Il caso Pascal

 

 

 

 

L’escluso. Forse suona meno bene. Ma immaginate un romanzo dal titolo così. Al maschile. E scoprirete un filo rosso, un rapporto di continuità e di derivazione dal primo e fondante romanzo di Pirandello.

L’escluso di cui si parla in questo caso è Mattia Pascal, anzi il fu. E dietro di lui, l’autore non solo rinuncia al mimetismo femminile, ma abbandona lo schermo della terza persona. Dice: «Io».

Mattia Pascal è un bibliotecario, il che non va sottovalutato: perché lui i libri li legge, li sa leggere. Ma le cose gli vanno male. Già in premessa, in un dialogo scombinato con un prete, don Eligio Pellegrinotto, se la prende con Copernico, che ha rovinato l’umanità. È la rivoluzione copernicana: la terra gira intorno al sole e non viceversa e, non foss’altro, offre un alibi agli ubriachi, che non sentono il suolo stabile sotto i piedi. Le certezze classiche sono cadute, tutto è necessariamente cambiato: i nostri interessi, e anche il nostro modo di raccontare.

Può essere istruttivo a questo punto il confronto con una novella, Rimedio: la Geografia, del 1922. Lì torna l’angoscia della terra che si muove, a favore degli ubriachi; l’angoscia dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo. È sottinteso Copernico, ma è esplicitamente citato Blaise Pascal, il filosofo e matematico, e il suo celebre aforisma sul roseau pensant. Questa volta manca la maledizione di Copernico, ma al contrario, è invocato il rimedio della geografia. Il rimedio, quasi uno specifico medico, è il seguente: «Ecco, nient’altro che questa certezza d’una realtà di vita altrove, lontana e diversa, da contrapporre, volta per volta, alla realtà presente che v’opprime». Che cosa opprime, nell’argomentare della novella? «Ma sì, vi prego di credere, mia moglie mi odia...».

Gli crediamo. Nel gennaio 1894 Pirandello ha sposato Maria Antonietta Portulano, e nell’aprile-giugno di quello stesso anno pubblica a puntate sulla «Nuova Antologia» il suo nuovo romanzo. Nell’estate del 1893 ha scritto la prima stesura dell’Esclusa, una ricognizione intrepida e terrificante sulle ossessioni morali di una società retriva e sessuofobica, lanciando un J’accuse attraverso la sua eroina portavoce, Marta Ajala, che percorre un itinerario di consapevolezza e di sfida. Verrebbe da desumerne che Pirandello, imparata la lezione che lui stesso ha impartito, sposi una donna del tipo, appunto, di Marta Ajala. Nient’affatto, non c’è nemmeno margine per un tentativo di pigmalionismo. Pirandello sposa non una Marta Ajala, ma, per la mentalità e in metafora, il suocero di Marta Ajala, nella versione femminile, il rappresentante di quel mondo di pregiudizi, il cultore di quelle ossessioni ancestrali.

Si mette in moto una strategia di evasione, una fantasia di fuga. Pirandello inventa quella che è la sua trovata più geniale, almeno sul versante narrativo, e che gli procura un consenso, anzi una complicità del lettore, che dura sino ad oggi. Il fu Mattia Pascal è, giustamente, il romanzo di maggior successo che l’autore abbia scritto, il più dinamico, su uno scatto destinato a rimanere proverbiale.

La parte tradizionale del libro è il racconto dei fatti causali: la ragnatela delle beghe familiari, in un contesto che, a dispetto di una geografia dissimulata, è sempre quello di Girgenti; l’equivoco delle relazioni sociali, il vuoto di una cultura ridicolizzata nel gusto della poesia maccheronica ed enigmistica; e poi, giù a capofitto, il disastro matrimoniale, il vero epicentro del sisma. Mattia Pascal ci va a finire dentro non senza responsabilità, con un tratto allegro e non solito da inseminatore, che ricorda La mandragola di Machiavelli e preannuncia la disinvoltura di Liolà. Ma cascato nella trappola, il problema è quello di tirarsene fuori. Chi, almeno una volta, o più e più volte, non ha sognato di cambiare esistenza, di scomparire, di perdere l’identità anagrafica e di assumerne un’altra, in incognito? Un’altra vita, piuttosto che questa. Ma non nell’aldilà, da eletto o da allucinato e, invece, qui e ora.

Mattia Pascal non si limita a sognarla, questa vita, ma la realizza. È un battistrada, e un modello di identificazione per i poveri mortali che rimangono a terra, e a casa. Per questo occorre una formula segreta, un miracolo, o almeno un colpo di fortuna.

È quello che succede al protagonista, il quale lo ha desiderato tanto che quasi se lo merita. È Pascal, un esperto in calcoli e in audacie; un filosofo, abituato alle elucubrazioni, che fanno stare male e che fanno stare bene. Ed è Mattia, nomen omen, come quasi smascherandolo gli dirà il fratello al momento dell’agnizione. Filosofo perché matto, e matto perché con inclinazioni filosofiche. Qui tutto spinge alle nebbie della follia e, d’altra parte, la follia è l’alternativa per recuperare la salute e la verità.

I critici hanno fatto il loro mestiere e individuato le fonti di questa favola del morto-vivente: il Redivivo di Emilio De Marchi, ma anche la Storia straordinaria di Peter Schlemihl di von Chamisso, e ancora, più alla lontana, testi di Jean Paul Richter e persino di Zola. Ma senza negare in partenza la punta di qualche suggestione letteraria, il bibliotecario Pascal, e dietro di lui Pirandello, per fare il salto non ha avuto bisogno di libri, ma di scrutare a fondo in se stesso, nella scissione della propria personalità, nella propria infelicità. Come dichiara lo stesso scrittore, «nulla s’inventa, è vero, che non abbia una qualche radice, più o meno profonda, nella realtà». E la realtà, la sua realtà, è quella della Sicilia, di Girgenti, della sua famiglia, del suo rapporto con la donna e con la moglie.

Il caso insomma è il suo, ed è «strano e diverso, tanto diverso e strano che mi faccio a narrarlo». C’è una nevrosi, e un manoscritto. È il valico, dal Sud, della frontiera del relativismo novecentesco. E si intravede qua e là, con un anticipo di vent’anni, qualche mossa della coscienza di Zeno, un altro che, a pensare alla terra che gira, si sente cogliere da un disorientamento da ubriaco.

Il caso di Mattia Pascal è determinato da due eventi, concomitanti ed entrambi di natura straordinaria: una vincita strepitosa alla roulette di Montecarlo, e il suicidio di uno sconosciuto, in cui la moglie di Mattia e la suocera strega riconoscono, con probabile malafede, il congiunto. È un caso limite: è scomparso, ma si è trovato il corpo. Non è da temere il fantasma della morte presunta. Una fantasia universale si concretizza per il personaggio, a cui tocca il privilegio unico di ricominciare la sua esistenza, senza condizionamenti familiari e sociali ed indipendente sul piano economico. La reazione è la seguente: «Mi sentii così ebro della mia libertà, che temetti quasi d’impazzire...». Il progetto è insieme assoluto e vuoto: «Vivere, vivere, vivere».

Il vantaggio di questa finzione letteraria è indubitabile: Mattia Pascal è uno «straniero», a tutto, in una posizione esistenziale senza equivalenti e forse senza precedenti. Un indizio pericoloso rimane il suo occhio strabico, difetto fisico e ancor più allusione anatomica a uno sguardo obliquo sulla realtà. Come i nevrotici e gli artisti, riscrive a piacimento la sua storia, il suo romanzo familiare, integralmente: padre, madre, nonno. Adotta, infatti, un «nonnino fantastico». Sceglie, per meglio far perdere le tracce, di essere nato in Argentina, grande Paese di scomparsi, ma da genitori italiani e presto defunti, quindi senza nessuna memoria residua e compromettente. Per perfezionare la sua rinascita, affronterà un’operazione all’occhio. La prospettiva è “inattuale”, quella leopardiana delle Operette morali, a cui già faceva pensare la maledizione di Copernico.

Questo nell’euforia iniziale. E non manca, almeno implicito, un alone mistico ed esoterico. Morte e reincarnazione. Pascal come nuovo Cristo.

Presto, tuttavia, le cose si complicano. La sua morte è solo una morte anagrafica, ma la morte anagrafica diventa una morte storica. Scopre di non aver diritto nemmeno a possedere un cagnolino, per compagnia. Non può cioè permettersi alcun legame, pena l’identificazione. Chiariamo lo sbocco di questa paradossale situazione: è vivo per la morte, ma morto per la vita. È escluso. Escluso dalla vita. Marta Ajala ha perso i bagagli e recupera i connotati maschili.

La reincarnazione avviene nei panni di Adriano Meis, che va ad abitare a Roma, città ospitale e dispersiva, degradata e in crisi dinanzi alla modernità. «Uccello senza nido», alloggia provvisoriamente nella casa di Anselmo Paleari, un funzionario ministeriale in pensione e ingenuo quanto appassionato cultore di fenomeni spiritici; il quale possiede anche una biblioteca teosofica. È, per il protagonista, la seconda biblioteca. In conseguenza dell’operazione all’occhio, è costretto ad esasperare l’isolamento, a rimanere al buio in quarantena. Al buio, tanto più se protratto, quasi una piccola morte, è inevitabile pensare all’aldilà. Quasi in un sondaggio, assistiamo addirittura ad una seduta spiritica, con colpi di scena e purtroppo immancabili trucchi di qualcuno degli officianti.

Per questa via Pirandello si affaccia al problema dell’oltre, al miraggio della vita ultraterrena. Qui viene enunciata la dottrina della lanterninosofia, una teoria delle illusioni che ben esprime il grado avanzato del relativismo pirandelliano. In questa stessa manciata di pagine è contenuto l’accenno a Oreste dell’Elettra sofoclea che recita in un teatrino di marionette e che si accorge dello strappo nel cielo di carta. La differenza tra Oreste e Amleto, in sostanza tra la tragedia antica e quella moderna, è sintetizzata in questo: «in un buco nel cielo di carta». Sono enunciazioni importanti, che hanno avuto una larga fortuna presso gli interpreti, persino come schemi ripetibili e didattici; e comprovano lo spessore intellettuale del testo, la matrice colta e raziocinante che sta alla base di un’invenzione che vorrebbe apparire spontanea e capricciosa. Non si dimentichi che nell’opera sono citati di sana pianta un enigma peregrino dello Stigliani e la poesia La mia lampada del Tommaseo; e ovviamente, un intero scaffale di libri teosofici, tra cui l’opera di un altro Pascal, Théophile, ad abundantiam.

Insomma, Mattia Pascal trova quello che cerca, a Roma finisce nella casa che gli è più congeniale, per la prosecuzione dei suoi esperimenti. Sperimenta questo mondo, anzi «mondaccio», e l’altro mondo, attraverso le incursioni possibili. Sinché, braccato, è chiamato a prendere una decisione definitiva. Si suiciderà davvero, secondo la prefigurazione dell’anonimo in cui moglie e suocera lo hanno identificato; oppure si sbarazzerà del falso Adriano Meis.

Opta per questa seconda soluzione. È una resurrezione, e un ritorno. Naturalmente, anche una vendetta. La scena di Mattia che si ripresenta alla sua famiglia ha un impatto drammatico. È il risarcimento tanto sognato, che però non procura il piacere previsto. La crudeltà è pietosa, e l’attacco si spegne in una rinuncia. La vita si è contorta con tanti fili creando nuovi e indistricabili intrecci, il tempo è passato ed è ormai troppo tardi. Mattia Pascal si ritrova nella solitudine della sua biblioteca, in compagnia dei topi. È a suo modo risalito dal regno delle ombre, ha conosciuto una prima e una seconda morte, ed è in attesa di una terza. Nel frattempo, si reca al cimitero del paese, a omaggiare patetico la tomba dell’ignoto e da nessun altro compianto, che porta il suo nome.

Vicenda estrema, profondamente pirandelliana, svolta con rigore paranoico, che denuda il personaggio, strappandogli tutte le maschere. Complessivamente, non un’esperienza episodica, ma il fuoco di un’iniziazione. Mattia Pascal torna vittorioso e sconfitto, ma Pirandello non può più tornare indietro. Il regno delle ombre gli ha svelato troppe cose. Nel 1908, quando pubblicherà il saggio su L’umorismo, vorrà significativamente dedicarlo alla memoria di Mattia Pascal, il confratello che più di qualunque altro ha modificato la sua stessa visione della vita e della letteratura. Il problema, semmai, per uno scrittore ancora giovane come Pirandello a questa data, è il dopo; è rimanere nel solco di quel sentiero e di quella rivelazione, con coerenza di sviluppi ma senza troppe forzature cerebralistiche. Che è stata l’intuizione essenziale de Il fu Mattia Pascal.

Il bibliotecario dal cervello un po’ balzano che racconta la propria storia può considerarsi «come già fuori della vita; e dunque senza obblighi e senza scrupoli di sorta». Questi scrupoli invece li ha lo scrittore, anche per le accuse di esagerazione e di inverosimiglianza che gli vengono mosse dagli interpreti e dai lettori, sconcertati dalla sua novità. Nell’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia aggiunta in appendice all’edizione in volume Bemporad del 1921, e in parte anticipata su «L’Idea nazionale», lo scrittore trova opportuno produrre delle precisazioni e delle dimostrazioni.

È l’anno dei Sei personaggi in cerca d’autore e tutto sembra dargli ragione. Anche la realtà. Pirandello cita trionfante due episodi: uno generico di cronaca nera, riferito dai giornali di New York, che riguarda un intrigo di marito moglie e amante, e che non comprova granché, ma offre spunto alle speculazioni pirandelliane sul fatto che «le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verisimili, perché sono vere». L’altro, l’autentico pezzo forte, riportato dal «Corriere della Sera» del marzo 1920, con il titolo L’omaggio di un vivo alla propria tomba, che sembra ricalcare in una sbalorditiva variazione il caso de Il fu Mattia Pascal. La vita, dunque, imita l’arte, e non viceversa. Pirandello esulta: «Ebbene, la vita ha voluto darmi la prova della verità di esso in una misura veramente eccezionale, fin nella minuzia di certi caratteristici particolari spontaneamente trovati dalla mia fantasia». Esclude che il personaggio coinvolto nella vicenda abbia potuto essere influenzato dalla lettura del romanzo. E non prende neanche in considerazione che sia stato il giornalista estensore della notizia a schiacciare la sua cronaca sulla fonte letteraria ormai assurta a notorietà.

Ma l’interesse di questa Avvertenza è anche preterintenzionale: ci informa ufficialmente che lo scrittore è preoccupato della diffidenza dei critici, che lo accusano di schematismo e di esasperazione logica, e ne è preoccupato tanto più perché teme che il rilievo possa avere un fondamento. Di qui, la concessione, incauta, a un interprete come Adriano Tilgher, il quale per parte sua presto cercherà uno spazio autonomo, e si vanterà di aver trovato il segreto di una formula variata e sempre uguale. Siamo già nelle spirali del pirandellismo.

 

SERGIO CAMPAILLA

Questo ebook appartiene a martina rotta - 91344 Edito da Newton Compton Editori Acquistato il 9/12/2014 7:44:43 AM con numero d'ordine 925062
I magnifici 7 capolavori della letteratura italiana
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