La grande stabilità monetaria del XVIII e del XIX secolo
Facciamo un passo indietro. Il fatto essenziale che è bene tenere a mente è che l’inflazione è in larga misura un’invenzione del XX secolo. Nei secoli precedenti, fino alla prima guerra mondiale, l’inflazione era nulla o quasi. I prezzi potevano a volte salire o scendere notevolmente, anche per anni, ma i movimenti al rialzo o al ribasso finivano in genere per compensarsi. Lo stesso discorso vale per tutti i paesi per i quali disponiamo di classi di prezzo sul lungo periodo.
In particolare, se facciamo la media del rialzo dei prezzi prima del periodo 1700-1820 e poi del periodo 1820-1913, ravvisiamo un’inflazione insignificante sia per la Francia e il Regno Unito, sia per gli Stati Uniti e la Germania: uno 0,2-0,3% annuo al massimo. A volte si rilevano anche livelli leggermente inferiori allo zero, come nel Regno Unito o negli Stati Uniti nel corso del XIX secolo (-0,2% annuo medio in entrambi i casi tra il 1820 e il 1913).
Certo, la grande stabilità monetaria ha ovviamente conosciuto anche fasi di crisi. Ma sono state, ogni volta, crisi di breve durata, dopo le quali si è imposto a breve termine, quasi come un fatto scontato, il ritorno alla normalità. Un caso particolarmente emblematico è quello della Rivoluzione francese. Alla fine del 1789, i governi rivoluzionari emettono i famosi “assegnati”, destinati a diventare, nel 1790-91, una vera e propria moneta circolante e di scambio (una delle prime banconote cartacee della storia) e a determinare, fino al 1794-95, una forte inflazione – calcolata appunto in assegnati. Ma il punto importante è che il ritorno alla moneta di metallo, con la creazione del “franco germinale”, è avvenuta alla stessa parità della moneta dell’ancien régime. La legge del 18 germinale anno III (7 aprile 1795) cambia nome alla vecchia lira tornese – che ricorda troppo la monarchia – e la ribattezza “franco”, divisa destinata a diventare la nuova unità monetaria ufficiale del paese, ma con l’identico valore in metallo della precedente. Il pezzo da un franco deve contenere esattamente 4,5 grammi d’argento fino (come la lira tornese dopo il 1726), valore confermato prima dalla legge del 1796 e poi da quella del 1803, che istituisce in via definitiva il bimetallismo argento-oro.26
In sostanza, i prezzi calcolati in franchi nei primi due decenni dell’Ottocento si collocano più o meno allo stesso livello dei prezzi espressi in lire tornesi negli anni settanta e ottanta del Settecento, per cui il cambio di unità monetaria istituito dalla Rivoluzione non ha modificato in nulla il potere d’acquisto della moneta. Del resto gli scrittori dell’inizio del XIX secolo, a cominciare da Balzac, quando parlano di redditi e ricchezze passano senza soluzione di continuità da una valuta all’altra: per tutti i lettori dell’epoca, il franco germinale (o “franco-oro”) e la lira tornese rappresentano un’unica e identica moneta. Per papà Goriot è perfettamente uguale possedere “milleduecento lire” di rendita oppure “120 franchi”, e per Balzac è superfluo precisarlo.
Il valore in oro del franco, fissato nel 1803, verrà ufficialmente modificato solo dalla legge monetaria del 25 giugno 1928. In realtà, la Banque de France, a partire dall’agosto 1914, smise di rimborsare i biglietti in pezzi d’oro o d’argento, dal momento che il “franco-oro” era ormai diventato, tra il 1914 e la stabilizzazione monetaria del 1926-28, banconota corrente. Continua comunque a destare impressione il fatto che dal 1726 al 1914 sia stata applicata la medesima parità metallica.
È possibile verificare la stessa stabilità monetaria nel Regno Unito con la sterlina. Nonostante lievi aggiustamenti, il tasso di conversione tra le monete dei due paesi rimane per due secoli estremamente stabile: la sterlina, sia nel XVIII sia nel XIX secolo, e fino al 1914,27 continua a valere 20-25 lire tornesi o franchi germinali. Per gli scrittori inglesi dell’epoca, la sterlina e le sue strane suddivisioni in scellini e ghinee appaiono solide come rocce, come la lira tornese e il franco-oro per gli scrittori francesi.28 Tutte queste unità sembrano misurare grandezze invariabili nel tempo, valori in grado di dare un senso eterno alle grandezze monetarie e ai differenti status sociali.
Vale lo stesso anche per gli altri paesi: le uniche modifiche importanti riguardano la definizione di nuove unità o la creazione di nuove monete, come il dollaro americano nel 1775 o il marco-oro nel 1873. Ma una volta fissate le parità metalliche, non si muove più nulla: nel corso del XIX e all’inizio del XX secolo tutti sanno che una sterlina vale circa 5 dollari, 20 marchi o 25 franchi. Il valore delle monete non è più mutato da decenni, e non si vede alcun motivo perché debba mutare in futuro.