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Gideon ritornò nel salotto per trovarvi la signora in questione che passeggiava avanti e indietro. Più calmo che poté le disse: «Sembra che siamo bloccati qui, almeno fino a domattina».

«Non erano quelle le vostre intenzioni?» Lei lo fissò con sguardo infuocato.

Si accigliò. «No, non ci avevo riflettuto, ero arrabbiato.»

«E ora?»

«Adesso mi rendo conto che sarebbe stato meglio se fossimo rimasti a Martlesham.» Poi, dopo una pausa continuò: «Siamo in un pasticcio del diavolo».

«Lo so» confermò lei con un sospiro.

Lo sguardo di Gideon si soffermò sul tavolo. «Ci accomodiamo?» Le offrì una sedia. Si studiavano con circospezione, come due gatti. Quando entrambi furono seduti, riempì due bicchieri e gliene offrì uno. «Perché avete accettato il piano stravagante di vostro cugino? Non sembrate il tipo di persona che indulge in burle simili di sua spontanea volontà.»

«No.» Dominique si mise un dolcetto nel piatto e lo fece a pezzettini.

«Vi ha offerto dei soldi?»

«Qualcosa del genere.»

«Siete sua cugina...»

«Una cugina povera. Mia madre mi ha portata in Inghilterra circa dieci anni fa, per chiedere protezione a suo fratello, il conte padre di Max. Quando Max ha ereditato Martlesham, noi eravamo parte del lascito. Da allora abbiamo vissuto della sua carità. Alcuni mesi fa, siamo state sistemate in un cottage nel villaggio.» Giocherellò con le briciole nel piatto. «Ha promesso che, se avessi preso parte alla recita, avrebbe firmato i documenti per cederne la proprietà a mia madre e le avrebbe dato una pensione per il resto della vita.»

«E per questo motivo avete sposato uno sconosciuto.»

Dominique sollevò di scatto la testa e disse con rabbia: «Sapete cosa significhi dipendere da qualcuno? Essere consapevoli che ogni cosa che possedete, ogni penny che spendete proviene da qualcun altro?».

«In effetti sì, lo so, dal momento che sono un figlio cadetto. Per molti anni ho dovuto dipendere da un piccolo stipendio concessomi da mio padre.»

I loro sguardi si scontrarono per un attimo, poi lei distolse il proprio e proseguì tranquilla: «Max aveva promesso che sarebbe durato solo per il tempo della cerimonia. Ha detto che, scoperto l’inganno, il matrimonio sarebbe stato annullato».

«Che demonio!» Gideon spinse indietro la sedia e andò verso la finestra. A causa dell’oscurità all’esterno, poté scorgere solo il riflesso di un uomo accigliato, sé stesso. «I servitori dovevano sapere quel che stava accadendo, che la donna che io credevo fosse la cugina di Martlesham era una truffatrice.»

«Sì, Max ha minacciato di licenziare su due piedi chiunque non avesse appoggiato il suo piano.»

Albury si volse a guardarla. «E vostra madre? Il conte le spiegherà tutto?»

Dominique si morse le labbra. «Ne dubito. Max ha la tendenza a pensare solo alle cose che gli interessano.»

«Lei non si preoccuperà per voi?»

La fanciulla si guardò le mani giunte in grembo. «Le ho scritto un biglietto in cui dicevo che sarei rimasta a Martlesham Abbey per qualche giorno.»

«E si accontenterà di questa scusa?»

Lei chinò ancor più il capo. «Maman ha le sue preoccupazioni e non si accorgerà di nulla.»

Gideon finì di bere il vino e se ne versò un altro bicchiere. Dominique... Ebbe un sussulto. Si doveva abituare a chiamarla così. La ragazza aveva a malapena toccato il vino e il dolce giaceva sbriciolato nel piatto. Provò un tenue barlume di ciò che avrebbe potuto chiamare compassione. «Non disperate» le disse. «Domattina torneremo a Martlesham e inizierò le pratiche per l’annullamento.»

«E fino ad allora?» chiese lei con sguardo scettico.

«Non siamo soli qui. Mrs. Chiswick è una donna rispettabile e quando le diremo che c’è stato un errore si occuperà di voi finché non vi potrò riportare a Martlesham.» Cercò di sorriderle rassicurante. «Penso che si possa contare su di lei per proteggere il vostro onore.»

Dominique si sforzò di incontrare il suo sguardo, meravigliandosi per il cambio di tono. Era la prima volta che Gideon Albury non la guardava torvo. Oh, le aveva sorriso in chiesa, ma allora credeva che fosse un’altra. In quel momento, invece, stava sorridendo a lei, la piccola, insignificante Dominique Rainault, e il cuore cominciò a batterle in maniera irregolare, lasciandola senza fiato. Spesso nelle settimane precedenti aveva sperato in un momento come quello, ma non dopo la scena di quella mattina in chiesa.

Il disgusto che aveva scorto sul suo viso l’aveva raggelata e dopo lui l’aveva guardata solo con ripugnanza. Ora non era preparata a quel fascino improvviso e all’impulso di rispondergli sorridendo a propria volta. Il buonsenso la esortava a essere cauta. Malgrado l’attrazione che provava, doveva ricordare che lui era, dopotutto, uno dei compagni di Max, uno di quei giovani irresponsabili sempre pronti a giocare scherzi crudeli agli altri. E solo perché in quella particolare burla lui era la vittima, non significava che fosse un uomo degno di fiducia.

Un leggero rumore oltre la porta annunciò l’arrivo della governante, che sbirciò nel salotto. «Signore, signora, chiedo scusa, ma mi domandavo se desideraste cambiarvi per la cena. La camera da letto non è ancora pronta, ma i bauli sono stati portati nello spogliatoio e lì c’è un bel fuoco acceso.»

Gideon scosse il capo. «Io non mi cambierò, ma forse Mrs. Albury desidera farne uso.»

«Sì, grazie, vorrei lavarmi le mani e il viso.» Dominique si diresse alla porta, lieta dell’opportunità di riflettere.

Per sua sfortuna, la domestica era ansiosa di parlare. «Non ho avuto l’opportunità di fare il letto, signora, perché Alice non è ancora arrivata e ho solo Hannah, la sguattera, a darmi una mano, e non posso affidarle la responsabilità della cucina, ma troverò il modo di sistemarlo non appena avrò terminato con la cena. Se solo mi avessero avvisata prima, saremmo stati in grado di darvi un benvenuto più adeguato a una sposa novella, ma ecco, Mr. Carstairs non è mai stato uno che avverte per tempo.» La donna emise una risatina ansante, mentre apriva la porta dello spogliatoio. «Non ho dubbi che un giorno arriverà qui con una moglie tutta sua e, anche allora, senza un minimo di preavviso!»

Dominique sapeva che quella era la sua occasione. «Mrs. Chiswick, mi potreste preparare un altro letto in una camera separata, per favore?»

La governante ridacchiò di gusto mentre andava in giro per la stanza ad accendere candele. «Che Dio vi benedica, tesoro, non ne avrete bisogno questa notte.»

«Invece sì. Vedete, si tratta di un errore, non avrei mai voluto...»

La donna strinse le mani di Dominique in una calda morsa. «Su, su, mia cara, non siete mica la prima sposa che si fa prendere dal nervosismo dell’ultima ora. Non sapete cosa attendervi dalla prima notte di nozze?»

«Be’, sì, ma non è questo...»

«Ora non dovete preoccuparvi, tesoro mio, sono stata con Mr. Chiswick per quasi trent’anni e vi posso dire che non avete nulla di cui preoccuparvi, soprattutto con un uomo come Mr. Albury. È sempre stato un beniamino qui a Elmwood, più di altri amici di Mr. Carstairs, ve l’assicuro. Ma ecco, non è compito mio criticare il padrone. Comunque sono sicura che Mr. Albury saprà occuparsi benissimo di voi. Dovete solo andare a godervi la cena e non ho dubbi che, quando voi e il vostro uomo sarete caldi e raccolti nella stanza qui accanto, vi godrete pure quello!»

Dominique guardò quel viso sorridente e gentile e capì che avrebbe dovuto dire alla domestica che lei e Mr. Albury non erano davvero marito e moglie e dovevano dormire in camere separate. Ma la spiegazione si spense prima di raggiungerle le labbra. L’idea di confessare la verità – e la propria complicità nell’inganno –a quell’animo così gentile era troppo per lei. Inorridì al pensiero e lasciò che la governante andasse via senza far altro che ringraziarla.

Poi si rimproverò duramente. Avrebbe dovuto insistere con Mrs. Chiswick affinché preparasse un’altra stanza.

Si tolse lo scialle di pizzo e versò l’acqua nel catino per lavarsi il viso. Davvero si aspettava che Gideon Albury mantenesse le distanze se lei non avesse preso delle precauzioni? Poteva considerarlo affascinante, ma cosa sapeva in realtà di lui? Non si sarebbe dovuto giudicare un uomo dalle sue compagnie? Era amico di suo cugino, che era un tipo prepotente e crudele.

La pesante fascia d’oro al dito le sfiorò la guancia, ricordandole la situazione di pericolo. Era sposata. Il registro era stato firmato e ora apparteneva all’uomo che sedeva al piano di sotto, nel piccolo salotto accogliente. La legge era precisa: lui poteva fare di lei ciò che voleva, dal momento che una moglie era proprietà del marito.

Un brivido la attraversò.

Il distante rintocco di un orologio catturò la sua attenzione. Aveva tergiversato abbastanza, non poteva restare nello spogliatoio per sempre. Prese una candela e spense tutte le altre, poi si fece strada nella camera da letto adiacente.

L’ampio letto a baldacchino si stagliava scuro e ostile al centro della stanza, con le tende che proiettavano ombre minacciose sul materasso spoglio. Dominique distolse lo sguardo ed esaminò il resto della camera. Un grande armadio per la biancheria occupava un muro accanto a una cassettiera, mentre sotto la finestra c’era un tavolino da scrittura, provvisto di accessori. Nel passargli accanto, la luce scintillò sulla vaschetta d’argento con il calamaio di vetro sfaccettato, la scatola dei pennini in argento e un elegante tagliacarte dal manico d’avorio.

Si fermò e appoggiò il portacandela. Prese il tagliacarte e lo nascose nella manica. L’impugnatura d’avorio premeva contro la pelle morbida all’interno del polso, ma il polsino abbottonato camuffava la leggera protuberanza. Lasciò cadere la mano. Il tagliacarte non si mosse, grazie alla manica stretta che lo tratteneva. Soddisfatta, Dominique prese la candela e scese al piano di sotto.

Gideon l’attendeva nel salotto, sul tavolo una bottiglia di vino fresco. Si era slacciato il fazzoletto dal collo ed era stravaccato su una poltrona accanto al tavolo, ma Dominique pensò che fosse incredibilmente bello mentre la luce della candela metteva in risalto la perfezione del suo volto. Quando spostò lo sguardo sulla curva sensuale delle labbra, si chiese che sapore avessero. Quel pensiero la turbò tanto da lasciarla ferma sulla porta.

Forse Gideon pensò che lei fosse offesa dal suo atteggiamento noncurante, poiché si alzò in piedi e le porse una sedia, dove lei affondò in silenzio, consapevole della presenza torreggiante di lui alle spalle. Prese un profondo respiro per darsi un tono, invece si ritrovò con i sensi inebriati dal penetrante odore di sapone e di un aroma muschiato. Provò il potente desiderio di appoggiarsi alle sue dita, di volgere il capo e di baciarle, invitandolo a...

No! Santo cielo, da dove sbucavano quei pensieri dissoluti? Affondò i denti nelle labbra, costringendosi a restare immobile.

Lui le riempì il bicchiere e glielo porse. «Allora, avete spiegato la situazione a Mrs. Chiswick?»

«No.» Lo sguardo sorpreso di Gideon avrebbe potuto far arrossire Dominique, se lei non fosse già avvampata per via dei pensieri lussuriosi. «Pensavo che forse lo dovreste fare voi.»

«Io?»

Lei prese il bicchiere resistendo all’impulso di accarezzargli le dita. «Ho pensato che, se fossi stata io a sollevare l’argomento, lei avrebbe potuto pensare che mi aveste costretta a sposarvi.»

«Invece siete stata voi a indurre me con l’inganno!»

«Non è vero!» rispose infervorata. «Sono stata una vittima proprio come voi. Be’, quasi.»

Gideon serrò le labbra. «Possiamo dire che concordiamo nell’accusare Max per questo terribile pasticcio? Lui sapeva che una donna col sangue francese sarebbe stata la peggiore scelta per me.»

«Certo.» Dominique ricordò la reazione di Albury quando Max aveva spiegato la sua discendenza. «Vorreste spiegarmene il motivo?»

«Perché...» Si interruppe quando vide il maggiordomo. «Sì, Chiswick, che c’è?»

«La cena è pronta, signore, se lo desiderate.»

«Benissimo, arriviamo subito.» Non appena il domestico si ritirò, si volse a Dominique e disse: «Continueremo questa discussione più tardi».

Lei percepì una nota di sollievo nel suo tono. Si alzò in silenzio e prese il braccio che le veniva offerto mentre si dirigevano verso la sala da pranzo. Attraverso la manica sentì la forza dei muscoli sotto le dita. Gideon era teso, tratteneva a malapena la collera. La sua cortesia era apparente, una mera finzione, e Dominique provò la sensazione di camminare accanto a un animale feroce: sarebbe bastata una sola parola sbagliata e lui l’avrebbe assalita.

Chiswick li aveva serviti, porgendo le scuse della moglie per la scarsità delle portate. Dominique lo rassicurò con solerzia che ce n’erano più che a sufficienza.

Anzi, dopo aver provato il consommé, seguito da braciola di montone con rape e carote, un assaggio di carpa e una focaccia, non aveva più posto per la fricassea di pollo e per nessuno dei dolcetti e dei budini che furono portati in seguito. Mrs. Chiswick si rivelò un’ottima cuoca e i vini che il marito offrì per accompagnare il pasto furono eccellenti. Dominique ne bevve diversi bicchieri, anche per calmare i nervi.

Non aveva mai cenato da sola con un uomo prima di allora ed era fin troppo consapevole della presenza di quel gentiluomo taciturno seduto all’altra estremità del tavolo. Rabbrividì, rimpiangendo di aver lasciato lo scialle di pizzo nello spogliatoio. Non che avesse freddo, era solo... nervosa.

La conversazione fu forzata e Dominique provò sollievo quando la cena terminò e poté ritornare nel salotto. Esitò nel vedere che Gideon la seguiva. «Non restate a bere il porto, signore?»

«Chiswick mi porterà del brandy in salotto. Non mi piace bere da solo.»

«Ammetto di aver sempre considerato strana l’abitudine di restare da soli se non ci sono ospiti in casa. Mio cugino ne è un fermo sostenitore, sebbene di rado sia senza compagnia a Martlesham Abbey.»

Dominique continuò a ciarlare mentre Gideon la scortava attraverso l’atrio buio, dove ogni suono rimbombava, ma non poteva evitarlo. Erano i nervi, lo sapeva, però c’era anche qualcos’altro, un’eccitazione latente nel trovarsi da sola con quell’uomo. Era una situazione su cui aveva fantasticato per settimane, solo che nei sogni lui era con lei perché l’aveva scelta, non a causa di un inganno.

Quando furono nel salotto, Chiswick lasciò un piatto di dolcetti accanto a lei e appoggiò un vassoio con bottiglie e bicchieri sul buffet. «Devo mandare il tè tra un’ora, signora?»

«No, dite a Mrs. Chiswick di portarlo adesso» rispose Gideon. E, appena furono soli, aggiunse: «Quando arriverà le potrete chiedere di preparare un altro letto».

«Non lo farete voi?»

Scosse il capo. «La conduzione di una casa è un affare da donne, signora. Siete voi a dover dare ordini alla servitù.»

Poi andò a versarsi un bicchiere di brandy mentre Dominique fissava il fuoco con aria infelice. Non importava quanto fosse imbarazzante, lo doveva fare. L’alternativa era troppo orribile da prendere in considerazione.

Gideon era ancora accanto al buffet quando entrò Mrs. Chiswick con fare animato. «Ecco il tè, signora, come avete richiesto. Dovete essere molto stanca per il viaggio e non vorrete che la serata si protragga.»

«A dire il vero, Mrs. Chiswick, io...»

«Alice e io andremo a preparare la stanza. Mi sono presa la libertà di riscaldare anche un paio di mattoni per il letto, dal momento che non è stato usato da un po’ di tempo, ma immagino che non vogliate me o Chiswick per rimuoverli, vero?» La governante sorrise con aria cospiratoria, facendo avvampare Dominique. «Che Dio vi benedica, mia cara, non c’è bisogno di arrossire così. Dopotutto, siete in luna di miele! Allora, la stanza dovrebbe essere pronta in quattro e quattr’otto. Chiswick vi lascerà le candele nell’atrio e ci diremo buonanotte adesso, così non vi disturberemo ancora. E non vi importuneremo neanche domattina finché non ci chiamerete. Dubito che vogliate alzarvi al canto del gallo.» Con un altro sorriso d’intesa e una strizzatina d’occhio, andò via, lasciando Dominique a fissare la porta chiusa.

Un silenzio carico di tensione avviluppò la stanza.

«Santo cielo, che parlantina» commentò Gideon alla fine. «È difficile riuscire a dire una parola, lo ammetto.» Sedette accanto a lei sul divano. «Potrei sempre dormire qui, suppongo.» La fanciulla si volse a guardarlo sorpresa e notò la smorfia sul suo viso. «Nessuno di noi due è stato abbastanza coraggioso da arginare le sue chiacchiere, vero?»

Dominique si portò le mani alla bocca, ma non riuscì a soffocare una risatina nervosa. Anche Gideon cominciò a ridere e, in breve, entrambi furono travolti dall’ilarità. Passarono diversi minuti prima che uno dei due riuscisse a parlare di nuovo.

«Sembra una delle farse che si possono vedere a Drury Lane» disse Dominique con un singhiozzo, mentre cercava un fazzoletto per asciugarsi gli occhi.

Gideon tirò fuori il proprio e, prendendole il mento tra le mani, la fece voltare verso di sé e le tamponò le guance con delicatezza. «Se rappresentassero una storia come questa, direbbero che è inverosimile, che non potrebbe mai accadere.»

Lui sorrideva ancora, ma l’impulso di Dominique di ridere si smorzò. Con cautela cercò di uscire da quella situazione.

«È successo.» Il tocco delle mani di lui sul viso era stato delicato come un bacio e lei sentiva ancora un formicolio. Lui sorrideva rilassato, con la schiena appoggiata al divano. La giovane pensò di nuovo a quanto fosse bello, con quei lineamenti fini, i folti capelli ramati che splendevano alla luce della candela. Se solo si fossero incontrati in altre circostanze... Bloccò subito l’idea. Lui odiava i francesi e lei non poteva né voleva negare la propria discendenza. Era fiera del proprio padre.

Gideon si alzò e tornò al buffet. «Lasciate stare il tè. Vi prendo del porto.»

Dominique guardò la teiera. Aveva ragione lui, non aveva voglia di eseguire il rituale quella sera. Era così nervosa che temeva di lasciar cadere una delle preziose tazze di porcellana. Quando lui le porse un bicchiere di liquido rosso scuro, lo accettò prendendolo con attenzione e mormorando un ringraziamento. Forse l’alcol avrebbe fatto effetto. Inghiottì metà del contenuto del bicchiere in un solo sorso ma, per fortuna, Gideon non se ne accorse, dal momento che era intento a versarsi dell’altro brandy.

«Siamo in un bel guaio, mia cara.» Sedette di nuovo accanto a lei. «Ho perso il controllo e me ne scuso. Se fossimo rimasti a Martlesham, sarebbe stato tutto più semplice.»

«Eravate in collera, lo comprendo e chiedo perdono per la parte che ho avuto in questo piano.»

Gli angoli delle labbra di Gideon si incurvarono in un leggero sorriso. Disse mesto: «Sono i capelli ramati. Quando i fumi della collera discendono su di me, non sono responsabile delle mie azioni».

Dominique rispose con un sorriso di comprensione. «Non ho i capelli rossi, ma anch’io, a volte, ho scatti d’ira.»

«Sarà il vostro temperamento latino, forse.»

«Sì.»

Un sorriso timido si affacciò agli occhi della giovane e Gideon fu lieto di notare che la sua fronte non era più corrugata per l’ansia. Dominique aveva un aspetto molto più gradevole quando la sua espressione non era tesa e provata. Un leggero rossore le ricopriva le guance quando andò a posare il bicchiere vuoto sul buffet. Lui notò come l’abito le aderisse alla figura, accentuando la vita sottile e il movimento dei fianchi. Quando tornò indietro, ammirò la curva del seno che spuntava dal corpetto dell’abito. La fanciulla non era una bellezza opulenta, ma lui era pronto a scommettere che dietro quell’abbigliamento mascolino si nascondeva un corpo piuttosto attraente. Ripensò a quando aveva inspirato la sua fragranza e aveva provato una scintilla di interesse... di desiderio.

Quasi fosse consapevole dei suoi pensieri, Dominique decise di sedersi nella poltrona accanto al fuoco.

Gideon si schiarì la voce. «Credo che nelle scuderie ci sia un calesse. Quando sarà giorno, vi condurrò a Swaffham, e da lì potremo noleggiare un veicolo di posta che ci riporterà a Martlesham.»

«Non alla Abbey, però» replicò in fretta. «Potreste farmi il piacere di lasciarmi al villaggio, al cottage di mia madre?»

Lui scrollò le spalle. «Se lo desiderate...» Un improvviso tonfo sul soffitto li fece guardare entrambi in alto. «Ma prima dobbiamo passare la notte.»

Il porto aveva fatto effetto. Dominique sapeva come comportarsi. «Io resterò qui» annunciò raddrizzandosi sulla sedia. «Vi lascio la camera da letto.»

«Sciocchezze, l’ho già detto io che dormirò sul divano.»

Lei sollevò il mento. «Ho preso la mia decisione.»

«Allora cambiatela.»

Il tono autoritario le fece solo rafforzare la propria risoluzione. «Non lo farò.»

«Non manco di cavalleria al punto di condannarvi alla scomodità.»

«Sarò comodissima. Inoltre, la porta del salotto ha un chiavistello, mentre quella della stanza da letto non mostra neanche un accenno di serratura.»

Gideon si accigliò. «State dicendo che non vi fidate di me?»

«Esatto.»

Lui saltò su. «Accidenti, quando vi ho dato occasione di dubitare?»

Dominique inarcò le sopracciglia. «Quando avete insistito per venire qui.»

L’inoppugnabilità della dichiarazione lo punse sul vivo e lo fece allontanare a grandi passi verso la finestra. «Non siate così maledettamente ostinata, signora! Ho detto che sarò io a dormire sul divano e lo farò.»

Quelle parole non ebbero alcun effetto. «Impossibile. È troppo corto per voi. Sarete alto come minimo sei piedi.»

«Qualcosina in più» disse lui distrattamente. «Ma questo non conta.»

«Conta, eccome.» Gideon sentì un lieve fruscio di stoffa. «È della lunghezza giusta per me.»

Quando si girò, lui vide che Dominique si era distesa sul divano. L’abito le ricadeva in morbide pieghe, accentuando i contorni del corpo, la morbidezza del seno e la curva dei fianchi, l’esile vita. E come aveva potuto trascurare la lunghezza delle gambe? Quando lei si stiracchiò con lussuria, lui ebbe la visione fugace delle caviglie sottili al di sotto dell’orlo dell’abito. In qualsiasi altra situazione avrebbe trovato incantevole quella visione, ma... fuoco e dannazione, si stava prendendo gioco di lui! «La camera è stata preparata, signora, e voi dormirete lì.»

«E io vi dico che non lo farò.»

Gideon quasi digrignò i denti per la frustrazione. «Ammetto che sia stato un errore venire qui.» Parlava con cautela, tenendo a freno la collera. «Ho sbagliato, ma dovete ammettere che la provocazione è stata grande.»

«Certo.»

«Comunque, in fin dei conti, sono un gentiluomo. Non si dirà di me che ho goduto la comodità di un letto di piume, mentre voi trascorrevate la notte sul divano!»

Dominique provò un inaspettato fremito di eccitazione nell’udire il tono brusco. Era chiaro che lui fosse irritato e non riuscisse più a controllare la situazione. Fu percorsa da un’esultante sensazione di potere. Incrociò le mani dietro la testa e lo fissò con aria di sfida.

«Ho già preso possesso del divano, dunque non vedo cosa possiate fare in proposito. Vi suggerisco di dichiararvi battuto e di ritirarvi in buon ordine.» Chiuse gli occhi e si sforzò di restare immobile, fingendo indifferenza. Lui avrebbe visto che era irremovibile e l’avrebbe lasciata in pace.

Dominique attese di sentire dei passi affrettati e la porta che sbatteva dietro di lui. Invece sentì qualcosa di indistinto tra un ringhio e un grugnito, e un istante dopo si sentì sollevare senza troppi complimenti dal divano. Aprì gli occhi di scatto e lanciò un piccolo urlo nello sperimentare un nuovo modo di sentirsi indifesa tra le braccia di un uomo. E non di un uomo qualunque. Insieme alla naturale indignazione, fu consapevole del pressante desiderio annidato nel proprio corpo, che la spaventava e che avrebbe contrastato.

Gli avrebbe dimostrato che non era una ragazzina sciocca, da trattare in modo così abominevole. «Avete detto che siete un gentiluomo» protestò, cercando di liberarsi.

In risposta lui rafforzò la presa, trattenendola con un braccio contro il petto mentre l’altro la reggeva sotto le ginocchia, cosicché i suoi calci si perdevano nel vuoto. «Infatti. Ma voi avete messo alla prova la mia pazienza!»

«Mettetemi giù subito!»

Dominique cercò di liberare le braccia, ma proprio in quel momento lui allentò la presa attorno alle sue spalle e lei gli si dovette aggrappare con le mani al collo, per evitare di cadere.

Gideon la guardò con un luccichio malizioso negli occhi nocciola. «Pensavo desideraste che vi mettessi giù.»

Lei era senza fiato e il cuore le batteva così forte da farle male. Sicuramente lui lo sentiva, dal momento che erano stretti l’uno all’altra, ma Dominique chiamò a raccolta la propria dignità. «Non voglio che mi mettiate giù per la testa.»

Con un piccolo grugnito di soddisfazione, lui la sistemò meglio davanti a sé. Lei aveva ancora le braccia attorno al suo collo e, per la sua stessa salvezza, non poteva mollare la presa. Si disse che l’unico scopo era quello di non cadere se lui l’avesse lasciata andare, ma non poteva negare il piacere sensuale di sentire la morbidezza dei suoi capelli, che formavano piccoli riccioli sul collo, sotto le dita. Sconvolta dall’idea che una parte di lei provasse piacere per il comportamento prepotente di Gideon, scalciò senza convinzione. Lui rafforzò la stretta.

«Mi soffocate» protestò.

«Allora state ferma.» In qualche modo lui riuscì ad aprire la porta.

«Mettetemi giù» gli sibilò lei mentre attraversavano l’atrio deserto. «Riesco a camminare benissimo.»

«Dovrei darvi la possibilità di ritornare di corsa nel salotto? Credo proprio di no.»

Ridotta al silenzio, Dominique si meravigliò del suo vigore nel salire due gradini alla volta. Era dolorosamente consapevole di quanto le dita di lui fossero vicine al seno. Provò una forte indignazione; con se stessa, per le proprie reazioni, ma soprattutto con Gideon e i suoi modi sprezzanti. Come osava metterle le mani addosso in quel modo?

Appena raggiunsero il primo piano, incontrarono Chiswick nel corridoio. L’uomo si bloccò, con gli occhi che quasi schizzavano fuori dalle orbite.

«Non restate lì imbambolato» sibilò Gideon. «Apritemi la porta!»

Ammutolita dalla rabbia e dal turbamento, Dominique vide il servitore che spalancava la porta della camera da letto. La luce dorata del fuoco e delle candele diede loro il benvenuto. Quando la serratura scattò dietro le spalle del servitore, si sentì l’inconfondibile suono di una risatina gutturale. Bastò quello per alimentare le fiamme della collera di Dominique, che cominciò a scalciare e a lottare con violenza.

«Come osate trattarmi così!»

«Se vi comportate da pescivendola, vi tratterò come tale.»

«Pescivendola! Vi ho solo chiesto di lasciarmi da sola.»

Con un’imprecazione lui la mise in piedi, ma senza lasciarle i polsi. «Santo cielo, donna, ragionate! Non volete dormire in un letto comodo stanotte?»

«No! Ero soddisfatta di dormire di sotto.»

«Be’, io no! Maledizione, ora siete qui e ci resterete, che vi piaccia o no.»

«Sì? E chi mi costringerà?»

«Io, anche se questo significasse stare di guardia fuori dalla porta per tutta la notte.»

«Non servirà a nulla, dato che c’è una porta che dal guardaroba si apre sul ballatoio.»

«Allora farò meglio a restare qui, dove vi potrò controllare.» La lasciò andare con uno sguardo di sfida.

Dominique sapeva che se fosse scattata verso la porta dello spogliatoio, l’avrebbe ripresa.

Sollevò il mento. «Esigo che mi lasciate tornare giù.»

«Ah, esigete? Cosa mi dite dei voti matrimoniali che avete pronunciato, di onorarmi e ubbidirmi?»

«Sono senza valore. Ora mi lasciate andare?»

«Mai.»

Gideon torreggiava su di lei, scatenando un impercettibile fremito di disagio, poiché quella era proprio la situazione che lei aveva cercato di evitare. Comunque Dominique non era per nulla scoraggiata dalla maggiore altezza o forza di lui. «Mi rifiuto di dormire in quel letto.»

«Può anche darsi, ma per questa notte non lascerete questa stanza.»

Lei si ritrasse e gli gettò una occhiata in tralice, incrociando le braccia sul petto. Nel farlo sentì la solida sagoma del tagliacarte contro l’avambraccio. Lo tirò fuori con un gesto plateale.

«Che diavolo volete fare con quello?»

«Pugnalarvi, se non vi leverete di mezzo.»

Gideon la fissò. «Santo cielo, signora, si potrebbe pensare che io abbia intenzione di violentarvi, anziché di offrirvi il letto più comodo della casa.»

Rimpianse di aver usato la parola violentare, poiché gli faceva venire in mente ogni sorta di implicazione spiacevole mentre lei era lì, davanti a lui, con i seni che si sollevavano al ritmo del respiro affannato e gli occhi fiammeggianti. I capelli le si erano sciolti durante la lotta e in quel momento le ricadevano come una nuvola scura sulle spalle.

Il desiderio lo infiammò di nuovo, ma con più vigore. Ricordò di essere un gentiluomo e di doversi ritrarre prima che fosse troppo tardi. Ma lei lo sfidava ancora, brandendo il tagliacarte come se fosse una spada, e a quella sfida non poteva resistere.

«Fatevi da parte» gli ordinò lei. «Lasciatemi tornare nel salotto.»

«Che io sia dannato se lo farò.»

«Io... io vi infilzerò se mi bloccherete la strada.»

Lui aprì le braccia. «Su, infilzatemi.»

Il suo scherno fece lampeggiare di rabbia gli occhi della giovane, che con un urlo gli si lanciò contro. Gideon le afferrò i polsi e, dopo aver notato che il tagliacarte non era affilato, pensò che non potesse fare danni. Ma lei sembrava determinata ad attaccarlo, allora lui le fece roteare il polso e cadere l’arma.

«Ahi, piccola arpia!» esclamò quando gli affondò i denti nella mano. Lottando, la spinse sul letto e le bloccò i polsi sopra la testa. «Volete smetterla di combattere come una selvaggia?»

Dominique continuò ad agitarsi e lui fu costretto a usare il peso del corpo per trattenerla ed evitare che le gambe lo colpissero.

«Lasciatemi!»

«No, se avete intenzione di cavarmi gli occhi. Smettetela!»

Dominique smise di dibattersi e lo guardò torva, col respiro affannato.

«Così va meglio.» Anche lui respirava pesantemente, ma non era solo per lo sforzo. La sensazione di quel corpo sotto il proprio lo eccitava oltremodo. Era steso tra le sue gambe, e in un attimo di follia si chiese come sarebbe stato sentire le gambe di lei a contatto con le proprie, senza l’ingombro di strati su strati di stoffa.

«Questo mi rammenta...» La voce gli uscì roca e leggermente incerta. «... che non ho ancora baciato la sposa.»

Si disse che la stava prendendo in giro, che la stava punendo ancora un po’. Lei lo guardò con i suoi occhi grandi e scuri, pozze insondabili in cui lui si sentiva affondare.

Spostò lo sguardo sulla sua bocca. Sarà meglio che mi fermi, prima che la situazione mi sfugga di mano.

Troppo tardi. La punta rosea della lingua di Dominique guizzò nervosamente tra le labbra e Gideon non poté fare a meno di chinare il capo e catturarle. Fu un bacio rapido, rude, che lui interruppe subito.

Dominique inspirò in rapidi ansiti. Tremava, e il sangue pulsava a ritmo accelerato.

Aveva provato un’acuta esultanza quando si era gettata su di lui con il tagliacarte e ancora era eccitata per la successiva baruffa. Anche se era stata sopraffatta, com’era logico, non si considerava sconfitta. Si disse che non avrebbe mai ceduto e, anche se lui le premeva contro, non si sentiva più debole, ma forte. Era viva, piena di energia, pronta a contrastarlo ancora.

Ma quando lui aveva annullato la distanza tra loro, trovando con la bocca le sue labbra socchiuse e se n’era impossessato, il corpo di Dominique aveva risposto con un brivido di desiderio che l’aveva colta di sorpresa e turbata. Provava una brama, un bisogno che non riusciva a controllare; voleva quel bacio come non aveva mai voluto niente o nessuno in vita sua.

Si rese conto che sarebbe stata disposta a vendere l’anima al diavolo per una notte con Gideon Albury, ma che importava? La sua reputazione era rovinata, in qualunque caso. Perché, dunque, non concedersi una notte di gloria da ricordare?

Lui si stava rialzando. Ancora un attimo e lo avrebbe perso per sempre.

«Vi chiedo scusa» mormorò Gideon nel lasciarle le mani. «Non avrei dovuto...»

Si interruppe sorpreso quando lo afferrò per il bavero, lo attirò a sé e iniziò a baciarlo in modo un po’ inesperto, ma con tale slancio da colmarlo di desiderio. Era perduto. Sembrava che qualcuno avesse aperto una diga, facendo traboccare un torrente di passione che trascinava tutto con sé.

Si sbarazzarono subito dei vestiti, strappando via i bottoni nella fretta di spogliarsi e nel frattempo continuarono a scambiarsi baci inebrianti e disperati, che offuscavano ogni loro pensiero coerente. Gideon la sollevò sulle coperte di seta e lei si aggrappò alle sue spalle, bramosa del suo tocco. Quando lui entrò dentro di lei, emise un grido, poi lo attirò, reclamando la sua bocca e spazzando via ogni dubbio sul fatto che volesse interrompere quell’amplesso appassionato.

L’estasi che li travolse li lasciò entrambi affannati e spossati.

Dominique fu svegliata dalla fresca brezza notturna sulla pelle. Si portò una mano alla testa, per capire dove si trovasse e cosa fosse accaduto. Ricordò la cena con Gideon, la lite e infine le sue mani sul proprio corpo – a ragione, dal momento che aveva cercato di pugnalarlo.

Era come se fosse stata posseduta, traboccante di desiderio che doveva essere soddisfatto. Si passò una mano lungo il corpo. Nulla sembrava diverso, eppure tutto era cambiato, non era più innocente.

Cercò di analizzare i propri sentimenti al riguardo e nei confronti dell’uomo che le dormiva accanto. Era paralizzata. Era come se davanti a lei ci fosse un enorme vuoto che non osava ancora affrontare. Forse il giorno seguente sarebbe riuscita a venirne a capo. In quel momento la sua principale preoccupazione era scaldarsi. Scivolò tra le coperte. I mattoni caldi, forniti con premura non servivano più. A un certo punto erano inavvertitamente caduti a terra e le lenzuola erano fredde. I suoi movimenti disturbarono Gideon, che la raggiunse sotto le coperte e la attirò a sé. Quando fu tra le sue braccia nient’altro ebbe importanza. L’indomani. L’indomani avrebbe pensato a tutto. Chiuse gli occhi e, mentre scivolava nel sonno, sentì il respiro di lui sulla guancia e un sussurro.

«Dominique.»