Capitolo Venticinque

La scuola di danza si trovava nel Queens, in un quartiere pittoresco, ma fatiscente; il tipo di quartiere perfetto per una possibile riqualificazione, salvo che nessun costruttore si era ancora mosso, e al momento sembrava abitato solo da un gran numero di artisti e hipster.

Da quello che avevo potuto vedere dalla ricerca su internet, fatta tramite il cellulare in metropolitana, la Little Flower era una scuola senza scopo di lucro che offriva lezioni di danza gratuite ai giovani del quartiere, in particolare alle ragazze. Il sito non citava Poppy da nessuna parte, ma la scuola aveva aperto due soli mesi dopo che aveva lasciato Weston e l’intero progetto era finanziato dalla fondazione di famiglia.

Era un edificio alto con mattoni a vista, di tre piani, e la facciata sembrava restaurata di recente, con grandi finestre che si affacciavano sulla sala da ballo principale, un insieme di legno chiaro e specchi scintillanti.

Purtroppo, essendo primo pomeriggio, non sembrava esserci nessuno. Le luci erano spente, la porta chiusa a chiave, e quando suonai il campanello non ricevetti risposta. Provai anche a chiamare al numero di telefono della scuola, e da fuori vidi che lo schermo dell’apparecchio alla reception continuava a illuminarsi. Ma non c’era nessuno a rispondere.

Avrei potuto gironzolare un po’ nel quartiere, aspettando che arrivasse qualcuno, e con tutto me stesso speravo che quel qualcuno fosse Poppy, oppure tornare a casa e riprovare un altro giorno. Il clima era rovente, il genere di caldo che poteva far sciogliere le suole delle scarpe, se si rimaneva troppo a lungo sul marciapiede, e non c’era la possibilità di mettersi all’ombra all’esterno della scuola. Era davvero una buona idea restare lì e rimanere vittima di un’insolazione?

Ma lasciare New York senza vedere Poppy, senza parlarle, era un pensiero che non riuscivo a sopportare per più di una manciata di secondi. Avevo trascorso gli ultimi dieci mesi con quel dolore. Non potevo reggere un giorno in più.

Il Signore dovette sentirmi.

Mi voltai verso la stazione della metropolitana, avevo visto un chiosco lì vicino, volevo acquistare una bottiglia d’acqua, e intravidi una guglia tra due file di case: una chiesa. I miei piedi mi portarono in quella direzione senza che nemmeno ci dovessi pensare. Forse speravo che all’interno ci fosse l’aria condizionata, e magari un luogo in cui pregare fino a quando la scuola di danza avrebbe riaperto, ma speravo anche (tanto) di trovare qualcos’altro all’interno.

E fu così.

Le porte principali, socchiuse per lasciar passare una provvidenziale brezza fresca, davano su un ampio ingresso costellato di acquasantiere piene, ma non fu quella la prima cosa che notai. La prima cosa che vidi fu la donna vicina al presbiterio, in ginocchio con la testa china. I capelli scuri erano legati in uno chignon stretto, uno chignon da ballerina, e indossava un top nero che svelava il collo lungo e le spalle slanciate. Abbigliamento da danza, mi resi conto mentre mi avvicinavo, cercando di fare piano, ma non faceva molta differenza. Era talmente assorta nella preghiera che non si mosse di un millimetro neanche quando mi infilai nella fila di panche dietro alla sua.

Avrei potuto tracciare ogni centimetro della sua schiena a memoria, anche dopo tutti quei mesi. Ogni lentiggine, ogni linea dei muscoli, ogni curva delle scapole. E la sfumatura dei capelli, scura come il caffè e altrettanto ricca: ricordavo alla perfezione anche quella. Era così vicina in quel momento, che tutte le mie buone intenzioni e i pensieri puri vennero soggiogati da altri decisamente più oscuri. Avevo voglia di slegarle lo chignon e avvolgere quei capelli setosi intorno alla mano. Desideravo abbassare la scollatura del top e accarezzare quel seno. Volevo strofinare il punto morbido tra le sue gambe attraverso il tessuto dei pantaloni elastici da danza, fino a farli bagnare.

No, non ero del tutto onesto con me stesso, perché ciò che volevo davvero era molto peggio. Volevo sentire il suono del palmo della mia mano contro il suo culo. Volevo farla strisciare, farla implorare, e graffiarle con forza l’interno coscia con la barba. Volevo che cancellasse ogni minuto di dolore che avevo provato a causa sua, con la sua bocca, le mani e la sua fica, dolce e calda.

Ero tentato di fare proprio quello, costringerla ad alzarsi e buttarmela su una spalla, trovare un posto tranquillo, il suo studio, un motel, un corridoio, non mi importava, e mostrarle con precisione come mi avevano ridotto i dieci mesi in cui eravamo stati separati.

Solo perché non sta con Sterling, non significa che voglia stare con te, ricordai a me stesso. Sei qui per restituire il rosario, e basta.

Magari solo un tocco, uno solo prima di darglielo e dirle addio per sempre

Scesi sul mio inginocchiatoio, allungai un dito e, quando fui a un solo centimetro dalla sua pelle, sussurrai il nome che usavo per lei. «Agnellino» dissi. «Piccolo Agnellino.»

Non appena sfiorai la pelle color crema del suo collo, lei si irrigidì e si voltò, la bocca aperta in una incredula O.

«Tyler» sussurrò.

«Poppy» dissi.

E poi gli occhi le si riempirono di lacrime.

Avrei dovuto aspettare, cercare prima di capire cosa provasse per me, chiedere il permesso di toccarla; sapevo tutte quelle cose, ma lei piangeva, lo faceva talmente forte che il suo posto poteva solo essere tra le mie braccia, allora mi spostai nel suo banco e la strinsi a me.

Lei fece scivolare le braccia intorno alla mia vita e affondò il volto nel mio petto, con tutto il corpo che tremava.

«Come mi hai trovata?» riuscì a dire.

«Sterling.»

«Hai parlato con Sterling?» chiese, tirandosi indietro e sfregandosi gli occhi.

Mi abbassai per incontrare il suo sguardo. «Sì. E mi ha detto cos’è successo quel giorno. Il giorno in cui lo hai baciato…» E lì la mia determinazione venne meno, perché, nonostante il nuovo lavoro e aver vissuto in un altro continente, rivederla e ricordare il solco scavato nel mio petto, nell’averla vista baciare Sterling, era troppo perché riuscissi a dirlo ad alta voce.

Lei pianse più forte. «Mi odierai.»

«No, sono venuto a cercarti proprio per dirti che non è così.»

«Pensavo di doverlo fare, Tyler» farfugliò spostando lo sguardo verso il pavimento.

«Fare cosa?»

«Pensavo di dover fare in modo che mi lasciassi» sussurrò.

Persino il mio battito si fermò per ascoltare. «Cosa?»

I suoi occhi erano colmi di dolore e senso di colpa. «Sapevo che potevamo superare tutto quello che Sterling ci avrebbe fatto, ma non potevo sopportare il pensiero di te che lasciavi il clero… che lo abbandonavi per me.» Mi guardò, il volto implorante. «Non me lo sarei mai perdonato. Sapendo di averti strappato alla tua vocazione, a tutta la tua vita, solo perché non riuscivo a controllare i miei sentimenti per te…»

«No, Poppy, non è così. C’ero anch’io lì, ricordi? Ho fatto le tue stesse scelte, non dovevi portare questo fardello di colpe da sola.»

Scosse la testa mentre le lacrime continuavano a scorrere. «Ma se non mi avessi mai incontrata, non avresti mai pensato di abbandonare.»

«Se non ti avessi mai incontrata, non avrei mai vissuto davvero.»

«Oh, Dio, Tyler.» Nascose il volto tra le mani. «Sapere cosa devi aver pensato di me in questi mesi… L’ho odiato. Ho odiato me stessa. Quando le labbra di Sterling hanno toccato le mie, volevo morire. Ti avevo visto arrivare dal parco, sapevo che eri lì, e sapevo che avresti sofferto, ma ho dovuto farlo. Volevo che mi dimenticassi e proseguissi con la tua vita, come voleva il Signore.»

«Mi ha fatto male» ammisi. «Mi ha fatto molto male.»

«Ho odiato Sterling così tanto» disse tra le mani. «Lo odiavo tanto quanto amavo te. Non l’ho mai voluto, Tyler, volevo te, ma come potevo averti senza che tu perdessi tutto? Ho detto a me stessa che era meglio allontanarti piuttosto che vederti sfiorire.»

Le tolsi le mani dal viso. «Mi trovi sfiorito? Ho abbandonato davvero, Poppy, e non a causa tua o delle foto che Sterling ha pubblicato, ma perché mi sono reso conto che il Signore mi voleva da un’altra parte, a condurre una vita diversa.»

«Hai abbandonato?» sussurrò. «Pensavo che ti avessero obbligato a lasciare quando sono uscite le foto.»

«No, è stata una mia scelta. Pensavo… credevo che tu lo sapessi.»

«Ma i pettegolezzi… tutti dicevano…» Fece un respiro profondo, gli occhi su di me. «Ho pensato che le foto ti avessero rovinato. E mi uccideva sapere che in parte era colpa mia, perché, se non fosse stato per me, Sterling non ti avrebbe mai preso di mira. Saperlo mi ha spezzato il cuore in due, anche se non c’era più un cuore da spezzare. Mi mancavi così tanto.»

«Mi sei mancata.» Tirai fuori il rosario e poggiai le perline tintinnanti sul palmo della sua mano. «Te l’ho riportato» dissi, chiudendole le dita intorno al rosario. «Voglio che lo tenga tu. Perché ti perdono.»

Non è tutta la verità, Tyler.

Presi un profondo respiro. «E c’è dell’altro. Ero talmente devastato, distrutto da quello che avevi fatto. E adesso sono arrabbiato con te, per aver provocato così tanto dolore a entrambi. Avresti dovuto parlare con me, Poppy, avresti dovuto dirmi come ti sentivi.»

«Ci ho provato» disse. «Ci ho provato tante volte, ma sembrava che non mi ascoltassi, che non capissi. Avevo bisogno che ti dimenticassi di me per non rovinare la tua vita.»

Sospirai. Diceva la verità. Aveva provato a dirmelo. E io ero talmente rapito dal nostro amore, così preso dalle mie lotte e dalle scelte, che non l’avevo mai davvero ascoltata. «Mi dispiace» risposi, e credevo in quelle due parole più di chiunque altro le avesse mai pronunciate. «Mi dispiace tantissimo. Avrei dovuto ascoltare. Avrei dovuto dirti di non temere cosa il futuro ci avrebbe riservato riguardo al mio lavoro, o riguardo a noi, perché, alla fine, credo che il Signore stesse cercando proprio me e te. Sono convinto che Lui avesse un piano per noi. E anche ora, ovunque io vada, ovunque andiamo, e per quante cose orribili possano succedere, saremo sempre confortati dal suo amore.»

Lei annuì, le lacrime le scorrevano lungo le guance. E poi successe qualcosa, un’ispirazione o un risveglio mi fecero comprendere la verità.

La voglio ancora.

La amo ancora.

Ho ancora bisogno di trascorrere il resto della mia vita con lei.

E anche se non aveva senso, anche se avevo scoperto solo poco prima che lei e Sterling non stavano insieme, che non erano mai stati insieme, lo volevo ancora.

Mi misi in ginocchio sul pavimento. «Quel giorno, stavo venendo a chiederti di sposarmi. E, se anche tu lo vuoi, io desidero ancora sposarti, Poppy. Non ho un anello. Non ho denaro. Non ho neanche un lavoro vero e proprio al momento. Ma tutto quello che so è che sei la persona più straordinaria che il Signore abbia mai messo sulla mia strada, e il pensiero di una vita senza di te mi spezza il cuore.»

«Tyler…» sospirò.

«Sposami, Agnellino. Dimmi di sì.»

Lei guardò il rosario, poi tornò a guardare me. E il suo nitido, commosso giunse alle mie orecchie nello stesso momento in cui le sue labbra raggiungevano le mie; la bocca avida, esultante e disperata, e non mi importava dove fossimo o chi potesse vederci, mi slacciai i jeans, le tirai giù i pantaloni fino alle ginocchia e portai il suo calore umido contro il mio cazzo, mi sfregai sulla sua pelle, a metà tra lotta e acrobazia, sul pavimento, nel ristretto spazio tra i banchi, fino a quando riuscii a distanziarle le gambe e mi spinsi dentro di lei.

Fu breve, brusco e rumoroso, ma perfetto: solo io, Poppy e il Signore nel suo tempio, a vegliare su di noi. Desideravo questa donna per l’eternità, e, dannazione, volevo che l’eternità iniziasse il prima possibile.