9.

 

 

 

 

 

 

 

«Santo cielo!» continuava a ripetere Estelle.

Tutto quello che guardava le strappava sempre la stessa espressione, velata da un’ombra di disprezzo, sorpresa o dispetto. Mentre la osservava, Anne si rese conto che, nel corso delle sue rarissime visite ad Ariane, sua madre non aveva mai fatto attenzione a nulla. Adesso, invece, ispezionava, curiosava, notava i dettagli.

«Queste persiane interne risalgono davvero a un’altra epoca. E non si può certo approfittare dei davanzali delle finestre…»

«Per metterci delle piante?» scherzò Anne.

Si stava riferendo alla passione di sua madre per yucca, ficus e altri filodendri che avevano sempre ingombrato i loro diversi appartamenti. Estelle ignorò l’allusione.

«E poi, questo paesaggio…» riprese. «Da qualsiasi parte ti giri, ci sono pini, ancora pini, sempre pini.»

«Difatti, ci troviamo in una radura all’interno di una pineta! Suppongo che il mio antenato che fece costruire la villa volesse ammirare le sue foreste.»

Anne ricordava di discendere dai Nogaro e, a differenza di sua madre, era in grado di comprendere l’amore dei proprietari delle foreste per i loro alberi.

«Ti fai aiutare per i lavori di casa?» domandò Estelle.

«No, me la sbrigo da sola.»

«Ti stancherai presto, vista la superficie da pulire!»

Passando un dito sul cassettone, osservò che la sabbia s’infiltrava dappertutto.

«È normale, con tutti questi infissi fatiscenti. D’inverno non deve far caldo! Comunque, devo riconoscere che hai arredato bene la tua stanza.»

Anne fu sul punto di confessarle che non era stata lei, ma preferì evitare. Qualsiasi cosa avesse detto a proposito di Ariane, sarebbe stata male interpretata. Attese che la madre finisse di ispezionare la camera e la vide picchiettare la testata del letto trapuntata di tessuto bianco prima di girarsi verso la cesta del cane che fissò con aria disgustata.

«Ma quella bestia dorme qui? Mi auguro non ti facciano schifo le pulci!»

Esaminò i due splendidi pastelli senza alcun commento, poi decise di uscire. Anne la seguì e le domandò se volesse vedere il secondo piano.

«Ce n’è un altro? Mio Dio, mi perderei in un posto simile… No, in tutta sincerità, per il momento basta così, piuttosto raggiungiamo tuo padre e Jérôme.»

Gauthier si era rifiutato di visitare la casa, con il pretesto che se la ricordava benissimo.

«Prima di scendere, però, vorrei che facessimo una breve conversazione tra noi, mia cara. A che punto sei con Paul? Sono preoccupata per voi due e penso che tu sia stata molto imprudente.»

«Perché?»

«Perché lui è arrabbiato, lontano da te, sicuramente infelice, e può darsi che stia cercando di schiarirsi le idee.»

«Con un’altra donna?» replicò Anne beffarda. «Credi che si sia buttato tra le braccia della prima venuta per dimenticare il nostro conflitto?»

«Chi può dirlo…» borbottò Estelle.

«No, Paul non è quel genere di uomo. Perlomeno, io penso di no. Non così in fretta.»

«Come sei sicura di te! Dimmi almeno che cosa conti di fare al suo rientro.»

«Fare? Niente. Che cosa dovrei fare secondo te?»

«Le valige e tornare a casa. A casa tua, a casa vostra. Accoglierlo gentilmente. Cucinargli…»

«Che cosa?» esplose Anne. «Del ragù? Io e Paul abbiamo un problema, ma non sarà il cibo a risolverlo. Magari vorresti anche che indossassi una bella sottoveste per farmi perdonare? Non sono colpevole di niente, mamma!»

«La collera ti rende volgare. E se ti innervosisci, significa che hai qualcosa da rimproverarti.»

«Siete tutti voi ad avere qualcosa da rimproverarmi. Siete pieni di rabbia perché Ariane mi ha lasciato la sua casa.»

«L’hai raggirata per bene per averla.»

«Io?»

«Non fare l’ingenua, non con me, non funziona. Non so come tu abbia fatto per abbindolare Ariane…»

«L’eredità non c’entra niente. Venivo a trovarla perché mi faceva piacere.»

«Raccontala a un altro! Tra un po’ sosterrai che adoravi quella vecchia pazza.»

«Sì, le volevo bene, mentre tutta la famiglia la detestava.»

«E tu ne hai approfittato per metterti in prima fila, eh?»

Anne fece un passo indietro, sconvolta dall’ostilità di sua madre. Per una donna che di solito evitava le discussioni, si stava dimostrando tremendamente aggressiva.

«Da quando il notaio ti ha informato che tu avresti ereditato tutto, e tuo padre niente, nemmeno per un istante hai pensato a condividere i beni!»

«Ma è quello che voglio», replicò Anne, glaciale. «Venite ad abitare con me, vi offro ospitalità. Jérôme è il primo a beneficiarne, gli altri saranno i benvenuti.»

«Non prendermi in giro», si adirò Estelle. «Non lo sopporto. Sei un’egoista, bambina mia.»

«Egoista? Se lo dici tu… ma non sono più una bambina, mi spiace, e non accetto più prediche.»

«È di generosità che hai bisogno! Hai mai pensato ai tuoi fratelli? Mentre tu navighi nell’oro, Valère e Jérôme devono affrontare delle situazioni difficili.»

Sua madre aveva scelto apposta delle parole scioccanti, ma Anne decise di mettere a tacere la propria collera. Litigare era demoralizzante, estenuante, e preferiva conservare le forze per affrontare Paul. Quella battaglia ne sarebbe valsa la pena, voleva salvare la propria coppia.

«Così navigherei nell’oro, eh? Piuttosto in un ammasso di pietre sul punto di crollare, come avete sempre sostenuto.»

Con quello, rammentò a Estelle il disprezzo con il quale aveva sempre considerato Anne e la villa nel bosco.

«Tu preferisci non vedere come stanno le cose, non parliamone più.»

In quel momento, udirono il passo pesante di Gauthier sulle scale. Una mano sulla balaustra e la testa alzata verso di loro, aveva iniziato a salire.

«Non stavate litigando, vero?» domandò con un sorriso incerto.

«Ma no!» rispose Estelle. «Dai, visto che sei qui, fammi vedere la stanza dove dormivi da bambino. Qual è?»

Anne si rese conto che, stranamente, fino ad allora non se lo era mai chiesto. Per lei, quella era la casa di Ariane, un’Ariane di una certa età.

«La terza porta», replicò Gauthier. «I miei genitori erano a un’estremità del corridoio, Ariane all’altro, e io perso nel mezzo, in preda ai terrori notturni.»

Estelle andò ad aprire la porta e rimase senza parole nel trovarsi davanti un locale vuoto con il parquet cosparso d’insetti morti e la carta da parati che si staccava dai muri.

«Capisci che cosa intendevo a proposito delle pulizie», ironizzò. «Davvero, Anne, non capisco perché tu voglia vivere qui. Tutto questo spazio abbandonato è inquietante! Ce n’è abbastanza per una tribù e tu sei sola. Come farai quest’inverno? Jérôme è gentile, ma non resterà a tenerti compagnia in eterno…»

Fermo nel corridoio, Gauthier si era limitato a lanciare un’occhiata da sopra la spalla della moglie. E non commentò il fatto che Anne non avesse dato la sua vecchia stanza né a Léo né a Jérôme, lasciandola in quello stato.

«Se pranzassimo?» propose, in apparenza poco desideroso di indugiare lassù.

Visitare la casa non aveva per lui nessun interesse, era sincero quando diceva che non era legato alla villa e che non aveva nostalgia della sua infanzia. Si era realizzato più tardi, lontano da tutto ciò, mentre Ariane era rimasta ferma su un’idea che aveva condizionato tutta la sua vita. Se Anne poteva capire l’indifferenza del padre, al contrario l’animosità della madre l’aveva ferita. Sia nel suo comportamento che nelle sue parole, non c’era traccia di tenerezza né d’indulgenza, e aveva adottato con la figlia il suo tono severo di maestra, di cui sembrava non pentirsene. Era sempre stato così? Durante l’infanzia, Anne era troppo vivace per desiderare delle coccole, che erano state riservate a Lily. Perché ci pensava adesso? Perché all’improvviso si sentiva molto sola senza il sostegno di Paul, che prendeva sempre le sue difese in quei conflitti.

«Ti ho preparato il petto d’anatra», annunciò Estelle, in tono più dolce. «So che ti piace… e ho fatto la torta preferita di Jérôme!»

Gauthier le rivolse un sorriso tenero, sempre convinto che fosse la migliore delle madri. Anne, invece, cominciava a dubitarne.

 

Dopo aver saldato con impazienza il conto dell’hotel, Paul si era affrettato verso la stazione dei taxi, la borsa da viaggio che gli sbatteva sul fianco. Poi, per tutto il tragitto verso la stazione di Montparnasse, aveva esortato l’autista ad andare più veloce. Non capiva che cosa gli stesse succedendo, ma aveva sentito il bisogno improvviso e prepotente di rientrare. Dopo aver tentato, invano, di distrarsi, era andato a pranzo dai genitori e, naturalmente, suo padre gli aveva fatto qualche osservazione piena di buon senso: «Sei venuto a Parigi per tenere il broncio? Perché tua moglie ha ricevuto un’eredità? Potessi averla io! Villa Nogaro era una meraviglia, me la ricordo benissimo. Non so in che condizioni sia oggi, ma deve essere rimasto qualcosa, no? Ed è questo il problema? Hai perso la ragione, Paul… Stai attento a non perdere anche Anne!» Mentre masticava la sua noce di manzo allo scalogno, Paul aveva mantenuto un’espressione indifferente, ma le frasi del padre l’avevano colpito. Originari della regione di Biarritz, dove avevano trascorso la maggior parte della loro vita, i suoi genitori avevano frequentato un certo numero di famiglie, tra cui quella dei Nogaro. Volevano molto bene ad Anne e chiedevano regolarmente che Léo andasse da loro per fargli visitare Parigi durante le vacanze di Pasqua o di Ognissanti. Sviando la conversazione, Paul ne aveva approfittato per parlare del soggiorno di Léo in Spagna. Il suo conflitto con Anne era qualcosa di troppo personale, non voleva discuterne, anche se ci pensava in continuazione. E, non appena rientrato in hotel, aveva buttato la sua roba nella borsa da viaggio, ossessionato dal desiderio di stringere sua moglie tra le braccia. Perderla? Non se ne parlava! Avrebbe preso l’ultimo treno per Dax, recuperato la sua auto e poi sarebbe corso alla villa. Pazienza per le risatine di Jérôme e i grugniti di Goliath, voleva toccare Anne, respirarla, chiederle scusa per non averle dato notizie e dirle che l’amava. Il loro disaccordo era durato troppo, ora basta, insieme si sarebbero sforzati di trovare una soluzione.

 

Non potendo essere un vero marito, Paul-Henri si era rivelato un ottimo mentore. Mentre lui mi faceva scoprire autori e pittori, mio fratello Gauthier faceva dei figli con Estelle. Dopo Lily era arrivato il piccolo Valère, poi un’altra bambina, Anne, e un altro maschio, Jérôme. Alternando in quel modo femmine e maschi, erano sulla buona strada per battere un record di fertilità, ma si fermarono lì. E dei loro quattro figli, di cui mi inviavano sempre le foto, mi restò in mente in particolare il faccino di Anne. Mi piacevano i suoi occhi verdi dalle pagliuzze dorate, così come il suo sorriso birichino. Quando venni a sapere che era una bambina «tremenda», ne fui conquistata.

Nel tentativo di riallacciare un po’ i legami famigliari, invitai Gauthier con sua moglie e i loro mocciosi. Vennero a passare un weekend in uno degli alberghi di Paul-Henri in cui soggiornavamo in quella primavera del 1979. Infatti, cambiavamo hotel a nostro piacimento e in base alle stagioni, perché trovavo comodo approfittare di tutti i servizi di una struttura di lusso piuttosto che sfinirmi nel gestire una casa. Quella vita nomade mi piaceva tanto più che occupavamo sempre la migliore suite, con un vasto balcone sul mare e un ampio bagno di marmo. Secondo come ci andava, scendevamo al ristorante – sempre panoramico – oppure utilizzavamo il servizio in camera. Per mio fratello, mia cognata e i loro ragazzi, scelsi quest’ultima soluzione. E nel corso di quell’interminabile fine settimana, osservai la piccola Anne, che mi affascinò. Per quale miracolo della genetica Estelle e Gauthier erano riusciti a concepire una bambina così graziosa, sveglia, vivace e astuta? Quei quattro aggettivi non potevano essere applicati a nessuno degli altri figli. Estelle, sotto quelle arie da santarellina, si era forse concessa un amante di passaggio? Un idraulico, un postino, un ispettore scolastico, che ne so? No, era poco probabile, e anche se non ci si doveva fidare della apparenze, Anne sembrava davvero un cigno triste smarrito tra le anatre. Le sue bravate non divertivano la madre, che preferiva stupirsi davanti all’insignificante Lily o ai due maschi alquanto mosci. Al contrario, io vedevo distintamente che la piccola Anne possedeva una vera grazia e che la sua personalità avrebbe prevalso su tutto e tutti. Tenendola sulle ginocchia, cosa che non avrei mai pensato potesse piacermi, provavo uno slancio di affetto tanto inatteso quanto confortante.

Una volta partita la combriccola, resi Paul-Henri partecipe dei miei sentimenti contraddittori. Premuroso come sempre, lui sdrammatizzò la mia indifferenza verso i miei nipoti maschi e Lily, ritenendo che non ero tenuta a sottomettermi a quella legge universale che obbliga ad amare i bambini. Non è che tutti i bambini abbiano un carattere amabile e non sei un mostro se non gli cambi i pannolini. In merito ad Anne, condivideva la mia opinione, avendo notato che la bambina spalancava gli occhi davanti alle cose belle – un mobile o un’incisione dietro un angolo dei corridoi dell’hotel – che la sua risata cristallina era comunicativa al punto da farti venire le lacrime agli occhi e che, in effetti, dava l’impressione di essere un po’ fuori posto in quella famiglia. Be’, l’avrebbero di certo rovinata, spegnendo la sua energia, la sua curiosità e fantasia, ma noi non potevamo comunque adottarla!

Va bene, quello che ho appena scritto è veramente egoista. Mi sarebbe piaciuto avere una piccola Anne tutta mia, già bell’e pronta! Purtroppo il destino aveva deciso altrimenti e, avendo festeggiato i quarant’anni l’anno prima, le mie speranze di maternità erano volate via. Ma ne avrei voluti? Ai tempi di Albert, forse, ma sarebbe stato soprattutto per orgoglio, per paura di essere ripudiata come la povera Joséphine Beauharnais. Quante fantasie si accumulano durante la vita… E come le cose assumono o perdono d’importanza con il passare del tempo! Unico punto fisso, faro nella tempesta, luce nella notte, la mia casa d’infanzia conservava ai miei occhi tutto il suo fascino e, senza stancarmi, inseguivo la mia chimera. Sfortunatamente, i proprietari attuali inseguivano la loro e avevano messo radici. Tuttavia, grazie a Pierre Laborde, sapevo che avevano dei grossi problemi finanziari, perché avevano pensato di ipotecarla. Incapaci di provvedere alla sua corretta manutenzione, la stavano lasciando andare, al contempo aggrappandosi alla proprietà, cosa che mi faceva ribollire di rabbia. Paul-Henri mi aveva giurato e spergiurato che, alla prima occasione, l’avrebbe acquistata. Ma quando?

Era appena rientrato a casa che Gauthier tornò a farmi visita, portando una brutta notizia: nostra madre aveva esalato il suo ultimo respiro. Mio fratello ce l’aveva terribilmente con se stesso per aver giocato al nababbo nel nostro albergo mentre lei agonizzava, sola in mezzo a dei paramedici indifferenti. Io sottolineai che nostra madre non riconosceva più nessuno da molti anni e che la presenza dei suoi famigliari, da lei considerati degli estranei, non le avrebbe dato il minimo conforto. A quel punto, mi lanciò uno di quegli sguardi inorriditi che mi riservava in esclusiva. Prendendo il coraggio a due mani, mi confessò che spesso si chiedeva se io non fossi pazza. Mi trovava cinica, egocentrica, fuori dalla realtà. Mi compatì per come mi fosse «andata male» con i miei mariti, ma supponeva che si trattasse del giusto castigo per la mia «corsa all’oro». Non volendo essere da meno, replicai che era un uomo meschino, noioso e privo di ambizione, che con lui la vita diventava una penitenza. Eravamo diversi, e allora? Io non gli avevo sempre dimostrato dell’affetto, ma almeno mi ero astenuta dall’opprimerlo, tenendo i miei giudizi per me. Con che diritto mi scagliava addosso i suoi? Perché si sentiva colpevole di aver vissuto nel lusso per un weekend invece di piangere al capezzale di sua madre? «Era la madre di entrambi!» ribatté offeso. Non lo negai e proposi, per la seconda volta, di pagare il funerale. A questo non ebbe nulla da controbattere.

 

Goliath si mise ad abbaiare furiosamente e Anne lasciò cadere il quaderno. Qualcuno bussava, dabbasso, e non appena aprì la porta della sua stanza, il cane si fiondò lungo il corridoio e poi giù per le scale. Lei lo seguì, un po’ esitante, accendendo tutte le luci al suo passaggio. Era mezzanotte passata, ma lo sconosciuto che si ostinava a battere i pugni sembrava deciso a farsi sentire. Se non altro, per provocare un baccano simile, non era di certo un delinquente né un ladro.

«Non aprire!» le gridò Jérôme dal pianerottolo del primo piano.

Anne era quasi arrivata in fondo alla scalinata e sollevò la testa per fargli segno di tacere. Sbalordita, vide che il fratello stringeva in mano una pistola. Prima di avere la possibilità di chiedergli se sapesse usarla e da dove veniva, percepì le grida di un uomo in mezzo all’abbaiare furioso del cane.

«Anne! Sono io, Paul!»

Anne girò la chiave nella porta.

«Va tutto bene, Goliath, lo conosci…» mormorò al cane nel frattempo.

Sensibile alla dolcezza della sua voce, l’animale si calmò, mentre Paul entrava e prendeva Anne tra le braccia.

«Non ne potevo più», le bisbigliò all’orecchio. «Sono stato un idiota a partire, mi sei mancata troppo.»

Ma si staccò subito, guardando alle spalle di lei.

«Tu sei pazzo!» gridò con astio a Jérôme. «È carica?»

Fermo a metà scala, il cognato teneva ancora l’arma puntata su di loro.

«Mi dispiace», farfugliò Jérôme, abbassando la pistola. «Però anche tu, che idea piombare qui in piena notte senza avvisare! Non ce l’hai un telefono?»

«Volevo fare una sorpresa ad Anne», si giustificò Paul, a malincuore.

«Ci sei riuscito, questo è sicuro.»

«Dove hai preso quella pistola?» domandò Anne.

«In una credenza della cucina, mentre ritinteggiavo le pareti. Cercavo uno straccio e questo arnese era nascosto dietro una pila di vecchi strofinacci.»

«Avresti potuto parlarmene.»

«No, tu mi avresti detto di portarla alla polizia e non avremmo più avuto niente per difenderci.»

«Con te a difenderla, Anne non ha niente da temere», commentò Paul sarcastico.

«È sempre meglio di un marito assente.»

La risposta di Jérôme sembrò lasciare Paul di stucco.

«Fatti gli affari tuoi e torna a dormire», gli disse alla fine.

«Non prendo ordini da te!» si arrabbiò Jérôme. «Ci sei, non ci sei, tieni il muso, torni…»

Con un gesto rapido che denotava una certa abitudine, tolse il caricatore che lasciò cadere con nonchalance nella tasca della vestaglia.

«La tengo», dichiarò. «I giornali sono pieni di episodi terrificanti e questa casa è molto isolata.»

Risalì le scale senza fretta, entrò nella propria stanza e sbatté la porta. Paul lo esasperava, Paul lo aveva sempre esasperato con quel suo comportamento da primo della classe. Anne avrebbe fatto meglio a sbarazzarsi di un marito così rispettoso dell’ordine costituito, così ragionevole e serio. Cominciò a sperare che la riconciliazione sotto le lenzuola che sarebbe immancabilmente seguita non risolvesse il loro problema di coppia. Stava bene lì con sua sorella, godendosi una grande casa e una tavola imbandita senza che nessuno gli facesse la predica. Immaginare Paul che rientrava tutte le sere e che gli chiedeva come aveva passato la giornata lo faceva rabbrividire. Quanto alla pistola, se ne sarebbe appropriato a titolo di unico regalo postumo della zia Ariane. Forse ne avrebbe avuto bisogno perché la sera prima gli era arrivato un secondo messaggio da Jack, che reclamava i suoi soldi in tono ancora più minaccioso. Se si fosse presentato lì, non sarebbe stato per qualche evento mondano, e un’arma avrebbe potuto giocare un ruolo di dissuasione. Non c’era niente come un revolver per raffreddare uno spirito surriscaldato! In effetti, quando Paul aveva bussato alla porta come un pazzo, Jérôme si era raggomitolato sotto le coperte, convinto che quella visita notturna fosse per lui. Tanto valeva confessarlo: aveva paura, ma non poteva fuggire, senza un soldo in tasca e senza sapere dove andare. E Jack era abbastanza furbo e determinato da riuscire a trovarlo ovunque si sarebbe nascosto. L’unica soluzione era saldare il debito. E senza andare per le lunghe perché, nel messaggio, Jack gli aveva dato le sue coordinate bancarie. Non avrebbe atteso il suo bonifico in eterno. Jérôme doveva convincere Anne a prestargli la somma. Ma con Paul tra i piedi…

Scoraggiato, Jérôme ripose la pistola e il caricatore nell’armadio della sua stanza. Il locale era arredato con un letto nuovo e due vecchie poltrone recuperate in giro per la casa. Per rallegrarla, Anne aveva aggiunto una scatola rotonda, di cuoio scuro, che un tempo doveva contenere dei cappelli e che ormai gli faceva da comodino. La scatola faceva parte di quegli oggetti da cui Anne non aveva voluto separarsi, tuttavia aveva venduto molte cose a un rigattiere, perciò doveva avere un po’ di soldi da parte. Comprensiva, lo avrebbe di certo aiutato se le avesse raccontato le sue disavventure. E sua sorella avrebbe capito che lui era davvero in pericolo.

 

Paul osservava il raggio di sole che filtrava dalle persiane interne e si allungava sul parquet, dando al legno di rovere un bell’aspetto dorato. Aveva fatto bene a venire, a costo di calpestare il proprio orgoglio, perché Anne l’aveva accolto a braccia aperte. Senza parlare di niente, avevano fatto l’amore, avidi di sentirsi e di toccarsi. Un momento sensuale, voluttuoso, migliore di quello che aveva sognato quando sentiva la mancanza di sua moglie, tutto solo nel suo hotel parigino.

Si voltò verso di lei per guardarla dormire. Lentamente, le fece scivolare il lenzuolo lungo la schiena, posandole una mano nell’incavo dei reni. Aveva di nuovo voglia di lei, ma esitava a svegliarla. L’incantesimo si sarebbe rotto non appena Anne avesse aperto gli occhi. Tra di loro erano rimaste in sospeso troppe domande, come potevano ignorarle ancora? E che cosa gli avrebbe chiesto Anne in primis? Non avendo risposte, Paul si sentiva tanto stupido quanto furioso al pari di un bambino che pesta i piedi davanti a una cosa impossibile da ottenere. No, non voleva trasferirsi lì, voleva semplicemente Anne accanto a sé, come prima. Che la vita riprendesse il suo corso normale, che fossero di nuovo felici insieme, a casa loro. Era chiedere troppo? Lui l’amava davvero, l’avrebbe amata per sempre, era pronto a tutto per renderla felice. A quasi tutto…

Si voltò, lasciando vagare lo sguardo nella stanza. La camera era allegra e spaziosa, contrariamente al resto della villa che considerava fredda, sproporzionata e antiquata. Certo, si poteva rimetterla in buono stato, ma a che prezzo? Quanto denaro si sarebbe dovuto investire prima di trasformarla di nuovo in un ambiente piacevole in cui vivere? Paul non si vedeva impegnato a sorvegliare un cantiere, ancora meno a pagare le fatture. Era chiuso da mattina a sera nella clinica veterinaria, occupato in un lavoro che lo appassionava che esigeva tutto il suo tempo. La sera voleva tornare a casa con la mente libera e il cuore leggero, e in quella villa non sarebbe stato possibile, ne aveva la certezza. Quindi che fare per uscire da quel vicolo cieco? Lasciar passare l’estate, aspettare i primi giorni grigi e freddi. A novembre, Anne avrebbe trovato molto meno affascinante vivere lì e si sarebbe senz’altro stancata della convivenza con Jérôme. Quell’incapace sarebbe ben presto diventato un peso per lei. Sì, la soluzione era di portare pazienza, essere più comprensivo. Ci aveva riflettuto per tutto il viaggio in treno il giorno prima, giurando a se stesso di non tenere più il muso come uno stupido. Se lo avesse fatto, Anne lo avrebbe notato e gliene sarebbe stata riconoscente.

Si alzò, attraversò la stanza in punta di piedi e uscì. Goliath, che aveva dormito in corridoio, non lontano dalla porta, lo ignorò. Per un istante, Paul esitò se accarezzarlo, ma lasciò perdere. Quel cane era diventato il guardiano di Anne e gli altri umani non lo interessavano, era meglio lasciarlo in pace.

Dopo una doccia veloce nel vecchio bagno le cui tubature sembravano sul punto di esplodere, Paul s’infilò un paio di jeans e una maglietta e scese in cucina. La ritinteggiatura di Jérôme non era certo perfetta, ma rendeva la stanza più accogliente, soprattutto a quell’ora mattutina in cui era inondata di sole.

«Già in piedi?» gli chiese il cognato, che stava risalendo dalla cantina.

La sua espressione beffarda esasperò Paul, tuttavia gli sorrise.

«La bella giornata mi ha fatto uscire dal letto. A Parigi pioveva.»

«Ma sei riuscito a divertirti nonostante tutto?»

«Mi sono distratto un po’. Niente cani, niente gatti né conigli. E ho visto i miei genitori, gli ha fatto piacere.»

«Che ne dici del mio operato?» domandò Jérôme indicando le pareti.

«Un lavoro fatto in fretta, ma non è male. È più pulito, più allegro.»

«In fretta? Non avevo scelta. Avevamo bisogno della cucina, è il locale dove si mangia, dove si vive. Per le altre stanze, mi prenderò il mio tempo.»

Paul lo osservò per qualche istante.

«Non hai altri progetti… personali?» finì per buttar lì.

Jérôme si strinse nelle spalle e si mise a preparare il caffè.

«Per il momento, Anne ha bisogno di me», borbottò.

«Conoscendola, sono sicuro che preferirebbe che ti trovassi un vero lavoro.»

«Facile a dirsi! Nessuno ha bisogno di me e questa regione è un vero deserto. Un buco di culo! Non ci sono grandi città, quindi niente lavoro.»

«Che cosa ti obbliga a restare qui?»

Jérôme si voltò per fissarlo.

«Tu mi metteresti alla porta se fossimo a casa tua.»

«Sì, ti costringerei a darti una mossa, a occuparti di te. Finora hai vissuto sulle spalle di tutti. I tuoi genitori, i tuoi amici, e adesso tua sorella…»

Appoggiando bruscamente la caffettiera sul tavolo, Jérôme si voltò verso Paul.

«Risparmiami la predica, ti dispiace?» scandì. «Tu non hai la minima idea di ciò che faccio né di chi sono. Tu, lo sappiamo, sei Paul il perfetto, Paul l’irreprensibile, Paul il modello, e quelli come te sono noiosi da morire. Chiedi un po’ a tua sorella se non è stufa del tran tran quotidiano che le infliggi da anni! Hai sposato una donna straordinaria di cui hai rischiato di diventare una spina nel fianco senza nemmeno accorgertene. La sua fortuna adesso è questa villa, che le assomiglia di più della tua casetta triste dove, se ha un po’ di sale in zucca, non rimetterà piede.»

«Stai esagerando, Jérôme», replicò Paul, afferrandogli il polso. «Non immischiarti nella mia vita di coppia con le tue stronzate. Mi critichi per giustificarti, per metterti in pace la coscienza? In realtà, stai gettando benzina sul fuoco perché vuoi passare l’inverno al calduccio, ma non sei abbastanza furbo da manipolarmi. È come la faccenda della pistola, non intendo lasciarti giocare al cowboy con mia moglie e mio figlio nel mezzo. Andremo insieme dalla polizia.»

«No.»

L’aria di sfida sul volto di Jérôme fece perdere le staffe a Paul.

«Allora ci andrò da solo per denunciarti di detenzione illegale di arma da fuoco!»

«Non farai proprio niente», lo canzonò Jérôme. «Non puoi entrare a gamba tesa nella vita di tua moglie, a casa sua. Veder arrivare la polizia non le farà piacere, credimi. Così come la tua aria da comandante pronto a dettare legge qui da lei.»

«Ma non rompermi i coglioni!» urlò Paul, picchiando violentemente i pugni sul tavolo.

«Che succede?» domandò Anne, entrando in cucina.

La donna squadrò prima il fratello, poi suo marito.

«È questo il modo di condividere la colazione?»

Il suo sguardo accusatore si soffermò su Paul. Aveva sentito l’insulto, l’aveva visto picchiare i pugni sul tavolo e, chiaramente, non capiva il suo scatto di rabbia. Lui sempre così calmo e misurato.

«Tuo fratello non si comporta come si deve», sospirò. «Voglio che vada a consegnare l’arma alla polizia.»

Anne si voltò verso Jérôme, che si alzò.

«Tuo marito vuole, tuo marito esige… È arrivato da meno di dodici ore e già piovono gli ordini, per non parlare dei commenti acidi. Non fa per me! Divertitevi, io vado in spiaggia.»

Lasciò la cucina senza dare ad Anne il tempo di rispondere. Al termine di un lungo silenzio, fu Paul a parlare per primo.

«Peggiora sempre più. E ignoravo che mi odiasse.»

«Dai, non ti detesta», cercò di minimizzare Anne, senza convinzione.

«Be’, allora recita bene! In tutta sincerità, Anne, penso che non provi affetto per nessuno, si preoccupa solo di sé. In questo momento sei la sua sorella adorata perché lo ospiti e lo nutri.»

«Non essere cattivo.»

«Sto solo dicendo la verità e lo sai. Jérôme non ha combinato niente in vita sua e non intende iniziare a farlo a trentaquattro anni. Gli va bene fare il parassita perché richiede poco sforzo.»

«Adesso basta! Non ho voglia di sentirti parlare male di lui, è mio fratello.»

«Ma questo non lo giustifica. Guarda Valère, si sbatte come un pazzo per cavarsela, lui…»

«Tu a lui vuoi bene, è un tuo grande amico dai tempi del liceo e sei sempre pronto ad aiutarlo, mentre non hai mai apprezzato Jérôme.»

«Che cos’ha di apprezzabile?»

Anne si strinse nelle spalle, scoraggiata, e andò a servirsi un po’ di caffè. Quando tornò a sedersi di fronte a lui, aveva le lacrime agli occhi.

«Scusami», mormorò Paul.

Non aveva previsto quel nuovo elemento di discussione tra loro.

«Che cosa dovrei fare, Paul? Tu ti rifiuti di trasferirti qui, però ti dà fastidio che ci sia mio fratello. Dobbiamo risolvere questa situazione una volta per tutte. So che questa casa non ti piace, ma quello che più ti disturba è che io ci venga ad abitare. Ma io mi ci sono trovata bene sin dal primo giorno. Non fanno tutti che parlare di un regalo avvelenato, io invece penso che sia un regalo bellissimo, in cui non avrei mai osato sperare. Tuttavia, non vuoi condividerla con me, non vuoi nemmeno che la tenga…»

«In una coppia, le decisioni si prendono in due, no? Immagina che ti metta davanti al fatto compiuto, dopo aver trovato senza di te un nuovo posto in cui andare a vivere, e via, che traslochiamo subito! Tu non avresti mai accettato di non poter dire la tua sulla scelta della nostra casa.»

«Ma in questo caso non l’ho scelta io, l’ho ricevuta in eredità. Continuo a definirlo un colpo di fortuna. Mio padre è nato qui, mio nonno, il mio trisnonno, non è un luogo anonimo per me.»

A quel punto della loro discussione, Anne fu lì per lì per parlargli della scoperta del quaderno rosso e di tutto quello che aveva saputo sulla sua famiglia, tuttavia qualcosa la trattenne. L’espressione di suo marito? Il suo rifiuto di tutto quanto era collegato ad Ariane? Dopotutto, non si trattava della sua storia, delle sue radici, non si sarebbe sentito coinvolto. Eppure, nessuno lo era, tranne lei.

«Eccoci di nuovo in un vicolo cieco», constatò lui in tono triste. La scrutò come se si aspettasse da lei una soluzione, poi riprese: «Che cosa faremo dopo l’estate, amore mio?»

Anne si sforzò di rifletterci con calma. Paul voleva sapere come sarebbe stato il loro futuro, in che modo si sarebbero organizzati dopo le vacanze scolastiche. Se lei si rifiutava di tornare a casa loro per riprendere il corso normale della loro esistenza, avrebbe dato l’impressione di aver lasciato il tetto coniugale e abbandonato suo marito. Tuttavia, non vedeva altra scelta.

«Vendiamo la casa di Castets e arrediamo questa in base ai tuoi gusti. Léo sarà pazzo di gioia, e anch’io, per non parlare del cane. Per sei mesi l’anno passeremo il fine settimana in spiaggia, potremo ospitare tutti gli amici che vorremo, organizzare delle feste di famiglia gigantesche…»

«Stai sognando, Anne», replicò Paul con dolcezza.

Non aveva un vero e proprio argomento da contrapporle, ma non voleva cedere e, probabilmente, non lo avrebbe mai fatto.

«Va bene, mi arrendo», sospirò lei.

«Che vorresti dire?»

«Che resto qui.»

Non aveva nemmeno previsto di dirlo, in ogni caso non in maniera così brutale, ma era la verità. Di fatto, sarebbe rimasta, non per contrariarlo o per orgoglio, ma perché ne aveva voglia. E fare ciò di cui aveva voglia le era diventato d’un tratto indispensabile. Al di là della paura dei litigi, si profilava una felice ventata d’indipendenza, il soffio di una libertà ritrovata. Confessando: «Mi arrendo», rinunciava al braccio di ferro con Paul, non cercava più di sapere se aveva ragione o torto. Accettava di vivere l’avventura che le si era presentata dopo la morte di Ariane, e pazienza se avessero giudicato pazza anche lei.

Con la testa fra le mani, Paul tentava di superare la delusione. Quando finalmente alzò gli occhi su di lei, la fissò con una certa ostilità.

«Finiremo per separarci? Tutto per questa casa maledetta che porta sfortuna! Non capisco, Anne, ti giuro che sono distrutto. Ieri sera, pensavo di averti ritrovato, e questa mattina non sei più la stessa. Ci sono due donne dentro di te, e a una delle due non importa di me.»

«Cosa c’entra?» replicò Anne. «Io ti amo, Paul! Certo che ti amo, non ho il minimo dubbio in merito, non ne ho mai avuti da quando ci siamo sposati. Non sono i nostri sentimenti a essere in gioco.»

«E come credi che andrà a finire? Tu vuoi una cosa, io un’altra, le nostre strade rischiano di dividersi davvero. Sei pronta a correre il rischio? Ho come l’impressione che tu mi abbia dichiarato guerra!»

«È reciproco. Sei diventato il mio nemico, non l’avrei mai creduto possibile. Prima mi sostenevi, prendevi le mie difese, mentre adesso sei contro di me.»

«Perché ora non posso darti ragione! Penso che tuo padre non abbia torto quando sostiene che Ariane era pazza. Chissà che risate si è fatta mentre redigeva il testamento, immaginando il caos che avrebbe scatenato nella sua famiglia. Ha puntato su di te, e non ha sbagliato.»

Sembrava avere i nervi a fiori di pelle e spinse via la tazza, che si rovesciò. Per un istante, osservò la macchia di caffè che si allargava sul tavolo, poi si alzò bruscamente e uscì a grandi passi.

 

Suki fece passare nuovamente in rassegna le foto, elogiandole una per una.

«Hai veramente talento, tesoro! Sono sicura che queste case non sono così belle in realtà.»

«Sì, invece. Hugues Cazeneuve si occupa di immobili di lusso. Naturalmente, ho usato la luce giusta per renderli ancora più attraenti. In ogni modo, mi sono divertito, mi ha pagato bene e ho fatto delle belle gite nella zona.»

«Non saprei nemmeno quale scegliere se una fata gentile me ne regalasse una.»

Suki l’aveva detto ridendo, ma Valère si sentì ferito. Non avevano i mezzi per comprare una casa, persino modesta, e avrebbero di certo dovuto accontentarsi ancora a lungo del loro piccolo appartamento. Nell’attesa, per una volta avevano un po’ di soldi in tasca, e Valère era stato richiesto per due matrimoni nel mese di settembre. Per quanto riguardava il negozio di fiori, i clienti aumentavano, il che permetteva a Suki di pagare il mutuo. Molto attenta in fatto di contabilità, che faceva controllare ad Anne tutti i trimestri, sapeva gestire bene le proprie spese. Ma quando sarebbero finalmente stati un po’ tranquilli? Quanti anni ci sarebbero voluti per potersi divertire un po’? Valère aveva creduto che le cose si sarebbero mosse più in fretta. Aveva lasciato che Suki s’indebitasse per aprire la sua attività commerciale, convinto che anche lui avrebbe guadagnato bene. Purtroppo la sua carriera di fotografo non decollava. Anzi, non c’era nessuna carriera. Se, ai tempi della scuola, si era visto realizzare ritratti di artisti o scattare foto di modelle per le riviste di moda, da allora si era parecchio ricreduto. Non era più andato a Parigi come avrebbe dovuto, aveva solo perso tempo a correre dietro le ragazze e a fare la bella vita per anni, poi aveva incontrato Suki e la voglia di trasferirsi gli era passata del tutto. Adesso si considerava il fallito di famiglia, perché persino Jérôme sembrava avere una vita più divertente e avventurosa. Perché aveva scelto una professione così difficile? Perché aveva talento per la fotografia? Ebbene, non era stato abbastanza!

Raccolse le foto e le infilò in una busta imbottita.

«Vado a portarle all’agenzia», annunciò.

In momenti come quelli, in cui non si sentiva soddisfatto di sé, non poteva fare a meno di ripensare ai discorsi di Lily. E ora che, grazie a Hugues, intuiva il valore reale di villa Nogaro, pensava che se a ereditare fosse stato il loro padre, se lui avesse venduto e suddiviso il denaro tra i suoi quattro figli, ognuno avrebbe ricevuto una discreta somma. Con quella, lui e Suki avrebbero potuto realizzare mille progetti. Perché non aprire un’altra attività, un negozio di apparecchi fotografici in cui trovare i consigli di un professionista e tutti i dispositivi informatici per ottenere in pochi istanti delle stampe a partire da un cd, da chiavette USB o altre schede di memoria? Perché non traslocare in un bell’appartamento con vista sull’Adour? Perché non un viaggio a Parigi perché Suki potesse consultare i migliori specialisti nella ricerca in vitro? Comunque, era inutile fantasticare e alimentare delle illusioni, ormai soltanto Anne poteva permettersi dei programmi concreti, era proprio fortunata.

Ce l’aveva con se stesso per quei pensieri meschini, tanto più che voleva bene alla sorella minore e si rifiutava di provare invidia. Non intendeva proprio inacidirsi come Lily o come la loro madre! Tuttavia, a forza di rifletterci, era giunto alla conclusione che, anche se Anne era l’unica erede, avrebbe almeno potuto vendere e dare qualcosa a sua sorella e ai suoi fratelli. Perché si ostinava a tenere quella casa? La sera prima, Paul l’aveva chiamato e gli aveva parlato con il cuore in mano, avvilito dall’atteggiamento di Anne che li avrebbe portati dritti al divorzio. Non sapeva più cosa fare e sperava che il suo amico Valère potesse intervenire: «Sei suo fratello maggiore, forse ti ascolterà, perché per lei la questione è chiusa. E Jérôme, in mezzo a tutto questo, s’ingegna a buttare benzina sul fuoco! Quando Léo tornerà dalla Spagna, non so nemmeno che cosa gli diremo. Che ci separiamo senza un valido motivo? Ma ci pensi? E dove passerà i fine settimana? Una volta a casa di Anne e una a casa mia?»

Paul pronunciava «a casa di Anne» con un astio molto significativo, non sarebbe mai andato ad abitare laggiù. Ma come diavolo aveva potuto una coppia unita come quella di Anne e Paul arrivare a quel punto così in fretta? All’inizio, l’amore è più forte di tutto, no? O forse, l’illuso era Valère. In ogni modo, non intendeva mettersi tra loro. Sua sorella aveva la testa sulle spalle, sapeva quello che stava facendo e non era il tipo che s’intestardiva senza ragione. Mentre Paul… nonostante tutte le sue qualità, aveva un ego talvolta ingombrante.

A venti metri dall’agenzia immobiliare, Valère si bloccò, la busta sotto il braccio. Anne non provava nessun interesse per Hugues Cazeneuve, ci avrebbe potuto giurare, tuttavia Paul giocava con il fuoco lasciandola sola. Dopo tredici anni di matrimonio e quel totale disaccordo sul loro stile di vita, il rischio di rottura c’era.

Andrò a trovare Anne e ne parlerò con lei, ma non servirà a niente. A meno che non riesca miracolosamente a convincerla a vendere. Magari sta aspettando che qualcuno l’aiuti a uscire da questo vicolo cieco, qualcuno che non sia suo marito e che le permetta di cambiare idea senza perdere la faccia.

Conoscendo la sorella, non ci credeva affatto, comunque ci avrebbe provato, per l’amicizia che lo legava a Paul, per l’affetto che provava per lei e perché, se il suo tentativo fosse riuscito, ci avrebbe guadagnato anche lui.

 

Jérôme parcheggiò l’auto di Anne vicino alla porta della cucina per scaricare la spesa. Aveva comprato tutto quanto era stato segnato sulla lista, con in più una bottiglia di vodka per regalarsene un bicchierino, di soppiatto, la sera. Di tanto in tanto gli piaceva molto bere qualcosa di forte o fumare una canna, ma era contento di non essere dipendente da niente, tranne le sigarette. Cosa che, tenuto conto del tipo di vita che aveva condotto fino ad allora, aveva dell’incredibile. O era stato un colpo di fortuna.

Stava sollevando una confezione di succhi di frutta, quando Anne uscì dalla porta principale e lo chiamò.

«Hai una visita!» gli gridò allegra.

Subito in allarme, Jérôme si bloccò. Nel momento in cui girò la testa, scoprì ciò che più temeva: la figura di Jack si profilava alle spalle di Anne sotto il portico. Quella stupida aveva lasciato entrare il lupo nell’ovile.

«Hello, Jérôme», lo salutò Jack con il suo forte accento inglese.

In effetti, il suo sorriso freddo assomigliava proprio a quello di un lupo. Jérôme rimpianse amaramente di non avere avuto il coraggio di raccontare tutto ad Anne come si era ripromesso, perché lei doveva di certo pensare che si trattasse di un amico. Riappoggiando la confezione di succhi dentro il baule, si avvicinò.

«Ciao, vecchio mio. Sei di passaggio nella regione?»

«Un passaggio obbligato.»

Jack andava sempre dritto al punto, non avrebbe tardato a parlare di soldi.

«Hai una sorella davvero affascinante», aggiunse galante. «Mi ha offerto un ottimo tè, e tu sai che ho dei gusti difficili…»

Scese i gradini del portico per dare a Jérôme una pacca un po’ troppo forte.

«Inoltre, avete una casa splendida!»

«È di Anne, sono suo ospite.»

«Sì, questo mi è chiaro.»

Jack si sforzava di esprimersi in francese, il che rendeva le sue risposte a malapena comprensibili.

«Immagino tu ti renda conto che non sono qui in veste di turista.»

«Ti faccio fare un giro nella pineta?» si affrettò a suggerire Jérôme.

Doveva assolutamente portarlo lontano da Anne, temendo il modo in cui Jack rischiava di parlare della questione.

«Non posso. Mi ha accompagnato Will, che tornerà a prendermi al cancello. Da quando siamo arrivati, si allena a guidare a destra!»

Con una risatina, indicò l’orologio.

«Secondo me non tarderà, quindi sbrighiamoci. Hai con te il libretto degli assegni?»

«No, io…»

«I contanti andranno benissimo», tagliò corto Jack.

In maniera esplicita, tese la mano verso Jérôme, il palmo rivolto verso l’alto.

«Allora?»

«Mi prendi alla sprovvista.»

«Stai scherzando?» si arrabbiò Jack. Tornando alla sua lingua madre, riprese d’un fiato: «Avresti dovuto pagare i tuoi debiti tanto tempo fa! Con gli interessi, fanno seimila euro tondi tondi e li voglio adesso. Come premio, un pugno in faccia te lo beccherai comunque, ma prima dammi i soldi.»

«Non ce li ho, Jack. Non ho niente con me, nemmeno un euro, e non ho ancora trovato un lavoro qui in Francia…»

L’ultima parola gli rimase strozzata in gola perché Jack lo aveva afferrato per il collo della camicia.

«Ma che cosa fa?» intervenne Anne.

Aveva sceso i gradini del portico e si rivolse a Jack in inglese.

«Lasci andare subito mio fratello!»

«Tu non immischiarti, cretina. Questo coglione mi deve dei soldi e me li darà oppure se ne pentirà.»

«La cretina adesso chiama la polizia», replicò Anne prendendo il cellulare dalla tasca dei jeans.

Jack glielo strappò e lo scagliò contro la facciata, mandandolo in frantumi.

«Goliath!» urlò Anne. «Goliath!»

Jack la guardò come se fosse diventata pazza, chiedendosi chi stesse chiamando, ma nel contempo il cane si alzò dal suo angolino dentro casa e arrivò di corsa, i denti in mostra. Le grida di Anne dovevano averlo spaventato perché sembrava incontrollabile. D’istinto, Jack lasciò andare Jérôme e fece due passi indietro. Davanti a lui, Goliath ringhiava girandogli intorno. Anne lo afferrò per il collare per farlo sedere, poi si rivolse a Jack con voce spenta.

«Mio fratello le deve dei soldi?»

«Seimila euro.»

«Non mi sembra il caso di picchiarsi per questo.»

«Invece sì! Abbiamo un problema serio da risolvere lui e io… Per i soldi e per qualcos’altro. Non se n’è vantato?»

Con la coda dell’occhio, l’uomo sorvegliava il cane, visibilmente a disagio in presenza di un mastino di quelle dimensioni. Tuttavia, anche se aveva abbassato la voce e smesso di fare gesti bruschi, non aveva cambiato idea sulla sua posizione di creditore. Anne lo fissò un momento prima di girarsi verso Jérôme.

«È vero?»

«Sì», ammise lui a malincuore.

«Non lascerò la Francia senza il mio denaro», precisò Jack. «E le dico anche che potrei benissimo tornare per avvelenare il cane e dare fuoco alla casa.»

«Roba da niente!» ironizzò Anne.

«Le conviene prendermi in parola», ribadì Jack, guardandola dritto negli occhi.

Restarono qualche istante a fissarsi, poi Anne annuì.

«Torni dopodomani, avrà i suoi soldi. Anche lei può prendermi in parola.»

Jérôme trattenne un sospiro di sollievo e si guardò bene dall’aggiungere qualcosa.

«Dopodomani», ripeté Jack, in francese stavolta. «Sarò qui alle undici.»

Si allontanò senza fretta, attraversando la radura e imboccando il sentiero. Quando lo persero di vista, Anne fece segno a Jérôme di seguirla. Raggiunsero la cucina insieme al cane, e Anne chiuse la porta.

«Suppongo che parlasse seriamente?» domandò Anne fissando il fratello.

«Sì.»

«Ed è pericoloso?»

«Jack è uno che non scherza, e sono dispiaciuto che mi abbia seguito fin qui. Pensavo di aver più tempo per risolvere il problema.»

«E come pensavi di fare?»

«Oh, Anne…»

Affranto, Jérôme si lasciò cadere su uno sgabello. Non sapeva come raccontare la sua storia ad Anne per renderla accettabile.

«A Londra dividevamo l’appartamento e gli devo qualche mese di affitto.»

Le braccia incrociate, sempre in piedi, Anne aspettava il seguito. Non gli avrebbe permesso di cavarsela con quell’inizio di spiegazione troppo vago che non giustificava la rabbia dell’inglese.

«Prima della mia partenza, ci siamo picchiati. Gli ho rotto una chitarra a cui teneva molto. Perché Jack è un ottimo musicista che ha già…»

«Non me ne frega niente. Allora, la chitarra e l’affitto arretrato, in tutto fanno seimila euro?»

«Diciamo che, una o due volte, gli ho fregato un po’ di denaro, ma niente di che. Ha fatto cifra tonda a suo vantaggio, compresi gli interessi.»

«E perché vi siete picchiati?»

«Per via di…»

Jérôme s’interruppe, scrutò la sorella, poi finì per stringersi nelle spalle.

«Il suo ragazzo, William. Dopo una serata di bevute, me lo sono portato a letto.»

Anne spalancò gli occhi, incredula.

«Sei gay?»

«Non sempre.»

«Oh Signore!»

Anne girò intorno al tavolo e gli si sedette di fronte.

«Comunque, il problema rimane, dobbiamo trovare seimila euro per toglierci di mezzo questo tizio. Inutile dirti che sul mio conto non ho questa cifra.»

«Magari…»

«Non parlarmi di Paul, va bene? Non esiste che mi rivolga a lui. Siamo in piena crisi, non è il momento di infilarci anche questioni di denaro. E, considerati i vostri rapporti, non sarebbe certo disposto a correre in tuo aiuto.»

«Ma tu?»

«Siamo sposati, ogni cosa è intestata a entrambi.»

«E il tuo notaio?»

«Finché la successione non sarà conclusa, non sbloccherà un centesimo. Non so nemmeno se resteranno liquidi a sufficienza per pagare le tasse e tenere la casa. Ho le mani legate, dovrò chiederli a qualcun altro. I nostri genitori?»

«No! Ho cercato di impietosirli fin troppe volte con ogni tipo di bugia, non ne vorranno più sapere. E seimila euro, sarebbero troppi per loro.»

«Jérôme, sei un immaturo, uno sconsiderato… Hai visto in che casino ti sei messo?»

«Ti ci sei messa anche tu, ti sei impegnata. Perché hai promesso i soldi a Jack?»

«Perché non puoi competere con lui, perché ti aspetterebbe dietro l’angolo per farti a pezzi!»

A quelle parole, Jérôme non aveva niente da replicare. Alto un metro e ottanta e con la corporatura da atleta, Jack lo terrorizzava. Quando avevano fatto a pugni a Londra, se non l’avesse in parte stordito con la chitarra, non sarebbe riuscito a fuggire.

«Chiamerò Julien», decise Anne. «Gli chiederò se può fare questa cosa per me senza dire niente a nessuno, non voglio che Paul venga a saperlo.»

«Paul il santo», borbottò Jérôme.

«Piantala!»

«Scusa, ma sarebbe più semplice se tuo marito…»

«Lascialo in pace. Julien è una soluzione migliore, a patto che accetti. Però non posso telefonargli alla clinica, la segretaria non capirebbe, mi passerebbe Paul. Aspetterò che Julien torni a casa stasera.»

Si alzò, subito imitata da Goliath, a cui accarezzò le orecchie.

«Tu sei un vero amico. Se avessi dei risparmi, sono sicura che me li presteresti.»

Jérôme scoppiò a ridere, molto sollevato dalla svolta presa dagli eventi. Tanto la presenza di Jack l’aveva angosciato, quanto il comportamento di sua sorella gli aveva restituito fiducia. Lei aveva trovato una soluzione, doveva solo pazientare quarantotto ore e sarebbe finito tutto. Naturalmente, dopo sarebbe stato in debito con Anne, ma i debiti in famiglia non contavano. E, potenzialmente, Anne era diventata ricca, poteva di certo fargli quel regalo.

«A partire da domani mattina, ti cercherai un lavoro, promettimelo.»

Promettere non gli costava niente e annuì. Avrebbe fatto finta di cercarlo per farle piacere, ma non contava di farlo. Per fare cosa? Un lavoro insulso e mal pagato? Una vita di ozio gli andava benissimo per il momento. Era stanco di quegli anni da vagabondo e di privazioni, e voleva godersi un inverno tranquillo per fare il punto della situazione. La primavera successiva sarebbe ripartito all’avventura, o forse no. Se per lui era arrivato il tempo di fermarsi, ancora non sapeva dove né come. L’esempio di suo fratello e delle sue sorelle non aveva nulla di incoraggiante, con Valère che faticava, Lily che si annoiava e Anne che si ritrovava a un passo dal divorzio per il suo primo anelito di indipendenza.

La seguì con gli occhi mentre lasciava la cucina, con il cane alle calcagna. In fondo, non le stava facendo un favore spingendola a mollare Paul? Aveva deliberatamente gettato benzina sul fuoco in occasione della visita di suo cognato e se ne rallegrava. Quell’uomo non era fatto per renderla felice, non capiva nulla del suo estro. Era stato facile mandarlo in bestia, e in quel momento si era rivelato per quello che era davvero: un censore, una spina nel fianco.

Rammentando che non aveva finito di svuotare il baule dell’auto, decise di darsi una mossa. Nello stesso istante, Anne riaprì la porta di colpo con un’espressione trionfale.

«Ho appena chiamato papà per chiedergli se non potrebbe aiutarti a trovare un lavoro. Lui ha ancora molti contatti a Biarritz, mi ha detto che avrebbe chiesto in giro!»

«Ma è un’ottima notizia!» ironizzò Jérôme. «Fare il custode in una scuola media oppure dare ripetizioni agli allievi delle elementari.»

«Dovrai pur fare qualcosa.»

«Preferisco pensarci da solo. E poi, in questi giorni mi è venuta un’idea di cui devo assolutamente parlarti.»

Anne fece un’espressione dubbiosa, ma lo invitò a continuare.

«Se sei davvero decisa a restare qui, so che cosa potremmo fare tu e io insieme per guadagnare un po’ di denaro, al contempo ristrutturando la villa. Perché bisogna far rendere la tua eredità, vecchia mia. L’idea sarebbe quella di trasformare la casa in un bed and breakfast! Un progetto interessante dal punto di vista fiscale che permetterebbe di ammortizzare i lavori e, in più, di vivacizzare un po’ l’ambiente. Altrimenti, finiremo per annoiarci da morire.»

«Non sono assolutamente pronta a…»

«Aspetta! Prima rifletti, Anne. La casa è grande, ci sono delle stanze inutilizzate al secondo piano che potrebbero diventare delle bellissime camere. Cominciamo con tre e ti prometto che avremo dei clienti per tutto l’anno.»

«Léo vorrebbe creare un locale per il biliardo lassù.»

«Ma il posto c’è!»

«E chi ci anticiperà i soldi per i lavori? Ti ricordo che persino per i tuoi seimila euro di debito sono obbligata a chiedere a un amico.»

«Sono due cose diverse. In questo caso, si tratta di un progetto redditizio, qualcosa di professionale. Potresti chiedere un prestito o accendere un mutuo. Chiedi consiglio al tuo notaio, sono sicuro che mi darà ragione.»

Quell’idea, che gli era venuta solo cinque minuti prima unicamente per sottrarsi a un possibile lavoro scovatogli dal padre, gli sembrava sempre più accattivante. Era entusiasta.

«Molti lavoretti posso farli io», proseguì. «Per prima cosa, occuparmi dell’impianto elettrico e di quello idraulico, poi alla tinteggiatura delle pareti, ai pavimenti… Quando saremo pronti per accogliere gli ospiti, seguirò l’aspetto della comunicazione, ti creerò un bel sito Internet, e poi ci penserò io a ricevere i clienti se non vuoi farlo tu. Nel frattempo, continuerai a lavorare tranquillamente sulle tue pratiche contabili e vinceremo su tutti fronti! Ultimo vantaggio, e non meno importante, dimostrerai a tuo marito e a tutta la famiglia che hai avuto mille volte ragione a tenere la villa. È una miniera d’oro, Anne…»

Un po’ scossa, lo fissò senza dire niente, soppesando i pro e i contro. Jérôme sperava che la sorella cedesse perché in quel progetto la sua presenza diventava indispensabile e anche il suo futuro di poche fatiche.

«Ci penserò su», finì per concedergli, prima di uscire di nuovo.

Conoscendola, Anne si sarebbe informata prima di decidere. Tuttavia, gli agriturismi o i bed and breakfast facevano furore in quel periodo di crisi e, nella regione, i turisti non mancavano. In fondo, quel piano improvvisato presentava solo vantaggi, persino per lei. E a immaginare la faccia di Paul, Jérôme sorrideva già. Dopotutto, la giornata non era stata così brutta malgrado la visita di Jack. Se Anne avesse ottenuto l’appoggio di Julien per i seimila euro, sarebbe stata perfetta.

«Glieli darà», si disse. «Lui le è affezionato, molto affezionato… E non appena avremo la risposta, festeggeremo con un bel cocktail!»

Erano anni che non si sentiva così sereno. Anne era una brava ragazza e rifugiarsi a casa sua era stata un’idea geniale. Avrebbero fatto grandi cose insieme, e quella storia del bed and breakfast era un’idea davvero promettente. Se avesse funzionato, nessuno avrebbe più avuto il diritto di trattarlo da scroccone, una prospettiva che lo rallegrava oltre ogni dire. Con un po’ di fortuna, sarebbe finalmente diventato qualcuno, ed era pronto ad aiutare la fortuna con qualunque mezzo.