Metropolitan Opera House, New York

 

Perciò, Nico, adesso sai come tuo padre è ricomparso nella tua vita. A Heathrow gli avevano detto che il suo volo era stato cancellato a causa della nebbia. In seguito mi avrebbe confidato che lo sapeva sin dall’inizio: sapeva che era destino.

La nostra riconciliazione fu appassionata ed emotiva. Eravamo due persone innamorate che si erano negate l’uno all’altra per diciotto mesi. Non ci furono altre recriminazioni, quella notte. Ci lasciammo solo sommergere dal sollievo di essere finalmente di nuovo insieme.

Il mattino successivo mi guardai allo specchio e capii che non avrei chiesto a Roberto di andarsene. Vidi che nei miei occhi era tornata la scintilla di un tempo. Per la prima volta dopo più di un anno sembravo davvero felice. Qualsiasi cosa fosse accaduta in passato, Roberto era mio marito, e tuo padre. Eravamo destinati a stare insieme, ed era l’unica cosa che contava.

Nico, prima di andare avanti nella lettura, cerca di tenere sempre presente quello che provavo per tuo padre. Era un amore che metteva in secondo piano qualsiasi altra cosa. Riaverlo con me fu una gioia tale che ero assolutamente cieca dinanzi al dolore che avrei causato alle persone che mi circondavano. Mi sono comportata da egoista, ho ferito tutti facendo cose che, in qualsiasi altra circostanza, non avrei mai neanche pensato di fare.

Col senno di poi mi sono resa conto che possiamo amare qualcuno con tutto il cuore, ma questo non significa che quella sia la persona giusta per noi. Roberto non tirava fuori il meglio di me. Quando ero con lui non avevo mai il controllo delle mie azioni. La sua sola presenza era come una droga. Solo adesso lo capisco chiaramente, tuo padre mi cambiava in peggio.

E così avevo di nuovo Roberto, ma avevo perso me stessa.

Deve essere difficile per te leggere queste parole. Mi sono chiesta spesso se fosse giusto dirti queste cose, o se sto semplicemente cercando di placare il senso di colpa. Ma il cuore mi dice che avrai la forza per capire. Posso solo dire che ho sempre cercato di fare il meglio per te, di proteggerti e crescerti in un clima di amore e serenità. Ciò nonostante, quando hai avuto davvero bisogno di me, io non c’ero. E non mi perdonerò mai per questo. Mai.

 

44

 

Gloucestershire, dicembre 1982

Rosanna aprì gli occhi e si rigirò nel letto. Non osava guardare, temeva che fosse stato tutto un sogno.

E invece lui era lì, in carne e ossa, accanto a lei. L’incubo era finito. La vita poteva ricominciare.

Rimase a guardarlo per qualche istante, ripensando alla notte appena trascorsa in cui avevano fatto all’amore quasi fino all’alba. Ma non si sentiva affatto stanca. Ogni cellula del suo corpo sembrava pervasa da un’energia del tutto nuova.

Era ansiosa di sentire ancora le sue braccia su di sé per assicurarsi che fosse lì davvero, che la amasse, perciò gli mise una mano sulla spalla. Nessuna reazione. Non si mosse neppure. Povero Roberto, pensò. Deve essere esausto.

Rosanna si alzò in silenzio e indossò la vestaglia. Stranamente, dalla cameretta di Nico non proveniva alcun rumore. Aprì la porta e percorse il corridoio. Vide il lettino vuoto e si rese conto che Ella doveva averlo già portato giù per fare colazione.

Ella… Sarebbe stato complicato spiegarle la presenza di Roberto.

Nico era seduto sul suo seggiolone, tutto contento, e mangiava un toast al miele.

«Buongiorno Ella.» Salutò la nipote con un sorriso. «A che ora si è svegliato? Scusami, non l’ho sentito. Ciao, amore.» Diede un bacio a Nico e lui le impiastricciò la faccia di miele.

«Mezz’ora fa. Ieri sera ti ho visto stanca, perciò ci ho pensato io.»

«Grazie, sei un angelo.»

«Ti va un po’ di caffè? L’ho appena fatto.»

«Sì, grazie. Ella, c’è una cosa che devo dirti.»

«Sì?»

«Vieni a sederti, è difficile da spiegare.»

Ella portò due tazze di caffè a tavola e si sedette di fronte a Rosanna.

«Sai che mio marito Roberto e io presto divorzieremo.»

«Sì. È per questo che sei andata nella vostra vecchia casa di Londra: per prendere le tue cose.»

«Sì, be’, mentre ero lì, per puro caso l’ho incontrato. È arrivato proprio quando stavo per andarmene. Abbiamo parlato, e ieri sera tardi è venuto a trovarmi.»

«Ah. E dov’è?»

«Di sopra che dorme.»

Ella annuì, poi disse: «Quindi non divorzierete più?».

«No, be’, il fatto è… non credo. Resterà qui per qualche giorno. Abbiamo tante cose di cui parlare. E vuole vedere suo figlio.»

«È ovvio. Ma Stephen?»

Rosanna scosse la testa. Si sentiva tremendamente in colpa. «Ella, non lo so proprio. Roberto è mio marito, il padre di Nico. Se c’è la possibilità di tornare a essere una famiglia vale la pena tentare, non credi?»

La nipote annuì di nuovo, senza tradire alcuna emozione. «Sì, capisco, ma Stephen mi piace. Ci rimarrà malissimo.»

«Sì, ma… A essere sincera, ora non ci posso pensare. Porto del caffè a Roberto. E domani, come regalo per esserti occupata ieri di Nico, andiamo tutti a Cheltenham a comprarti un vestito per il concerto» annunciò, in un patetico tentativo di riconciliazione.

«Grazie, ma devo indossare l’uniforme scolastica come le altre.» Il tono di Ella era formale e distante.

«Be’, per Natale, allora.»

«Va bene, grazie» accettò lei di malavoglia.

Rosanna prese Nico tra le braccia. «Forza, andiamo di sopra a trovare tuo padre.»

Venti minuti dopo Rosanna uscì dal bagno e percorse il corridoio fino alla camera da letto. Si fermò sulla soglia e vide padre e figlio accoccolati sul letto a leggere il libro preferito di Nico, quello di Winnie the Pooh. Aveva sognato quel quadretto talmente tante volte che le si formò un nodo in gola.

«Devi scendere a conoscere mia nipote Ella» disse entrando in camera.

«Sì, certo.» Roberto alzò lo sguardo. «È bellissimo, Rosanna, così vivace. Mi ero dimenticato quanto fosse meraviglioso passare del tempo con lui.»

«Non te ne dimenticare più, okay?» sussurrò.

«Mai più» rispose lui con fermezza.

«Papà.»

Roberto le fece l’occhiolino. «Visto? Non mi ha dimenticato.» Chinò la testa sul figlio. «Dimmi, Nico.»

Il bambino indicò il libro. «Leggi, grazie, prego.»

Ella si voltò nel sentire Roberto che entrava in cucina. Dietro di lui comparvero anche Rosanna e Nico.

«Quindi tu sei Ella» disse Roberto.

«Sì. Piacere di conoscerla» rispose lei in tono formale.

«Tua zia ti tratta bene, spero» chiese lui.

«Sì. Molte grazie, signore.»

«Per favore, chiamami Roberto e dammi del tu. Dopotutto sono tuo zio.» Si voltò verso Rosanna. «Ho deciso che oggi andremo tutti a pranzo in quel bel ristorantino di Chipping Campden in cui andavamo sempre.»

«Ma Roberto, bisogna prenotare con mesi di anticipo» obiettò Rosanna.

Lui la guardò con condiscendenza. «Amore, forse ti sei dimenticata che c’è sempre posto per Roberto Rossini e la sua famiglia. Chiamo subito il maitre d’o.» Si allontanò per telefonare, fece la prenotazione e tornò a sedersi a tavola. Rosanna intanto preparava caffè e toast.

«Di chi sono quelli?» chiese Roberto indicando un paio di grossi stivali accanto alla porta della cucina.

Rosanna arrossì. «Sono del mio amico Stephen.»

Roberto si alzò, attraversò la stanza a grandi passi, raccolse gli stivali e li gettò senza tanti complimenti nel cestino della spazzatura. «La prenotazione è per l’una. Mi porteresti caffè e toast nello studio, Rosanna? Devo chiamare Chris per dirgli dove sono.»

«Certo, tesoro.»

Ella assistette a quello scambio di battute e intuì che le cose, a Manor House, da quel momento in avanti sarebbero state molto, molto diverse.

A pranzo Roberto era in gran forma e intratteneva la sua famiglia – come il resto degli avventori – con elaborati aneddoti. Ella sedeva in silenzio, e osservava con ansia sempre maggiore l’espressione sognante di Rosanna.

Più tardi, quel pomeriggio, Roberto e Rosanna si sdraiarono sul tappeto, davanti al fuoco.

«È strana, la tua Ella» commentò lui.

«No, è molto dolce e carina, ma è un po’ timida, soprattutto con te» disse Rosanna.

«Sono così spaventoso?»

«Diciamo che puoi… intimidire, sì.»

«Mi dispiace.»

«Devi trattarla con gentilezza. Anche se ormai ha accettato l’idea che sua madre è gravemente malata; ogni giorno si aspetta di ricevere la notizia della sua morte, come me. Non dimenticarlo mai.»

«Ma certo. Deve essere dura per tutte e due.»

«Sì, è vero.» Rosanna guardò nel fuoco. «Roberto…» Doveva per forza chiederglielo. «Hai intenzione di rimanere?»

Lui le prese la mano e la strinse. «Certamente, principessa. Il mio posto è con mia moglie e mio figlio. A meno che tu non voglia proseguire con le pratiche per il divorzio.»

«No, certo che no.»

«Bene. Lo comunicherò al mio avvocato.»

«Dobbiamo parlare di tante cose, organizzarci. Voglio dire…» Roberto le posò un dito sulle labbra. «Shhh, Rosanna, non rovinare questo momento pensando al futuro. Ti sei sempre preoccupata troppo. Non ho impegni fino all’anno nuovo. Godiamoci il Natale insieme, e poi ne parliamo.»

«Lo dirai a Donatella?»

«E tu lo dirai al tuo “amico”?» ribatté Roberto.

«Devo. Gli avevo detto che avremmo passato il Natale insieme.»

«Allora resterà deluso, ma non posso farci nulla» rispose allegro lui, lasciando trapelare la tensione solo dal guizzo dei muscoli nella mascella. «Sono tuo marito, l’unico uomo che ti ama e ti capisce davvero.» Con le labbra cercò le sue e le sfiorò un seno con la mano. Rosanna capì che non avrebbero più parlato, per quel pomeriggio.

Martedì sera Roberto, Rosanna e Nico accompagnarono Ella a scuola per assistere al concerto di Natale. Appena entrati, tutti si voltarono a guardare Roberto. Lui sorrise con grazia al pubblico mentre si accomodava sul fondo della sala insieme alla famiglia.

«Signora Rossini.» La preside, rossa in volto, si avvicinò con titubanza. «Non avevo idea che avrebbe portato suo marito. Prego, ci sono dei posti liberi in prima fila.»

«Grazie per l’offerta, ma da qui vediamo molto bene. Non vorrei turbare le artiste» sussurrò lui.

«Be’, spero che dopo rimaniate per bere una tazza di caffè.»

«Ma certo» rispose Rosanna, e la preside  si allontanò per mandare a chiamare il fotografo del giornale locale. Non poteva assolutamente perdere quello scoop.

Iniziò il concerto. Roberto guardò Nico, che si era addormentato sulle gambe di Rosanna, e pensò che gli sarebbe tanto piaciuto poter fare lo stesso.

Poi sentì una voce. Una voce bassa, profonda, ricca di colore, e guardò interessato sul palco. Era Ella: le spalle curve per il nervosismo, il corpicino sottile che quasi disapprovava il fatto che una voce così forte e potente provenisse da dentro di lei. Gli ricordò la primissima Rosanna, tutta dinoccolata con i suoi enormi occhi neri. Un giorno, come sua zia, sarebbe diventata una bellezza.

Si voltò verso Rosanna, che fissava la nipote a bocca aperta, e le fece un cenno di approvazione, dopodiché si girò di nuovo verso il palco. Non c’erano dubbi che avesse una voce eccezionale, molto diversa da quella di sua moglie. Era un mezzosoprano, o addirittura un contralto.

Quando Ella finì di cantare, Rosanna si voltò verso il marito, con gli occhi lucidi. «Ah, se solo Carlotta avesse potuto sentirla.»

Dopo il concerto Roberto e Rosanna fecero il loro dovere rimanendo a bere un caffè e chiacchierando con i genitori e gli insegnanti.

«Ella ha una voce che merita di essere coltivata.» Roberto mise una mano sulla spalla della nipote, con fare possessivo, mentre parlava con la preside.

«Be’, con il suo dono e quello di sua moglie, non sorprende, no?» rispose la donna con un sorriso.

«Purtroppo questa ragazza non è merito mio. Siamo parenti, ma non consanguinei» la corresse Roberto.

«Abbiamo capito che aveva talento appena è arrivata» proseguì la preside emozionata. «All’inizio era timidissima, ma abbiamo lavorato sodo per farla uscire dal suo guscio.»

«E avete fatto un ottimo lavoro, dico bene cara?» chiese Roberto alla moglie.

«Sì, sì.» Lei stava cercando di impedire a Nico di sgraffignare i biscotti al cioccolato su un vassoio lì vicino.

«Hai intenzione di fare la cantante, Ella?» le chiese Roberto.

«Oh, sì.» La ragazza sorrise timidamente, per nulla abituata a trovarsi al centro dell’attenzione.

«Allora ti troveremo il migliore insegnante d’Inghilterra. Non è mai troppo presto per iniziare a studiare. Vero, Rosanna?»

«Oh, no, senz’altro» concordò lei.

«Be’, qui possiamo organizzarle delle lezioni private, signor Rossini, e… Oh, le dispiace se ci facciamo una foto? È per il giornale locale» disse la preside.

Roberto mise un braccio intorno alle spalle della donna e sorrise all’obiettivo, con Nico che si agitava tra le braccia di Rosanna. «Ora dobbiamo proprio andare» disse secco. «Mio figlio è stanco.»

«Buon Natale a tutti voi» cinguettò la preside accompagnandoli alla porta.

Il giorno successivo Roberto dichiarò di voler portare Rosanna a Cheltenham per fare un po’ di shopping natalizio.

«Ti dispiace tenere d’occhio Nico, Ella? Vogliamo comprargli i regali di Natale» chiese Rosanna.

«Certo che no.»

«Non dovremmo metterci più di un’ora» aggiunse. Non voleva che la nipote si sentisse esclusa, o che avesse la sensazione di venire sfruttata.

«Non temere, mi piace stare con Nico» disse Ella, ancora di buonumore per il concerto della sera precedente.

Quando Rosanna e Roberto se ne furono andati, andò a rimettere in ordine la cucina, canticchiando qualche inno mentre Nico giocava sul pavimento. Quando Roberto era ripiombato senza preavviso nella vita di Rosanna, Ella aveva temuto il peggio – che non sarebbe stata più la benvenuta in quella famiglia che aveva imparato ad amare. Ma quella mattina si era sentita più felice che mai. Il grande Roberto Rossini aveva notato il suo talento. Le avrebbe trovato un insegnante di canto che la aiutasse a entrare al Royal College of Music di Londra tra un anno. Anche se il pensiero di sua madre non la abbandonava mai, quel giorno neppure la consapevolezza che stava per perderla riusciva ad abbatterle il morale.

Sentì un’auto nel vialetto e andò alla porta per vedere chi fosse. Il cuore le sprofondò nelle scarpe quando vide Stephen scendere dalla Jaguar.

«Ciao, Ella.» le sorrise e prese due buste piene di pacchi dal sedile del passeggero. «Come stai?»

«Bene, grazie. Ti aspettavamo venerdì» rispose nervosa.

«Ho finito in anticipo a New York, perciò ho preso un volo prima.»

Si udì uno schianto in cucina ed entrambi corsero dentro, allarmati. Nico aveva fatto cadere un barattolo di metallo pieno di biscotti, che si erano sparpagliati sul pavimento. Li stava raccogliendo uno dopo l’altro, infilandoseli in bocca con gusto.

«Vedo che anche Nico sta alla grande.» Il piccolo emise un gridolino di gioia quando Stephen lo prese tra le braccia e lo coprì di baci. «Come stai, birbante? E dov’è la tua mamma?»

«È andata a fare shopping, per comprare dei regali di Natale, credo» disse Ella con cautela.

«Ah, allora aspettiamo che torni. Non ci metterà molto, no?» disse Stephen, sedendosi a tavola con Nico in grembo. «Ha preso un taxi?»

«Ehm, no. Le hanno dato un passaggio.»

«Ah, sì? E chi?»

Ella non rispose. «Ti va un po’ di caffè, Stephen?»

«Sì, grazie. Ella, mi dici che succede?» le chiese gentilmente.

«Nulla.»

«Dài, l’ho capito che c’è qualcosa che non va. Ho chiamato domenica e non c’era nessuno. Stamani ho chiamato da Hea­throw e qualcuno ha risposto, ma ha riagganciato appena ho iniziato a parlare.»

«Stephen.» La ragazza parlava a voce bassa e non aveva il coraggio di voltarsi. «Faresti meglio a parlare con Rosanna. Non sta a me dirtelo.»

«Perdonami, Ella, ma credo di poterci arrivare da solo. Quando è andata nella casa di Londra ha incontrato Roberto. È tornato, vero?»

Lei si girò. Aveva gli occhi grandi ed era pallida. «Io non te l’ho detto, Stephen, per favore. L’hai indovinato.»

«E ho indovinato davvero, a quanto pare. Lo sapevo. Lo sapevo.» Scosse la testa e sospirò sconsolato. «Gliel’avevo detto di non andare a Londra senza di me.»

Ella temette che stesse per mettersi a piangere. Sembrava distrutto. «Vieni, Nico.» Gli prese il bambino dalle braccia, lo appoggiò sul pavimento tra i suoi giocattoli. Poi mise una tazza di caffè davanti a Stephen.

«Mi dispiace.» Gli diede dei colpetti sul braccio con gesti meccanici. Non sapeva cos’altro fare.

«No, dispiace a me» disse lui. «Non è giusto neanche nei tuoi confronti. Sai se Roberto resterà?»

«Per Natale? Sì.»

«Capisco.» Stephen guardò Nico. Poi si alzò senza toccare il caffè.

«Allora è meglio che vada. Nell’ingresso ci sono dei giocattoli per il piccolo e un paio di regali per te e Rosanna.» Si inginocchiò e baciò il bambino sulla testa. «Ciao ciao, birbante. Fai il bravo.»

«Ciao ciao.» Nico lo guardò con un gran sorriso, ignaro di tutto.

«Cosa devo dire a Rosanna?»

«Dille solo che sono passato. Addio, Ella. Prenditi cura di te. Buon Natale.» La baciò sulla guancia e se ne andò.

Dalla finestra Ella lo vide salire in macchina. Da come teneva le spalle curve e la testa china, era evidente che fosse devastato.

«Addio, Stephen» mormorò triste.

 

45

 

Rosanna trascorse il Natale come annebbiata dalla felicità. Nella settimana di festa rimasero a casa, godendosi pigre giornate seduti vicino al fuoco a guardare Nico che si divertiva con gli stravaganti giocattoli che gli aveva comprato Roberto. La sera cenavano, poi guardavano un film e facevano languidamente all’amore.

L’unica cosa che rovinava la sua tranquillità era il pensiero di Stephen. Ella le aveva detto che era passato, e aveva nascosto subito i regali che aveva comprato per loro, perché non voleva che Roberto si alterasse. Rosanna sapeva che avrebbe dovuto telefonargli e incontrarlo di persona per spiegargli come stavano le cose, ma ora, in piena euforia per il ritorno di Roberto, non riusciva a concepire l’idea di un confronto. E il senso di colpa per quella sua incapacità la consumava.

Alla fine della settimana, la vigilia di Capodanno, Roberto portò Rosanna e Nico a pranzo a Cheltenham. Ella aveva declinato l’invito dicendo che aveva mal di testa. Rientrarono alle quattro e trovarono la casa silenziosa.

«Ella? Ella?» chiamò Rosanna dall’ingresso.

Non ci fu risposta. Corse su per le scale. La porta della stanza della nipote era chiusa. Bussò ma non ottenne risposta, perciò entrò e trovò la ragazza seduta sul davanzale della finestra. Teneva le ginocchia strette al petto. Guardava fuori, immobile come una statua.

«Ella, che succede?» La ragazza non fece neanche cenno di averla sentita. Rosanna si avvicinò. «Tesoro. Dimmi che c’è, ti prego.»

«Ha chiamato Luca. La mamma è morta stamattina alle undici.»

Con un enorme sforzo, per il bene di Ella, Rosanna si costrinse a non far trasparire alcuna emozione per quella terribile notizia. «Oh, tesoro.» Mise una mano sulla spalla della nipote. «Mi dispiace tantissimo.»

«Lei è tutto quello che ho… che avevo…»

Rosanna si avvicinò e la abbracciò. «Hai noi, Ella.»

«Ma voi non mi volete. Io sono un’intrusa, qui. Ora che è tornato Roberto, sono solo d’impiccio.»

«Ella, ti prego, non dire così. Io ti voglio bene e Nico ti adora. Sei una parte importante della famiglia.»

«È che… pensavo di essere pronta. Sapevo che sarebbe successo, ma ora…» Guardò Rosanna con occhi pieni di tristezza. «Non voleva vedermi prima di morire e ora Luca mi ha detto che non mi vuole al funerale. Perché? Perché? Rosanna, non mi voleva bene? È per questo?»

«No, Ella! Ascoltami. Il motivo per cui ha fatto tutto ciò è perché ti amava moltissimo. Voleva risparmiarti la pena di vederla soffrire, e ora non vuole che tu vada a piangere sulla sua tomba. Aveva dei progetti per te, ed era pronta a perderti prima del previsto. L’ha fatto per te, non capisci?»

«Era mia madre. Voglio dirle addio, voglio dirle…» All’improvviso Ella crollò e si accasciò a piangere sulla spalla di Rosanna. «Che ne sarà di me, adesso? Non posso restare per sempre qui con te. Devo tornare a Napoli.»

«Oh, tesoro.» Rosanna le accarezzò i capelli. «Non ti piace proprio stare qui?»

«Sì, certo che mi piace, ma non è casa mia.»

«Ella, Roberto e io, e soprattutto tua madre, vogliamo che tu viva qui con noi. Sai che mi ha scritto una lettera in cui mi chiede di prendermi cura di te finché non diventerai grande abbastanza da badare a te stessa? E in quella lettera mi dice che hai più possibilità di sviluppare il tuo talento come cantante qui, dove possiamo aiutarti.»

«Quindi» disse Ella guardandola «lo fai perché lo consideri un dovere? Perché te l’ha chiesto la mamma?»

«No.» Rosanna le accarezzava delicatamente i lunghi capelli, consapevole di quanto in quel momento la nipote fosse vulnerabile. «Quando sei arrivata qui non ti vedevo da anni. Eravamo due estranee e abbiamo dovuto conoscerci meglio. Ma ormai sei diventata una figlia per me, e anche una buona amica. Il pensiero di vederti andare via mi distrugge. Davvero, tesoro. Ti voglio un bene dell’anima.»

«Sei sicura che non lo dici tanto per dire?»

«Sai bene che non è così. Ma deve essere una tua decisione, Ella. Se desideri tornare a Napoli, nessuno ti fermerà. Ricordati, però, che tua madre ti ha mandato qui da me perché non voleva che finissi come lei, a gestire il bar di tuo nonno. Se c’è una cosa che so per certo, è che Carlotta voleva darti una possibilità, un futuro, a qualsiasi prezzo.»

«Perché lei non l’ha mai avuto» mormorò la ragazza. «Era così bella. Mi sono sempre chiesta perché non volesse di più dalla vita.»

«Un tempo lo voleva eccome» rifletté Rosanna ad alta voce. «Poi qualcosa è andato storto, Ella. Non so bene cosa, ma Carlotta è cambiata. Se vuoi renderla felice, devi sfruttare il tuo talento e l’opportunità che ti ha concesso a prezzo di tanti sacrifici.»

«Credi davvero che io abbia talento, Rosanna?»

«Oh sì, tesoro, e anche Roberto lo crede.»

«E davvero non vi dispiace avermi qui?»

«No, non ci dispiace.» Rosanna le diede un tenero bacio sulla testa. «Dài, perché non andiamo a farci una tazza di tè?»

Quella sera, dopo aver convinto Ella, ancora devastata ed esausta, ad andare a dormire, Rosanna scese di sotto. Roberto guardava un film in soggiorno, tenendo sulle gambe un piatto con un panino mezzo mangiato.

«Come sta?» domandò senza distogliere lo sguardo dallo schermo.

«Meglio. Poverina.» Rosanna si buttò sul divano. «Ricordo fin troppo bene come ci si sente a perdere la madre da giovane.»

«Almeno Carlotta è stata fortunata che ci fossi tu a occuparti di Ella.»

«È il minimo che possa fare» disse Rosanna. «Glielo devo.»

«Ah, gli italiani» disse Roberto guardandola per un attimo.

«Gli umani, vorrai dire. E ricordati che io oggi ho perso mia sorella.»

Roberto non rispose. Diede un morso a quanto restava del panino. «Mi sono preparato uno spuntino, non c’era niente per cena.»

«Roberto, finiscila. Che razza di problema hai? Perché sei così egoista?»

«Perché, mia cara, tra due settimane dovrò partire, canterò a Vienna. Volevo che tu e Nico veniste con me, ma immagino che ora non potrete più.»

Rosanna lo guardò sbalordita. «No, sai che non posso. Come puoi anche solo aver sperato che lasciassi Ella da sola in un momento come questo?»

Roberto non disse nulla e continuò a mangiare.

«Quanto starai via?» Rosanna parlava con calma, ma la rabbia la stava consumando dentro.

Lui fece spallucce. «Credo tre settimane, forse di più. Domattina chiamerò Chris per ufficializzare l’itinerario. Magari potresti raggiungermi a Vienna.»

«Ne dubito fortemente» rispose fredda Rosanna, che si alzò. «Vado a dormire. Buonanotte.»

Rosanna fu svegliata da Roberto, che le baciava piano il collo. «Amore, scusa se sono stato egoista. Soffri per la perdita di tua sorella e mi sono comportato malissimo.»

«Sì, Roberto» concordò lei con fervore. «Come hai potuto essere così insensibile?»

«È solo che detesto l’idea di doverci separare così presto. Mi ha fatto reagire male. Dimmi che mi perdoni, ti prego.»

Anche se era ancora furiosa con lui, Rosanna si girò e lasciò che la baciasse.

«Cerca di pensare anche agli altri, ogni tanto.»

«Lo farò. Ti amo, Rosanna.»

E poi, come sempre, le ultime vestigia della sua rabbia svanirono appena cominciarono a fare all’amore.

* * *

«Stephen?»

«Sì?»

«Sono Luca. Come stai?»

Stephen esitò prima di rispondere. «Bene… Come sta tua sorella?»

Anche Luca rispose dopo un attimo di esitazione: «È morta due settimane fa. Rosanna non te l’ha detto?».

«No. Io… di recente sono stato occupato e non l’ho vista. Le mie più sentite condoglianze per la tua perdita, Luca.»

«Da molti punti di vista è meglio così. Verso la fine provava troppo dolore. E ora che Carlotta ci ha lasciati, devo continuare con la mia vita e prendere alcune decisioni importanti. Stephen, sei stato a New York, hai ulteriori dettagli sul disegno?»

«In effetti sì. Aspettavo che mi chiamassi. Dobbiamo parlare, Luca, ma non al telefono. Hai intenzione di venire in Inghilterra entro breve?»

«Sì, voglio venire a trovare Ella, ma prima ho alcune cose da sistemare qui a Napoli per Carlotta.»

«Avvertimi quando saprai la data di partenza.»

«Ci vediamo a casa di Rosanna, no?» chiese Luca confuso.

«Temo che siano cambiate alcune cose dall’ultima volta che abbiamo parlato» rispose Stephen brusco. «Perciò no, non ci vedremo lì. Ma lascerò che sia lei a parlartene. A presto.»

Donatella aprì la porta dell’appartamento di Roberto. Raccolse il mucchietto di lettere sul tappetino e lo portò sul tavolo in cucina.

Attraversò il soggiorno, entrò nella camera di Roberto e spalancò gli armadi. Il suo primo istinto fu di prendere un coltello e di fare a pezzi ogni capo di vestiario che trovava, ma sarebbe stata una cosa infantile, e gli avrebbe fatto troppo poco male. Si meritava di peggio.

Tirò fuori i suoi vestiti, gli abiti da cocktail e le gonne e scaraventò tutto sul letto. Rovesciò due cassetti di lingerie – i reggicalze neri che a lui piacevano tanto, le mutandine di seta che accarezzava mentre facevano all’amore… Non avrebbe versato una lacrima, per Roberto. No, avrebbe preso tutte le sue emozioni e le avrebbe trasformate in rabbia, come le aveva consigliato il suo terapista.

«Ti odio, ti odio» borbottò tra sé mentre prendeva una valigia e iniziava a riempirla con la sua roba. «Ti punirò, ti punirò» ripeteva. Chiuse la valigia e uscì dalla stanza.

Le ci volle appena un quarto d’ora per prendere tutte le cose che aveva lasciato a casa di Roberto. Poi si sedette e tirò fuori una penna dalla borsetta.

Doveva lasciargli un biglietto? Cosa avrebbe potuto dirgli? C’era qualcosa che poteva spaventarlo? Scuoterlo da quell’insopportabile arroganza anche solo per due secondi?

Quando Roberto non era tornato dal concerto a Ginevra e non avendolo più sentito, aveva telefonato a Chris Hughes. Da lui era stata informata che Roberto era in Inghilterra, ma che non sapeva dove alloggiasse né quando sarebbe tornato. Lei gli aveva urlato contro, sostenendo che invece sapesse perfettamente dove si trovava, e siccome lui non aveva negato, Donatella gli aveva riattaccato il telefono in faccia. Più tardi era andata a una festa e si era ubriacata oltre ogni limite.

Il mattino successivo si era svegliata in preda ai postumi della sbornia e aveva capito che forse Roberto si sarebbe ripresentato dopo qualche tempo, con tutta la sua sfacciataggine, aspettandosi che lei capisse la situazione e la accettasse. Si era preparata un Bloody Mary e si era chiesta se fosse pronta a buttare giù quell’ennesimo affronto.

Le ci era voluto molto tempo per capire che no, non lo era. L’aveva sfruttata per quasi dieci anni, trattandola come spazzatura da gettare via ogni volta che ne avesse voglia. Dal canto suo, lei si era illusa a lungo, convinta che un giorno avrebbe dimenticato Rosanna e sposato lei. Ora era certa che si trattasse solo di fantasie.

Aveva fatto i bagagli e trascorso il Natale con alcuni vecchi amici alle Barbados. Ogni notte, sola a letto, la sua risolutezza si era fatta sempre più forte. E lentamente l’amore aveva iniziato a trasformarsi in odio bruciante.

Donatella si morse il labbro. Era difficile continuare a detestare Roberto stando seduta in mezzo alle sue cose, in una casa in cui avevano condiviso così tanti momenti felici. Per lui la loro storia aveva mai significato qualcosa? No, si rispose brutalmente, e sapeva che era la verità.

Voleva punirlo, farlo soffrire come lui aveva fatto tante volte con lei. Fargli assaggiare un po’ del dolore che si provava nel perdere una persona amata.

Si era lambiccata il cervello per un mese intero cercando di pensare a come impartirgli una lezione che non avrebbe mai dimenticato. Ma quell’uomo era inattaccabile. Avrebbe potuto vendere la sua storia ai giornali, ma così facendo gli avrebbe solo dato ancora più visibilità, che peraltro lui bramava. E non aveva scheletri nell’armadio che non fossero già venuti allo scoperto.

Donatella prese una delle buste dalla pila di corrispondenza, su cui decise di scrivere il suo messaggio di addio. Era una lettera della banca. D’impulso la aprì, guardò la cifra in fondo al foglio e vide che nel conto aveva oltre duecentomila dollari. Perse subito interesse e gettò via il foglio. Non era nel portafogli che voleva farlo soffrire.

Avvicinò tutta la posta e cominciò a sfogliarla con cura. Trovò bollette, inviti a feste e svariati biglietti di auguri natalizi da donne che non aveva mai sentito nominare, e gettò tutto a terra dopo avergli dato a malapena un’occhiata. Poi si imbatté in una grossa busta color crema. Il francobollo era italiano. Recava la scritta “confidenziale” nell’angolo in alto a sinistra e arrivava dalla Metropolitan Opera House. Donatella la aprì. Dentro c’era una lettera e un’altra busta. Iniziò a leggere.

Studio Legale Castellone

Via Foria

Napoli

Egregio signor Rossini,

allego alla presente una lettera da parte della mia cliente, la signora Carlotta Menici, che mi ha lasciato istruzioni affinché gliela inviassi il giorno della sua morte. Purtroppo la signora Menici è venuta a mancare il 31 dicembre 1982. Le chiedo di darmi conferma di ricezione. Se ha bisogno di ulteriori informazioni, non esiti a contattarmi.

In attesa di una sua risposta,

Avvocato Marcello Dinelli

Donatella prese la seconda busta, indirizzata a Roberto. La aprì senza esitazioni e iniziò a leggere.

Alcuni minuti più tardi, dopo aver riletto due volte quella lettera, scoppiò a ridere. Rise così tanto che cominciò a farle male la pancia.

Alla fine si asciugò gli occhi, si alzò e guardò il soffitto.

«Grazie, Signore. Grazie.»

 

46

 

«L’hai chiesto ad Abi, principessa?»

«Sì, Roberto. Ma è troppo impegnata con la revisione del suo libro, non riesce a venire qui nel fine settimana.»

«Ma io devo vederti. Non puoi lasciare Nico con Ella per due notti? Sai che la adora.»

«No, Roberto. A sedici anni non è giusto affibbiarle una responsabilità del genere. E poi non voglio lasciarla sola in questo periodo. È ancora in lutto, ricordi?»

«Mi sento così solo qui, amore. Ho una suite enorme con un letto gigantesco… Ho bisogno di te» gemette lui.

«Non farmi questo, Roberto, per favore.» Rosanna era sul punto di piangere.

«È evidente che ami tuo figlio e tua nipote più di tuo marito. Be’, allora vado e ti lascio a loro.»

«Roberto, così sei ingiusto. Io…» Rosanna tacque. Le aveva riattaccato in faccia. «Accidenti a te!» gridò, e sbatté giù il telefono, poi si lasciò cadere su una sedia.

«Che succede, Rosanna?» chiese Ella sulla soglia.

«Oh, niente» rispose lei sospirando. «È solo il mio insopportabile marito, non farci caso. Vuoi una tazza di tè? Mi sembri molto infreddolita. Com’è andata a scuola?»

«Bene. Sì, grazie, mi andrebbe una tazza di tè, mi ci sto abituando. E fuori fa freddissimo, potrebbe anche nevicare.» Ella si tolse il cappotto, il cappello dell’uniforme e i guanti. «Roberto vorrebbe che tu andassi a Vienna, vero?»

«Già.» Rosanna infilò due bustine nella teiera. «Pensavo che la mia amica Abi potesse venire per un paio di notti e occuparsi di voi, ma ha troppo da fare.»

«Rosanna, sai che a Nico posso pensarci io. Se vuoi andare a Vienna per me non ci sono problemi.»

«No, Ella.» Aggiunse l’acqua alla teiera con aria sconsolata. «Non posso chiederti questo. Non sarebbe giusto.»

«Per due notti e basta? Che vuoi che sia?»

«Hai solo sedici anni, Ella, e…»

«Appunto, ho quasi l’età per diventare madre a mia volta» ribatté lei. «Spesso a Napoli quando facevo la babysitter mi lasciavano sola tutta la notte. Ti farebbe bene vedere Roberto, no?»

Rosanna versò il tè in due tazze, ci aggiunse il latte e si sedette a tavola. «Quando è tornato sapevo che ci saremmo dovuti separare di nuovo, ma non ricordavo quanto fosse doloroso. È lo stesso incubo dei primi tempi, e lo sto vivendo di nuovo. Scusami, non dovrei assillarti con i miei problemi.»

«Hai ascoltato i miei più di una volta. Sei stata un’amica, oltre che una zia. Spero di poterlo essere anch’io per te.»

«Lo sei, Ella, e sono felice che tu sia qui. Davvero, senza di te sarei impazzita.»

La ragazza sorrise. «Sono contenta. Tu mi hai aiutato, Rosanna, perciò ora lascia che io aiuti te. Chiama Roberto e digli che lo raggiungerai a Vienna questo fine settimana. È il minimo che possa fare per ripagarti della tua gentilezza.»

«Grazie per l’offerta, Ella, la apprezzo molto e prometto che ci penserò. Ora vado a svegliare Nico.»

Rosanna si alzò e uscì dalla cucina. Andò di sopra riflettendo sulle parole della nipote. Era molto tentata. L’assenza di Roberto l’aveva fatta ripiombare in un baratro emotivo. Prese Nico dal suo lettino e proprio in quel momento suonò il telefono. Forse aveva risposto Ella, perché dopo due squilli tornò muto.

«Ti piacerebbe diventare un bambino cosmopolita e girare il mondo con me e tuo padre?» chiese a Nico mentre gli cambiava il pannolino.

Lo portò di sotto e trovò Ella tutta sorridente. «Era Roberto. Ha chiamato per scusarsi.»

«Ah, ma davvero?»

«Gli ho detto che hai cambiato idea e che lo raggiungerai nel fine settimana. Era molto contento. Ha detto di fargli sapere a che ora arriverai.»

«Ma Ella, io…»

«È tutto organizzato. E ormai non puoi deluderlo.»

Rosanna guardò la nipote in preda all’incertezza, poi sorrise con gratitudine. «Grazie mille, tesoro, davvero.»

Sabato mattina si svegliò alle sei. Fece la doccia e si vestì, poi scese in cucina a preparare il ragù. Al soffritto di verdure aggiunse macinato di manzo e aglio, erbe e sugo di pomodoro. Voleva che Nico e sua cugina avessero qualcosa di buono da mangiare quella sera. Mentre il sugo cuoceva, si sedette e scrisse una lunga lista di istruzioni per Ella, a partire dalla colazione e per arrivare fino all’ora della nanna.

Si sentì un po’ sciocca, perché dopotutto sua nipote sapeva benissimo quali erano le esigenze e i ritmi di Nico, ma mise lo stesso la lista accanto al telefono e vi scrisse anche il numero dell’Imperial Hotel di Vienna, quello del medico del paese e dell’appartamento londinese di Abi. A quel punto tolse il sugo dal fuoco e lo coprì. Guardò l’orologio e andò di sopra a finire di fare i bagagli.

Rosanna accarezzò Nico sulla guancia. «Mi sembra un po’ caldo» disse accigliata.

«Sta benissimo. Vero?» disse Ella coccolandolo. «Stamani ha corso un sacco. È soltanto accaldato, non ti preoccupare. Vai, Rosanna, o perderai l’aereo.»

«Ciao ciao, angioletto.» Diede un altro bacio a Nico, poi prese la valigia. «Per qualsiasi problema chiamami all’Imperial, o chiama Abi o…»

«Sì! Ora vai, Rosanna, per favore» esclamò Ella ridendo.

Sul taxi continuò a salutare con la mano finché suo figlio e sua nipote non sparirono in lontananza. E se Nico si stava ammalando? Era caldo quando l’aveva toccato, ne era sicura. Si consolò dicendosi che probabilmente gli stava solo spuntando un dentino; ogni volta che succedeva gli saliva sempre la temperatura. Era il senso di colpa a renderla paranoica. E poi perché andare a Vienna, se doveva stare tutto il tempo a preoccuparsi per Nico?

Non senza sforzo Rosanna smise di pensare al figlio e si concentrò sull’idea che entro poche ore avrebbe rivisto il marito.

«Stephen, sono Luca. Atterrerò a Londra domani mattina.»

«Ah, bene. A che ora?»

«Alle dieci. Poi prenderò il treno per Cheltenham e dovrei arrivare a casa di Rosanna dopo pranzo, più o meno. Potresti passare domani pomeriggio?»

«Meglio di no.» Stephen non riusciva a credere che Luca ancora non sapesse del ritorno di Roberto. «Stasera sarò a Londra. Ti vengo a prendere a Heathrow domani mattina per darti uno strappo nel Gloucestershire. Parleremo durante il tragitto.»

«È molto gentile da parte tua, Stephen. Chiamerò Rosanna per dirle a che ora arrivo.»

«Va bene. A presto.»

Luca riattaccò e poi chiamò Rosanna. Il telefono squillò diverse volte. Riagganciò e decise di provare più tardi.

Ella sentì il telefono suonare, ma in quel momento Nico stava avendo una delle sue rarissime crisi isteriche. Urlava, picchiava i pugni sul pavimento e si rifiutava di farsi cambiare il pannolino. Quando riuscì a rispondere dall’apparecchio in camera di Rosanna, non c’era più nessuno.

Se non altro Nico si era calmato. Gli tastò la fronte. In effetti era caldo. Ella lo portò di sotto per dargli un po’ di paracetamolo pediatrico, come le aveva consigliato la zia.

* * *

«Principessa! Sei qui, sei davvero qui!»

Rosanna lasciò cadere la valigia e Roberto la strinse tra le braccia, sollevandola da terra. La portò nella suite e la gettò sul letto.

«Quanto mi sei mancata, quanto ti amo» gemette coprendole il viso di baci e sbottonandole il cappotto.

«Prima devo chiamare Ella» disse Rosanna districandosi dal suo abbraccio.

«Dopo, amore, dopo.» Roberto la zittì con un bacio e lei cedette.

Dopo aver fatto all’amore bevvero un bicchiere di champagne a letto e Roberto la aggiornò sul programma per il fine settimana. «Stasera c’è un gran ballo all’Hofburg Palace. Dopo lo spettacolo andremo direttamente lì.»

«Ma Roberto, non mi sono portata nulla di adatto. Avresti dovuto dirmelo!»

«Vai a dare un’occhiata nel guardaroba, principessa» rispose lui.

Rosanna si alzò dal letto e attraversò la stanza. Nell’armadio, accanto ai completi di Roberto, c’era un abito da sera avvolto nella plastica trasparente.

«L’avrei fatto incartare, ma temevo che prendesse le grinze. Guarda se ti sta» la spronò lui.

Rosanna tolse la plastica. La gonna lunga era splendida, intessuta di tulle, e il corpetto di broccato senza spalline era coperto da migliaia di perline.

«È il vestito più bello che abbia mai visto.» Rosanna lo tolse dalla gruccia e se lo infilò. «Mi aiuti a chiuderlo?»

«Ma certo, signora, se però prometti che me lo lascerai riaprire, dopo.» Roberto agganciò i delicati bottoni di madreperla e Rosanna si osservò allo specchio. «Sembra fatto su misura» commentò lui con aria di approvazione.

Lei si voltò e, con quel movimento, la gonna si gonfiò come per magia. «Oh, ma è magnifico. Grazie, Roberto, grazie.»

«Sarai la donna più bella della festa» disse sorridendo. «Verrai a sentirmi cantare stasera, vero?»

«Ovviamente.»

Roberto la baciò sul collo e sganciò nuovamente quei bottoni che aveva chiuso con tanta cura solo pochi istanti prima.

Un’ora più tardi Rosanna si stava truccando, mentre Roberto si preparava ad andare in teatro. «Oh, Roberto!» All’improvviso si portò una mano alla bocca. «Non ho chiamato a casa.» Si precipitò al telefono e compose il numero di Manor House.

«Ella, sono Rosanna.» Immediatamente si accigliò. «Perché sento Nico piangere?»

«Credo sia un po’ stanco. E ha un po’ di febbre» rispose lei con voce tesa.

«È malato?»

«Non ha mangiato un granché, oggi. Credo che stia bene, ma non si comporta come al solito. Ora lo metto a letto.»

«Devo tornare subito a casa, allora.»

«Che?» sussurrò Roberto che aveva ascoltato la conversazione.

«Resta un attimo in linea, Ella.» Rosanna coprì la cornetta con la mano e guardò Roberto. «È Nico. Ha la febbre, io…»

«Fammi parlare con Ella.» Roberto le strappò di mano il telefono e prese a parlare fitto, annuendo di tanto in tanto. Poi salutò e riagganciò prima che Rosanna potesse anche solo provare a riprendere la cornetta.

«Ma che fai? Volevo parlarci di nuovo, capire se…»

«Rosanna, ti prego. Ho parlato con Ella, ha detto che Nico ha la febbre, tutto qui. Non c’è nulla di cui preoccuparsi, amore. Starà mettendo i denti, o avrà preso freddo. Precipitandoti in Inghilterra non lo aiuterai di certo. Domattina starà bene, ne sono sicuro.»

Rosanna scosse la testa. «Ma se fosse davvero malato? Non ha mai avuto la febbre, prima.»

«Principessa, Nico può godere della tua compagnia ventiquattro ore al giorno. Io ti avrò solo per quarantotto ore, poi dovrai tornare a casa da lui. Per favore, puoi smettere di pensare a tuo figlio per un attimo e stare qui con me per il poco tempo che abbiamo? Comincio a pensare che tu sia un po’ paranoica.»

Rosanna esitò un attimo, lottando contro ogni istinto materno che le gridava a gran voce che qualcosa non andava. Ma non voleva che Roberto la ritenesse iperprotettiva. Alla fine annuì. «Hai ragione, di sicuro non è niente di grave.»

«Forza, allora» sussurrò lui. «Mettiti quel bel vestito e facciamo vedere al mondo che siamo tornati insieme.»

Ella accarezzò la schiena di Nico finché non riuscì a farlo addormentare. Poi uscì in punta di piedi dalla stanza, facendo del suo meglio per non disturbarlo. Scese in cucina stringendo forte il baby monitor e si preparò un panino. Lo mangiò senza neppure sentirne il sapore, poi andò a letto e piombò in un sonno profondo, esausta.

Seduta in un palco in galleria, Rosanna ammirava lo spettacolo che si svolgeva sotto di lei. Il teatro Staatsoper di Vienna era uno dei suoi preferiti in assoluto, forse perché le balconate decorate in oro le ricordavano quelle della Scala. Lanciò un’occhiata nella buca dell’orchestra, dove i musicisti si stavano preparando. Fu presa dalla stessa emozione che provava sempre prima che iniziasse lo spettacolo.

Quella sera andava in scena la Carmen di Bizet. Roberto non aveva mai interpretato Don José, a quanto ne sapeva. Al termine del preludio si aprì il sipario e comparve la piazza di una città spagnola. Rosanna si rilassò, pronta a godersi la scena.

Il ruolo da spagnolo bello e fiero sembrava fatto apposta per Roberto. La sua esibizione fu strabiliante e il pubblico seguì l’andamento dell’opera con grande attenzione.

«Ah, Carmen! Ma Carmen adorée!» cantò Roberto alla fine, con il corpo senza vita della sua amata riverso sul palcoscenico.

Le lacrime scorrevano lungo le guance di Rosanna. Si alzò insieme al resto degli spettatori, che battevano i piedi, applaudivano, lanciavano fiori e gridavano «Bravi!». Non permettevano a Roberto e alla sua Carmen di lasciare il palcoscenico.

Lui alzò lo sguardo e lanciò un bacio a Rosanna.

Fu lì che lei capì cosa fare.

Le ci sarebbe voluto un duro lavoro e tanto sacrificio, ma l’avrebbe fatto, perché doveva.

* * *

«Principessa, sei radiosa. Era da un po’ che non ti vedevo così felice.» Roberto la fece volteggiare sulla magnifica pista da ballo dell’Hofburg Palace.

«Sì, sono felice.» Gli sorrise. «Sono contenta di essere venuta.»

«Anche io. Non riusciamo a stare separati, Rosanna. Questo lo sai, no?»

«Sì.» La musica finì e lui rimase immobile per un istante, stringendola ancora tra le braccia. «Roberto, prima di tornare a sederci voglio dirti che… ho preso una decisione.»

«E sarebbe?»

«Voglio tornare a cantare.»

«Ma è la notizia migliore che avresti potuto darmi. Che bello! Basta separazioni. Le cose torneranno a essere com’erano un tempo.»

«No, non è vero, perché abbiamo Nico. Ma sono sicura che riusciremo a farle funzionare in qualche modo.»

«Ma certo. Forza, andiamo a prendere altro champagne e brindiamo al tuo ritorno sulle scene.» Prese Rosanna per mano e la accompagnò al tavolo. «Domani lo dirò a Chris. Sono sicuro che vorrà che tu canti la Butterfly con me al Met, a luglio, e poi…»

Rosanna ascoltava le parole entusiaste del marito. Sapeva che stava correndo troppo, ma non le importava.

Aveva fatto quello che voleva, gli si era donata completamente.

 

47

 

Ella si svegliò presto e rimase in ascolto, con lo sguardo puntato sul baby monitor che teneva sul comodino. Nessun rumore. Sospirò di sollievo, sperando che i problemi del giorno prima fossero solo una crisi passeggera e che dopo una buona notte di sonno Nico stesse meglio. Si alzò, percorse il corridoio e aprì la porta della cameretta. Il piccolo teneva gli occhi chiusi, ma aveva i capelli bagnati, le guance arrossate e la pelle chiazzata. Gli mise una mano sulla fronte e sentì che scottava. Subito gli tirò via le coperte e si accorse che aveva il pigiamino fradicio. Glielo tolse con il cuore che le batteva forte nel petto, e trasalì quando vide il brutto sfogo rossastro che gli copriva la pelle. Nico aprì gli occhi, gemette e li richiuse subito.

Ella corse di sotto e si precipitò al telefono. Scorse la lista finché trovò il numero dell’Imperial Hotel, poi chiamò e attese che qualcuno le rispondesse.

«Sì, pronto. Potrei parlare con Rosanna Rossini, per favore?»

«Sono spiacente, signorina, ma il signor Rossini ha chiesto di non essere disturbato fino a ulteriore avviso.»

«Ma si tratta di un’emergenza! Suo figlio è malato. Devo parlare con lui, o con la signora Rossini.» Ella era sul punto di piangere per la frustrazione.

«D’accordo, signorina. Vedrò di inoltrare la sua telefonata.»

Ella attese, attanagliata dalla tensione.

«Sono spiacente, ma non risponde nessuno. Forse il signor Rossini ha staccato il telefono. Chiederò a qualcuno di andare a bussare alla porta della suite.»

«La prego, subito» lo incalzò Ella. «Dica alla signora Rossini di chiamare Ella a casa. Le dica che Nico sta male.»

Riagganciò e chiamò Abi. Neppure lei rispose. «Ti prego, fa’ che stia bene» mormorò la ragazza mentre componeva il numero del medico.

«Pronto?»

«Sì, posso parlare con il dottor Martin?»

«È fuori per un intervento. Sono sua moglie, posso aiutarla?»

«Sì. Chiamo da Manor House, sto badando al figlio di Rosanna Rossini, Nico. Ha la febbre alta e un brutto sfogo su tutto il corpo. Non… non so cosa fare.»

«Capisco. Be’, il dottor Martin dovrebbe tornare tra poco. Se mi dà l’indirizzo lo manderò subito da lei.»

Ella obbedì.

«Ora, mia cara, finché mio marito non arriva gli faccia delle spugnature con acqua tiepida. Dovrebbe servire ad abbassargli la temperatura. E provi a fargli bere un po’ d’acqua. Se inizia a peggiorare o perde conoscenza, chiami subito un’ambulanza.»

«Lo farò. La ringrazio.»

Ella riagganciò. Riempì una tazza d’acqua e salì le scale in preda all’ansia, desiderando con tutto il cuore di non aver mai consigliato a Rosanna di raggiungere Roberto a Vienna.

La strada era sgombra, e il viaggio da Heathrow al Gloucestershire durò meno di un’ora e mezza. Stephen uscì dall’autostrada e si diresse verso Manor House.

Luca sedeva accanto a lui in silenzio e guardava fuori dal finestrino della Jaguar, turbato. Non solo Stephen gli aveva raccontato cos’aveva scoperto durante il suo viaggio a New York, ma con calma e senza alcuna apparente emozione gli aveva detto che non si vedeva più con Rosanna.

Roberto era tornato.

Le conseguenze di quella rivelazione furono così destabilizzanti che Luca non riuscì neppure a fare ordine nei propri pensieri.

«Sei felice che siano tornati insieme?» chiese Stephen. «Una parte di te deve esserlo. Voglio dire, è il marito di Rosanna, il padre di Nico.»

Luca scosse vigorosamente la testa. «No, Stephen. Anche se è suo marito, le cose che Roberto le ha fatto…» Sospirò.

Giunti dinanzi a Manor House Stephen fermò l’auto. «Capirai perché non mi vada di entrare, vero?»

«Certo.» Era evidente che non vedesse l’ora di andarsene. «Okay, Stephen. Grazie di tutto.»

«Figurati. Sarò tutto il giorno alla galleria, se vuoi parlarne ancora.»

«Ciao.» Luca aprì la portiera, poi si fermò e si voltò. «Mi dispiace tanto, amico mio. Rosanna non si rende conto di cos’ha perso.»

Si strinse tristemente nelle spalle, mentre Luca chiudeva la portiera.

Ella camminava avanti e indietro senza sosta nella stanza di Nico quando sentì suonare il campanello. Corse di sotto per accogliere il medico e aprì la porta con mano tremante.

«Luca! Oh, Luca!» Gli si gettò fra le braccia, singhiozzando istericamente.

«Ella, Ella, calmati. Che succede? Forza, dài, calmati.»

«Nico, Nico. È molto malato. Credo che stia morendo! Non dobbiamo lasciarlo solo.» La ragazza tirò dentro Luca e si affrettò a correre di nuovo di sopra.

«Ma dov’è Rosanna? E… Roberto?»

«A Vienna. Pensavo fossi il dottore. Sto facendo come mi ha consigliato sua moglie, ma ha detto che dovevo chiamare un’ambulanza se peggiorava e…» Ella entrò nella stanza di Nico e indicò il lettino. «Vedi, ha un brutto sfogo e non si sveglia e… Aiutami, Luca, aiutami!» balbettò.

Luca si chinò sul bimbo e capì subito la gravità della situazione. «Il medico sta arrivando?»

«Sì, ma Nico peggiora a vista d’occhio.»

«Allora meglio non correre rischi. Chiamiamo l’ambulanza.»

In quel mentre suonò il campanello.

«Grazie a Dio» disse Ella soffocando l’ennesimo singhiozzo. «Deve essere il dottore.»

«Vai ad aprire,» disse Luca «resto io con Nico.»

Ella corse giù. Luca accarezzò la fronte del piccolo. «Stai tranquillo, angioletto. Andrà tutto bene. Tua madre deve essere impazzita ad averti lasciato solo, ma tornerà presto.»

Mentre il dottor Martin visitava il bimbo, Ella e Luca aspettavano con trepidazione davanti alla finestra della cameretta.

«Hai detto che Rosanna è a Vienna con Roberto?» chiese Luca.

«Sì.»

«Li hai contattati?»

«Sì, ma ancora non hanno richiamato.»

«Non avrebbe dovuto lasciarti sola con Nico. Ha sbagliato» disse Luca.

«Non dare la colpa a lei. Sono stata io a convincerla ad andare. Era così infelice, le mancava tantissimo Roberto. Ho pensato… che sarebbe andato tutto per il meglio. E sarebbe andato bene se…» Ella si tormentava le mani, disperata, e Luca le mise un braccio sulle spalle. «Ha chiamato ieri sera e io le ho detto che Nico stava male…»

«E non è tornata?»

«No, ma…»

Il dottor Martin li interruppe.

«Chiamiamo un’ambulanza. Nico va ricoverato in ospedale. Ha la febbre molto alta e dobbiamo fargli una flebo per reidratarlo.»

«Che cos’ha? Qual è il problema?» chiese Ella agitata.

«Ha un brutto attacco di morbillo. È una malattia comune nei bambini, ma alcuni sviluppano una forma piuttosto grave che può dare adito a complicazioni se non si cura in fretta. Posso usare il telefono?»

«Certo.» Ella condusse il medico nella stanza di Rosanna.

Luca rimase a guardare dalla finestra, chiedendosi che razza di demone si fosse impossessato di sua sorella – una madre così devota – per spingerla a lasciare il figlio da solo con una ragazzina senza alcuna esperienza. Scosse la testa, perché conosceva già la risposta.

«Okay, l’ambulanza arriverà presto.» Il medico ricomparve sulla soglia. «E se fossi in voi farei tornare appena possibile la signora Rossini. Sono certo che vorrà stare insieme a suo figlio.»

In quel momento squillò il telefono.

«Rispondo io» disse Luca, e corse in camera a prendere il telefono.

«Ella?» esclamò una voce spaventata.

«Rosanna, sei tu?»

«Luca? Che ci fai lì? Non sapevo che saresti arrivato.»

«Ti ho fatto un’improvvisata, ma ora non ha importanza. Devi prendere il primo volo per l’Inghilterra, Rosanna. Mi dispiace dirtelo, ma Nico è molto malato. È venuto il medico, lo portiamo all’ospedale di Cheltenham. Ha il morbillo.»

«Oh, ti prego, Dio, no!» Dall’altro capo del telefono giunse un singhiozzo strozzato.

«Rosanna, guarirà, ne sono certo. C’è il medico, qui, e Nico è in buone mani. Cerca comunque di tornare a casa il prima possibile.»

«Sì, prenderò un taxi da Heathrow e verrò dritta in ospedale. Ti prego, Luca, bacia mio figlio e digli che la mamma sta arrivando.»

«Va bene. Cerca di mantenere la calma. Ciao, Rosanna.» Luca riagganciò proprio mentre l’ambulanza parcheggiava nel vialetto.

Cinque minuti dopo erano diretti verso l’ospedale.

 

48

 

«Bene, signora Rossini, sarà felice di sapere che Nico è fuori pericolo» disse il medico.

Rosanna si prese la testa fra le mani e pianse di sollievo. Le ultime quarantotto ore erano state le peggiori della sua vita. Era arrivata in ospedale nel tardo pomeriggio di domenica e aveva trovato Nico con una flebo in vena. Luca aveva portato a casa Ella, ormai esausta, mentre lei era rimasta lì seduta, ora dopo ora, mentre suo figlio superava pian piano “la crisi”, come l’ave­vano definita le infermiere. Il mattino seguente gli era calata la febbre ed era riuscito a dormire meglio. E oggi aveva aperto gli occhi e le aveva sorriso. Gli avevano tolto la flebo una volta stabilito che ormai il peggio era passato.

Rosanna prese un fazzoletto dalla manica e si soffiò il naso. «Mi scusi. È un tale sollievo.»

«La capisco, signora Rossini. È insolito per un bambino contrarre una forma di morbillo tanto violenta, ma può succedere. Immagino che non l’abbia vaccinato.»

«No.» Si rendeva conto ora che nei lunghi mesi trascorsi con Roberto a Manor House, dopo la nascita di Nico, aveva vissuto come in un sogno, e l’idea di vaccinarlo non le era passata nean­che per la mente.

«Be’, sarebbe bene che gli altri suoi familiari che ancora non hanno avuto il morbillo si facessero vaccinare. È una malattia che rimane contagiosa anche diversi giorni dopo la comparsa dello sfogo cutaneo. Meglio non correre rischi. Per quanto riguarda Nico, dovrà essere seguito attentamente per un paio di settimane, ma è una creaturina forte. Tornerà in perfetta forma prima di quanto creda. Lo terremo qui in osservazione un altro giorno, poi potrà tornare a casa. Ora le consiglio di andare a riposare, torni oggi pomeriggio. Stamani faremo alcuni esami di routine.»

«Okay. Vado a salutarlo. E grazie, dottore, grazie.»

«Non c’è bisogno di ringraziarmi, è il nostro lavoro. E cerchi di non rimproverarsi troppo, signora Rossini. Non avrebbe potuto fare molto, neppure se fosse stata con lui.»

Rosanna scosse la testa. «Sono sua madre. Mi sarei accorta prima della gravità della situazione» disse piano, e uscì dall’ufficio del medico.

Nico era ricoverato in una stanzetta tutta per sé. Era sdraiato in un lettino e le dava le spalle.

«Ciao, amore» disse. «La mamma è tornata.»

Il bambino non reagì. Rosanna si avvicinò, convinta che dormisse, ma quando si chinò a guardare si accorse che era sveglio. Quando Nico la vide si girò verso di lei e le sorrise.

Rosanna lo prese in braccio e lo cullò. «Oh, amore mio, giuro che non ti lascerò mai più.»

Un’ora più tardi il taxi lasciò Rosanna davanti a casa. Entrò lentamente, sfinita.

«Ella?» chiamò, ma non ci fu risposta.

«È a riposare nella sua stanza.» la donna alzò lo sguardo e vide Luca in cima alle scale.

«Certo, giusto. Sarà esausta» disse passandosi una mano sul viso.

«Mi pare il minimo, visto quello che è accaduto negli ultimi due giorni» disse scendendo lentamente verso di lei. «Come sta Nico?»

«I medici dicono che guarirà presto.»

«Bene.» Luca parlava senza il suo solito calore. Quando la raggiunse le chiese: «Ti va qualcosa da mangiare, Rosanna?».

«No, grazie. Bevo solo un caffè, poi faccio una doccia e cerco di dormire un po’. Devo tornare in ospedale, oggi pomeriggio.» Andò in cucina e Luca la seguì. Rimase sulla soglia e la guardò mentre riempiva il bollitore.

«Rosanna, stasera me ne vado.»

«Sì. Grazie del tuo aiuto, Luca.»

«Ma prima di andare devo parlarti.»

Lei lo guardò. Era pallido, con gli occhi cerchiati e la bocca tirata in una smorfia carica di tensione. «Siediti, allora. Vuoi un caffè anche tu?»

«Sì, grazie.»

Rosanna riempì due tazze di caffè e andò a sedersi a tavola con il fratello. «Che cosa c’è? Non ti ho mai visto così serio. Mi spaventi.»

Luca fece un profondo sospiro. «Ho pensato a lungo se dirtelo o meno, Rosanna. Ti voglio un bene dell’anima, lo sai questo, vero?»

«Sì, certo.»

«E non interferirei mai con la tua vita, né metterei in dubbio le tue scelte se non fosse che mi sento responsabile nei confronti di Ella. Ho promesso a Carlotta che avrei badato a lei…»

«Luca, prima che tu vada avanti, aspetta» lo interruppe Rosanna. «So cosa stai per dirmi. Ho sbagliato a lasciare Ella con Nico. Non lo farò mai più, lo prometto. Non sono già stata punita abbastanza per quello che ho fatto?»

«So che sei un’ottima madre e che sei stata gentilissima con Ella, ma mi preoccupo che questa tua… ossessione, questo tuo amore per Roberto a volte offuschi il tuo giudizio.»

Rosanna diventò rossa per l’indignazione. «No! Ti Sbagli! Roberto è la cosa migliore che mi sia capitata, a parte Nico. Mi ama e mi sostiene e…»

«Allora perché non è qui, adesso? Mentre suo figlio è in ospedale? Ora che sua moglie ha bisogno di lui?»

«Sai bene perché, Luca! Roberto ha molti impegni. Non può piantare tutto e andarsene. Accetto la sua vita per quello che è.»

«Ma non doveva cantare né domenica né lunedì. Me l’hai detto tu, Rosanna. Avrebbe potuto benissimo tornare qui con te e riprendere un aereo per Vienna in tempo per la serata di martedì. O magari aveva paura di prendere una malattia tanto contagiosa e…»

«Smettila, Luca! Non essere ingiusto. Anche se fosse tornato sarebbe dovuto ripartire immediatamente. Non può deludere il suo pubblico.»

«Mentre sua moglie e suo figlio sì» la sfidò Luca. «Rosanna, mi dispiace, non intendo giudicare nessuno, men che meno te. Ma Roberto, be’, io credo che abbia una pesante influenza sulla tua vita.»

«Sì, mi rende migliore! Io lo amo, Luca. E lui ama me e Nico e… non sono affari tuoi! Non lo conosci come me.»

«Ti sbagli, Rosanna. Lo conosco molto meglio di quanto tu creda» disse piano. «Sei davvero sicura che ti dica sempre la verità?»

«Sì.»

«La sua relazione con Donatella a New York, allora?»

«Perché stai cercando di farmelo odiare, Luca? Perché?»

«Non è vero. So che sarebbe inutile. Sto solo cercando di dirti che a volte amiamo qualcuno, ma questo non significa che quel “qualcuno” tiri fuori il meglio di noi.»

«Luca.» Ora Rosanna era arrabbiata. «Tu parli di amore tra uomo e donna come se ne sapessi qualcosa. Proprio tu, che stai per diventare prete. Come fai a dire di capirmi, quando non hai idea di cosa significhi provare un amore del genere?»

All’improvviso Luca sembrava stanco. «Rosanna, non voglio litigare. Ti parlo in questo modo solo perché ti voglio bene e cerco di proteggerti da cose che non sai, che non puoi sapere.»

«Quali “cose”, Luca? Di cosa stai parlando?»

«No, Rosanna, lascia perdere. Sono solo iperprotettivo.»

«Luca, se devi dirmi qualcosa, allora fallo. Non sono più una ragazzina, perciò non trattarmi come tale.»

«Okay.» Esitò un momento prima di proseguire. «Roberto ha fatto cose, in passato, che mi fanno dubitare che sia una brava persona. E ha una tale influenza su di te che a volte credo non ti faccia bene. Sei sicura di sapere proprio tutto di lui?»

«Sì, so tutto!» Rosanna era già al limite della sopportazione per le emozioni di quei giorni, e perse definitivamente la calma. «So com’era, so com’è! Tu lo odi, Luca, l’hai sempre odiato. Io invece lo amo e non mi importa di quello che mi dici! Non mi importa!»

«Rosanna, ma non capisci? Roberto ti ha costretto ad abbandonare la famiglia in Italia, a mollare la carriera, e ha messo a repentaglio perfino la tua sanità mentale. Dobbiamo opporci a lui. Non ti rendi conto di che forza distruttiva sia?»

«Non è tuo diritto dirmi come vivere la mia vita!» Ormai gridava, fuori controllo, in lacrime. «Vattene, per favore!»

«Rosanna, mi dispiace, non avrei dovuto…»

«Vattene!» gridò indicando la porta.

«Non lasciamoci così.»

«Non ti voglio in casa mia per un minuto di più!»

Luca la guardò e si strinse nelle spalle con aria triste. «Se è quello che vuoi…»

«Sì. E non preoccuparti, mi prenderò cura di Ella non perché devo, ma perché voglio farlo. Ora vai via!»

Rosanna uscì dalla cucina e si precipitò di sopra, sbattendo alle spalle la porta della camera da letto.

Mezz’ora più tardi sentì arrivare un’auto; qualcuno suonò il campanello. Andò alla finestra e vide Luca salire a bordo di un taxi. E andarsene.

«Ah, signora Rossini, entri, entri.» Il medico la accolse nel suo ufficio.

«C’è qualcosa che non va? Sono appena passata da Nico, mi sembra che stia molto meglio.»

«Si sta riprendendo bene, sì, ma gli esami di questa mattina hanno evidenziato un problema.»

«Quale problema? Me lo dica, la prego.»

«A volte, in caso di brutti attacchi di morbillo, l’udito dei bambini può restare compromesso.»

Rosanna guardò il medico con l’ansia dipinta sul viso. «Cosa significa?»

«Signora Rossini, non c’è un modo facile per dirlo. Non posso esserne sicuro, ma temo che l’udito di Nico sia stato gravemente danneggiato.»

«Oddio… no!» gemette lei.

«Lo so, signora Rossini. È uno shock, ma dovrà essere forte per il bene di suo figlio.»

«Sì.» Rosanna riuscì a trovare un po’ di coraggio, attingendo chissà dove dentro di sé. Il dottore aveva ragione: doveva essere forte. «Quanto è grave? Diventerà completamente sordo?»

«È troppo presto per valutare appieno il danno, ma probabilmente diventerà sordo almeno dall’orecchio destro. Anche il sinistro ha subito dei danni, ma per il momento non sembrano altrettanto gravi. Ovviamente faremo ulteriori accertamenti. Le presento il dottor Carson, il nostro otorinolaringoiatra…»

Le parole del medico diventarono soltanto un rumore di sottofondo che Rosanna udiva a malapena. Riusciva a pensare soltanto a una cosa: Nico era figlio del grande tenore Roberto Rossini, senza dubbio una delle voci più belle del mondo.

E probabilmente non avrebbe mai potuto sentirlo cantare.

 

49

 

«Signor Rossini?»

«Sono io.»

«C’è una telefonata per lei.»

«Grazie.» Roberto, ancora bagnato dopo la doccia, si sedette sul letto. «Pronto?»

«Roberto.»

Si sentì morire. «Donatella, come stai?»

«Bene.»

«Ottimo.» Roberto non vedeva l’ora di riagganciare. «Senti…»

«C’è bel tempo a Vienna in questo periodo dell’anno, vero?»

«Tu come lo sai? Dove sei?»

«Alla reception. Dobbiamo parlare. Salgo nella tua suite.»

«Donatella, non è un buon momento. Devo riposare per lo spettacolo di stasera, temo mi stia venendo il raffreddore.»

«Per dirti quello che devo ci metterò solo cinque minuti.»

E riagganciò. Roberto sospirò, si mise una vestaglia di seta e si ravviò i capelli con un gesto distratto.

Appena sentì bussare andò ad aprire la porta.

«Ciao, Roberto.»

«Entra, Donatella» rispose lui brusco.

«Grazie.» Gli passò accanto e si sedette sul grande divano di chintz.

«Come stai?» le chiese.

«Mai stata meglio.» Donatella prese un grappolo d’uva dalla fruttiera sul tavolino dinanzi a lei.

«Ti vedo in forma, infatti.» Roberto non capiva. Quella donna sprizzava felicità da tutti i pori.

«Grazie, in effetti è vero.» Donatella addentò un chicco con fare lascivo, poi guardò Roberto. «Tu, invece, hai un aspetto terribile.»

«Nostro figlio è in ospedale. È molto malato.»

«Sì, Chris mi ha detto che hai problemi familiari.»

«Già.» Roberto cominciò a camminare per la stanza. «Senti, mi dici cosa vuoi? Sei venuta a gridarmi contro, a dirmi che sono un bastardo? Se è così avanti, facciamola finita.»

«No.» Donatella scosse la testa e prese un altro chicco d’uva. «Tu sei un bastardo, Roberto, ma non c’è bisogno che te lo dica, lo sai benissimo. Sì, ero arrabbiata con te quando non ti ho più visto a New York, ero arrabbiata perché sei tornato da Rosanna senza neanche prenderti il disturbo di farmelo sapere, ma» disse facendo spallucce «tu sei una star, Roberto Rossini. Non devi rispondere a nessuno, non è così?»

Quell’atteggiamento stava iniziando a dargli sui nervi. «Senti, mi scuso per quanto è successo, Donatella. Rosanna mi ha perdonato e sono tornato con lei. È mia moglie. E non ti ho mai promesso niente.»

«No, è vero. E guarda caso mi sono resa conto di non essere più innamorata di te.» Fece un cenno languido con la mano. «L’infatuazione ha fatto il suo corso. Anche se mi implorassi, ormai non ti riprenderei con me.»

«Bene, allora, qual è il problema?» chiese Roberto. «Devo proprio andare a riposare, Donatella.»

«Certo. Nulla e nessuno deve disturbarti prima dello spettacolo. Il tuo pubblico ti brama.» Donatella si alzò e tirò fuori due buste dalla borsetta. Appoggiò la prima sul tavolo. «Le chiavi della tua casa di New York. Ho portato via le mie cose.» Gli mostrò la seconda busta prima di dargliela. «Ah, e questa è arrivata di recente. Ovviamente l’ho letta.»

Roberto gliela strappò di mano. «Non avresti dovuto.»

Lei si strinse nelle spalle. «Be’, ormai è tardi. Credo che faresti meglio a leggerla, Roberto. Così scoprirai perché tua moglie ti lascerà per la seconda volta.»

«Ma di che parli? Rosanna e io siamo felicissimi. Non c’è nulla che non sappia di me.»

«Allora forse sei tu a non sapere qualcosa di te stesso.»

«Di qualsiasi cosa si tratti, non ha importanza. Non abbiamo segreti. Le dico ogni cosa.»

«Perfetto. Allora non ti dispiace se le mando una copia della lettera, nel caso ti dimenticassi di parlargliene?» Donatella si avviò verso la porta. «Alloggio all’Hotel Astoria. Ciao.»

La porta si richiuse e Roberto si sedette; il cuore gli batteva forte. Aprì la busta.

Convento di Santa Maria, Pompei

Caro Roberto,

ti ricordi una calda serata napoletana di tanto tempo fa, quando abbiamo ballato insieme nel bar di mio padre alla festa per l’anniversario dei tuoi? Poi, dopo, siamo andati a fare una passeggiata sul lungomare e più tardi abbiamo fatto all’amore. Era la mia prima volta ed è stata una serata bellissima. Una serata che non ho più dimenticato.

Sei settimane dopo ho scoperto di essere incinta, e l’unica persona con cui potevo confidarmi era mio fratello Luca. Abbiamo deciso che, per il bene della nostra famiglia, avrei dovuto dire a tutti che il bambino era del mio fidanzato, perciò ho fatto quello che dovevo per rendere plausibile la cosa. Un mese più tardi ho comunicato a lui e a mio padre di essere incinta. Papà ha organizzato in tutta fretta il matrimonio in cui ho sposato un uomo che non amavo, per dare una possibilità a nostra figlia ed evitare di far morire di vergogna i miei genitori. Sapevo che tu non mi avresti mai sposata; all’epoca non avresti neppure preso in considerazione l’idea che il bambino fosse tuo. Ti giuro che è la verità.

Ella, tua figlia, è nata prematura di cinque settimane. Il mio matrimonio, invece, è nato all’insegna della menzogna e avrei dovuto capirlo subito, non aveva speranze di durare. Sono ancora sposata, ma da dieci anni non vedo mio marito. Neanche tua figlia l’ha più visto da quando ci ha lasciate.

Ci sono state molte occasioni in cui avrei voluto dirti di Ella, ma quando hai sposato Rosanna ho capito di non poterlo più fare, per il suo bene. Tuttavia, Luca mi ha detto che presto divorzierete e questa notizia mi ha spinta a compiere quest’ultimo passo.

Te lo dico confidando che Rosanna non scopra mai la verità. So quanto ti amava e non voglio ferirla ulteriormente.

Per quanto riguarda Ella, ti imploro di non sconvolgerle la vita mettendola al corrente di quanto ti ho scritto. Ti chiedo solo di vegliare su di lei, con discrezione, di esserci per aiutarla nel caso ne avesse bisogno. Ti sarà semplice, dato che l’ho mandata a vivere con Rosanna. Ha una bellissima voce, Roberto, so che mia sorella saprà come fargliela tirare fuori e incoraggiare il suo talento; crederà che l’abbia preso da lei.

Luca non sa che ti ho scritto. Mi ha consigliato di non farlo, ha detto che era pericoloso. Ma se glielo chiedi ti confermerà le mie parole. E se senti Ella cantare, ti renderai conto che non ti ho mentito.

Addio, Roberto.

Carlotta

Roberto lasciò cadere la lettera, che finì volteggiando sul pavimento. Si buttò all’indietro sullo schienale del divano e gemette. Era vero? Oppure Carlotta mentiva?

Chiuse gli occhi e rivide davanti a sé Ella che cantava al concerto natalizio a scuola. Riconobbe quella voce: era la sua, trasformata in quella di una ragazzina che, a quanto pareva, era sua figlia.

Roberto aprì gli occhi di colpo appena pensò al suo viso. I capelli neri, la carnagione chiara, gli occhi… Perfino il sorriso era il suo.

Si alzò e iniziò a camminare avanti e indietro, in preda all’ansia.

Ecco perché Donatella era così felice. Sapeva che se Rosanna avesse scoperto la verità lui avrebbe perso non solo la donna che amava, ma anche suo figlio e la figlia ritrovata. Dati i suoi precedenti Rosanna non avrebbe mai creduto che non sapesse di Ella. E poi era andato a letto con sua sorella e non gliel’aveva mai detto. L’avrebbe odiato, e avrebbe avuto ragione.

Si rimise a sedere e capì che avrebbe fatto qualsiasi cosa per tenersi sua moglie – era pronto a rinunciare a carriera, fama e fortuna. Non erano importanti. Era solo di Rosanna che aveva bisogno.

Roberto prese il telefono e chiamò la reception. «Passatemi l’Hotel Astoria.»

«Subito, signore.»

Restò in attesa, pieno di paura.

«Astoria Hotel. Come posso aiutarla?»

«La stanza di Donatella Bianchi, prego.»

«Roberto, hai fatto in fretta» mormorò Donatella un istante dopo. «Sono appena arrivata.»

«Che cosa vuoi? Qualsiasi cosa sia, la avrai. Denaro, la casa di New York, tutto.»

«No, Roberto. Non c’è nulla di cui io abbia bisogno, a livello materiale. Il testamento di Giovanni mi ha reso una donna ricca. Tuttavia ho pensato che un viaggetto in Inghilterra non mi dispiacerebbe, anzi, sarebbe una piacevole distrazione per questo fine settimana. Ho sempre voluto visitare le Cotswolds. Ho sentito dire che sono bellissime. E ovviamente potrei fare un salto a portare la lettera di persona, già che ci sono.»

«Donatella, vuoi proprio distruggermi? E Rosanna? Non se lo merita, lei non ti ha fatto niente. Così distruggerai anche lei.»

«Ah, quindi ce li hai, dei sentimenti» mormorò lei. «È terribile, vero? Amare profondamente qualcuno e vedere quel­l’amore minacciato.»

«Te l’ho detto, Donatella. Qualsiasi cosa. Dimmelo tu. Solo non farmi questo, ti imploro.»

Ci fu un lungo silenzio, poi Donatella parlò.

«Quindi alla fine l’hai capito.»

«Capito cosa?»

«Come ci si sente a essere impotenti.»

E riattaccò.

 

50

 

Rosanna aprì la porta ed entrò in casa. Erano soltanto le cinque e mezza, ma il sole era già tramontato. Senza accendere le luci salì di sopra fino alla stanza di Nico, dove rimase a guardare tristemente il lettino vuoto illuminato dai primi raggi di luna.

Il suo bellissimo bambino, sordo per tutta la vita. Ed era tutta colpa sua. Con il suo egoismo aveva decretato la rovina di suo figlio. Rosanna, incapace di guardare oltre quel lettino vuoto, uscì dalla stanza chiamando Ella, ma non ottenne risposta e solo allora si ricordò che era andata a dormire da un’amica. Era sola.

Doveva parlare con qualcuno, altrimenti sarebbe impazzita. Scese di sotto e andò nello studio. Prese il telefono e chiamò Roberto in albergo, ma dalla reception la informarono che era già andato in teatro per lo spettacolo di quella sera. Rifletté un istante e poi compose un altro numero.

«Pronto?»

«Abi, oh Abi, sono Rosanna, io…» Cominciò a singhiozzare mentre le raccontava cosa era successo a Nico.

«Santo cielo, non so cosa dire» disse Abi, scioccata. «Mi dispiace da morire.»

«È così piccolo e indifeso. Che cos’ha fatto per meritarsi tutto questo? È colpa mia, sono io che l’ho lasciato, e non sono tornata quando Ella mi ha detto che era ammalato. Forse, se ci fossi stata, avrei potuto capire che la situazione era grave e avrei potuto portarlo in ospedale prima che peggiorasse. Oh, Abi, Abi, come farò a perdonarmi?»

«Rosanna, per prima cosa devi calmarti. Nico è vivo e si sta riprendendo, e questa è la cosa più importante. È ancora il tuo bambino. Magari avrà bisogno di un po’ più di aiuto, d’ora in poi, ma è sveglio. Ce la farà. E non sai ancora l’entità del danno. Il suo udito potrebbe migliorare col tempo.»

«Forse. Devo solo pregare. Ma… oh, Abi, ho anche litigato con Luca.»

«Sì, avevo percepito che tra voi fosse successo qualcosa.»

«Che vuoi dire?»

«Luca si è presentato a casa mia un paio d’ore fa» disse Abi.

«Oh. Ti ha detto nulla?»

«Lo sai com’è Luca. Non ha aperto bocca, ma ho capito che c’era qualcosa che non andava. Stanotte resta qui. Rosanna, hai detto a Roberto di Nico?»

«No. È in teatro.»

«Be’, se fossi in te gli direi di salire su un aereo il prima possibile» affermò Abi con fermezza. «Hai bisogno di lui, e anche Nico.»

«Hai ragione, ma sai com’è» disse Rosanna sospirando.

«Sì, purtroppo lo so com’è. Vuoi che venga lì a tenerti compagnia? Non dovresti restare sola. Potrei venire domani mattina presto.»

«No, quando avrò parlato con Roberto sono sicura che mi sentirò meglio, e poi domani torna Ella. Ma grazie comunque.»

«Okay. Ricordati di mangiare qualcosa, e vai a letto presto. Sei sfinita.»

«È vero. Grazie, Abi. Buonanotte.»

Rosanna riattaccò il telefono, andò in cucina e si sedette, come intorpidita. Luca era corso da Abi perché lei, Rosanna, l’aveva cacciato di casa. Suo fratello, che aveva lavorato tanti anni nel bar di papà per pagarle le lezioni di canto, e che aveva messo il suo futuro in pausa per badare a lei, a Milano.

Roberto…

Luca aveva sostenuto che doveva essere lì, a casa, con sua moglie e suo figlio… Aveva dovuto arrampicarsi sugli specchi per spiegargli come mai non avesse potuto accompagnarla a casa da suo figlio malato, visto che non doveva cantare. Anche Abi aveva reagito con riprovazione quando le aveva detto che non c’era. Roberto aveva staccato il telefono della loro suite di Vienna, ed Ella non aveva potuto contattarla. Eppure Rosanna sapeva che suo figlio la sera prima non stava bene.

È così che si comporta un brav’uomo?, si chiese Rosanna.

Nella sua mente cominciò a formarsi una scintilla di dubbio.

E se Luca avesse avuto ragione riguardo a come lei si comportava? Era davvero ossessionata da Roberto? Era cambiata? Ebbe un brivido quando si ricordò quanto facilmente si fosse lasciata convincere a non tornare a casa. Eppure l’istinto l’aveva messa in guardia. Sapeva che suo figlio stava male.

Ripensò alla ragazza innocente che era prima di iniziare la storia d’amore con Roberto. Pensò a Paolo de Vito, a tutto quello che aveva fatto per lei. E si sentì male fisicamente al pensiero di come l’aveva deluso a causa di Roberto.

E poi c’era la carriera. Dubitava che un’altra cantante lirica fosse mai stata tanto determinata a raggiungere la vetta. Fino a quando nella sua vita non era comparso Roberto. Lui le aveva impedito di tornare a Milano, e aveva preso tutte le decisioni al posto suo sin dal primo istante. Era Roberto a scegliere dove e cosa cantare. E, a pensarci bene, prima sceglieva i ruoli per sé, e solo dopo pensava a quelli di Rosanna.

Aveva sacrificato la propria carriera non solo per Nico, ma anche per Roberto. Lui aveva un grande dono, certo, ma anche lei…

Il cuore di Rosanna cominciò a battere forte in petto al pensiero di Stephen, e a quello che gli aveva fatto. Dopo tutto l’amore, la pazienza e la comprensione che le aveva donato con tanto altruismo quando ne aveva avuto bisogno, lei che cosa gli aveva dato in cambio? Niente. Anzi, meno di niente. Rosanna si costrinse ad affrontare la verità. L’aveva usato e poi l’aveva gettato via senza neanche voltarsi indietro. E non aveva neppure avuto la decenza di spiegargli la sua decisione di persona.

Infine – cosa peggiore di tutte – aveva abbandonato suo figlio quando l’istinto di madre le diceva che qualcosa non andava. Il suo amore per Roberto era riuscito ad avere la meglio perfino su quello.

Guardando la luna seminascosta dalle nuvole, Rosanna si rese finalmente conto che Luca aveva ragione. Il suo amore per Roberto era malsano, innaturale. Era ossessionata da lui. L’aveva cambiata, accecata del tutto.

Dov’era, adesso? Non era con lei a vegliare sul figlio malato, bensì su un palcoscenico a compiacere il pubblico.

E così sarebbe sempre stato.

Rosanna si alzò e andò a bere un bicchiere d’acqua. Aveva la bocca secca. Le stava accadendo qualcosa, lo sentiva.

Chi era? Che cos’era diventata?

Si odiava.

Le comparve nella mente il volto di Roberto, come le succedeva sempre. E come le sarebbe successo per sempre, ne era sicura.

L’amore non se ne sarebbe andato. Tuttavia era come se fosse rimasta addormentata negli ultimi quindici anni e solo ora si stesse svegliando.

Il mondo avrebbe continuato a girare. La sua vita sarebbe andata avanti. Sarebbe stata felice.

Senza Roberto.

Era possibile.

Per la prima volta, Rosanna capì che sarebbe stato possibile.

Poco più tardi squillò il telefono. Rosanna si alzò lentamente e andò a rispondere.

«Principessa, sono io.»

«Ciao, Roberto.»

«Stai bene? Ti sento strana.»

«Io sto bene, ma Nico no.»

Con calma, Rosanna gli disse cos’era successo al bambino.

«Oh mio Dio. Dimmi che non è vero.»

«Purtroppo è vero, e non avrei mai dovuto lasciarlo. Sono stata una stupida a farmi convincere a partire. Ma non ti biasimo, la responsabilità è tutta mia.»

«Rosanna, ci prenderemo cura di Nico insieme. Avrà i migliori medici, qualsiasi cosa gli serva.»

«Quando torni a casa? Devo parlarti.»

«Vorrei essere lì con te, adesso. Ti giuro che arriverò entro quarantotto ore. Ci sono alcune… cose di cui devo occuparmi.»

Era l’ultima volta che avrebbe atteso il suo ritorno. «Ora devo andare» disse secca. «Sono stanca.»

«Scusa, c’è Luca, per caso? Vorrei parlargli.»

«No, è a casa di Abi a Londra.»

«Hai il numero?»

Gli diede il numero, ma era talmente sfinita che non le importava sapere perché mai lo volesse.

«Sei sicura di stare bene? Sembri… distante.»

«Sto bene, davvero.»

«Ti amo.»

«Ciao, Roberto.»

Roberto digitò con mano tremante il numero che aveva annotato sul blocco. La risposta fu immediata, e Roberto riconobbe la voce.

«Ciao, Abi. Sono Roberto Rossini.»

«Ciao, Roberto. Che sorpresa. Rosanna non è qui, è a casa.»

«Lo so. Ho chiamato per parlare con Luca. Con urgenza» aggiunse.

«Okay. Aspetta un attimo.» Due minuti più tardi Luca prese il telefono.

«Sì?»

«Luca, mi dispiace moltissimo averti disturbato, ma devo chiederti una cosa. Ho ricevuto una lettera da tua sorella Carlotta, e devo sapere. Sono il vero padre di Ella?»

Ci fu un attimo di esitazione all’altro capo, poi Luca disse: «Carlotta ti ha scritto una lettera per dirti questo?».

«Sì, Luca. Capisco che al momento ti sia difficile parlare, dobbiamo vederci.»

«Non vedo perché» rispose lui con freddezza.

«Qualcun altro ha letto la lettera. E minaccia di dirlo a tua sorella. Per il bene di Rosanna, ti prego, Luca. Sono disperato. Magari se tu potessi dire a questa persona che non è vero, ti crederebbe.»

«Non mentirò per te, Roberto.»

«Me ne rendo conto, ma al momento sono alla mercé di questa persona. Deve pur esserci un modo. Se Rosanna lo scopre non crederà mai che l’ho saputo soltanto adesso. Qualsiasi cosa tu pensi di me, Luca, io la amo e non voglio ferirla mai più. Le ho già mentito una volta, non sono stato onesto riguardo al mio passato. Se scopre la verità su Ella crederà che l’abbia ingannata nuovamente. E sarà la fine per noi.»

Luca percepì la disperazione nella voce di Roberto. «Quando vorresti incontrarmi?»

«Torno in Inghilterra domani. Puoi venire a Heathrow? Il mio volo atterra alle undici al Terminal 3.»

«Va bene, ma non so proprio che cosa possa fare per aiutarti.»

«Grazie, Luca, dal profondo del cuore. Ci vediamo domani. Ciao.»

Roberto riagganciò e si buttò sul letto. Sapeva che la situazione era disperata. Se Luca si fosse rifiutato di collaborare, allora avrebbe dovuto dire la verità a Rosanna di persona.

Il mattino successivo Luca attendeva al Terminal 3 dell’aeroporto. All’improvviso si sentì chiamare agli altoparlanti. Si presentò al banco informazioni, e lì un ufficiale della sicurezza lo condusse attraverso un labirinto di corridoi fino a una piccola sala d’aspetto. Dentro c’era Roberto, che camminava avanti e indietro senza sosta.

Luca gli si avvicinò. La sua solita arroganza, la sicurezza che sfoggiava sempre erano svanite. Aveva l’aspetto di un qualsiasi uomo di mezza età, in sovrappeso e afflitto da un grave problema personale.

«Grazie, grazie di essere venuto, Luca.» Roberto fece un cenno all’agente di sicurezza, che se ne andò. «Ho pensato che fosse meglio parlare in privato. Ti prego, siediti.»

Luca si sedette e si preparò ad ascoltare.

«Io…» Roberto si grattò la barba ispida sul mento. «Per prima cosa voglio dirti che mi rendo conto di non piacerti, e ne hai più di un motivo. Per tutti questi anni sapevi che sono il padre di Ella. Quando ho sposato Rosanna deve essere stato difficile, per te e Carlotta.»

«Non volevamo ferire nostra sorella. Sapevamo che ti amava» rispose lui con freddezza.

«Lo giuro, ho saputo di Ella solo ieri, quando ho ricevuto la lettera. Donatella Bianchi, una donna che conosco da parecchio tempo, è entrata nel mio appartamento di New York e l’ha aperta senza il mio permesso. Mi ha detto che ha intenzione di portarne una copia a Rosanna.»

«Donatella Bianchi» mormorò Luca.

«La conosci?»

«Oh, sì, la conosco. Ma perché mai vorrebbe fare uno sgarbo così tremendo a Rosanna?»

«Per punirmi di averla lasciata. Si è resa conto che Rosanna è l’unica donna che io abbia mai amato. È la vendetta perfetta. Donatella è certa che tua sorella mi lascerà appena avrà scoperto la verità. O che, come minimo, questa notizia erigerà una barriera invalicabile fra noi. E di recente abbiamo avuto già abbastanza problemi.»

«Tu hai mai detto a Rosanna di aver avuto una relazione con Carlotta?»

«No, non l’ho ritenuto importante. Rosanna era una bambina quando è successo e… sì, ero troppo spaventato all’idea di come avrebbe potuto reagire. Luca, ti prego, aiutami.» Roberto si buttò in ginocchio. «Sono disperato. Ti supplico, se ti viene in mente un modo, giuro su Dio che sarò il marito più amorevole e premuroso del mondo. Io amo Rosanna, non posso vivere senza di lei.» Chinò il capo e iniziò a piangere disperatamente.

Luca guardò Roberto. Era distrutto, umiliato, disperato. Si rese conto che, per quanto fosse egoista, quell’uomo amava sua sorella con tutto se stesso.

Ovviamente sapeva come impedire la catastrofe, come mettere a tacere per sempre Donatella. D’altro canto, però, non c’erano già state sin troppe bugie? Non era meglio che Rosanna conoscesse la verità? Avrebbe sofferto, ma col tempo le sarebbe passata.

Poi ripensò al volto di sua sorella, nel bar dei loro genitori, quando aveva visto Roberto per la prima volta.

Chiunque fosse quell’uomo, Rosanna lo amava con tutto il cuore. A prescindere da come si comportasse, lo voleva accanto a sé. Era il padre di Nico, e, si chiese Luca, chi era lui per giocare a fare Dio? Poteva soltanto agire con integrità e dare a Roberto l’informazione che gli serviva. Le conseguenze, non stava a lui stabilirle.

Guardò Roberto e fece un bel respiro.

«Conosco un modo per porre fine a questa storia.»

 

51

 

Donatella entrò nella hall dell’Hotel Savoy.

Quando Roberto l’aveva chiamata, a Vienna, implorandola di incontrarlo a Londra prima di andare da Rosanna, non era riuscita a resistere. Vederlo supplicare e chiedere pietà un’ultima volta sarebbe stato uno spettacolo piacevolissimo. Non aveva assolutamente intenzione di cambiare idea. Nulla di quanto avrebbe detto o fatto l’avrebbe salvato, ormai.

La stava aspettando nell’American Bar. Lo salutò baciandolo sulle guance.

«Come stai? Ti vedo un po’ pallido.»

«Un drink?» le chiese ignorando la domanda.

«Sì. Campari e soda, per favore.» Donatella si sedette e accavallò le lunghe gambe mentre Roberto ordinava da bere al cameriere. «Allora, perché hai voluto vedermi?»

«Volevo chiederti di nuovo di ripensarci. Volevo che sapessi che, qualora mostrassi la lettera a Rosanna, non distruggeresti solo me, ma anche lei, che non ti ha fatto niente. Perché punirla?»

«Ti aspetti davvero che me ne importi qualcosa? Io ti amavo molto, Roberto, ma adesso» disse agitando la mano «è tutto finito. Anzi, ho un nuovo fidanzato. Mi trasferisco a Milano, e stiamo pensando di sposarci.»

«Congratulazioni» mormorò Roberto mentre il cameriere portava il cocktail.

«Dunque, a cosa brindiamo? Alla libertà, magari?» Gli occhi verdi di Donatella brillavano di una luce cattiva dietro l’orlo del bicchiere.

«Te la stai godendo, vero?» disse Roberto bevendo un sorso d’acqua.

«Era ora che qualcuno ti trattasse come tu tratti il prossimo. Ti rendi conto che se non fosse stato per me non avresti mai debuttato alla Scala?»

«Di che accidenti vai farneticando, Donatella?» chiese Roberto con voce stanca.

«Fui io a dare a Paolo de Vito un generoso assegno per finanziare una borsa di studio nella sua preziosa scuola, a condizione che ti venisse assegnato il tuo primo ruolo da protagonista. Vedi, Roberto? Gli altri ci tengono a te, ti aiutano. È un peccato che tu non ricambi mai.»

«Non ti credo.»

«Non importa» rispose Donatella con una scrollata di spalle. «Chiedilo a Paolo, se vuoi.»

«Be’, se è vero, allora ti ringrazio per il tuo aiuto.»

«Sei diventato umile, Roberto» commentò lei acida. «Santo cielo, devi proprio amarla alla follia.»

«È così» disse una voce alle sue spalle.

Donatella si voltò e vide un giovane snello e con i capelli scuri. Aveva un’aria familiare, ma non riusciva a ricordare chi fosse.

«Luca, vieni a sederti con noi» disse Roberto indicando una sedia.

«Grazie.»

«Ah, certo, tu sei il fratello baciapile di Rosanna. Ti ha chiamato per farmi ritrovare la carità cristiana?» chiese Donatella in tono di scherno. «Le stai provando davvero tutte, Roberto, eh?»

«Signora Bianchi, sono qui per un motivo del tutto diverso. Roberto mi ha parlato della lettera di Carlotta, è vero, ma avevo comunque intenzione di mettermi in contatto con lei.»

«E perché mai?»

«Per questo, signora Bianchi.» Luca tirò fuori di tasca una busta, la aprì e appoggiò sul tavolo una fotografia polaroid.

Donatella la prese e la studiò. I due uomini la videro impallidire all’istante.

«Che cos’è?» chiese.

«Credo che lo sappia perfettamente» rispose Luca con calma. «Tanti anni fa ha pagato tre milioni di lire a don Edoardo, il parroco della chiesa della Beata Vergine Maria, per acquistare quell’oggetto.»

«Se volete scusarmi, vado a prendere un po’ d’aria» disse Roberto, che si alzò, annuì in direzione di Luca e uscì.

«S-sì, certo. Ora mi ricordo.» Donatella era evidentemente a disagio.

«Un mio amico ha scattato questa fotografia in un appartamento di New York, qualche giorno fa.» Luca parlava piano, senza fretta. «Un certo John St Regent, l’attuale proprietario del disegno, ha detto al mio amico di averlo pagato diversi milioni di dollari.»

«Accidenti. Be’, è una coincidenza straordinaria. Ci… sono entrati i ladri in casa appena ho comprato quel disegno, sai? Ce l’hanno rubato, insieme ad altri pezzi di valore. Non avevo idea che valesse così tanto. Che sarà mai, un Leonardo da Vinci?» Donatella rise nervosamente.

«Sì, esattamente, signora Bianchi. È un Leonardo. Ha detto che gliel’hanno rubato in casa?»

«Sì.»

«Che strano. John St Regent ha detto al mio amico che è stato suo marito a venderglielo.»

«Io… no.» Donatella scosse la testa. «Il tuo amico ha capito male. Si è sbagliato.»

«Be’, è sufficiente fare una telefonata, signora Bianchi. Sono certo che la polizia italiana riuscirà a risalire alla verità» disse Luca facendo spallucce.

«Mio marito è morto. Le autorità non possono certo interrogarlo.»

«No, non possono. Ma possono interrogare lei. Credo che sapesse bene quanto valeva quel dipinto, quando ha chiesto a don Edoardo di comprarlo per quattro spiccioli. So anche che se la polizia scoprisse che ha cospirato con suo marito per portare fuori dall’Italia un’opera d’arte di tale importanza, potrebbe finire in prigione.»

Un lampo di paura passò sul viso di Donatella. «Ascolta, ti giuro che non sapevo quanto valesse. A quanto pare mio marito ha imbrogliato anche me» rispose in preda al panico.

«Roberto mi ha detto che è una buona amica dei St Regent. È improbabile che non le abbiano parlato – anzi, che non le abbiano mostrato – il loro bene più prezioso. Ma non sono qui per stabilire se lei sia innocente o colpevole, signora Bianchi. Come ho detto, potrei semplicemente dire alla polizia quello che so, e poi ci penserebbero loro, oppure…»

«Sì?»

«Potrebbe cambiare idea e non dire a Rosanna chi è il vero padre di Ella. E tutti continueremmo a vivere normalmente come se nulla fosse.»

Donatella si mostrò oltraggiata. «Mi stai ricattando!»

«Non credo di aver commesso alcun crimine, signora Bianchi, diversamente da lei. Voglio bene a mia sorella, tutto qui.»

Donatella scolò il suo drink e sbatté il bicchiere sul tavolo. «E voler bene a tua sorella significa gravarla del fardello di una figlia che suo marito ha avuto con un’altra? Lo chiami amore, questo?»

Luca non disse nulla. Si limitò a guardarla.

Donatella rimase in silenzio, tentando di trovare un modo per portare avanti il suo piano perfetto e rovinare la vita di Roberto. Ma non le venne in mente nulla. Alla fine sospirò rassegnata e guardò Luca. «D’accordo, hai vinto. Non voglio rischiare di essere coinvolta in questa storia, specialmente adesso che sto per trasferirmi a Milano. Perciò accetto di non dire nulla alla tua adorata Rosanna, non saprà mai che suo marito ha una figlia illegittima.»

«Devo anche chiederle di consegnarmi la copia della lettera in suo possesso.»

Donatella annuì, immusonita, e aprì la borsetta. Consegnò a Luca una busta.

«È l’unica?»

«Sì, lo giuro.»

«La ringrazio.»

«Be’, ancora una volta Roberto è riuscito a cavarsela, nonostante tutto. Non sei davvero così stupido da credere che le circostanze che hanno portato alla nascita di Ella rimarranno un segreto per sempre, vero? O che Roberto resterà fedele a Rosanna? Se è così, sei un povero illuso.»

«Signora Bianchi, posso fare solo quello che è meglio per il momento. Il resto lo metto nelle mani di Dio.»

Donatella si alzò. «Me ne vado, prima che Roberto ritorni. Avrà un’espressione compiaciuta e se lo vedessi temo che non risponderei di me stessa. Lo conosco meglio di chiunque altro, perfino della sua preziosa moglie. Eravamo fatti per stare insieme, lui e io» mormorò risentita.

«Su questo ha perfettamente ragione, signora Bianchi. Voi due vi meritate a vicenda. Addio.»

Luca guardò Donatella allontanarsi dall’albergo e sparire, ma il sollievo che avrebbe dovuto provare per aver concluso l’accordo non arrivò. Il suo cuore era oppresso invece da una pesante nube di tristezza.

Roberto comparve da dietro l’angolo con lo sguardo colmo di speranza. Luca annuì. «Va tutto bene, se n’è andata» disse piano.

«Ha accettato?»

«Sì. Tieni.» Luca gli porse la lettera.

«Grazie a Dio.» Roberto si asciugò la fronte sudata col dorso della mano. «Luca, posso offrirti da bere? Tutto ciò che vuoi, farò qualsiasi cosa per ringraziarti.»

«No.» Luca si alzò. «Ora devo andare. Bada a mia sorella e a tuo figlio. Ciao.»

Luca arrivò a casa di Abi quarantacinque minuti più tardi. Lei lo fece entrare ancora avvolta nell’accappatoio.

«Ciao, tesoro» gli disse sorridendo.

Luca rimase sulla soglia, muto e immobile. Era pallido e aveva l’aria affranta.

«Che diavolo è successo?» gli chiese. «Vieni a sederti.» Fece per prendergli la mano e si accorse che era fredda come il ghiaccio. «Luca, per l’amor del cielo, dimmi dove sei stato? Che succede?»

Lui se ne stava lì, immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Abi lo abbracciò e gli accarezzò i capelli. «Ti prego, qualsiasi cosa sia successa non può essere grave come credi.»

Luca si lasciò guidare in soggiorno e si mise a sedere sul divano. Abi gli prese le mani.

«Ascolta, dimmi cos’è successo, cosa ti ha ridotto così. Ti amo, questo lo sai. Solo per stavolta lascia che sia io il tuo confessore.»

Luca alzò lo sguardo su di lei. «Abi, è tutto così complicato, ho un tale casino nella testa. Mi sento… mi sento…»

«Io sento di aver bisogno di un brandy.» Si alzò e andò in cucina a prendere la bottiglia. Versò il liquido ambrato in due bicchieri e gliene porse uno. «Ora bevi, e poi proviamo a parlare, d’accordo?»

Luca buttò giù il brandy tutto d’un fiato. E poi iniziò a raccontare. Abi ascoltava, spalancando gli occhi sempre di più.

«Quindi capisci che Roberto è sempre colpevole di qualcosa? E io che cos’ho fatto, oggi? L’ho rispedito da Rosanna, quando avevo l’opportunità perfetta di sbarazzarmi per sempre di lui.»

«Luca, lei lo ama. Qualsiasi cosa abbia fatto, o potrebbe fare, questo non cambierà mai. L’amore non ha nulla a che vedere col buonsenso.» Abi lo guardò e sorrise tristemente. «Io dovrei saperlo più di chiunque altro. E non puoi, non devi fartene una colpa. Hai fatto quello che credevi più giusto per proteggere la tua famiglia.»

«Sì, posso anche interpretarla così. Ma temo di non essere molto migliore di Roberto, visto che anch’io ho ingannato Rosanna. E ancora una volta lui se l’è cavata senza essere punito. Anch’io, come chiunque altro, gli ho obbedito e ho mentito per farlo contento.»

«Ma è stata una bugia detta con le migliori intenzioni del mondo, e anche necessaria, credo. Devo ammettere che trovo buffo un particolare, in tutta questa storia. I St Regent hanno speso svariati milioni di dollari per un disegno che, per quanto sia bello, a quanto pare non vale niente. Stephen è sicuro della sua valutazione?»

«È un esperto di Rinascimento e ha sottoposto il disegno a un accurato procedimento di autenticazione» confermò Luca. «Mi ha detto che ha capito perché il marito di Donatella credeva fosse un Leonardo da Vinci. Ci sono forti somiglianze con gli altri disegni dell’artista e crede che se fosse venduto a un’asta sarebbe battuto a qualche migliaio di dollari, dato che è antico e perfettamente conservato.»

«Che cosa ha detto Stephen al proprietario del disegno, quando gli ha chiesto se fosse autentico o meno?»

«Ha deciso di non rivelare al signor St Regent che in realtà non è un vero Leonardo da Vinci. Gli ha detto di non essere abbastanza qualificato per esprimere un parere definitivo e che avrebbe dovuto chiedere un’opinione ai maggiori esperti mondiali di Leonardo. Cosa che, ovviamente, il signor St Regent non farà mai, perché l’opera è stata esportata illegalmente dall’Italia. Stephen mi ha detto che quel disegno gli piace da morire, perciò, perché rovinargli la festa? Per quanto riguarda Donatella, invece, meno ne sa e meglio è.»

«Ma tutti quei soldi, Luca. Non mi pare giusto nei confronti di questo signor St Regent.»

«Per lui qualche milione sono come due sterline per noi, credimi.»

«Be’, allora tanto meglio così. Dài, Luca, smettila di giudicarti così severamente. Non avresti potuto fare di meglio e non puoi continuare a flagellarti per questo.»

«Ma Roberto ha una pessima influenza su Rosanna. Ha lasciato Ella e Nico da soli… quella non era mia sorella. È una persona diversa quando è con lui. E ora mi odia perché gliel’ho detto.»

«È la sua vita, Luca, e devi lasciare che la viva come vuole.»

«Lo so, lo so.» Esitò un attimo, poi proseguì: «Ascoltami, Abi, stasera non sono tornato qui solo per dirti com’è andato l’incontro con Donatella, ma anche perché c’è qualcos’altro di cui vorrei parlarti».

«Davvero? E cosa?»

«Credevo che negli ultimi sei mesi avrei avuto tempo per pensare e decidere cosa fare della mia vita. In realtà sono successe così tante cose… prima Carlotta, poi Rosanna e Nico e ora Roberto e Donatella.» Luca scosse la testa. «Sono molto confuso, su di me, su Dio. E su di te, ovviamente.» La guardò e le sorrise teneramente. «Al momento, pieno di incertezze come sono, farei un errore se tornassi in seminario, ma non posso neanche prendermi con te l’impegno che vorrei – almeno non fino a quando non sarò assolutamente sicuro di poter dire addio a tutto ciò in cui ho creduto da quando ho messo piede nella chiesa della Beata Vergine Maria, più di dieci anni fa. Perciò ho parlato con il mio vescovo, e lui mi ha fatto una proposta che potrebbe essere la soluzione. Me ne vado in Africa. Stanno costruendo una chiesa in un villaggio vicino a Lusaka, in Zambia, e lavorerò come predicatore e assistente del parroco. Forse laggiù, lontano da tutto e da tutti, riuscirò finalmente a dare un senso alla mia vita.»

«Ah.» Abi abbassò lo sguardo, delusa.

«Capisco che tu sia arrabbiata. Mi rendo conto di non aver mai fatto nulla per conquistarmi il tuo amore, mentre tu invece mi hai offerto tutto quello che hai. Ma ti prego, non aspettarmi più. Non posso prometterti nulla, perché neanche io conosco le risposte.»

Abi bevve un sorso di brandy, si leccò le labbra. Le tremavano leggermente le mani.

«Luca, mi ami ancora?»

«Ma certo, amore mio. Su questo non ho alcun dubbio. Sai che ti adoro.»

«Ma ami ancora di più il tuo Dio» disse piano. «Be’, potrei starmene qui a cercare di convincerti a restare, dirti che sono io quello di cui hai bisogno. Ma per esperienza so che è inutile, perciò non ci proverò.»

«Mi odi? Ti ho usata? Oh, Abi, il pensiero di averti ferita mi fa stare malissimo.»

«No, non ti odio, Luca. Come potrei? Ti amo. Sapevo sin dall’inizio che non potevi promettermi nulla, ma era un rischio che ero pronta a correre. Ho perso, e Dio ha vinto ancora. Quando parti?»

«Domani.»

Abi annuì in silenzio. Poi lo guardò con gli occhi pieni di lacrime. «Se mi ami davvero come dici, allora mi concederai un ultimo desiderio.»

«Qualsiasi cosa.»

«Una notte. Per noi, per l’amore che condividiamo.»

Si avvicinò e lo baciò sulle labbra. Stavolta lui non protestò. Anzi, le prese il viso tra le mani e rispose con altrettanta passione.

«Per noi» mormorò accarezzandola con delicatezza. «Neppure Dio può negarmelo.»

Il mattino successivo Luca si alzò e andò a farsi la doccia. Abi, invece, rimase sdraiata a fissare il soffitto.

Per tutti quegli anni l’aveva desiderato, aveva sognato le mani di Luca su di sé, ed era finalmente accaduto.

E oggi se ne sarebbe andato via, quasi sicuramente per sempre – doveva accettarlo. Sapeva che non poteva continuare a sperare. Per il suo bene, doveva voltare pagina.

Deglutì e si impose di non piangere. Si alzò dal letto dove avevano fatto all’amore e iniziò a vestirsi in fretta, poi si rifugiò in cucina prima che Luca uscisse dal bagno.

«Ora devo andare.» Il suo sguardo cercava quello di lei dalla soglia.

Lei si alzò e andò ad abbracciarlo.

«Ha fatto qualche differenza?» chiese lei. «Ho pensato che magari…»

«Sì, ha fatto molta differenza. Ti amo e non ho alcun rimorso per quello che abbiamo vissuto insieme.»

«Allora resta. Resta con me. Ti prego, Luca, ho bisogno di te.» Le lacrime sgorgavano, gli bagnavano il cappotto. «Chiedimi di aspettarti, ti prego. Ti aspetterò…»

Anche Luca era sul punto di crollare. «No, amore, non posso e non devo darti false speranze. Per quanto desideri chiederti di aspettarmi, non devo farlo. Ti ho già chiesto abbastanza.»

«Sì, scusa, mi ero ripromessa di non fare una scenata. Devi andare, lo so.» Si staccò dal suo abbraccio, si asciugò le lacrime e lo seguì alla porta.

«Ciao, amore mio.»

Abi rimase a guardare in silenzio mentre scendeva le scale. Luca si voltò e le sorrise. Poi se ne andò.

 

52

 

Rosanna sentì la Jaguar fermarsi sul vialetto. Dalla finestra del soggiorno vide Roberto avvicinarsi, e andò all’ingresso per aprirgli la porta.

«Principessa.» Lui abbracciò la moglie e la strinse forte al petto. «Rosanna, amore, mi dispiace, mi dispiace tanto.»

«Roberto, andiamo a sederci. Dobbiamo parlare.»

«Che succede? È per Nico?»

«No.» Rosanna lo guidò in soggiorno e gli indicò il divano. «Si tratta di me.»

«Sei malata?»

«Forse sì, in un certo senso» disse lei.

«Allora dimmi cosa c’è che non va.»

Si sedette accanto al marito e gli prese le mani. «Roberto, hai idea di quanto io ti abbia amato – adorato, direi – sin da quando avevo undici anni?»

«Lo so, principessa. Sono l’uomo più fortunato del mondo. Non ti merito, non ti ho mai meritato. Ma sono cambiato, vedrai. La malattia di Nico e… altri eventi mi hanno fatto capire come mi sono comportato. Cancellerò tutti i miei impegni per i prossimi mesi. Non farò più niente, starò qui con te e Nico finché non guarirà.»

Rosanna sorrise tristemente. Ricordava l’ultima volta che aveva fatto una promessa del genere. Poi scosse la testa.

«Qui non si tratta di te, Roberto. Si tratta di me, di quello che voglio» disse gentilmente.

«Vuoi che resti qui a casa con te e Nico, giusto?»

«Prima lo pensavo, credevo che fosse la risposta. Puoi prenderti un periodo sabbatico, ma poi dopo un po’ fremerai per tornare alla tua altra vita. Sei fatto così, e lo sarai sempre. Noi… il nostro amore, non potrà mai funzionare.»

«Che cosa stai cercando di dirmi, Rosanna? Che vuoi lasciarmi?» Sembrava incredulo, come se lo ritenesse tutto uno scherzo.

«Sì. Esattamente questo. E se mi ami, capirai.»

Roberto si passò una mano tra i capelli. «No, no, tu non sei sincera. Tu mi ami, hai bisogno di me. Sai che siamo fatti per stare insieme.»

«Forse un tempo, ma non adesso e di certo non in futuro.»

Roberto si alzò e cominciò a camminare per la stanza. «Non puoi dire sul serio, non puoi. Non dopo quello che ho fatto…» Scosse la testa e si ributtò sul divano.

«Che cos’è che avresti fatto?»

«Voglio dire, la decisione che ho preso, la più importante della mia vita. Da questo momento in avanti tu e Nico sarete sempre al primo posto. Non conta nient’altro per me. Solo tu, solo il nostro bambino.»

Rosanna cercò di riordinare le idee e di spiegargli il più razionalmente possibile quello che provava.

«Roberto, tutte le persone che mi vogliono bene hanno sempre avuto dubbi sulla nostra relazione. All’inizio credevo che fosse solo gelosia, che non sopportassero di vederci così felici insieme.» Sospirò piano. «Ma adesso capisco. Si sono accorti che mi hai cambiata, che sono diventata egoista e che il mio amore per te mi ha portata a mettere da parte qualsiasi altra cosa. Non è stata colpa tua, ma mia. L’ho capito con chiarezza solo dopo che nostro figlio ha rischiato la vita. Avrebbe potuto morire, Roberto, e io non sarei stata lì con lui.»

«Ma Rosanna, non puoi rinunciare al nostro amore per un solo errore!»

«Ma non capisci che si tratta di un sintomo, e non della causa? Quando sono con te non sono più me stessa. Annego in te, nell’amore che provo. Ti prego, cerca di capire. Dobbiamo separarci non perché non ti amo, ma perché ti amo troppo.»

«No! No! Ti prego, no!» Roberto si prese la testa fra le mani e iniziò a singhiozzare. «Non posso vivere senza di te. Non ci riesco!»

Lei lo strinse fra le braccia. «Amore, se mi ami come dici, allora va’, dammi la possibilità di avere un futuro come la persona che credo di poter essere, che voglio essere. Se ci tieni a me capirai che quello che ti sto dicendo è vero. Per una volta non essere egoista. Non rendere le cose più difficili di quanto già non siano.»

Lui la guardò con lo sconforto negli occhi. «È davvero quello che vuoi?»

«Sì. Non credo di avere altra scelta.»

«Forse ti serve solo un po’ di tempo, principessa. Lo shock per la malattia di Nico ti ha confuso le idee, stai reagendo in maniera esagerata.»

«No, affatto. Anzi, per la prima volta mi ha fatto vedere le cose con chiarezza. Ho visto come sono diventata e non mi piaccio. La mia ossessione per te ha influito sulla vita di molti altri. E ora voglio tornare a essere me stessa. O almeno, scoprire per la prima volta chi sono davvero.»

Lentamente Roberto cominciò a capire le implicazioni di quelle parole.

«E Nico? Lo priverai di suo padre?»

«Ci ho pensato a lungo, ho tentato di capire se non mi stia comportando da egoista a chiederti di andartene. Ma lo dobbiamo a nostro figlio, ha bisogno che almeno un genitore lo metta sempre al primo posto. E io non lo faccio quando tu sei con me.»

«Me lo lascerai vedere?»

«Naturalmente. Quando vuoi, quanto spesso vorrai. Riusciremo a organizzarci, ne sono sicura.»

«È una cosa… definitiva?»

«Credo che non ci siano alternative.»

«Qu-quando vuoi che me ne vada?»

«Il prima possibile. Più a lungo resti, più sarà doloroso.»

Roberto ricacciò indietro le lacrime e si alzò. «Rosanna, se potessi trovare le parole per farti cambiare idea… Rinuncerei a qualunque cosa. Alla carriera, a tutto.»

«Questo lo pensi adesso, ma sai bene quanto me che non è vero. Una scelta del genere creerebbe solo più problemi, in futuro, e non sarebbe giusto da parte mia chiedertelo. Dimmi che mi capisci, Roberto, è importante per me saperlo.»

Lui le si avvicinò, allungò una mano e le accarezzò le guance con un dito.

«Sì, principessa, capisco. Capisco che avrei dovuto mettere te al primo posto. Era il nostro reciproco amore e quello per Nico che contava davvero. E la tragedia è che queste cose le ho capite troppo tardi. Non è colpa tua, Rosanna. È colpa mia se siamo arrivati a questo, solo mia.»

«La responsabilità per i nostri errori è di entrambi.»

«Se mai dovessi cambiare idea, ti prego, devi solo dirmelo e tornerò al tuo fianco.»

Lei si alzò e lo accompagnò alla porta d’ingresso.

«Vado a salutare Nico in ospedale.»

«Certo.»

«Di’ qualsiasi cosa… qualsiasi cosa tu desideri, per lui o per te, chiedimela. Stavolta non lascerò che il mio orgoglio si metta di mezzo come in passato.»

«Grazie, Roberto.»

«Voglio stringerti fra le braccia un’ultima volta.»

Lei gli si avvicinò e rimasero abbracciati l’uno all’altra, come se per entrambi fosse impossibile districarsi da quella stretta.

Il cuore di Rosanna era sul punto di spezzarsi in due. «Grazie per avermi compreso. Non smetterò mai di amarti. Mai» sussurrò.

«Nemmeno io.» Le sollevò il viso e si baciarono per l’ultima volta, piangendo. «Ti aspetterò, principessa. Sempre.»