3.

Si mossero a notte inoltrata, per ridurre al minimo il rischio di incontrare qualcuno dei vecchi amici di Lopez.

Avevano tre macchine. In una c’erano la dottoressa, il capitano e il suo autista; nella seconda Fenoglio e Pellecchia; nella terza il carabiniere scelto Montemurro, il brigadiere Grandolfo, l’appuntato De Paola e Lopez.

Percorsero la tangenziale fino all’uscita di Palese; presero una complanare e, qualche chilometro dopo, una stradina sterrata il cui accesso era quasi invisibile. Una via da contrabbandieri, si disse Fenoglio, sperando che non capitasse di incontrarne qualcuno. Non era la notte giusta per una digressione.

Ci volle un quarto d’ora, nella campagna illuminata in modo spettrale dalla luna, per arrivare a un piccolo spiazzo con un minuscolo magazzino intonacato, di quelli che i contadini usano per riporre gli attrezzi. Scendendo dall’auto, anche se il posto sembrava deserto, Fenoglio pensò che tutta quella luce lunare lo rendeva nervoso. Non aveva mai amato le armi e, potendo, evitava di portare con sé la pistola, ma in quel momento cercò il contatto con il calcio della Beretta 92 infilata nella cintura. Fu un gesto meccanico, una specie di scongiuro. Era improbabile che ci fossero uomini di Grimaldi appostati per tendere un agguato a Lopez, ma è delle cose piú improbabili che abbiamo paura, in certe situazioni.

– Dove dobbiamo andare, Vito? – chiese Pellecchia a voce bassa, come se intorno ci fosse qualcuno che non doveva sentire. Appunto.

– La porta è dietro, ho la chiave, – rispose Lopez.

Aprirono. Dentro era buio nero, c’era odore di umido, di fieno, di terra e di sterco secco. Montemurro e Grandolfo accesero due grosse torce e fecero balenare coni nervosi di luce. Il piccolo locale era quasi vuoto. Alcune zappe e alcune roncole, due damigiane, dei sacchi di iuta, tutto ammucchiato in un angolo.

– Là, – indicò Lopez.

Sotto i sacchi c’era una botola di legno e sotto la botola un piccolo vano di tufo a pianta quadrata, con il lato di meno di un metro e profondo forse un metro e mezzo.

– Posso scendere?

La D’Angelo disse che poteva e Lopez saltò giú con movimento elastico, da atleta. Lavorò sul pavimento per qualche minuto, spostò due grossi mattoni di tufo e recuperò alcuni involucri di stoffa. Li consegnò ai carabinieri e si tirò fuori, senza preoccuparsi di rimettere a posto. – Tanto questo non lo userà piú nessuno, – commentò accennando un sorriso che aveva qualcosa di stranamente indifeso. Non ci furono obiezioni.

Poggiarono gli involucri sul pavimento del locale. La D’Angelo si accese una sigaretta. Lopez chiese il permesso di fumare anche lui. Era civilizzato, si disse Fenoglio. Un pluriomicida civilizzato. E sembrava anche simpatico. Una parola assurda – simpatico – riferita a un uomo che aveva trascorso la vita rubando, trafficando, estorcendo e uccidendo senza pietà. Non era la prima volta che Fenoglio faceva questo tipo di riflessione. C’erano criminali stupidi, brutali, cattivi e odiosi. Erano come dovrebbero essere i criminali per corrispondere a una visione semplice e tranquillizzante del mondo. Siete diversi da noi. Voi i cattivi, noi i buoni. Tutto chiaro e decifrabile.

Però poi c’erano – ne aveva incontrati tanti – spacciatori intelligenti; rapinatori simpatici; assassini capaci di inattesi e gratuiti gesti di umanità. Loro complicavano le cose, rendevano meno facili le classificazioni.

Aprirono gli involti che racchiudevano l’arsenale di Lopez. C’erano pistole di ogni calibro, da una 6.35 a una 44 magnum passando per varie semiautomatiche; c’erano fucili a pompa, un fucile a canne mozze, una mitraglietta skorpion, un kalashnikov, delle bombe a mano simili a piccoli ananas bruni e tante munizioni sfuse che parevano un esercito di scarafaggi assopiti.

La dottoressa emise un fischio. Pellecchia tirò su col naso. Fenoglio si passò la mano sulla barba di un giorno. Probabilmente anche gli altri fecero qualche gesto nella semioscurità.

– Tutto scarico, vero, Lopez? – chiese Fenoglio.

– Tutto scarico, maresciallo. Le bombe sono in sicura, non vi preoccupate.

La D’Angelo si piegò sulle ginocchia e prese il fucile d’assalto. – Questo è un kalashnikov.

– Sí, dottoressa, – rispose il capitano.

– È il primo che vedo dal vivo. Ne ho fatti arrestare parecchi, in Calabria, per detenzione o porto di questi cosi, ma è la prima volta che ne tocco uno.

– Le dispiace se controlliamo in canna, dottoressa? A volte rimane un colpo… – disse il capitano.

– È tutto scarico, non vi preoccupate, – ripeté Lopez.

– Pensavo fosse piú pesante, – disse la pm bilanciandosi l’arma fra le braccia come fosse un bambino.

– Scarico, sono tre chili e mezzo. Con il caricatore pieno, circa quattro, – disse il brigadiere Grandolfo. La scena aveva un che di teatrale. Durò qualche decina di secondi, poi il senso pratico prevalse.

– Prendiamo tutto e andiamocene, – disse la D’Angelo.

I carabinieri riarrotolarono gli involucri, li trasportarono fuori dal magazzino e li misero nei portabagagli delle auto. Con un gesto che parve una metafora, Lopez stesso chiuse la porta e rimase lí, con la chiave in mano, nel piazzale inondato dalla luce della luna.

– Dammela, non ti serve piú, – disse Fenoglio.

Cinque minuti dopo il piccolo corteo di automobili si snodava di nuovo nella campagna e fra gli ulivi. Gli equipaggi erano gli stessi dell’andata.

– Che ne pensi della storia dell’attentato? Ti sembra credibile o l’ha detto solo per darsi importanza col pm? –

chiese Fenoglio a Pellecchia che si stava riaccendendo il sigaro.

– Penso che Grimaldi è un pezzo di merda cattivo. È capace di farla davvero una cosa del genere. E Lopez, per quanto ne so io, è un delinquente serio. Uno che non spara cazzate.

– La mia stessa opinione.

– Che te ne sembra della donna?

– Che donna?

– La giudice.

Fenoglio scosse la testa. La donna. Pellecchia era inguaribile.

– È brava, è dura. Se fossi un avvocato non vorrei averla contro. Ha qualcosa che mi sfugge, ma non riesco a capire cosa –. Lasciò passare alcuni secondi. – Bella frase idiota, ho detto. Se mi sfugge, è ovvio che non riesco a capire cos’è.

Pellecchia ridacchiò rauco. – E adesso che facciamo?

– Torniamo in caserma, mettiamo sotto chiave le armi e ce ne andiamo a dormire. Domani facciamo il verbale di sequestro, poi immagino che inizieremo a verbalizzare le dichiarazioni del nostro nuovo amico.

– Se davvero vuota il sacco ci vorrà un bel po’ di tempo. Il cornuto ha un sacco di roba da raccontare. Come si procede?

– Deciderà la dottoressa ma credo che Lopez dovrà cominciare dalle cose piú gravi commesse da lui, per dimostrare che non sta facendo giochetti. Omicidi, grosso traffico, estorsioni.

– E dovrà dirci del bambino.

Fenoglio non rispose subito. Guardò fuori; si massaggiò il gomito che si era rotto anni prima e che, di tanto in tanto, senza una ragione precisa, gli procurava fitte improvvise e spiacevoli; respirò profondamente, sentendo la stanchezza circolare in tutto il corpo, come un’energia.

– Se è stato lui.

Pellecchia si voltò a guardarlo, tralasciando per qualche istante la strada sterrata.

– Che vuol dire? Chi altro dovrebbe essere stato?

Fenoglio si strinse nelle spalle. – Hai ragione. Chi altro dovrebbe essere stato?