Il nemico del petrolio
A distanza di oltre cent’anni Panarea e New York si stanno avvicinando, attraverso un lunghissimo ponte che passa per Tel Aviv. È qui, nello stato d’Israele circondato dai nemici arabi che presidiano i pozzi petroliferi in Medio Oriente, che l’auto elettrica sta tornando in campo, dopo l’eclissi del Novecento, come la leva di un nuovo modello di sviluppo, di una nuova sostenibilità che coniuga economia e ambiente, innovazione e lotta all’inquinamento, mercato e interessi nazionali. La regia del cambiamento è nelle mani e nella testa di un quarantenne, Shai Agassi, ebreo anglosassone che la rivista «Time» ha inserito già nel 2008 nella lista degli «Eroi dell’ambiente». Piú che con il volto mediterraneo di un moderno Enea, Agassi si presenta con il sorriso affilato di quei personaggi che hanno l’ambizione di entrare nella storia dalla porta principale, divorando il futuro con l’energia di una lucida utopia. Capelli scuri a spazzola, occhi color nocciola, mandibola squadrata, Shai, classe 1968, ha già fatto i suoi giri del mondo, alla Giulio Verne. La sua famiglia sbarca in Israele nel 1948, trascinata dal vento del nomadismo ebraico e dall’occasione, finalmente, della nascita di un nuovo stato: il padre, ingegnere informatico, arriva dall’Iraq; la madre, creatrice di moda, dal Marocco. E i codici genetici della passione per la tecnologia e della seducente abilità del commesso viaggiatore si ritrovano, combinati con il fiuto per gli affari, nella vita avventurosa di Shai. Dopo gli studi al Technion Israel Institute of Technology di Haifa, la piú vecchia università del paese, fondata anche da Albert Einstein per consentire gli studi agli ebrei discriminati negli anni dell’Europa nazifascista, Agassi si tuffa nella Silicon Valley dove ogni buona idea si trasforma in tempi rapidi in un’innovazione da milioni di dollari. E non sbaglia un colpo. Mette in piedi una società di informatica, la Top Tier Spiftware, che poi vende a peso d’oro alla Sap, il piú grande produttore al mondo di software per aziende. Si parcheggia come manager con i nuovi azionisti di maggioranza della sua azienda, e intanto studia un nuovo progetto industriale, quello con il quale vuole rivoluzionare l’industria del trasporto su gomma: l’auto elettrica.
Agassi è già ricco e famoso quando viene invitato a Washington per fare un discorso durante una conferenza organizzata, a porte chiuse, dal Centro Saban, un tipico cenacolo attorno al quale potenti personaggi dell’establishment americano e israeliano disegnano strategie di geopolitica e grandi business. Shai parla dopo Bill Clinton e si spinge, con tono affabulatorio, fino a una dichiarazione di guerra per liberare Stati Uniti e Israele dalla schiavitú del petrolio, che significherebbe anche depotenziare, con un colpo micidiale, l’arsenale piú pericoloso dei paesi arabi. «Dobbiamo partire dall’automobile, e pensare a un’alternativa efficace, economica e praticabile al consumo della benzina. Dobbiamo volare molto alto…» dice Agassi. Sono parole troppo forti, pronunciate con troppa convinzione, per lasciare indifferente Shimon Peres, il presidente israeliano, che pochi giorni dopo l’incontro organizzato dal Centro Saban telefona al giovane imprenditore ascoltato a Washington. «Complimenti, lei ha detto cose molto interessanti, ha parlato proprio bene. Ma adesso devo capire se ha voglia di passare dalle parole ai fatti. Vuole lavorare al suo progetto in Israele? Il nostro governo è pronto a scommettere sulle sue idee a proposito dell’auto elettrica…» dice Peres, senza troppi preliminari. E da quel momento il sogno di Shai Agassi, rivoluzionare l’universo automobilistico con la rivincita dell’auto elettrica e con il conseguente ridimensionamento del petrolio come fonte energetica dominante, esce dall’ombra dei progetti fascinosi ma impossibili. E le parole si traducono in fatti, come aveva chiesto Peres.
La resurrezione dell’auto elettrica, dopo l’abdicazione di Ford e quella scelta che ha tracciato la rotta dell’industria e dei consumi su strada per un secolo, si è sempre infranta di fronte a due scogli: le batterie e il prezzo. Gli scatoloni di pile e accumulatori che durante la notte frullano, per ricaricarsi, nel giardino di Angela a Panarea, sono ingombranti, costosi. E durano poco. Il serbatoio di un’automobile a benzina si riempie in meno di cinque minuti di orologio, e da quel momento la macchina è pronta a percorrere 480 chilometri di strada; nello stesso tempo, la ricarica di un’auto elettrica consente una circolazione di appena 13 chilometri. Una differenza abissale, insostenibile, considerando le esigenze dei consumatori. Ma la tecnologia ha fatto molti passi avanti in questo settore, specie grazie alle batterie elettriche agli ioni di litio, analoghe a quelle minuscole incorporate nei cellulari. Spazio e peso sono stati ridotti, e oggi l’autonomia di un «pieno» di ricarica elettrica consente di percorrere fino a 160 chilometri di strada. Agassi, come tutti i visionari forniti di un pensiero forte, va ben oltre la lenta evoluzione della tecnologia, e pensa di ridurre il problema del peso, del tempo e degli eccessivi costi della ricarica, in un colpo solo. Eliminandolo. Il suo obiettivo è di creare una rete nazionale in ciascun paese, un intero sistema di rifornimento di elettricità per auto, battezzato con l’acronimo Ergo (Electric Recharge Grid Operator), che avvicina l’industria automobilistica a quella della telefonia. Il «pieno» di elettricità non viene erogato con l’auto ferma e la spina accesa: la rete infrastrutturale con i vari punti sparsi sul territorio, come se fossero tante pompe di benzina, consente il ricambio rapido, meno di tre minuti, dell’intero blocco delle batterie. Il meccanismo Ergo, in pratica, rovescia come un calzino l’uso dell’auto, i suoi costi, e le modalità dei rifornimenti. Il proprietario dell’automobile elettrica diventa cosí il consumatore di un servizio e paga con una bolletta, proprio come nel caso del cellulare, i reali consumi di elettricità.
Immaginare, anche solo per un attimo, un paesaggio urbano in cui scompaiono i distributori di benzina e si moltiplicano i punti di rifornimento di batterie elettriche oggi significa fare un salto nella fantascienza, in una rivoluzione che trova nell’automobile una leva fondamentale per ridefinire le compatibilità ambientali. Non a caso Agassi, che come tutti i venditori conosce bene le leggi del marketing, ha voluto chiamare il suo progetto Better Place, fissando cosí già nel titolo un orizzonte di cambiamento che parte dall’auto e modifica in modo radicale i consumi, gli stili di vita, i luoghi. L’utopia non è mai a buon mercato, è spesso sospesa nel limbo dei sogni che non possono trasformarsi in realtà, salvo poi alimentare, improvvisamente, il torrente del progresso se e quando scattano le molle degli interessi. Cioè di soldi che, sotto forma di investimenti, producono altri soldi, profitti per l’intera filiera economica. E Agassi ha letteralmente sedotto tutti i suoi interlocutori, convincendoli a mettere sul tavolo di questa delicata partita con il futuro una montagna di denaro. Solo per uscire dagli schemi della teoria, e per mettere i primi paletti sul terreno della pratica, «Shai l’elettricista» è riuscito a raccogliere, in piena recessione, fondi per oltre 200 milioni di dollari. Il conto dello start up di Better Place e del sistema Ergo. «Io non ho immaginato un cambiamento, ma una rivoluzione. Non sono l’inventore o il progettista di un’auto di moda, glamour, di tendenza, né penso di fare un regalo all’industria automobilistica. Io sono il nemico del petrolio, che spesso è nelle mani dei nostri nemici, e voglio liberare l’uomo, nel mondo e non in un singolo paese, da questa schiavitú» dice Agassi.
Chi sono i primi finanziatori di Better Place? Chi ha puntato dalla parte di un ragazzo completamente estraneo al grande giro dell’industria dell’auto? Agassi ha cucito la sua tela punto per punto, soggetto per soggetto. Da un lato scommettono su di lui i governi, e dall’altro lato ci sono le banche, e le industrie, automobilistiche ed elettriche, alleate in questa scommessa giocata sul filo dell’impossibile. Al centro del tavolo, a dare le carte, c’è sempre e solo lui, Shai Agassi, il profeta dell’auto elettrica come nuovo consumo di massa nell’era del downsizing. Cosí sul progetto Better Place è piovuta una cascata di denaro tirato fuori dalle tasche di banche d’affari (Morgan Stanley), fondi di investimento (Vantage Point Venture), industriali americani, israeliani, giapponesi, cinesi ed europei, grandi gruppi internazionali del settore delle utilities. Tutti, come se fossero spinti dal miraggio di una nuova corsa all’oro, hanno messo le loro fiches sul tavolo, sapendo che non si tratta di una partita di roulette, una puntata sul rosso o sul nero, ma certo il rischio del futuribile, dell’immaginario che deve tradursi in reale, è ancora molto alto.
Il gioco comunque vale la candela, e lo dimostra il fatto che Agassi gira il mondo, indossando i panni del commesso viaggiatore, e ovunque riesce a trovare porte che si aprono per tradurre Better Place in un sistema all’avanguardia grazie al quale l’auto elettrica possa diventare un consumo di massa. Ognuno ha i suoi interessi da difendere e da promuovere, e non sono sempre di natura economica. Il governo israeliano, per esempio, è in prima fila in questa avventura, e non solo per l’empatia umana scattata come un fulmine nella testa di un grande leader politico, Shimon Peres, di fronte alle suggestioni oratorie di un talentuoso geek (cosí gli anglosassoni definiscono i visionari della tecnologia), Shai Agassi. Nei palazzi di Tel Aviv si ragiona con le coordinate di un sistema-paese, e quindi si considera Better Place molto piú di una semplice novità industriale. Affermare l’auto elettrica sul mercato dei consumi di massa, e quindi ridurre la domanda di idrocarburi, significa per gli israeliani imboccare una via d’uscita dall’accerchiamento dei dittatori del petrolio che sono, di fatto, innanzitutto i potenti produttori arabi, quasi sempre avversari se non nemici dello stato d’Israele. Better Place, dal punto di vista del governo di Tel Aviv, è un progetto di sicurezza nazionale che poi si combina con una strategia di politica industriale: l’elettricità della rete Ergo sarà prodotta, secondo i piani di Agassi, attraverso un massiccio ricorso alle fonti energetiche alternative, a partire dal solare, nel quale Israele è all’avanguardia nel mondo grazie sia alle sue industrie leader nel settore della produzione dei pannelli fotovoltaici sia per gli enormi impianti realizzati in territori, come il deserto del Negev a sud del paese, particolarmente idonei allo sfruttamento del sole come principale fonte energetica.
Una volta messo a punto il modello, con la piattaforma israeliana, non è stato difficile per Agassi esportarlo in giro per il mondo. Better Place ha convinto diversi governi, dall’Australia al Giappone fino alla Danimarca, e amministratori locali, dal sindaco di San Francisco ai governatori della California e del Michigan. A tutti Agassi ha promesso lo stesso sogno: il cambiamento. E la diffusione su larga scala dell’auto elettrica, il simbolo del traguardo doppio zero, zero emissioni e zero dipendenza dal petrolio. Una prospettiva allettante anche per le piccole isole Hawaii, che ogni anno spendono 7 miliardi di dollari per importare benzina e adesso, con il progetto messo a punto da Agassi, vogliono diventare come la Panarea di Angela e dei suoi mini taxi.
La seconda montagna che Agassi dovrà scalare, una volta risolto il problema del rifornimento, è quella del prezzo. Qui siamo ancora fermi al siparietto di inizi Novecento a casa Ford, quando il marito Henry faceva presente alla moglie Clara l’enorme distanza di costi tra l’automobile a benzina e quella alimentata dall’elettricità. La differenza è tuttora proibitiva per un consumatore medio, parliamo di migliaia di euro a modello, e potrà essere annullata, se non addirittura capovolta, soltanto attraverso lo sbarco della nuova vettura nell’universo del mass market: il mercato dei grandi numeri e dunque delle riduzioni di prezzo conseguenti alle vendite su larga scala, spinte anche dagli incentivi governativi mirati a combattere l’inquinamento e ad abbattere i consumi di petrolio. L’occasione fornita da Agassi è stata fiutata e colta al volo, come un’ancora di salvezza, da un boss dell’industria automobilistica mondiale, Carlos Ghosn, il capo della multinazionale Renault-Nissan che ha convinto i suoi azionisti a scommettere quattro miliardi di dollari di investimenti per guadagnare la pole position nel mercato dell’auto elettrica quando nel 2020, secondo i calcoli di Ghosn, la nuova vettura varrà almeno il 10 per cento delle vendite dell’intero settore. Sono cifre da capogiro, e il boss dell’industria le spiega non solo attraverso le leggi dei numeri ma a partire da un grande cambiamento negli stili di vita e nelle aspettative dei consumatori: «Le nuove generazioni di cittadini e di clienti chiederanno un rispetto dell’ambiente sempre piú concreto e quotidiano. Qualcosa che non abbiamo neanche immaginato nel corso delle nostre vite. E l’auto elettrica è perfetta per incrociare questa impetuosa domanda di novità, ecco perché abbiamo deciso di rischiare, sapendo che possiamo sbagliare con le nostre previsioni. Ma siamo convinti di avere le carte in regola per cavalcare, da una posizione di primato, l’onda lunga di una rivoluzione».
Le carte in regola di cui parla Ghosn riguardano la tecnologia, e cioè l’innovazione che Renault-Nissan sarà in grado di sviluppare insieme con i suoi concorrenti; la trasformazione radicale della cultura dell’uso dell’auto, a partire dalle modalità per il suo rifornimento, e quindi l’alleanza stretta, di ferro, con i produttori di energia, secondo lo schema del progetto Better Place di Agassi. Ma le carte in regola sono anche quelle dei governi che, come dicevo, hanno iniziato la corsa agli incentivi per favorire l’evoluzione tecnologica dell’auto elettrica e la sua diffusione sul mercato. Con interventi molto concreti. Barack Obama, per esempio, ha scommesso 2,4 miliardi di dollari solo sull’auto elettrica, che dovrebbe consentire la resurrezione del gigante GM travolto dalla Grande Crisi e finito sotto il controllo del governo americano. Il governo giapponese ha previsto un piano da 100 miliardi di euro, nei prossimi dieci anni, per finanziare la ricerca pubblica e privata, a partire dalle celle di batterie al litio di nuova generazione. Gordon Brown, quando era primo ministro in Gran Bretagna, è stato il primo capo di governo ad approvare un incentivo diretto per l’acquisto di auto elettriche: fino a 5000 sterline a vettura. Il contributo è stato poi confermato da David Cameron, il successore di Brown, mentre in Germania la cancelliera Angela Merkel ha dichiarato, davanti al Parlamento, l’obiettivo di sostenere l’acquisto, sul mercato nazionale, di almeno un milione di auto elettriche nei prossimi dieci anni. E il governo di Pechino ha annunciato nel giugno 2010 una serie di sovvenzioni in cinque città, tra cui Shanghai, per l’acquisto di auto elettriche.
Il mondo si muove lungo il sentiero tracciato dal pensiero forte dell’apripista Agassi, e certo il lancio su larga scala dell’auto elettrica non è piú il sogno monopolista di un’unica casa automobilistica. Come ho detto, tutte le case produttrici hanno in cantiere modelli e versioni alternativi rispetto a quelli a benzina. E qualcuno ha perfino stravolto i programmi aziendali per non trovarsi spiazzato di fronte al progetto Better Place. È il caso della Bmw, concorrente diretta della Renault-Nissan di Ghosn, che nel giro di pochi mesi ha archiviato le sue costose ricerche per sviluppare l’auto a idrogeno, insostenibile sotto troppi aspetti e dunque irrealizzabile, per convertirsi al sogno dell’elettricità. Il gioco, sul tavolo del cambiamento, si fa ogni giorno piú pesante, piú ambizioso.
Quanto ad Agassi, lui tra la firma di un contratto e l’accordo con un governo, non trascura mai le sue doti di affabulatore, e gira le università piú quotate del mondo per seminare la fede nel suo pensiero forte. Ai piú giovani, affascinati dai miracoli della tecnologia e delle sue continue accelerazioni, «Shai l’elettricista» si presenta con i panni del protagonista di un nuovo miracolo, di una svolta che ricorda molto da vicino il fenomeno Google inventato da Sergey Brin e Larry Page o le visioni della prima ora di Bill Gates con la sua Microsoft. Durante un discorso agli studenti di Harvard, Agassi ha usato queste parole: «Penso che il mondo abbia bisogno di almeno 100 milioni di auto elettriche entro il 2016, ma se anche ci dovessimo fermare a 10 milioni avremmo creato un business tra i 60 e gli 80 miliardi di dollari, cioè la somma di cinque Google messe in piedi in pochi anni. Se invece non facessimo nulla, continuando ciecamente a considerare insostituibili le auto alimentate a benzina, il mercato globale, spinto dalla domanda interna di paesi come la Cina, l’India e il Brasile, richiederebbe il 30 per cento di petrolio in piú al giorno, l’equivalente di due volte e mezzo l’intera produzione dell’Arabia Saudita. Capite adesso dove sta l’importanza di questa partita? Stiamo scommettendo sul futuro, su un mondo diverso per voi, per i vostri figli, e per i vostri nipoti. E io sono dalla vostra parte, con tutte le mie forze».