1. Sovrapposizioni

Ho esitato molto nello scegliere la direzione dei miei studi. La decisione per la fisica è arrivata all’ultimo istante utile. Al momento dell’iscrizione all’università (non ci si poteva ancora iscrivere online), a Bologna c’erano file di lunghezza diversa per le diverse facoltà e il fatto che la fila di fisica fosse la più corta mi ha aiutato a decidere.

 

Quello che mi attirava nella fisica era il sospetto che dietro la noia mortale della fisica del liceo, dietro la cretineria degli esercizi con molle, leve e palline che rotolano, si nascondesse una genuina curiosità di comprendere la natura della realtà. Una curiosità che risuonava con la mia irrequieta curiosità di adolescente che voleva provare tutto, leggere, sapere, vedere, andare: tutti i luoghi, tutti gli ambienti, tutte le ragazze, tutti i libri, tutte le musiche, tutte le esperienze, tutte le idee…

 

L’adolescenza è il periodo in cui le reti dei neuroni nel cervello si riarrangiano repentinamente. Tutto appare intenso, tutto attira, tutto disorienta. Io ne ero uscito pieno di confusione, assetato di domande. Volevo capire la natura delle cose. Volevo capire come il nostro pensiero arrivi a comprendere questa natura. Cos’è la realtà? Cos’è il pensiero? Cosa sono io che penso?

 

Sono state queste curiosità adolescenziali estreme e roventi che mi hanno spinto ad andare ad annusare che lumi potesse offrire la scienza, il Grande Sapere Nuovo della nostra epoca. Non che mi aspettassi vere risposte, tantomeno risposte definitive… ma come ignorare quello che l’umanità aveva capito negli ultimi due secoli, sulla struttura fine delle cose?

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Lo studio della fisica classica mi ha un po’ divertito e un po’ annoiato. Era elegante per la sua concisione. Più sensata e coerente delle formulette senza senso che volevano farmi ingollare al liceo. Lo studio delle scoperte di Einstein sullo spazio e il tempo mi ha riempito di meraviglia, gioia, e mi ha fatto battere forte il cuore.

 

Ma è l’incontro con i quanti che mi ha acceso luci colorate nel cervello. Andare a toccare la materia incandescente della realtà, là dove la realtà mette in questione i nostri pregiudizi su di essa…

 

Il mio incontro con la teoria dei quanti è stato diretto. Faccia a faccia con il libro di Dirac. È andata così: avevo seguito il corso di matematica del professor Fano, a Bologna, che si intitolava «Metodi matematici per la fisica»; «metodi» per noi. Il corso prevedeva un argomento da approfondire individualmente e presentare in classe ai compagni. Io avevo scelto un capitoletto di matematica che adesso si studia quando ci si laurea in fisica, ma allora non era nei programmi: la «teoria dei gruppi». Sono andato a parlare con il professor Fano per chiedergli cosa dovesse contenere la mia presentazione. Lui mi ha risposto: «Le basi della teoria dei gruppi e la sua applicazione alla teoria dei quanti». Io gli ho fatto cautamente presente che non avevo ancora seguito alcun corso sulla teoria dei quanti… non ne sapevo nulla di nulla. E lui: «Embè? Stùdiatela».

 

Scherzava.

 

Ma io non ho capito che scherzava.

 

Ho comperato il libro di Dirac, nell’edizione grigia di Boringhieri. Profumava buono (annuso sempre i libri prima di comperarli: il profumo di un libro è decisivo). Mi sono chiuso in casa e l’ho studiato per un mese. Ho comperato anche altri quattro libri,37 e ho studiato anche quelli.

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Uno dei mesi più belli della mia vita.

 

E una sorgente di domande che mi hanno poi inseguito per una vita. E che dopo molti anni, molte letture, molte discussioni e molte incertezze, hanno portato a scrivere queste righe.

 

In questo capitolo mi addentro nella stranezza del mondo dei quanti. Descrivo un fenomeno concreto che ne cattura la stramberia: un fenomeno che ho avuto modo di osservare di persona. È sottile, ma riassume il punto chiave. Poi elenco alcune delle idee più discusse oggi per cercare di dare un senso comprensibile a questa stranezza.

 

Rimando al capitolo successivo l’idea che trovo più convincente. Se volete arrivarci subito, potete anche saltare il divertente ma ingarbugliato arzigogolare del resto di questo capitolo e correre direttamente al prossimo.

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Cosa c’è dunque di così strano nei fenomeni quantistici? Che gli elettroni stiano su certe orbite e saltino non è poi la fine del mondo…

 

Il fenomeno da cui derivano le stranezze dei quanti si chiama «sovrapposizione quantistica». Una «sovrapposizione quantistica» è quando sono presenti insieme, in un certo senso, due proprietà contraddittorie. Per esempio un oggetto può essere qui e anche essere là. È l’idea di Heisenberg quando dice che «l’elettrone non ha più una traiettoria»: l’elettrone si trova a non essere né in un luogo né in un altro. In un certo senso è in entrambi i luoghi. Non ha una sola posizione. È come se avesse tante posizioni insieme. Nel gergo, si dice che un oggetto può essere in una «sovrapposizione» di più posizioni. Dirac chiama questa bizzarria il «principio di sovrapposizione» e per lui questa è la base concettuale della teoria dei quanti.

 

Che significa che un oggetto è in due luoghi?

 

Attenzione: non significa che vediamo direttamente una «sovrapposizione quantistica». Non vediamo mai un elettrone in due posti. La «sovrapposizione quantistica» non è qualcosa che si vede direttamente. È qualcosa che produce effetti osservabili, indirettamente. Quello che vediamo sono conseguenze sottili del fatto che una particella sia in un certo senso in più luoghi contemporaneamente. Queste conseguenze sono chiamate «interferenza quantistica». È l’interferenza che osserviamo, non la sovrapposizione. Vediamo cos’è.

 

La prima volta che ho osservato con i miei propri occhi l’interferenza quantistica è stato parecchio tempo dopo averla studiata sui libri. Ero a Innsbruck, nel laboratorio di Anton Zeilinger, un simpaticissimo austriaco con una grande barba e l’aspetto da orso buono. Zeilinger è uno dei grandissimi fisici sperimentali che con i quanti fanno meraviglie: è stato pioniere dell’informatica quantistica, della crittografia quantistica e del teletrasporto quantistico. Vi racconto cosa ho visto: riassume il motivo per cui i fisici sono confusi.

 

Anton mi ha mostrato un tavolo con strumenti di ottica: un piccolo laser, lenti, prismi che separano il fascio laser e poi lo ricongiungono, rivelatori di fotoni, eccetera. Un debole fascio laser fatto di pochi fotoni veniva separato in due parti, che seguivano due percorsi diversi, diciamo uno a «destra» e uno a «sinistra». I due percorsi poi si riunivano e venivano poi di nuovo separati per finire in due rivelatori: diciamo uno in «alto» e uno in «basso».

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Un fascio di fotoni separato in due parti da un prisma, ricomposto, e separato di nuovo.

Quello che ho visto è questo: lasciando liberi tutti e due i percorsi (di destra e di sinistra), i fotoni finiscono tutti nel rivelatore in basso: nessuno in alto (prima immagine del disegno qui sotto). Ma mettendo una mano a interrompere uno qualunque dei due percorsi, metà dei fotoni continua in basso, metà continua in alto (seconda immagine del disegno qui sotto). Provate a chiedervi come questo possa succedere.

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Interferenza quantistica. Se entrambi i percorsi sono liberi, i fotoni vanno tutti in basso (prima immagine). Se invece blocco un percorso con una mano, metà dei fotoni arriva in alto (seconda immagine). Come fa la mia mano su un percorso a far sì che i fotoni che passano per l’altro percorso vadano in alto? Nessuno lo sa.

C’è qualcosa di strano: metà dei fotoni che passano per ciascun percorso arriva in alto (seconda immagine). Sembrerebbe quindi ovvio aspettarsi che metà dei fotoni che passano per entrambi i percorsi arrivi pure in alto. E invece no: non arrivano mai in alto (prima immagine).

 

Come fa la mia mano che blocca un percorso a dire di andare in alto ai fotoni che passano per l’altro percorso?

 

La sparizione dei fotoni in alto quando entrambi i percorsi sono liberi è un esempio di interferenza quantistica. È una «interferenza» fra i due percorsi: quello di destra e quello di sinistra. Quando entrambi sono aperti, succede qualcosa che non succede né per i fotoni che passano per un percorso né per quelli che passano per l’altro: spariscono i fotoni che vanno in alto.

 

La teoria di Schrödinger dice che l’onda ψ di ciascun fotone si separa in due parti: due ondine. Un’ondina segue il percorso di destra, l’altra quello di sinistra. Quando le ondine si incontrano di nuovo, si ricompone l’onda ψ e prende il percorso verso il basso. Se però blocco con una mano uno dei due percorsi, l’onda ψ non si ricompone come prima e quindi si comporta in maniera diversa: si ridivide in due e una parte va in alto.

 

Che le onde si comportino così non è strano: l’interferenza delle onde è un fenomeno conosciuto. Le onde luminose e le onde del mare fanno queste cose. Ma qui non osserviamo mai un’onda divisa in due parti, vediamo sempre solo fotoni individuali che passano ciascuno da una parte sola: o a destra o a sinistra. Se mettiamo dei rivelatori di fotoni lungo i percorsi, infatti, questi rivelatori non rivelano mai «mezzo fotone»: ci mostrano che ciascun fotone passa (interamente) a destra oppure (interamente) a sinistra. Ciascun fotone si comporta come se passasse per entrambi i percorsi come fanno le onde (altrimenti non ci sarebbe interferenza), ma se guardiamo dov’è, lo vediamo sempre su un percorso solo.

 

Questa è la «sovrapposizione quantistica», di cui vediamo le conseguenze: il fotone passa «sia a destra che a sinistra». È in una sovrapposizione quantistica di due configurazioni: quella a destra e quella a sinistra. La conseguenza è il fatto che i fotoni non vanno più in alto, come andrebbero se fossero passati per l’uno o l’altro dei due percorsi.

 

Ma non basta. C’è altro. Ed è davvero strepitoso: se misuro per quale dei due percorsi passa il fotone… sparisce l’interferenza!

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Basta misurare per quale percorso passino i fotoni perché sparisca l’interferenza! Se misuro dove passano, di nuovo metà dei fotoni va in alto.

Sembra che basti osservare, e cambia quello che succede! Si noti l’assurdità: se non guardo per dove passa il fotone, lui finisce sempre in basso, ma se guardo dove passa, può finire in alto.

 

La cosa strepitosa è che un fotone può finire in alto anche se non l’ho visto. Cioè il fotone cambia strada per il solo fatto che «lo attendevo al varco», dalla parte dove non è passato. Anche se non l’ho visto!

 

Si legge sui libri di testo di meccanica quantistica che se osservo per dove passa il fotone, la sua ψ salta interamente su un percorso. Se vedo il fotone a destra, l’onda ψ salta tutta a destra. Se osservo e non vedo il fotone a destra, l’onda ψ salta tutta a sinistra. In entrambi i casi, non c’è più interferenza. Nel gergo si dice che la funzione d’onda «collassa», cioè salta tutta in un punto, nel momento dell’osservazione.

 

Questa è la «sovrapposizione quantistica»: il fotone è «in entrambi i percorsi». Se lo guardo, salta su un percorso solo e sparisce l’interferenza.

 

Non ci si crede.

 

Eppure succede: l’ho visto con i miei occhi. Nonostante l’avessi studiato tanto all’università, vederlo e metterci le mani direttamente mi ha lasciato confuso. Prova anche tu, caro lettore, a trovare una spiegazione sensata di questo comportamento… È un secolo che ci proviamo tutti. Se tutto questo ti confonde e non ne capisci nulla, non sei il solo. Per questo Feynman diceva che nessuno capisce i quanti. Se invece sembra tutto chiaro, vuol dire che non sono stato chiaro io: Niels Bohr diceva: «Non esprimetevi mai più chiaramente di come pensate».38

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Erwin Schrödinger ha illustrato questo puzzle con un apologo celeberrimo:39 invece di un fotone che prende il percorso di destra e insieme quello di sinistra, Schrödinger immagina un gatto che è sveglio e insieme addormentato.

 

La storia è questa: un gatto è chiuso in una scatola con un congegno dove un fenomeno quantistico ha probabilità ½ di accadere. Se accade, il congegno apre una boccetta di sonnifero che addormenta il gatto. La teoria dice che la ψ del gatto è in una «sovrapposizione quantistica» di gatto-sveglio e gatto-addormentato, e resta tale fino a che non osserviamo il gatto.b

 

Il gatto è quindi in una «sovrapposizione quantistica» di gatto-sveglio e gatto-addormentato.

 

Questo è diverso dal dire che non sappiamo se il gatto sia sveglio o addormentato. La differenza è che ci sono effetti di interferenza fra gatto-sveglio e gatto-addormentato (come gli effetti di interferenza fra i due percorsi dei fotoni di Zeilinger), che non accadrebbero né se il gatto fosse sveglio né se fosse addormentato. Accadono se il gatto è in questa «sovrapposizione quantistica» di gatto-sveglio e gatto-addormentato. Come l’interferenza dell’esperimento di Zeilinger, che accade solo se i fotoni «passano per entrambi i percorsi».

 

Per un sistema grande come un gatto, gli effetti di interferenza previsti dalla teoria sono troppo difficili da osservare.40 Ma non c’è motivo convinper dubitare della loro realtà. Il gatto non è né sveglio né addormentato. È in questa sovrapposizione quantistica fra gatto-sveglio e gatto-addormentato…

 

Ma che significa?

 

Come si sente un gatto, se è in una sovrapposizione quantistica di gatto-sveglio e gatto-addormentato? Se tu, lettore, fossi in una sovrapposizione quantistica di te-sveglio e te-addormentato, come ti sentiresti? Questo è il puzzle dei quanti.

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2. Prendere ψ sul serio: mondi multipli,
variabili nascoste e collassi fisici

Per scatenare un’accesa discussione durante la cena di una conferenza di fisica, basta lasciar cadere in maniera casuale al vicino di tavola la domanda: «Secondo te il gatto di Schrödinger è davvero sia sveglio che addormentato?».

 

Le discussioni sui misteri dei quanti sono state vivacissime negli anni Trenta, subito dopo la nascita della teoria. È rimasto celebre il dibattito fra Einstein e Bohr, durato anni attraverso incontri, conferenze, scritti, lettere… Einstein resisteva all’idea di rinunciare a un’immagine più realistica dei fenomeni. Bohr difendeva la novità concettuale della teoria.41

 

Negli anni Cinquanta si è diffuso l’atteggiamento di ignorare il problema: la potenza della teoria era talmente spettacolare che i fisici si adoperavano ad applicarla in ogni possibile campo senza farsi tante domande. Ma a non farsi domande non si impara nulla.

 

Già dagli anni Sessanta l’interesse per i problemi concettuali comincia a rinascere, curiosamente stimolato anche dall’influenza della cultura hippie, affascinata dalla stranezza dei quanti.42

 

Oggi le discussioni sono frequenti nei dipartimenti di filosofia e di fisica, con opinioni discordanti. Nascono idee nuove, si chiariscono questioni sottili. Alcune idee vengono abbandonate, altre reggono. Le idee che resistono alla critica ci danno modi possibili per comprendere i quanti, ma ciascuno di questi modi ha un costo concettuale alto: ci obbliga comunque ad accettare qualcosa di davvero strano. Non c’è ancora chiarezza su quale sia il bilancio finale di costi e benefici che comportano le diverse opinioni sulla teoria.

 

Le idee evolvono. Io mi aspetto che finiremo d’accordo, come è successo con le altre grandi dispute scientifiche che sembravano irrisolvibili: la Terra è ferma o si muove? (Si muove). Il calore è un fluido o è movimento rapido delle molecole? (Movimento delle molecole). Esistono davvero gli atomi? (Sì). Il mondo è solo «energia»? (No). Abbiamo antenati in comune con le scimmie? (Sì). Eccetera… Questo libro è un episodio del dialogo in corso: cerco di fare il punto su dove a me sembra sia ora la discussione, e in che direzione ci stia portando.

 

Prima di arrivare alle idee che trovo più convincenti, nel prossimo capitolo, qui sotto riassumo le alternative più discusse. Vengono chiamate «interpretazioni della meccanica quantistica». In un modo o nell’altro, ci chiedono tutte di accettare idee molto radicali: universi multipli, variabili invisibili, fenomeni mai osservati, e altre bestie strane. Non è colpa di nessuno: è la stranezza della teoria che ci forza a soluzioni estreme. Il resto di questo capitolo è dunque denso di speculazioni. Se vi annoiano, saltate al capitolo successivo, dove arrivo al succo: la prospettiva relazionale. Se invece volete una panoramica della discussione corrente, e un’idea degli argomenti in gioco, le speculazioni sono anche divertenti… Eccole qua.

 

 

Molti Mondi

 

L’interpretazione «a Molti Mondi» è oggi di moda in alcuni circoli di filosofi e fra alcuni fisici teorici e cosmologi. L’idea è di prendere sul serio la teoria di Schrödinger. Cioè, non interpretare l’onda ψ come probabilità. Interpretarla invece come un’entità reale, che descrive il mondo come effettivamente è. In un certo senso, l’idea è disconoscere il Premio Nobel a Max Born, assegnatogli per aver compreso che l’onda ψ è solo una valutazione di probabilità.

 

Il gatto di Schrödinger, se così stanno le cose, è davvero descritto dalla sua ψ del tutto reale. Quindi è davvero in una sovrapposizione di gatto-sveglio e gatto-addormentato: esistono concretamente entrambi. Perché allora se apro la scatola e guardo il gatto o lo vedo sveglio, o lo vedo addormentato, e non vedo entrambe le cose?

 

Tenetevi forte. La ragione, secondo l’interpretazione a Molti Mondi, è che anche io, Carlo, sono descritto dalla mia onda ψ. Quando osservo il gatto, la mia onda ψ interagisce con l’onda del gatto e anche la mia onda ψ si separa in due componenti: una che rappresenta una versione di me che vedo il gatto sveglio, e una che rappresenta una versione di me che vedo il gatto addormentato. Entrambe, secondo questa prospettiva, sono reali.

 

Quindi la ψ totale ha ora due componenti: due «mondi». Il mondo si è ramificato in «due mondi»: un mondo in cui il gatto è sveglio e Carlo vede il gatto sveglio, e un altro mondo in cui il gatto dorme e Carlo vede il gatto dormire. Quindi ora ci sono due Carlo: uno per ciascun mondo.

 

Perché allora io vedo – per esempio – solo il gatto sveglio? La risposta è che io, ora, sono uno solo dei due Carlo. In un mondo parallelo, egualmente reale, egualmente concreto, c’è una copia di me che vede il gatto dormire. Ecco dunque perché il gatto può essere sveglio e insieme addormentato, ma se lo guardo vedo una sola cosa: perché se lo guardo mi sdoppio anch’io.

 

Siccome la ψ di Carlo interagisce continuamente con innumerevoli altri sistemi oltre al gatto, ne segue che ci sono un’infinità di altri mondi paralleli, egualmente esistenti, egualmente reali, dove esiste un’infinità di copie di me che sperimentano ogni sorta di realtà alternative. Questa è la teoria dei Molti Mondi.

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Suona pazzesco? Lo è.

 

Eppure eminenti fisici ed eminenti filosofi ritengono che questa sia la miglior lettura possibile della teoria dei quanti.43 Quello che è pazzesco non sono loro: è questa incredibile teoria che funziona così bene da un secolo.

 

Ma… per uscire dalla nebbia vale davvero la pena ipotizzare l’esistenza concreta e reale di infinite copie di noi stessi, a noi inosservabili, nascoste dentro una gigantesca ψ universale?

 

Io trovo anche un’altra difficoltà in questa idea. La gigantesca onda universale ψ che contiene tutti i mondi è come la notte nera di Hegel dove tutte le vacche sono nere: non rende conto, di per sé, della realtà fenomenica che osserviamo.44 Per descrivere i fenomeni che osserviamo servono altri elementi matematici oltre alla ψ, e l’interpretazione a Molti Mondi non li spiega.

 

Variabili Nascoste

 

C’è un modo per evitare il moltiplicarsi infinito di mondi e di copie di noi stessi. È fornito da un gruppo di teorie chiamate «a Variabili Nascoste». La migliore fra queste è stata concepita da de Broglie, l’ideatore delle onde di materia, e messa a punto da David Bohm.

 

David Bohm è uno scienziato americano che ha avuto vita difficile perché era comunista dalla parte sbagliata della cortina di ferro. Indagato durante il Maccartismo, è arrestato nel 1949 e imprigionato per breve tempo. Viene prosciolto, ma l’Università di Princeton lo licenzia lo stesso, per perbenismo. È costretto a emigrare in Sud America. L’ambasciata americana gli ritira il passaporto per timore che vada in Unione Sovietica…

 

La sua teoria è semplice: l’onda ψ di un elettrone è un’entità reale, come nell’interpretazione a Molti Mondi; ma oltre all’onda ψ, esiste anche l’effettivo elettrone: una vera particella materiale, che ha sempre una posizione definita. Questo risolve il problema di connettere la teoria con i fenomeni che osserviamo. C’è una sola posizione, come in meccanica classica: nessuna «sovrapposizione quantistica» quindi. L’onda ψ evolve seguendo l’equazione di Schrödinger, mentre l’elettrone vero e proprio si muove nello spazio fisico, guidato dall’onda ψ. Bohm ha studiato un’equazione che mostra come l’onda ψ possa effettivamente guidare l’elettrone.45

 

L’idea è brillante: i fenomeni di interferenza sono determinati dall’onda ψ che guida gli oggetti, ma gli oggetti stessi non sono in sovrapposizione quantistica. Sono sempre in una posizione precisa. Il gatto è sveglio, oppure addormentato. Però la sua ψ ha tutt’e due le componenti: una corrisponde al gatto reale, l’altra è un’onda «vuota» senza gatto reale, ma l’onda vuota può dare luogo a interferenza, interferendo con l’onda del gatto reale.

 

Ecco dunque perché vedo il gatto o sveglio o addormentato e pur tuttavia ci sono effetti di interferenza: il gatto è in un solo stato, ma nell’altro stato c’è una parte della sua onda che genera interferenza.

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Questo spiega l’esperimento di Zeilinger descritto sopra. Perché, bloccando uno dei due percorsi, la mia mano influenza il moto del fotone che passa per l’altro percorso? Risposta: il fotone passa per un solo percorso, ma la sua onda passa per entrambi. La mia mano altera l’onda che poi guida il fotone in modo diverso da quanto farebbe in assenza della mia mano. In questo modo la mia mano altera il comportamento futuro del fotone anche se il fotone passa lontano dalla mia mano. Bella spiegazione.

 

L’interpretazione a Variabili Nascoste riporta la fisica quantistica nell’ambito della stessa logica della fisica classica: tutto è deterministico e prevedibile. Se conosciamo la posizione dell’elettrone e il valore dell’onda, possiamo prevedere tutto.

 

Ma non è così semplice. Di fatto non possiamo mai conoscere davvero lo stato dell’onda, perché l’onda non la vediamo mai: vediamo solo l’elettrone.46 Quindi il comportamento dell’elettrone è determinato da variabili che per noi restano «nascoste» (l’onda). Le variabili sono nascoste in linea di principio: non possiamo mai determinarle. Per questo la teoria si chiama a Variabili Nascoste.47

 

Il prezzo da pagare per prendere sul serio questa teoria è assumere l’esistenza di un’intera realtà fisica a noi inaccessibile. Il cui unico scopo, a ben vedere, è solo quello di confortarci rispetto a quanto la teoria non ci dice. Vale la pena assumere l’esistenza di un mondo inosservabile, senza alcun effetto che non sia già previsto dalla teoria dei quanti, con l’unico obiettivo di evitare la nostra paura dell’indeterminatezza?

 

Ci sono altre difficoltà. La teoria di Bohm è amata da alcuni filosofi perché offre un quadro concettuale nitido. Ma è poco amata dai fisici perché non appena si cerchi di applicarla a qualcosa di più complicato che una singola particella accumula problemi. L’onda ψ di più particelle, per esempio, non è l’insieme delle onde delle singole particelle: è un’onda che non si muove nello spazio fisico, ma in un astratto spazio matematico.48 L’immagine intuitiva e nitida della realtà che la teoria di Bohm ci offre nel caso di una particella singola si perde.

 

Ma i problemi davvero seri si presentano non appena si tenga conto della relatività. Le variabili nascoste della teoria violano la relatività brutalmente: determinano un sistema di riferimento privilegiato. Il prezzo per pensare che il mondo sia fatto da variabili sempre determinate come nella fisica classica, quindi, non è solo accettare che queste variabili siano nascoste per sempre, ma anche che contraddicano tutto quanto abbiamo imparato sul mondo, proprio con quella stessa fisica classica. Ne vale la pena?

 

 

Collasso fisico

 

C’è un terzo modo di considerare reale l’onda ψ, evitando tanto Molti Mondi quanto Variabili Nascoste: pensare che le predizioni della meccanica quantistica siano approssimazioni, che trascurano qualcosa d’altro capace di rendere tutto più coerente.

 

Potrebbe esistere un processo fisico reale, indipendente dalle nostre osservazioni, che avviene spontaneamente, di tanto in tanto, ed evita all’onda di sparpagliarsi. Questo meccanismo ipotetico, per ora mai osservato, è chiamato il «collasso fisico» della funzione d’onda. Il «collasso della funzione d’onda», dunque, non avverrebbe perché osserviamo, ma spontaneamente, e tanto più rapidamente quanto più gli oggetti sono macroscopici.

 

Nel caso del gatto, la ψ salterebbe da sola molto presto su una delle due configurazioni, e il gatto sarebbe rapidamente o sveglio o addormentato. L’ipotesi cioè è che la meccanica quantistica usuale non valga più per cose macroscopiche come i gatti.49 Questo tipo di teorie dà quindi previsioni che si discostano da quelle della usuale teoria dei quanti.

 

Diversi laboratori nel mondo hanno provato e stanno provando a controllare queste previsioni, per vedere chi ha ragione. Per ora, ha sempre ragione la teoria dei quanti. La maggior parte dei fisici, compreso il vostro umilissimo amico che sta scrivendo, scommetterebbe che la teoria dei quanti continuerà ad aver ragione ancora per un po’…

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3. Accettare l’indeterminatezza

Le interpretazioni della meccanica quantistica discusse fin qui cercano di evitare l’indeterminatezza50 prendendo la ψ come un oggetto reale. Il prezzo è aggiungere alla realtà cose come mondi multipli, variabili inaccessibili o processi mai osservati.

 

Ma non c’è motivo di prendere la funzione d’onda ψ così sul serio.

 

La ψ non è un’entità reale: è uno strumento di calcolo. È come le previsioni del tempo, il bilancio preventivo di un’azienda, le previsioni sulle corse dei cavalli.51 Gli eventi reali del mondo avvengono in maniera probabilistica e la quantità ψ è il nostro modo per calcolare la probabilità che avvengano.

 

Interpretazioni della teoria che non prendono l’onda ψ così sul serio sono chiamate «epistemiche», perché interpretano la ψ solo come un riassunto della nostra conoscenza (ἐπιστήμη) di ciò che accade.

 

Un esempio di questo modo di pensare è il «q-bismo». Il q-bismo prende la teoria dei quanti com’è, senza cercare di «completare» il mondo.

 

Il q-bismo prende il nome dai «q-bit» che sono le unità di informazione usate per i computer quantistici.

 

L’idea è che la ψ è solo l’informazione che noi abbiamo sul mondo. Che la fisica non descriva il mondo. Descrive quello che noi sappiamo del mondo. Descrive l’informazione che abbiamo sul mondo.

 

L’informazione cresce quando facciamo un’osservazione. Per questo la ψ cambia quando osserviamo: non perché avvenga qualcosa nel mondo esterno, ma solo perché cambia l’informazione che ne abbiamo. Le nostre previsioni del tempo cambiano se guardiamo un barometro: non perché cambi bruscamente il cielo nel momento in cui guardiamo il barometro, ma perché d’un tratto impariamo qualcosa che prima non sapevamo.

 

Il nome «q-bismo» gioca sulla consonanza con il Cubismo di Braque e Picasso, che si forma in Europa negli stessi anni in cui matura la teoria dei quanti. Cubismo e teoria dei quanti si allontanano entrambi dall’idea che il mondo sia rappresentabile in maniera figurativa. I quadri cubisti spesso sovrappongono immagini inconciliabili di un oggetto o una persona, prese da punti di vista diversi. Similmente, la teoria dei quanti riconosce come misure di proprietà diverse di uno stesso oggetto fisico possano non essere conciliabili (questa è un’idea su cui tornerò più in dettaglio fra poco).

 

Nei primi decenni del XX secolo, è l’intera cultura europea che non pensa più di poter rappresentare il mondo in modo semplice e completo. In Italia, fra il 1909 e il 1925, gli anni durante i quali nasce la teoria dei quanti, Pirandello scrive Uno, nessuno e centomila, che parla della frantumazione della realtà nel punto di vista di diversi osservatori.

 

Il q-bismo rinuncia a un’immagine realistica del mondo, al di là di ciò che vediamo o misuriamo. La teoria parla solo di quello che un agente vede. Non è lecito dire nulla del gatto o del fotone, quando non li guardiamo.

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Il punto debole nel q-bismo è la sua concezione strumentale della scienza. L’obiettivo della scienza non è fare predizioni. È anche offrire un’immagine della realtà, un quadro concettuale per pensare le cose. Questa ambizione ha reso efficace il pensiero scientifico. Se l’obiettivo della scienza fossero solo le predizioni, Copernico non avrebbe scoperto nulla rispetto a Tolomeo: le sue previsioni astronomiche non erano migliori di quelle di Tolomeo. Ma Copernico ha trovato una chiave per ripensare tutto e comprendere meglio.

 

C’è un altro punto, ed è la chiave di volta di tutta la discussione: il q-bismo àncora la realtà a un soggetto della conoscenza, un «io» che conosce, che sembra stare fuori dalla natura. Invece di vedere l’osservatore come parte del mondo, vede il mondo riflesso nell’osservatore. Abbandona un materialismo ingenuo, ma finisce per cadere in un idealismo esasperato.52 Il punto cruciale è che l’osservatore stesso può essere osservato. Non abbiamo motivo di dubitare che ogni reale osservatore sia anch’esso descritto dalla teoria dei quanti.

 

Se osservo un osservatore, posso vedere cose che l’osservatore non vede. Ne deduco, per ragionevole analogia, che ci sono cose che anch’io, come osservatore, non vedo. Esistono dunque più cose di quante io possa osservare. Il mondo esiste anche se non lo osservo. Voglio una teoria fisica che renda conto della struttura dell’universo, chiarisca cosa sia un osservatore dentro un universo, non una teoria che faccia dipendere l’universo da me che osservo.

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Alla fine, dunque, tutte le interpretazioni della teoria dei quanti delineate in questo capitolo non fanno che riproporre il dibattito fra Schrödinger e Heisenberg: fra una «meccanica delle onde», che cerca a tutti i costi di evitare l’indeterminatezza e la probabilità nel mondo, e il radicale salto della «fisica dei ragazzi», che sembra dipendere troppo dall’esistenza di un soggetto che «osserva». Questo capitolo ci ha portato fra tante idee curiose, ma non ci ha fatto fare un vero passo avanti.

 

Chi è il soggetto che conosce e detiene l’informazione? Cos’è l’informazione che ha? Che cosa è il soggetto che osserva? Sfugge alle leggi della natura, oppure è anch’esso descritto dalle leggi naturali? È fuori dalla natura o è una parte del mondo naturale? Se è parte della natura, perché trattarlo in maniera speciale?

 

Questa domanda, ennesima riformulazione della domanda sollevata da Heisenberg – che cosa caratterizza un’osservazione? Che cos’è un osservatore? –, ci porta, finalmente, alle relazioni.