


ALBERTO MANZI
ORZOWEI
A CURA DI ROMANO MASTROMATTEI
BOMPIANI EDITORE
Copyright © 1961 by Casa editrice Valentino Bompiani & C. S.p.A.
Via Mecenate 87/6 - Milano
I edizione « I Delfini d'acciaio » dicembre 1961
VII edizione « I Delfini d'acciaio » settembre 1968
Una edizione « Fuori collana »
I edizione « Narratori moderni per la scuola » gennaio 1968 XV edizione « Narratori moderni per la scuola » maggio 1977
INTRODUZIONE
LA VITA
Alberto Manzi è nato a Roma il 3 novembre 1924 e fin da ragazzo dovette guadagnarsi la vita. Dal 1942 al 1946 presta servizio militare, dapprima sui sommergibili e poi, dopo il 1943, nel reggimento da sbarco " San Marco " aggregato all'VIII armata. Smobilitato, si dedica all'insegnamento.
Nel 1954 va in Sud America per ricerche scientifiche e anche per fondare un giornale per ragazzi. Manzi vive le sue avventure mentre le scrive: questo libro — Orzowei — è nato mentre il suo autore si trovava, nel 1954-55, tra gli Indios Kiwari dell'Amazzonia, per studiare una certa specie di formiche; Manzi però non ha mancato di studiare anche gli uomini, che, ancora più degli insetti, rappresentano il suo interesse dominante.
Questo scrittore è noto non solo per i suoi libri, ma anche per la sua attività di insegnante: la sua fisionomia è familiare a milioni di persone che hanno seguito le sue lezioni alla televisione dal 1959, combattendo con lui contro l'analfabetismo. Diciamo " con lui " e non " sotto la sua guida ", perché Manzi è un uomo di straordinaria modestia. La sua trasmissione " Non è mai troppo tardi " ricupera, in pochi anni, milioni di analfabeti e merita nel 1965 il Premio Internazionale Tokio. Manzi non sale mai in cattedra: questo è un modo di dire, perché la sua carriera di insegnante iniziò nel carcere minorile di Porta Portese, dove cattedre non ce n'erano e Manzi in un primo tempo dovette difendersi a suon di pugni dai suoi alunni. Ben presto però riuscí a vincerne la diffidenza e a conquistarsene l'affetto: un'eco nitida di queste sue esperienze di maestro si ritrova in Orzowei, che è tutto attraversato dal motivo dell'insegnamento immediato e diretto, per cui maestro ed alunno si sentono e sono in realtà impegnati in una stessa situazione, e — chissà — d'un tratto potrebbero anche scambiarsi il posto.
Nel 1967 si reca in Ecuador per fondare delle cooperative agricole; questo esperimento è ancora in corso e rappresenta per Manzi un impegno della massima importanza.
L'opera
Nel 1950 ottiene il Premio Collodi per il libro Grogh, storia di un castoro. Ha inizio cosí una lunga serie di fortunate pubblicazioni e collaborazioni presso le case editrici A.V.E., Bompiani, La Scuola, La Sorgente ecc. Nel 1956 pubblica Orzowei presso Vallecchi e nel '61 esce l'edizione Bompiani. Orzowei prende il Premio Firenze nel 1954 e due anni dopo il Premio H.C. Andersen. Segue Testa rossa nel 1957 e nel 1968 l'Enciclopedia Monografica Vedere e Capire nei suoi tre volumi La terra e i suoi segreti, Gli animali intorno a noi, Gli animali e il loro ambiente.
I libri di Manzi sono tradotti in 32 lingue, compresi il giapponese, lo sloveno, l'afrikaner, l'olandese, il russo, il polacco e il croato.
Orzowei
Orzowei è una piccola storia ideale dell'educazione umana, della conquista di sé e del proprio posto nella società: non è semplicemente la versione romanzesca di certi fatti storici. L'autore, come vedremo, prende si in prestito alcuni elementi della realtà storica e propriamente etnologica, ma se ne serve per forgiare una concezione tutta sua, che ha un valore essenzialmente morale. Manzi avrebbe potuto ambientare la sua storia nel bel mezzo della foresta brasiliana, dove gli Indios vivono di caccia e di raccolta come i Boscimani di cui egli ci parla: e invece ha voluto ricorrere alla fantasia, all'esperienza indiretta dei libri e situare il suo racconto nel Sudafrica, un paese dove non è mai stato. Vediamo di capire perché. Anzitutto, Manzi non voleva evidentemente fare una cronaca, scrivere un resoconto, un "servizio giornalistico": pericolo cui si è esposti quando si riferiscono esperienze troppo recenti, anzi addirittura in atto, non ancora decantate. La fedeltà ai fatti avrebbe potuto rappresentare un limite: e questo limite, Manzi l'ha valicato. Se si volesse leggere Orzowei con pedanteria, vi si potrebbe scoprire qualche inesattezza e qualche anacronismo: menzioniamo questo fatto, solo perché il libro è destinato ai ragazzi, che hanno un concetto del vero diverso da quello degli adulti, e potrebbero chiedere: "Ma nel Sudafrica, le cose sono andate cosí?" no, in Sudafrica non sono andate esattamente cosi: ma nel Sudafrica di Manzi — che avrebbe potuto essere l'Amazzonia, il Borneo o la Polinesia — si, gli avvenimenti si sono svolti o si sarebbero dovuti svolgere proprio cosi.
Orzowei è la storia dell'iniziazione di un ragazzo, sullo sfondo di guerre sanguinose, che coinvolgono vari popoli, organizzati in diversi tipi di società. Vediamo brevemente che cosa è un'iniziazione. È impossibile generalizzare, da un punto di vista scientifico; ma prendiamoci anche noi qualche libertà, che ci servirà per meglio interpretare lo spirito del racconto di Manzi, che appunto non è limitato, nei suoi valori essenziali, alle società che praticano l'iniziazione. Questa è un rito, un complesso di atti e cerimonie religiose che promuovono e sanciscono il passaggio di un giovanetto dall'infanzia alla maturità e quindi all'inserimento nella vita sociale attiva della tribù.
L'iniziazione è sempre una prova, più. o meno pericolosa, che il candidato può superare o no. Il fallimento può implicare la morte, come nel caso dell'Orzowei: se egli fosse catturato dai suoi compagni, verrebbe ucciso; la sua stessa permanenza nella foresta, inoltre, lo espone al rischio mortale degli attacchi di popoli nemici, di animali pericolosi, della fame e della sete. Il colore bianco che viene applicato al corpo abbronzato dell'Orzowei non è solo un mezzo per facilitare la caccia agli inseguitori, ma è anche un simbolo di morte: il candidato "muore" come bambino per "rinascere" come adulto. Superata la prova infatti, quale che sia l'età dell'iniziato — che a volte può essere ancora tenera — egli viene considerato adulto a tutti gli effetti. Come vedremo, al trovatello bianco, questo diritto verrà negato: fatto assolutamente eccezionale, e quindi tanto più doloroso per il protagonista. La tribù di Swazi, cioè di negri Bantù — da non confondersi né con gli Ottentotti né coi Boscimani — non fa una bella figura in questo libro. I lettori però non devono pensare che Manzi ce l'abbia coi Bantù: si trattava per l'autore di incarnare il male in certi individui e — come vedremo — anche i bianchi, i Boeri, non saranno molto più caritatevoli dei Swazi verso il povero Orzowei.
Le società tribali dove è in uso l'iniziazione, si definiscono comunemente "primitive", con un termine abbastanza infelice, che ha significato solo per chi crede nella perfezione della società tecnologica, creata essenzialmente da popoli dalla pelle bianca. Secondo un'opinione diffusa, chi non ha raggiunto quel livello tecnologico, ha fallito il proprio scopo naturale, umano: ed ha fallito a causa di una inferiorità innata, non perché abbia creduto bene di battere una strada diversa, o perché sia magari stato sconfitto da altri popoli e ridotto in una condizione che avrebbe reso impossibile in ogni caso il raggiungimento di quel livello. Dunque, secondo una convinzione che è alla base del razzismo moderno, se un certo popolo non ha seguito — e con lo stesso passo — la strada di certi popoli bianchi, ebbene, quello non è un popolo veramente " umano ": è un popolo sotto-umane che può essere sfruttato o distrutto senza commettere peccato. Questa ideologia è peraltro incoerente, poiché ignora di proposito qualsiasi prodotto della società distrutta che ne affermi l'umanità e la dignità. Cosí i Boscimani, che sono forse i maggiori protagonisti di questo romanzo, nella realtà storica non furono certo risparmiati in virtù del talento artistico che essi rivelano, per esempio nelle loro mirabili pitture rupestri: nel 1770 ebbe inizio il loro sterminio da parte dei coloni olandesi cristiani stanziatisi nel Sudafrica fin dal 1652. Questa persecuzione prosegue tuttora e ha costretto i superstiti a rifugiarsi nell'arido e inospitale Kalahari, dove, a causa dell'estrema scarsezza delle risorse naturali, i Boscimani sono esposti anche al pericolo di diventare sempre più... "primitivi". L'ideologia razzista, quando non ha potuto appigliarsi a pretesti di inferiorità culturale, non ha esitato a ridurre interi popoli in uno stato di estrema miseria e abbrutimento, per poi intraprenderne lo sterminio sistematico: cosí come è accaduto, per esempio, nell'Europa orientale ad opera dei Tedeschi, che, distrutte le minoranze ebraiche, avevano già programmato ed in parte attuato l'asservimento e il susseguente genocidio di interi popoli slavi di antica civiltà "bianca", come i Polacchi.
Per tornare ai Boscimani — di cui Manzi ci dà una descrizione fisica esatta — essi sembrano essere stati i più antichi abitatori dell'Africa, affini ai Pigmei delle foreste equatoriali, ovvero derivati da questi. La loro religione e la loro mitologia hanno attirato il vivissimo interesse degli studiosi europei. Le credenze e il culto dei Boscimani non corrispondono però alla descrizione datane da Manzi, che ha voluto piuttosto tratteggiare una sua personale concezione della religione. A questo proposito, vogliamo anzi dire che la figura di Pao, il saggio Boscimano amico del protagonista, sembra esser nata dai lunghi colloqui che Manzi stesso ha avuto con un capo Indio a nome Napo durante il suo soggiorno nella foresta amazzonica: e speriamo che un giorno ci venga raccontata l'intera storia.
Gli Ottentotti, come i Boscimani, sono un'altra popolazione non negra che abita l'Africa meridionale: sono anch'essi probabilmente affini ai Pigmei, ma differiscono dai Boscimani in quanto sono — o piuttosto erano — pastori, e non cacciatori e raccoglitori. Essi furono assoggettati dai bianchi all'inizio del secolo scorso, la loro civiltà fu interamente distrutta e costituiscono ora — mescolati coi discendenti "non puri" dei Boeri e con schiavi di varia origine — una vera e propria classe di servi: i cosiddetti "Coloured", la gente "di colore".
In questo libro compaiono vari personaggi storici, fra cui Ciaka, considerato il più grande genio militare africano, che diede molto filo da torcere agli invasori bianchi, e fu assassinato dai suoi confratelli Bantù nel 1828. Il suo successore Dingane proseguiva valorosamente la lotta contro i Boeri fino al 1839, quando Andreas Pretorius lo batté e proclamò la repubblica boera del Natal. In seguito a questa proclamazione, si riaprirono le ostilità fra i Boeri e gli Inglesi (un conflitto precedente risale al 1806); questi non sopportavano infatti la creazione di stati indipendenti in un territorio che consideravano loro possesso o almeno loro sfera d'influenza. Le guerre anglo-boere dureranno, con alterne vicende e grande spargimento di sangue, fino al 1902, quando i Boeri furono sconfitti definitivamente sul piano militare. Si può dire invece che, sul piano politico, i discendenti degli Olandesi ottenessero una mezza vittoria, perché, già nel 1907 le antiche repubbliche boere del Transwal e dell'Orange ottennero l'autonomia dal governo liberale britannico: ai nostri giorni il Sudafrica di fatto è una nazione sovrana.
Alberto Manzi si discosta in qualche punto, come abbiamo già detto, dalla realtà storica, ma ciò non impedisce di scorgere il significato morale e umano del suo scritto. Una forte corrente di simpatia verso i Boeri — che si batterono benissimo per la propria libertà — circolò nell'Europa continentale e nella stessa Gran Bretagna: tuttavia, non bisogna dimenticare che fra le cause maggiori di attrito fra i Boeri ed il governo inglese vi era, sin dall'inizio dell'800, la schiavitù che i Boeri praticavano ai danni degli indigeni e che il governo e l'opinione pubblica degli Inglesi avversavano 8 tenacemente. D'altro canto non bisogna dimenticare neppure l'interesse della Gran Bretagna per le immense ricchezze naturali del Sudafrica — diamanti, oro, oltre a ogni sorta di minerali rari ed alle risorse agricole —: questo interesse ha avuto senza dubbio un peso determinante.
In Orzowei vediamo dunque delineati parecchi conflitti: lotta dei Bantù pastori contro Boscimani e Ottentotti per il possesso di territori di pascolo e di caccia; guerra di sterminio o di asservimento dei Boeri contro Boscimani, Ottentotti e Bantù; guerra tra Boeri e Inglesi per il possesso, l'amministrazione e lo sfruttamento dei territori strappati agli africani. L'interesse di Manzi va però oltre l'orizzonte storico da noi descritto: e non è un caso che questo libro sia nato in un territorio dove i bianchi continuano a commettere crimini su larga scala contro la popolazione india, Orzowei si chiude con una visione fantastica, in cui tutti i protagonisti si ritrovano in una casa — quasi un piccolo tempio — dedicato alla fratellanza: ma, fantasia o no, l'attuale governo sudafricano ha creduto bene di negare a Manzi nel 1967 il visto di entrata in quel paese. Senza fare la storia dei rapporti fra i vari gruppi etnici9 residenti in Sudafrica a partire dal 1907, possiamo dire brevemente che i bianchi di lingua inglese e quelli di lingua afrikaner (derivata dall'olandese), dopo un lungo periodo di tensione, si sono accordati per spartirsi il potere, escludendo tutti i "non bianchi" — tredici milioni su quindici milioni di abitanti! — che comprendono i Bantù, un milione e mezzo di "Coloured" e mezzo milione di Indiani (l'India, come è noto, faceva parte dell'impero britannico fino al 1948, e i suoi abitanti potevano in certi casi emigrare verso territori facenti parte dell'impero o sotto la influenza politica diretta inglese). La Repubblica Sudafricana, creata nel maggio del 1961, comprendente vari stati preesistenti, è basata sul principio dell'assoluta su-periorità dei bianchi e sulla più rigorosa segregazione razziale. Agli Indiani sarebbero riservate le attività commerciali di modesto livello, i "Coloured" come s'è già detto, sono una classe di servi, e i Bantù dovrebbero essere progressivamente confinati in campi di concentramento, chiamati "riserve" o "Bantùstans", che coprono solo il 13 % della superficie dell'Unione, e non potrebbero mantenere nemmeno un terzo dell'attuale popolazione africana. I Bantù, dopo aver visto distruggere le loro strutture tribali, dovrebbero tornare a vivere — o piuttosto a morir di fame — nelle riserve, secondo un sistema tribale forzosamente riadottato.
Tutto ciò è naturalmente ben noto ad Alberto Manzi, che ha voluto tracciare un quadro libero, ma efficace, di una società che si dilania fin nell'animo dei singoli individui che la compongono.
ROMANO MASTROMATTEI