Da Prenez soin de vous, Sophie Calle, biennale di Venezia 2007:

La lettera è una qualunque lettera d’addio, se si può dire qualunque di un congedo. Breve, una paginetta. Accendi il computer un giorno e lei è lì. Sta tutta intera davanti a te. Premi il cursore per scendere, ne cerchi ancora ma non serve: è finita. Lui è garbato, formalmente ineccepibile, apparentemente addolorato. È colto, inoltre. Un uomo che sa usare le pause e gli a capo. Sa toccare le corde dell’altrui colpa sfiorandole appena, sa attribuirne un poco anche a se stesso, come un difetto congenito però, un piccolo male non imputabile. Uno scrittore, forse. Di certo uno che lavora con le parole. Il repertorio è classico, si direbbe un’antologia. «Avrei preferito parlarti a voce, infine ti scrivo.» « Ho creduto che avrei potuto darti il bene.» « Non ti ho mai mentito e non comincerò a farlo oggi.» « Mi dicesti che quando avremmo cessato di amarci non avremmo più potuto vederci: una regola che mi pare dolorosa e ingiusta. Tuttavia: non potrò diventare per te un amico.» L’inevitabile «ti ho amata nel mio modo e continuerò a farlo, non cesserò di portarti con me». Non proprio amore, no, non si può dire: un amore a suo modo. La chiusura, infine. «Avrei preferito che le cose andassero diversamente.»Le ultime quattro parole. «Abbi cura di te.» Abbi cura di te perché non sarò io a farlo. Io mi prenderò cura di qualcun altro. Di qualcun’altra, non di te. Non sentirti respinta, però. Avrei tanto voluto che le cose andassero diversamente. Certo, avrebbe voluto. Take care of yourself, prenez soin de vous, cuidate mucho.