3
Washington era ancora immersa nel buio quando Camilla Stowe raggiunse la West Wing. Non aveva mai avuto l’abitudine di dormire fino a tardi, nemmeno da bambina. E da quando il presidente Magnus le aveva chiesto di entrare a far parte della cerchia dei suoi più stretti collaboratori, in qualità di capo dei servizi segreti, non dormiva mai più di un’ora o due per notte. Andava bene così. Avrebbe avuto tutto il tempo di riposare una volta morta, si diceva.
Aveva i capelli di uno splendido rosso naturale, gli occhi verdi con pagliuzze dorate e la pelle bianca come il latte. La sua bellezza non era passata inosservata alla Casa Bianca. Il volto pallido e il corpo minuto, ma pieno di curve, accendevano il desiderio dei politici di sesso maschile di entrambi gli schieramenti. Soltanto quelli che non la conoscevano abbastanza avrebbero potuto pensare che a un aspetto così delicato corrispondesse un carattere altrettanto fragile.
Il padre, inglese, era stato il ricco rampollo di una famiglia aristocratica che per decenni aveva guidato l’espansione dell’impero britannico in Africa e in India. Aveva insistito perché la figlia studiasse in Inghilterra, nel vano tentativo di impedirle di tornare negli Stati Uniti e raggiungere la madre nell’esercito. Ai suoi tempi, Carla Stowe era stata un’ottima pilota di aerei da caccia, e quando la figlia era riapprodata in America era ormai diventata un’apprezzata istruttrice di volo. Le sue lezioni erano sempre affollate, tutti volevano imparare da lei per rubare un po’ del suo talento.
Ma Camilla aveva seguito una strada diversa. Era entrata nell’intelligence dei Marines con il grado di tenente e aveva prestato servizio nel Corno d’Africa, in Afghanistan e, per due volte, in Iraq. Era stata promossa capitano e poi arruolata nella CIA. Se n’era andata dopo un anno e mezzo, delusa dal modo in cui l’Agenzia trattava le donne. Con quel gesto aveva attirato l’attenzione del presidente, alla ricerca di qualcuno che fosse in grado di affrontare la palude morale nella quale stavano sprofondando i servizi segreti. Qualcuno che desse una ripulita e facesse ripartire la macchina che si occupava della sua sicurezza pubblica e privata. Camilla era l’unica donna tra i cinque candidati.
Il colloquio era durato più di un’ora e mezzo, ma dopo una decina di minuti il presidente aveva già preso la sua decisione. Sarebbe stato folle lasciarla andare. Alla fine dell’incontro le aveva offerto il posto, e lei aveva accettato. Tempo dopo il presidente aveva confidato a Howard Anselm, il capo di gabinetto, che Camilla era una donna d’acciaio. Poteva essere piegata ma non spezzata. «È esattamente la persona che ci serve nella West Wing» aveva commentato.
Alla fine del colloquio l’aveva invitata a pranzo, il che significava un pasto preparato dalla cucina privata della Casa Bianca.
Magnus era un uomo molto legato alla famiglia. All’inizio la moglie, una donna estremamente telegenica, aveva irritato i conservatori indossando abitini senza maniche che mettevano in evidenza le spalle e le braccia ben tornite, delle quali andava giustamente fiera. Ma lo aveva fatto con una tale grazia e una tale disinvoltura che anche i critici più pungenti, alla fine, si erano dovuti limitare a qualche occasionale borbottio di disapprovazione. Avevano due figli, una femmina e un maschio, più piccolo, che affrontavano con naturalezza le telecamere, la folla e le domande dei giornalisti.
Nonostante questo, i due più stretti collaboratori del presidente, Anselm e Marty Finnerman, si erano resi conto che Magnus aveva perso la testa per Camilla. Non sarebbero stati in grado di dire se i due avessero avuto rapporti sessuali, o fossero sul punto di averli, ma avevano concordato sulla necessità di tenerli d’occhio per stroncare sul nascere qualsiasi pettegolezzo.
Camilla entrò nella West Wing. Noreen, la nuova assistente di Anselm, giovane e bella quanto la precedente, le comunicò che il capo di gabinetto era già in ufficio. La porta era aperta, le luci accese e il corridoio inondato dall’aroma di caffè che si sprigionava dalla macchinetta Nespresso. Camilla seguì la scia di profumo, che la condusse a debita distanza dallo Studio Ovale, al momento occupato.
«Howard, non sei andato a casa?» gli chiese entrando in ufficio.
«A dire il vero, non vedo perché avrei dovuto» replicò Anselm, senza alzare lo sguardo dalle carte che aveva davanti. Il suo divorzio si avviava alle battute finali. «Ho troppo da fare per il vertice di Singapore.»
Smise di scrivere, posò la penna e si sgranchì le dita. Dopo lo scandalo Snowden non usava più mezzi di comunicazione elettronici: non erano abbastanza affidabili, nonostante le rassicurazioni dei cyberguardiani esperti di informatica. Anche il suo staff scriveva le bozze a mano e batteva a macchina la versione finale di ogni documento: una sorta di ritorno al passato. Come ripeteva a tutti, l’aspetto più interessante delle macchine da scrivere era che ciascuna aveva elementi originali e inimitabili, come l’impronta digitale di un essere umano. Se un documento finiva nelle mani sbagliate, era facile risalire alla macchina che lo aveva prodotto. «È l’imperfezione della meccanica» diceva spesso Anselm. Camilla, per una volta, gli aveva dato ragione, e aveva ordinato che tutta la corrispondenza dei servizi segreti fosse prodotta con mezzi meccanici.
Il capo di gabinetto alzò lo sguardo dalla scrivania. «Prenditi un caffè.» Mentre lei si preparava un espresso triplo, lui la osservò pensieroso. «Come vanno i tuoi piani?»
«Lo sai, Howard.» Camilla aprì il piccolo frigorifero e versò un po’ di latte nella tazza di porcellana bianca con lo stemma presidenziale. «Ti ho inviato i documenti relativi dieci giorni fa, e il piano è già stato eseguito. Quei tizi che si scopavano le troie colombiane sono stati licenziati. Il resto del gruppo è in un carcere di massima sicurezza, in attesa dei risultati delle indagini.» Aggiunse lo zucchero, mescolò e si portò la tazza alle labbra. «Mmh. Questo dovrebbe darmi una bella botta.»
Poi si voltò verso Howard: era piccolo e grassoccio, aveva braccia e gambe corte e capelli grigi pettinati con il riporto. Le spalle erano cadenti, aveva la faccia da bulldog e un naso schiacciato simile a un fungo, che gli dava un aspetto da pugile suonato. Anche nelle stagioni più calde indossava abiti di lana, consunte bretelle nere e pesanti scarpe che secondo tutti contenevano un rialzo, conferendogli un aspetto che sembrava sottolineare il suo temperamento rigido e la sua totale mancanza di ironia. In pratica era l’archetipo del perfetto burocrate: per metà animale politico, per metà uomo da scrivania.
«Ma tu lo sapevi già, Howard. Cosa c’è?»
Lui le fece cenno di sedersi. Camilla indossava un tailleur beige, un paio di décolleté in tinta, una camicetta di seta grigio perla e gemelli d’oro. Un foulard di Hermès era avvolto attorno al collo, come un piccolo serpente. Si sedette e mandò giù un altro sorso di caffè.
«Vorrei che cancellassi tutti i tuoi impegni per la prossima settimana» rispose Anselm.
«Tutti? Perché?»
«Sono emerse nuove informazioni.» Fece una pausa e bevve un po’ di caffè, squadrandola con i suoi acquosi occhi castani da dietro gli occhiali dalla montatura d’oro.
Camilla finì di bere, senza dare segni d’impazienza, poi si alzò e si servì un altro espresso doppio. Ne bevve un sorso e tornò a sedersi. Solo allora gli chiese: «Ti spiacerebbe mettermi al corrente?».
«Si è verificato un incidente a Doha» rispose lui in tono neutro. «Sono coinvolti i ministri di sette nazioni arabe, riuniti per un vertice di alto profilo.»
«Non ne sapevo nulla.»
«Per il momento, siamo riusciti a non far trapelare alcuna indiscrezione alle agenzie di stampa e agli sciacalli di internet.»
«Non durerà molto.»
«Il presidente intende sfruttare l’esiguo vantaggio di cui disponiamo.»
Camilla lo guardò da sopra il bordo della tazza. «Cosa è successo, esattamente?»
«Sei ministri sono stati uccisi. Oltre a una decina di mercenari e a quattro jihadisti.»
«Cristo! Sappiamo chi…?»
«Sembra che il gruppo fosse guidato da El Ghadan in persona.»
«Non si faceva vedere in giro da più di un anno.»
«Ma questo non ha impedito ai suoi uomini, la Milizia del Domani, di compiere azioni un po’ ovunque in giro per il mondo. Somalia, Congo, Iraq, Siria, India, Pakistan, Indonesia… Quell’uomo è una vera e propria macchina da guerra.»
«Ho letto i dossier che lo riguardano. Perché dovrebbe uscire allo scoperto proprio adesso?»
Anselm la osservò, impassibile come una sfinge. «Ottima domanda.»
Camilla aspettò, mentre il caffè iniziava a raffreddarsi. Non ricevendo alcuna risposta, decise di insistere. «E il settimo ministro?»
Anselm abbassò gli occhi sui fogli, ma tornò subito a guardarla. «Si chiama Qabbani. Siriano.»
«Cosa gli è successo?»
«È sparito, ammesso che sia mai esistito.» Le rivolse uno sguardo cupo. «Il vero ministro Qabbani è vivo e vegeto, il presidente gli ha parlato pochi minuti fa: non si è mai mosso da Damasco.»
«E chi diavolo era?»
«Una controfigura.»
Camilla scosse la testa. «Una… cosa?»
«Una controfigura» ripeté Anselm lentamente, scandendo le sillabe. «Uno che finge di essere un dignitario e lo sostituisce in situazioni pericolose.»
La ragazza si appoggiò allo schienale e si lasciò sfuggire un fischio. «Un mestiere pieno di rischi.»
«Sono gli altri a correre rischi, se la controfigura è Jason Bourne.»
Camilla trasalì, e un po’ di caffè si rovesciò sul piattino. «Come?»
«Siamo convinti che Bourne lavori con El Ghadan.»
Lei scosse la testa. «Avete delle prove?»
«No, ma è l’unica spiegazione possibile. Come hanno fatto i terroristi a entrare in una zona ad accesso limitato, presidiata da professionisti? Bourne è un maestro nell’arte di infiltrarsi. E come faceva El Ghadan a sapere che Bourne avrebbe interpretato la parte di Qabbani, a meno che non glielo avesse rivelato lui stesso? I ministri sono tutti morti, tranne lui. Tu conosci bene El Ghadan, non è il tipo da lasciare in vita un testimone. Questo vuol dire che non ha mai avuto intenzione di far del male a Bourne e, di conseguenza, che i due lavorano in coppia.»
«Anche supponendo che ciò che dici sia vero…»
«Lo è. Jason Bourne fa quello che vuole, e quando lo ritiene opportuno. Camilla, è il più pericoloso tra i nostri latitanti. Una minaccia costante. Una vera spina nel fianco per il presidente.»
«Sempre ammettendo che sia tutto vero, perché El Ghadan avrebbe dovuto allearsi con lui? Secondo i nostri rapporti, non ha mai condiviso con nessuno il suo potere. È un accentratore.»
Anselm si sporse in avanti. Le luci guizzarono per un istante sulle lenti dei suoi occhiali, nascondendo il suo sguardo. «Hai ragione, ma la Sicurezza nazionale è venuta in possesso di alcune informazioni: El Ghadan sta progettando un attacco di grande portata, e ha bisogno di aiuto.»
«Che genere di attacco?» Camilla avvertì che l’atmosfera nella stanza si era fatta improvvisamente tesa, e si portò la mano davanti alla bocca. «Mio Dio, il summit del presidente a Singapore.»
Anselm sorrise per un attimo. «L’attacco di Doha era la prova generale. Hanno fatto irruzione nell’albergo, si sono sbarazzati della sicurezza e, per dare il colpo di grazia, si sono serviti di un complice dall’interno.» Sollevò l’indice come un professore universitario nel bel mezzo di una lezione. «Pochi sanno che Bourne è un maestro nell’arte dei travestimenti. Il migliore, possiamo dire.»
Camilla lo osservò, gli occhi sgranati per la sorpresa.
«Per anni il governo ha cercato di metterlo in riga e di dargli la lezione che meritava. Questo fa di lui l’uomo perfetto per organizzare l’assassinio del presidente degli Stati Uniti. L’omicidio dell’uomo che ha emesso la sua condanna a morte.» Si sporse ancora più avanti, appoggiandosi sugli esili gomiti. «Camilla, questa è una vendetta. Nient’altro che una vendetta.» Prese la tazza e il piattino e li spostò. «Dobbiamo fermarlo. Dobbiamo mettere fine al regno del terrore di Bourne, una volta per tutte. È questo che il presidente ci ha chiesto di fare.»
«Lo ha chiesto a noi?»
«L’Agenzia ha fallito, così come la Sicurezza nazionale. E persino Treadstone, che dopo le dimissioni di Soraya Moore e il grave incidente occorso a Peter Marks è stata smantellata. Il presidente ritiene che sia arrivato il momento di cambiare approccio.»
«Cosa significa?»
«Il punto debole di Bourne sono le persone in pericolo.»
«Stai pensando a qualcuno in particolare?»
«Queste sono le istruzioni.» Le consegnò un voluminoso faldone.
«Santo Dio, è un bel malloppo.»
«I cervelloni dello Stato maggiore congiunto ci si sono messi d’impegno.»
Camilla aprì l’incartamento. «Dev’essere davvero un piano eccezionale, se per una volta hanno smesso di farsi la guerra e sono riusciti a mettersi d’accordo.»
Anselm sorrise. «Sì, lo è.»
Camilla iniziò a leggere. Sollevò lo sguardo, stupita. «Aspetta un attimo. Avete intenzione…»
«Sì, Camilla. Abbiamo ideato uno scenario appositamente per te. Sei in missione. Il tuo compito è eliminare Jason Bourne.»