4.
Anne sentì sbattere una finestra e corse a chiuderla. A furia di voler far prendere aria, creava correnti che sollevavano polvere in tutte le stanze. Com’era riuscita Ariane a fare a meno della donna delle pulizie e a tenere più o meno in ordine una casa di quelle dimensioni? Nonostante i reumatismi, il respiro affannato e gli acciacchi dell’età, si era spaccata la schiena finché il cuore non aveva ceduto.
Tornando a sedersi dietro la scrivania di rovere chiaro con il piano rovinato dai graffi della penna a sfera, Anne richiuse l’album di foto. Conosceva quegli scatti, sapeva dare un nome alle persone che Ariane le aveva spesso descritto come un prozio o una lontana cugina, raccontandole con entusiasmo i dettagli di quelle vite scomparse e tessendo così per Anne tutta la storia della sua famiglia.
Rimise l’album in cima alla pila e aprì un cassetto contenente delle fatture. Energia elettrica, telefono, acqua, assicurazione, tutto era stato ordinato per tipologia, con la data di pagamento e il numero dell’assegno. Nel secondo cassetto, Anne trovò dei documenti bancari e l’atto di acquisto della casa. Sulla prima pagina, che recava il nome dello studio di Pierre Laborde, Ariane aveva appuntato, con la sua bella calligrafia: «È fatta!» Sorridendo davanti a tanta perseveranza, Anne proseguì la sua ispezione e trovò una cartellina con la dicitura Tasse e un’altra per il libretto di risparmio.
Doveva portare tutto al notaio…
Il cassetto centrale conteneva plichi di lettere tenuti insieme da nastri di diversi colori, e un grosso quaderno rosso, di un tipo che non si trovava più in commercio. Anne stava per aprirlo, quando udì la voce di Léo chiamarla.
«Mamma, mamma! È arrivata Lily!»
Lily? Che ci faceva lì sua sorella, lei che si era rifiutata di mettere piede in quella casa quando Ariane era ancora viva? Si avvicinò alla finestra per dare un’occhiata. Difatti, la cabriolet di Lily era parcheggiata davanti al portico e sua sorella stava chiacchierando con Léo, che teneva Goliath per il collare. Scocciata per essere stata interrotta, Anne rimandò tutto a più tardi e scese a raggiungerli. Il tempo era magnifico, quasi una giornata estiva in anticipo, con un sole splendente che inondava la radura di una luce accecante.
«Staresti meglio in spiaggia», Lily stava dicendo al nipote.
Léo aveva scelto di trascorrere il sabato alla villa nel bosco per aiutare sua madre. In realtà, erano ore che passeggiava nei dintorni con il cane, felice di essere lì.
«L’acqua è ancora troppo fredda!» esclamò lui allegro.
Poi ripartì di corsa verso la foresta, seguito da Goliath.
«Non hai paura a lasciarlo allontanare?» domandò Lily.
«Non è più un bambino e il cane veglia su di lui.»
Lily inarcò le sopracciglia, l’espressione dubbiosa.
«Paul ha molto lavoro il sabato e rientra tardi», spiegò Anne. «Léo non aveva voglia di restare a casa da solo.»
«Fortunella! Le mie figlie non vogliono mai venire a spasso con noi nel fine settimana. O è la televisione, o sono gli amici, al limite lo shopping e poi finiamo da McDon..»
Mentre parlava, Lily osservava la casa con interesse.
«Ma che bella baracca! Voglio dire, fa un bell’effetto quando arrivi. Troverai sicuramente un pazzo che la comprerà.»
Riportò la propria attenzione sulla sorella, fissandola.
«In ogni caso, congratulazioni per l’eredità. Papà è un po’… amareggiato, ma si sforza di nasconderlo.»
«Ah sì?»
«È inutile che ne parli con lui, farà buon viso a cattivo gioco, credo solo che gli sarebbe piaciuto guadagnarci qualcosa.»
«Si è confidato con te?»
«No, sono soltanto considerazioni personali.»
Anne cercò di non sorridere. Loro padre non era un uomo meschino e di certo per nulla «amareggiato», mentre Lily, al contrario, era verde d’invidia e faceva fatica a nasconderlo.
«Mi offri qualcosa da bere nella tua dimora?» le chiese con ironia.
«Naturalmente. Ho del caffè, oppure la Coca-Cola di Léo.»
Stavano salendo i gradini del portico, quando nella radura apparve un’altra automobile.
«Aspetti qualcuno?»
«No», sospirò Anne.
Aveva appena riconosciuto la Mercedes di Hugues Cazeneuve, che non aveva più richiamato.
«Che schianto il tuo ospite», commentò Lily a bassa voce.
In jeans, blazer e camicia bianca, Hugues stringeva in mano un mazzo di rose.
«Sono felice di rivederla!» disse rivolto ad Anne. «Sono stato fortunato, perché non avevamo appuntamento. Altrimenti, avrei lasciato i fiori davanti alla porta con il mio biglietto da visita. Non l’ho più sentita, ma sono già ripassato una volta per dare un’altra occhiata, e in tutta sincerità…» Le offrì le rose prima di aggiungere, con un sorriso irresistibile: «Ho un acquirente. Molto interessato».
Anne rimase in silenzio per qualche istante, esitando a rispondere, soprattutto in presenza di Lily.
«Hugues Cazeneuve», disse infine. «E lei è mia sorella Élisabeth.»
«Molto lieto. Anne, posso scattare qualche foto? Avrei dovuto farlo in occasione della mia prima visita, ma lei sembrava molto indecisa. Ha avuto tempo di riflettere?»
«Su cosa?» domandò Lily.
Un po’ irritata perché Hugues si rivolgeva solo ad Anne, Lily si ravviò i capelli con un gesto teatrale.
«Sua sorella s’interrogava sul suo desiderio di vendere», spiegò Hugues, senza prestarle maggiore attenzione.
Lily scoppiò in una risata quasi sguaiata e squadrò la facciata.
«Questa stamberga? Bisognerebbe darle fuoco, no? Non credo che tuo marito ti permetterà di tenerla, mia cara!»
«Di che cosa t’immischi?» replicò Anne, esasperata.
Non aveva avuto spesso l’occasione di vedere Lily quando cercava di fare colpo sugli uomini. Tuttavia, in due frasi, sua sorella era riuscita a dire che Anne aveva un marito, autoritario per di più – il che era falso – e che si stava comportando in maniera puerile. Un modo per mettersi in mostra?
«Questa eredità l’ha resa molto suscettibile», proseguì Lily, rivolgendosi a Hugues. «Diceva che ha un acquirente?»
«Mi dispiace, ma per il momento non m’interessa», tagliò corto Anne.
Hugues aveva seguito lo scambio ed era stato certamente in grado di intuire la situazione perché dichiarò, in tono conciliante: «Non c’è fretta, però mi piacerebbe almeno mostrargli la proprietà in fotografia».
«Per il momento no», ripeté Anne, scandendo bene le parole.
«Le va di bere qualcosa?» propose Lily, come se fosse a casa sua.
Prendendo il mazzo di fiori dalle mani di Hugues, si diresse verso il portico. Alle sue spalle, Anne e l’agente immobiliare si scambiarono un’occhiata, poi un sorriso.
«Sua sorella è davvero incredibile», le bisbigliò lui in tono complice.
Anne sapeva che l’uomo stava cercando di guadagnarsi le sue simpatie perché aveva un acquirente per la casa e un’importante commissione in vista, tuttavia le piaceva il fatto che non volesse stare al gioco di Lily.
Si ritrovarono tutti e tre in cucina dove bevvero dei bicchieroni d’acqua nell’attesa che fosse pronto il caffè. Lily moriva dalla voglia di chiedere che prezzo il misterioso acquirente fosse disposto a offrire, ma riuscì a trattenersi perché Léo fece irruzione nella stanza, seguito da Goliath.
«È fantastico!» esclamò. «Nel bosco si sente il rumore dell’oceano, è pazzesco, vero?»
«In linea d’aria, siamo molto vicini», ricordò Hugues.
Ne approfittò per alzarsi e stringere la mano al ragazzo, spiegando che era l’agente immobiliare. Léo guardò sua madre con aria interrogativa, poi, dopo aver preso una lattina di Coca-Cola dal frigo, uscì.
«Tuo figlio ama la natura», sospirò Lily. «Hai davvero tutte le fortune…»
Anne non si diede la pena di rispondere. Aveva sperato che Léo avrebbe apprezzato quella giornata e, in apparenza, sembrava così. Conosceva già quel posto, ma quando ci era venuto con Anne per fare visita alla prozia, si era comportato da bambino educato senza correre dappertutto. Ora, era libero di fare quello che voleva, di esplorare la pineta, di ficcare il naso negli angoli della casa, di divertirsi con Goliath, lui che adorava i cani. Però, Anne non voleva dargli delle false speranze annunciando che pensava di tenere quello straordinario campo da gioco. La discussione con Paul non era finita e non avrebbe coinvolto Léo in nessun modo.
«Signor Cazeneuve…» iniziò in tono fermo.
«Mi chiami Hugues, la prego.»
«Non ho ancora deciso nulla e non mi va che mi venga messa fretta. Mi spiace che si sia disturbato per niente.»
«Non si preoccupi per questo. Finché non ha preso una decisione definitiva, l’affare rimane fattibile, giusto? Ma quando sarà sicura, non si rivolga a qualcun altro, mi conceda la priorità, è tutto quello che le chiedo.»
La scrutò con un’insistenza un po’ imbarazzante e Anne sostenne il suo sguardo finché non fu lui ad abbassare gli occhi.
«In ogni caso», riprese lei in tono più condiscendente, «prima devo occuparmi delle formalità legate alla successione, e devo anche svuotare la casa. È piena di ricordi, di oggetti personali…»
«Non devi far altro che buttare tutto in un cassonetto», suggerì Lily.
«O forse contattare dei rigattieri», prese tempo Hugues. «Conosco dei seri professionisti che non la imbroglieranno troppo. Oppure potrebbe pensare a un banditore d’asta. Se vuole, le fornirò gli indirizzi.»
L’uomo si alzò, ma Anne avrebbe scommesso che avrebbe preferito fermarsi ancora.
«Grazie per il caffè, e non esiti a chiamarmi.»
Prima di andarsene, gratificò Lily di un sorriso educato. Quest’ultima aspettava solo di sentir partire la Mercedes per mettersi a ridere.
«Ebbene, si dà parecchio da fare il signore! Non so se sia per la casa o per i tuoi occhioni, ma non te ne sbarazzerai tanto facilmente…»
«È la proprietà a interessargli, è più vendibile di quanto pensassi.»
«Allora approfittane, non fare la stupida. Hai avuto una fortuna incredibile con questa eredità, prendi il denaro invece dei problemi. Tu e Paul avete un accordo prematrimoniale?»
«Regime di separazione dei beni. L’avevamo scelta per evitare che dovessi rispondere solidalmente dei debiti qualora la clinica veterinaria di Paul non fosse decollata.»
«Adesso ti sarà utile perché sei ricca, ma fino a oggi eri in pericolo, mia cara. In caso di divorzio, non avresti un centesimo.»
«Non abbiamo mai pensato di divorziare, Lily!»
«Non puoi saperlo. Nessuno può saperlo. In una coppia, tutto può precipitare da un giorno all’altro. Basta un disaccordo, un incontro, qualsiasi cosa.»
«Va tutto bene con Éric?» si preoccupò Anne.
«Sì, sì, per il momento va tutto bene, ma insomma, c’è l’usura del tempo, il quotidiano… Ti confesso che talvolta sogno altre cose.»
«Che cosa in particolare?»
«Una bella avventura finché non sono troppo brutta né troppo vecchia. Un nuovo inizio, una seconda possibilità, qualcosa di eccitante.»
Anne fissò a lungo la sorella prima di replicare: «Io credo che ti annoi».
Non voleva interrogarla in maniera troppo brutale, ma era quasi certa che Lily cercasse una distrazione lontano da Éric, mettendo in pericolo la sua famiglia a causa della noia.
«Non fare quella faccia sconvolta, Anne. Le tentazioni esistono.»
Ora che Hugues se n’era andato e che non aveva più un pubblico per cui recitare, Lily aveva un’aria depressa. Il sole che entrava in cucina le induriva i tratti, facendola sembrare più vecchia dei suoi quarant’anni.
«Torno a casa», decise.
Anne la riaccompagnò fino alla sua coupé e l’abbracciò più affettuosamente del solito.
«Sii prudente per strada.»
«Stai tranquilla. Dai un bacio a Léo da parte mia.»
Si mise al volante, abbassò l’aletta parasole e avviò il motore.
«Anne, non starai pensando sul serio di tenere questa casa?»
«Non lo so.»
«Era la chimera di Ariane, non la tua. Sii ragionevole per una volta!»
Partì sollevando una nuvola di terra, e lasciando Anne interdetta. Ragionevole? Era da almeno dieci anni che Anne si mostrava ragionevole, assennata, razionale. La reputazione di eccentrica che le veniva attribuita era ormai finita nel dimenticatoio. Certo, era stata una ragazza esuberante, ma poi era diventata una donna posata. Le sue fantasie affascinavano Paul finché si trattava di piccole cose come le vacanze o di proposte esuberanti. Però aveva sempre voglia, e forse aveva anche bisogno, di progetti un po’ folli, di uscire dai percorsi battuti del quotidiano.
«Lily è andata via?» domandò Léo, comparendo al suo fianco.
«Mi ha chiesto di darti un bacio. Ti stai divertendo?»
«Non sai quanto. Ho trovato un sentiero che probabilmente porta alla spiaggia senza passare dalla strada, ma non avevo il tempo di farlo tutto. E poi Goliath era agitato, credo che gli scocciasse lasciarti sola.»
«Gli attribuisci dei pensieri umani e questo si chiama…»
«Antropomorfismo, lo so! Solo che lui è un cane da guardia e non sa più chi di noi due deve proteggere.»
Anne sorrise, posandogli una mano sul collo.
«Cresci troppo in fretta, tesoro.»
«Cresco in modo normale, mamma. Io e Charles siamo alti uguali, ci misuriamo tutti i lunedì in collegio! A proposito, sabato prossimo può venire con noi?»
Gli occhi gli brillavano di eccitazione all’idea di mostrare la villa nel bosco al suo migliore amico.
«Ci divertiremo mille volte di più che a casa!» aggiunse con entusiasmo.
«Va bene, ma mi aiuterete a portare gli scatoloni. Devo disfarmi di tutte le cianfrusaglie.»
«Ti ci vorrà un sacco di tempo», pronosticò Léo allegramente.
Stare lì sembrava piacergli davvero. Era dovuto alla novità? Al bisogno di grandi spazi con l’arrivo della primavera? Era come tutti gli adolescenti, quello che lo affascinava oggi avrebbe potuto annoiarlo domani.
«Sei obbligata a vendere?» le domandò brusco.
Anche se Anne non voleva coinvolgerlo in quella storia, suo figlio era abbastanza grande per ascoltare e tirare le sue conclusioni. Che cosa aveva captato delle conversazioni tra i suoi genitori, con gli altri membri della famiglia?
«Tuo padre e io ne stiamo parlando», rispose con cautela. «Ma è tardi, torniamo a casa. Mi aiuti a chiudere le finestre?»
Si era accorta che, nel porle la domanda, Léo aveva usato il singolare: «Sei obbligata a vendere?» Non aveva incluso il padre, sapeva che la decisione era solo sua. Qualsiasi cosa avesse deciso, sarebbe stata l’unica responsabile.
Seduto su un angolo della scrivania, Paul rileggeva il programma degli interventi previsti per i setti giorni successivi. Lui e Julien si riservavano una mattina alla settimana per operare, cosa che facevano sempre insieme, uno come assistente dell’altro. Paul aveva la mano molto ferma e Julien era un bravo diagnosta: si completavano senza cercare di rivaleggiare. E se Paul investiva volentieri in materiale all’avanguardia, ricevendo i rappresentanti delle ditte, da parte sua Julien testava con interesse i nuovi farmaci prodotti dai laboratori.
Tra i loro due ambulatori c’era una piccola stanza in cui veniva immagazzinato tutto quello di cui potevano avere bisogno durante i consulti e, all’altro lato dell’edificio, la sala operatoria confinava con una sala post-operatoria piena di gabbie di dimensioni diverse. Ogni anno, durante la chiusura estiva, tutta la clinica veniva sottoposta a una ritinteggiatura per mantenere il suo aspetto impeccabile, e ciò era molto apprezzato dalla clientela.
«Penso che sia l’antibiotico migliore», stava dicendo Julien, sventolando un dépliant, «perché è efficace quanto gli altri, ma viene tollerato meglio.»
Paul annuì distrattamente, dando l’impressione di non aver sentito niente.
«Paul? Su che pianeta sei, amico mio?»
«Scusami. Lasciamelo qui, lo leggerò stasera a casa.»
«Va tutto bene?»
«Sì…»
«Proprio una risposta convinta! Un sì che significa no.»
Nel corso del tempo, tra di loro si era creata una vera amicizia, non erano più solo colleghi o soci, e Paul rispose con sincerità.
«A dire la verità, stavo pensando ad Anne. Siamo in totale disaccordo riguardo alla casa.»
«Quella della zia Ariane?»
Sentirono chiudersi la porta della sala d’attesa, poi la segretaria passò davanti alla finestra salutandoli con la mano. La giornata era stata lunga, come tutti i sabati, e la donna doveva avere fretta di tornare a casa.
«Buon weekend, Brigitte!» gridarono insieme.
Poi Paul si staccò alla scrivania e cominciò a camminare per la stanza.
«Trovo insensato che Anne possa pensare, anche solo per un secondo, di andare ad abitarci. Comunque, ha seguito il tuo consiglio di contattare delle agenzie immobiliari e, dopo una valutazione, sembra che possa trarne un buon prezzo. Ma, nel frattempo, si è messa in testa di andare a viverci! Da allora non facciamo che litigare.»
«Come argomento di litigio è meno grave che un amante», gli fece notare Julien.
«Naturalmente», replicò Paul, riuscendo ad abbozzare un sorriso.
«E non dimenticare che quello che ti ha affascinato di lei è stata la sua personalità un po’ eccentrica. Ricordati, Anne sembrava pronta a ogni pazzia, e poi non ne avete mai fatte. Se adesso ha voglia di buttarsi, per una volta seguila.»
«Mi ci vedi a sistemarmi in quell’eremo in stato di abbandono e pieno di spifferi?»
«È ridotta così male?»
«Non te lo immagini neanche. Passa a trovare Anne laggiù, e te ne renderai conto. Ci va tutti i pomeriggi.»
«Lo farò», promise Julien, molto seriamente.
Non aveva scordato il modo in cui Paul gli era stato vicino durante il suo divorzio e gli dispiaceva vederlo così preoccupato da diversi giorni.
«Però, non farne una questione di principio, una faccenda personale. È davvero così importante il tetto che si ha sopra la testa? Avete appena ricevuto un’eredità, siete stati fortunati, consideratela come un’opportunità invece di litigare.»
«Un’opportunità di cui avrei fatto volentieri a meno», borbottò Paul. «Se Anne sperava in questo genere di “occasione” per poter cambiare vita, significa che quella che aveva non le piaceva e, oggi, fare questa scoperta mi sgomenta.»
«Credo che le cose siano un po’ più complicate, Paul. In realtà, ti dà fastidio non essere più l’unico a poter rendere felice tua moglie. Un elemento esterno l’ha risvegliata, galvanizzata, e tu non vuoi condividerlo con lei né gioirne perché non viene da te.»
Paul rimase un istante in silenzio, poi fece una smorfia delusa.
«Quindi ne farei solo una questione di gelosia ed egoismo?»
«Può darsi. Prova a pensarci su.»
Si tolsero entrambi i camici, poi Paul girò la linea della clinica sul proprio cellulare.
«Spero non ti capitino troppe urgenze», gli augurò Julien. «Domenica scorsa ho avuto una crisi di epilessia, una leptospirosi, un virus intestinale e una frattura!»
Dopo aver chiuso tutto a chiave, si avviarono alle loro auto parcheggiate dietro alla clinica.
«Ho proprio voglia di comprarmi una moto», dichiarò Julien, osservando la sua vecchia Golf con tristezza. «Adesso che non sono più responsabile di altre persone, niente m’impedisce di divertirmi un po’.»
«Ma quando i gemelli verranno per le vacanze?»
«La macchina me la tengo, però prendo anche la moto! L’unico vantaggio del divorzio è aver ritrovato la libertà.»
Paul pensò che non lo aveva detto con allegria. La famiglia era importante per Julien e nel corso degli anni aveva creduto di essere riuscito a formare la sua. Non ancora ripresosi dal divorzio, termine che pronunciava con ripugnanza, era alla ricerca di compensazioni.
«A lunedì, vecchio mio», borbottò Paul.
Mentre si metteva al volante, si domandò se anche il suo matrimonio fosse in pericolo. Il disaccordo in merito alla casa di Ariane poteva essere certamente appianato, a condizione che ciascuno di loro facesse uno sforzo. Anne avrebbe accettato? E lui, che cos’era pronto a concedere? E quello che avrebbe ceduto, in futuro avrebbe conservato del rancore verso l’altro?
Se Anne dovesse vendere la casa perché obbligata, me ne vorrà. Ma se ci andrò a vivere, sarò di cattivo umore tutte le sere…
La zia Ariane non aveva di certo immaginato che nominando Anne sua erede avrebbe scatenato tutto quel caos. E se, invece, l’avesse previsto? Era una donna intelligente, per niente pazza, come sosteneva la maggior parte dei membri della famiglia. Aveva creduto che Anne si sarebbe precipitata a prendere il testimone, trascinando Paul con sé?
Ma a me non frega niente di quella stamberga! Non ho ricordi che mi leghino a quel posto, e mi rifiuto di isolarmi in quel buco.
Be’, forse Julien aveva ragione insinuando che la sua fosse una forma di egoismo. O di gelosia, perché, in effetti, Paul credeva di essere l’unico artefice della felicità di Anne. Solo che nemmeno una semplice casa poteva fare la felicità.
Stanco di rimuginare su quei pensieri, Paul decise di fermarsi in panetteria a comprare un dolce. Anne e Léo sarebbero di certo stati affamati alla fine della giornata e, nell’immediato, l’importante era trascorrere una bella serata in famiglia. Senza parlare, se possibile, della villa dei Nogaro.
Sbigottita, Suki camminava intorno al furgone.
«Se fossi in lei», stava dicendo il meccanico, «non lo farei riparare, non ne vale la pena. Il costo sarebbe superiore al valore del mezzo sul listino dell’usato!»
«Non posso permettermene uno nuovo adesso», ripeté lei.
«Perché non ne prende uno di seconda mano? Ho esattamente quello che fa per lei…»
La condusse verso una serie di veicoli commerciali che recavano tutti una scritta.
«Guardi questo, sarebbe perfetto per la sua attività! Basso chilometraggio, buoni pneumatici, tre mesi di garanzia. Che ne dice?»
La giovane donna lesse il prezzo prima di scuotere la testa, sconfortata.
«Chieda un finanziamento», insistette il meccanico.
Suki non era certa che la banca avrebbe concesso loro un altro prestito. E la prospettiva di indebitarsi ulteriormente la spaventava. Tuttavia, non poteva fare a meno di un furgoncino per le consegne. L’automobile di Valère era troppo piccola, non c’era spazio per una pianta di grandi dimensioni e, in ogni caso, serviva a lui.
«Ci penserò su», sospirò.
«Faccia in fretta, questo furgone non mi resterà a lungo, troverò di certo un acquirente. A questo prezzo, è davvero un affare.»
Anche se sapeva come non farsi abbindolare, Suki non aveva voglia di discutere. Avrebbe avuto tutto il tempo di contrattare quando avesse trovato il modo di finanziare l’acquisto.
Lasciando l’officina, decise di rientrare a piedi. Camminare l’avrebbe aiutata a mettere un po’ d’ordine nei pensieri che la tormentavano. Il denaro stava diventando la sua ossessione, e la cosa non le piaceva per niente. Perché non poteva dedicarsi soltanto alla composizione di un delicato bouquet? C’erano troppe fatture, oneri e scadenze, accompagnati da una spaventosa quantità di scartoffie che le faceva perdere un sacco di tempo e la riportava sempre ai suoi problemi materiali. Quando aveva aperto il negozio, Valère l’aveva spinta a non fare economia, optando per un ampio locale situato in una delle vie più commerciali del centro. Di conseguenza, pagava un affitto che assorbiva gran parte degli utili. Erano stati troppo ambiziosi? Avrebbe fatto meglio a iniziare con più cautela? Senza Valère, la sua innata prudenza l’avrebbe portata verso un’altra scelta, ma non c’era più tempo per i rimpianti, doveva andare avanti, fare fronte alla situazione, e naturalmente avrebbe preso appuntamento con il suo consulente bancario. Ancora una volta, sarebbe stata costretta a vincere la sua timidezza per discutere ed elemosinare, anche se detestava farlo.
Andrà a finire che chiederò ad Anne di farmi un corso di contabilità per sentirmi meno vulnerabile tutte le volte che si parla di soldi!
Pensare ad Anne la mise subito a disagio. A più riprese, Valère era ritornato sull’eredità della sorella, qualche volta con divertimento, altre con un po’ di risentimento.
Non se ne parla di chiederle in prestito nemmeno un euro. Ci sono le banche per questo, non la famiglia. Se Valère le parlasse dei nostri problemi, lei si sentirebbe in obbligo di aiutarci, la metteremmo in una situazione impossibile. Se proprio fosse necessario rivolgerci a un parente, preferirei chiedere a Éric… Anzi no, Lily la prenderebbe male.
Scoraggiata, Suki affrettò il passo senza degnare di uno sguardo le vetrine che stava superando. Sapeva limitarsi, risparmiare, mentre Valère non ci riusciva mai. Il rispetto degli altri faceva parte dei valori che le erano stati inculcati sin da piccola da una famiglia attaccata alle tradizioni, e i vent’anni trascorsi in Francia non l’avevano cambiata.
Ce la faremo, è solo uno scoglio da superare, questione di pochi mesi. Niente di grave quando ci si ama.
Cercava di rassicurarsi, ma senza riuscirci. Forse i problemi di denaro si potevano risolvere, ma la sua altra ossessione, quella di avere un figlio, non le dava pace. Proprio quella mattina, aveva di nuovo avuto una delusione trovando nella casella di posta elettronica i risultati negativi delle analisi. Il medico che la stava seguendo, subito raggiunto al telefono, non si era mostrato molto ottimista, tuttavia non voleva lasciarsi scoraggiare. Il giorno in cui finalmente sarebbe rimasta incinta, tutte le altre difficoltà sarebbero diventate irrilevanti.
Ormai in vista del negozio, si accorse di essersi messa a correre. Per sfuggire alla realtà? Rallentò, riprese fiato, rialzò la testa. La vetrina era magnifica e faceva venire voglia di entrare. Attraverso il vetro, vide Valère che preparava un mazzo di gigli bianchi per un cliente. Era venuto a tenerle il negozio aperto mentre lei si dirigeva all’officina col motore in fumo. Mentre incassava i soldi dei fiori, Valère la scorse a sua volta sul marciapiede e s’illuminò in viso. Non aveva buone notizie da dargli, ma rispose al suo sorriso prima di spingere la porta.
Anne aprì gli occhi, li richiuse subito, abbagliata, e si stiracchiò cambiando posizione. Doveva averla svegliata la luce del sole che si allungava fino al suo cuscino e che le riscaldava la guancia. Davanti alla finestra, su un ramo di rose rampicanti, due fiori era sbocciati nella luminosità del mattino.
Grazie, Signore, per queste minuscole gentilezze…
Una frase che sua zia Ariane ripeteva spesso, ridendo, per sottolineare le piccole felicità della vita. Per qualche istante, Anne continuò a osservare le rose, grosse come dei bignè, poi si girò verso Paul che dormiva ancora. La sera prima avevano cenato serenamente, riuscendo per un soffio a evitare di parlare della villa nel bosco. Paul aveva cucinato un delizioso pollo al dragoncello e Léo, di buonumore, li aveva fatti ridere con degli aneddoti sul collegio. Anche lui si era astenuto dal menzionare la casa di Ariane, limitandosi a sussurrare un breve commento sulla «giornata fantastica» che vi aveva trascorso. Più tardi, durante la notte, Anne e Paul avevano fatto l’amore, in silenzio, perché Léo era in camera sua, proprio di fianco alla loro, e si erano addormentati abbracciati.
Anne si passò le dita nei capelli corti per darsi una sistemata, dato che di mattina assomigliava sempre a un riccio. Muovendosi svegliò Paul, che borbottò un «Buongiorno» a malapena comprensibile. A sua volta, lui notò le rose davanti alla finestra e le fissò con espressione rapita. Era Suki a fornirgli le piante, ma era lui che le piantava e potava.
«Preparo la colazione?» le propose.
«No, vado io, non ho più sonno.»
«Nemmeno io!»
Si alzarono insieme, s’infilarono la vestaglia e scesero in cucina senza far rumore. Léo era capace di dormire fino a mezzogiorno, come tutte le domeniche.
Anne notò che Paul si affaccendava più nervosamente del solito, maltrattando il tostapane e sbattendo le tazze.
«Mi piacerebbe sapere a che punto sei con quella casa», finì per sbottare. «Hai deciso qualcosa?»
L’unica risposta che suo marito desiderava sentire era quella che lei non poteva dargli. E sicuramente non si sarebbe accontentato di rimandare la discussione a più tardi. Replicare che non aveva deciso niente, d’altronde, sarebbe stata una bugia, perché dentro di sé la decisione era stata presa.
«Ho una voglia matta di andare a viverci», dichiarò lei in fretta, evitando di guardarlo. «O, se non altro, che facciamo un tentativo durante l’estate. Sarebbe il modo migliore di scoprire se ci piace.»
«Se ci piace?» ripeté lui in tono beffardo.
«Potremmo considerarla una vacanza, con l’oceano a due passi e tutto lo spazio per divertirci o ricevere gli amici.»
«Ti ricordo che le mie vacanze non durano un’estate intera, e mi rifiuto di trascorrere le mie poche ferie a casa di Ariane!»
«Ormai è casa nostra.»
«Casa tua. Mi dispiace, ma la cosa non mi riguarda.»
«Peccato, perché a me sta molto a cuore.»
«E allora vacci!» esplose lui. «Visto che ne hai una voglia matta, va’ a vivere in quella stamberga in stato di abbandono, ci telefoneremo per aggiornarci!»
«Paul… Perché sei così testardo? Ti propongo solo un tentativo di qualche settimana. Dopo potremo discuterne con cognizione di causa.»
«Io non voglio più discuterne. Non voglio lasciare la mia casa, non intendo sconvolgere la mia vita per un capriccio.»
«Sì, lo so, tu preferisci che non cambi nulla, mai. Ma per quello che mi riguarda, sono tentata anche da altre cose. Il tuo lavoro è più coinvolgente, più appassionante del mio. Io, qui, giro un po’ a vuoto.»
«Accidenti, Anne, devi davvero rimettere tutto in discussione?»
«Non tutto, no, soltanto il posto in cui vivere. Perché sei aggrappato alle pareti della nostra casa? Non l’hai neanche costruita tu con le tue mani!»
Paul la fissò prima di stringersi nelle spalle. In apparenza, era a corto di argomenti.
«Maledetta zia Ariane», buttò lì con astio. «Ti ha proprio fatto un bel regalo, che ci sta rovinando l’esistenza.»
«Sei ingiusto! Ti ci metti anche tu adesso? Decisamente, la povera Ariane non viene apprezzata da nessuno. Credi che avrebbe fatto meglio a lasciare i suoi beni a un’associazione per la difesa dei pesci rossi? Ebbene, io la ringrazio! Ho avuto la fortuna che dal cielo mi cadesse una magnifica proprietà, non capisco perché non ne approfittiamo.»
«Al contrario, ti sto dicendo di farlo. Ma ti ho già avvisato, sarà senza di me.»
«Peccato.»
Si sfidarono con lo sguardo, in piedi l’uno davanti all’altra, e l’arrivo di Léo li paralizzò.
«Gridate un sacco stamattina», gli fece notare il ragazzino con voce esitante.
Il suo sguardo passò dalla madre al padre, poi si diresse alla caffettiera. La maglietta e i bermuda sembravano stargli troppo piccoli, era cresciuto ancora.
«Il problema è la casa nel bosco?» domandò Léo. «Io la trovo…»
«Fantastica, immagino», lo interruppe Paul in tono secco. «Meglio così, tua madre ci passerà l’estate!»
Anne si rese conto che l’aveva messa con le spalle al muro, che la sfidava a realizzare il suo progetto, ma evitò di dargli una risposta scortese.
«Ah sì?» si stupì Léo, sgranando gli occhi, incredulo.
Nel silenzio che seguì, Anne esitò solo un istante.
«Domattina preparerò un po’ delle mie cose e, dopo averti riaccompagnato in collegio, mi trasferirò laggiù. Ho ancora parecchio da sistemare, sarà più pratico che fare sempre avanti e indietro. Goliath ne sarà felicissimo, potrà vegliare su di me.»
«Tu non dormirai lì, papà?» domandò Léo ingenuamente, girandosi verso Paul.
«È troppo lontano», rispose lui laconico. «Ho un sacco di lavoro in clinica, finisco tardi. In più, Julien deve prendersi qualche giorno di permesso, sarò molto impegnato.»
Aveva cercato di dare una spiegazione ragionevole a suo figlio, senza, al contempo, coinvolgerlo nella questione. Di nuovo, Léo li fissò a turno, poi uscì sbattendo violentemente la porta.
«Ecco qua…» borbottò Paul.
Lui sembrava ancora arrabbiato, mentre Anne era annichilita. Come avevano fatto ad arrivare a quel punto così in fretta? Paul, sempre conciliante e misurato, era diventato all’improvviso intollerante e ostile.
«Che cosa stupida», protestò lei.
«Hai perfettamente ragione! E prendo atto che avevi già previsto di fare le valige, che fossi d’accordo o meno.»
«Sapevo che non lo saresti stato. Ma perché devi essere sempre tu a decidere, a scegliere? Non ti conoscevo sotto questo aspetto.»
Mise la propria tazza nella lavastoviglie e lasciò la cucina, con molta più calma di loro figlio. L’atteggiamento di Paul la feriva, l’addolorava, tuttavia provava un sollievo sorprendente. Si sarebbe finalmente stabilita laggiù, appropriandosi di quella casa ricevuta in eredità. Sin dalla prima visita di Hugues Cazeneuve, e forse anche prima, in occasione dell’appuntamento dal notaio per l’apertura del testamento, aveva intuito che sarebbe stata riluttante a vendere la villa nel bosco. Qualcosa di impossibile da spiegare, ma molto forte, l’attirava in quel luogo, e nessuno le avrebbe impedito di cercare di scoprire di che cosa si trattasse. In ogni caso, la sua stanza era pronta, se n’era occupata Ariane, con i racconti di Maupassant sul comodino. Ma per prima cosa voleva immergersi nella lettura del quaderno rosso trovato nel cassetto della scrivania.
Prendendo un paio di jeans e una maglietta dall’armadio, lo sguardo le cadde sulle valige in fondo al guardaroba. Stava davvero per andarsene per qualche giorno o per qualche settimana così a cuor leggero? Il rifiuto categorico di Paul avrebbe dovuto sconvolgerla di più, traumatizzarla o angosciarla, e invece ci mancava poco che si vestisse fischiettando! Che cosa le stava succedendo?
Si costrinse a riflettere, seduta sul bordo del letto. Era certa di amare Paul con la stessa intensità del primo giorno del loro matrimonio, ma proprio non riusciva a mandare giù la sua reazione ostinata. Perché si rifiutava di tentare quell’esperienza? Per egoismo? Perché credeva di detenere la verità? Fino a quel momento, la stabilità della loro coppia aveva fatto loro credere di vivere in sintonia, ed ecco che scoprivano di avere idee opposte, con aspirazioni e punti di vista radicalmente divergenti.
Non mi tirerò indietro. Non questa volta!
L’aveva fatto spesso in passato? Prendevano le decisioni insieme, se non altro era ciò che aveva pensato, ma in realtà le scelte di Paul avevano sempre la precedenza. L’apertura della clinica veterinaria, i mutui, la decisione di vivere a Castets, i progetti e la costruzione della loro casa, il ritmo della loro esistenza: tutto era regolato dalla professione di Paul. Se negli anni lo aveva accettato, ora riteneva che fosse arrivato il suo turno, e nessuno glielo avrebbe impedito. Nemmeno Paul.