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Venendo verso di me, Erskine «Skinny» Slidell si tolse i Ray-Ban taroccati, abbassò il finestrino e registrò con lo sguardo gli orli luridi dei miei pantaloni, i piedi devastati e i capelli da pazza. Un sorriso gli increspò un angolo della bocca. Anche se la Sezione anticrimine del Dipartimento di polizia di Charlotte-Mecklenburg, Squadra Omicidi, avrà almeno una dozzina di detective, chissà perché finisco sempre a lavorare con Skinny. E lavorare con Skinny mette a dura prova i miei nervi.

Non che sia un cattivo investigatore, al contrario. Ma si considera un poliziotto «della vecchia guardia», cosa che, nella sua mente malata, lo accomuna all’ispettore Callaghan, a Popeye Doyle e al sergente Friday. L’ho visto interrogare dei testimoni: classico stile «Si attenga ai fatti, signora». Solo che Slidell non è tipo da usare appellativi di cortesia come «signora».

Alcuni anni prima, il partner storico di Skinny, Eddie Rinaldi, era rimasto ucciso nel corso di una sparatoria. Nessuno aveva dato la colpa a Slidell. Eccetto Slidell. In seguito, nella convinzione che il buon Skinny avesse bisogno di ampliare le sue vedute in fatto di parità dei sessi, il Dipartimento gli aveva affiancato una donna: una lesbica latino-americana di nome Theresa Madrid. Contro ogni pronostico, i due andavano d’amore e d’accordo.

Di recente, la Madrid e la sua compagna avevano adottato un bambino coreano e la detective si era messa in congedo di maternità. Slidell, perciò, lavorava temporaneamente da solo, cosa che non gli dispiaceva affatto.

«O-ooh» fu il commento di Skinny.

«Detective…»

«Abbiamo fatto arrabbiare qualcuno?»

Più tardi, forse, avrei riso dell’intera faccenda, ma al momento mi vedevo davanti solo alternative agghiaccianti: discutere con il babbeo biondo del parcheggio, trascinarmi fino a un telefono e attendere il soccorso stradale, restare in compagnia di Slidell.

«Come hai saputo che ero qui?» Gelida.

«Ero con il dottor Larabee, quando ha ricevuto una chiamata.» Si sporse in avanti e aprì la portiera dal lato passeggero.

Trassi un respiro rassegnato e salii.

«Gesù, doc, non vedevo una tipa messa così male da anni.»

«Dovresti uscire più spesso.»

«Che diavolo hai…»

«Lotta nel fango. Fermati lì.» Indicai il punto in cui era parcheggiata la mia auto.

«Vorrei vedere com’è ridotta l’altra.»

«Posterò il video su YouTube.» Trafissi l’aria con un dito impaziente in direzione del grosso SUV.

Slidell avanzò.

«Stop!» Alzai la mano.

«So cosa è successo! Qualcuno ti ha preso a randellate perché hai tentato di rubargli la macchina.»

«Se fossi capace di rubare un’auto, non sarei qui.» Scesi dalla Taurus. Le vesciche sui miei piedi sembravano due occhi intenti a fissarmi.

Se il bracciale non fosse stato un regalo di Katy, ci avrei rinunciato subito. Ma un giorno le avrei raccontato l’episodio e ne avremmo riso insieme. Forse.

M’infilai tra la mia Mazda e il mammut che le stava accanto, gli occhi incollati al suolo. Tombola! Ecco la fascetta d’argento, all’altezza dei due retrovisori convergenti, nel punto meno accessibile.

Tirai in dentro la pancia e m’incuneai tra le maniglie delle due portiere, accovacciandomi. Con la spalla di traverso per quanto potevo, allungai il braccio e afferrai il bracciale, quindi, attenta a non azionare allarmi, mi rimisi in piedi e tornai alla Taurus.

Slidell aveva osservato la mia performance senza commentare. Apparentemente, ero ormai al di là del confine tra divertente e pietoso.

Salii in auto sbattendo la portiera.

«Dove?»

«Ufficio del medico legale.» Rinfilandomi al polso il bracciale.

«Posso passare anche da casa tua…»

«Le chiavi di casa sono nella borsa. In macchina.»

«Negozio di scarpe?»

«No, grazie.» Secca.

«Nessun problema» disse lui. «Dovevo comunque tornare all’MCME.»

Avrei potuto chiedergli perché. Invece, me ne restai seduta con la faccia rivolta al finestrino, tesa con ogni fibra del mio essere nello sforzo di estromettere l’impressione olfattiva della passione di Slidell per i fritti e i cibi troppo unti in genere, delle colonie di muffa, delle scarpe da ginnastica sudate e dei berretti macchiati d’olio, del fumo stantio e dello stesso Skinny.

Anch’io, però, non profumavo esattamente di rose.

Il detective uscì dal parcheggio, accelerò in direzione East Trade e svoltò a sinistra.

Trascorsero vari minuti silenziosi, poi: «Chi ha fatto fuori Fido e compagnia?».

Non avevo idea a cosa si riferisse.

«Chi ha fatto saltare i bastardini?»

Grandioso. Slidell sapeva dei miei quattro involti mummificati. Tutto combustibile per la sua verve comica.

«Chi ha steso i…»

«Mi è stato chiesto di esaminare dei resti ossei per verificare che non siano umani. In tal caso, gli archeologi dateranno, autenticheranno e spediranno i reperti… da qualche parte.»

«Perché quei chihuahua defunti sono…»

«Chihuahua? Gli involti vengono dal Perú, non dal Messico.»

«Certo. Insomma, come mai dei cagnetti finiscono sul tavolo del medico legale?»

«I funzionari doganali hanno requisito le ossa all’aeroporto. Un qualche testa di cavolo è stato accusato di volerle far entrare di straforo nel Paese. L’importazione illegale di antichità è un crimine, lo sai, detective.»

«Già.» Viaggiammo ancora per alcuni istanti senza parlare, poi: «I federali hanno impacchettato il vecchio Dom Rockett».

Benché curiosa, aspettai, sapendo che Slidell avrebbe fornito ulteriori delucidazioni.

«Dom Rockett, re della paccottiglia etnica da tutto il mondo.»

«Da tutto il mondo? Tutto tutto?» Era più forte di me.

«Dall’America Latina e i nostri amigos, laggiù, hanno paccottiglia a sufficienza per il mondo intero.»

Slidell è sempre pieno d’amore universale.

«Bracciali, anelli, chincaglieria da mettersi al collo. Scialli, batik. Roba da poco dalla Terra del Fuoco.»

«Sei un poeta, detective.»

«A quanto pare, secondo l’ICE, Rockett sta allargando i suoi orizzonti, dedicandosi forse allo smercio di vere antichità.» Si riferiva all’Immigration and Customs Enforcement, una sezione della Sicurezza Nazionale. «Antichità non denunciate.»

Attesi il seguito.

«Non mi sorprenderebbe. Quel tizio è feccia.»

«Lo conosci?»

«So di lui. La feccia conosce la feccia.»

Non domandai cosa volesse dire.

«Potresti accendere l’aria condizionata?»

«Non prenderai freddo ai piedi?» Serissimo.

Gli lanciai un’occhiataccia inutile, visto che i suoi Ray-Ban erano fissi sulla strada.

Slidell allungò una mano e sollevò un interruttore, poi premette qualcosa sul cruscotto con la base del palmo. Una luce blu si accese baluginando e aria tiepida entrò nell’abitacolo.

«Se quel che dici è vero» osservai, «Rockett potrebbe aver pensato di vendere i quattro involti mummificati a un museo; magari a un collezionista privato.»

«Sono certo che l’ICE starà sondando le sue intenzioni. Lo stronzo vuoterà il sacco, qualunque cosa avesse in pentola.»

Oltre la I-77, la West Trade svoltava in direzione ovest, poi di nuovo a est. Slidell imboccò la curva troppo velocemente, spedendo cartocci e contenitori da asporto verso il fondo dell’auto. Gli odori evocarono nella mia mente immagini di carne consumata da tempo. Pollo fritto? Barbecue? Animali morti sulla carreggiata?

Alla fine, la curiosità prevalse.

«Che ci facevi da Larabee?» domandai.

«Stamattina è arrivata la vittima di un incidente stradale. Omissione di soccorso. Sesso femminile. Identità sconosciuta.»

«Età?»

«Grande abbastanza.»

«Sarebbe a dire?» Più brusca di quanto avessi voluto.

«Tra i quindici e i vent’anni scarsi.»

«Razza?»

«È una messicana passata illegalmente oltre la rete, ci scommetto le mutande.»

«Il nome è ignoto, ma, per magia, tu sai che la ragazza è sudamericana e perciò clandestina?»

«Andava in giro senza documento d’identità e senza chiavi…»

Come me in quel momento, pensai, ma non lo dissi.

Trascorsero alcuni secondi.

«Dove l’hanno trovata?» chiesi.

«Incrocio tra Rountree e Old Pineville Road, poco più a sud di Woodlawn. Larabee ha collocato l’ora della morte tra mezzanotte e l’alba.»

«Che ci faceva fuori a notte fonda?» Riflettendo ad alta voce.

«Tu che ne pensi?»

Io pensavo che la Old Pineville era già un tratto deserto come pochi di giorno, figurarsi nel cuore della notte. C’era una manciata di piccoli esercizi commerciali, ma non del genere che avrebbe attirato una teenager.

«Testimoni?»

Slidell scosse il capo. «Setaccerò la zona appena finito con il dottor Larabee. Per me, comunque, la ragazza era lì a lavorare.»

«Ma davvero?» sbottai.

Il detective alzò una sola spalla corpulenta.

«Sai soltanto che è un’adolescente non identificata» esclamai, «eppure hai già deciso che era clandestina e che batteva. Cos’è? Speed detecting

Bofonchiò qualcosa.

Mi estraniai; dopo anni di pratica, ormai ci riuscivo meglio.

Le mie cellule grigie offrirono una serie d’immagini: una giovane su una strada a due corsie, fari, l’impatto con un paraurti…

«… Story?»

«Eh?»

«Ricordi John-Henry Story?» ripeté Skinny.

Quel cambio di argomento mi spiazzò. «Il tizio morto in un incendio ad aprile?»

Sei mesi prima avevo esaminato resti frammentari recuperati dal rogo – dovuto a un’esplosione – di un mercatino coperto. Avevo stabilito che la vittima era un maschio bianco tra i quarantacinque e i sessant’anni e il profilo biologico corrispondeva a John-Henry Story, proprietario dell’esercizio. L’uomo aveva detto ad alcuni testimoni che era intenzionato a recarvisi, dopodiché nessuno l’aveva più visto né sentito. Erano stati trovati alcuni effetti personali, insieme alle ossa. Il cellulare? L’orologio? Il portafoglio? Non riuscivo a ricordare i particolari.

Benché l’identificazione fosse avvenuta mediante prove circostanziali, il medico legale l’aveva ritenuta attendibile. La squadra incaricata di indagare sull’incendio aveva sondato il luogo ed effettuato tutti gli accertamenti del caso, ma il capannone che ospitava il mercatino era così vecchio e la distruzione operata dalle fiamme così totale, che non era stato possibile stabilire con sicurezza la causa dell’accaduto.

La morte di Story aveva fatto notizia: un importante uomo d’affari perdeva la vita nel rogo di un edificio con sistemi di allarme e antincendio inadeguati. I media si erano fiondati sulla storia, rilanciando il tema della sicurezza in luoghi non a norma, come i mercatini o i gun show, le esposizioni itineranti dei venditori d’armi. Alla fine, però, erano passati ad altro, il clamore si era spento e il mercato delle pulci di Story aveva riaperto altrove.

«Yeppa.» L’espressione di assenso preferita di Slidell. Mi dava sui nervi.

L’ufficio del medico legale era sorto per anni all’angolo tra la 10a e la College, in una sorta di scatola in mattoni a vista che, in origine, era stata un garden center. Per anni i potenti della città avevano parlato di ricollocazione e per anni non se n’era fatto niente; poi – miracolo! – si era mosso qualcosa.

Al costo di otto milioni di dollari, era stata edificata una struttura sostitutiva, su terreno pubblico, in un’area industriale a nord-ovest del centro città. Il nuovo edificio, che vantava una superficie di millecinquecentottanta metri quadri, era grande quattro volte la vecchia sede. Pavimenti in resina epossidica, pareti in Corian, chilometri di acciaio inox. Ora i patologi potevano effettuare quattro autopsie in contemporanea, invece di due. E il nuovo assetto comprendeva due sale per le analisi che richiedevano un trattamento speciale a causa della decomposizione o di una potenziale contaminazione.

I casi puzzolenti. I miei.

E la nuovissima struttura era rigorosamente ecosostenibile: sofisticati sistemi di produzione di energia green; impianti di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell’aria, con condutture larghe fino a un metro. Anche se l’azione si svolgeva quasi solo al primo piano, alcune parti dell’edificio si erano dovute costruire su due livelli per contenere il tutto.

Vi regnava un’atmosfera tranquilla. Gli uffici e gli spazi adibiti al pubblico erano realizzati nei toni dell’azzurro e del beige, le finestre ampie, con schermi solari e light-shelves volti a ottimizzare lo sfruttamento della luce diurna e ridurre al minimo il riflesso.

In altre parole, la nostra nuova tana era il top.

Aspettai che Slidell varcasse la nera recinzione di sicurezza, girasse intorno alle aste delle bandiere e s’infilasse in un posto auto. Spento il motore, il detective poggiò un braccio sullo schienale (spedendo nella mia direzione una zaffata di odore corporeo) e si sporse verso di me.

«John-Henry Story aveva proprietà da un capo all’altro delle contee di Mecklenburg e di Gaston: Story Motors, Story Storage…»

Sfrutta lo spazio di Story. Lo slogan mi tornò in mente di punto in bianco: era stata una campagna pubblicitaria irritante ma azzeccata.

«John-Henry’s Tavern… La lista è più lunga della coda del mio cane.»

«Hai un cane?»

«Ti interessa quel che sto dicendo o no?»

«La morte di Story è stata ritenuta accidentale, perché rivangare quella storia?»

Slidell mi fissò con un’espressione teatrale, mentre si infilava una mano all’interno della giacca color senape. Con destrezza, estrasse una bustina trasparente a chiusura ermetica dal taschino della camicia, che era di una tonalità di arancio. Melone, credo si chiami.

Sforzandomi di non alzare gli occhi al cielo, mi protesi a osservare.

E sentii il mio sopracciglio sollevarsi per la sorpresa.