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Lo scambio sostenibile-contributivo

Uscire dalla crisi vuol dire aprire una stagione di innovazione profonda e trasversale rivolta a ristrutturare i termini dello scambio finanziario-consumerista, nel quale la finanza, protagonista nel quadro politico semplificato venutosi a creare subito dopo la caduta del Muro di Berlino, è stata in grado di garantire crescita per tutti. Una stagione storica molto particolare che, per le sue caratteristiche, ha finito per creare dipendenza da una crescita facile, senza sforzi. Ora si tratta di fare un passo più in là. E, come sempre, quando si è di fronte a un cambio di paradigma, il passaggio non è scontato.

Come si è osservato, la sostenibilità da sola non fa primavera. Per potere avere chance di successo deve combinarsi con la logica contributiva, che – come si è visto – emerge grazie all’impulso proveniente da settori diversi della società. Quella sostenibilità che le forze migliori sono già impegnate a raggiungere non sarà alla nostra portata fino a quando non si radicherà l’idea che l’essere liberi non si esaurisce nel consumare, ma implica il contribuire in prima persona alla costruzione del futuro. Solo la combinazione tra questi due elementi può permettere di ricostruire su basi nuove il rapporto tra economia e società che il neoliberismo ha col tempo mandato in frantumi. E così rispondere alla domanda sulla natura della prossima crescita economica, nel quadro di una nuova stagione della democrazia. Per far questo è necessario cambiare la logica che sta alla base dello scambio finanziario consumerista, tutto centrato sul consumo come motore della crescita. Ciò significa che, come le generazioni che ci hanno preceduto, anche noi siamo chiamati a pensare il futuro.

Nel nuovo regime, che chiamo “sostenibile-contributivo”, solo chi (imprese, territori, nazioni) è capace di produrre valore economico, ma anche sociale, ambientale, istituzionale e cognitivo, si troverà nella condizione di sostenere i propri consumi. Ma non sarà più vero l’inverso. Lo scambio sostenibile-contributivo inverte la logica degli ultimi decenni, quando la finanziarizzazione era in grado di sostenere i consumi che, a loro volta, alimentavano l’economia. Nel nuovo regime, i consumi sono garantiti dalla partecipazione diffusa alla produzione di valore condiviso, in un quadro che massimizza la qualità, l’integrazione sociale e sistemica, la contribuzione e la valorizzazione delle capacità personali.

L’uscita dall’eredità tossica del neoliberismo richiede dunque di entrare in una nuova stagione, più bella e desiderabile di quella che abbiamo lasciato alle nostre spalle, in cui è possibile scambiare sostenibilità integrale con partecipazione attiva alla creazione di valore. Come allora, ciò di cui abbiamo bisogno è una nuova visione politico-economica che, interpretando il potenziale umano e culturale oggi presente nelle società avanzate, sia capace di metterlo al lavoro per il bene di tutti. Tornando alla metafora dell’oceano, produrre valore significa creare le condizioni per tenere il mare e navigare sapendo in quale direzione si vuole andare.

L’economia del valore contestuale, su cui si regge lo scambio sostenibile contributivo, persegue congiuntamente princìpi di efficienza, come condizione di esistenza, e di eccedenza, come condizione di possibilità. Essa, inoltre, considera ugualmente importanti l’integrazione sociale e quella sistemica. In tale prospettiva, il comune inter-esse si determina a partire da una matrice di priorità, fissata politicamente, che con la definizione delle opzioni di sviluppo condivise fornisce il sistema delle convenienze sulla cui base le decisioni individuali possono essere prese. In questo senso, l’economia del valore contestuale è costituita da ordini plurali di priorità liberamente scelte, adottate e condivise da attori sociali (individui, famiglie, imprese, associazioni, comunità) che definiscono confini porosi e dinamici con l’ambiente che li circonda. Ciò promuove la fioritura dei territori, attraverso investimenti pubblici di tipo infrastrutturale e un’ampia e diffusa contribuzione economica, sociale e culturale, che favorisce la produzione di valore plurale.

Il tema della pluralità è qui fondamentale. È infatti l’apertura di nuovi spazi di contribuzione – personale e collettiva, economica e sociale – ciò che la politica in primo luogo deve fare, nell’ipotesi che in una società avanzata il motore da attivare per ottenere insieme crescita economica e sviluppo sociale sia una nuova dimensione della realizzazione personale che, con E. Erickson, si può chiamare “generativa”. Al suo interno, lo scambio tra politica, economia e gruppi sociali assume la forma di un’alleanza basata su una nuova forma di legame per la produzione di valore contestuale. Ai soggetti economici si offrono condizioni adatte all’ottenimento di profitti mediante la creazione di contesti insieme dinamici, integrati e ben organizzati, dove si creano le condizioni più propizie per poter disporre delle risorse (umane, tecnologiche, finanziarie) migliori. Questo avviene grazie a investimenti costanti nell’istruzione, nella ricerca e sviluppo, nell’infrastruttura fisica e amministrativa. Dal punto di vista economico, lo scambio sostenibile-contributivo agisce: i) sostenendo la domanda interna come effetto di una politica di integrazione ed equità economica; ii) sviluppando nuovi spazi di mercato generati mediante investimenti pubblici, nuove partnership pubblico-privato, processi diffusi di innovazione; iii) migliorando la competitività di sistema come effetto della produzione di valore contestuale.

Il vantaggio per i cittadini e gli interessi sociali è duplice: vivere in un contesto ad alta integrazione che punta sulla qualità, che apre e riconosce gli spazi di partecipazione e contribuzione; godere della possibilità di partecipare attivamente alla produzione del valore contestuale e di essere equamente riconosciuti. Dal punto di vista degli interessi politici, lo scambio sostenibile-contributivo offre il non piccolo vantaggio di riacquistare quel ruolo che, nel precedente regime finanziario-consumerista, era andato perduto.

Per rilegare economia e società, l’intervento diretto da parte dello stato è, infatti, come si può ben capire, necessario. La ragione di fondo sta nella massima che A.O. Hirschman non si stancava di ripetere quando aiutava i governi a delineare le loro politiche: “Lo sviluppo dipende non tanto dal trovare combinazioni ottimali per risorse e fattori produttivi, quanto dal suscitare e mobilitare per lo sviluppo risorse e capacità nascoste, disperse o malamente utilizzate”. Non dunque un nuovo statalismo fuori tempo; né tanto meno un neonazionalismo populista. Ma una nuova politica leggera e autorevole insieme, che miri a innescare il circolo virtuoso sostenibile-contributivo.

Il difficile sta nel fatto che un tale intervento deve cambiare di segno rispetto al recente passato, quando la bonanza finanziaria definiva le regole del gioco: il consenso va cercato non semplicemente garantendo l’accesso ai consumi, ma capacitando e investendo. Indicando e sostenendo le piste strategiche di investimento sul futuro, riconoscendo e premiando il contributo dei singoli cittadini e delle stesse imprese alla produzione di valore contestuale e impegnandosi per una vera equità, la politica può concretamente favorire l’ampliamento della libertà personale, la crescita economica e lo sviluppo sociale.

In tale prospettiva, la politica è chiamata a giocare una partita difficile, ma entusiasmante. Per risollevarsi dalla condizione di irrilevanza in cui si trova, essa non deve aver paura di giocare quel ruolo simbolico che la caratterizza fin dalla nascita. È nella sua capacità di tornare a essere un soggetto capace di tratteggiare il futuro che si giocherà il suo destino.

Le società avanzate oggi sembrano prive di futuro. Fatta eccezione per le promesse tecniche, non c’è nulla a cui possiamo aspirare insieme. Nessun progresso, solo crescita. O, più mestamente, difesa agguerrita di quello che abbiamo conquistato.

L’antidoto sta nel coraggio della politica di indicare quelle priorità in relazione alle quali la produzione di valore contestuale potrà trovare le sue coerenze, attraverso un sistema di premi riconosciuti a tutti i soggetti che contribuiscono al loro raggiungimento. Per potersi diffondere e radicare nelle pratiche sociali, il nuovo scambio ha bisogno di una serie di dispositivi sociali, giuridici, economici, istituzionali che solo una politica seria e visionaria insieme, capace di essere la garante del valore contestuale, può realizzare. Indirizzando quel movimento di rilegatura tra sociale ed economico che può segnare la vera discontinuità rispetto al movimento espansivo che ha caratterizzato lo scambio individualista-finanziario.

Fissando priorità condivise (si pensi, per fare un esempio, al caso della Germania che ormai da molti anni ha assunto il vincolo ambientale come una priorità condivisa in grado di ordinare e armonizzare il comportamento delle imprese, della pubblica amministrazione e dei singoli cittadini, creando così vantaggi economici e benessere sociale), lo scambio sostenibile-contributivo consente alle singole organizzazioni, alle comunità locali e a interi paesi di delineare identità dinamiche orientate a un orizzonte di medio e lungo periodo. E, così facendo, di mobilitare le risorse migliori e di rafforzare vantaggi competitivi unitamente a qualità sociale. In questo modo, ciò che migliora è la capacità di un determinato contesto di entrare in relazione con il mondo intero, senza perdere consistenza interna, ma anche senza farsi risucchiare dalla tentazione di chiudersi. L’identità non è rifiutata, ma concepita in relazione a ciò che sta al di là dei propri confini, in una logica dinamica di scambio, cambiamento, innovazione. E con confini visti non come cesure impermeabili, ma come soglie porose che rendono possibile e, anzi, addirittura favoriscono l’interscambio con il mondo e l’ambiente circostanti.

Eppure, fissare priorità non basta. Serve anche la capacità di realizzare programmi strategici Di medio-lungo periodo capaci di sostenere la riqualificazione dei contesti socio-economici. Ciò vuole dire:

  • promuovere e premiare gli investimenti, materiali e immateriali, privati e pubblici, l’imprenditorialità, la partecipazione civica e sociale, la ricerca, l’innovazione, non solo tecnologica, ma anche dei modi di vivere, di abitare, di educare, di curare;
  • combattere gli sprechi, la corruzione e tutto ciò che si limita a estrarre valore dalla collettività;
  • garantire una più equa redistribuzione delle risorse nella logica del riconoscimento delle tante forme di contribuzione;
  • innovare profondamente la tassazione rendendola una leva premiale nei confronti di tutti i contributori;
  • riconoscere la centralità della capacitazione attraverso un’azione di innovazione profonda del sistema educativo nel suo insieme.

Prospettando un assetto socio-economico diverso da quello ereditato dagli ultimi decenni, lo scambio sostenibile-contributivo permette di sbloccare la discussione ormai da anni impantanata nella querelle tra austerity ­e flessibilità. La prima da sola non è sufficiente; ma la seconda rimane troppo nostalgica dell’epoca appena finita. La natura espansiva della politica economica, necessaria per combattere i rischi di involuzione democratica, deve avere al suo centro sostenibilità e contribuzione, non consumo e indebitamento. Come dire, per usare un’altra metafora, che lo scambio sostenibile-contributivo è ciò che rende possibile la ricostruzione di comunità di mutuo riconoscimento di natura fondamentalmente politica, facendo emergere “terra umana” nel “mare” della tecnica e dell’economia planetaria. La categoria schmittiana di “terra” si ridefinisce oggi come contenitore di un valore che, invece di disperdersi, si deposita. Essa esiste solo laddove si compie un’opera di coltivazione, l’investimento sui propri cittadini e contributori, che permette una creazione e una sedimentazione del valore. Solo la “terra” lavorata, curata e amata diventa “spazio”, cioè terra umana, che produce valore sostenibile e differenziante, dunque vantaggio competitivo.