«Cacciatore di libertà» è un esempio probante di quanto dicevamo nell’introduzione al volume, e cioè che la funzione sociale della fantascienza, nella sua disamina del futuro dell’umanità, deve essere quella di predire le possibili svolte della storia e degli sviluppi tecnologici, ma soprattutto di mostrarci come tali sviluppi influenzeranno la vita della gente. Poul Anderson, uno dei migliori nell’interpretare questo ruolo della fantascienza, considera, in questo umanissimo racconto, i probabili e cupi sviluppi delle nostre crisi ecologiche.

Poul Anderson

Cacciatore di liberta

Dopo aver messo in ordine, uscii fuori per dare un’occhiata alla serata. Mi ero trasferito qui solo da pochi giorni. Prima ero stato nei boschi. Ora mi trovavo al limitare della zona ricoperta dalla vegetazione, e avevo avuto appena il tempo di sistemarmi — rimontare la capanna e i mobili, esplorare la zona, disporre i rivelatori, far abituare i polmoni all’aria più fine. Stentavo ancora a trovare la mia giusta dimensione.

Mi mancavano i riflessi dorati del sole sulla soffice polvere marrone scuro, l’asprezza maschile e la dolce fragranza femminile dei pini e del loro verde che s’innalzava verso il cielo, un ruscello che mormorava e scintillava, il richiamo degli uccelli, e un vapiti dalle splendide corna che era diventato mio amico e prendeva il cibo dalle mie mani. (Gli piacevano molto le bucce di cetriolo. L’avevo chiamato Charlie.) Non si può vivere sei mesi in uno stesso luogo, passando dallo splendore dell’autunno al ferreo candore dell’inverno, per rinascere con la terra sotto l’alito della primavera — non si può farlo senza che qualcosa di quel luogo ti rimanga nelle ossa, per sempre.

Tuttavia avrei continuato a ricordare quella parte della regione, e quando Jo Madzeleski disse che non avrebbe potuto prolungare la mia permanenza, decisi di tornarci per tutto il tempo che restava. Questo faceva parte del mio piano; lei amava la natura quanto me, ma il suo cuore era tutto per le montagne, e questo l’avrebbe aiutata ad essere dell’umore giusto. Comunque, anch’io ero felice di esserci tornato. E mentre mi allontanavo dalla capanna, oltrepassando il mio rozzo velivolo, in modo che nulla di artificiale si trovasse tra me e il mondo, d’un tratto tutto il mio essere tornò ad appartenere completamente al luogo dove mi trovato.

Questa base si trovava in un prato alpino. L’erba cresceva folta ed umida, elastica sotto i piedi, trapuntata di margherite. Qua e là troneggiavano massi grandi come edifici, le pietre grigiastre erose dal ghiaccio che un tempo aveva scavato il piccolo lago che scintillava e si increspava poco lontano: per me era il segno che anch’io potevo partecipare dell’eternità. Tutto intorno, la catena di Wind River si stagliava con le sue vette innevate ed il blu intenso delle rocce in un cielo vertiginosamente profondo, nel quale vidi planare un’aquila. La luce del sole che spioveva da ovest, riuscendo in qualche modo ad addolcirlo; e le cime erano animate da ombre.

Sentivo l’odore delle piante, più austero che nella foresta, ma non meno intenso. Un pesce guizzò, ne vidi il rapido bagliore e un attimo dopo sentii il rumore dell’acqua, che turbò appena la quiete assoluta. Anche se non c’era una brezza vera e propria, sentivo l’aria accarezzarmi il viso.

Abbottonai il giaccone di lana scozzese, presi il necessario per fumare, e mi guardai intorno. Già un paio di volte avevo intravisto un orso. Sapevo che non era il caso di tentare un approccio con quell’animale come avevo fatto con Charlie, ma certo potevamo dividere il territorio amichevolmente, e se avessi imparato presto le sue abitudini avrei potuto collocare dei rivelatori e registrare la sua vita — e se era femmina, avrebbe avuto anche dei cuccioli…

No. Devi far ritorno alla civiltà alla fine di questa settimana. Ricordi?

Oh, ma potrei tornare.

Come in risposta a quel pensiero, sentii un rumore di eliche sopra di me. Crebbe fino a che non apparve un altro velivolo. Jo stava arrivando all’appuntamento prima del previsto. Le avevo detto: — Vieni a cena al tramonto — Ed eccola più presto di quanto sperassi. Il cuore mi batteva forte. Rimisi in tasca la pipa e la borsa del tabacco e camminai in fretta per andarle incontro.

Lei atterrò, e saltò giù dalla bolla prima che i motori si fossero fermati del tutto. I suoi movimenti erano sempre stati vivaci ed aggraziati. Per il resto non era granché: bassa, tarchiata, il naso schiacciato, gli occhi pallidi e tondi sotto i corti capelli neri. Per l’occasione aveva sostituito l’uniforme da guardiaboschi con una tuta aderente dai colori iridescenti: un abito che non poteva migliorarla granché, neanche se avesse saputo come indossarlo.

— Benvenuta — dissi, poi le strinsi entrambe le mani e le rivolsi un grande sorriso.

— Ciao. — Sembrava senza fiato. Il suo sorriso cominciò a riprendere colorito. — Come stai?

— Bene. Però mi dispiace andare via, naturalmente. — Feci un sorriso sarcastico, per cancellare ogni traccia di autocommiserazione.

Lei guardò altrove. — Stai per tornare da tua moglie. Non correre troppo. — Sei in anticipo, Jo. Vorrei che fosse già tutto pronto. Ora dovrai entrare e guardare mentre lavoro.

— Ti do una mano.

— Mai, quando sei mia ospite. Siedi, rilassati. — La presi per un braccio e la guidai verso la capanna.

Lei si lasciò sfuggire una risata incerta. — Hai paura che ti sia d’intralcio, Pete? Non ti preoccupare. Conosco queste unità scomponibili — dovrei, dopo tre anni…

Io sono qui da quattro, e questo dopo più di sei anni trascorsi in altre zone selvagge prima di decidere che questa era quella che volevo conoscere a fondo, perché per me era la più splendida di tutte.

— … e hanno solo un posto pratico dove mettere ogni genere di cose — stava dicendo lei. Poi si fermò, obbligandomi a fare lo stesso, scosse lievemente la testa, aspirò a fondo l’aria e il bagliore de! sole. — Per piacere, non voglio metterti fretta. È una serata così bella. Eri all’aperto a godertela.

Sottinteso: E non te ne sono rimaste molte, Pete. Il progetto di documentazione è terminato ufficialmente lo scorso anno. Sei l’ultimo dei pochissimi inviati che siano riusciti ad ottenere il permesso speciale di restare per finire le loro sequenze: e adesso, niente più ritardi, niente più proroghe, la parola d’ordine è «Tutti Fuori».

La mia risposta implicita: Eccetto voi guardie forestali. Un manipolo di persone con lauree in ecologia, biologia del territorio e chissà cos’altro… pochi privilegiati scelti tra un’orda di aspiranti… e questo vi dà il diritto di dettare legge?

— Be’ sì — dissi, e proseguii: — Me la godrò, specialmente ora che sono in compagnia.

— Grazie, molto gentile, signore. — Non le riuscì di sembrare allegra.

Le strinsi forte il braccio. — Sai, mi mancherai, Jo. Mi mancherai terribilmente. — Durante questo ultimo anno, mentre davo forma al mio progetto, l’avevo coltivata. Non solo partite a carte e lunghe conversazioni al sensifono; no, incontri in carne ed ossa per fare escursioni, passeggiate, picnic, pesca, per studiare gli uccelli, i cervi, le stelle. Un inviato diventa bravo a coltivarsi la gente, ed anche se negli ultimi dieci anni avevo avuto poche occasioni di usarla, questa abilità non era svanita. Con la stessa facilità con cui respiravo, potevo mostrare interesse per le sue osservazioni piuttosto banali, le sue opinioni piuttosto melense… — Vieni a trovarmi quando avrai una vacanza.

— Oh, io… ti chiamerò ogni tanto… se a Marie non… dispiacerà.

— Volevo dire vieni di persona. L’immagine olografica, il suono stereo, anche l’odore e la temperatura ed ogni altro tipo di circuito che una persona può pagare per l’uso di… un sensifono non è la stessa cosa che avere un amico davanti a sé.

Lei sussultò. — Sarai in città.

— Non è poi così male — dissi col mio atteggiamento più spavaldo. — Appartamenti della grandezza giusta, molto più grandi di quella baracca di plastica laggiù. Insonorizzati. Aria filtrata e condizionata. Tutto l’agglomerato è schermato e pattugliato. Veicoli corazzati a disposizione per quando vuoi uscire.

— E una maschera per naso e bocca! — Disse lei, quasi soffocando.

— No, no, questo non è più necessario da un pezzo. Hanno ridotto la polvere, il monossido, i cancerogeni ad un livello, almeno nella mia città, che…

— I cattivi odori. I sapori. No, Pete, mi dispiace. Non sono un fiorellino delicato, ma le visite che sono obbligata a fare a Boswash sono il massimo che riesco a sopportare… dopo aver conosciuto questa regione.

— Anch’io sto pensando di trasferirmi in campagna — dissi. — Affittare un cottage in un’areagricola, sbrigare la maggior parte di lavoro via sensifono, senza bisogno di andare in città se non quando mi assegneranno l’incarico di documentare qualcosa laggiù.

Lei fece una smorfia. — Spesso mi capita di pensare che le areagricole siano peggiori di qualsiasi metropoli.

— Uh? — Fui sorpreso che lei potesse ancora sorprendermi.

— Oh, più pulite, più tranquille, meno pericolose, gli abitanti non sono costretti a rimanere gomito a gomito, è vero — ammise. — Ma almeno quella gente di città, frenetica, ringhiosa, tenace, ha una certa libertà, una certa… vitalità. Può anche essere la vita di un branco di topi, ma è autentica, ha un minimo di struttura, e di spontaneità e… Lontano dalle città, non è solo la natura ad essere irregimentata, ma anche la gente.

Be’, non so in che altro modo si potrebbero organizzare le cose per nutrire una popolazione mondiale di quindici miliardi di persone.

— Va bene — dissi. — Capisco. Ma questo argomento è deprimente. Facciamo due passi. Ho trovato delle genziane in fiore.

— Così presto nella stagione? Possiamo arrivarci a piedi? Mi piacerebbe vederle.

— Adesso sono troppo lontane, temo. Ho dovuto camminare per parecchi giorni. Comunque, lascia che ti mostri il cespuglio di mirtilli del luogo. Varrebbe la pena di visitarlo, vieni alla fine dell’estate.

Mentre le afferravo di nuovo il braccio, lei disse, in quel suo modo goffo, — Sei diventato un esperto, vero Pete?

— Difficile evitarlo — borbottai. — Dieci anni a raccogliere materiale sensitivo sul Sistema Riserve.

— Dieci anni… frequentavo ancora il liceo quando tu hai cominciato. Conoscevo soltanto i parchi regolari, dove si faceva la fila su un sentiero lastricato per vedere una sequoia o un geyser, e prenotavo il diritto di nuotare con un mese di anticipo. Mentre tu…

Le sue dita si chiusero intorno alle mie, forti e calde. — Non è giusto mettere fine alla tua permanenza.

— La vita non è mai «giusta».

Ce n’è maledettamente troppa di vita umana. Troppo poca di qualsiasi altra specie. E dobbiamo conservare un po’ di ambienti naturali, una riserva necessaria per quel che è rimasto dell’ecologia del pianeta; una fonte di conoscenza per i ricercatori che stanno tentando di imparare abbastanza su questa ecologia per salvarla prima del collasso definitivo; nessuno ne parla, ma è un concetto ben presente nella mente di chi ragiona, e cioè il fatto che se ci sarà il disastro, le riserve saranno l’ultimo vivaio di speranza della Terra.

— Voglio dire — proseguì Jo a fatica, — naturalmente aree come questa stavano per essere distrutte dalla folla: amate fino alla morte, come ha scritto qualcuno — così l’unica cosa da fare è stata quella di chiuderle a tutti, eccetto che a pochi custodi e scienziati, e questo era politicamente impossibile a meno che «tutti» non significasse tutti — Ah, sì, era tornata alla sua abitudine di passare in rassegna i più triti luoghi comuni. — E dopotutto, i documentari sensitivi che artisti come te hanno realizzato saranno sempre disponibili, e… — Il luogo comune svanì. — Tu non puoi ritornare, Pete! Mai più!

Le sue dita ricordarono dov’erano e mi lasciarono andare. Le mie le inseguirono e la strinsero, con gentilezza calcolata. Intanto, i miei battiti acceleravano. Era un bene che le parole apparissero inopportune in questo momento, perché la mia bocca era arida.

Un inviato dovrebbe essere più sicuro di sé. Ma la posta era maledettamente alta. Avevo fatto in modo che a Jo importasse di me, non solo nel modo benevolo dei suoi colleghi, tanto isolati dall’umanità da potersi permettere la benevolenza, ma proprio di me, di questo atomo-Pete che voleva passare il resto dei suoi tremuli giorni sulle montagne del Wind River. Ma fino a che punto le importava?

Passeggiammo intorno al lago. Il sole era calato dietro ai picchi — per alcuni minuti, le nevi ad est sembrarono avvolte dalle fiamme — e le ombre si infittirono. Sentii il fischio di una civetta in amore. Nel blu maestoso del cielo, Venere brillò all’improvviso. L’aria divenne più tagliente, facendo scorrere il sangue più velocemente.

— Br-r-r! — rise Jo. — Adesso ho davvero bisogno di bere qualcosa.

Non riuscivo a distinguere i suoi lineamenti nel crepuscolo. Le prime stelle spiccavano infinitamente chiare. Ma Jo era una forma confusa, una fonte di calore, qualcosa di solido, niente di più. Avrebbe potuto quasi essere Marie.

Se lo fosse stata! Marie era bella, brillante, e sexy, e… Certo, aveva avuto degli amanti durante la mia lunga assenza; ma avevamo appurato che le riserve erano le mie amanti. Però non pensava più a loro quando io tornavo… Oh, se solo avessimo potuto dividere tutto!

Presto nel cielo le stelle avrebbero sopravanzato l’oscurità, la Via Lattea sarebbe apparsa come una bianca cascata, il lago ne avrebbe riflesso il chiarore, e al sorgere di Giove si sarebbe creata una perfetta radura sull’acqua. Ero rimasto fuori metà della notte precedente ad osservare quello spettacolo.

Il bagliore era già tale che non avemmo bisogno della torcia per trovare l’entrata della mia capanna. Lo strato isolante cedette al mio tocco; lo attraversammo, sigillai la porta e azionai l’interruttore principale, e le lampade fluorescenti entrarono in funzione silenziosamente, e così la ventilazione.

Jo aveva ragione: questi componibili non si prestano molto all’individualità. (Lei aveva una capanna permanente, costruita in legno, piena di tutte le cose che più le erano care.) A parte qualche libro ed altre cose del genere, la mia unica stanza era strettamente funzionale. È vero, il sensifono mi poteva quasi dare l’illusione di qualsiasi cosa o persona potessi desiderare, in qualunque parte del mondo. Noi gente di città impariamo a viaggiare leggeri. Questo interno era ben proporzionato, comodo, di una tinta piacevole; fuori ad un passo c’era quel prato alpino. Di che altro avevo bisogno?

Secondo una vecchia abitudine controllai il nucleo indicatore (c’era energia in abbondanza) prima di prendere la cena dal congelatore e metterla a cuocere. Poi presi dei salatini, rum e succo di frutta, e preparai gli aperitivi come piacevano a Jo. Lei non accennò neppure ad aiutarmi, ma rimase seduta in poltrona. Nessuno di noi due aveva parlato molto durante la passeggiata. Mi aspettavo che lei cominciasse a chiacchierare una volta arrivati qui — con quel suo tono nervoso, un po’ troppo allegro e concitato. Invece, la sua figura tozza se ne stava immobile in quella tuta color madreperla che non le donava troppo, guardandosi le mani raccolte in grembo.

Non più infreddolito, mi sfilai il giaccone e le porsi il bicchiere. — Sorridi, smettila di rimuginare! — ordinai. Lei lo prese. Brindammo. Usando la mano libera le sollevai gli angoli della bocca col pollice e l’indice. — Forza, sorridi. Questa dovrebbe essere una festicciola allegra.

— Davvero? — Gli occhi che alzò verso di me erano pieni di lacrime.

— Certo, non vorrei andarmene…

— Dov’è la foto di Marie?

Questo mi colse di sorpresa, non mi aspettavo una domanda così diretta. — Ma, uh… — Va bene. Tutto procede più in fretta di quanto avessi previsto, Peter. Adeguati. Buttai giù un sorso, raddrizzai le spalle, e dissi con decisione: — Non volevo scaricare i miei problemi su di te, Jo. Il fatto è che io e Marie abbiamo rotto. Non c’è rimasto altro che le formalità.

— Cosa?

Ha la bocca aperta, lo sguardo perso nel mio; ha versato un po’ di aperitivo e non se n’è accorta — Ce l’ho fatta sul serio? Così presto?

Alzai le spalle. — Già. La notifica dell’intenzione di sciogliere la relazione è arrivata ieri. Ma me l’aspettavo, naturalmente. Si era stancata di aspettare.

— Oh, Pete! — Allungò la mano verso di me.

Ero perfettamente consapevole — le pareti, gli scaffali colmi, la notte fuori dalla finestra, il mormorio e le ondate di calore dell’unità di riscaldamento, la luce dell’indicatore su! forno a radioonde e gli aromi di carne che ne uscivano, questa donna che dovevo imparare a desiderare — e decisi velocemente che allo stato attuale delle cose avrei fatto meglio a fingere di non aver notato il suo gesto. — Niente frasi di circostanza — dissi in tono neutro. — Ad essere onesti, mi sento più che altro sollevato.

— Pensavo… — mormoro lei. — Pensavo che voi foste felici.

E lo siamo stati, io e Marie, mia cara: anche se un bravo inviato ha il sospetto che gran parte di questa felicità, ben diversa dalla soddisfazione, è dovuta alle mie lunghe assenze durante gli ultimi dieci anni. Hanno aggiunto del pepe. E questa è una cosa che ti farà sempre difetto, Jo, qualsiasi cosa succeda. Eppure un uomo non può vivere solo di questo.

— Non è durata — dissi, come prevedeva il piano. — Ha trovato qualcuno di più compatibile. Ne sono felice.

— E tu, Pete?

— Mi arrangerò. Avanti, bevi il tuo aperitivo. Dobbiamo essere allegri.

Lei inghiottì. — Ci proverò.

Dopo un minuto: — Non hai proprio nessuno ad aspettarti a casa!

— «Casa» non vuol dire molto per un uomo di città. Un appartamento vale l’altro, e nel corso della nostra vita ne cambiamo parecchi. — Il liquore doveva già avermi fatto effetto, dal momento che precipitai le cose: — È molto diverso, per esempio, da queste montagne. Ogni pezzo di terra è assolutamente unico. Un uomo potrebbe passare tutta la vita nel tentativo di conoscerne uno solo, immergendosi totalmente… Bene.

Sfiorai un interruttore e la poltrona ad aria si dilatò, facendo posto anche per me, e subito sedetti accanto a lei. — Ti va un po’ di musica in sottofondo? — chiesi.

— No. — Abbassò lo sguardo (aveva le ciglia ispide) ed arrossì (a chiazze), ma le parole le uscirono di bocca con una sicurezza che avevo imparato ad ammirare. Se aveva un coraggio simile non avrebbe dovuto essere una cattiva compagna. — Per lo meno, io non l’ascolterei. Questa è praticamente la mia ultima occasione di parlare… parlare davvero., con te, Pete. No?

— Spero di no. — Più passione nella voce, ragazzo. — Mio Dio, spero proprio di no!

— Siamo stati molto bene insieme. I miei colleghi sono simpatici, lo sai, ma… — Batté forte le palpebre. — Tu sei stato speciale.

— La stessa cosa per me.

Tremava un poco, adesso, incontrando il mio sguardo, le labbra appena a pochi centimetri di distanza. Dal momento che beveva di rado alcool, giudicai che quello che l’avevo più o meno forzata a bere le avesse fatto un certo effetto, date le circostanze. Ricordati, lei non è un’urbanita che ti salterà nel letto e che due giorni dopo se ne ricorderà a malapena. È venuta direttamente da una piccola città ad una severa università e poi fino a qui, e potrebbe essere ancora vergine. Comunque, hai lavorato in vista di questo momento per mesi, Pete, vecchio mio. Datti da fare!

Fu il bacio più tenero che credo di avere mai ricevuto.

— Ho avuto, be’, ho avuto paura di parlarne — mormorai fra i suoi capelli, che trattenevano la fragranza del sole montano. — Forse l’ho ancora. Solo che non voglio, no, no, non voglio perderti, Jo.

Un po’ piangendo, un po’ ridendo lei si riaccostò alle mie labbra. Non sapeva proprio come fare, ma si teneva stretta contro di me, e subito pensai: Potremmo già finire a letto, stanotte stessa?

Non importa, comunque vada. Quel che conta è che l’Amministrazione Forense permetta a squadre qualificate formate da marito e moglie di vivere insieme sul luogo di lavoro; e lei è una guardia forestale mentre io, come esperto nell’uso di apparecchiature di controllo, sarei un accettabile assistente di ricerca.

E po-o-oi:

Non ho mai saputo, non so ancora oggi cosa è andato male. Bevemmo altri due o tre aperitivi, giocammo allegramente, lei era in parte svestita e la cena stava cominciando a bruciare nel forno quando

io ho avuto troppa fretta

lei era troppo goffa e/o ritrosa, io diventai impaziente e lei se ne accorse

io le dissi una di quelle paroline speciali che di solito si sussurrano all’orecchio, ma lei, essendo un po’ terrorizzata, decise che non era solo la forza dell’abitudine, ma che io stavo facendo finta che lei fosse Marie, perché tenevo gli occhi chiusi

non era così sprovveduta come, innocentemente, mi aveva fatto credere, e in uno di quei momenti che (a dispetto della fantasia) capitano sempre agli innamorati, si chiese, — Ehi, ma che diavolo sta succedendo?

o chissà cos’altro. Non fa differenza. All’improvviso volle telefonare a Marie.

— Se, se, se le cose stanno come dici tu, Pete, sarà felice di sapere…

— Aspetta un attimo! Aspetta un attimo, accidenti! Non ti fidi di me?

— Oh, Pete, caro, certo che mi fido, ma…

— Ma niente. — Mi allontanai, mostrandomi offeso.

Invece di seguirmi, lei chiese con la stessa calma della notte che ci circondava: — Non ti fidi di me?

Non importa. Non si può rispondere a una domanda del genere. Ci abbiamo provato tutti e due, e non avremmo dovuto. Tutto quello che ricordo davvero è di averla vista uscire. L’odore di carne bruciata ci seguiva. Fuori dalla capanna l’aria era fredda e pura, il cielo brulicava di stelle, illuminando i picchi circostanti. La guardai camminare con passo incerto verso il velivolo, con la galassia che le illuminava la strada. Pianse per tutto il tragitto. Ma se ne andò.

Per quanto deluso, mi sentii anche un po’ sollevato. Sarebbe stato un tiro ignobile da giocare a Marie, che aveva investito così tanto amore su di me. E poi il nostro appartamento è molto gradevole quando è isolato ermeticamente dal vicinato; io appartengo a una piccola minoranza fortunata. Celebrammo il mio ritorno. Lei balbettò qualcosa a proposito di un permesso per avere un bambino, ma io riuscii ad avere abbastanza buon senso per troncare immediatamente il discorso.

La sera dopo ci fu un raduno a cui non potevamo mancare. I delegati potevano anche avere ragione a proposito della maggior parte dei cittadini. — Un sensifono, non importa quanti siano i circuiti collegati, non è un sostituto per la comunione fisica degli esseri umani, uniti sotto i loro capi per i nostri gloriosi scopi collettivi. — Noi, comunque, ne uscimmo solo con un gran mal di testa, le orecchie che ronzavano per i ripetuti applausi, i polmoni pieni di aria già respirata da altre migliaia di polmoni, e la pelle non solo grassa ma anche granulosa. Sulla strada di casa ci imbattemmo in una cappa di smog così fitta che disorientò il nostro veicolo. Così dovemmo fermarci ai margini di una sommossa e vedemmo una mitragliatrice falciare un uomo a metà, prima che la milizia ci permettesse di proseguire. Fu un grande sollievo superare il controllo di sicurezza del nostro agglomerato e prendere un trasportatore che riuscì a non guastarsi durante il tragitto fino al nostro appartamento.

Una volta arrivati, facemmo la doccia insieme, consumando una percentuale esagerata della nostra razione mensile di acqua, e ci asciugammo a vicenda, poi mi infilai una vestaglia e Marie indossò qualcosa di trasparente; bevemmo qualcosa e fumammo, mentre Haydn suonava dolcemente in sottofondo, e ci rilassammo finché lei sciolse sulle spalle le grosse trecce, e il suo mormorio mi solleticò l’orecchio: — Oh, avanti, mio eroe, a quest’ora i computer devono aver già finito di montare il servizio dal materiale che hai registrato l’anno scorso. È da tanto che desidero vederlo.

Pensai di sfuggita a Jo. Certo, non sarebbe apparsa in un documentario che era strettamente una registrazione per il pubblico di un’esperienza a contatto con la natura; e io stesso ero curioso di vedere cosa ero effettivamente riuscito a fare, e non pensavo che una rivisitazione in un sogno elettronico mi avrebbe procurato dolore, anche se era passato così poco tempo.

Mi sbagliavo.

Quello che faceva più male era la qualità scadente. Oh, sì, una riproduzione decente di una primula che si agita nella brezza, un falco che plana, il candore spumeggiante e il rombo di terremoto di una valanga lontana, foglie cadute e cotte dal sole, il loro odore e il loro scricchiolìo, la risata di un soffio di vento che giocava tra i miei capelli, l’innata agilità di un serpente o di un puma, la spettacolarità del tramonto e la delicatezza dell’alba… un discreto risultato. Eppure non era reale, non era ciò che io avevo desiderato.

Nell’oscurità in cui eravamo seduti, Marie disse lentamente, — Hai fatto di meglio, prima. Kruger, Mato Grosso, Beikal, i tuoi primi soggiorni in questa regione… mi sembrava quasi di essere al tuo fianco. Non eri un inviato, eri un artista, un grande artista. Perché è cosi diverso?

— Non lo so — borbottai. — La mia presentazione è un po’ meccanica, io ammetto. Forse ero stanco.

— In quel caso… — Sedeva con il busto eretto, a mezzo metro da me, le dita intrecciate… — non dovevi rimanere. Saresti potuto tornare a casa da me molto prima.

Ma io non ero stanco, la testa mi scoppiava. No, ora mi sento davvero esausto; là, allora, la vita scorreva dentro di me.

Quella genziana che Jo voleva vedere… cresce dove la terra sprofonda all’improvviso. Quei fiori crescono proprio sul ciglio del dirupo, così azzurri, azzurri tra il verde dell’erba e il bianco delle margherite e il grigio scuro della pietre; più in là scorre un ruscelletto, che si getta in basso, freddo, squillante, che sa di ghiaccio, di rocce e di terra, e l’aria che soffia tutt’intorno a me, intorno alle cime laggiù, alte e maestose…

— Piantala! — urlai. Il mio pugno colpì il bracciolo della poltrona. Il telaio scricchiolò. Leggermente più calmo, dissi, — Va bene, forse mi sono lasciato coinvolgere troppo dalla realtà ed ho perso il necessario distacco. — Non è vero, Marie, sono uno sporco mentitore. La mia mente non era mai stata così occupata, a programmare come usare Jo e abbandonare te. — Cara, i reperti sensitivi… non mi rimarrà altro per il resto della mia vita. — E niente più genziane. Ero troppo occupato col mio piano per badare a qualcosa di piccolo, azzurro e delicato. — Non è una punizione sufficiente?

— No. Tu avevi la realtà. E non l’hai riportata indietro con te. — La sua voce era come il vento sulle montagne innevate d’inverno.