Capitolo Quattordici

Gesù diceva che ciò che era stato fatto nelle tenebre sarebbe stato portato in piena luce. Quando mi svegliai da solo nel letto, quella mattina, capii con precisione cosa intendesse, perché tutti i pensieri che ero riuscito a respingere durante la notte si affollarono nella mia mente, schierati in prima linea. Li dovevo affrontare e, soprattutto, dovevo farlo da solo.

Lei dov’era? Non c’era nessun bigliettino o messaggio, nessuna tazza nel lavandino. Se n’era andata senza salutare e mi sentii trafitto al petto da una lama affilata.

Poppy è laica, ricordai a me stesso. Quello era ciò che di norma facevano i laici: si incontravano, scopavano, poi voltavano pagina. Non si innamoravano in un batter d’occhio.

Tuttavia, la notte prima, lei era stata sul punto di dirlo. Era pronta a dichiararlo… o me l’ero immaginato? Forse mi ero illuso che la scintilla tra di noi fosse reciproca, condivisa. Forse, per lei, ero stato un capriccio – il prete belloccio – e, dopo aver soddisfatto la sua curiosità, era pronta a voltare pagina.

Avevo infranto il mio voto per una donna che non si era scomodata neanche a fermarsi per la colazione.

Mi trascinai in bagno e, quando mi guardai allo specchio, vidi una barba di due giorni, i capelli in aria per essere stati tirati e l’inconfondibile segno di un succhiotto sulla clavicola. Detestai l’uomo riflesso e, per poco, non tirai un pugno contro il vetro, desideroso di sentirlo andare in frantumi, desideroso di provare il dolore intenso di mille tagli profondi. Infine mi sedetti sul bordo della vasca cedendo al pianto.

Ero un brav’uomo. Avevo lavorato duramente per diventarlo, mi ero impegnato a condurre la mia vita come Dio voleva. Avevo elargito consigli, confortato, trascorso ore e ore in preghiera contemplativa e meditazione.

Ero un brav’uomo.

Allora perché lo avevo fatto?

Poppy non venne alla messa del mattino e non la sentii per tutto il giorno, anche se passai davanti alla finestra più del necessario per controllare che la Fiat azzurra fosse ancora nel vialetto.

C’era.

Controllai il telefono ogni tre minuti in attesa di un messaggio, le scrissi varie volte per poi cancellare, e poi rimproverai me stesso per il bisogno di sentirla. Quella mattina, in bagno, avevo pianto come un bambino. Stupidi singhiozzi che erano riecheggiati tra le piastrelle. Mettere dello spazio tra di noi era la cosa migliore. Non riuscivo a concentrarmi quando ero vicino a lei. Non riuscivo a mantenere il controllo. Mi aveva fatto sentire come se ogni peccato e ogni punizione valessero la pena, pur di ascoltare una delle sue risatine roche. Ciò che dovevo fare, ora, era sistemare il disastro che era diventata la mia vita e schiarirmi le idee. Accettare di mantenere quella distanza significava essere prudenti, astenersi dal sesso e abbracciare il primo briciolo di buon senso mostrato da quando l’avevo conosciuta. Il mio orgoglio, ferito dal fatto che se ne fosse andata senza neanche salutare, non c’entrava niente.

Quella sera c’era la festa di rientro a scuola per il gruppo dei giovani; la trascorsi a mangiare pizza, a giocare alla Xbox One e a cercare di evitare che i ragazzi si rendessero del tutto ridicoli coi loro tentativi di impressionare le ragazze. Dopo che anche l’ultimo adolescente se ne fu andato dalla chiesa, pulii il seminterrato e tornai a casa; mi svestii e recuperai un paio di pantaloni comodi. Fissai fuori dalla finestra della camera da letto, verso il vialetto della casa di Poppy, perso nei miei pensieri.

Secondo la Chiesa, tutto quello che c’era stato tra di noi era sbagliato. Era lussuria. Fornicazione. Menzogna. Tradimento. Ma la Chiesa parlava anche dell’amore che superava i confini e la Bibbia era piena di storie di persone che avevano realizzato la volontà di Dio pur provando desideri molto umani. Cos’era, poi, il peccato? L’amore tra me e Poppy feriva forse qualcuno?

È una questione di fiducia, ricordai a me stesso. Per questo, mentre mi dibattevo tra i vari aspetti filosofici del peccato, da teologo addestrato quale ero, avevo anche coscienza di essere un pastore e come pastore dovevo rimanere concreto. Il punto era che mi trovavo in quel luogo, per rafforzare la fede nella Chiesa, cancellando gli sbagli commessi da un altro uomo. E non importava che la mia relazione con Poppy fosse consensuale. Era irrilevante, perché avrebbe comunque rovinato tutto: il mio lavoro e i miei obiettivi; il mio memoriale alla morte di Lizzy.

Lizzy.

Era stato così bello parlare di lei. Non ne parlavamo molto in famiglia. A dire il vero, non ne parlavamo affatto, tranne quando rimanevo da solo con mia madre. Parlarne non aveva fatto sparire il dolore, ma lo aveva trasformato e aveva reso più facile rapportarmi a esso. Mi spostai dalla finestra al comodino, per prendere il rosario che più amavo usare e che era una serie di perle d’argento e giada.

Era stato di Lizzy.

Non pregai, ma feci scorrere le perline tra le dita mentre restavo seduto, pensando, agitandomi e alla fine lasciando che la mente collassasse negli alvei logori della preoccupazione e del senso di colpa, accompagnato da un nuovo, pungente dolore provocato dalla sua assenza e da tutte le paure a essa collegate. Dovevo affrontare e dipanare tutto quel groviglio di pensieri e situazioni, e tuttavia la cosa che mi tormentava di più, mentre mi addormentavo, era la possibilità che Poppy avesse chiuso con me.

Il giorno seguente c’era la colazione con i pancake e Poppy si presentò per dare una mano, ma mi evitò, parlando solo con Millie e andando via non appena l’ultimo ospite si diresse verso le scale.

«È venuta alla riunione Vieni e Vedrai di ieri pomeriggio» mi informò Millie. «Sembrava piuttosto interessata. Le ho spiegato come funziona il catechismo e penso che sia disponibile, ma ha chiesto se fosse possibile seguire le lezioni in un’altra chiesa.» Millie mi guardò con intensità. «Voi due non avrete litigato, vero?»

«No» biascicai. «Va tutto bene.»

«Per questo stamattina vi guardavate in maniera così sofferta?»

Trasalii. Millie era più acuta della maggior parte della gente, ma non volevo che nessuno si accorgesse dei rapporti tra me e Poppy, sia tesi sia amichevoli. Avevamo fatto sesso una volta sola e le emozioni stavano già filtrando da ogni possibile crepa nella diga.

«Padre Bell, la St. Margaret ha bisogno di lei. Spero vivamente che tu non abbia intenzione di mandare tutto a puttane.»

«Millie!»

«Che c’è?» chiese mentre prendeva la sua borsa trapuntata. «Una signora anziana non può dire parolacce? Mettiti al passo con i tempi, Padre.»

E se ne andò.

Aveva ragione: la St. Margaret aveva bisogno di Poppy. E io avevo bisogno di Poppy. E la St. Margaret aveva bisogno di me, e così anche Poppy. Troppe persone avevano bisogno di altrettante persone, ed era impossibile fare il giocoliere e destreggiarmi con tutte quelle palline: prima o poi ne avrei fatta cadere una e le conseguenze sarebbero state drammatiche.

Riuscii, bene o male, a controllarmi fino a domenica sera, quando la rabbia prese il sopravvento e le mandai un messaggio: Ti sto pensando.

Il petto e la gola sembravano cuciti insieme e per poco non balzai in piedi, quando vidi i tre puntini saltellare sullo schermo, segno che lei stava digitando una risposta. E poi sparirono.

Emisi un respiro profondo. Aveva rinunciato a scrivere; non aveva intenzione di rispondere. Non volevo neanche pensare a cosa potesse significare. Per distrarmi, mi concessi il lusso di uno sformato riscaldato di Millie, tre episodi di House of Cards e un generoso sorso di scotch.

Mi addormentai con il rosario di Lizzy intrecciato alle dita, sentendomi in qualche modo più distante che mai dalla mia vita.

Quella mattina non avevo visto Poppy a messa, quindi l’ultima cosa che mi aspettavo, dopo la confessione di Rowan, era che si infilasse dall’altro lato del confessionale.

Poteva essere stato il cigolio esitante della porta o l’inconfondibile fruscio di un vestito contro cosce morbide o l’elettricità che subito crepitò sulla mia pelle, ma capii che era lei senza bisogno che dicesse una parola.

La porta si chiuse e restammo seduti in silenzio per un po’; il suo respiro calmo e io che picchiettavo con ansia il pollice contro il palmo della mano, mentre detestavo constatare di essere già mezzo eccitato solo standole vicino.

Alla fine, chiesi: «Dove sei stata?»

Sospirò. «Qui. Sono stata proprio qui.»

«Non mi è sembrato.»

Ero imbarazzato per quanto apparissi amareggiato e ferito, ma allo stesso tempo non mi importava. Tyler Bell a ventun anni non avrebbe mai permesso a una ragazza di scalfire la sua corazza di orgoglio, non le avrebbe mai mostrato che lo aveva fatto soffrire. Ma avevo quasi trent’anni, ne era passato di tempo dall’università, e tante cose per me erano cambiate.

O forse non era solo il fatto che fossi cambiato. Forse quello era l’effetto che Poppy avrebbe avuto su di me a qualsiasi età, in ogni luogo. Mi aveva fatto qualcosa e pensai (con un po’ di irritazione) che non fosse corretto. Non era giusto che potesse starsene seduta lì senza essere distrutta, come me, per quello che era successo tra noi, qualsiasi cosa noi significasse nel nostro specifico caso.

«Sei arrabbiato con me?» chiese.

Mi appoggiai alla parete. «No.» Ci ripensai. «Un po’. Non so.»

«Allora lo sei.»

Le parole si fecero strada tra le mie labbra. «È solo che mi sembra di aver messo tutto a repentaglio mentre tu non rischi nulla, e quella che se ne va via sei tu, e non lo trovo giusto.»

«Andare via da cosa, Tyler? Da una relazione che non può nascere? Dal sesso, che distruggerà la tua carriera, se non peggio? Ho trascorso gli ultimi tre giorni a sbattere la testa contro il muro, perché ti voglio… ti voglio così tanto… ma, se ti avrò, ti rovinerò la vita. Come pensi che mi faccia sentire? Pensi che io possa accettare di distruggere la tua vita, la tua comunità, tutto, per le mie egoistiche necessità?»

Il suo scoppio emotivo mi risuonò in testa per molto tempo dopo che ebbe smesso di parlare. A quello non avevo pensato: che si potesse sentire in colpa, che si sentisse responsabile e che avesse scelto di evitarmi perché non sopportava il peso di potermi rovinare.

Non sapevo cosa dire. Ero grato, confuso e ancora ferito, tutto allo stesso tempo.

Così dissi l’unica cosa che mi venne in mente: «Quando ti sei confessata l’ultima volta?»

Un sospiro. «Quindi è così che andrà questa conversazione?»

Non mi importava di come sarebbe andata la conversazione, mi bastava che avvenisse, che io potessi continuare a parlare con lei. «Se lo vuoi.»

«Sai una cosa? Lo voglio.»


POPPY


«Il sesso prima del matrimonio è peccato, giusto? E sono certa che fare sesso con un prete è sicuramente peccato. Ed è molto probabile che “scopare sull’altare” non si trovi nelle Encicliche Papali, ma immagino che anche quello sia un peccato grave. Quindi li confesserò. Confesserò l’euforia che ho provato su quell’altare, ad averti tra le mie gambe. Nel riuscire finalmente a convincerti a lasciarti andare. Eravamo più umani che mai, più animaleschi che mai, ma in qualche modo mi sentivo ancora più vicina a Dio, come se tutta la mia anima fosse sveglia, vigile e danzante. Ho alzato lo sguardo verso il crocifisso, verso Cristo sulla croce e ho pensato: “Ecco com’è essere distrutta per amore. Ecco cosa significa rinascere.” L’ho guardato oltre la tua spalla mentre mi trafiggevi, e anche Cristo era stato trafitto, e tutto sembrava un grande, profondo mistero. Mi sono sentita come se stessimo compiendo un rito incredibilmente antico, come se ci fossimo imbattuti in una cerimonia segreta che ci avrebbe fusi insieme… ma come posso godermi quel sentimento, come posso celebrarlo, quando implica un prezzo così alto?

Ti ho detto che mi sento in colpa, ed è vero, ma le emozioni dentro di me sono un miscuglio tale che non riesco più a distinguere il senso di colpa dalla gioia e dal desiderio. Ogni volta che credo di aver preso una decisione, che decido di dirti che dobbiamo rispettare i tuoi voti e le tue scelte, oppure al contrario, che dobbiamo trovare un modo, uno qualsiasi, per poterci vedere ancora, poi, cambio idea.

La preoccupazione è un peccato, lo so persino io, eppure sono più di un semplice giglio di campo. Sono un giglio che è stato sradicato da terra e deposto ai tuoi piedi. Quando si tratta di te, sono senza radici, impotente, in balia delle tue mani per ricevere il sole e l’acqua. E non mi è permesso di ritenermi tua. Come posso non preoccuparmi?

Ieri notte, avevo davvero voglia di rispondere al tuo messaggio, ma non sapevo cosa dire, come sintetizzare i miei pensieri in due o tre frasi sensate. Volevo venire a casa tua e parlare, ma sapevo che, se l’avessi fatto, non sarei riuscita a trattenermi dal toccarti e chiederti di fare sesso, e non volevo rendere le cose più complicate di quelle che sono.

Ma poi ho continuato a guardare il tuo messaggio, chiedendomi cosa pensassi esattamente di me e se anche tu stavi ripensando a come ci eravamo sentiti su quell’altare. A come mi ero mossa sotto di te. Mi domandavo se ricordavi la tua cucina e noi due che guardavamo in basso, mentre ti spingevi appena dentro di me.

E arrivo, dunque, all’ultimo atto della mia confessione. Mi sono inginocchiata sul pavimento della mia camera, come se volessi pregare e, invece, ho spalancato le gambe e mi sono masturbata, immaginando che a toccarmi fossi tu.

E quando ho raggiunto l’orgasmo, ho pregato Dio che riuscissi a sentirmi mentre gridavo il tuo nome.»