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Basilio ha intenzione di lavorare fino a tardi. Alle diciannove ha dovuto lasciare la facoltà, ma si è portato dietro il computer. Vuole finalizzare il documento contenente tutte le schede dei nuovi iscritti al corso di Storia del Restauro per presentarlo al professor Marroni l’indomani, in anticipo rispetto alla consegna concordata.

Deve tutto al professore e ci tiene a fare bella figura. Dopo la laurea aveva vinto il bando in dottorato di ricerca, quindi Marroni gli aveva offerto un posto come assistente ordinario. Basilio però aveva altro in mente: voleva vivere di arte. Così aveva rifiutato, trasferendosi per un breve periodo a Mantova. Ci era rimasto per quasi un anno e all’inizio le cose erano andate per il meglio. Era riuscito ad accordarsi con una galleria in cui poteva esporre le sue opere, nel tempo libero eseguiva lavori su commissione, partecipava a eventi culturali e aveva messo in piedi un corso di bodypainting per una scuola di grafica. Aveva vissuto anche a Milano per sei mesi, poi a Torino e quindi a Napoli, in cerca di fortuna come scultore e pittore.

Non era andata secondo le sue aspettative. Basilio si era scontrato con una dura realtà: non esistevano più mecenati che finanziavano gli artisti, le curie non avevano soldi da investire, le chiese moderne di periferia erano sempre più fredde e anonime. I privati che acquistavano opere di valore erano rari, preferivano valorizzare le loro ville con piscine, giardini e dispositivi hi-tech. La crisi economica degli ultimi anni, infine, aveva colpito la fascia media della popolazione, che si accontentava di arredare la casa con stampe economiche. Basilio aveva realizzato che vivere d’arte era diventato un sogno. Un bellissimo sogno di cui si sarebbe saziato volentieri, se non avesse dovuto scontrarsi con la quotidianità. I guadagni non erano mai abbastanza, a stento riusciva ad arrivare a fine mese. Si era convinto che in Italia non avrebbe mai avuto alcuna opportunità e che l’unica speranza era tentare la fortuna all’estero. Ci aveva provato a Parigi, poi a Londra per qualche mese, ma il costo della vita e il prezzo degli affitti erano superiori a quanto potesse permettersi.

Tornato in Italia si era trasferito a Venezia, e qui era successo qualcosa di inaspettato. Un amore improvviso e devastante, che aveva assorbito ogni sua attenzione. Una persona che era stata capace di fargli perdere la ragione, per cui aveva abbandonato ogni proposito fino a mettere in secondo piano persino la sua passione per l’arte. Ma, con la stessa rapidità con la quale era entrata nella sua vita, una sera era svanita nel nulla.

Quella era stata l’ultima sconfitta, il punto di svolta. Basilio infine aveva ceduto. Aveva continuato a trasferirsi di città in città, ma la fiamma creativa si era spenta. Era tornato quindi all’insegnamento, alla vita asfittica di Roma, alla prigione dell’università. Il lavoro in realtà gli piaceva, ma raramente incontrava alunni che dimostravano il suo stesso trasporto per l’arte.

A Roma viveva nel quartiere di San Lorenzo, in un appartamento in affitto in condivisione con due studenti, che sì e no aveva incrociato un paio di volte. A malapena ne ricordava i nomi. Del resto Basilio non era mai stato socievole di natura, durante gli anni universitari non era riuscito a stringere neppure un’amicizia.

Quando era tornato nella capitale, aveva optato per una soluzione economica e vicina all’università, ripromettendosi di cercare un monolocale con calma. Poi il lavoro l’aveva totalmente assorbito, costringendolo a rimandare ogni proposito di trasferirsi altrove. I week-end, invece, Basilio si era imposto di allontanarsi dalla città per trascorrere qualche giorno di relax in un agriturismo lungo il litorale romano. Silenzio e tranquillità erano ciò di cui aveva bisogno per tornare a dedicarsi alla sua vera passione.

Basilio era convinto che nei ritagli di tempo sarebbe riuscito a portare avanti i suoi lavori, in fondo non aveva mai accantonato l’idea di vivere d’arte. Ma un giorno, guardando l’opera incompiuta che tuttora campeggiava sul treppiede in un angolo della sua stanza, aveva dovuto accettare con rammarico la terribile verità: l’ispirazione lo aveva abbandonato. Le muse della pittura e della scultura, che fin da piccolo avevano guidato il pennello e lo scalpello, non sarebbero mai più tornate. E più ci rifletteva, più si convinceva che tutto era iniziato quel maledetto giorno a Venezia, quando aveva conosciuto il suo unico amore.

Basilio apre il portone del palazzo. Sale le scale che conducono al primo piano, quindi entra nell’appartamento.

Le luci della cucina e del salone sono spente. Resta in ascolto, nessun rumore dalle camere dei coinquilini. Tira un sospiro di sollievo, con un po’ di fortuna potrà stare in santa pace, da solo.

Si toglie il cappotto e si appresta a raggiungere la sua stanza, arredata semplicemente ma ben illuminata.

— Ciao, Bas.

Basilio si blocca. Il sangue gli si gela nelle vene.

Si volta verso il soggiorno. È immerso nell’oscurità e non riesce a vedere chi gli ha parlato. Comunque, conosce quella voce. E non appartiene a nessuno dei coinquilini.

Avanza di un passo. Si ferma sul ciglio della porta. Gli manca il fiato, come se un macigno invisibile gli schiacciasse i polmoni.

Sbircia tra le tenebre.

E lo vede.

Uno spettro emerso dal passato che si fonde con il buio del presente. Seduto su una poltrona, di spalle. La silhouette della testa, i riccioli sulla nuca. L’ombra si alza in piedi. Si gira lentamente. Si avvicina.

Basilio sgrana gli occhi quando il fantasma assume forme più definite. Nella penombra, infine, ogni dubbio è fugato.

— Dorian?

Dorian sorride. Socchiude le palpebre. Lo osserva con attenzione.

— Sei identico a come ti ricordavo. Il tempo è stato magnanimo con te.

Basilio stringe i pugni, combattuto fra l’impulso di saltargli alla gola e il desiderio irrefrenabile di averlo di nuovo tra le braccia.

Ma è Dorian a rompere l’incertezza e annullare le distanze. Lo abbraccia. Lo stringe a sé. Con la mano gli accarezza la nuca. Le dita gli sfiorano il collo.

Un brivido. La coscienza di qualcosa di eternamente sbagliato.

Basilio si stacca. Indietreggia. — Cosa ci fai qui?

— È un peccato venire a trovare un amico?

— Come hai fatto a entrare?

— Un’ora fa c’era un certo… Mario?

— Marzio.

— Gli ho detto che ero un tuo amico e che avevamo un appuntamento. Mi ha fatto salire. Ti ho aspettato qui.

Un sorriso sinistro si disegna sul viso di Dorian.

Una goccia di sudore imperla la fronte di Basilio.

— Non avevamo nessun appuntamento. — Basilio si riscuote, drizzando le spalle.

— Abbiamo sempre saputo che ci saremmo rivisti. Siamo solo stati sciocchi a non decidere quando.

Basilio si perde per un istante nelle iridi celesti di Dorian. Poi la rabbia lo assale d’improvviso. Alza la mano, gli indica la porta.

— Esci di qui. Subito.

Dorian lo ignora. Si toglie la giacca e la abbandona a terra. Indossa un paio di pantaloni neri lucidi e una camicia bianca aderente.

— Vattene subito. Non voglio più avere niente a che fare con te. Fuori!

Dorian si avvicina. — Il tuo peggior difetto è sempre stato quello di non dire ciò che pensi veramente.

Basilio lascia cadere la borsa sul pavimento. Gli punta l’indice davanti al viso. — La notte prima c’eri, la mattina dopo eri scomparso. Cosa devo pensare di te? Nulla, perché sono stato io lo stupido, l’illuso. Che tu sia maledetto, Dorian.

— Sono stato maledetto tanto tempo fa — ribatte lui, imperturbabile.

— Ero sul punto di rinunciare a tutto pur di stare con te!

— Non te l’ho mai chiesto, è stata una tua libera scelta. Una pessima scelta.

Basilio è fuori di sé, rosso in volto. La freddezza di Dorian incendia la sua rabbia. — Sei solo un bastardo.

— Pensi davvero questo?

— Vuoi sapere cosa penso di te?

— Che mi ami. Mi odi. Mi desideri. Ha forse importanza?

Basilio si scaglia su di lui, ma Dorian evita il suo pugno. Gli gira le spalle e si avvia verso la stanza in fondo al corridoio.

— Non mi fai vedere dove vivi? Non essere maleducato, non è da te.

Appena arriva davanti alla porta, Basilio lo afferra alle spalle e lo sbatte contro il muro. I loro volti sono a pochi centimetri di distanza.

— Quanta passione, Bas. Ignoravo questo tuo lato. Ma mi piace.

La voce di Dorian è diventata un sussurro. Un bisbiglio tagliente come una lama.

— Cosa diavolo vuoi da me? Quella notte per me è finito tutto.

— Per me, invece, quella notte è iniziato tutto.

Basilio cerca con foga la chiave della stanza in tasca, la infila nella serratura, ma cade a terra. La raccoglie, ansima, la mente e la vista appannate. Apre la porta, s’infila dentro. Prima che possa chiuderla, Dorian blocca la maniglia. — Voglio solo parlare, Bas. Un minuto e me ne vado.

— Non c’è nulla da dire.

— Stavolta, se me ne andrò, sarà per sempre. E sarai tu ad avermi rifiutato. Vuoi davvero questo?

Basilio esita. Infine indietreggia. Lo fissa negli occhi. E cede ancora una volta.

— Un minuto e te ne vai.

— Sessanta secondi basteranno, te lo prometto.

Dorian entra. Basilio accende la luce.

Sessanta.

L’Anima Nera è stata invitata come un vampiro nella dimora della propria vittima.

E scruta la nuova vita di Basilio.

Il letto sfatto. L’anta dell’armadio aperta, pochi vestiti dentro. Pareti completamente spoglie, macchiate da aloni di muffa agli angoli con il soffitto. Sul parquet di legno ci sono fogli, matite, pennelli. Due paia di scarpe. Un treppiede vicino alla finestra. Una scrivania con sopra pile di libri e il monitor di un computer. Un altro tavolo poco distante, la superficie è rivestita con un telo di plastica trasparente. Sopra ci sono due bacinelle con del liquido bianco.

Cinquanta.

Dorian si avvicina al treppiede. C’è una tela con un disegno appena abbozzato. Ritrae un canale di Venezia, un dettaglio del ponte dei Sospiri. È notte fonda, il cielo una lastra di piombo. Sull’acqua nera come petrolio scivola una gondola. Là sopra, in piedi, l’unico punto di luce del quadro. Un ragazzo nudo. Un corpo muscoloso e perfetto. Un viso che è solo un ovale senza lineamenti.

Quaranta.

— Mi ricordo questo quadro — mormora Dorian. — Lo dipingevi quella sera.

— Che memoria…

— Non l’hai più finito?

— Vattene, Dorian.

Trenta.

— Hai altro da mostrarmi?

Basilio ringhia. — Non deve interessarti quello che faccio.

— Ho sempre amato la tua arte.

— Ma non hai mai amato me!

Dorian cammina verso il tavolo con le bacinelle. Immerge un dito nel liquido bianco. Sorride.

Venti.

— Non ti bastava più disegnarmi. Non volevi più solo vedermi. Mi volevi toccare di nuovo. Ricostruire il mio corpo con il gesso.

— Tu vaneggi.

Dorian si toglie la camicia. Immerge la mano nel gesso e poi se la passa sul collo, scende sul petto e sull’addome.

Dieci.

— Cosa diavolo stai facendo! — grida Basilio, incredulo.

Dorian si avvicina. Gli prende una mano, la guida sul suo corpo. Basilio oppone prima resistenza, infine si lascia guidare.

— Adesso non hai più bisogno di scolpirmi. Sono qui, Bas.

Lui rimane a bocca aperta. È un istante, poi Dorian afferra il colletto della sua camicia, l’apre con violenza. I bottoni schizzano in aria e cadono a terra.

Lo spinge. Basilio perde l’equilibrio, cade all’indietro sul letto.

Zero.

Il tempo è scaduto.

Il demone è tornato.