Nickie
Nickie era seduta vicino alla finestra, e guardava il sole salire nel cielo, dissolvendo la foschia del mattino. Aveva dormito pochissimo: faceva caldo e sua sorella aveva continuato a bisbigliarle nell’orecchio per tutta la notte. L’estate non le piaceva: lei era fatta per il freddo. La famiglia di suo padre veniva dalle isole Ebridi. Stirpe vichinga. Sua madre era originaria della Scozia orientale, anche se la sua famiglia era emigrata in Inghilterra secoli prima, per sfuggire ai cacciatori di streghe. Quelli di Beckford potevano anche non crederci, potevano prenderla in giro e insultarla quanto volevano, ma Nickie sapeva di appartenere a una stirpe di streghe, e di poter tracciare una linea di discendenza diretta da Libby Seeton a se stessa.
Fece la doccia, poi colazione, poi si vestì di nero, in segno di rispetto, e decise di andare al fiume. Camminava lentamente, a fatica, lungo il sentiero, cercando di ripararsi all’ombra delle querce e delle betulle. Anche così, il sudore le colava negli occhi e lungo la schiena. Quando arrivò alla spiaggetta, si tolse i sandali e si bagnò i piedi, si rinfrescò con l’acqua del fiume, spruzzandosela sul viso, sul collo e sulle braccia. Un tempo sarebbe salita sul promontorio per rendere omaggio alle donne che erano cadute, a quelle che si erano buttate e anche a quelle che erano state spinte in acqua, ma ormai le gambe non la reggevano più. Qualunque cosa dovesse dire alle donne del fiume, l’avrebbe detta dalla riva.
Si trovava più o meno in quel punto la prima volta che aveva visto Nel Abbott, due anni prima. Anche allora aveva i piedi dentro l’acqua e si stava godendo la sensazione di fresco, quando si era accorta della donna tra le rocce. L’aveva vista camminare avanti e indietro, una volta, due. Alla terza volta, aveva sentito un formicolio alle mani. Aveva percepito qualcosa di strano, di sbagliato. La donna si era chinata, piegandosi sulle ginocchia, e in quella posizione aveva proseguito, come uno strano serpente, fino all’orlo del precipizio, le braccia penzoloni. Spaventata, Nickie le aveva urlato: «Ehi!» e lei, con sua grande sorpresa, le aveva sorriso e l’aveva salutata.
Da allora, Nickie l’aveva vista parecchie volte al fiume: scattava foto, faceva disegni e prendeva appunti, di giorno e di notte, d’estate e d’inverno. Dalla finestra di casa sua, l’aveva vista incamminarsi verso l’acqua anche nel buio più fitto, nel mezzo di una nevicata o sotto la pioggia fredda.
A volte Nickie le era passata vicino sul sentiero, e Nel neanche se n’era accorta, presa com’era dai suoi pensieri. Nickie ammirava quella devozione totale al lavoro e al fiume. Un tempo le piaceva andare a farsi il bagno nelle calde mattine estive. Nel, invece, nuotava all’alba e al tramonto, anche quando le temperature erano meno miti. Ripensandoci, si rese conto che da almeno un paio di settimane non l’aveva più vista nuotare. O forse era di più? Provò a ricordare l’ultima volta, ma non ci riuscì, per colpa di sua sorella che continuava a distrarla parlandole all’orecchio.
Avrebbe tanto voluto che la smettesse.
La gente pensava che Nickie fosse la pecora nera della famiglia, ma il titolo spettava a sua sorella Jean. Quando erano bambine, tutti dicevano che Jeannie era quella brava, quella che non disobbediva mai, finché, quando aveva compiuto diciassette anni, non aveva deciso di arruolarsi in polizia. Una poliziotta! Il padre era un minatore, accidenti! La madre l’aveva accusata di tradire la famiglia e l’intera comunità. I genitori avevano smesso di rivolgerle la parola e si aspettavano che Nickie facesse altrettanto, ma lei non poteva, non poteva proprio. Jeannie era la sua sorellina.
Il problema di Jeannie era che parlava troppo, e non capiva mai quando era il momento di tenere la bocca chiusa. Dopo aver lasciato la polizia, e prima di andarsene da Beckford, aveva raccontato a Nickie una storia che le aveva fatto accapponare la pelle. Da allora, ogni volta che incontrava Patrick Townsend Nickie si mordeva la lingua e sputava per terra, poi mormorava le sue formule per invocare protezione.
E fino a quel momento, avevano funzionato. Almeno per lei. Ma non per Jeannie. Dopo quella faccenda con Patrick e sua moglie e tutto il casino che ne era seguito, lei si era trasferita a Edimburgo, dove aveva sposato un inetto e aveva trascorso i successivi quindici anni a sbronzarsi con lui, fino a morirne. Però Nickie la vedeva ancora, di tanto in tanto, e le parlava. Negli ultimi tempi si era fatta sentire più spesso. Era diventata di nuovo logorroica, chiassosa, irritante. E insistente.
Da quando Nel Abbott era finita in acqua, Jean era ancora più loquace. Nel le sarebbe piaciuta, avevano qualcosa in comune. Anche a Nickie piaceva Nel, le piaceva chiacchierare con lei, soprattutto perché la ascoltava. Stava a sentire le sue storie, anche se non prendeva troppo sul serio i suoi avvertimenti. Era proprio come Jeannie: un’altra che non sapeva tenere chiuso il becco.
Il fatto è che a volte il fiume si gonfia, per esempio dopo una pioggia abbondante. Si ribella, risucchia la terra e la rivolta, facendo ricomparire oggetti persi da tempo: ossi di agnello, stivali da bambino, un orologio d’oro inghiottito dal fango, un paio di occhiali appesi a una catenella d’argento. Un braccialetto con il gancetto rotto. Un coltello, un amo da pesca, un piombino. Lattine e carrelli del supermercato, detriti, oggetti di qualche valore e altri del tutto insignificanti. E non c’è niente di strano: è così che vanno le cose, è così che funziona il fiume. Può ripercorrere il passato, riportarlo alla luce e rovesciarlo sulla sponda, sotto gli occhi di tutti. Le persone, invece, non possono farlo. Le donne non possono farlo: se inizi a chiedere in giro, a mettere avvisi nei negozi e nei pub, a scattare fotografie, a parlare con i giornalisti e a fare domande su streghe, donne e anime perse, non stai cercando risposte, ma soltanto guai.
Nessuno poteva saperlo meglio di Nickie.
Si asciugò i piedi, si infilò di nuovo i sandali e si incamminò, lentamente, lungo il sentiero, su per i gradini e sul ponte; erano ormai le dieci, era quasi ora. Si fermò al negozio di alimentari, comprò una lattina di Coca-Cola e andò a sedersi sulla panchina di fronte al cimitero. Non era tipo da frequentare la chiesa, però voleva vederli: i partecipanti al funerale, i ficcanaso e gli ipocriti senza vergogna.
Si sedette e chiuse gli occhi, solo per un attimo, o così le sembrò, ma quando li riaprì lo spettacolo era cominciato. Vide la poliziotta giovane, quella nuova, che camminava avanti e indietro, e girava la testa in tutte le direzioni, guardinga come una mangusta. Anche Nickie era un’osservatrice: vide quelli del pub, il proprietario insieme alla moglie e alla ragazza che lavorava al bancone, un paio di insegnanti, il ciccione bruttino e il professore bello, con gli occhiali da sole. Vide i Whittaker, tutti e tre, intorno a loro un’aura di tragedia: il padre, ingobbito dal dolore, il ragazzino, spaventato dalla sua stessa ombra, e la madre, l’unica che camminava a testa alta. Un gruppetto di ragazzine che starnazzavano come oche, e un uomo dietro di loro, una brutta faccia riemersa dal passato. Nickie lo conosceva, ma non ricordava chi fosse. Era distratta dall’automobile blu che era appena arrivata nel parcheggio, dal formicolio che sentiva sulla pelle, dal soffio di aria fredda sulla nuca. Per prima vide scendere la donna, Helen Townsend, scialba e insignificante, seguita dal marito, che era al posto di guida, e infine il vecchio Patrick, austero come un colonnello. Patrick Townsend: uomo di famiglia, pilastro della comunità, poliziotto in pensione. Feccia. Nickie sputò a terra e pronunciò le sue formule. Sentì che il vecchio posava gli occhi su di lei, e Jeannie le sussurrò: Non guardarlo, Nic.
Nickie li contò all’ingresso della chiesa e all’uscita, dopo circa mezz’ora. Ci fu un po’ di ressa sul portone, qualche spinta per uscire, poi vide qualcosa tra il bel professore e Lena, un veloce scambio di battute. A Nickie sembrò che anche la poliziotta stesse osservando la scena, mentre Sean Townsend, che svettava sopra tutti per quanto era alto, manteneva l’ordine. Eppure si erano persi qualcosa, vero? Era come uno di quei trucchi da prestigiatore: basta distogliere gli occhi per un solo istante, e il gioco è già cambiato.