E subito i fuochi d’artificio
Allora, vediamo di capirci qualcosa.
Stiamo sul letto con la luce spenta e dalla finestra entra solo quella del lampione, che è gialla e poca. Davanti ho il viso di Tiziana appiccicato al mio perché il bacio continua dalla cucina e dura un sacco, mentre la mia mano viaggia a caso sul suo corpo e ogni tanto trova una zona fortunata perché le bocche per un attimo si staccano e Tiziana respira strana e forte, poi le sue labbra ritornano su di me.
Il cuore mi batte così veloce che mi spettina, sudo e tremo, col braccio destro stringo Tiziana e con la mano sinistra continuo a viaggiare sulla sua pelle liscia e le curve e le pieghe tra un pezzo e l’altro. E intanto nella testa non ho più niente, tutto buttato nel cassonetto per fare spazio a un solo pensiero scalmanato che gira e gira a vuoto come un disco rotto: Sto facendo l’amore sto facendo l’amore sto facendo l’amore... non è un pensiero troppo elaborato, ma è vero al cento per cento.
Poi a un certo punto smettiamo di baciarci e capisco che quello è un capitolo chiuso, bisogna inventarsi qualcos’altro. Proprio adesso che cominciavo a muovermi bene. Tiziana dice pezzetti di parola, non capisco niente e forse non c’è niente da capire. Ogni tanto però dalle labbra le esce un Io... io... anche se poi non c’è un seguito. Solo Io... io... e baci sul collo e sul petto e sull’ombelico, e mentre mi bacia Tiziana scende, scende laggiù sotto i pantaloni e i boxer, dove c’è la massima agitazione e tutto è già pronto per sparare i fuochi d’artificio. Che sono belli e forti, ma al tempo stesso si sa che i fuochi d’artificio sono anche la fine della fiera, quindi voglio rimandarli il più possibile.
Pantaloni e boxer se ne vanno, sento qualcosa di leggero e caldo sotto l’ombelico. Mi piace, mi piace un sacco, anzi mi piace troppo, allora per prendere tempo faccio come tutti e comincio a pensare alle cose più orripilanti dell’universo.
Pianto gli occhi dritti al soffitto, dentro una crepa sottile nell’intonaco, e immagino gli insetti schifosi che potrebbero passare da lì e cadermi addosso. Millepiedi giganti, ragni pelosi e scorpioni carichi di veleno che mi strisciano sul corpo per scegliere il punto migliore da dove cominciare a uccidermi. E quel caldo umido che sento laggiù, quasi tra le gambe, non è la bocca morbida di Tiziana, no, è la strisciata di un lumacone nero e bavosissimo appena uscito dal teschio marcio di qualche morto che sta sotto al letto e si prepara a resuscitare per mangiarmi il cervello e...
Ma c’è poco da fare, questa strusciata di lumacone è fantastica, gira intorno ai punti giusti e passa sopra alle parti migliori, e se ci passa un’altra volta, anche una sola, giuro che non reggo più. Allora scatto su a molla e spingo via la testa di Tiziana.
«Che c’è?» chiede lei, una voce e uno sguardo tutti impastati che potrebbero bastare per farmi arrivare lo stesso al dunque.
«Te lo metto dentro» dico. È assurdo, lo so, ma sento che la fiera sta per finire, è appena cominciata eppure il finale è vicino, e prima che sia troppo tardi un po’ di sesso vero ce lo voglio infilare.
«Ma... aspetta un attimo.»
«No, no, subito.»
Tiziana continua a guardarmi con quegli occhi e quell’espressione. Non capisco se sono buoni o no, ma capire adesso è una pretesa assurda, tipo ordinare un caffè sotto un bombardamento al napalm: c’è gente tutto intorno che urla e scappa con la pelle che si squaglia e i pezzi di corpo che cascano a terra, e io lì seduto al tavolino tra le fiamme che dico Ma allora, questo caffè?
«Fiorenzo, per caso hai qualcosa?» mi chiede Tiziana.
«No, no, sto bene grazie», e solo dopo un attimo capisco che intende se ho i preservativi. E ovvio che non ce li ho. Sono un idiota, figuriamoci se ho pensato ai preservativi.
«Ma te qui in casa non li hai?» chiedo, e non so cosa sperare. Perché se Tiziana dice No è un problema, ma se dice Certo, chiaro che sì, apre un cassetto e tira fuori uno scatolone di preservativi pronti all’uso, ecco, non lo so se mi fa tanto piacere.
Lei si alza e resta a guardarmi dall’alto, con le mani lungo i fianchi, e giuro che anche solo averla davanti così, nuda nella penombra, mi manda nel panico. C’è una donna di questo genere nudissima davanti a me e forse adesso sto per farci l’amore, o almeno provo a combinarci qualcosa. È possibile? Ha senso? È un segnale che il mondo sta per finire come dice Giuliano?
Lei intanto si accorge che la fisso e allora piega la schiena, si copre un po’ con le braccia.
«Ce li ha Raffaella di là» dice. Io dico: «Ok». Lei però non si muove, guarda la porta, mi guarda.
«Puoi venire con me per piacere?»
«Dove.»
«Di là. Da sola non... cioè, se vieni preferisco.»
Boh, non capisco ma ok, scatto in piedi e la seguo in camera di Raffaella, che stranamente odora di pane e è pienissima di barattoli di... oh, ma chissenefrega, siamo nudi e troviamo i preservativi e torniamo subito in camera di Tiziana, e di tutto il resto non me ne potrebbe fregare di meno.
Lei me ne passa uno nella sua bella confezione quadrata e luccicante. Stava per prenderlo con la destra, ma ci ha ripensato e va con la sinistra. E solo ora mi rendo conto che per tutto questo tempo Tiziana ha continuato a usare una mano sola. Per tutto il bacio e lo strusciamento ha tenuto ferma la destra, senza tradire l’impegno che si è presa con la mano fantasma. Che donna.
E ora resta seduta sul letto a guardarmi mentre cerco di aprire la confezione, ma giuro che non è possibile. Davanti a lei non mi è riuscito di aprire la custodia di un dvd, figuriamoci cosa posso inventarmi con questo coso liscio e scivoloso che sfugge da ogni parte.
Ci provo coi denti ma mi scivola pure così, una volta, due, tre. Allora mi sale la rabbia, lo stringo con un morso fortissimo e finalmente la confezione cede. Sapore di palloncino e olio sulla lingua: ho morso troppo e si è strappato anche il preservativo.
«Merda, che idiota» dico. Ma Tiziana ne ha già pescato un altro e anche questo lo dà a me. E mi chiedo cosa ci vuole ancora perché questa splendida femmina seduta qui accanto dica Ma che cavolo sto facendo, sparisci di qui, sfigato. A quante tristezze può assistere una donna prima di capire che ha fatto la scelta sbagliata?
Prendo la confezione, la studio, Tiziana allunga la mano sinistra e proviamo a tirare fuori il preservativo insieme, una mano per uno. Tiriamo io di qua, lei di là, quell’affare si piega e fa rumore e però non cede. E allora non ce la faccio più:
«Ti prego, Tiziana, usa tutte e due le mani e apri questo affare del cazzo!»
Tiziana mi guarda un attimo, io infilo un dito tra il suo polso e la fascia e tiro, la fasciatura si allenta e lei finisce di toglierla. Si studia la mano per un attimo, muove le dita come se fossero un regalo di Natale appena scartato, prende il preservativo e lo sbuccia in un secondo. Me lo passa e sorride, e sorrido pure io perché tutto quello che voglio dalla vita adesso è questo pezzetto di gomma libero e pronto a fare il suo lavoro.
Ma ora che ce l’ho qui nel palmo, unto e piatto e arrotolato, lo guardo e lui mi guarda e ride con una risata gommosa e scivolosissima, come a dire Adesso voglio proprio vedere cosa ti inventi.
Lo giro tra le dita e lo esamino di qua e di là. Credo che infilarsi un preservativo sia difficile in genere, ma tentare di infilarselo per la prima volta con una mano sola, al buio e con una donna stupenda e nuda che aspetta, è proprio volersi del male.
Lo appoggio sulla punta, cerco di farlo stare in equilibrio e lo mando giù. Però lui non obbedisce e resta così, preme e basta e mi fa anche un po’ male. Provo a srotolarlo ma cede solo da una parte, scivola di lato, cerco di rimetterlo in cima, sudo sudo sudo. E penso Dài, dài Fiorenzo, sai innescare all’amo un verme americano, e quelli sono scivolosissimi e si dimenano e se non stai attento ti staccano la carne a morsi, adesso ti fai fregare da un pezzo di gomma arrotolato? Insisto, ma quello proprio non cede. Si piega a tutte le mie mosse e però insieme fa il furbo, gioca, mi prende per il culo. Scivola via e cade sul letto, lo riprendo, scivola ancora.
E allora Tiziana allunga le mani e lo prende.
«Posso?»
Non la guardo, continuo a fissare laggiù, mi sento come da piccolo quando non riuscivo a farmi il fiocco alle scarpe e alla fine doveva pensarci la mamma sennò perdevo lo scuolabus. Faccio di sì con la testa. Lei si abbassa e posa il mento sulla mia gamba, sento il suo respiro sulla pelle. Prende il preservativo e me lo appoggia sulla punta, poi comincia a lavorare con due mani per farlo scendere giù, giù, giù. Ma quel maledetto non ci sta e combatte, si aggrappa alla pelle per resistere e cede solo un millimetro alla volta. Le mani di Tiziana insistono per farlo scorrere e lo accompagnano con un ritmo regolare dall’alto in basso, dall’alto in basso, dall’alto in basso...
E senza che io nemmeno me ne renda conto, il sindaco del paese urla Via!, i tecnici fanno partire il detonatore e tutte le teste si alzano al cielo: cominciano i fuochi d’artificio.
Dalla gola mi esce un Hmmmguaaar tutto masticato, sento una morsa allo stomaco, bum bum bum e la fiera è finita. Restano solo le cartacce per la strada e le bottiglie rotte, e la mia pancia impiastricciata. E...
... E allora la mia testa, nel tentativo di farmi sopravvivere, scavalca i due minuti dopo senza registrare un solo secondo. Giuro, non so cosa è successo in quei momenti, ma mi sa che siamo rimasti così, orribilmente zitti e fermi. Poi però ho raccattato i miei vestiti, lo so perché adesso ce li ho in mano, e la prima cosa che mi ricordo è che ho chiesto a Tiziana se potevo andare in bagno. Ma per qualche motivo spaventoso mi è venuto da darle del lei: «Mi scusi, posso andare in bagno?». Così, giuro.
E ora infatti sono qui, in bagno davanti allo specchio: se fosse il mio mi sputerei in faccia. Penso a Tiziana di là, a come si sente, e so pure che il peggio non è ancora passato. Il momento più imbarazzante sarà quando torno da lei e ci guardiamo. Cosa le dico, cosa mi dice, cosa facciamo?
Apro la finestra per prendere un po’ d’aria, guardo giù e vedo una terrazza che dà su un’altra accanto e un tubo di scolo ben staccato dal muro, facilissimo da scendere. E uno più uno fa sempre due.
Mi infilo i pantaloni e sto già fuori dalla finestra, il braccio destro lo uso come gancio al tubo e con la mano mi aggrappo a qualsiasi cosa, il muro mi gratta sotto i piedi nudi ma è perfetto come antiscivolo. A un certo punto però il tubo fa un rumore spezzato e si scosta dal muro: io smetto di respirare. Ecco, ora cado e muoio, e in effetti sarebbe la cosa più logica. Insomma, non riesco a srotolare un pezzetto di gomma su un letto, posso calarmi giù da una casa per un tubo rugginoso?
No, chiaro che no. Molto più logico morire.
Eppure contro ogni logica ce la faccio, arrivo a mezzo metro da terra e salto. La ghiaia sotto i piedi nudi fa un male cane, ma è quasi giusto così. Come quelli che camminano sui tizzoni ardenti o si danno le frustate da soli per farsi perdonare i peccati. Io invece cammino coi sassi e i pezzi di vetro sotto i piedi e non mi lamento, perché so che non merito niente di meglio.
E infatti comincio a camminare veloce e pesto i piedi apposta per sentire più dolore, ogni passo è una fitta che mi sale fino al cervello, ma sento che va bene così, va benissimo così, quasi mi viene da ridere.
Monto sullo scooter, parto, sono a petto nudo e l’aria adesso è fresca, anzi gelida, ma anche questa è una cosa giusta: dopo i suoi atti scellerati, egli camminò sui vetri e poi patì il freddo per tutta la via che portava a casa, scontando così la sua pena.
Ma evidentemente la mia pena è ancora lunga da scontare, perché è mezzanotte e sono gelato e stanchissimo, arrivo al negozio e voglio solo buttarmi a letto e spegnere i motori. Ma davanti alla serranda trovo una roba gialla e gonfia buttata lì sul marciapiede, tipo un pacco o un telone o un mucchio di spazzatura.
E invece è il Campioncino.