2.

 

L’ispettore capo Moresby si alzò per ricevere, non senza arrossire, la sua dose di applausi; a quel punto, l’assemblea lo invitò a sedersi, e lui tornò a rifugiarsi volentieri sulla sedia. Dopo aver consultato un blocco di appunti, cominciò a istruire il suo attentissimo pubblico sulle circostanze della prematura morte della signora Bendix. Senza riportare il suo discorso parola per parola, e le numerose domande che lo interruppero, ecco il succo di quanto raccontò:

Il 15 novembre, un venerdì mattina, Graham Bendix entrò tranquillamente nel suo club, il Rainbow, a Piccadilly, verso le 10,30, e chiese se ci fosse posta per lui. Il portiere gli porse una lettera e un paio di circolari e Bendix si avvicinò al caminetto della sala per leggerle.

In quel mentre arrivò un altro membro del club. Era Sir Eustace Pennefather, un baronetto di mezza età, che abitava proprio dietro l’angolo, a Berkeley Street, ma passava la maggior parte del suo tempo al Rainbow. Il portiere alzò gli occhi verso l’orologio a pendola, come faceva ogni mattina all’arrivo di Sir Eustace, e vide che, come al solito, erano le 10,30 in punto. In tal modo fu assolutamente certo dell’ora.

Per Sir Eustace c’erano tre lettere e un pacchetto, e anche lui si avvicinò al caminetto per aprirle, salutando Bendix con un cenno del capo. I due si conoscevano a malapena, e avevano scambiato sì e no una mezza dozzina di parole in tutto. In quel momento, nella sala non c’era nessun altro.

Dopo aver scorso velocemente le lettere, Sir Eustace aprì il pacchetto e sbuffò con disgusto. Bendix lo guardò incuriosito, e Sir Eustace, grugnendo, gli allungò la lettera acclusa al pacchetto, borbottando qualcosa di poco lusinghiero sui moderni metodi di vendita. Trattenendo il sorriso (poiché le abitudini e le opinioni di Sir Eustace erano ritenute assai ridicole dagli altri membri del club), Bendix lesse la lettera. Veniva dalla Mason & Sons, un’importante ditta produttrice di dolciumi, e riguardava il recente lancio di un nuovo tipo di cioccolatini al liquore, creati apposta per stuzzicare il palato raffinato degli “Uomini di Gusto”.

Poiché, presumibilmente, Sir Eustace era un “Uomo di Gusto“, accettando quella scatola da mezzo chilo avrebbe onorato la ditta Mason, e ogni sua critica o apprezzamento sarebbero stati accolti come un grande favore.

«Mi hanno scambiato per una stupida ballerinetta di fila…», sbottò Sir Eustace collerico come al solito, «

disposta a tessere le lodi dei loro stupidi cioccolatini?

Maledizione! Farò le mie rimostranze al loro stupido comitato.

Qui non possiamo assolutamente accettare queste maledettissime stupidaggini».

Il Rainbow, come tutti sanno, è infatti un club raffinato ed esclusivo che discende direttamente dalla Rainbow CoffeeHouse, fondata nel 1734- Di questi tempi, nemmeno la famiglia di un figlio illegittimo del re gode dello stesso prestigio di un club sorto da un antico caffè.

«Be’, non tutto il male vien per nuocere», tentò di calmarlo Bendix. «Mi ha ricordato che mi serviva giusto una scatola di cioccolatini per ripagare un debito d’onore. Ieri sera mia moglie e io eravamo al teatro Imperial, e ho scommesso una scatola di cioccolatini contro cento sigarette che non avrebbe indovinato chi era il cattivo prima della fine del secondo atto. Ha vinto lei. Devo ricordarmi di comperarli. Non male, quella commedia; s’intitola Il teschio scricchiolante. L’ha vista?».

«No, maledizione!», rispose l’altro che non si era per nulla calmato. «Ho di meglio da fare che starmene seduto a guardare degli imbecilli che pasticciano con la vernice fosforescente e si sparano l’un l’altro con dei maledettissimi fucili a salve. Ha detto che le servono dei cioccolatini?

Be’, si prenda questa dannata scatola».

Bendix non aveva certo bisogno di risparmiare su una scatola di cioccolatini: era un uomo molto ricco, e probabilmente aveva in tasca abbastanza soldi da poter comperare un centinaio di scatole come quella. Ma vale sempre la pena di risparmiarsi un fastidio. «E’ proprio sicuro che non li vuole?», insistette educatamente.

Nella risposta di Sir Eustace, Bendix riconobbe chiaramente una sola parola, per di più ripetuta più volte. Ma il significato era chiaro, lo ringraziò e, sfortunatamente per lui, accettò il dono.

Per un caso straordinariamente fortunato, la carta che avvolgeva la scatola non venne gettata nel fuoco, né dall’indignato Sir Eustace, né da Bendix stesso quando la scatola, insieme alla lettera d’accompagnamento, alla confezione e al nastro, gli fu sbattuta in mano dal furente baronetto. Fu una vera fortuna visto che entrambi, poco prima, avevano gettato tra le fiamme le buste delle loro lettere.

Bendix andò al banco del portiere e lasciò tutto lì, raccomandandogli di tenere da parte la scatola. Il portiere la mise via e buttò la carta nel cestino. Poi raccolse la lettera, che era caduta inavvertitamente mentre Bendix si avvicinava, e gettò anch’essa nel cestino, dove fu ritrovata in seguito, insieme alla carta, dalla polizia.

Questi due oggetti, occorre dirlo subito, rappresentano due dei tre soli indizi tangibili del delitto. Il terzo, naturalmente, sono gli stessi cioccolatini.

Dei tre ignari protagonisti dell’imminente tragedia, il più bizzarro era senz’altro Sir Eustace. Appena sotto la cinquantina, tarchiato e di carnagione rossiccia, aveva l’aspetto del tipico gentiluomo di campagna, a cui si accordavano anche il suo linguaggio e il suo modo di fare, oltre ad altre caratteristiche puramente superficiali. Per esempio, quando raggiungono la mezza età, i gentiluomini di campagna cominciano ad avere la voce rauca, ma non a causa del whisky; accade perché vanno a caccia con grande avidità, come faceva lo stesso Sir Eustace. Ma mentre i gentiluomini di campagna si limitano a cacciare le volpi, Sir Eustace aveva gusti predatori decisamente più eclettici. In poche parole, era senza dubbio un cattivo ragazzo. Però tutti i suoi vizi erano così tipici che, come spesso succede, gli altri uomini, buoni o cattivi, avevano di lui un’opinione abbastanza buona (tranne forse qualche marito e un paio di padri), e le donne pendevano letteralmente dalle sue labbra.

In confronto, Bendix era un uomo piuttosto comune: un giovane di ventotto anni alto e bruno, per niente brutto; era tranquillo e riservato, ma godeva di una discreta popolarità, sebbene la sua fosse una cordialità in un certo senso seriosa, mai fuori dalle righe.

Cinque anni prima aveva ereditato un grosso patrimonio da suo padre, morto dopo aver accumulato una fortuna acquistando terreni in zone sottosviluppate e rivendendoli in seguito a dieci volte il prezzo che aveva pagato, grazie alle case e alle fabbriche che gli altri ci avevano costruito con i propri soldi. Il suo motto era: “Stattene tranquillo e lascia che siano gli altri a farti ricco“. E aveva funzionato.

Il figlio avrebbe potuto tranquillamente vivere di rendita, ma evidentemente aveva ereditato l’istinto del padre, perché aveva messo mano a una discreta quantità di affari vantaggiosi per il solo gusto di far soldi, uno sport – come diceva spesso quasi per scusarsi – che era senza dubbio il più eccitante al mondo.

I soldi attirano i soldi. Graham Bendix li aveva ereditati, li aveva fatti e, inevitabilmente, li aveva anche sposati.

Sua moglie, orfana di un armatore di Liverpool, gli aveva portato in dote quasi mezzo milione di sterline, sebbene lui non ne avesse affatto bisogno. Ma il denaro non era stato determinante, perché Bendix voleva lei, non la sua fortuna, e l’avrebbe sposata (così dicevano i suoi amici) anche se non avesse avuto un centesimo.

Era proprio il suo tipo. Una ragazza alta, piuttosto seria e di cultura elevata, abbastanza matura da avere una personalità ben definita (quando Bendix l’aveva sposata, tre anni prima, lei aveva venticinque anni), la moglie ideale per lui. Un po’ troppo puritana, forse, ma Bendix era disposto a diventare egli stesso un puritano, per la sua Joan Cullompton.

Perché, nonostante la serietà che aveva maturato negli anni, in gioventù Bendix aveva corso la cavallina. I

camerini delle ballerine, per dirla tutta, non gli erano certo sconosciuti. Il suo nome era stato associato a diverse di quelle snelle signorine agghindate di piume. Insomma, si era dato parecchio da fare per divertirsi, discretamente ma non certo di nascosto, com’è tipico dei giovani con troppi soldi e poca esperienza. Ma tutto questo, come di solito accade, aveva avuto fine col matrimonio.

Bendix non nascondeva certo la sua devozione nei confronti della moglie, e anche lei, seppur meno apertamente, sembrava molto innamorata. Insomma, i Bendix sembravano aver trovato l’ottava meraviglia del mondo moderno: un matrimonio felice.

E proprio nel bel mezzo dell’idillio, come un rombo di tuono, era piombata quella scatola di cioccolatini.

«Dopo aver lasciato la scatola di cioccolatini al portiere», continuò Moresby scartabellando tra i fogli per trovare quello giusto, «il signor Bendix seguì Sir Eustace nel salone, dove quest’ultimo si era immerso nella lettura del Morning Post».

Roger fece un cenno di approvazione. Sir Eustace non poteva leggere nessun altro giornale, se non il Morning Post.

Bendix si mise a leggere il Daily Telegraph. Non aveva impegni di lavoro, quella mattina. Non c’erano riunioni, né affari che lo costringessero a uscire sotto la pioggia di quella tipica giornata novembrina. Passò il resto della mattina senza fare nulla di speciale, leggendo i quotidiani, dando un’occhiata ai settimanali e giocando a biliardo con un altro membro del club altrettanto privo d’impegni.

Verso mezzogiorno e mezzo rientrò a casa per il pranzo portando con sé i cioccolatini.

La signora Bendix aveva dato disposizioni di non aspettarla per pranzo, ma il suo appuntamento era stato annullato, perciò si trovava in casa. Dopo che ebbero finito di mangiare, mentre prendevano il caffè in salotto, Bendix le diede i cioccolatini, spiegandole come ne era entrato in possesso. La signora Bendix lo rimproverò scherzosamente per non aver fatto lo sforzo di comperarli, ma gradì il suo premio e si dimostrò interessata a provare quella nuova varietà di gusto. Joan Bendix era una donna seria, ma non tanto da non avere una predilezione tutta femminile per i buoni cioccolatini.

Tuttavia, il loro aspetto non sembrò entusiasmarla più di tanto. «Kummel, kirch, maraschino», disse frugando con le dita tra i cioccolatini avvolti nella carta argentata, ciascuno dei quali portava il nome del ripieno scritto in blu a chiare lettere. «Tutto qui, a quanto pare. Non mi sembra una gran novità, Graham. Hanno solo scelto questi tre tra i soliti gusti dei cioccolatini al liquore».

«Ah sì?», fece Bendix, che non sembrava particolarmente interessato. «Be’, non che faccia molta differenza, i cioccolatini al liquore hanno tutti lo stesso gusto».

«Infatti. E anche la confezione è la solita», si lamentò sua moglie esaminando il coperchio.

«È solo un campione omaggio», le fece notare lui. «

Forse le scatole nuove non sono ancora pronte».

«Mi pare che non ci sia proprio nulla di nuovo», concluse la signora Bendix scartando un cioccolatino al kummel. «Ne vuoi uno?».

Lui scosse la testa. «No, grazie cara. Lo sai che non li mangio mai».

«Devi prenderne uno, così impari a non comperarmi una vera scatola. Al volo!». Gliene lanciò uno, e quando lui lo prese fece una smorfia. «Oh! Ho parlato troppo presto. Questi sono almeno venti volte più forti».

«Be’, è già qualcosa». Bendix sorrise, pensando alle solite praline dolciastre e delicate spacciate per cioccolatini al liquore. Si mise in bocca il cioccolatino e lo addentò; aveva un sapore bruciante, non intollerabile ma decisamente troppo forte per essere considerato piacevole. «

Accidenti!», esclamò, «sono davvero forti. Sembrano quasi ripieni di alcol puro».

«Non credo», disse la moglie scartandone un altro. «Ma sono davvero forti, dev’essere il nuovo gusto. Sul serio, quasi bruciano. Non sono sicura che mi piacciano. E poi quello al kirch sapeva davvero troppo di mandorle. Forse questo è migliore. Provane anche tu uno al maraschino».

Per farle piacere, Bendix ne ingoiò un altro, che gli piacque ancor meno. «Che strano», notò toccandosi il palato con la punta della lingua, «mi sento la lingua intorpidita».

«All’inizio è successo anche a me», confermò lei. «Adesso direi che mi pizzica. Però non sento differenza tra quelli al kirch e quelli al maraschino. E come bruciano! Non riesco proprio a capire se mi piacciono o no».

«A me no», affermò Bendix con decisione. «Dev’esserci qualcosa che non va. Se fossi in te non ne mangerei altri».

«Be’, sono solo un esperimento, immagino», ribattè lei.

Qualche minuto dopo, Bendix uscì per andare a un appuntamento nella City. Quando la lasciò, sua moglie stava ancora cercando di capire se quei cioccolatini le piacessero o meno, continuando a mangiarne per prendere una decisione. Le ultime parole che gli rivolse furono per dirgli che la bocca le bruciava così tanto da non essere sicura di riuscire a mangiarne altri.

«Il signor Bendix ricorda quella conversazione molto chiaramente», puntualizzò Moresby guardando le facce concentrate tutt’intorno, «perché quella fu l’ultima volta che vide sua moglie viva».

La conversazione in salotto si era svolta più o meno tra le 14,15 e le 14,30. Bendix arrivò al suo appuntamento alle 15,00, si fermò mezz’ora e tornò al club con un taxi per l’ora del té.

Durante l’appuntamento si era sentito piuttosto male, e sul taxi era quasi svenuto tanto che il tassista aveva dovuto chiedere l’aiuto del portiere per sollevarlo e trasportarlo nel club. Secondo la loro deposizione, Bendix era pallido come un fantasma, con gli occhi sbarrati e le labbra livide, fradicio di sudore. Nonostante tutto, però, sembrava lucido, e una volta in cima alle scale riuscì a camminare fino al salone appoggiandosi al braccio del portiere.

Costui, preoccupato, voleva chiamare subito un dottore, ma Bendix, che non amava creare problemi, glielo impedì fermamente, dicendo che si trattava di una brutta indigestione e che presto si sarebbe sentito meglio; doveva aver mangiato qualcosa che gli aveva fatto male. Il portiere, ancora dubbioso, lo lasciò.

Dopo qualche minuto, Bendix ripetè la sua diagnosi a Sir Eustace, che non aveva mai lasciato il club e si trovava in quel momento nel salone. Ma questa volta aggiunse: «E

ripensandoci meglio credo proprio siano stati quegli infernali cioccolatini che mi ha dato. Mi sembrava che avessero uno strano sapore. Sarà meglio che telefoni a mia moglie per sentire se anche lei si è sentita male».

Sir Eustace, che era un uomo di buon cuore ed era rimasto impressionato dall’aspetto di Bendix almeno quanto il portiere, si spaventò all’idea di essere stato la causa di quel malessere e si offrì di chiamare lui stesso la signora Bendix, perché suo marito non era in grado di muoversi. Bendix stava per replicare, quando gli accadde qualcosa di strano.

Il suo corpo, abbandonato sulla poltrona, all’improvviso si sollevò irrigidendosi; le mascelle gli si serrarono, le labbra si torsero in un’orribile smorfia, e le mani afferrarono saldamente i braccioli. In quel momento, Sir Eustace avvertì distintamente un fortissimo odore di mandorle amare.

Ormai terrorizzato, poiché era convinto che Bendix stesse per morire sotto i suoi occhi, gridò di cercare il portiere e un dottore. All’altro lato del salone (dove probabilmente non si era mai sentito un urlo nell’intero corso della sua storia) c’erano altri due o tre uomini, che accorsero immediatamente. Sir Eustace ne spedì uno dal portiere perché facesse chiamare immediatamente un dottore e reclutò gli altri per cercare di sistemare il povero Bendix in preda alle convulsioni. Era evidente che doveva aver ingerito del veleno. Continuarono a parlargli, chiedendogli come potevano aiutarlo, ma lui non rispondeva, o non era in grado di rispondere. In effetti, era completamente privo di conoscenza.

Prima ancora che arrivasse il dottore, arrivò una telefonata da parte di un agitatissimo maggiordomo che chiedeva se il signor Bendix fosse al club, e se, in caso affermativo, poteva tornare a casa immediatamente perché la signora Bendix si era sentita molto male.

A casa, in Eaton Square, alla signora Bendix era successa più o meno la stessa cosa di suo marito, solo un po’ più rapidamente. Dopo che lui se n’era andato, era rimasta in salotto per un’altra mezz’ora durante la quale doveva aver mangiato almeno altri tre cioccolatini. Poi era salita in camera e aveva suonato per chiamare la cameriera, le aveva detto che si sentiva molto male e che aveva bisogno di riposare un po’. Proprio come il marito, aveva attribuito il suo malessere a una brutta indigestione.

La cameriera le aveva preparato una dose di digestivo in polvere, che consisteva principalmente di bicarbonato e bismuto, e le aveva portato una bottiglia d’acqua calda, lasciandola poi distesa sul letto. La descrizione che diede delle condizioni della sua padrona corrispondevano esattamente a quella di Bendix data dal portiere e dal tassista, ma, a differenza di questi due, lei non sembrava essersi allarmata più di tanto. Più tardi ammise di aver pensato che la signora Bendix, sebbene fosse tutt’altro che ingorda, doveva aver mangiato troppo a pranzo.

Alle tre e un quarto il campanello della camera della signora Bendix aveva squillato violentemente.

La ragazza aveva salito le scale di corsa e aveva trovato la sua padrona in uno stato di apparente catalessi, rigida e priva di conoscenza. Spaventatissima, aveva perso diversi minuti tentando inutilmente di farla rinvenire, poi si era precipitata giù per telefonare al dottore. Il medico di famiglia non era in casa, e altro tempo era trascorso prima che il maggiordomo, trovando la ragazza al telefono in preda a una crisi isterica e prendendosi cura in prima persona della faccenda, riuscisse a mettersi in comunicazione con un altro dottore. Quando questi era arrivato, quasi mezz’ora dopo la scampanellata, non c’era stato più niente da fare.

La donna era ormai in coma, e nonostante tutte le cure prodigatele, si era spenta dopo dieci minuti.

Quando il maggiordomo chiamò il Rainbow Club, dunque, la signora Bendix era già morta.