Chi pensa... perde!

 

Si chiamava così un immaginario ma per nulla irreale show televisivo del gruppo argentino Les Luthiers. Mac Luhan, lo stesso genio delle comunicazioni per non comunicare che negli anni settanta disse: «I1 medium è il messaggio», aggiunse inoltre che la programmazione televisiva sarà sempre un fedele riflesso del concetto di cultura che detiene il potere, perché è il potere, in modo diretto o indiretto, a pagare e a rendere possibile il fatto di andare in onda, sugli schermi, nelle coscienze che, sopite sul divano di una società del benessere, fanno zapping per non pensare ai diritti e ai doveri relativi alla società che si godono.

Chi pensa ... perde! era abbastanza originale per le caratteristiche dell'epoca, basato su testi che, sempre considerando le caratteristiche dell'epoca, superarono senza problemi la censura esercitata dai responsabili di Cultura e Spettacolo della dittatura del generale Videla: un colonnello di cavalleria e un sergente della stessa arma.

Nel loro show - che potere premonitore ha l'arte fatta con la giusta malevolenza - i musicisti argentini, attraverso un immaginario canale televisivo chiamato «Televizio... la migliore programmazio», invitavano a portare alle stelle l'audience di un programma culturale mandato in onda all'ora più indicata per una trasmissione del genere e cioè «al solito orario delle tre di notte». Chi pensa... perde! era buono perché lo facevano Les Luthiers, ma rimaneva l'amarezza di constatare come un mezzo - la televisione è solo questo, nulla di più - poteva trasformarsi con inusitata rapidità in una fabbrica di cretini, di pecoroni acritici, passivi, pusillanimi, sconfitti senza nemmeno essere consapevoli della propria sconfitta.

Trent'anni dopo, tutta la televisione che si vede in Spagna, in Italia e in America Latina, salvo rispettabili eccezioni mandate in onda al solito orario delle tre di notte, ha le stesse caratteristiche di Chi pensa... perde! Centinaia di quiz che danno all'analfabetismo della gente una dignità «intellettuale», belle presentatrici che relegano la donna alla triste condizione di semplice corpo in esposizione, e un pubblico di pecore ammaestrate che, non appena in studio si accende la luce che indica gli applausi, si affanna a esaltare il modello culturale nordamericano o, nel peggiore dei casi, berlusconiano.

Sono stato sceneggiatore della televisione cilena quando questa era ancora agli inizi, quando era una televisione universitaria (i primi due canali appartenevano ad atenei), tempi difficili durante i quali, in mancanza di programmi registrati, si proiettavano diapositive con musica di sottofondo. Poi arrivarono le prime serie: Bonanza, Falcon Crest, Gli intoccabili con la voce del grande scrittore Aivaro Mutis che narrava le avventure di Elliot Ness, e l'équipe di sceneggiatori agli esordi si lanciò, ci lanciammo, a creare programmi con un'impronta propria, che facessero della televisione uno spazio in cui percepire la realtà da punti di vista differenti, dal generoso prisma della diversità, e che al contempo assolvessero al necessario compito di intrattenere, di fare dell'ozio puro e semplice un ozio proficuo. Niente di più, niente di meno.

Fino al settembre 1973 ci riuscimmo, programmi come La maniveh raggiunsero la massima audience, ma poi s'impose la dittatura e con quella la logica della fine del xx secolo: Chi pensa... perde!

Non ho problemi a dichiarare la mia dipendenza dalla buona televisione, mi godo i canali specializzati in documentari su qualunque argomento, so che è rischioso ammetterlo perché circolano tante battute sugli spettatori di documentari - chi pensa ... perde! -, ma apprezzo il fatto che contribuiscano a rendere più piacevoli i miei momenti di ozio, così come riconosco senza imbarazzi che detesto i due stili che regolano il resto della programmazione televisiva, e cioè da un lato l'imperiosa necessità di essere un riflesso dei gruppi economici di appartenenza, e pertanto dei punti di vista ideologici che questi stessi gruppi rappresentano, e dall'altro la pressante necessità di mostrarsi docili davanti al potere, con tutta l'inevitabile complicità.

L'esempio della CNN è quasi lampante: Si inizia trasformando il concetto di informazione in semplici titoli: lei non deve sapere di più, si ricordi, chi pensa... perde!

Poi, questi stessi titoli che riflettono «la sostanza della notizia», a forza di essere ripetuti dalle radio e dai giornali che appartengono allo stesso gruppo, passano a essere accettati come «quello che si sa» o «quello che devo sapere», che non è la stessa cosa ma è uguale. Forse in un lontano futuro qualche studioso delle comunicazioni scoprirà i motivi per cui ci vengono lesinate le informazioni, ci vengono rubate conoscenze, ci viene negato quello che dovremmo sapere. Si suppone che la televisione sia il mezzo di informazione per eccellenza, eppure niente e nessuno ci ha informato degli oltre centomila civili uccisi in Iraq, né della nazionalità dei soldati statunitensi morti - per oltre il sessanta per cento latinoamericania cui era stata promessa la cittadinanza una volta compiuta la missione, e neri - né tanto meno dei veri eroi di guerra, che sono i disertori. E questo è solo un esempio fra molti.

Chi pensa...perde! In qualunque bar spagnolo possiamo «goderci» l'eterna compagnia del televisore acceso e d'improvviso sentiamo dire al presentatore: «Tutta la Spagna sta seguendo con attenzione la finale del campionato di football americano» oppure di baseball, sport completamente sconosciuti in Spagna. «Meglio morta che una sempliciotta qualunque» dichiara un'adolescente trasformata nel paradigma del trionfo via etere, e la sua frase attecchisce, viene ripetuta, acquista connotazioni culturali, e non c'è, in televisione, alcuna possibilità di far prevalere la ragione sulla stupidità.

La polemica-polemica?, quanti vi prendono parte? - sulla cosiddetta telespazzatura è un'altra dimostrazione del profetico Chi pensa... perde!, perché finora quasi non si è fatto altro che abbozzare una critica dei contenuti, ma si è evitata la cosa fondamentale: il dibattito su quello che si vuol fare in televisione e con la televisione.

È evidente che se un produttore televisivo decide di vendere un «prodotto televisivo», così vengono chiamati eufemisticamente i programmi, e per realizzarlo ingaggia come animatori un ex detenuto con precedenti per stupro, una cantante fallita perché canta male e ha confuso il rigore dell'educazione della voce con la fortuna a letto, un finto gay che trasforma in caricatura e scredita una comunità umana rispettabile e abbastanza numerosa, e un paio di personaggi ottusi ansiosi di apparire, è evidente, ripeto, che questo «prodotto televisivo» non spiccherà né per qualità né per interesse - è interessante quello che sorprende - e non sarà altro che un insulto all'intelligenza offerto col pretesto che «questa è la televisione» Chi pensa... perde!

Eppure è necessario riconoscere che fare televisione di qualità è possibile. Un buon esempio è stato Caiga quien caiga, un programma che assolveva a tre requisiti fondamentali: intratteneva lo spettatore senza alienarlo, offriva una visione ironica della realtà - l'ironia è un grande esercizio di intelligenza che non dev'essere confuso con la viltà del sarcasmo - e a partire da questa visione ironica portava a uno scambio di opinioni fra gli spettatori.

È possibile fare buona televisione, il canale francotedesco Arte ne è una dimostrazione più che eloquente. Non è necessario consultare tanti esperti, basta aprire gli spazi televisivi alla creatività. Non è l'unica formula, ma almeno può allontanarci dail'odioso quanto imperante Chi pensa... perde!