1. IL DISTACCO DAI CONTENUTI DELLE RIFORME E L'EGEMONIA DEI FUJIWARA.
I contatti intrattenuti per secoli dal Giappone con il continente fornirono numerosi contributi allo sviluppo delle sue istituzioni politiche, economiche, sociali e culturali. Come si è visto, la Cina occupò una posizione privilegiata come modello da cui trarre ispirazione per edificare lo Stato imperiale e per corredarlo delle adeguate espressioni filosofiche, religiose, artistiche e letterarie. Alla Cina, infatti, avevano guardato i fautori della centralizzazione del potere, i quali si erano impegnati a contrastare le spinte autonomiste rappresentate dai grandi capi uji e a smantellare il sistema di controllo privato della terra e della mano d'opera diffuso a livello locale. Il successo riportato in questa lotta dal fronte riformista aveva consentito di individuare il potere politico e sacrale in una figura centrale, il tenno, il cui esercizio di governo si fondava su una burocrazia a lui personalmente legata. Attorno all'Imperatore, infatti, ruotava un certo numero di famiglie aristocratiche, la cui posizione ereditaria si fondava sul vincolo esclusivo che esse avevano con il sovrano. Tale posizione era sancita dall'ottenimento di un determinato rango di Corte, che garantiva specifici privilegi legali ed economici, assieme a un preciso status che influiva su ogni aspetto della vita pubblica e privata29. Gli stessi benefici economici di cui queste famiglie godevano erano proporzionali al grado di vicinanza che esse occupavano rispetto al centro verso cui - attraverso una rete di comunicazioni appositamente sviluppata che collegava le varie province alla capitale - confluiva la ricchezza prodotta nelle terre «pubbliche» dal lavoro svolto da una mano d'opera «pubblica». Questo, in sintesi, era l'assetto generato dalle riforme, visibile nel corso del periodo Nara e nei primi decenni del periodo Heian, che furono le grandi capitali del Giappone e il simbolo della magnificenza e dell'autorità assoluta del sovrano.
Nella pratica, tuttavia, il sistema politico giapponese continuò a essere condizionato dal ruolo svolto dalla struttura degli uji, sui quali il governo imperiale non riuscì mai a stabilire una totale ed efficace autorità. Non disponendo del potere militare necessario per imporre l'effettivo funzionamento del sistema di controllo sulle risorse agricole del Paese, il governo imperiale attuò una politica di compromesso nei confronti dei potenti capi dei tradizionali uji, basata sul conferimento di cariche pubbliche e di titoli nobiliari, e sulla concessione di privilegi sotto forma di possesso permanente delle terre o di immunità fiscali. Per controllare il Paese, la Corte fece sempre più affidamento sui governatori provinciali (i kokushi), i quali si servirono spesso dei compiti loro delegati per consolidare e accrescere i propri interessi. D'altra parte, la sanzione divina della posizione occupata dal tenno fu in grado di garantire la sopravvivenza e il prestigio dell'istituto imperiale e di perpetuare la funzione del sovrano quale sacro mediatore tra il Cielo e i sudditi, ma non riuscì a vincere del tutto l'autonomia dei clan. L'Imperatore, pertanto, mantenne un ruolo cerimoniale e religioso, mentre il potere politico si trasferì altrove.
Un ulteriore sintomo della fragilità del potere temporale del sovrano giapponese è rappresentato dalla diarchia che si produsse al vertice dell'istituto imperiale allorché l'autorità del tenno fu sottoposta al controllo del clan Fujiwara, il quale emerse dalla competizione tra le ambiziose famiglie della Corte e poté stabilire una sorta di monopolio sulla carica di reggente imperiale. I Fujiwara, le cui origini risalgono all'era Taika, avevano raggiunto un'autorevole posizione già nel periodo Nara, nel corso del quale erano riusciti a far conferire importanti cariche della burocrazia statale a numerosi loro membri, e a rafforzare il legame con la dinastia regnante grazie al fatto che alcune femmine della famiglia erano diventate consorti imperiali. Il loro prestigio continuò ad aumentare anche dopo il trasferimento della capitale a Heian, sino a emarginare le altre importanti famiglie dell'aristocrazia di Corte. Un passaggio importante nell'ascesa al potere di questo clan si ebbe nell'857, quando Fujiwara Yoshifusa (804-872) ottenne dal sovrano la carica di "dajo daijin", che gli assegnava le funzioni di Primo ministro e di capo del Consiglio di Stato, e che sino ad allora era stata riservata (con un'unica eccezione rappresentata dal monaco Dokyo) ai prìncipi imperiali. L'anno successivo salì al trono l'Imperatore Seiwa, che aveva nove anni ed è il primo Imperatore bambino di cui la cronologia ufficiale faccia menzione. Artefice della successione era stato lo stesso Yoshifusa, che era il nonno materno del giovane sovrano e che nell'866 assunse la più alta carica conseguibile a Corte, quella di reggente imperiale ("sessho"), anch'essa sino ad allora riservata ai prìncipi di sangue imperiale. Yoshifusa mantenne la reggenza imperiale pure dopo il conseguimento della maggiore età da parte del sovrano, secondo una pratica assolutamente inconsueta e per di più irregolare. I suoi successori seguirono il suo esempio e, nell'887, l'anziano Imperatore Koko, come segno di ringraziamento verso Fujiwara Mototsune (836-891) che aveva contribuito alla sua successione al trono, creò per lui il titolo di "kanpaku", che da allora in poi avrebbe designato il reggente di un Imperatore adulto e avrebbe rappresentato la più alta carica della Corte imperiale.
Queste vicende gettarono le basi per il consolidamento dell'autorità esercitata dai Fujiwara, che fu sostenuta da una politica matrimoniale tesa a consolidare il legame con la dinastia regnante, grazie alla quale molti membri di questo clan poterono avvicendarsi (pur con alcune interruzioni) nelle due importanti cariche di sessho e di kanpaku, istituendo in tal modo un monopolio sul potere politico e ricorrendo a un governo di tipo familiare ed ereditario non troppo dissimile da quello degli antichi uji. Per alcuni decenni, la casa imperiale tentò di contrastare l'interferenza dei Fujiwara e alcuni Imperatori regnarono privi della tutela di un reggente, ma essa non riuscì ad arrestare la continua erosione del sistema di controllo statale sulle risorse agricole del Paese e l'allargamento di tenute di privati, con pesanti conseguenze sul mantenimento del proprio potere e della propria autorità. Così, a partire dal 967, i Fujiwara ripristinarono il monopolio sulle cariche di sessho e di kanpaku, inaugurando il periodo noto appunto come "sekkan seiji", o «governo dei reggenti»30, che assunse un carattere sempre più onnipotente e a tratti dispotico, come all'epoca di Michinaga (966-1027), il quale esercitò una incontrastata supremazia, essendo padre di quattro donne che divennero consorti imperiali e nonno di ben tre Imperatori. Il «governo dei reggenti» ricevette un primo colpo quando, nel 1068, salì al trono l'Imperatore Go Sanjo che, per la prima volta dopo un secolo, non era figlio di una Fujiwara. Esso fu poi superato dopo che, nel 1086, l'Imperatore Shirakawa abdicò e assunse la carica di Imperatore in ritiro, svincolandosi in tal modo dal controllo esercitato sul trono dai Fujiwara. Senza dubbio, l'istituzione del governo degli Imperatori in ritiro ("insei")31 ebbe l'effetto di ridimensionare il potere che i Fujiwara avevano detenuto monopolizzando le cariche di reggenti imperiali; inoltre, dalla nuova posizione assunta, Shirakawa fu in grado di decidere la successione al trono e di liberarsi da interferenze esterne32. Tuttavia, non è chiaro se Shirakawa e il suo predecessore Go Sanjo fossero realmente intenzionati a creare un centro di potere alternativo a quello del "tenno" e a ripristinare il modello di governo disegnato dalle riforme del passato. Alcuni studiosi, infatti, ritengono che l'istituto degli Imperatori in ritiro, più che una sorta di Corte separata o di governo ombra, fosse piuttosto un ufficio amministrativo a carattere familiare e privato, creato allo scopo di consentire alla famiglia imperiale di riassumere un ruolo più attivo nella competizione per il controllo delle risorse economiche e, anche, per ottenere un maggior potere, pur restando comunque all'interno del sistema politico esistente.
D'altra parte, come si è accennato, la fortuna dei Fujiwara era stata favorita dall'incapacità dimostrata dal governo imperiale di arrestare il processo di privatizzazione delle terre agricole che, in modo progressivo, riduceva le entrate statali. Inoltre, anche al di fuori della Corte esistevano altri centri di potere, rappresentati in primo luogo da alcune scuole buddhiste, che disponevano di armi, guerrieri e privilegi su estesi possedimenti terrieri. Molte istituzioni buddhiste stabilirono un saldo legame con l'aristocrazia Heian e con la stessa famiglia regnante dato il costume, assai diffuso tra nobili, prìncipi imperiali ed ex sovrani, di ritirarsi dagli affari pubblici per abbracciare la vita monastica. In molti casi, tuttavia, questa rinuncia alla mondanità fu solo teorica in quanto numerosi monaci di nobili origini continuarono a esercitare la loro influenza politica anche dall'interno dei luoghi religiosi. Ben più indipendenti dalla Corte erano invece i capi di bande guerriere provinciali, che venivano disprezzati dalla nobiltà ma che avrebbero osato sfidare l'autorità del governo centrale ponendo fine all'era dell'aristocrazia e al suo potere.