Capitolo 30

Abby

 

 

 

 

 

 

«Ora ho anche una guardia del corpo? Ti assicuro che io non canto bene come Whitney Houston». Appoggiata a una delle colonne che reggono il portico della curiosa magione nel bosco, osservo Kevan avvicinarsi a me con passo lento e misurato. Forse ha paura che cominci a dare di matto un’altra volta. La battuta stupida che ho appena fatto potrebbe essere un sintomo. «Quindi è tutto vero», continuo. «Non è uno scherzo e non sono finita in qualche serie televisiva sugli alieni. Ci siete, esistete sul serio».

Kevan annuisce. Il suo sguardo è grave mentre si appoggia al piccolo plinto in pietra a cui è attaccata la colonna. Mi osserva senza dire una parola e mi rendo conto di essere ancora impresentabile. «Non guardarmi in quel modo. Lo so che il camice non rende giustizia al minimo di raffinata eleganza che ho ereditato da mia madre. Ops… già. Non è mia madre». Ho un tono sarcastico, ma non è giusto che mi sfoghi su di lui. Mi pare di aver capito che fa parte della squadra dei buoni. «Dovrò fare ammenda in qualche modo», proseguo imperterrita nel mio sproloquio. «Per anni mi sono presa gioco di quei poveri imbecilli che andavano vaneggiando di alieni, di esseri provenienti da altri pianeti… e invece, guardami, sto parlando a uno di loro. No, peggio, sono una di loro… o una via di mezzo. Non mi è ancora molto chiara la faccenda. Cosa sono esattamente? Perché improvvisamente non ho bene idea di cosa sia stata la mia vita fino a ora. Una messinscena? Una bugia? Cosa? Chi diavolo sono? Cosa sono di preciso? Se ho capito bene, ogni tanto mi capiterà di avere delle visioni… o roba del genere? Be’, a quanto pare ne ho già avute un paio che si sono avverate nel giro di pochissimo tempo. Quindi… cosa sono? La mia attitudine latente qual è? La follia?»

«Sei sempre Abby», dichiara finalmente Kevan, quando gli lascio il tempo di parlare. «Ascolta, è la tua storia a definire ciò che sei, non le tue origini». Con una piccola spinta si allontana dal plinto e si mette dritto davanti a me. Istintivamente mi passo una mano fra i capelli unti, cercando di sistemarli meglio che posso.

«E la tua storia qual è, Kevan? Perché io sapevo solo che sei un ragazzo venuto dall’Ohio… ma, be’, le cose sono un tantino cambiate». Stringo le braccia sul petto, il camice mi si appiccica addosso. Ho un assoluto bisogno di una doccia.

«Sono cresciuto qui».

«Qui, Colorado?»

«Qui, sulla Terra».

«Mi sembra ancora incredibile ascoltare simili assurdità».

«È la verità».

«Lo so. Ma ho bisogno di tempo per convincermene». Il silenzio cala tra noi, rotto soltanto dal sottofondo delle voci provenienti dall’interno della casa e dai suoni del bosco.

«Sono un soldato. Come Dakota. Siamo giunti su questo pianeta praticamente da neonati. Siamo cresciuti nelle basi aliene situate sulla Terra, in posti nascosti. Siamo stati trasferiti di Stato in Stato mentre ci addestravano. Fino a che non siamo arrivati in Kansas. Il mio compito era scovare ibridi nella tua scuola. Eri un’indiziata. Dopodiché, avrei dovuto ucciderti. Ma non ho potuto. Credo fosse una prova. Lexion mi aveva dato l’ordine di farti fuori perché sapeva che non lo avrei fatto. Probabilmente era l’unico modo per proteggerti senza rivelarmi il suo piano originale. Ora sono certo che lui abbia sempre saputo chi sei…».

«È così infatti». Lexion ci raggiunge sul portico. «Kevan era abbastanza coraggioso da sfidare le mie regole e abbastanza idealista da non portare a termine la missione. La tua precedente guardia del corpo si è dimostrata affidabile, ma era un ibrido ed è stata catturata. Serviva qualcuno che ti proteggesse da vicino. Non c’era un reale pericolo, almeno finché nessuno conosceva la tua vera identità. Questo, però, non impediva a… qualcuno di essere in pena per te, e non potendo permettersi di starti accanto per proteggerti, ha incaricato un suo uomo di fiducia, ovvero me, perché lo facesse. Ed è stato allora che ho fatto in modo di essere trasferito in Kansas. Ho portato con me Kevan e Dakota per diversi motivi. Kevan era un ribelle, aveva rischiato la vita rifiutandosi di uccidere un ibrido e ho capito che era la persona giusta su cui fare affidamento per la tua protezione. Dakota… be’, ho promesso a suo fratello di prendermi cura di lei. Quando Dakota ha cominciato ad avere dei sospetti su di te, ho capito che era il momento di intervenire, così ho fatto in modo che Kevan ti stesse il più vicino possibile, senza sospettarne il vero motivo. Sapevo… ero sicuro che lui non ti avrebbe toccata».

«E se invece lo avessi fatto?». Kevan stringe la mascella e i pugni.

«Non lo avresti fatto. Contavo molto sui tuoi ideali e la tua avversione per la guerra contro gli ibridi è sempre stata nota».

«Hai rischiato grosso, Lexion».

«Forse. Ma non potevo essere io a starle addosso. Sarebbe stato quantomeno sospetto e inappropriato che un uomo della mia età stesse appiccicato a una ragazzina di diciotto anni. Mentre fra voi ragazzi è assolutamente normale. Inoltre, la mia scelta è stata approvata da chi mi aveva ordinato di vegliare su Abby. Mi sono addossato dei grossi rischi, lo so, ma come vedi, non ho sbagliato. Abby è sana e salva».

«Chi ha ordinato di vegliarmi? Di chi parli? E perché diavolo tutto questo affanno nel volermi proteggere?».

Lexion non risponde alla mia domanda, ma c’era da immaginarselo. «Quando ho capito che Kevan sarebbe stato adatto allo scopo, gli ho svelato parte della verità. Così mi sono assicurato un alleato all’interno della Confederazione e un valido sostituto come guardia del corpo».

«Che fine ha fatto la precedente?»

«Non lo so. È riuscito a mandarmi un messaggio poco prima che fosse catturato, ma non credo che gli sia stato fatto del male. Ha dei poteri straordinari e, come ormai sai, gli ibridi con poteri straordinari, non vengono uccisi».

«Dovrebbe essere di consolazione? Tutta questa storia non ha nessun senso. E perché non avete scelto un altro ibrido come guardia del corpo? Oppure Matt. Se non sbaglio anche lui è come voi? Non sto dicendo di non essere felice che la scelta sia caduta su Kevan, ma ha ragione lui, avrebbe potuto uccidermi se per un attimo si fosse dimenticato dei suoi ideali».

«Gli ibridi non spuntano come funghi e la maggior parte di loro è schedata. Matt svolge già l’attività di sentinella e non avrebbe potuto proteggerti come si deve».

Gli occhi verdi di Lexion mi trafiggono come lame. La mascella tirata gli conferisce uno sguardo duro, il tono della voce basso e profondo svela un carattere che non perdona, eppure non mi inquieta tanto quanto Samuel Fitzgerald. Forse perché ho visto il modo in cui guarda la moglie, i gesti delicati nel toccarla, come se fosse fatta di porcellana. Non può essere così duro come vuole farci credere.

«Kevan non ti avrebbe uccisa ed era l’unico modo per tenere Dakota lontana da te», prosegue l’uomo, «lei sì che avrebbe potuto ucciderti sul serio. E per lei era importante che Kevan portasse a termine la missione, quanto per me era importante il contrario. Non lo avrebbe scavalcato mai».

«Hai fatto male un paio di conti a quanto pare», dice Kevan.

«Già», annuisco. «Si vede che non conosci le donne. Aliene, ibride o umane». Sbuffo impaziente. «Presumo che ancora nessuno mi dirà chi sono i miei genitori», continuo ancora. Questa… questa è la cosa che mi preme sapere più di tutto il resto.

Lexion fa per aprire bocca, ma lo blocco all’istante percependo la sua indecisione nello sguardo. «Ah ah, no… va bene così. Quando sarà il momento, vero?».

Il capitano annuisce con un mezzo sorriso, poi gira sui tacchi e se ne va, lasciando me e Kevan di nuovo da soli.

Non posso evitarlo, è più forte di me: appena lo guardo, l’istinto mi afferra con una morsa allo stomaco e, la mano, dotata di vita propria, entra un’altra volta in collisione con la sua guancia.

Kevan mi guarda stralunato. È probabile che si stia chiedendo se non sono del tutto impazzita.

«Questo è perché dovevi uccidermi», gli dico accigliata, poi lo sorprendo di nuovo, stavolta forse in maniera più inaspettata della precedente, visto che ai miei schiaffi è già abituato. Con uno slancio improvviso, che stupisce anche me, copro la distanza che ci divide fino a che le mie braccia non cingono il suo collo in un abbraccio che oserei definire soffocante. «E questo è perché non lo hai fatto», gli sussurro contro la maglietta logora.

Qualche secondo dopo, mi cinge in vita e mi stringe. È così alto che deve piegarsi leggermente sulle ginocchia per potermi afferrare bene. Mi sento piccola, ma non debole. Tra le braccia forti mi dimentico di ogni cosa, persino dell’incredibile fatto che sto abbracciando un alieno. A me non lo sembra affatto, anzi lo sento così umano. La mia mente si popola all’istante di immagini di noi due insieme che si susseguono a un ritmo forsennato, ma non sto avendo delle visioni, si tratta solo della mia fantasia iperattiva. O forse solo i miei desideri. Sento il cuore fare le capriole nel petto e una voragine mi si apre al centro dello stomaco. Sorprendente! E sorprendente è anche il fatto che sento il suo cuore battere forte contro il petto.

«Sento il tuo cuore che batte», gli dico stupidamente.

«Grazie al cielo», ribatte lui suscitandomi una risatina silenziosa. Mi lascia andare qualche secondo dopo, e vorrei solo dirgli di riprendermi fra le braccia; tuttavia rimango in silenzio, ringraziando la mia buona stella per avermi dato la capacità di tacere, stavolta.

«E così tu sei… un alieno», dico per togliermi dall’imbarazzo.

Lui annuisce sospirando.

«Puoi volare?», gli chiedo, sperando che dica di sì. Sarebbe come vedere avverati tutti i miei sogni di bambina.

Kevan piega le labbra in un sorriso. «No, non posso volare».

«Ah. Spari raggi laser dagli occhi?».

Di nuovo mi fa cenno di no.

«Puoi vedere attraverso i muri? Spegnere un incendio con il fiato? Passarci attraverso? Se ti sparano, le pallottole ti rimbalzano addosso?»

«Non sono Superman, Abby». Si gratta la testa, come se si stesse scusando.

«Oh, no, va benissimo. Sarebbe stato decisamente devastante per me. Già così sono…».

«Sono?».

Giusto. Se interrompi una frase a metà, è ovvio che il tuo interlocutore si chiederà come avresti proseguito, ma non posso certo dirgli: sono completamente fuori di testa per te, perciò opto per la vile menzogna. «Sono abbastanza colpita da tutte queste novità. Sai com’è: ero una tipa anonima fino a cinque minuti fa».

«Di una cosa sono certo: non sei mai stata anonima, Abby». All’improvviso mi guarda come se mi vedesse per la prima volta. Sta flirtando con me? Naaaa

«Dovremmo farci una doccia, che ne dici?».

Kevan solleva entrambe le sopracciglia e piega le labbra in un sorriso malizioso. È ufficiale: per dei motivi a me sconosciuti, per una botta in testa probabilmente, questo ragazzo sta flirtando con me.

«Intendevo dire ognuno per conto suo». Magari potessi permettermi il contrario ma, grazie a Dio, anche stavolta lo penso soltanto.

«Ti stavo prendendo in giro. È divertente».

«Tu dici?».

Mi dirigo verso l’entrata, prima che gli proponga di mostrarmi i suoi poteri sotto la doccia. Arrossisco fino alla radice dei capelli, ma per fortuna gli rivolgo le spalle, quindi non può vedere il mio viso ustionato dall’imbarazzo. Gli faccio un breve cenno con la mano fingendo indifferenza e lo mollo lì, sul portico.

Ho già troppe cose a cui pensare, troppo da mandare giù. Le fantasie sessuali su docce e alieni non sono contemplate.