14
Certe decisioni non si potevano prendere in poco tempo, così i giorni passarono e anche i mesi. E di mesi ne passarono davvero tanti. Durante quel lungo periodo, Mimma rimase in convento e Giovanni, sempre più disperato,
si
era
ormai
quasi
rassegnato
tanto
da
chiedere
il
trasferimento a Roma. Vito Caronia, invece, era rinchiuso in galera in attesa del processo d'appello.
Qualche giorno prima, un messo del tribunale bussò alla porta del convento e consegnò nelle mani della suora guardiana l'ordine di comparizione per la signorina Domenica Lupo in quanto coinvolta nel caso Caronia sia come testimone informata dei fatti sia come vittima, seppur non querelante, del sequestro di persona. Mimma adesso era costretta a testimoniare,
il
foglio
di
comparizione
parlava
chiaro:
doveva
presentarsi, ordine del tribunale!
L'autunno era alle porte e l'aria era più fredda. Finalmente, il giorno della testimonianza era arrivato e Luisa aveva portato a Mimma dei vestiti un po' più pesanti: uno di lanina color cremisi e uno spolverino grigio scuro. La ragazza era seduta in parlatorio con la madre superiora accanto. Le due donne tacevano e se ne stavano ognuna per proprio conto: la madre superiora intenta a recitare in silenzio il rosario, Mimma nell'ansiosa attesa che venissero a prenderla per condurla in tribunale.
Il rumore di un motore d'auto che si fermava sotto le finestre del convento la fece scattare in piedi. Il motore poi tacque e qualcuno bussò alla porta. Qualche istante dopo,
la guardiana si affacciò in parlatorio e disse: "Mimma, è arrivato l'avvocato. E ora di andare!"
La madre superiora prese Mimma da parte. "Mi raccomando, pensa bene a quello che fai e a quello che dici."
Si fece il segno della croce e accompagnò la ragazza alla porta dove attendeva l'avvocato Cangialosi, con il solito abito nero. Ma ha solo quello o li ha tutti neri?, pensò Mimma. A dispetto del momento, le venne quasi da ridere.
L'avvocato la salutò con gentilezza e la fece salire sull'auto. Erano mesi che Mimma non usciva dal convento. Che bello vedere com'è fuori! Che piacere! Magari un po' amaro ma pur sempre una bella sensazione!, pensò.
Il tragitto non fu né breve né lungo, ma per Mimma fu interminabile!
Rimase per tutto il tempo muta e con lo sguardo fisso e triste. Neppure l'avvocato aveva voglia di parlare. Non avrebbe saputo cosa dire perché quello che stava accadendo era sicuramente sbagliato anche se bisognava farlo. Portare Mimma in tribunale era come metterla alla berlina, esporla al ludibrio di fannulloni e curiosi che nell'aula del tribunale di solito riempivano tutti gli spazi destinati al pubblico. Gli amici di Caronia si erano mossi bene e avevano diffuso la notizia che la fuitina tra Vito e Mimma era consensuale. Tutte le malelingue della città sarebbero venute a godersi lo spettacolo della ragazza impura, la ragazza che si era macchiata della grave colpa di essere stata rapita da Vito Caronia e di non aver testimoniato a favore del suo uomo per non farlo condannare.
Davanti al Palazzo di Giustizia, l'avvocato le aprì lo sportello per farla scendere e la scortò dentro. Le facce che la guardarono lungo i corridoi verso l'aula dicevano tutto. Maledetti curiosi... carogne! Tutti in attesa di divorarmi!, pensò. Sulla porta dell'aula, l'avvocato si fermò, chiamò un usciere e gli bisbigliò qualcosa all'orecchio.
"Fate quello che il cuore vi dice!" disse poi a Mimma. "Io non mi sento di dirvi niente! Non voglio che la vostra infelicità sia il mio rimorso per tutta la vita! A questo punto vi dico solo di fare come meglio credete! Adesso sedetevi qui con questo signore. Tra un po' verranno a chiamarvi e vi porteranno dentro. State tranquilla, capito?"
Mimma annuì, poi, tormentando il fazzolettino che aveva tra le mani, si sedette sulla panca, accanto al vecchio usciere.
"Voi siete testimone? Nun si scantassi! È una cosa da niente!" le disse quello in tono paterno. Mimma fece sì con la testa. "Eallura... chi scanto avi aviri?\o di testimoni sapete quanti ne ho visti passare! Vanno e vengono continuamente, prima sunnu tutti scantati e dopo vidinu ca è na fissaria!"
Ma il vecchio non sapeva cosa bolliva nel cuore e nella testa di Mimma.
Lei non era un testimone qualsiasi. Era purtroppo il testimone che avrebbe deciso, nel bene o nel male, la sorte di Caronia. Passarono alcuni lunghi minuti, poi dalla porta dell'aula si affacciò un magro e pallido usciere che con un filo di voce chiese: "La signorina Domenica Lupo siete voi?" Mimma annuì. "Prego, accomodatevi!"
Mimma si alzò e lo seguì, con le gambe che le tremavano, la salivazione a zero. Aveva una sete tremenda e soprattutto il terrore di affrontare lo sguardo di Vito Caronia. La sala era piena di gente, facce sconosciute e altre, invece, conosciutissime. La prima cosa che notò furono i due carabinieri in alta uniforme ai due lati dello scranno dei giudici. Uno di loro era il suo Giovanni, e questo le provocò un'enorme emozione e le fece battere il cuore all'impazzata. L'altro era il suo amico fidato, l'appuntato Baldini.
Tra la folla, c'erano i suoi parenti... il nonno, la nonna, Concetta con suo marito... le ragazze della bottega insieme a donna Ciccina, che si asciugava gli occhi con un fazzoletto ricamato, e anche mastro Antonio 'u canigghiaru. Ci sono proprio tutti!, pensò. Si bloccò sulla porta. Non avrebbe voluto andare avanti ma l'usciere si girò e le disse: "Prego, signorina, non abbiate paura, vi accompagno io, venite..."
Riprese
a
camminare
con
lentezza.
Avrebbe
voluto
scomparire,
sprofondare in un buco! Abbassò la testa e, seguendo i tacchi dell'usciere, proseguì verso il banco dei testimoni. Qui l'uomo aprì il cancelletto e lei salì i due gradini e si sedette. Teneva gli occhi bassi e con le mani in grembo tormentava il fazzoletto. I suoi familiari erano seduti in prima fila. Quanto agli altri, erano tutti in attesa di chissà quale verità: cosa avrebbe detto quella importantissima teste, la quale era anche la vittima del reato pur non avendo sporto alcuna denuncia? Un vero guazzabuglio. Il silenzio era disturbato soltanto da un leggero brusio. Accanto al presidente, c'erano due giudici a latere e due giudici popolari. Vito Caronia, scortato da due guardie carcerarie, stava in una gabbia posta sul lato sinistro dell'aula. Il presidente leggeva e metteva in un angolo dei fogli, altri li teneva davanti. Poi alzò gli occhi, guardò il pubblico numeroso, batté un paio di colpi con il martelletto e, finalmente, la sua voce rauca si diffuse nell'aula.
"In nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele III e del popolo italiano, è istruito il processo d'appello contro Vito Caronia. I querelanti sono: il popolo italiano e la Regia Arma dei carabinieri." Un attimo di pausa, poi il giudice guardò in basso. "Le parti sono presenti? Allora, per il Caronia mi risulta l'avvocato Cangialosi, giusto?" Cercò con lo sguardo il nominato.
L'avvocato si alzò e con deferenza disse: "Presente, vostro onore!"
"Bene", prese nota il giudice e continuò. "Per l'accusa, il pubblico ministero Lo Preti, se non sbaglio, vero?" Lo indicò con il martelletto.
Il pubblico ministero Lo Preti, seguendo l'esempio dell'avvocato Cangialosi, si alzò e dichiarò: "Vostro onore, presente sono!"
"Allora", disse il giudice, "si dia inizio al procedimento! Come da accordi tra le parti, risulta che sia stato chiesto il ricorso in appello in quanto la difesa del Caronia asserisce che il rapimento a scopo di sequestro di Domenica Lupo, avvenuto il 20 agosto nei pressi di piazza Magione, come da documenti processuali, non corrisponde al vero anche se dal rapporto dei carabinieri accorsi sul posto si evince il contrario, e cioè che il rapimento è stato posto in essere in modo violento e con l'inganno. Pertanto, l'accusa in prima istanza ha portato il tribunale di primo grado a condannare il Caronia a 26 anni di reclusione. È stato altresì chiesto dalla difesa l'intervento in qualità di testimone della signorina Domenica Lupo. Avvocato Cangialosi, avete qualcosa da dire prima di interrogare la teste?"
L'avvocato Cangialosi si alzò, si sistemò la toga sulle spalle, poi si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse e iniziò a parlare. "Vostro onore, la teste, la signorina Domenica Lupo, è stata da me indicata come testimone a favore del mio cliente Vito Caronia in quanto, da un colloquio confidenziale tra me e lei, mi è parso palese il fatto che il giorno in cui i carabinieri ritrovarono la... diciamo, sequestrata...
signorina Domenica Lupo, questa era in uno stato di profondo disagio e confusione sia perché non dormiva da quarantotto ore, sia perché non assumeva cibi da altrettanto tempo. Pertanto, così prostrata, la signorina Lupo, alle domande dei carabinieri per redigere il verbale, rispondeva a monosillabi o non rispondeva affatto. In quel frangente, vostro onore, i carabinieri suggerivano le risposte alle loro stesse domande e la teste assentiva quale che fosse la risposta suggerita, anche se in effetti, come dimostreremo, non corrispondeva alla verità."
Il vecchio giudice Sebastiano Titone, volpone delle aule giudiziarie, capì che qualcosa non quadrava. Vediamo un po' come va a finire questa storia, pensò. Guardò l'avvocato Cangialosi, scosse la testa, fece una lieve smorfia, poi, con calma, disse: "Vi ringrazio, avvocato, potete accomodarvi, anche se vorrei aggiungere una cosetta. Dovreste sapere che i colloqui confidenziali con i testimoni non sono proprio, come dire, consentiti, non so se mi spiego". Fece un gesto con la mano per indicare all'avvocato che poteva sedersi e Cangialosi si sedette, facendo finta di leggere delle carte. Essere rimproverato in aula giudiziaria non era un bel biglietto da visita per un avvocato difensore in istanza d'appello.
Comunque, le parole di Cangialosi avevano messo in agitazione il pubblico. "Ma che significa?" "Allora, il rapimento era combinato o no? "
erano le domande che passavano di bocca in bocca. Il brusio diventò chiacchiericcio e il giudice, senza perdere tempo, batté con il suo martelletto.
"Signori, silenzio! Alle prime intemperanze faccio sgombrare l'aula."
Tacquero tutti e il giudice proseguì: "Se le cose stanno così, sentiamo allora dalla voce della signorina Domenica Lupo, la vera vittima di tutta questa storia, come sono realmente avvenuti i fatti!"
Mimma era terrorizzata. Sentiva tutti gli occhi su di lei, un nodo le bloccava la gola, le corde vocali erano come inchiodate e cominciava a girarle la testa.
"Fate giurare la teste", ordinò il giudice.
Un messo prese la Bibbia e si avvicinò alla teste. Mimma era come paralizzata, come ipnotizzata dal movimento
delle sue mani che continuavano a tormentare il fazzoletto. Il messo le prese gentilmente la destra e l'appoggiò sul libro, poi le sollevò la sinistra.
"Signorina Lupo, non abbiate paura, non preoccupatevi", intervenne con aria paterna il giudice, accortosi di quanto Mimma fosse spaventata.
"Fate così: ripetete con calma quello che vi suggerisce il messo..."
Si! Come no?... Con calma.', pensò.
Il messo iniziò la formula: "Giuro di dire la..."
Mimma restò muta, assorta, completamente assente. Il giudice Titone ne aveva viste di cause e di testimoni, ma quella ragazza un po' lo innervosiva. Sporgendosi e passando davanti al giudice a latere, quasi le bisbigliò: "Signorina, decidetevi a ripetere il giuramento! Oppure dobbiamo fare notte qui in tribunale? Vi ripeto, state tranquilla!"
Il messo ripeté la formula: "Giuro di dire tutta la verità..." Ma di nuovo Mimma non spiaccicò parola.
L'avvocato
Cangialosi
allora
prese
l'iniziativa.
"Vostro
onore,
scusate!"
"Prego, avvocato, dite, dite pure..."
"Vostro onore, se permettete, e se il pubblico ministero non ha niente in contrario, potrei recitare io la formula del giuramento al posto della teste? Come si può ben capire, la signorina Lupo oggi non sta tanto bene ed è molto scossa..."
Il pubblico ministero, chiamato in causa, fece un gesto come per dire: se il giudice acconsente. Il giudice Titone guardò l'avvocato e disse:
"Ma, allora, Cangialosi! Oggi in quest'aula di tribunale si stanno cambiando le regole! Comunque, visto che ne ho la facoltà, vi autorizzo a leggere la formula. Ma almeno il 'lo giuro' riusciamo a strapparglielo di bocca a questa benedetta figliola?"
L'avvocato Cangialosi si avvicinò al banco dei testimoni, prese il libro dalle mani del messo e rifece la trafila. La destra di Mimma sul libro, la sinistra in alto, e le suggerì la formula del giuramento: "Signorina Lupo, giurate di dire la verità, tutta la verità e niente altro che la verità?" Mimma continuava a fissarsi il grembo e non rispondeva. L'avvocato si avvicinò ancor di più e a bassa voce disse: "Per favore, Mimma, vi prego, dite 'lo giuro'!"
Il giudice Titone non ne poteva davvero più e stava per alzarsi e chiedere l'allontanamento della teste quando in quel preciso istante Mimma esclamò con un filo di voce: "Lo giuro!"
Dalla folla si levò un brusio di sollievo. Era ora!, pensarono in tanti. Soddisfatto, l'avvocato Cangialosi tornò al suo posto e vide che don Tano era piuttosto agitato e cercava di comunicare con lui a gesti.
Si sedette e, girandosi leggermente verso di lui, alle sue spalle, gli bisbigliò: "Che succede, don Tano?"
"Se Mimma ha detto 'lo giuro', per come la conosco io, dirà la verità, la pura verità, e allora saremo punto e a capo."
L'avvocato tranquillizzò don Tano con un gesto. Era tutto sotto controllo. Il giudice batté ancora con il suo martelletto e il silenzio calò nella sala. Poi, rivolgendosi a Cangialosi: "Avvocato, la teste a discolpa è tutta vostra: interrogatela pure!"
Cangialosi si avvicinò a Mimma. "Signorina Domenica Lupo, potete raccontare al presidente come sono andati i fatti ?"
Gli occhi di tutti si fissarono su di lei. Giovanni, anche se in servizio, girò la testa per guardare la sua amata e sentirla deporre. Ma Mimma di nuovo non aprì bocca e il giudice pensò: Ci risiamo. L'avvocato incitò con la mano Mimma a farsi coraggio e la ragazza finalmente parlò.
"Quel giorno... anzi, quella sera, andai a prendere l'acqua alla fontana.
Quando arrivai, vidi Vito lì vicino..." Tacque come se stesse pensando a cosa dire.
Il giudice la scosse dal suo silenzio chiedendo: "Che stava facendo il signor Caronia vicino alla fontana?"
Mimma si girò verso di lui, poi abbassò gli occhi e rispose, intimorita: "Stava prendendo anche lui l'acqua".
Ancora una volta un brusio si levò tra la folla. Ma che dice 'sta picciotta?, pensò la gente. Ma vi immaginate un mezzo mafioso come Caronia che va a riempire le quartare d'acqua, come una casalinga qualsiasi! Ma questa ragazza vuol prendere in giro tutti!
Il giudice Titone guardò il pubblico ministero. "Mi sembrava di aver letto in un rapporto dei carabinieri che la tenuta di Caronia è piena di pozzi artesiani colmi d'acqua, o sbaglio, pubblico ministero?"
A Lo Preti, che fino a quel momento aveva fatto solo la comparsa, non sembrò vero di poter intervenire. "Vostro onore, in effetti, come si evince dal rapporto circostanziale, nella tenuta del Caronia risultano ben cinque pozzi."
L'avvocato Cangialosi, ancora in piedi vicino al banco dei testimoni, intervenne prontamente: "Vo... vostro onore, è vero che la tenuta Caronia ha in attivo ben cinque pozzi, ma l'acqua è risultata non potabile!"
Il giudice Titone fece un risolino, scosse la testa e disse: "Sarà!
Comunque proseguiamo! Sentiamo la signorina Lupo!" Fece un cenno a Mimma come per incitarla ad andare avanti.
Mimma riprese: "Quando giunsi alla fontana, Vito mi rivolse la parola.
Io l'avevo già visto quando era venuto a casa mia a cercare mio nonno. Mi chiese se mi andava di fare un giro con lui con la sua macchina nuova!"
Si bloccò, le parole faticavano a uscirle di bocca, le lacrime presero a rigarle le guance e lei se le asciugò con il fazzolettino che fino ad allora le era servito per tenere a bada il suo nervosismo.
Il giudice, che cominciava ad averne le scatole piene di quella storia e di quel processo, pensò: Ma perché questa pazza non si è presentata in prima istanza? Avremmo evitato tutto 'sto casino. La sollecitò ancora una volta: "Signorina, vi prego, qui non si finisce più. Cosa rispose al Caronia?"
Con la testa bassa, Mimma si asciugò nuovamente le lacrime. "Io...
io... risposi... sì, va bene... vengo", disse con voce tremante.
A quelle parole, il compassato Giovanni Tagliarini, brigadiere in servizio presso l'aula d'appello del tribunale di Palermo almeno per quel giorno, perse le staffe e non riuscì a stare né zitto né fermo.
"Eh, no..! Queste sono tutte..." Non potè finire la frase perché gli occhi di Mimma, arrossati e pieni di lacrime, lo stavano fissando. Lui si bloccò, tacque e riprese la sua posizione.
La gente si guardava sbalordita e commentava ad alta voce. Il giudice batté con violenza il martelletto, poi si rivolse al pubblico: "Allora, dove credete di essere, al mercato? Un po' di rispetto, silenzio, prego!"
Guardò
Giovanni.
"Stavate
dicendo,
brigadiere?"
Giovanni
si
mise
sull'attenti e il giudice: "Comodo, comodo, brigadiere. Ma continuate, che cosa volevate dire?"
Giovanni si girò verso il giudice: "Niente, vostro onore, niente...
scusate".
Il giudice guardò Mimma che stava ancora piangendo confortata dall'avvocato
Cangialosi.
"Ma,
allora,
signorina
Lupo,
voi
state
asserendo che sulla macchina del Caronia siete salita di vostra spontanea volontà! Non siete stata rapita, dico bene?"
Giovanni era fuori di sé, voleva fuggire da quel posto per non sentire le infamie che si stavano perpetrando su di lui, su Mimma e sul loro amore.
Il giudice, davanti al silenzio di Mimma, insistette: "Allora, signorina Lupo, illuminateci! Siete salita spontaneamente sulla macchina di Caronia... sì o no?"
Mimma non lo guardò, si girò verso Cangialosi e, vicina a una crisi isterica, gridò: "Sì, sì, ci sono andata di mia volontà!"
L'avvocato Cangialosi lanciò un'occhiata a Caronia, gli sorrise e annuì. Caronia, dalla sua gabbia, assisteva stupefatto a ciò che stava avvenendo e non riusciva a credere alle sue orecchie; questo voleva dire che l'accusa più grave, quella del sequestro di persona, decadeva e che forse se la sarebbe cavata con qualche anno per i reati minori!
L'avvocato Cangialosi guardava anche don Tano Lupo che allargava le braccia verso il cielo come per dire: Finalmente è tutto finito! Quella era la conferma che l'avvocato era veramente in gamba perché era riuscito a convincere Mimma. Adesso si poteva rimediare al tutto con un matrimonio riparatore e l'onore era salvo. Don Tano si girò verso i conoscenti, i quali a gesti della testa e delle mani si complimentavano con lui. Tutto era bene quello che finiva bene.
Sembrava che fosse ormai tutto chiaro, quando il giudice Titone gelò i presenti con una domanda inaspettata a Mimma: "Signorina Lupo, mi sembra tutto chiaro, ma vorrei sapere un'ultima cosa: alla fontana eravate sola?"
Mimma fu colta di sorpresa e, da brava ragazza qual era, non avvezza alle bugie, istintivamente rispose: "No, vostro onore, c'era anche mia sorella Luisa, la piccola di casa".
L'avvocato Cangialosi sbiancò e la sala ammutolì. Quella mossa del giudice non era stata prevista.
"Ah, ma allora abbiamo ancora una teste da convocare, sbaglio, avvocato Cangialosi? La sorella della signorina Lupo avrà la sua versione dei fatti da raccontarci che dovrebbe combaciare con quella della teste qui presente!"
Mimma capì che la sua ingenuità questa volta l'aveva messa in una brutta situazione e, girandosi verso il giudice, aggiunse: "Ma no, vostro onore..."
"Come sarebbe a dire no? No, cosa?" ribatté il giudice.
"Signor giudice, ricordo che mia sorella Luisa era uscita per venire alla fontana con me, ma poi a metà strada le chiesi se poteva tornare a casa a prendermi uno scialle perché... sentivo freddo!" cercò di rimediare Mimma.
Il giudice, che non aveva più voglia di discutere e di sollevare cavilli, pensò: Darò un po' di anni a quel delinquente e poi che si sposino! Di solito fanno così... Ma che vadano tutti al diavolo! Chi credono di prendere in giro, questi villani! E poi, in agosto, una ragazza di diciassette anni sente freddo! Poteva raccontarla meglio. Ma sì, chi se ne frega! Facciamoli contenti! Si alzò e disse ad alta voce:
"La corte si ritira per deliberare alla luce dei nuovi fatti emersi!"
Girò intorno alla poltrona presidenziale seguito dal suo codazzo di giudici e lasciò l'aula in un rumoroso chiacchiericcio. Il giudice Titone era un principe del foro di Palermo e non gli piaceva essere preso per i fondelli, ma qui era palese, cercavano di salvare quel mezzo bullo e di sistemare la ragazza, così tutti restavano infelici e scontenti!
Mimma prese posto accanto all'avvocato Cangialosi che, dopo essere andato a stringere le mani a Caronia, era ritornato al tavolo per complimentarsi con lei, ma riuscì solo a dire un forzato: "Siete stata brava". Sapeva di aver commesso una vigliaccata legale e di aver contribuito a creare l'infelicità di una persona.
Accanto al banco del giudice, i due carabinieri in alta uniforme erano ancora lì, fermi. Mimma teneva la testa bassa; non riusciva a guardare Giovanni perché sapeva bene che gli occhi del ragazzo erano puntati su di lei: ne sentiva gli spilli dello sguardo! Ma come poteva Giovanni capire?
Non era siciliano! Lei sapeva di amarlo più di ogni cosa al mondo, ma non era abbastanza forte per mandare tutti a quel paese e scappare con il suo amore. Poi per un attimo trovò il coraggio e la determinazione dettati dall'amore, alzò gli occhi e incrociò quelli di Giovanni. Si guardarono per pochi secondi, ma proprio in quei secondi tutto l'universo passò davanti a loro: stelle luminose e soli incandescenti, tuoni e fulmini.
Poi Giovanni abbassò le palpebre per un istante e, contemporaneamente, fece un impercettibile movimento della testa, un "sì" che solo Mimma comprese. Giovanni aveva infine capito che Mimma rimaneva per sempre la sua ragazza, anche se il destino aveva deciso così! Con quel piccolo gesto, la incoraggiava a vivere la sua vita, a non pensare più a lui, a stare tranquilla! Nessuno si era accorto che i due ragazzi si stavano dicendo addio. Apparentemente più rilassata, lei abbassò ancora una volta lo sguardo e rimase a fissare un nodo del legno della scrivania, un nodo molto strano a forma di cuore. Sorrise tra sé: Giovanni in fondo aveva capito e forse l'aveva già perdonata.
In quel momento, il giudice Titone e il suo seguito entrarono annunciati dal messo. Tutti si alzarono. I giudici presero posto e il presidente fece un cenno al messo il quale ordinò: "Seduti...!" I giudici restarono in piedi e il presidente Titone prese un foglio dalla cartella e lesse la solita formula. Si dilungò sugli articoli e sulle eccezioni, sulle attenuanti e sulle nuove testimonianze, e alla fine prosciolse Vito Caronia dall'accusa di sequestro di persona e di violenza personale, ma rimanevano i reati minori e per questi Titone fu intransigente. Caronia fu condannato a
sei anni da scontare nel carcere di Regina Coeli a Roma, lontano dalla Sicilia e dai luoghi dove si erano svolti i fatti. Poi, Titone citò una serie di note, articoli, norme di leggi... e infine concluse: "L'udienza è tolta!"
Qualcuno pensò: Era ora! mentre molti, avendo intuito come finiva la sceneggiata, erano già andati via. Mimma fu circondata dai parenti e per lei fu il momento degli abbracci, dei baci, dei complimenti e dei perdoni.
Non era ancora uscito l'ultimo giudice che Giovanni si precipitò fuori dall'aula del tribunale seguito dal fido Baldini. Non appena furono soli, prese il cappello e lo gettò violentemente a terra. Baldini lo raccolse e cercò di ripulirlo almeno in parte e di rimettere a posto il pennacchio rosso e blu.
"Brigadiere, ma che fate?" domandò. "Se ci vedono non facciamo bella figura, siamo carabinieri!"
Stizzito e adirato, Giovanni si difese: "Sì, André, sì, siamo carabinieri, ma anche uomini, perdio! Guarda, guarda cos'è successo, l'hai capito o no? L'hanno costretta a testimoniare il falso... la mia Mimma. Caro Andrea, qui, in questa storia sono io e solo io che vengo fuori con le ossa rotte! Ho fatto pure la figura del fesso davanti a tutti e in prima fila! Hai capito, Andrea, come funziona in questa...
come la definisci tu?... bella terra di Sicilia? Tutti uguali, tutti uniti, non si mordono l'uno con l'altro! Dico, sei anni gli hanno dato, sei anni! Un ladro di galline ne prenderebbe di più! Quasi gli davano pure la medaglia a quel farabutto, delinquente e mafiosetto da strapazzo!
Basta, Andrea... adesso basta con la Sicilia e con i siciliani! Io domani presento la domanda di trasferimento, telefono a mio padre e in una settimana sono a Roma... grazie a Dio!" Prese l'uscita per tornare in caserma seguito da un muto e sbalordito appuntato Baldini, il quale pensava: Porca vacca, ha tutte le ragioni per essere arrabbiato; mi sa che questa volta perdo davvero il compagno!
La mattina dopo il processo, il maresciallo Contini, come tutte le mattine, stava firmando i rapportini delle presenze quando qualcuno bussò alla porta.
"Avanti!"
Giovanni mise la testa dentro. "Posso?"
"Ah, sei tu, Giovanni...Vieni, vieni!" rispose il maresciallo e indicò la sedia, "Siedi. Cosa c'è?"
Sapeva benissimo cosa stava per accadere; gli erano già state riferite le intenzioni di Giovanni e si aspettava che da un momento all'altro il giovane
brigadiere
sarebbe
venuto
a
rapporto
per
chiedere
il
trasferimento. E, infatti, eccolo con un foglio scritto e firmato dove chiedeva di essere mandato alla caserma Garibaldi della cittadina di Nepi, vicino a Viterbo, a pochi chilometri da Roma. Chiedere il trasferimento a Roma città sarebbe stato come dichiarare a tutti che era un raccomandato super; in provincia, invece, dava meno nell'occhio. Lesse e guardò Giovanni: era molto amareggiato. Si rendeva conto che stava per perdere un uomo importante e valido per lui, per la caserma, per i colleghi, ed era consapevole del fatto che non appena la richiesta fosse pervenuta al comando centrale, il trasferimento avrebbe avuto effetto immediato. Il colonnello Tagliarini non avrebbe perso tempo perché il figlio ne aveva trascorso già fin troppo lontano dalla sua giurisdizione.
Scuotendo la testa, disse: "Non puoi capire quanto mi dispiace, ma se questa è la tua volontà, oggi stesso inoltrerò la domanda al comando di compagnia e da lì ci penseranno poi loro... sei d'accordo?"
Giovanni non rispose. Aveva il viso triste di chi stava per allontanarsi dalla propria famiglia per sempre. Serrò le labbra in un'amara smorfia, poi fece un cenno col capo lasciando intendere che era proprio quello che voleva, batté i tacchi e con un secco "Comandi!" si girò e scomparve oltre la porta.
Rimasto solo e pensieroso, Contini allontanò i fogli con stizza e si lasciò andare nella poltrona, svuotato e senza più alcuna voglia di fare.
Mimma era tornata al convento e trascorreva il tempo in compagnia delle monache e della madre superiora. Non aveva ancora capito se ciò che aveva fatto era un bene o un male. La madre superiora cercava di confortarla come poteva, ma vedeva che l'animo della ragazza era travagliato dal dubbio e dall'infelicità.
Una mattina, si affacciò alla porta della cameretta di Mimma, intenta a rifarsi il letto. La ragazza aveva indossato ancora una volta i panni delle novizie nella speranza che un giorno qualcuno venisse a tirarla fuori da lì. La madre superiora fece un colpo di tosse e Mimma si girò.
"Buongiorno, madre, sia lodato Gesù Cristo!"
La madre superiora sorrise e rispose: "Sempre sia lodato! Oggi c'è una novità, Mimma! Tra poco verrà tuo nonno a prenderti. Torni a casa, sei contenta?"
"Contenta? Vorrete dire felice, madre!" Mimma corse verso la suora e l'abbracciò. Poi uscì dalla stanza per andare ad abbracciare le altre sorelle, comprese le due novizie e la suora guardiana. Quando tornò nella sua stanza era felicissima. Sarebbe finalmente uscita da quel carcere non voluto! Prese la piccola valigia di cartone, tirò fuori il vestito e si tolse il camicione delle novizie per tornare a essere la Mimma di prima.
Sistemò nella valigia le sue poche cose, piegò il saio e lo adagiò sulla coperta, si infilò le scarpe, lasciando i sandali da suora ai piedi del letto, poi si sedette e cominciò a pettinarsi con un pettinino di corno a cui era molto affezionata perché regalo della nonna.
Passarono un paio d'ore che sembrarono un'eternità, poi finalmente la suora guardiana mise la testa dentro e disse: "Dai, Mimma, vieni!"
Lei si alzò, prese la valigia, si guardò attorno e provò quasi nostalgia nel lasciare quella stanzetta testimone delle sue lacrime e delle sue notti insonni. Uscì quasi indietreggiando, poi si girò e nel vedere tutte le suore e le novizie lungo il corridoio, in riga per salutarla, rimase a bocca aperta. Emozionata, scoppiò in lacrime. La guardiana le tolse la valigia dalle mani e la ragazza potè così correre ad abbracciare a una a una le suore. Tutte le fecero dei doni: chi un sacchetto di biscotti, chi una scatoletta di fazzolettini ricamati, chi un mazzo di fiori... Mimma piangeva. La madre superiora la prese sottobraccio.
"Vieni, ti stanno aspettando! Ricordati di venirci a trovare di tanto in tanto, d'accordo?"
Stretta al suo braccio, Mimma rispose: "Ma certo che vengo. Appena posso, scappo a trovarvi! Grazie di tutto, madre!"
Quando finalmente uscì dalla porticina laterale, il sole la colpì e le fece chiudere gli occhi. Poi lei li riaprì e vide il nonno fermo lì davanti e Luisa sul calesse con il suo cavallo preferito: era proprio un giorno felice! Quando lo abbracciò, il nonno notò che gli occhi erano sì arrossati dal pianto, ma restavano sempre gli occhi fantastici e luminosi che distinguevano la sua rara bellezza. Luisa saltò come un grillo dal calesse e venne a stringere la sorella.
Don Tano mise fine alla scena. "Dai, picciotte, si fa tardi! Su a bordo!"
Mimma si avvicinò al cavallo, gli accarezzò il poderoso muso, poi il collo caldo, muscoloso e liscio, e salì, abbracciandosi a Luisa. Mentre andavano, con don Tano alla guida, Mimma fece vedere alla sorella tutti i regali ricevuti
dalle suore e non si rese conto che la strada che stavano percorrendo non era quella che portava a casa.
Sollevò gli occhi per un attimo e chiese: "Ma, papà, dove stiamo andando?"
Don Tano non rispose e lei fece spallucce, riprendendo a parlare con Luisa. Avevano un sacco di cose da raccontarsi! Pochi minuti dopo, il calesse si fermò sul lato destro della chiesa del borgo, proprio davanti all'entrata della sagrestia e degli uffici del parroco. Don Tano saltò giù dalla carrozza, guardò Mimma... e Mimma lui: nessuno dei due aprì bocca, ma i loro occhi si erano già detti tutto!
"Luisa, aspettaci sul calesse", disse don Tano. "Torniamo subito!" Poi, a Mimma: "Dai, Mimma... scendi".
La ragazza era restia a farlo. Forse aveva intuito la situazione che l'attendeva. Alla fine si decise, scese e si avviò col nonno verso l'ufficio del parroco. La porta era sempre aperta perché il parroco sosteneva che così doveva essere la casa di Dio nel caso in cui fosse arrivata qualche pecorella smarrita. Don Tano entrò e si guardò intorno.
"Don Carmelo? C'è qualcuno?" chiese. Poi, a Mimma: "Stai qui!"
S'incamminò verso la sagrestia e da lì in chiesa. Don Carmelo era immerso nel suo breviario e stava leggendo le orazioni serali. Con un leggero colpo di tosse, don Tano richiamò la sua attenzione.
"Ah, don Tano, siete voi? Aspettatemi, sto arrivando!" disse il parroco.
Don Tano ritornò sui suoi passi verso la sagrestia e, da lì, davanti allo studio del parroco. Mimma stava guardando delle vecchie pergamene custodite nella libreria della chiesa e, non appena sentì arrivare il nonno, si girò verso di lui.
"Ma che cosa siamo venuti a fare, qui?" chiese.
"Niente di particolare! Solo a mettere qualche firma..." rispose don Tano.
"Ma che cosa devi firmare?" volle sapere Mimma.
"Io niente! Sei tu quella che deve firmare!"
Mimma cominciava a capire in quale situazione stava per finire. "Io? E
che cosa dovrei firmare?"
"Le carte del tuo matrimonio con Vito", rispose il nonno.
"Matrimonio? Ma se Vito deve farsi sei anni di carcere!" ribatté Mimma.
"Infatti, tu domani ti sposi per procura: vuol dire che tu sei qui e lui è là, però per Dio e la legge siete ufficialmente sposati, mi sono spiegato?" Con queste parole il nonno ritenne chiuso il discorso.
Mimma sorrise, ironica e amara. Tornò a guardare le vetrine con i vecchi manoscritti. "Sì, domani... E i fiori... l'abito bianco... gli invitati? Ma che matrimonio è?"
Il nonno capì che la ragazza non aveva intenzione di firmare un bel niente e ricorse a un tono più duro. "Senti, Mimma, le cose stanno così, punto e basta! O firmi queste stramaledette carte oppure ti riporto in convento e questa volta per sempre! Deciditi! Entri o no?"
Mimma era ancora restia ma gli argomenti del nonno erano minacciosi e non ammettevano replica.
La figura appesantita di don Carmelo venne avanti dalla sagrestia.
"Salve, finalmente ho il piacere di incontrare la sposa!"
Nella testa di Mimma cominciarono a girare vari pensieri: Ah, ma allora questo sa tutto! Hai capito, anche il parroco! Era tutto combinato, avrei dovuto aspettarmelo! Don Carmelo aprì la porta dell'ufficio.
"Prego, prego, accomodatevi!"
I tre entrarono. Mimma a occhi bassi. Sulla scrivania del parroco c'erano carte, libri, un crocifisso su un piedistallo, una lampada con il vetro verde e un nécessaire per scrivere. Don Carmelo vi rovistò, poi disse: "Ma dove ho
messo quel benedetto registro!" Guardò tra i libri dietro la scrivania.
"Capite, è il registro dei matrimoni su procura, non è che io l'adoperi tutti i giorni!" Tirò fuori un libro polveroso e ingiallito, con una copertina di cuoio marrone e il simbolo della croce in oro. "Ah, eccolo!
Vediamo!" Il parroco lo aprì. "Vi informo che l'ultimo matrimonio su procura risale addirittura al 1327!"
Cominciò a scrivere con molta calma i dati degli sposi, guardando da dietro le spesse lenti da miope. "Così, cara figliuola, finalmente è arrivato anche per te il momento più bello della tua vita." Mimma non rispose, mantenne la testa bassa e qualche lacrima finì sul pavimento.
"Scusa, Mimma, ma dovresti essere felice!" disse don Carmelo. "Perché invece sei così triste?"
Mimma continuò a tacere e a quel punto si intromise don Tano.
"No, don Carmelo, per essere felice... è felice! Vedete, piange di contentezza! Mia nipote è una ragazza timida e si emoziona facilmente!"
"Capisco", disse don Carmelo, spingendo il registro verso Mimma. "Ecco, guarda... devi firmare qui... sulla penultima riga."
Mimma prese la penna che il parroco le porgeva e con la mano tremula cercò di firmare.
Don Carmelo, che era al corrente di quanto era accaduto-e come poteva essere diversamente? Essendo il parroco del borgo, sapeva tutto di tutti!
-, guardò con compassione Mimma che stava per sottoscrivere la propria infelicità e cercò di confortarla. "Dai, Mimma, perché tremi... è solo una firmetta!"
Don
Tano
intervenne
nuovamente.
"Che
vi
dicevo,
padre?
È
emozionatissima! In fondo... per lei è la prima volta!"
Pur detta per stemperare una situazione bollente e alquanto delicata, la battuta era disperata quanto fuori luogo! Il parroco sorrise, guardò verso il soffitto e aprì le braccia come per dire: Ma tu guarda che cosa mi tocca sentire, in una situazione così grave! Mimma, che intanto aveva firmato, si alzò in lacrime e si mosse verso la porta senza salutare.
Il parroco porse la mano a don Tano e, scuotendo la testa, disse:
"Buona fortuna, don Tano, e vi raccomando vostra nipote, che è una brava figliuola!"
Don Tano rispose: "Lo so, don Carmelo, lo so!" e uscì dalla stanza per andare verso il calesse. Mimma vi si era già seduta con accanto Luisa che, vedendola piangere, l'abbracciò. Don Tano salì a cassetta, afferrò le redini e sferzò il cavallo che prese la via di casa.