15.
Roger arrivò al Circolo la sera dopo sentendosi ancora più in ansia di quanto non lo fosse di solito. Dentro di sé non poteva credere che Alicia Dammers sarebbe stata capace di distruggere la sua teoria, o semplicemente di indebolirla, ma quel che aveva da dire sarebbe stato in ogni caso molto interessante, anche senza le critiche che avrebbe mosso alla sua ipotesi. La teoria di Alicia Dammers era quella che Roger aveva atteso con maggior trepidazione.
Quella donna era davvero uno specchio dei tempi. Se fosse nata solo cinquantanni prima non avrebbe certo avuto vita facile. Non aveva nulla dello stereotipo popolare della scrittrice di quell’epoca, una strana creatura (
nell’immaginario popolare) con guanti bianchi di cotone, dai sentimenti forti e appassionati che, per via del suo aspetto poco attraente, si struggeva per un amore impossibile. Al contrario, i guanti della signorina Dammers, come i suoi abiti, erano estremamente raffinati, e se mai aveva portato indumenti di cotone, doveva aver smesso di farlo quand’era ancora una bambina; il sentimentalismo, ai suoi occhi, era una forma di cattiva educazione, e se si struggeva riusciva a nasconderlo molto bene. Evidentemente, per la signorina Dammers, la passione era qualcosa di superfluo, sebbene potesse apparire interessante nei comuni mortali.
La figura della scrittrice si era ormai da tempo emancipata dall’immagine del bruco in guanti bianchi; prima c’era stata la fase alla quale si era fermata la signora FielderFlemming, quella del bozzolo con l’aspetto di una cuoca, e infine quello della farfalla seriosa e distaccata, non di rado riflessiva e di bell’aspetto, delle cui fotografie, oggi, sono piene le riviste. Farfalle dalla fronte distesa, appena increspata dal lavorìo del pensiero. Farfalle ironiche, ciniche; farfalle-chirurghi che affollano le sale di dissezione della mente (e a volte, a essere sinceri, vi indugiano fin troppo); farfalle prive di passione, che volano con grazia da un fiore all’altro. Persino, talvolta, farfalle prive di umorismo, incredibilmente noiose, il cui miscuglio di pollini raccolti in giro assume una sorta di color fango.
A guardarla, con il suo viso ovale dai lineamenti classici e delicati, i suoi grandi occhi verdi, la sua figura slanciata e ben vestita, nessuno avrebbe definito la signorina Dammers una scrittrice. E questo, per lei, era esattamente lo scopo che un’autrice moderna doveva prefiggersi, oltre a quello di scrivere buoni libri.
Nessuno aveva mai avuto il coraggio di chiederle come riuscisse ad analizzare negli altri con tanto successo sentimenti che lei non aveva mai provato in prima persona.
Forse perché i fatti bastavano a dimostrare che poteva farlo, e lo faceva. Con enorme successo.
«Ieri», cominciò la signorina Dammers alle nove e cinque minuti di quella sera, «abbiamo ascoltato l’abilissima esposizione di una teoria molto interessante riguardante questo crimine. Il metodo del signor Sheringham, se così posso dire, è stato un esempio per noi tutti. Partendo con Il metodo deduttivo, lo ha seguito fino a scoprire il nome del criminale; poi è passato a quello induttivo, per dimostrare la sua teoria. In tal modo, ha fatto buon uso di entrambi. Purtroppo questa miscela ingegnosa è basata su un presupposto errato, e quindi per sua sfortuna, e non certo per suo errore, non poteva portarlo alla soluzione giusta».
Roger, che non riusciva a credere di non essere arrivato alla verità, sorrise dubbioso.
«L’interpretazione dei fatti fornita da Sheringham», continuò Alicia con la sua voce chiara ed equilibrata, «
deve essere parsa ad alcuni di noi particolarmente insolita. A
mio avviso, tuttavia, era più interessante che insolita, perché partiva dalle stesse premesse della teoria su cui stavo lavorando anch’io, e cioè che l’assassino non avesse mancato l’obiettivo».
Roger drizzò le orecchie.
«Come ha fatto notare il signor Chitterwick, tutta la teoria del signor Sheringham si basa sulla scommessa fra i due coniugi. Da quanto ha raccontato il marito, Sheringham trae la deduzione psicologica che quella scommessa non è mai esistita. Deduzione intelligente, ma sbagliata.
Sheringham dimostra troppa benevolenza nell’interpretazione della psicologia femminile. Anch’io sono partita dalla scommessa, ma la deduzione che ne ho tratto, conoscendo le donne forse un po’ più intimamente del nostro presidente, è stata che la Bendix non era poi così leale come si dipingeva».
«L’ho pensato anch’io, naturalmente», obiettò Roger, «ma ho scartato l’idea per motivi di logica. Niente, nella vita della signora Bendix, ci dice che non fosse una donna onesta. Al contrario. E se l’unica prova dell’esistenza della scommessa è la parola di Bendix…».
«Ma questa prova esiste», lo interruppe Alicia Dammers. «Ho passato quasi l’intera giornata per stabilirlo.
Sapevo che non avrei mai potuto contraddirla finché non avessi dimostrato che la scommessa esisteva. Non voglio farla penare oltre, signor Sheringham: a questo proposito ho delle prove inconfutabili».
«Davvero?», chiese Roger sconcertato.
«Certo. Questo fatto avrebbe dovuto verificarlo lei stesso», lo rimproverò gentilmente. «Soprattutto considerata l’importanza che aveva per il suo caso. Be’, ho due testimoni: la signora Bendix ne ha parlato con la sua cameriera quando è salita in camera per mettersi a letto, dicendo che quella brutta indigestione doveva essere la punizione per aver barato. Il secondo testimone è una mia amica che conosce i Bendix. Ha visto la signora che sedeva sola nel suo palco durante il secondo intervallo ed è andata a parlarle. Durante la conversazione, la Bendix le ha detto che lei e suo marito avevano fatto una scommessa su chi fosse il cattivo della commedia, citando il personaggio che lei aveva in mente. Ma non ha detto nulla sul fatto di aver già visto la commedia, e questo conferma le mie deduzioni».
«Oh!», disse Roger. Si sentiva ormai sconfitto.
La signorina Dammers cercò di essere il più tenera possibile. «Da quella scommessa era possibile trarre soltanto due deduzioni, e per sua sfortuna, signor Sheringham, lei ha scelto quella sbagliata».
«Ma come sapeva», domandò Roger tentando di rimanere a galla, «che la signora Bendix aveva già visto la commedia? Io l’ho scoperto solo un paio di giorni fa, e per puro caso».
«Lo sapevo fin dall’inizio», rispose l’altra con la massima tranquillità. «Immagino che gliel’abbia detto la signora Verreker-le-Mesurer, vero? Non la conosco personalmente, ma abbiamo degli amici comuni. Ieri sera non l’ho interrotta mentre parlava del caso straordinario grazie al quale le era giunta questa informazione. Se l’avessi fatto, avrei dovuto aggiungere che venire a sapere qualcosa da quella signora non è un caso, ma piuttosto una certezza».
«Capisco», disse Roger, e affondò di nuovo, per la terza e ultima volta. Allo stesso tempo, però, gli venne in mente che su una cosa la signora Verreker-le-Mesurer era riuscita, non del tutto ma quasi, a mantenere il segreto; cogliendo lo sguardo allusivo del signor Bradley, si accorse che anche lui stava pensando la stessa cosa. A quanto pareva, nemmeno la signorina Dammers era infallibile nelle sue intuizioni psicologiche.
«Così», continuò lei in tono un po’ didattico, «il signor Bendix lascia temporaneamente il suo ruolo di cattivo e torna nella parte della seconda vittima». Si fermò un attimo.
«Ma Sir Eustace non torna a ricoprire il ruolo originale di vittima designata», intervenne Bradley.
La signorina Dammers lo ignorò. «Ora, credo che il signor Sheringham troverà la mia teoria interessante almeno quanto io ho trovato la sua, perché hanno dei punti fondamentali in comune. Fra gli altri, quello che a essere uccisa è stata proprio la vittima designata».
«Come, Alicia?», esclamò la signora Fielder-Flemming.
«Anche tu pensavi fin dall’inizio che l’obiettivo fosse la signora Bendix?».
«Non ci sono dubbi. Ma per provarlo devo distruggere un’altra conclusione a cui è arrivato il nostro presidente.
Signor Sheringham, lei afferma che Bendix è andato apposta al club alle dieci e trenta, cioè a un orario diverso dal solito. È senz’altro un fatto importante, ma ne ha interpretato male il significato. Se è arrivato a quell’ora non è stato perché aveva intenzioni colpevoli. Le è sfuggito (come, devo dire, è sfuggito anche a tutti gli altri) che se la vittima designata era la signora Bendix e Bendix non era l’assassino, la sua presenza al club a quell’ora insolita doveva essere stata causata dal vero assassino. In ogni caso, penso che il signor Sheringham avrebbe dovuto lasciare a Bendix il beneficio del dubbio, e gli avrebbe dovuto chiedere se aveva una spiegazione da offrire. Proprio come ho fatto io».
«Ha domandato al signor Bendix come mai è arrivato al club alle dieci e mezzo di quella mattina?», chiese Chitterwick stupito e ammirato. Questo sì che si chiamava indagare! Sfortunatamente, la timidezza aveva impedito al signor Chitterwick di svolgere delle vere indagini.
«Certo», assentì Alicia Dammers. «Gli ho telefonato e gliel’ho chiesto. Da quanto ho capito, nemmeno la polizia aveva pensato di farlo. E sebbene mi abbia risposto come mi aspettavo, era chiaro che lui stesso non comprendeva il significato della sua risposta. Mi ha detto di essere andato al club per ricevere una telefonata. Ma perché non l’hanno chiamato a casa, vi domanderete voi. L’ho fatto anch’io. Perché non era il genere di telefonata che si può ricevere a casa, mi ha risposto. Devo ammettere che ho insistito per conoscere lo scopo della telefonata, e non avendo idea dell’importanza della mia richiesta deve avermi considerata una persona di cattivo gusto. Ma non potevo farne a meno. Alla fine gli ho fatto ammettere che il pomeriggio precedente gli aveva telefonato in ufficio una certa Vera Delorme, che recita una particina in Heels up!
al Regency Theatre. L’aveva incontrata una volta o due, ma era disponibile a rivederla. Lei gli aveva chiesto se aveva qualcosa di importante da fare il giorno dopo, e lui aveva risposto di no. Allora gli aveva suggerito di portarla a pranzo in un posticino tranquillo, e lui ne era stato lietissimo. Ma poiché la ragazza non era ancora sicura di essere libera, gli avrebbe telefonato al Rainbow fra le dieci e mezzo e le undici».
Cinque paia d’occhi s’incrociarono per lo stupore.
«Non capisco cosa significa», azzardò infine la signora Fielder-Flemming.
«No? E se vi dicessi che la Delorme nega di aver telefonato a Bendix?».
Cinque paia d’occhi tornarono al loro posto.
«Oh!», commentò la signora Fielder-Flemming.
«Naturalmente è stata la prima cosa che ho verificato», disse tranquillamente la signorina Dammers.
Il signor Chitterwick sospirò. Sì, indubbiamente era proprio così che si doveva indagare.
«Quindi il suo assassino ha un complice, signorina Dammers?», chiese Sir Charles.
«Ne ha due. Entrambi inconsapevoli», ribattè lei.
«Oh, certo. Sarebbero Bendix e la donna che ha telefonato, giusto?».
«Be’…», la signorina Dammers si guardò intorno col suo solito sguardo impassibile. «Mi sembra piuttosto ovvio».
Evidentemente non lo era.
«Quanto meno mi sembra ovvio il perché sia stata scelta la signorina Delorme come telefonista: Bendix la conosceva appena, perciò non avrebbe potuto riconoscere la sua voce al telefono. E la donna che ha telefonato… be’, ovviamente…». Era sbalordita da tanta ottusità.
«Era la signora Bendix!», strillò la Fielder-Flemming, che cominciava a intravedere un gustosissimo triangolo.
«Naturalmente. La signora Bendix, che qualcuno aveva messo al corrente dei piccoli misfatti del consorte».
«E quel qualcuno era l’assassino», aggiunse la signora Fielder-Flemming. «Un amico della Bendix. O almeno», si corresse ricordandosi che difficilmente i veri amici si ammazzano tra loro, «qualcuno che lei considerava tale. Dio mio, la cosa si sta facendo davvero interessante, Alicia».
La signorina Dammers fece un sorrisetto ironico. «Sì, questo delitto, in fondo, è proprio una piccola questione privata. Assolutamente chiuso, signor Bradley. Ma sto correndo troppo. Prima di costruire la mia teoria devo smontare quella del signor Sheringham».
Roger si lasciò scappare un gemito e fissò l’intonaco bianco del soffitto. Ma questo gli ricordò la signorina Dammers, e così tornò a guardare in basso.
«Davvero, signor Sheringham, la sua fede nella natura umana è troppo grande», proseguì lei senza pietà. «Crede a tutto quello che le raccontano, senza pretendere una testimonianza come conferma. Sono sicura che se qualcuno le avesse detto di aver visto lo Scià di Persia che iniettava nitrobenzolo nei cioccolatini, lei gli avrebbe creduto senza esitare».
«Sta insinuando che qualcuno mi ha mentito?», gemette il povero Roger.
«Non mi limiterò a insinuarlo, lo proverò. Quando ieri sera ci ha detto che il commesso aveva identificato Bendix come l’acquirente di una macchina da scrivere Hamilton n. 4 di seconda mano sono rimasta sbalordita. Ho preso nota dell’indirizzo del negozio e stamattina, per prima cosa, ci sono andata. Ho accusato il commesso di averle detto una bugia, e lui, ridacchiando, l’ha ammesso. Ha capito che voleva una Hamilton n. 4, e lui l’aveva. Non pensava ci fosse nulla di male nel farle credere che il suo amico l’aveva comprata da lui, perché la sua era buona come qualsiasi altra. E se il fatto di riconoscere il suo amico dalla foto la rendeva più tranquillo», aggiunse secca, «era disposto a tranquillizzarla, per quante foto avesse da mostrargli».
«Capisco», disse Roger, ripensando alle otto sterline pagate a quel gentile commesso tranquillizzatore per una Hamilton di cui non aveva alcun bisogno.
«Per quanto riguarda la commessa di Webster», continuò implacabile Alicia, «è stata pronta ad ammettere che forse si era sbagliata, riconoscendo l’amico di quel signore che era venuto ieri ad acquistare della carta da lettere. Ma il signore sembrava così ansioso che lo riconoscesse che le sarebbe sembrato una scortesia deluderlo. Se anche si era sbagliata non ci vedeva niente di male, davvero, non c’era proprio niente di male…». La sua imitazione della commessa era davvero divertente. Ma Roger non rise di cuore.
«Mi dispiace se sembra che io continui a girarci intorno, signor Sheringham…», aggiunse la signorina Dammers.
«Non importa», disse Roger.
«Ma è essenziale per provare la mia teoria».
«Sì, capisco benissimo».
«Allora, possiamo considerare accantonate queste prove? Non ne aveva altre, vero?».
«Non credo».
«Come vedete», riprese lei passando sopra il cadavere di Roger, «sto seguendo la consuetudine di non svelare il nome del colpevole fino alla fine. Adesso che è arrivato il mio turno ne comprendo il vantaggio; ma temo che capirete tutti di chi si tratta prima ancora che ci arrivi. Trovo l’identità dell’assassino assurdamente ovvia. Prima di svelarla, però, vorrei confutare le altre argomentazioni di Sheringham, anche se non sono delle prove. La sua teoria è molto ingegnosa. Talmente ingegnosa che ha dovuto insistere a lungo sulla perfetta organizzazione del piano e sulla grande mente criminale che l’ha ideato, io non sono d’accordo», aggiunse con convinzione. «La mia idea è che sia molto più semplice. È stato architettato con astuzia, ma non alla perfezione. Era basato principalmente sulla fortuna, cioè sul fatto che una prova basilare restasse sconosciuta. La mente che l’ha ideato non è affatto grande, è piuttosto una mente che, dovendo trattare questioni fuori della sua orbita normale, possiede una grande capacità imitativa.
E qui arrivo a un punto che ha fatto notare il signor Bradley. Sono d’accordo con lui sul fatto che sia necessaria una certa conoscenza della storia della criminologia, ma non accetto la sua affermazione che si tratta dell’opera di una mente creativa. La caratteristica principale di questo delitto, a mio avviso, è la servile imitazione di altri casi simili. Ne deduco che la mente da cui scaturisce non possiede una sua originalità; è assolutamente conservatrice, perché non ha l’intelligenza necessaria a riconoscere i cambiamenti, e inoltre è ostinata, dogmatica e concreta, totalmente priva di valori spirituali. Essendo io una persona che prova avversione per la materialità, ho trovato nell’atmosfera di questo caso la mia perfetta antitesi».
Sembravano tutti piuttosto impressionati. Quanto al signor Chitterwick, di fronte a tante sottili deduzioni nate dalla semplice constatazione di un’atmosfera, era a dir poco strabiliato.
«Sono d’accordo con Sheringham anche sul fatto che i cioccolatini sono stati usati perché erano destinati a una donna. E su questo punto aggiungo che certamente non si voleva colpire il signor Bendix. Sappiamo che non gli piacciono, e possiamo ragionevolmente pensare che lo sapesse anche l’assassino; non era previsto che Bendix li mangiasse. E’ davvero strano come Sheringham abbia continuato a colpire il bersaglio di traverso, senza mai centrarlo. Aveva ragione dicendo che la carta da lettere era stata sottratta da un campionario di Webster. Devo ammettere che il possesso di quel foglio mi aveva dato molto da pensare, e non riuscivo a capire. Poi Sheringham ci ha gentilmente offerto la sua spiegazione, e ora posso distruggere la sua deduzione e inserirla nella mia. La commessa che per gentilezza ha finto di riconoscere la fotografia che Sheringham le ha mostrato ha invece riconosciuto senza esitazione quella che le ho mostrato io. Non solo, ma le ha anche dato un nome». E qui Alicia Dammers cominciò a mostrare i primi segni di compiacimento.
«Ah!», annuì eccitatissima la signora Fielder-Flemming.
«Il signor Sheringham ha citato una serie di altri punti che oggi credo di poter smentire», continuò la Dammers, tornando al suo tono impersonale. «Poiché molte delle piccole aziende nel cui consiglio di amministrazione figura il nome del signor Bendix non sono in buone condizioni, Sheringham ha dedotto che è un pessimo uomo d’affari, cosa che sono incline a condividere, e che ha un disperato bisogno di denaro. Ancora una volta, il signor Sheringham ha omesso di verificare la sua deduzione, e deve pagarne lo scotto. Sarebbero bastate poche indagini per scoprire che solo una piccolissima parte del denaro di Bendix è investito in queste aziende, che sono in realtà passatempi da ricco. La maggior parte è ancora dove l’ha lasciata suo padre quando morì, cioè in titoli di stato e ditte solide così importanti che neppure Bendix può entrare a far parte del consiglio. Per quanto ne so, Bendix è abbastanza in gamba da capire di non essere un genio degli affari come suo padre, e non ha intenzione di spendere per i suoi giocattoli più di quanto possa permettersi.
Il movente fornitoci da Sheringham, quindi, non sussiste».
Roger abbassò la testa. Già immaginava come lo avrebbero definito i veri criminologi da quel momento in poi:
l’uomo che non verificava le proprie deduzioni. Un futuro pieno di vergogna!
«Quanto al movente secondario, invece, non gli darei troppa importanza, ma nel complesso sono d’accordo con Sheringham. Credo che la Bendix avesse davvero annoiato suo marito, un uomo dopotutto normale, con normali reazioni e valori. Pur senza volerlo, l’ha spinto tra le braccia delle sue attricette, in cerca di compagnia più frivola.
Non sto dicendo che lui non l’amasse, quando la sposò; doveva averne anzi un profondo rispetto. Ma era un matrimonio sfortunato», aggiunse cinica, «dove il rispetto superava la sua stessa utilità. Un uomo, nel suo letto nuziale, vuole una persona in carne e ossa, non un oggetto di devozione. Devo dire però che, se sua moglie l’annoiava, il signor Bendix lo nascondeva bene, da vero gentiluomo. Il loro era considerato un matrimonio ideale».
Si fermò un attimo per bere un sorso d’acqua.
«Sheringham ha detto anche che la lettera e la carta da pacco non sono state distrutte perché l’assassino pensava che potessero essergli d’aiuto. Sono d’accordo, ma la mia deduzione è diversa. Per me si tratta di un’ulteriore conferma che l’assassinio è opera di un cervello non troppo raffinato, perché una mente di prim’ordine non avrebbe mai permesso la sussistenza di prove che avrebbero potuto essere distrutte, sapendo che spesso proprio le prove lasciate per sviare l’attenzione portano invece alla scoperta del criminale. Da questo deduco anche che la lettera e l’involucro non dovrebbero essere considerati importanti, bensì portatori di informazioni svianti. E credo di sapere di cosa si tratta. Con questo ho terminato i riferimenti che volevo fare alla teoria di Sheringham».
Roger alzò la testa, e la Dammers bevve un altro sorso d’acqua.
«A proposito del rispetto del signor Bendix per la moglie…», azzardò Chitterwick, «non le sembra che ci sia una discrepanza, signorina Dammers? All’inizio ci ha detto di aver capito dalla scommessa che la Bendix non era degna di rispetto come noi tutti pensavamo. Adesso sta negando la validità di quell’asserzione?».
«No, signor Chitterwick. E non c’è nessuna discrepanza».
«Se un uomo non sospetta, rispetta», intervenne tempestivamente la signora Fielder-Flemming, prima ancora che Alicia potesse aprire bocca.
«Oh, e cosa mi dice dell’orrendo sepolcro che si nasconde dietro la bianca facciata?», calcò Bradley, che non apprezzava particolarmente quello stile, nemmeno in una distinta drammaturga. «Ci stiamo arrivando? C’è davvero un sepolcro, signorina Dammers?».
«Sì», confermò lei senza alcuna emozione. «E adesso, come ha detto lei stesso, signor Bradley, ci stiamo arrivando».
«Oh!». Il signor Chitterwick balzò letteralmente sulla sua sedia. «Se la lettera e l’involucro avrebbero potuto essere distrutti dall’assassino… e Bendix non era l’assassino… e suppongo che non potesse certo trattarsi del portiere… Ah, ho capito!».
«Mi chiedevo quando ci sareste arrivati», commentò la signorina Dammers.