XXX. Pinocchio, invece di diventare un ragazzo, parte di nascosto col suo amico Lucignolo per il Paese dei Balocchi.

Pinocchio e la Fata, in un disegno della Walt Disney del 1939
Com’è naturale, Pinocchio chiese subito alla Fata il permesso di andare in giro per la città a fare gli inviti: e la Fata gli disse:
– Vai pure a invitare i tuoi compagni per la colazione di domani: ma ricordati di tornare a casa prima che faccia notte. Hai capito?
– Fra un’ora prometto di essere bell’e ritornato, – replicò il burattino.
– Bada, Pinocchio! I ragazzi fanno presto a promettere: ma il più delle volte, fanno tardi a mantenere.
– Ma io non sono come gli altri: io, quando dico una cosa, la mantengo.
– Vedremo. Caso poi tu disubbidissi, tanto peggio per te.
– Perché?
– Perché i ragazzi che non danno retta ai consigli di chi ne sa più di loro, vanno sempre incontro a qualche disgrazia.
– E io l’ho provato! – disse Pinocchio. – Ma ora non ci ricasco più!
– Vedremo se dici il vero.
Senza aggiungere altre parole, il burattino salutò la sua buona Fata, che era per lui una specie di mamma, e cantando e ballando uscì fuori della porta di casa.
In poco più d’un’ora, tutti i suoi amici furono invitati. Alcuni accettarono subito e di gran cuore: altri da principio si fecero un po’ pregare; ma quando seppero che i panini da inzuppare nel caffè-e-latte sarebbero stati imburrati anche dalla parte di fuori, finirono tutti col dire: «Verremo anche noi, per farti piacere».
Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo: ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo, per via del suo personalino asciutto, secco e allampanato, tale e quale come il lucignolo nuovo di un lumino da notte.
Lucignolo era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva un gran bene. Difatti andò subito a cercarlo a casa, per invitarlo alla colazione, e non lo trovò: tornò una seconda volta, e Lucignolo non c’era: tornò una terza volta, e fece la strada invano.
Dove poterlo ripescare? Cerca di qua, cerca di là, finalmente lo vide nascosto sotto il portico di una casa di contadini.
– Che cosa fai costì? – gli domandò Pinocchio, avvicinandosi.
– Aspetto la mezzanotte, per partire...
– Dove vai?
– Lontano, lontano, lontano!
– E io che son venuto a cercarti a casa tre volte!...
– Che cosa volevi da me?
– Non sai il grande avvenimento? Non sai la fortuna che mi è toccata?
– Quale?
– Domani finisco di essere un burattino e divento un ragazzo come te, e come tutti gli altri.
– Buon pro ti faccia.
– Domani, dunque, ti aspetto a colazione a casa mia.
– Ma se ti dico che parto questa sera.
– A che ora?
– Fra poco.
– E dove vai?
– Vado ad abitare in un paese... che è il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!...
– E come si chiama?
– Si chiama il Paese dei Balocchi. Perché non vieni anche tu?
– Io? no davvero!
– Hai torto, Pinocchio! Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più salubre per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figùrati che le vacanze dell’autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll’ultimo di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!...
– Ma come si passano le giornate nel Paese dei Balocchi?
– Si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo. Che te ne pare?
– Uhm!... – fece Pinocchio: e tentennò leggermente il capo, come dire: «È una vita che farei volentieri anch’io!».
– Dunque, vuoi partire con me? Sì o no? Risolviti.
– No, no, no e poi no. Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo perbene, e voglio mantenere la promessa. Anzi, siccome vedo che il sole va sotto, così ti lascio subito e scappo via. Dunque addio e buon viaggio.
– Dove corri con tanta furia?
– A casa. La mia buona Fata vuole che ritorni prima di notte.
– Aspetta altri due minuti.
– Faccio troppo tardi.
– Due minuti soli.
– E se poi la Fata mi grida?
– Lasciala gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà, – disse quella birba di Lucignolo.
– E come fai? Parti solo o in compagnia?
– Solo? Saremo più di cento ragazzi.
– E il viaggio lo fate a piedi?
– A mezzanotte passerà di qui il carro che ci deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel fortunatissimo paese.
– Che cosa pagherei che ora fosse mezzanotte!...
– Perché?
– Per vedervi partire tutti insieme.
– Rimani qui un altro poco e ci vedrai.
– No, no: voglio ritornare a casa.
– Aspetta altri due minuti.
– Ho indugiato anche troppo. La Fata starà in pensiero per me.
– Povera Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli?
– Ma dunque, – soggiunse Pinocchio, – tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci sono punte scuole?...
– Neanche l’ombra.
– E nemmeno maestri?...
– Nemmen’uno.
– E non c’è mai l’obbligo di studiare?
– Mai, mai, mai!
– Che bel paese! – disse Pinocchio, sentendo venirsi l’acquolina in bocca. – Che bel paese! Io non ci sono stato mai, ma me lo figuro!...
– Perché non vieni anche tu?
– È inutile che tu mi tenti! Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non voglio mancare alla parola.
– Dunque addio, e salutami tanto le scuole ginnasiali!... E anche quelle liceali, se le incontri per la strada.
– Addio, Lucignolo: fai buon viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici.
Ciò detto, il burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e voltandosi all’amico, gli domandò:
– Ma sei proprio sicuro che in quel paese tutte le settimane sieno composte di sei giovedì e di una domenica?
– Sicurissimo.
– Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col primo di gennaio e finiscano coll’ultimo di dicembre?
– Di certissimo!
– Che bel paese! – ripeté Pinocchio, sputando dalla soverchia consolazione.
Poi, fatto un animo risoluto, soggiunse in fretta e furia:
– Dunque, addio davvero: e buon viaggio.
– Addio.
– Fra quanto partirete?
– Fra due ore!
– Peccato! Se alla partenza mancasse un’ora sola, sarei quasi quasi capace di aspettare.
– E la Fata?...
– Oramai ho fatto tardi!... E tornare a casa un’ora prima o un’ora dopo, è lo stesso.
– Povero Pinocchio! E se la Fata ti grida?
– Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà.
Intanto si era già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino... e sentirono un suono di bubboli e uno squillo di trombetta, così piccolino e soffocato, che pareva il sibilo di una zanzara!
– Eccolo! – gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi.
– Chi è? – domandò sottovoce Pinocchio.
– È il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no?
– Ma è proprio vero, – domandò il burattino, – che in quel paese i ragazzi non hanno mai l’obbligo di studiare?
– Mai, mai, mai!
– Che bel paese!... che bel paese!... che bel paese!...