Pesca senza esca

 

«Prendi qualcosa?» chiedo.

Il babbo scuote la testa senza togliere lo sguardo dal galleggiante. Vederlo qua sul fosso a pescare mi fa troppo strano. È lui che mi ha insegnato, quando avevo cinque anni, ma da quei tempi non l’ho più visto con una canna in mano. A cose normali non sarei mai venuto a cercarlo qui, mi ci ha portato un indizio.

Stamani mi sono svegliato (alla fine un paio di ore le ho dormite), ho trovato il Campioncino steso lì per terra e mi è preso un colpo. Qualche secondo e poi mi sono ricordato più o meno tutto. Mi sono alzato e ho preparato il latte coi biscotti per me e lui, latte freddo perché il fornello da campo non ce l’ho ancora, poi l’ho spedito a scuola. Non ci voleva andare e diceva La prego Signore no, oggi non me la sento, mi sembra che non sto bene, non mi ci mandi.

Gli ho spiegato che i suoi voti fanno schifo e a giugno ha l’esame, gli conviene almeno far vedere che ci mette impegno e non salta le lezioni. Un consiglio molto saggio che farebbe comodo anche a me, solo che alla fine lui l’ho preso e l’ho buttato in strada con la forza, su me stesso non lo posso mica fare. Quindi, invece che al liceo, sono andato a vedere cosa succedeva a casa.

La porta era spalancata e le finestre pure, anche se l’auto del babbo non era nel vialetto. Ho chiamato e non c’era nessuno, solo la mia vecchia casa vuota e zitta, ma devastata da un demone incazzato: il tavolo di cucina spezzato in due e infilato nella finestra del salotto, la tv scoppiata sul tappeto, il divano massacrato e abbandonato in corridoio, appena prima di entrare in quello che una volta era il bagno.

Camera mia invece era perfetta. Tutto preciso come l’avevo lasciato, con l’unica stranezza dell’armadietto della roba da pesca che era aperto, aperto e vuoto.

E allora mi è venuta questa idea assurda che magari il babbo era andato a pescare, per la prima volta dopo quindici anni. Ho preso lo scooter e sono venuto a cercarlo lungo i fossi. Ho girato tutti i posti buoni, e cioè i curvoni, gli slarghi, i punti dove due rami d’acqua si incontrano. Ma nulla.

Poi, proprio per caso mentre cercavo di tenere in piedi lo scooter sullo sterrato che costeggia la discarica comunale, ho visto l’auto del babbo laggiù in fondo ai campi: in mezzo a una spianata grigia e marrone senza alberi né cespugli, una station wagon gialla ricoperta di scritte giganti si nota abbastanza.

  E quindi adesso sono qui sul poggio accanto al babbo, anzi un po’ dietro di lui, in uno dei punti più inutili e poveri dove si possa decidere di pescare. L’acqua è troppo bassa e coperta dal limo, mentre dalla discarica arriva questa puzza fissa di plastica calda e cose molto morte.

Ma il babbo tutto questo non lo considera. Lui sta lì gobbo col mento appoggiato alla mano, la canna posata su una forcella di legno, e guarda solo il galleggiante.

«Quant’è che sei qua?»

«Boh. Tre ore.»

«E hai preso qualcosa?» parlo a pezzetti perché l’odore della spazzatura mi entra in gola a ogni respiro.

«No, niente.»

«Nemmeno una tocca, nulla di nulla?»

«No. Meglio così. Sennò sai che palle, tirarlo su e sporcarsi le mani.»

«E allora che sei venuto a fare.»

«Così, a respirare. Mi scoppia la testa. Ho bevuto troppo.»

«Hai bevuto?»

«Sì. Sono andato a letto e mi girava tutto, il soffitto e i muri e i mobili. Giravano giravano giravano e mi hanno fatto incazzare. Mi sono alzato, mi sembrava che ero in gabbia, avevo bisogno di aria e allora sono venuto qui.»

Smette di parlare. Prende in mano la canna, con un movimento minimo della punta scosta il galleggiante di qualche centimetro, per smuovere l’esca laggiù sotto e incuriosire i pesci, se per caso qualche pesce perverso decide di passare da queste parti. E quando ricomincia a parlare ha una voce tutta diversa. Viene dalla gola, dallo stomaco, forse da quel casino intorcinato che sono le budella.

«Ha perso, Fiorenzo. Ha perso come una schiappa. Ha fatto pena.»

«Chi, cosa?» chiedo, perché mi pare brutto che so già tutto. Non so come mai, ma mi pare brutto.

«Ieri l’ho portato fuori regione. A Piacenza. Corsa facile, percorso favorevole, se lo poteva mangiare come una caramella. E ha perso.»

«Dài, capita, non si può mica vincere sempre.»

«Certo che si può! Anzi, si deve. Si deve vincere ogni volta che abbiamo la possibilità. E lui ce l’aveva. E il punto è proprio questo... lui non ha mica perso, lui non ha voluto vincere. Questo è il problema.»

Poi si piega in avanti di scatto e strizza gli occhi per studiare il galleggiante, che forse si è mosso ma io non me ne sono accorto. I gesti, i tempi, l’attenzione, tutto dice che il babbo è un grandissimo pescatore: perché non viene a pesca da quindici anni lo sa solo lui. Anzi, forse nemmeno.

«Li dovevi vedere stamani i giornali... Il supercampione non è così super, Il missile di Muglione ha finito il carburante, Mister Marelli sbaglia la tattica e affonda con la sua nave... È normale, quella gente non ne capisce un cazzo di ciclismo, ma se uno seguiva la corsa era chiaro che Mirko non pedalava, non voleva vincere. E questo è cento volte peggio.»

«Ma perché è peggio? Secondo me è meglio, cioè, vuol dire che il fisico è a posto...»

«Ma che cazzo ne sai. È peggio, Fiorenzo, molto peggio, perché se la gamba non gira basta che ti alleni e sei a posto. Ma se è la testa che non gira, buonanotte a tutti. E infatti a lui è quella che non gli funziona. Io gli ho detto Va bene, stavolta hai voluto fare il matto, però la prossima settimana devi stravincere. E lui sai che mi ha risposto? Ha detto che no, non vince nemmeno la prossima settimana, non vuole vincere più. E allora mi sono lasciato un po’ andare, ho un po’ urlato e un po’ ho fatto casino, ecco. Ma cosa ci potevo fare, oh, non è colpa mia.»

«Hai anche distrutto la casa.»

«Sì, un po’.»

«E almeno lo sai ora dove sta?»

«Dove sta chi.»

«Il tuo Campioncino.»

«Sì che lo so, sta da te no? È chiaro.»

«No, secondo me non è chiaro per niente, anzi, è proprio l’opposto di chiaro.»

«Macché, è chiarissimo.»

«Non è chiaro zero, è la cosa più assurda del mondo che è da me, è una cosa che...»

«Ascolta, è da te o no?»

«Sì.»

«Ecco, lo vedi? È chiaro, punto e basta.»

Schiaccio fra i denti le ultime parole che avrei da dire, e per un po’ nessuno parla. Solo un rumore basso e continuo dalla discarica, qualche animaletto sconosciuto che si fa strada tra l’erba secca e i rovi, il babbo che recupera un po’ di filo.

«Con cosa peschi?» chiedo.

«Come?»

«Dico, con cosa peschi, che esca hai messo.»

«Nulla.»

«Come nulla, che vuol dire nulla.»

«C’ho l’amo e basta, non va bene?»

«E no che non va bene», mi viene da alzare la voce, «non va bene no! Cosa vuoi prendere senza esca?»

E allora, per la prima volta da quando sono arrivato sul fosso, il babbo smette di fissare il galleggiante e si volta, di scatto. Mi pianta gli occhi addosso e sono due palle rosse e lucide che frullano a caso nelle orbite.

«E perché, scusa, se metti un’esca cosa cazzo pensi di prendere?»

«...»

«Un cazzo! Pensi che l’esca può fare la differenza, ci credi davvero? Ormai hai diciott’anni Fiorenzo, diciotto anni» dice. Ne ho diciannove, ma figuriamoci se mi metto a precisare. «E ancora credi a una stronzata del genere? Magari l’esca è importante in un posto dove ci sono delle possibilità, e allora cerchi di giocartele al meglio. Ma il problema è che qua non c’è niente, capito? Niente di niente. Stai qua tutta la vita e aspetti e speri e ogni tanto c’è una mossa strana o un mezzo segnale e stai attento e dici Ecco è il momento, ci siamo, questa è la mia occasione, ma invece è solo una stronzata e tutto è sempre uguale a prima, e resti il solito stronzo di quando sei nato in questo buco maledetto. Qua non c’è niente da pescare, Fiorenzo, e non c’è niente da sperare. Hai diciott’anni, quando lo vuoi capire?»

Dice così, e mi guarda con quegli occhi rossi e matti. Poi ha come una scossa e torna al galleggiante, posa una mano sulla canna e si prepara a un’abboccata. Ma non si è mosso nulla. Il galleggiante è ancora lì, mezzo sdraiato sull’acqua immobile. Lo guardo anch’io e penso all’amo laggiù sotto, nudo e sottile e dorato, che aspetta qualcosa sulla melma del fondale.