggiato per sempre la memoria».

«Perché lei è venuta a ficcare il naso negli affari privati del mio padrone?» disse Winky tra i singhiozzi. «Perché non ci ha lasciati stare?»

«Dimmi della Coppa del Mondo di Quidditch» disse Silente.

«Fu Winky a convincere mio padre» rispose Crouch, con la stessa voce monotona. «Le ci vollero mesi a persuaderlo. Erano anni che non uscivo di casa. Avevo amato il Quidditch. Lo lasci andare, gli disse. Porterà il Mantello dell’Invisibilità. Può vedere la partita. Gli lasci respirare un po’ d’aria fresca una volta tanto. Disse che mia madre avrebbe approvato. Disse a mio padre che mia madre era morta per darmi la libertà. Non mi aveva salvato per infliggermi una vita di prigionia. Alla fine lui accettò.

«Fu tutto studiato con la massima cura. Mio padre scortò me e Winky su in Tribuna d’Onore molto presto. Winky doveva dire che stava tenendo il posto a mio padre. Io dovevo star lì seduto, invisibile. Quando tutti fossero scesi dalle tribune, sarebbe toccato a noi. Winky sarebbe stata sola, in apparenza. Nessuno l’avrebbe mai saputo.

«Ma Winky non sapeva che stavo diventando più forte. Cominciavo a contrastare l’Incantesimo Imperius di mio padre. A volte ero di nuovo me stesso, quasi. C’erano brevi periodi in cui mi pareva di sfuggire al suo controllo. Accadde lassù, in Tribuna d’Onore. Fu come svegliarsi da un sonno profondo. Mi ritrovai in pubblico, nel bel mezzo della partita, e vidi una bacchetta spuntare dalla tasca di un ragazzo davanti a me. Non avevo il permesso di tenere una bacchetta da prima di Azkaban. La rubai. Winky non se ne accorse. Winky ha paura delle alte quote. Aveva il viso nascosto».

«Padron Barty, cattivo!» sussurrò Winky, mentre le lacrime le scorrevano tra le dita.

«Cosi hai preso la bacchetta» disse Silente, «e poi che cosa ne hai fatto?»

«Tornammo alla tenda» disse Crouch. «Poi li sentimmo. Sentimmo i Mangiamorte. Quelli che non erano mai stati ad Azkaban. Quelli che non avevano mai sofferto per il mio padrone. Gli avevano voltato le spalle. Non erano finiti in schiavitù come me. Erano liberi di andare a cercarlo, ma non lo fecero. Si limitavano a prendersi gioco dei Babbani. Il rumore delle loro voci mi svegliò. La mia mente non era cosi limpida da anni. Ero furioso. Avevo la bacchetta. Volevo aggredirli per la loro infedeltà al mio padrone. Mio padre era uscito dalla tenda, era andato a liberare i Babbani. Winky ebbe paura, vedendomi così arrabbiato. Usò la magia in suo potere per tenermi legato a lei. Mi fece uscire dalla tenda, mi spinse nella foresta, lontano dai Mangiamorte. Io cercai di trattenerla. Volevo tornare al campeggio. Volevo mostrare a quei Mangiamorte che cos’era la vera fedeltà al Signore Oscuro, e punirli per il loro tradimento. Usai la bacchetta rubata per scagliare in cielo il Marchio Nero.

«Giunsero i maghi del Ministero. Scagliarono Schiantesimi ovunque. Uno attraversò gli alberi e raggiunse me e Winky. Il legame che ci univa fu spezzato. Fummo entrambi Schiantati.

«Quando Winky venne scoperta, mio padre capì che dovevo essere nei dintorni. Frugò nei cespugli attorno a dove era stata ritrovata, e sentì che giacevo li. Attese che gli altri membri del Ministero si allontanassero dalla foresta. Mi pose di nuovo sotto l’Incantesimo Imperius, e mi portò a casa. Licenziò Winky. Lo aveva deluso. Aveva permesso che mi impossessassi di una bacchetta. Mi aveva quasi lasciato fuggire».

Winky emise un gemito disperato.

«Rimanemmo io e mio padre, soli in casa. E allora… e allora…» Crouch roteò il capo, e un ghigno folle gli attraversò il volto. «Il mio padrone venne a prendermi.

«Arrivò a casa nostra nel cuore della notte, tra le braccia del suo servo Codaliscia. Il mio signore aveva scoperto che ero ancora vivo. Aveva catturato Bertha Jorkins in Albania. L’aveva torturata. E lei gli aveva detto molte cose. Gli aveva detto del Torneo Tremaghi. Gli aveva detto che Moody, l’anziano Auror, avrebbe insegnato a Hogwarts. La torturò finché non spezzò l’Incantesimo della Memoria che mio padre aveva scagliato su di lei. Gli disse che ero fuggito da Azkaban. Gli disse che mio padre mi teneva prigioniero per impedire che andassi a cercare il mio signore. E così il mio signore seppe che ero ancora il suo fedele servitore: forse il più fedele di tutti. Concepì un piano sulla base delle informazioni che Bertha gli aveva fornito. Aveva bisogno di me. Giunse a casa nostra verso mezzanotte. Mio padre aprì la porta».

Il sorriso si diffuse sul volto di Crouch, come se stesse rievocando il ricordo più bello della sua vita. Attraverso le dita di Winky si vedevano i suoi occhi marroni impietriti. Sembrava troppo sconvolta per parlare.

«Fu tutto molto rapido. Mio padre fu sottoposto alla Maledizione Imperius dal mio signore. Ora era mio padre a essere imprigionato, sotto controllo. Il mio signore lo costrinse a continuare il suo lavoro come al solito, a comportarsi come se non ci fosse niente che non andava. E io fui liberato. Mi ridestai. Fui di nuovo me stesso, vivo come non lo ero da anni».

«E Voldemort che cosa ti chiese di fare?» domandò Silente.

«Mi chiese se ero pronto a rischiare tutto per lui. Ero pronto. Era il mio sogno, la mia più grande ambizione, servirlo, dimostrargli la mia abilità. Mi disse che aveva bisogno di infiltrare a Hogwarts un suo servo fedele. Un servo che aiutasse Harry Potter a vincere il Torneo Tremaghi senza farsi notare. Un servo che vegliasse su Harry Potter. Che si assicurasse di fargli raggiungere la Coppa Tremaghi. Che trasformasse la Coppa in una Passaporta, che avrebbe portato dal mio padrone la prima persona che l’avesse toccata. Ma prima…»

«Avevate bisogno di Alastor Moody» intervenne Silente. I suoi occhi azzurri fiammeggiavano d’ira, anche se la sua voce rimase calma.

«Fummo io e Codaliscia. Avevamo preparato in anticipo la Pozione Polisucco. Raggiungemmo la sua casa. Moody reagì lottando. Ci fu un’esplosione. Riuscimmo a soggiogarlo appena in tempo. Lo infilammo a forza in un comparto del suo baule magico. Gli prendemmo dei capelli e li aggiungemmo alla Pozione. Io la bevvi e divenni il sosia di Moody. Gli presi la gamba e l’occhio. Fui pronto ad affrontare Arthur Weasley quando venne a sistemare i Babbani che avevano sentito dei rumori. Feci muovere i bidoni della spazzatura nel cortile. Gli dissi che avevo sentito aggirarsi degli estranei, che avevano fatto saltare i bidoni. Poi raccolsi gli abiti di Moody e i Detector Oscuri, li misi nel baule con Moody e partii per Hogwarts. Lo tenni in vita, sotto l’effetto della Maledizione Imperius. Volevo riuscire a interrogarlo. Per sapere del suo passato, imparare le sue abitudini, in modo da poter ingannare anche Silente. Mi servivano anche i suoi capelli per preparare la Pozione Polisucco. Gli altri ingredienti erano facili da trovare. Rubai la pelle di Girilacco dalle cantine. Quando il responsabile delle Pozioni mi trovò nel suo ufficio, dissi che avevo avuto l’ordine di perquisirlo».

«E cosa ne fu di Codaliscia dopo l’aggressione di Moody?» chiese Silente.

«Codaliscia tornò a prendersi cura del mio signore, a casa di mio padre, e a sorvegliare mio padre».

«Ma tuo padre fuggì» disse Silente.

«Sì. Dopo un po’ cominciò a contrastare la Maledizione Imperius proprio come avevo fatto io. C’erano momenti in cui capiva ciò che stava succedendo. Il mio signore decise che non era più prudente lasciarlo uscire di casa. Lo costrinse a inviare lettere al Ministero. Gli fece scrivere che era malato. Ma Codaliscia trascurò i suoi doveri. Non lo sorvegliò abbastanza. Mio padre fuggì. Il mio signore suppose che fosse diretto a Hogwarts. Mio padre avrebbe detto tutto a Silente, avrebbe confessato. Avrebbe ammesso di avermi fatto uscire di nascosto da Azkaban.

«Il mio padrone mi informò della fuga di mio padre. Mi disse di fermarlo a ogni costo. Così attesi e vegliai. Usai la mappa che avevo preso a Harry Potter. La mappa che aveva quasi rovinato tutto».

«Mappa?» disse Silente in fretta. «Quale mappa?»

«La mappa di Hogwarts di Potter. Potter mi ci ha visto. Una sera Potter mi ha visto rubare altri ingredienti per la Pozione Polisucco dall’ufficio di Piton. Credeva che fossi mio padre, visto che abbiamo lo stesso nome di battesimo. Quella sera ho preso a Potter la mappa. Gli ho detto che mio padre odiava i Maghi Oscuri. Potter ha creduto che mio padre stesse seguendo Piton.

«Per una settimana attesi l’arrivo di mio padre a Hogwarts. Finalmente, una sera, sulla mappa comparve mio padre che entrava nel parco. Indossai il Mantello dell’Invisibilità, e gli andai incontro. Stava costeggiando la Foresta. Poi arrivarono Potter e Krum. Attesi. Non potevo fare del male a Potter, il mio padrone aveva bisogno di lui. Potter corse a chiamare Silente. Schiantai Krum. Uccisi mio padre».

«Noooo!» gemette Winky. «Padron Barty, padron Barty, che cosa dice?»

«Hai ucciso tuo padre» disse Silente con la solita voce dolce. «Che cos’hai fatto del corpo?»

«L’ho portato nella Foresta. L’ho coperto con il Mantello dell’Invisibilità. Avevo con me la mappa. Vidi Potter correre al castello. Incontrò Piton. Silente si unì a loro. Vidi Potter guidare Silente fuori dal castello. Uscii dalla Foresta, tornai sui miei passi, mi feci loro incontro. A Silente raccontai che Piton mi aveva detto dove andare.

«Silente mi disse di andare a cercare mio padre. Tornai accanto al suo corpo. Guardai la mappa. Quando tutti se ne furono andati, Trasfigurai il corpo di mio padre. Divenne un osso… lo seppellii, indossando il Mantello dell’Invisibilità, nella terra appena smossa davanti alla capanna di Hagrid».

Calò un totale silenzio, rotto solo dai singhiozzi irrefrenabili di Winky.

Poi Silente disse: «E stasera…»

«Mi sono offerto di portare la Coppa Tremaghi nel labirinto prima di cena» mormorò Barty Crouch. «L’ho trasformata in una Passaporta. Il piano del mio signore ha funzionato. È tornato potente e io sarò onorato da lui al di là dei sogni di ogni mago».

Il sorriso folle gli illuminò di nuovo il viso, e la testa gli ricadde sulla spalla mentre Winky ululava e singhiozzava al suo fianco.

CAPITOLO 36

LE STRADE SI DIVIDONO

Silente si alzò. Per un attimo guardò Barty Crouch, disgustato. Poi alzò di nuovo la bacchetta e ne volarono fuori delle corde che si avvolsero attorno a Barty Crouch, legandolo stretto.

Quindi si rivolse alla professoressa McGranitt. «Minerva, posso chiederti di restare qui di guardia mentre porto Harry di sopra?»

«Ma certo» rispose la professoressa McGranitt. Sembrava nauseata, come se avesse appena visto qualcuno vomitare, ma quando estrasse la bacchetta e la puntò contro Barty Crouch, la sua mano era ferma.

«Severus» Silente si volse verso Piton, «per favore, di’ a Madama Chips di venire qui. Dobbiamo portare Alastor Moody in infermeria. Poi vai nel parco, trova Cornelius Caramell e accompagnalo qui. Vorrà certo interrogare Crouch di persona. Digli che se ha bisogno di me mi troverà in infermeria tra mezz’ora».

Piton annui in silenzio e uscì dalla stanza.

«Harry» disse Silente con dolcezza.

Harry si alzò e di nuovo barcollò; il dolore alla gamba, che non aveva notato finché ascoltava Crouch, tornò vivissimo. Si accorse che stava tremando. Silente lo afferrò per un braccio e lo sostenne lungo il corridoio buio.

«Voglio che tu venga nel mio ufficio, Harry» disse piano, mentre risalivano il corridoio. «Sirius ci sta aspettando».

Harry annuì. Si sentiva oppresso da una sorta di stordimento e da un senso di totale irrealtà, ma non gl’importava; ne era perfino contento. Non voleva dover pensare a nulla di ciò che era successo da quando aveva toccato la Coppa Tremaghi per la prima volta. Non voleva dover passare in rassegna i ricordi, freschi e nitidi come fotografie, che continuavano a lampeggiare nella sua mente. Malocchio Moody dentro il baule. Codaliscia, accasciato a terra, che si reggeva il moncherino. Voldemort che sorgeva tra i vapori del calderone. Cedric… morto… Cedric, che gli chiedeva di riportarlo dai suoi genitori…

«Professore» sussurrò Harry, «dove sono il signore e la signora Diggory?»

«Sono con la professoressa Sprite» rispose Silente. La sua voce, che era rimasta così calma per tutto il tempo dell’interrogatorio di Barty Crouch, per la prima volta s’incrinò. «È la direttrice della Casa di Cedric, e lo conosceva meglio di tutti».

Erano arrivati davanti al gargoyle di pietra. Silente pronunciò la parola d’ordine, la statua balzò di lato, e lui e Harry si lasciarono trasportare dalla scala a chiocciola fino alla porta di quercia. Silente l’aprì.

Dentro c’era Sirius. Aveva il volto pallido ed emaciato come quando era fuggito da Azkaban. Con un rapido movimento attraversò la stanza. «Harry, stai bene? Lo sapevo… sapevo che qualcosa del genere… che cosa è successo?»

Gli tremavano le mani mentre aiutava Harry a sistemarsi su una sedia davanti alla scrivania e prendeva posto accanto a lui.

«Che cosa è successo?» incalzò.

Silente cominciò a raccontargli tutto ciò che aveva detto Barty Crouch. Harry ascoltava solo a metà. Era tanto stanco che aveva male dappertutto, e voleva solo restare lì seduto, tranquillo, per ore e ore, fino ad addormentarsi e non dover pensare o sentire più niente.

Si udì un morbido frullo d’ali. Fanny la fenice si librò dal trespolo, attraversò in volo l’ufficio e atterrò sul ginocchio di Harry.

«Ciao, Fanny» disse piano Harry, accarezzando le belle piume dorate e scarlatte. Fanny strinse placidamente gli occhi. C’era qualcosa di confortante nel suo peso caldo.

Silente aveva smesso di parlare. Sedette di fronte a Harry, dietro la scrivania. Lo guardò, e lui evitò il suo sguardo. Silente stava per interrogarlo. Stava per fargli rivivere tutto quanto.

«Devo sapere che cos’è successo dopo che hai toccato la Passaporta nel labirinto, Harry» disse Silente.

«Possiamo aspettare domattina, vero, Silente?» intervenne Sirius con voce roca. Posò una mano sulla spalla di Harry. «Lascialo dormire. Lascialo riposare».

Harry provò un moto di gratitudine per Sirius, ma Silente non fece caso a quello che aveva detto. Si protese verso Harry. Con profonda riluttanza, Harry alzò la testa, e guardò quegli occhi azzurri.

«Se pensassi di poterti aiutare» disse Silente con dolcezza, «facendo scendere su di te un sonno incantato, e permettendoti di posticipare il momento di ripensare a ciò che è accaduto stanotte, lo farei. Ma so quello che faccio. Attenuare il dolore per un po’ lo renderà più acuto quando alla fine lo sentirai. Ti sei dimostrato coraggioso ben al di là di quanto mi sarei aspettato da te. Ti chiedo di dimostrare il tuo coraggio ancora una volta. Ti chiedo di raccontarci cos’è successo».

La fenice emise un verso dolce e tremulo. Vibrò nell’aria, e Harry avvertì come una goccia di liquido bollente scorrergli dalla gola allo stomaco, riscaldandolo e dandogli forza.

Respirò profondamente e cominciò a raccontare. Mentre parlava, le immagini di tutto ciò che era accaduto quella notte parvero levarsi davanti ai suoi occhi: vide la superficie scintillante della pozione che aveva fatto risorgere Voldemort, vide i Mangiamorte Materializzarsi tra le tombe, vide il corpo di Cedric disteso a terra accanto alla Coppa.

Una o due volte, sembrò che Sirius fosse sul punto di parlare, stringendo la spalla di Harry, ma Silente glielo impedì con un cenno. Harry ne fu felice, perché era più facile andare avanti ora che aveva cominciato. Fu perfino un sollievo, come se qualcosa di velenoso gli venisse sottratto. Continuare a parlare gli costò ogni briciola di determinazione che possedeva, ma capiva che una volta finito si sarebbe sentito meglio.

Quando Harry disse che Codaliscia lo aveva ferito al braccio col pugnale, comunque, Sirius reagì con veemenza; e Silente si alzò così in fretta che Harry sobbalzò: fece il giro della scrivania e chiese a Harry di tendere il braccio. Harry mostrò a entrambi il punto in cui la veste era strappata e il taglio sotto la stoffa.

«Ha detto che il mio sangue lo avrebbe rafforzato più di quello di chiunque altro» disse Harry. «Ha detto che la protezione che mia… mia madre aveva lasciato su di me… che si sarebbe preso anche quella. E aveva ragione: è riuscito a toccarmi senza farsi del male, mi ha toccato la faccia».

Per un rapido istante, Harry credette di aver visto qualcosa di simile a un lampo di trionfo negli occhi di Silente. Ma un attimo dopo fu certo di averlo solo immaginato, perché quando Silente tornò al suo posto, era più vecchio e stanco che mai.

«Molto bene» disse, sedendo di nuovo. «Voldemort ha superato quel particolare ostacolo. Harry, vai avanti, ti prego».

Harry riprese; spiegò come Voldemort era sorto dal calderone e riferì tutto ciò che ricordava del discorso di Voldemort ai Mangiamorte. Poi raccontò come lo aveva slegato, gli aveva restituito la bacchetta e si era preparato al duello.

Ma quando giunse al punto in cui il raggio di luce d’oro aveva unito la sua bacchetta a quella di Voldemort, si ritrovò con la gola bloccata. Cercò di continuare a parlare, ma il ricordo di ciò che era scaturito dalla bacchetta di Voldemort gli invase la mente. Vide Cedric, vide il vecchio, Bertha Jorkins… sua madre… suo padre…

Fu contento quando Sirius ruppe il silenzio.

«Le bacchette si sono unite?» chiese, guardando Harry e poi Silente. «Perché?»

«Prior Incantatio» mormorò Silente, con aria assorta.

I suoi occhi fissarono quelli di Harry e fu come se una scintilla scoccasse fra di loro.

«L’Incantesimo Reversus?» disse Sirius bruscamente.

«Proprio così» rispose Silente. «La bacchetta di Harry e quella di Voldemort hanno la stessa anima. Entrambe contengono una piuma della coda della stessa fenice. Di questa fenice, in effetti» aggiunse, indicando l’uccello oro e scarlatto appollaiato tranquillo sul ginocchio di Harry.

«La piuma che c’è dentro la mia bacchetta è di Fanny?» domandò Harry, sbalordito.

«Sì» rispose Silente. «Il signor Ollivander mi ha scritto per dirmi che avevi comprato la seconda bacchetta nell’istante in cui sei uscito dal suo negozio quattro anni fa».

«E che cosa succede quando una bacchetta incontra sua sorella?» chiese Sirius.

«Non funzionano correttamente l’una contro l’altra» rispose Silente. «E se i loro proprietari costringono le bacchette a scontrarsi… si verifica un effetto molto raro.

«Una delle bacchette costringe l’altra a emettere gli incantesimi che ha operato — al contrario. Prima il più recente… e poi quelli che l’hanno preceduto…»

Rivolse a Harry uno sguardo interrogativo, e Harry annuì.

«Il che significa» disse Silente lentamente, gli occhi fissi sul volto di Harry, «che Cedric dev’essere riapparso sotto qualche forma».

Harry annuì di nuovo.

«Diggory è tornato in vita?» chiese Sirius seccamente.

«Non esiste incantesimo che possa ridestare i morti» rispose Silente con gravità. «Tutto quello che può essersi verificato è una sorta di eco. Un’ombra del Cedric vivente che affiora dalla bacchetta… dico bene, Harry?»

«Mi ha parlato» rispose Harry. Che all’improvviso tremava di nuovo. «Il… il fantasma di Cedric, o quello che era, ha parlato».

«Un’eco» disse Silente, «che ha mantenuto l’aspetto e il carattere di Cedric. Immagino che siano apparse altre forme del genere… vittime meno recenti della bacchetta di Voldemort…»

«Un vecchio» disse Harry, la gola ancora serrata. «Bertha Jorkins. E…»

«I tuoi genitori?» chiese piano Silente.

«Si».

La stretta di Sirius sulla spalla di Harry si fece così forte da fargli male.

«Gli ultimi omicidi compiuti dalla bacchetta» disse Silente annuendo. «In ordine inverso. Ne sarebbero comparsi altri, naturalmente, se tu avessi mantenuto il contatto. Allora, Harry, questi echi, queste ombre… che cos’hanno fatto?»

Harry raccontò come le sagome spuntate dalla bacchetta si erano spinte al limitare della rete d’oro, come Voldemort sembrava averne paura, come l’ombra di suo padre gli aveva detto cosa fare, e quella di Cedric aveva espresso il suo ultimo desiderio.

A quel punto, Harry scoprì di non poter continuare. Cercò lo sguardo di Sirius, e vide che aveva il viso nascosto tra le mani.

Si accorse all’improvviso che Fanny non era più sul suo ginocchio. La fenice si era posata a terra. La bella testa indugiò contro la gamba di Harry, e grosse lacrime simili a perle stillarono dagli occhi sulla ferita inflitta dal ragno. Il dolore svanì. La pelle guarì. La gamba tornò sana.

«Lo dirò ancora» disse Silente, mentre la fenice spiccava il volo e si posava di nuovo sul trespolo vicino alla porta. «Questa notte hai dato prova di un coraggio ben superiore a quanto mi sarei aspettato da te, Harry. Hai dimostrato un coraggio pari a quello di coloro che sono morti combattendo Voldemort al massimo del suo potere. Ti sei fatto carico della responsabilità di un mago adulto e ti sei scoperto pari a lui — e ora ci hai dato ciò che abbiamo il diritto di aspettarci. Vieni con me in infermeria. Non voglio che torni in dormitorio stanotte. Una Pozione Sonnifera, e un po’ di pace… Sirius, ti andrebbe di restare con lui?»

Sirius annuì. Si trasformò di nuovo nel grosso cane nero e uscì dall’ufficio con Harry e Silente, scortandoli giù per una rampa di scale verso l’infermeria.

Quando Silente aprì la porta, Harry vide la signora Weasley, Bill, Ron e Hermione riuniti attorno a una Madama Chips dall’aria infastidita. A quanto pareva, volevano sapere da lei dov’era Harry e che cosa gli era successo.

Tutti quanti si voltarono di scatto all’ingresso di Harry, Silente e del cane nero, e la signora Weasley si lasciò sfuggire un grido soffocato. «Harry! Oh, Harry!»

Fece per correre da lui, ma Silente si frappose tra i due.

«Molly» disse, con una mano alzata, «ti prego, ascoltami un attimo. Harry questa notte ha vissuto esperienze terribili. Ha appena dovuto riviverle per me. Ora ha solo bisogno di sonno, pace e tranquillità. Se desidera che tutti voi restiate con lui» aggiunse, guardando Ron, Hermione e anche Bill, «potete farlo. Ma non voglio che gli facciate domande finché non sarà pronto a rispondere, e certo non stasera».

La signora Weasley annuì. Era molto pallida.

Si voltò verso Ron, Hermione e Bill come se stessero facendo baccano e sibilò: «Sentito? Ha bisogno di calma!»

«Preside» disse Madama Chips, fissando il cane nero, «posso chiedere che cosa…?»

«Questo cane rimarrà con Harry per un po’» si limitò a dire Silente. «Le garantisco che è molto beneducato. Harry… aspetterò che tu vada a letto».

Harry provò per Silente un moto inesprimibile di gratitudine per aver chiesto agli altri di non fargli domande. Non perché non li volesse lì, ma il pensiero di rispiegare tutto, l’idea di riviverlo un’altra volta era più di quanto potesse sopportare.

«Tornerò a trovarti non appena avrò visto Caramell, Harry» disse Silente. «Vorrei che tu rimanessi qui domani, finché non avrò parlato alla scuola». E uscì.

Mentre Madama Chips lo accompagnava a un letto vicino, Harry vide il vero Moody disteso immobile all’estremità della stanza. La gamba di legno e l’occhio magico erano posati sul comodino.

«Sta bene?» chiese Harry.

«Si rimetterà» disse Madama Chips. Diede a Harry un pigiama e tirò le tende. Lui si svestì, s’infilò il pigiama e andò a letto. Ron, Hermione, Bill, la signora Weasley e il cane nero spostarono le tende e sedettero al suo fianco. Ron e Hermione lo fissavano quasi guardinghi, come se avessero paura di lui.

«Sto bene» disse loro. «Sono solo stanco».

Gli occhi della signora Weasley si riempirono di lacrime mentre lisciava senza motivo il copriletto.

Madama Chips, che era sparita alla volta del suo ufficio, tornò con un calice e vi versò una pozione viola da una bottiglietta.

«Devi berla tutta, Harry» disse. «È una pozione che assicura un sonno senza sogni».

Harry prese il calice e bevve qualche sorsata. Gli venne subito sonno. Tutto attorno a lui divenne sfuocato: sembrava che le lampade dell’infermeria ammiccassero attraverso le tende, sembrava che il suo corpo affondasse sempre più giù nel calore del materasso di piuma. Prima ancora di finire la pozione, prima di poter dire un’altra parola, la stanchezza lo fece sprofondare nel sonno.

* * *

Harry si svegliò così caldo e sonnolento che non aprì gli occhi: voleva riaddormentarsi subito. La stanza era ancora illuminata fiocamente. Doveva essere ancora notte, e aveva l’impressione di non aver dormito molto.

Poi udì dei sussurri attorno a lui.

«Lo sveglieranno se non stanno zitti!»

«Perché urlano? Non può essere successo qualcos’altro, vero?»

Hany aprì gli occhi e vide tutto velato. Qualcuno gli aveva tolto gli occhiali. Distinse la sagoma confusa della signora Weasley e di Bill molto vicino a lui. La signora Weasley era in piedi.

«È la voce di Caramell» mormorò. «E questa è Minerva McGranitt, vero? Ma perché litigano?»

Ora anche Harry riusciva a sentirli: gente che gridava e correva verso l’infermeria.

«Increscioso, ma comunque, Minerva…» stava dicendo Cornelius Caramell ad alta voce.

«Non avresti mai dovuto portarlo nel castello!» urlò la McGranitt. «Quando lo scoprirà Silente…»

Harry udì spalancarsi le porte dell’infermeria. Senza che nessuno di quelli che si trovavano attorno al suo letto se ne accorgesse, Harry si alzò a sedere e inforcò gli occhiali.

Caramell entrò a grandi passi. La professoressa McGranitt e Piton lo seguivano da vicino.

«Dov’è Silente?» chiese Caramell alla signora Weasley.

«Non è qui» rispose lei seccamente. «Questa è un’infermeria, Ministro. Non crede che farebbe meglio a…»

Ma la porta si aprì e Silente avanzò lungo la corsia.

«Che cos’è successo?» chiese in tono brusco, spostando lo sguardo da Caramell alla professoressa McGranitt. «Perché disturbate queste persone? Minerva, mi meraviglio di te… ti avevo chiesto di fare la guardia a Barty Crouch…»

«Non c’è più bisogno di fargli la guardia, Silente!» strillò lei. «Ha provveduto il Ministro!»

Harry non aveva mai visto la professoressa McGranitt perdere il controllo a quel modo. Aveva le guance chiazzate di rosso e le mani strette a pugno; tremava dalla rabbia.

«Quando abbiamo detto al signor Caramell che avevamo catturato il Mangiamorte responsabile dei fatti di questa sera» disse Piton a bassa voce, «è stato come se fosse a rischio la sua sicurezza personale. Ha insistito per convocare un Dissennatore che lo scortasse dentro il castello. L’ha condotto su nell’ufficio dove Barty Crouch…»

«Io gliel’ho detto che lei non sarebbe stato d’accordo, Silente!» sbottò la professoressa McGranitt. «Gli ho detto che non avrebbe mai permesso a un Dissennatore di mettere piede nel castello, ma…»

«Mia cara signora!» ruggì Caramell, anche lui arrabbiato come Harry non lo aveva mai visto. «In qualità di Ministro della Magia, spetta a me decidere se desidero portare con me una scorta quando interrogo un elemento potenzialmente pericoloso…»

Ma la voce della professoressa McGranitt sovrastò quella di Caramell.

«Nell’istante in cui quel… quella cosa è entrata nella stanza» urlò puntando il dito verso Caramell e tremando tutta, «si è gettata su Crouch e… e…»

Harry provò una sensazione di gelo allo stomaco mentre la professoressa McGranitt si sforzava di trovare le parole per descrivere ciò che era successo. Non dovette finire la frase. Lui sapeva che cosa doveva aver fatto il Dissennatore. Aveva dato il suo bacio fatale a Barty Crouch. Gli aveva risucchiato l’anima dalla bocca. Era peggio che morto.

«Comunque, non è una gran perdita!» inveì Caramell. «Pare che sia responsabile di parecchie morti!»

«Ma ora non può testimoniare, Cornelius» disse Silente. Fissava Caramell con insistenza, come se lo vedesse chiaramente per la prima volta. «Non può spiegare il motivo per cui ha ucciso quelle persone».

«Perché le ha uccise? Be’, non è certo un mistero, o forse sì?» sbottò Caramell. «Era un pazzo furioso! Da ciò che mi hanno raccontato Minerva e Severus, era convinto di aver agito per ordine di Voi-Sapete-Chi!»

«Voldemort gli ha dato davvero degli ordini, Cornelius» disse Silente. «La morte di quelle persone è stata solo la conseguenza di un piano per restituire a Voldemort tutto il suo potere. Il piano è riuscito. Voldemort ha riavuto il suo corpo»,

Fu come se qualcuno avesse colpito Caramell in pieno viso con qualcosa di pesante. Stordito, sbattendo le palpebre, guardò Silente come se non riuscisse a credere a ciò che aveva appena sentito.

«Tu-Sai-Chi… di ritorno? Assurdo. Andiamo, Silente…» farfugliò.

«Come certo Minerva e Piton ti avranno detto» disse Silente, «abbiamo ascoltato la confessione di Barty Crouch. Sotto l’effetto del Veritaserum, ci ha raccontato come fu fatto uscire in segreto da Azkaban, e come Voldemort — dopo aver appreso da Bertha Jorkins che era ancora vivo — venne a liberarlo da suo padre e lo usò per catturare Harry. Il piano ha funzionato, ti dico. Crouch ha aiutato Voldemort a tornare».

«Senti, Silente» disse Caramell, e Harry rimase sbalordito vedendogli spuntare un sorrisetto, «tu… non puoi crederci veramente. Tu-Sai-Chi… di ritorno? Andiamo, andiamo… certo Crouch può aver creduto di agire per ordine di Tu-Sai-Chi… ma prendere sul serio la parola di un pazzo del genere, Silente…»

«Quando Harry stasera ha toccato la Coppa Tremaghi, è stato trasportato diritto da Voldemort» disse Silente deciso. «Ha assistito alla rinascita di Voldemort. Ti spiegherò tutto nel mio ufficio».

Poi cercò Harry con lo sguardo e vide che era sveglio, ma scosse il capo e disse: «Temo di non poterti permettere di interrogare Harry stanotte».

Quel bizzarro sorriso indugiò sulle labbra di Caramell. Guardò Harry, poi tornò a fissare Silente e disse: «Tu sei… ehm… disposto a credere alla parola di Harry, vero, Silente?»

Ci fu un istante di silenzio, interrotto dal ringhio di Sirius. I peli del collo erano ritti, e scopriva i denti contro Caramell.

«Certo che credo a Harry» disse Silente. Ora i suoi occhi dardeggiavano. «Ho ascoltato la confessione di Crouch, e ho sentito il resoconto di Harry: le due storie collimano e spiegano tutto ciò che è successo dopo che Bertha Jorkins è scomparsa l’estate scorsa».

Caramell aveva ancora quello strano sorriso. Di nuovo scoccò un’occhiata a Harry prima di replicare: «Sei disposto a credere che Voldemort sia tornato fidandoti della parola di un pazzo assassino e di un ragazzo che… be’…»

Caramell guardò ancora Harry che all’improvviso capì.

«Lei ha letto gli articoli di Rita Skeeter, signor Caramell» disse piano.

Ron, Hermione, la signora Weasley e Bill sobbalzarono. Nessuno di loro si era accorto che Harry era sveglio.

Caramell arrossi un po’, ma assunse un cipiglio caparbio e insolente.

«E allora?» disse, guardando Silente. «E se avessi scoperto che hai taciuto certi fatti riguardanti il ragazzo? Parla Serpentese, eh? E ha degli strani attacchi ovunque si trovi…»

«Suppongo che tu ti riferisca al dolore che Harry prova alla cicatrice» disse Silente imperturbabile.

«Allora ammetti che quei dolori li ha avuti e li ha?» disse Caramell in fretta. «Mal di testa? Incubi? Magari… allucinazioni?»

«Ascoltami, Cornelius» disse Silente, facendo un passo verso Caramell, e ancora una volta parve emanare quell’indefinibile aura di potere che Harry aveva avvertito dopo che aveva stordito il giovane Crouch. «Harry è sano quanto te e me. Quella cicatrice che porta sulla fronte non ha danneggiato il suo cervello. Credo che gli faccia male quando Voldemort è vicino, o si sente particolarmente in vena di uccidere».

Caramell fece un passo indietro, ma non parve meno ostinato. «Mi perdonerai, Silente, ma ho già sentito parlare di una cicatrice da maledizione che si comporta come un campanello d’allarme…»

«Senta, io ho visto Voldemort tornare!» gridò Harry. Cercò di scendere dal letto, ma la signora Weasley lo trattenne. «Ho visto i Mangiamorte! Posso dirvi i loro nomi! Lucius Malfoy…»

Piton fece un movimento improvviso, ma mentre Harry lo guardava, i suoi occhi tornarono su Caramell.

«Malfoy è stato scagionato!» esclamò Caramell, visibilmente offeso. «Una famiglia molto antica… donazioni per iniziative eccellenti…»

«Macnair!» continuò Harry.

«Scagionato anche lui! Ora lavora per il Ministero!»

«Avery… Nott… Tiger… Goyle…»

«Stai solo ripetendo i nomi di coloro che furono accusati di essere Mangiamorte tredici anni fa!» esclamò Caramell irato. «Puoi benissimo aver letto quei nomi nelle vecchie cronache dei processi! Per l’amor del cielo, Silente, il ragazzo ci ha rifilato una storia pazzesca anche alla fine dell’anno scorso, le sue frottole stanno diventando sempre più colossali, e tu le bevi ancora! Il ragazzo sa parlare con i serpenti, Silente, e tu credi ancora che sia degno di fiducia?»

«Idiota!» urlò la professoressa McGranitt. «Cedric Diggory! Crouch! La loro morte non è stata l’opera casuale di un pazzo!»

«Non vedo alcuna prova del contrario!» urlò Caramell con uguale rabbia, paonazzo in volto. «A me pare che siate tutti decisi a diffondere un’ondata di terrore che metterà in serio pericolo tutto ciò per cui abbiamo lavorato in questi tredici anni!»

Harry non riusciva a credere alle sue orecchie. Aveva sempre pensato a Caramell come a un uomo gentile, un po’ chiassoso, un po’ pomposo, ma fondamentalmente buono. E ora davanti a lui c’era un piccolo mago iroso, che si rifiutava categoricamente di accettare l’idea che il suo comodo mondo tranquillo potesse venire turbato… che si rifiutava di credere che Voldemort potesse essere risorto.

«Voldemort è tornato» ripeté Silente, «Se accetti immediatamente questo fatto, Caramell, e prendi i provvedimenti necessari, può darsi che siamo ancora in tempo a salvare la situazione. Il primo passo, il più importante, è sottrarre Azkaban al controllo dei Dissennatori…»

«Assurdo!» urlò di nuovo Caramell. «Destituire i Dissennatori! Mi caccerebbero via solo per averlo suggerito! Metà di noi dormono sonni tranquilli solo perché sanno che i Dissennatori fanno la guardia ad Azkaban!»

«Tutti gli altri dormono sonni meno tranquilli, Cornelius, sapendo che hai affidato i più pericolosi seguaci di Voldemort alla sorveglianza di creature che si uniranno a lui nell’istante in cui lui glielo chiederà!» disse Silente. «Non rimarranno fedeli a te, Caramell! Voldemort può offrire loro molte più opportunità di te, la possibilità di esercitare il loro potere e di divertirsi! Con i Dissennatori dalla sua, e l’appoggio dei suoi vecchi sostenitori, farai molta fatica a impedirgli di riconquistare il potere che aveva tredici anni fa!»

Caramell apriva e chiudeva la bocca come se le parole non riuscissero a esprimere la sua indignazione.

«La seconda misura che devi prendere, e subito» lo incalzò Silente, «è mandare messaggeri ai giganti».

«Messaggeri ai giganti?» strillò Caramell, ritrovando la favella. «Che follia è questa?»

«Tendi loro la mano dell’amicizia, ora, prima che sia troppo tardi» disse Silente, «o Voldemort li convincerà, come ha fatto in passato, che lui solo tra i maghi potrà restituire loro diritti e libertà!»

«Tu… non puoi parlare seriamente!» esclamò Caramell con voce soffocata, scuotendo la testa e arretrando ancora da Silente «Se la comunità magica avesse sentore del fatto che ho avvicinato i giganti… la gente li odia, Silente… la fine della mia carriera…»

«Sei accecato» disse Silente alzando la voce, l’aura di potere palpabile attorno a lui, gli occhi dardeggianti, «dall’amore per la poltrona che occupi, Cornelius! Dai troppa importanza, come hai sempre fatto, alla cosiddetta purezza di sangue! Non riesci a vedere che non è importante ciò che si è alla nascita, ma ciò che si diventa! Il tuo Dissennatore ha appena distrutto l’ultimo membro di una famiglia di sangue purissimo e quanto mai antica — e guarda che cos’ha scelto di fare quell’uomo della sua vita! Te lo dico ora: prendi i provvedimenti che ti ho suggerito, e verrai ricordato come uno dei più grandi e coraggiosi Ministri della Magia che abbiamo mai avuto. Scegli di non agire, e la storia ti ricorderà come l’uomo che si è fatto da parte, quello che ha concesso a Voldemort una seconda possibilità di distruggere il mondo che abbiamo cercato di ricostruire!»

«Follia» borbottò Caramell, indietreggiando ancora. «È pazzo…»

E poi calò il silenzio. Madama Chips era immobile ai piedi del letto, le mani sulla bocca. La signora Weasley era ancora accanto a Harry, la mano posata sulla sua spalla per impedirgli di alzarsi. Bill, Ron e Hermione fissavano Caramell, sbalorditi.

«Se la tua ostinazione nel chiudere gli occhi ti conduce a questo, Cornelius» rispose Silente, «allora qui le nostre strade si dividono. Devi comportarti come ritieni giusto. E io… io mi comporterò come ritengo giusto».

La voce di Silente non aveva alcun cenno di minaccia, suonava come una pura constatazione, ma Caramell s’irrigidì come se Silente avanzasse verso di lui con la bacchetta sfoderata.

«Ora, senti un po’, Silente» disse, agitando un dito minaccioso. «Ti ho lasciato carta bianca, sempre. Ho nutrito molto rispetto per te. Posso anche non essermi trovato d’accordo con alcune tue decisioni, ma sono stato generoso. Non sono molti coloro che ti avrebbero permesso di assumere lupi mannari, o di tenere Hagrid, o di decidere cosa insegnare ai tuoi studenti senza risponderne al Ministero. Ma se hai intenzione di agire contro di me…»

«Il solo contro cui intendo agire» lo interruppe Silente, «è Voldemort. Se sei contro di lui, Cornelius, allora restiamo dalla stessa parte».

A questo, Caramell parve non trovare risposta. Oscillò avanti e indietro sui piccoli piedi per un attimo, rigirando la bombetta tra le mani.

Alla fine, con un cenno di supplica nella voce, disse: «Non può essere tornato, Silente, non è possibile…»

Piton si fece avanti e superò Silente, sollevando la manica della veste. Tese l’avambraccio e lo mostrò a Caramell, che si ritrasse.

«Ecco» disse Piton con voce roca. «Ecco. Il Marchio Nero. Non è netto come un’ora fa, quando è diventato scuro, ma si vede ancora. Ogni Mangiamorte è stato marchiato a fuoco così dal Signore Oscuro. Era un modo per riconoscerci, e per convocarci a lui. Quando lui toccava il Marchio di qualunque Mangiamorte, dovevamo Smaterializzarci, e Materializzarci immediatamente al suo fianco. È dall’inizio dell’anno che questo Marchio ha cominciato a diventare più evidente. Anche quello di Karkaroff. Perché crede che Karkaroff sia fuggito stanotte? Abbiamo sentito entrambi il marchio bruciare. Abbiamo capito entrambi che era tornato. Karkaroff teme la vendetta del Signore Oscuro. Ha tradito troppi dei suoi vecchi compagni per essere certo di essere il benvenuto».

Caramell si allontanò anche da Piton. Scosse la testa. Pareva che non avesse capito una parola di quello che Piton aveva detto. Fissò, apparentemente disgustato, l’orrendo marchio sul braccio di Piton, poi alzò gli occhi verso Silente e sussurrò: «Non so a che cosa state giocando tu e i tuoi colleghi, Silente, ma ne ho abbastanza. Non ho altro da aggiungere. Mi metterò in contatto con te domani, per discutere la gestione di questa scuola. Ora devo tornare al Ministero».

Era quasi alla porta quando si fermò. Si voltò, ripercorse la corsia e si fermò davanti al letto di Harry.

«La tua vincita» disse asciutto, estrasse un sacchetto gonfio dalla tasca e lo lasciò cadere sul comodino di Harry. «Mille galeoni. Doveva esserci una cerimonia di consegna, ma date le circostanze…»

Si premette la bombetta in testa e uscì dalla stanza, sbattendo la porta. Non appena se ne fu andato, Silente si rivolse al gruppo che attorniava il letto di Harry.

«C’è del lavoro da fare» disse. «Molly… ho ragione di credere di poter contare su di te e su Arthur?»

«Ma cerco» rispose la signora Weasley. Era pallidissima, ma decisa. «Lui sa com’è fatto Caramell. È solo per passione per i Babbani che Arthur è rimasto al Ministero per tutti questi anni. Caramell è convinto che ad Arthur manchi il doveroso orgoglio di mago».

«Allora ho bisogno di mandargli un messaggio» disse Silente. «Tutti coloro che riusciamo a convincere della verità devono essere avvertiti immediatamente, e Arthur è in una buona posizione per avvicinare i membri del Ministero che non sono miopi come Cornelius».

«Vado io da papà» disse Bill, alzandosi. «Ci vado subito».

«Ottimo» disse Silente. «Raccontagli cos’è successo. Digli che fra breve mi metterò direttamente in contatto con lui. Dovrà comportarsi con discrezione, però. Se Caramell pensasse che interferisco…»

«Lasci fare a me» disse Bill.

Batté una mano sulla spalla di Harry, baciò sua madre sulla guancia, s’infilò il mantello e uscì rapido dalla stanza.

«Minerva» disse Silente, rivolto alla professoressa McGranitt, «voglio vedere Hagrid nel mio ufficio il più presto possibile. E anche — se acconsente a venire — Madame Maxime».

La professoressa McGranitt annuì, e uscì senza una parola.

«Poppy» disse Silente a Madama Chips, «saresti così gentile da scendere nell’ufficio del professor Moody? Credo che troverai un’elfa domestica di nome Winky in uno stato di profonda prostrazione. Fai quello che puoi per lei, e riaccompagnala in cucina. Credo che Dobby si occuperà di lei».

«Molto… molto bene» disse Madama Chips allarmata, e uscì.

Silente si assicurò che la porta fosse chiusa, e che i passi di Madama Chips si fossero spenti, prima di parlare di nuovo.

«E ora» disse «è venuto il momento che due di noi si riconoscano per ciò che sono. Sirius… ti prego di riprendere il tuo solito aspetto».

Il grosso cane nero guardò Silente, poi, in un attimo, si trasformò in un uomo.

La signora Weasley urlò e fece un balzo indietro.

«Sirius Black!»

«Mamma, zitta!» gridò Ron. «È un amico!»

Piton non aveva urlato né si era ritratto, ma aveva un’espressione di rabbia mista a terrore.

«Lui!» ringhiò, fissando Sirius, il cui volto esprimeva altrettanto disgusto. «Che cosa ci fa qui?»

«È qui dietro mio invito» spiegò Silente, spostando lo sguardo dall’uno all’altro, «come te, Severus. Ho fiducia in tutti e due. È ora che mettiate da parte i vecchi dissapori e vi fidiate l’uno dell’altro».

Per Harry, Silente chiedeva quasi un miracolo. Sirius e Piton si squadravano con il più profondo disprezzo.

«Per il momento, mi basterà» disse Silente con un filo d’impazienza «che evitiate ogni aperta ostilità. Stringetevi la mano. Ora state dalla stessa parte. Abbiamo poco tempo, e se i pochi che sanno la verità non restano uniti, non c’è speranza per nessuno di noi».

Molto lentamente — ma senza smettere di scrutarsi torvi, come se ognuno augurasse all’altro ogni male — Sirius e Piton avanzarono e si strinsero la mano. Si separarono molto in fretta.

«Per andare avanti questo basterà» disse Silente, e si mise di nuovo tra i due. «Ora ho un compito per entrambi. L’atteggiamento di Caramell, anche se non giunge inaspettato, cambia tutto. Sirius, ho bisogno che tu parta subito. Devi avvertire Remus Lupin, Arabella Figg, Mundungus Fletcher — il vecchio gruppo. Nasconditi da Lupin per un po’, ti cercherò lì».

«Ma…» intervenne Harry.

Voleva che Sirius restasse. Non voleva dirgli di nuovo addio così presto.

«Mi rivedrai molto presto, Harry» gli disse Sirius. «Te lo prometto. Ma devo fare quello che posso, capisci, vero?»

«Sì» disse Harry. «Sì… certo che capisco».

Sirius gli afferrò la mano, fece un cenno a Silente, si trasformò di nuovo nel cane nero e con un balzo fu alla porta. Abbassò la maniglia con una zampa. Poi sparì.

«Severus» disse Silente rivolto a Piton, «sai che cosa devo chiederti di fare. Se sei pronto… se sei in grado…»

«Lo sono» disse Piton.

Era un po’ più pallido del solito e i suoi freddi occhi neri erano animati da uno strano scintillio.

«Allora, buona fortuna» disse Silente, e con una traccia di preoccupazione sul viso guardò Piton scomparire silenziosamente.

Passarono parecchi minuti prima che Silente parlasse di nuovo.

«Devo andare giù» disse alla fine. «Devo vedere i Diggory. Harry… prendi il resto della pozione. Vi rivedrò tutti più tardi».

Harry ricadde sui cuscini. Hermione, Ron e la signora Weasley lo guardavano. Nessuno di loro parlò per parecchio tempo.

«Devi bere il resto della pozione, Harry» disse infine la signora Weasley. Nel prendere la bottiglietta e il calice sfiorò con la mano il sacco pieno d’oro sul comodino. «Dormi. Cerca di pensare a qualcos’altro per un po’… pensa a quello che comprerai con la tua vincita!»

«Non voglio quell’oro» disse Harry con voce inespressiva. «Prendetelo voi. Chiunque può prenderlo. Non avrei dovuto vincerlo. Doveva essere di Cedric».

Quello contro cui aveva lottato fin da quando era uscito dal labirinto minacciava ora di sopraffarlo. Avvertì un bruciore, come un solletico agli angoli interni degli occhi. Sbatté le palpebre e fissò il soffitto.

«Non è stata colpa tua, Harry» sussurrò la signora Weasley.

«Gli ho detto di prendere la Coppa insieme a me» disse Harry.

Ora il bruciore gli aveva invaso anche la gola. Si augurò che Ron stesse guardando da un’altra parte.

La signora Weasley posò la pozione sul comodino, si chinò e circondò Harry con le braccia. Lui non ricordava di essere mai stato abbracciato così, come da una mamma. Il pieno significato di tutto ciò che aveva visto quella notte sembrò precipitargli addosso mentre la signora Weasley lo stringeva a sé. Il viso di sua madre, la voce di suo padre, la vista di Cedric a terra, morto, tutto prese a vorticare nella sua testa, finché non contrasse il viso per cercare di opporsi al grido di dolore che lottava per uscire dalla sua gola.

Si udì un rumore di porte sbattute. La signora Weasley e Harry si separarono. Hermione era in piedi vicino alla finestra. Teneva qualcosa stretto in mano.

«Mi dispiace» mormorò.

«La tua pozione» disse in fretta la signora Weasley, asciugandosi gli occhi col dorso della mano.

Harry la bevve in un sorso. L’effetto fu istantaneo. Onde pesanti e irresistibili di un sonno senza sogni gli si rovesciarono addosso. Ricadde nei cuscini, e non pensò più.

CAPITOLO 37

L’INIZIO

Ripensandoci, anche a un mese di distanza, Harry scoprì di ricordare molto poco dei giorni seguenti. Era come se ne avesse passate troppe per riuscire ad accettare altro. I ricordi che aveva erano molto dolorosi. Il peggiore, forse, fu l’incontro con i Diggory che ebbe luogo la mattina dopo.

Non lo accusarono di quanto era accaduto; al contrario, lo ringraziarono per aver restituito loro il corpo di Cedric. Il signor Diggory fu scosso dai singhiozzi per gran parte dell’incontro. Il dolore della signora Diggory pareva al di là delle lacrime.

«Allora ha sofferto pochissimo» disse, quando Harry le ebbe raccontato com’era morto Cedric. «E dopotutto, Amos… è morto quando aveva appena vinto il Torneo. Doveva essere felice».

Quando si furono alzati, guardò Harry e disse: «Adesso bada a te stesso».

Harry afferrò il sacco dell’oro sul comodino.

«Prendete questo» le sussurrò. «Doveva essere di Cedric, è arrivato per primo, prendetelo…»

Ma lei indietreggiò. «Oh, no, è tuo, caro, non potremmo… tienilo tu».

* * *

La sera seguente Harry tornò alla Torre di Grifondoro. Da quanto gli avevano raccontato Ron e Hermione, Silente aveva parlato a tutta la scuola quella mattina a colazione. Aveva semplicemente chiesto che lasciassero in pace Harry, che nessuno gli facesse domande o insistesse per farsi raccontare ciò che era successo nel labirinto. Moltissimi, osservò Harry, lo scansavano nei corridoi evitando il suo sguardo. Alcuni sussurravano al suo passaggio, nascondendo la bocca con la mano. Immaginò che molti di loro avessero creduto all’articolo di Rita Skeeter su quanto fosse disturbato e potenzialmente pericoloso. Forse stavano elaborando le loro teorie sulla morte di Cedric. Scoprì che non gliene importava granché. La cosa migliore era stare con Ron e Hermione mentre loro parlavano di altre cose, oppure lo lasciavano star lì in silenzio mentre giocavano a scacchi. Era come se tutti e tre avessero stretto un patto che non aveva bisogno di parole. Ciascuno di loro era in attesa di un segnale, una parola su quanto stava succedendo al di fuori di Hogwarts, ed era inutile fare congetture finché non avessero saputo qualcosa di certo. L’unica volta che affrontarono l’argomento fu quando Ron disse a Harry dell’incontro che la signora Weasley aveva avuto con Silente appena prima di tornare a casa.

«È andata a chiedergli se quest’estate potevi venire subito da noi» disse. «Ma lui vuole che tu torni dai Dursley, almeno per ora».

«Perché?» chiese Harry.

«Ha detto che Silente ha le sue buone ragioni» disse Ron, scuotendo la testa cupamente. «Immagino che dobbiamo avere fiducia in lui, no?»

A parte Ron e Hermione, l’unica persona con cui Harry riusciva a parlare era Hagrid. Dal momento che non c’era più un insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, quelle ore di lezione erano rimaste vuote. Usarono quella del giovedì pomeriggio per andare a trovarlo alla sua capanna. Era una giornata limpida e soleggiata; Thor scattò fuori dalla porta aperta sentendoli avvicinarsi, abbaiando e scodinzolando come un matto.

«Chi è?» gridò Hagrid, avvicinandosi alla soglia. «Harry!»

Andò loro incontro, abbracciò forte Harry, gli spettinò i capelli e disse: «È bello vederti, amico. È bello vederti».

Una volta entrati, videro due tazzine grandi come secchi con il loro piattino troneggiare sul tavolo di legno davanti al camino.

«Stavo bevendo una tazza con Olympe» disse Hagrid, «è appena andata via».

«Chi?» chiese Ron incuriosito.

«Madame Maxime, naturale!» rispose Hagrid.

«Voi due avete fatto la pace, vero?» disse Ron.

«Non so di cosa stai parlando» disse Hagrid in tono leggero, prendendo altre tazze dalla credenza. Quando ebbe preparato il tè ed ebbe offerto un vassoio di biscotti pastosi, si abbandonò contro lo schienale della sedia e osservò Harry da vicino con i suoi occhi nerissimi.

«Stai bene?» chiese con voce burbera.

«Sì» rispose Harry.

«No, non è vero» disse Hagrid. «Certo che no. Ma ti rimetterai».

Harry tacque.

«Lo sapevo che tornava» disse Hagrid. Harry, Ron e Hermione lo guardarono spaventati. «Lo sapevo da anni, Harry. Lo sapevo che era là fuori ad aspettare l’occasione buona. Doveva succedere. Be’, adesso è successo, e dobbiamo andare avanti. Combatteremo. Forse ce la facciamo a fermarlo in tempo. Questo è il piano di Silente, comunque. Grand’uomo, Silente. Finché abbiamo lui, non sono preoccupato».

Hagrid sollevò le sopracciglia cespugliose notando l’espressione incredula stampata sui volti dei tre amici.

«Non serve star qui a preoccuparsi» disse. «Quel che sarà sarà, e lo affronteremo quando è il momento. Silente mi ha detto quello che hai fatto, Harry».

Il petto di Hagrid si gonfiò mentre guardava Harry. «Hai fatto quello che avrebbe fatto tuo padre, e non c’è lode più grande di questa».

Harry gli rispose con un sorriso. Era la prima volta da giorni che sorrideva.

«Che cosa ti ha chiesto di fare Silente, Hagrid?» gli chiese. «Ha mandato la professoressa McGranitt a chiedere a te e a Madame Maxime di incontrarlo… quella notte».

«Mi ha trovato un lavoretto per l’estate» disse Hagrid. «Segreto, però. Non dovrei parlarne, neanche con voi tre. Olympe… Madame Maxime forse viene con me. Credo che viene. Credo che l’ho convinta».

«Ha a che fare con Voldemort?»

Hagrid si ritrasse a sentir pronunciare quel nome.

«Può darsi» rispose evasivo. «Ora… volete venire con me a trovare l’ultimo Schiopodo? Stavo scherzando… stavo scherzando!» ripeté in fretta, guardando le loro facce.

* * *

Fu con il cuore oppresso che Harry preparò il baule la sera prima del suo ritorno a Privet Drive. Temeva il Banchetto d’Addio, che di solito era l’occasione per grandi festeggiamenti e il momento della proclamazione del vincitore della Coppa delle Case. Fin da quando era uscito dall’infermeria aveva evitato di entrare in Sala Grande quando era gremita, e aveva preferito mangiare quando era quasi vuota, per evitare gli sguardi dei suoi compagni.

Quando lui, Ron e Hermione entrarono nella Sala, videro subito che mancavano le consuete decorazioni. La Sala Grande di solito era addobbata con i colori della casa vincitrice in occasione della festa di fine anno. Quella sera, invece, c’erano stendardi neri sulla parete dietro il tavolo degli insegnanti. Harry capì subito che erano lì in segno di rispetto per Cedric.

Il vero Malocchio Moody era al tavolo degli insegnanti; la gamba di legno e l’occhio magico erano tornati al loro posto. Era estremamente nervoso, e sobbalzava tutte le volte che qualcuno gli rivolgeva la parola. Harry non poté biasimarlo: la sua paura di essere aggredito doveva essere ben aumentata in dieci mesi di prigionia nel proprio baule. La sedia del professor Karkaroff era vuota. Harry si chiese, mentre prendeva posto con gli altri di Grifondoro, dove si trovava in quel momento, e se Voldemort era riuscito a raggiungerlo.

Madame Maxime invece era lì. Era seduta vicino a Hagrid. Parlavano piano. Più in là, vicino alla professoressa McGranitt, c’era Piton. I suoi occhi indugiarono su Harry per un istante, mentre Harry ricambiava lo sguardo. La sua espressione era difficile da interpretare. Sembrava acido e sgradevole come sempre. Harry continuò a osservarlo anche dopo che lui ebbe distolto lo sguardo.

Che cos’era che Piton aveva fatto su ordine di Silente, la notte del ritorno di Voldemort? E perché… perché… Silente era così convinto che Piton fosse davvero dalla loro parte? Era la loro spia, l’aveva detto Silente nel Pensatoio. Piton era diventato una spia contro Voldemort, “a suo rischio e pericolo”. Era quello il compito che si era assunto di nuovo? Aveva preso contatto con i Mangiamorte, forse? Aveva finto di non essere mai davvero passato dalla parte di Silente, di aver semplicemente, come Voldemort stesso, aspettato l’occasione propizia?

Fu Silente, alzandosi a porre fine alle riflessioni di Harry. La Sala Grande, che era già meno rumorosa di quanto non fosse di solito al Banchetto d’Addio, cadde nel silenzio.

«Siamo alla fine» esordì Silente, facendo scorrere lo sguardo su tutti loro «di un altro anno».

Fece una pausa, e i suoi occhi si posarono sul tavolo di Tassorosso. Il loro era il tavolo più taciturno già da prima che Silente si alzasse, e i loro volti erano anche i più tristi e pallidi della Sala.

«Ci sono molte cose che vorrei dire a tutti voi stasera» disse Silente, «ma prima di tutto devo ricordare la perdita di una persona molto bella, che dovrebbe essere seduta qui» — e fece un gesto verso il tavolo di Tassorosso — «a godersi il Banchetto con noi. Vorrei che tutti voi, per favore, vi alzaste e brindaste a Cedric Diggory».

Obbedirono tutti; le panche grattarono per terra mentre tutti in Sala si alzavano e levavano i calici e ripetevano, in un solo, cupo rombo: «A Cedric Diggory».

Harry intravide Cho tra la folla. Le lacrime le rigavano il viso. Fissò il tavolo mentre tutti tornavano a sedere.

«Cedric era una persona che riuniva in sé molte delle qualità che distinguono la casa di Tassorosso» riprese Silente. «Era un amico buono e fedele, un gran lavoratore, credeva nel gioco leale. La sua morte ha toccato tutti voi, che lo conosceste o no. Credo che abbiate il diritto, dunque, di sapere esattamente com’è successo».

Harry alzò il capo e fissò Silente.

«Cedric Diggory è stato assassinato da Voldemort».

Un sussurro terrorizzato spazzò la Sala Grande. Tutti fissarono Silente increduli e atterriti. Lui rimase perfettamente calmo a guardarli confabulare, e poi tacere di nuovo.

«Il Ministero della Magia» riprese Silente, «non vorrebbe che ve lo dicessi. È possibile che alcuni dei vostri genitori si scandalizzeranno per ciò che ho fatto: perché non vogliono credere al ritorno di Voldemort, o perché sono convinti che non dovrei dirvelo, giovani come siete. È mia convinzione, tuttavia, che la verità sia generalmente preferibile alle menzogne, e che ogni tentativo di fingere che Cedric sia morto in seguito a un incidente, o a un errore da lui commesso, sia un insulto alla sua memoria».

Tutti quanti in Sala erano rivolti a Silente, stupefatti e sconvolti… o meglio, quasi tutti. Al tavolo di Serpeverde, Harry vide Draco Malfoy bofonchiare qualcosa a Tiger e Goyle. Harry sentì lo stomaco contrarsi per la rabbia, una rabbia folle e bruciante. Si costrinse a guardare di nuovo verso Silente.

«C’è qualcun altro che dev’essere ricordato in merito alla morte di Cedric» continuò Silente. «Naturalmente sto parlando di Harry Potter».

Un mormorio percorse la Sala Grande, mentre poche teste si voltavano dalla parte di Harry prima di tornare rapide a Silente.

«Harry Potter è riuscito a sfuggire a Voldemort» disse Silente. «Ha rischiato la vita per riportare il corpo di Cedric a Hogwarts. Ha dimostrato, in tutti i sensi, il coraggio che pochi maghi hanno mostrato nell’affrontare Voldemort, e per questo io gli rendo onore».

Silente si voltò con gravità verso Harry, e levò di nuovo il calice. Quasi tutti in Sala Grande lo imitarono subito. Mormorarono il suo nome, come avevano mormorato quello di Cedric, e bevvero alla sua salute. Ma da uno spazio vuoto tra le persone in piedi, Harry notò che Malfoy, Tiger, Goyle e molti degli altri Serpeverde erano rimasti seduti al loro posto in segno di sfida, senza toccare i calici. Silente, che dopotutto non possedeva occhi magici, non li vide.

Quando tutti si furono rimessi a sedere, Silente riprese: «Lo scopo del Torneo Tremaghi era di approfondire e promuovere l’intesa tra maghi. Alla luce di quanto è accaduto — il ritorno di Voldemort — questi legami sono più importanti che mai».

Silente spostò lo sguardo da Madame Maxime e Hagrid a Fleur Delacour e ai suoi compagni di Beauxbatons, a Viktor Krum e ai ragazzi di Durmstrang al tavolo di Serpeverde. Krum, osservò Harry, era guardingo, quasi spaventato, come se si aspettasse che Silente dicesse qualcosa di terribile.

«Tutti gli ospiti di questa Sala» disse Silente, e i suoi occhi indugiarono sugli studenti di Durmstrang, «saranno i benvenuti qui, in qualunque momento, quando vorranno venire. Ripeto ancora una volta a tutti voi: alla luce del ritorno di Voldemort, siamo forti solo se uniti, deboli se divisi.

«L’abilità di Voldemort nel seminare discordia e inimicizia è molto grande. Possiamo combatterla solo mostrando un legame altrettanto forte di amicizia e fiducia. Le differenze di abitudini e linguaggio non sono nulla se i nostri scopi sono gli stessi e i nostri cuori sono aperti.

«È mia convinzione — e non ho mai desiderato tanto di sbagliarmi — che stiamo tutti per affrontare tempi oscuri e difficili. Alcuni di voi in questa Sala hanno già subito terribili sofferenze a opera di Voldemort. Molte delle vostre famiglie sono state distrutte. Una settimana fa, uno studente ci è stato portato via.

«Ricordatevi di Cedric. Quando e se per voi dovesse venire il momento di scegliere tra ciò che è giusto è ciò che è facile, ricordate cos’è accaduto a un ragazzo che era buono, e gentile, e coraggioso, per aver attraversato il cammino di Voldemort. Ricordatevi di Cedric Diggory».

* * *

I bagagli di Harry erano pronti; Edvige era di nuovo rinchiusa nella sua gabbia, in cima al baule. Nella Sala d’Ingresso affollata, Harry, Ron e Hermione, insieme agli altri del quarto anno, aspettavano l’arrivo delle carrozze che li avrebbero portati alla stazione di Hosgmeade. Era un’altra bella giornata estiva. Harry suppose che quella sera al suo arrivo Privet Drive sarebbe stata calda e fronzuta, le aiuole un tripudio di colori. Ma il pensiero non gli suscitò alcuna gioia.

«Harry!»

Si voltò. Fleur Delacour saliva di corsa i gradini di pietra davanti al castello. Dietro di lei, lontano nel parco, Harry vide Hagrid aiutare Madame Maxime a mettere i finimenti a due cavalli giganti. La carrozza di Beauxbatons era pronta a partire.

«Au revoir, a presto» disse Fleur avvicinandosi con la mano tesa. «Spera di trovare lavoro qui, per ameliorare il mio inglese».

«È già ottimo» intervenne Ron con voce soffocata. Fleur gli sorrise, Hermione s’incupì.

«Arrivedersci, Harry» disse Fleur. «È stato un piascere conoscerti!»

L’umore di Harry non poté non migliorare un po’ mentre guardava Fleur correre nel prato verso Madame Maxime, i capelli argentei che scintillavano al sole.

«Chissà come faranno gli studenti di Durmstrang a tornare a casa» disse Ron. «Credete che siano in grado di governare la nave senza Karkaroff?»

«Karkaroff gofernafa un bel niente» disse una voce burbera. «Stava in sua cabina e faceva laforare noi». Krum era venuto a dire addio a Hermione. «Posso con te parlare uno momento?» le chiese.

«Oh… sì… certo» disse Hermione arrossendo, e spari con Krum tra la folla.

«È meglio se ti muovi!» le gridò dietro Ron. «Le carrozze saranno qui tra un attimo!»

Ma lasciò che fosse Harry a sorvegliare l’arrivo delle carrozze, e passò i minuti seguenti allungando il collo al di sopra della folla per cercare di vedere che cosa facevano Krum e Hermione. I due tornarono molto presto. Ron scoccò a Hermione uno sguardo penetrante, ma lei rimase impassibile.

«Mi piacefa Diggory» disse all’improvviso Krum a Harry. «È stato sempre gentile con me. Sempre. Anche se ero di Durmstrang — con Karkaroff» aggiunse, accigliato.

«Avete già un nuovo direttore?»

Krum alzò le spalle. Tese la mano come aveva fatto Fleur, strinse quella di Harry e poi quella di Ron.

Ron sembrava preda di un doloroso conflitto interiore. Krum aveva già cominciato ad allontanarsi, quando Ron non si trattenne più: «Mi fai l’autografo?»

Hermione distolse lo sguardo e sorrise alle carrozze senza cavalli che risalivano pesantemente il viale, mentre Krum, sorpreso ma lusingato, firmava un foglio di pergamena per Ron.

* * *

Durante il viaggio di ritorno a King’s Cross, il tempo non avrebbe potuto essere più diverso da quello del viaggio di andata. Non c’era nemmeno una nuvola in cielo. Harry, Ron e Hermione erano riusciti a trovare uno scompartimento tutto per loro. Leo era stato di nuovo nascosto sotto l’abito da sera di Ron, per impedirgli di continuare a ululare. Edvige dormicchiava, la testa sotto l’ala, e Grattastinchi era acciambellato su un sedile vuoto come un grosso, peloso cuscino rossiccio. Harry. Ron e Hermione parlarono più a lungo e più liberamente del resto della settimana, mentre il treno li portava sfrecciando verso sud. Era come se il discorso di Silente alla festa di fine anno avesse sbloccato Harry. Era meno doloroso, ora, discutere dell’accaduto. Solo all’arrivo del carrello del pranzo interruppero le loro congetture sui provvedimenti che forse in quello stesso momento Silente stava prendendo per fermare Voldemort.

Quando Hermione tornò dal carrello, rimise il denaro nella borsa dei libri e ne sfilò una copia della Gazzetta del Profeta.

Harry la guardò, senza sapere se voleva veramente scoprire che cosa c’era scritto, ma Hermione, intercettato il suo sguardo, disse tranquillamente: «Non c’è niente qui sopra. Puoi guardare anche tu, ma non c’è niente di niente. Controllo tutti i giorni. Solo un articoletto il giorno dopo la terza prova, che diceva che avevi vinto il Torneo. Non hanno nemmeno fatto cenno a Cedric. Non ne parlano proprio. Secondo me, Caramell li sta costringendo a starsene tranquilli».

«Non riuscirà mai a far stare tranquilla Rita» disse Harry. «Non con una storia del genere».

«Oh, Rita non ha scritto nemmeno una riga dalla terza prova» rispose Hermione, in tono stranamente controllato. «In effetti» aggiunse, e ora la sua voce ebbe un lieve tremito, «Rita Skeeter non scriverà proprio niente per un po’. A meno che non voglia che io vuoti il sacco su di lei».

«Ma che cosa stai dicendo?»

«Ho scoperto come faceva ad ascoltare le nostre conversazioni private quando non avrebbe dovuto nemmeno mettere piede nel parco» disse Hermione tutto d’un fiato.

Harry ebbe l’impressione che Hermione morisse dalla voglia di raccontarlo da giorni, ma che si fosse trattenuta per via dell’accaduto.

«Come faceva?» chiese subito Harry.

«Come hai fatto a scoprirlo?» chiese Ron, fissandola stupefatto.

«Be’, sei stato tu, veramente, a darmi l’idea, Harry» rispose lei.

«Io?» chiese Harry, perplesso. «E come?»

«Cimici» disse Hermione allegramente.

«Ma dicevi che non funzionavano…»

«Oh, non cimici elettroniche» disse Hermione. «No, vedete… Rita Skeeter» — la voce di Hermione tremò di tranquillo trionfo — «è un Animagus non iscritto al registro. Sa trasformarsi…» estrasse dalla borsa un barattolino di vetro sigillato. «… in uno scarabeo».

«Stai scherzando» disse Ron. «Non l’avrai… non sarà…»

«Oh, sì, invece» rispose Hermione trionfante, tendendo il barattolo verso di loro.

Dentro c’erano foglie, rametti e un grosso, grasso scarabeo.

«Non è possibile… stai scherzando…» sussurrò Ron. Prese il barattolo e lo avvicinò agli occhi.

«No che non scherzo» disse Hermione, raggiante. «L’ho catturata sul davanzale dell’infermeria. Guardate bene, e vedrete che i segni attorno alle antenne sono identici a quei suoi orrendi occhiali».

Harry guardò bene, e vide che aveva ragione. Gli venne in mente qualcosa. «C’era uno scarabeo sulla statua la notte che abbiamo sentito Hagrid raccontare di sua madre a Madame Maxime!»

«Proprio così» rispose Hermione. «E Viktor mi ha tolto uno scarabeo dai capelli dopo che avevamo parlato vicino al lago. E se non mi sbaglio di grosso, Rita era appollaiata sul davanzale dell’aula di Divinazione il giorno che ti faceva male la cicatrice. È tutto l’anno che ronza in giro in cerca di storie».

«Quando abbiamo visto Malfoy sotto quell’albero…» disse Ron lentamente.

«Stava parlando con lei, e la teneva in mano» spiegò Hermione. «Lui sapeva, naturalmente. È così che lei ha ottenuto tutte quelle belle intervistine con i Serpeverde. A loro non importava che lei facesse qualcosa di illegale, pur di raccontarle cose orribili su di noi e su Hagrid».

Hermione sfilò il barattolo dalla mano di Ron e sorrise allo scarabeo, che ronzò rabbioso contro il vetro.

«Le ho detto che la lascerò uscire quando saremo tornati a Londra» disse Hermione. «Ho imposto un Incantesimo Infrangibile sul barattolo, sapete, così non può trasformarsi. E le ho detto che deve tenere la piuma chiusa in borsetta per un anno intero. Vediamo se riesce a perdere l’abitudine di scrivere tremende bugie sulla gente».

Con un sorriso sereno, Hermione rimise il barattolo nella borsa dei libri. Poi la porta dello scompartimento si aprì.

«Davvero brillante, Granger» disse Draco Malfoy.

Tiger e Goyle erano alle sue spalle. Tutti e tre sembravano più compiaciuti, arroganti e minacciosi che mai.

«Allora» disse Malfoy lentamente, avanzando appena nello scompartimento e volgendo lo sguardo su di loro, un ghigno beffardo che gli increspava le labbra. «Tu hai catturato una giornalista patetica, e Potter è di nuovo il cocco di Silente. Magnifico».

Il ghigno si allargò. Tiger e Goyle si scambiarono un’occhiata complice.

«Stiamo cercando di non pensarci, vero?» continuò Malfoy con voce morbida, guardando tutti e tre, uno alla volta. «Stiamo cercando di far finta che non sia successo?»

«Fuori» disse Harry.

Non si era trovato vicino a Malfoy da quando l’aveva visto confabulare con Tiger e Goyle durante il discorso di Silente su Cedric. Udì qualcosa risuonargli nelle orecchie. La sua mano afferrò e strinse la bacchetta sotto la veste.

«Hai scelto il partito sbagliato, Potter! Ti avevo avvertito! Ti avevo detto che dovevi scegliere più attentamente i tuoi amici, ricordi? Quando ci siamo incontrati sul treno, il primo giorno di scuola? Ti avevo detto di non frequentare della plebaglia del genere!» E indicò con un cenno del capo Ron e Hermione. «Ora è troppo tardi, Potter! Saranno i primi a sparire, ora che il Signore Oscuro è tornato! Mezzosangue e Babbanofili saranno i primi! Be’… i secondi… Diggory è stato il p…»

Fu come se qualcuno avesse fatto esplodere una cassa di fuochi d’artificio nello scompartimento. Accecato dal bagliore degli incantesimi che erano schizzati da tutte le parti, assordato da una serie di scoppi, Harry strizzò le palpebre, e guardò sul pavimento.

Malfoy, Tiger e Goyle erano distesi sulla soglia, privi di sensi. Lui, Ron e Hermione erano in piedi. Ciascuno di loro aveva scagliato un incantesimo diverso. E non erano i soli.

«Avevamo pensato di venire a vedere che cos’avevano in mente quei tre» disse Fred in tono pratico, urtando Goyle per entrare nello scompartimento. Brandiva la bacchetta, e così George, che si premurò di inciampare in Malfoy mentre entrava alle spalle di Fred.

«Un risultato interessante» disse, guardando Tiger. «Chi è stato a usare l’Incantesimo Furnunculus?»

«Io» disse Harry.

«Curioso» disse George con leggerezza. «Io ho usato la Fattura Gambemolli. A quanto pare non bisognerebbe mescolarli. È come se gli fossero spuntati dei piccoli tentacoli su tutta la faccia. Be’, non lasciamoli qui, non fanno molto per migliorare l’arredamento».

Ron, Harry e George calciarono, rotolarono e spinsero i corpi svenuti di Malfoy, Tiger e Goyle — tutti e tre assai malridotti, visto il miscuglio di incantesimi che li avevano bersagliati — nel corridoio, poi tornarono nello scompartimento e chiusero la porta.

«Qualcuno vuole giocare a Spara Schiocco?» propose Fred, estraendo un mazzo di carte.

Erano nel bel mezzo della quinta partita quando Harry decise di fare la domanda.

«Allora, ce lo dite?» domandò, rivolto a George. «Chi stavate ricattando?»

«Oh» disse George cupo. «Quello».

«Non ha importanza» disse Fred, scuotendo il capo, spazientito. «Non era niente di importante. Ora non lo è, comunque».

«Abbiamo lasciato perdere» disse George, con una scrollata di spalle.

Ma Harry, Ron e Hermione continuarono a interrogarli, e finalmente Fred sbuffò: «Va bene, va bene, se proprio lo volete sapere… era Ludo Bagman».

«Bagman?» esclamò Harry in tono brusco. «State dicendo che era coinvolto nel…»

«Nooo» disse George, tetro. «Niente del genere. Quello sciocco idiota. Non avrebbe avuto abbastanza cervello».

«Be’, e allora?»

Fred esitò, poi disse: «Vi ricordate che avevamo scommesso con lui alla Coppa del Mondo di Quidditch? Che avrebbe vinto l’Irlanda, ma Krum avrebbe preso il Boccino?»

«Sì» dissero Harry e Ron lentamente.

«Be’, quell’idiota ci ha pagato con l’oro dei Lepricani che aveva preso alle mascotte dell’Irlanda».

«E allora?»

«E allora» ripeté Fred spazientito, «è sparito, no? La mattina dopo non c’era più!»

«Ma… dev’essere stato un incidente, no?» disse Hermione.

George scoppiò in una risata molto amara. «Sì, è quello che abbiamo pensato anche noi, all’inizio. Abbiamo pensato che scrivendogli, dicendogli che aveva fatto un errore, avrebbe sganciato i nostri soldi. Ma niente da fare. Ha ignorato la nostra lettera. Abbiamo cercato di parlargli un sacco di volte a Hogwarts, ma trovava sempre qualche scusa per sfuggirci».

«Alla fine, è diventato odioso» aggiunse Fred. «Ci ha detto che eravamo troppo giovani per il gioco d’azzardo, e che non ci avrebbe dato un bel niente».

«Allora abbiamo chiesto che ci restituisse il nostro denaro» disse George, arrabbiato.

«Non avrà rifiutato!» disse Hermione senza fiato.

«Proprio così» disse Fred.

«Ma erano tutti i vostri risparmi!» disse Ron.

«Non dirmelo» disse George. «Naturalmente alla fine abbiamo scoperto che cosa stava succedendo. Anche il padre di Lee Jordan ha fatto fatica a ottenere da Bagman il denaro che gli spettava. È venuto fuori che era nei pasticci con i goblin. Ha preso in prestito da loro un sacco di denaro. Una loro banda lo ha assalito nel bosco dopo la Coppa del Mondo e gli ha portato via tutto l’oro che aveva, e non è nemmeno bastato a coprire tutti i suoi debiti. L’hanno seguito fino a Hogwarts per tenerlo d’occhio. Ha perso tutto al gioco. Non ha più un galeone. E lo sapete quell’imbecille come ha cercato di risarcire i goblin?»

«Come?» chiese Harry.

«Ha puntato su di te, amico» disse Fred. «Ha fatto una grossa giocata, scommettendo che avresti vinto il Torneo. Contro i goblin».

«Allora è per quello che cercava di aiutarmi a vincere!» esclamò Harry. «Be’… ho vinto, no? Quindi può restituirvi il vostro denaro!»

«No» disse George, scuotendo il capo. «I goblin giocano sporco quanto lui. Dicono che tu hai pareggiato con Diggory, e Bagman aveva scommesso che saresti stato il primo assoluto. Cosi è dovuto fuggire. È scappato subito dopo la terza prova».

George sospirò ricominciando a distribuire le carte.

Il resto del viaggio fu abbastanza piacevole. Harry si scoprì a desiderare che continuasse per tutta l’estate, in modo da non arrivare mai a King’s Cross… ma come aveva imparato quell’anno nel modo più duro, il tempo non rallenta quando ti aspetta qualcosa di sgradevole, e ben presto — troppo presto — l’Espresso di Hogwarts rallentò e si fermò sul binario nove e tre quarti. Il rumore e la confusione consueti riempirono i corridoi mentre gli studenti cominciavano a scendere. Ron e Hermione scavalcarono con difficoltà Malfoy, Tiger e Goyle, trascinando i bauli.

Harry, invece, rimase indietro.

«Fred… George… aspettate un attimo».

I gemelli si voltarono. Harry aprì il baule ed estrasse la vincita del Tremaghi.

«Prendetelo» disse, e ficcò il sacchetto nelle mani di George.

«Cosa?» disse Fred, sbalordito.

«Prendetelo» ripeté Harry con decisione. «Io non lo voglio».

«Sei pazzo» disse George, cercando di restituirlo a Harry.

«No» disse Harry. «Prendetelo voi, e andate avanti con le vostre invenzioni. È per il negozio di scherzi».

«È pazzo» disse Fred, con sgomento.

«Sentite» disse Harry con fermezza. «Se non lo prendete voi, lo butto in un tombino. Non lo voglio e non mi serve. Ma un po’ di risate mi farebbero bene. Un po’ di risate farebbero bene a tutti. Ho la sensazione che ben presto ne avremo bisogno più del solito».

«Harry» disse George debolmente, soppesando il sacchetto con il denaro, «ci devono essere un migliaio di galeoni qui dentro».

«Sì» disse Harry, con un gran sorriso. «Pensa quante Crostatine Canarine fanno».

I gemelli lo fissarono stupefatti.

«Solo una cosa, non dite a vostra madre dove li avete presi… anche se può darsi che non abbia più tanta voglia di farvi entrare al Ministero, adesso che ci penso…»

«Harry» esordì Fred, ma Harry estrasse la bacchetta.

«Senti» disse in tono deciso, «prendilo, o ti sparo un incantesimo. Adesso ne so di belli. Fatemi solo un favore, ok? Comprate a Ron un abito da sera, e ditegli che è un regalo da parte vostra».

Uscì dallo scompartimento prima che potessero aggiungere qualcosa, scavalcando Malfoy, Tiger e Goyle, che erano ancora lunghi distesi, coperti di ammaccature di incantesimi.

Zio Vernon lo stava aspettando oltre la barriera. La signora Weasley era lì vicina. Abbracciò stretto Harry quando lo vide, e gli sussurrò all’orecchio: «Credo che Silente ti lascerà venire da noi più avanti. Teniamoci in contatto, Harry».

«Ci vediamo, Harry» disse Ron, dandogli una manata sulla schiena.

«Arrivederci, Harry!» esclamò Hermione, e poi fece una cosa che non aveva mai fatto prima: gli diede un bacio sulla guancia.

«Harry… grazie» borbottò George, mentre Fred annuiva al suo fianco.

Harry gli strizzò l’occhio, si voltò verso zio Vernon e lo seguì in silenzio fuori dalla stazione. Non era ancora il caso di preoccuparsi, si disse salendo sul sedile posteriore dell’auto dei Dursley.

Come aveva detto Hagrid, quel che sarà sarà… e quando fosse stato il momento, l’avrebbe affrontato.

FINE