Metropolitan Opera House, New York

 

Allora, Nico, adesso sai come conobbi Roberto Rossini e come il destino da quel momento iniziò a tessere la sua tela. Quando Carlotta sposò Giulio, ero molto giovane e ingenua, non capivo bene cosa accadesse intorno a me.

Nei cinque anni successivi mi dedicai con tutta me stessa al canto. Entrai a far parte del coro della chiesa, e questo mi dette la scusa per fare più esercizi possibile a casa. Seguii con estremo piacere ogni lezione di Luigi Vincenzi e, con l’età, mi appassionai sempre di più all’opera. Non avevo alcun dubbio su cosa volessi fare da grande.

Per tutto il tempo fu come vivere una doppia vita. Sapevo che un giorno avrei dovuto rivelare il mio segreto a mamma e papà, ma speravo solo che il momento giusto arrivasse da sé. E non potevo rischiare che mi impedissero di cantare.

Nella mia vita era cambiato poco altro. Andavo a scuola e studiavo inglese e francese. Andavo a messa due volte la settimana e ogni giorno servivo ai tavoli nel locale. Le altre ragazze della mia classe sognavano di diventare stelle del cinema e fumavano le prime sigarette, mentre io avevo un sogno e uno soltanto: cantare sul palco della Scala con l’uomo che aveva dato inizio a tutto. Pensavo spesso a Roberto e credevo, speravo, che qualche volta lui pensasse a me.

Ogni tanto Carlotta veniva a trovarci al bar con la sua Ella. A ripensarci, mi rendo conto che era terribilmente infelice. La vivacità che l’aveva sempre contraddistinta, non c’era più e dai suoi occhi era svanita ogni scintilla di gioia. Certo, all’epoca non avevo alcuna idea del perché…

 

4

 

Napoli, maggio 1972

«Rosanna, benvenuta. Prego, entra e siediti.» Luigi indicò una sedia davanti a un enorme caminetto di marmo nella sala della musica.

Rosanna fece come richiesto e Luigi si accomodò di fronte a lei.

«Negli ultimi cinque anni sei venuta da me due volte al mese. Non credo che tu abbia mai saltato una lezione.»

«No, infatti» confermò Rosanna.

«E in questi cinque anni abbiamo imparato a padroneggiare le basi del bel canto. Abbiamo eseguito così spesso tutti gli esercizi che ormai credo tu sappia farli anche mentre dormi.»

«Sì, Luigi.»

«Abbiamo assistito a numerosi spettacoli al teatro San Carlo, abbiamo studiato le grandi opere, imparato le loro storie e approfondito il carattere dei personaggi che, un giorno, potresti interpretare.»

«Sì.»

«Quindi adesso la tua voce è una tela immacolata, pronta a essere trasformata con colori e forme in un vero capolavoro. Rosanna,» proseguì Luigi dopo una pausa «ti ho insegnato tutto quello che so. Non posso insegnarti più niente, ormai.»

«Ma… ma Luigi, io…»

Lui le prese le mani. «Rosanna, ti prego. Ti ricordi la prima volta che sei venuta da me con tuo fratello? E ti ho detto che era ancora troppo presto per capire se il tuo dono sarebbe cresciuto insieme a te?»

Rosanna annuì.

«Be’, è cresciuto eccome. Si è trasformato in qualcosa di troppo raro per nasconderlo al resto del mondo. Rosanna, ora devi andare avanti. Hai quasi diciassette anni, devi iniziare a frequentare una vera scuola di musica, che possa darti quello che io non posso.»

«Ma…»

«Lo so, lo so» disse Luigi sospirando. «Tua madre e tuo padre ancora non sanno delle lezioni. Sono certo che il loro desiderio sia che quest’estate, quando la scuola finirà, ti troverai un bravo ragazzo, che lo sposerai e darai loro tanti nipoti. Ho ragione?»

«Sì, Luigi» confermò, rabbrividendo al solo pensiero.

«Ebbene, Rosanna, lascia che ti dica una cosa. Dio ti ha concesso un dono, un dono che comporta delle responsabilità, delle decisioni importanti da prendere. E solo tu puoi sapere se sei abbastanza coraggiosa. La scelta è tua.»

«Luigi, negli ultimi cinque anni ho vissuto solo per le tue lezioni. Non mi è mai importato se papà mi sgridava o se la mamma mi faceva servire ai tavoli tutte le sere, perché potevo sempre pensare al momento in cui sarei venuta qui.» Rosanna aveva gli occhi lucidi. «Quello che desidero più di ogni altra cosa al mondo è cantare. Ma che devo fare? I miei non hanno soldi per pagarmi l’iscrizione a una scuola di musica.»

«Ti prego, non arrabbiarti, Rosanna. Volevo soltanto sentirti dire che il tuo desiderio è cantare. Sono più che consapevole della situazione economica dei tuoi genitori, ed è qui che potrei esserti di aiuto. Tra sei settimane avrà luogo una soirée in questa casa, un evento musicale. Si esibiranno tutti i miei allievi. E a questa serata ho invitato anche il mio buon amico Paolo de Vito, direttore artistico della Scala di Milano. Paolo dirige anche la scuola di musica di quel teatro che, come sai, è la migliore d’Italia. Gli ho parlato di te ed è disposto a venire qui da Milano per sentirti cantare. Se anche lui, come me, dovesse ritenere la tua voce speciale, potrebbe concederti una borsa di studio per entrare nella sua scuola.»

«Davvero?» Gli occhi di Rosanna si riempirono di speranza.

«Sì. E credo che dovresti invitare anche i tuoi genitori alla soirée, in modo che anche loro possano sentirti cantare. Circondati da persone che riconoscono il tuo immenso talento, in quella occasione potrebbero cambiare idea.»

«Ma Luigi, si arrabbieranno perché ho mentito loro per tutti questi anni. E non credo che verranno.» Rosanna scosse la testa con decisione.

«Prova a convincerli. Ricorda, hai quasi diciassette anni, sei un’adulta ormai. Capisco che tu non voglia turbare i tuoi genitori, ma fidati di me e chiedi loro di venire. Me lo prometti?»

Rosanna annuì. «Lo prometto.»

«Bene. Ora, abbiamo già sprecato fin troppo tempo. Oggi impareremo una delle mie arie preferite. Potresti cantarla alla soirée. È “Mi chiamano Mimì”, tratta da La Bohème di Puccini. È difficile, ma sono sicuro che tu sia pronta. Prima studieremo la musica. Vieni,» disse Luigi alzandosi «c’è molto lavoro da fare.»

Al ritorno, Rosanna sedeva sull’autobus persa nei propri pensieri. Appena entrò in casa andò dritta in cucina a cercare Luca.

«Ciao, piccola. Che succede? Sembri preoccupata.»

«Possiamo parlare?» gli chiese, poi aggiunse: «In privato».

Luca guardò l’orologio. «Oggi c’è poca gente. Ci vediamo al solito posto tra mezz’ora.» Le fece l’occhiolino e Rosanna corse via prima che uno dei genitori potesse vederla.

Via Caracciolo pullulava di auto e turisti, e Luca faticava a farsi largo verso il lungomare. Vide sua sorella appoggiata al parapetto, che guardava le onde schiumose del mare tinte di un blu intenso dalle ombre. Con un misto di orgoglio e irritazione vide due uomini passarle davanti e poi voltarsi per darle un’altra occhiata. Rosanna non pensava di essere attraente come la sorella, ma Luca si era accorto che si stava trasformando in una meravigliosa donna, alta e magra, e che la goffaggine di quando era piccola stava lentamente cedendo il passo a un’eleganza naturale nei movimenti. I lunghi capelli scuri le ricadevano come una cascata sulla schiena, incorniciandole il viso a forma di cuore con gli occhi castani che luccicavano sotto lunghe ciglia. Non riusciva mai a dirle di no quando gli sorrideva, e l’unico motivo per cui ancora lavorava nel bar di famiglia era per pagarle le lezioni, nonostante dovesse svolgere gran parte del lavoro, mentre suo padre se ne stava seduto a bere con i suoi amici.

«Ciao, bella» disse arrivandole accanto. «Forza, andiamo a prenderci un caffè, così mi dici qual è il problema.»

Luca guidò Rosanna verso un tavolo sul marciapiede davanti a un bar. Ordinò due caffè e studiò l’espressione preoccupata della sorella. «Dimmi, Rosanna, che succede?»

«Luigi non vuole più darmi lezioni.»

«Mi sembrava che avessi detto che era entusiasta dei tuoi progressi» ribatté lui, incredulo.

«Sì, Luca. Non vuole più continuare perché dice che ho imparato tutto quello che c’era da imparare. Ha un amico importante alla Scala, e questo amico viene a sentirmi cantare tra sei settimane, in occasione di una soirée a casa di Luigi. Quest’uomo potrebbe offrirmi una borsa di studio per entrare in una scuola di musica di Milano.»

«Ma è magnifico, piccola! Perché sei così triste, allora?»

«Oh, Luca, cosa dirò a mamma e papà? Luigi vuole che vengano a sentirmi! Ma anche se venissero, non mi permetterebbero mai di lasciare Napoli per andare a Milano. Tu lo sai che è così.» I begli occhi castani di Rosanna si riempirono di lacrime.

«Non ha importanza cosa diranno» disse con fermezza Luca.

«Che significa?»

«Sei abbastanza grande per decidere da sola, Rosanna. Se mamma e papà non sono d’accordo, se non riescono ad apprezzare e sostenere il tuo talento, be’, è un problema loro, non tuo. Se il signor Vincenzi ritiene che tu sia abbastanza brava da studiare a Milano, e fa venire qui un amico apposta per sentirti cantare, allora non devi permettere a niente e a nessuno di fermarti.» Luca le prese la mano. «È la notizia che sognavamo da sempre, vero?»

«Sì.» Rosanna sentì che la tensione l’abbandonava. «E devo ringraziare te per questo. Per tutti questi anni mi hai finanziato. Come potrò mai ripagarti?»

«Diventando la grande cantante d’opera che sei nata per essere.»

«Luca, credi davvero che lo diventerò?»

«Sì, Rosanna, ci credo davvero.»

«E i nostri genitori?» chiese.

«A loro ci penso io. Mi assicurerò che vengano a sentirti cantare.»

Rosanna si chinò e baciò il fratello sulla guancia, con gli occhi pieni di lacrime. «Cos’avrei fatto senza di te, Luca? Grazie infinite. Ora devo tornare a casa, stasera sono di turno.»

Rosanna si alzò e si allontanò. Luca vagò con lo sguardo sulla baia, verso Capri, sentendo il cuore leggero come non mai.

Se Rosanna si fosse trasferita a Milano, cosa l’avrebbe trattenuto lì?

Niente. Niente di niente.

 

5

 

«Bastardo!» Carlotta si buttò a sedere sul divano piangendo a dirotto. «Come hai potuto farlo, Giulio?»

«Carlotta, ti prego, mi dispiace.» Giulio la guardava sconsolato. «Ma siamo sposati da cinque anni e negli ultimi quattro non mi hai permesso di toccarti neanche con un dito! Un uomo ha le sue necessità…»

«E tu hai soddisfatto le tue con la segretaria! Sicuramente al lavoro lo sapranno tutti. Sono lo zimbello dell’azienda!»

«Non lo sa nessuno, Carlotta. La nostra relazione è durata solo poche settimane e adesso è finita, lo giuro.»

«E chi c’è stato prima di lei? Quante altre donne ti sei portato a letto?»

Giulio si avvicinò alla moglie. «Cara, ti prego, ma non capisci? Io voglio solo te, ho sempre voluto solo te. Ma, da quando ci siamo sposati, non ho mai avuto la sensazione che tu mi desiderassi. Sei sempre stata così fredda…» disse Giulio rabbrividendo. «Credo che tu mi abbia sposato soltanto per via della bambina. Dico bene?»

Carlotta lo guardò e si divincolò dalla sua stretta, sentendo che cinque anni di risentimento e tristezza arrivavano finalmente alla superficie. «Sì, dici bene. Io non ti ho mai amato, e di certo non volevo sposarti. Avrei potuto avere chi mi pareva! Quando penso alla vita che avrei potuto fare… E invece sono qui, a sprecare i miei anni migliori con un uomo che neanche mi piace! E lo sai qual è la cosa più buffa?» Carlotta si alzò, tremante di rabbia. «La bambina non è neanche tua. Non è tua!»

Subito si coprì la bocca con la mano, pentendosi di quello che aveva appena detto.

Giulio la fissava senza dire nulla. Era diventato pallido come un cadavere. «Mi stai dicendo la verità, Carlotta? Stai dicendo che Ella non è mia figlia?»

«Io…» Carlotta non riusciva a guardarlo in faccia. Si prese la testa fra le mani e cominciò a singhiozzare.

Giulio si alzò e uscì, sbattendosi la porta alle spalle.

Carlotta si accasciò sul divano. «Mio Dio, mio Dio, che cosa ho fatto?» gridò alle pareti mute. Voleva ferirlo per quello che le aveva fatto, per averle portato via l’unica cosa che le era rimasta, il suo orgoglio.

Un paio d’ore più tardi Giulio tornò. Carlotta gli corse incontro in lacrime appena entrato in casa. «Perdonami, perdonami, Giulio. Mi avevi ferita e io volevo ferire te. Non è vero, lo giuro. Ella è tua, credimi.»

Giulio la spinse via, disgustato e con gli occhi privi di qualsiasi compassione. «No, Carlotta, non era una bugia. Ci ho ripensato e mi sono reso conto di essere stato cieco. La bambina è nata prematura di cinque settimane, eppure era in salute e del peso giusto. Ho capito che non eri vergine la prima volta che l’abbiamo fatto, anche se non te l’ho mai detto. La tua espressione infelice il giorno delle nozze, il modo in cui rabbrividivi ogni volta che ti toccavo… Dimmi, l’altro almeno lo amavi?»

Consapevole di non poter più tornare indietro, Carlotta scosse la testa, sconfitta. «No. È stato un terribile errore, una sola notte.»

«E dovevo essere proprio io a pagare?» Giulio si buttò a sedere sul divano. «Maledizione, Carlotta. Sapevo quanto tu fossi egoista, ma non credevo che fossi addirittura senza cuore. Chi altri lo sa?»

«Nessuno.»

«Dimmi la verità, per favore. Almeno questo me lo devi.»

«Lo sa Luca» ammise.

«Avete complottato insieme, non è così?» esclamò lui.

«No, Giulio. Non è andata così. Ero disperata. E ho pensato che, dato che ti avrei sposato comunque…»

Giulio le afferrò il braccio stringendolo forte. «Davvero, Carlotta? Mi pareva che prima avessi detto che non mi amavi. Anzi, che neanche ti piacevo.»

«Ahia! Ti prego, Giulio, mi fai male! Te l’ho detto, non le pensavo davvero quelle cose, io…»

«Le pensavi eccome, Carlotta.» Le lasciò il braccio e sospirò con aria stanca. «Non sono una persona cattiva. Ho sempre e solo voluto il meglio per te e per Ella. In tutti questi anni ho lavorato sodo per fare in modo che mi amassi come io amavo te. E ora scopro che il mio matrimonio era una farsa ancor prima di essere celebrato!»

«Ti prego, Giulio. Ti prego!» lo implorò lei. «Dammi un’altra possibilità. Mi farò perdonare, te lo prometto. Ora che ti ho detto la verità, possiamo ricominciare senza menzogne. Daccapo…»

«No» la interruppe lui ridendo amaramente. «Non si torna più indietro, Carlotta. Prima, quando sono uscito, ho riflettuto e ho preso una decisione. Ora che finalmente sei stata onesta con me, voglio che tu faccia i bagagli e te ne vada. Puoi dire a tutti che hai lasciato tuo marito perché ti tradiva, non c’è bisogno che sappiano la verità. Sono pronto a prendermi la colpa di tutto, per il bene di Ella. Anche se non è sangue del mio sangue, l’ho amata come se lo fosse. E non voglio infangare il suo nome.»

«No, Giulio, per favore! Dove andrò? Che cosa farò?» gemette Carlotta.

«Questo non è più un problema mio. La mia azienda ha una sede a Roma e chiederò di essere trasferito lì il prima possibile.»

«Ma… che ne sarà di Ella? Lei ti considera suo padre. Ti ama, Giulio.»

«Avresti dovuto pensarci prima di ingannare entrambi.» Le diede le spalle, ancora tremante di rabbia. «Ora vado a letto. Sono stanco. Tu dormirai qui e quando andrò in ufficio, domani mattina, farai i bagagli e te ne andrai. Al mio rientro, domani sera, non ti voglio trovare.»

Antonia strinse forte la figlia al petto. «Ma certo che potete stare con noi per un po’. Non devi chiederlo neanche. Oh, Carlotta, povera bambina mia, che c’è? Cos’è successo?» Osservò la figlia con aria preoccupata. «Sembra che tu abbia visto un fantasma. Vuoi andare a stenderti un po’? Puoi dormire con Ella nella tua vecchia stanza, Rosanna dormirà sul divano in soggiorno.»

Carlotta, pallidissima, annuì lentamente. «Oh, mamma, oh, mamma, io…»

Antonia notò che Ella guardava la madre confusa. Chiamò Luca. «Porta Ella giù in cucina e dalle qualcosa da mangiare mentre io parlo con tua sorella» mormorò. «Dio solo sa cosa sia successo.»

Luca guardò Carlotta: l’espressione sul suo viso diceva tutto.

Antonia tirò fuori il fazzoletto e si asciugò la fronte mentre accompagnava la figlia nella sua stanza. «Santo cielo, oggi fa troppo caldo per queste cose.»

«Mi dispiace. Non rimarrò a lungo.» Carlotta si sedette sul letto e Antonia si lasciò cadere pesantemente accanto a lei. «Stai bene, mamma? Non sembri in forma.»

«Sì, sto bene. È solo il caldo. Per favore, Carlotta, dimmi cos’è successo. Tu e Giulio avete litigato, vero?»

«Sì.»

«Non ti devi preoccupare.» Antonia la abbracciò. «Tutte le coppie litigano. Tuo padre e io litigavamo sempre. Ora non abbiamo più l’energia per farlo» aggiunse con una risatina. «Dormi un po’, dopo ti sentirai meglio. Poi potrai tornare da Giulio e sistemare le cose.»

«No, mamma. Non posso più tornare indietro. Tra Giulio e me è finita. Per sempre.»

«Ma perché? Che cos’hai fatto?»

Carlotta si girò dall’altra parte e cominciò a singhiozzare.

Sospirando, Antonia si alzò dal letto. «Riposati, Carlotta. Parleremo più tardi.»

Rosanna fu sorpresa nel trovare il letto occupato quando quella sera tornò dalle prove con il coro. Sua nipote Ella dormiva profondamente, perciò uscì piano dalla stanza e percorse lo stretto corridoio fino al soggiorno. La porta era chiusa, ma sentiva i suoi genitori parlare.

«Non so cosa sia accaduto, Marco. Non dice niente. È di sotto, adesso, a parlare con Luca. Forse lui riuscirà a capirci qualcosa. Ho provato a chiamare Giulio a casa, ma non risponde.»

«Deve tornare da suo marito. È quello il suo posto. Glielo dirò io» disse Marco con rabbia.

«Per favore, stasera lasciala stare. È turbata» implorò Antonia.

Rosanna aprì la porta. «Che cosa è successo?» chiese.

«Tua sorella ha lasciato suo marito e resterà qui con Ella per qualche giorno. Tu, Rosanna, potrai dormire qui, sul divano.» Antonia respirava a fatica, inspirando dalla bocca aperta. Si alzò lentamente.

«Stai bene, mamma?» chiese Rosanna correndo da lei.

«Sto… sto bene.» Antonia barcollò sul posto, ma subito riac­quistò l’equilibrio. «Devo scendere di sotto, mi serve un po’ d’aria.» Si sventolò con la mano, trascinandosi fuori dalla stanza.

«Papà, perché Carlotta ha lasciato Giulio? Io…»

Si udì un tonfo provenire dalle scale.

Marco e Rosanna uscirono di corsa dal soggiorno e videro Antonia riversa in fondo alle scale che conducevano nel bar.

«Mamma mia! Antonia! Antonia!» Marco corse di sotto e si inginocchiò accanto al corpo inerme della moglie. Rosanna fece altrettanto.

«Corri a chiamare il medico, presto!» le gridò Marco. «Chiama Luca e Carlotta.»

Rosanna attraversò di corsa il bar deserto ed entrò in cucina. Luca e Carlotta si stavano abbracciando, e lei piangeva sulla spalla del fratello.

«Presto! La mamma è svenuta sulle scale! Vado a chiamare il dottore!» Rosanna aprì la porta e corse via lungo la strada.

Carlotta e Luca trovarono Antonia ai piedi delle scale con la testa sul pavimento. Usciva sangue da una ferita al cuoio capelluto e la pelle era grigiastra, gli occhi socchiusi. Carlotta si inginocchiò accanto a lei per cercarle il battito.

«È…?» Marco, in piedi accanto a sua moglie, non riuscì a finire la frase. «Proviamo almeno a metterla più comoda» suggerì Luca.

Padre e figlio riuscirono a portare Antonia nel bar, un po’ sollevandola e un po’ trascinandola, mentre Carlotta prese un cuscino da metterle sotto la testa.

Rosanna tornò con il medico dopo quindici, interminabili minuti.

«La prego mi dica che non è morta» gemette Marco. «La salvi, dottore.»

Luca, Carlotta e Rosanna guardavano in silenzio il medico che auscultava il cuore della donna, poi le misurava il battito. Quando alzò lo sguardo, tutti videro nei suoi occhi la risposta.

«Mi dispiace tanto, Marco» disse il medico scuotendo la testa. «Temo che Antonia abbia avuto un attacco cardiaco. Non possiamo fare più nulla per lei. Deve mandare a chiamare subito don Carlo.»

«Il prete!» Marco guardava il dottore con espressione incredula. Si inginocchiò di nuovo e nascose il viso sulla spalla immobile di Antonia. Cominciò a piangere. «Io non sono niente senza di lei. Oh, amore mio, amore mio…»

I tre figli rimasero a osservare in silenzio, sconvolti, incapaci di muovere un solo muscolo.

Il medico ripose lo stetoscopio nella borsa e si alzò. «Rosanna, vai a chiamare don Carlo, per favore. Noi resteremo qui a preparare tua madre.»

Rosanna emise un gemito di dolore e poi, stringendo i pugni, si alzò e uscì dal bar.

«Che cosa è successo? Perché il nonno piange?» chiese Ella comparendo in cima alle scale.

«Vieni con la mamma, Ella, ora ti spiego.» Carlotta salì le scale e riportò la figlia nella camera da letto di Rosanna.

«Luca, credo sia meglio che tu chiuda il bar fino all’arrivo di don Carlo. Di certo non vorrete nessuno, adesso» consigliò il medico.

«Certo.» Luca andò alla porta con passo tremante e girò la chiave. Marco stringeva in grembo la mano della moglie e la accarezzava singhiozzando. Luca andò a inginocchiarsi accanto a lui e gli mise un braccio sulle spalle curve. Anche lui cominciò a piangere. Allungò una mano e accarezzò la fronte della madre.

Marco guardò il figlio con l’angoscia negli occhi. «Senza di lei non mi rimane niente. Niente.»

* * *

Due giorni più tardi don Carlo tenne una messa funebre per la famiglia. Il corpo di Antonia era rimasto esposto tutta la notte nella camera ardente della chiesa che la donna aveva frequentato per tutta la vita. Il mattino successivo amici e parenti riempirono la chiesa per il funerale. Rosanna era seduta in prima fila tra Luca ed Ella; il velo di pizzo nero le impediva di vedere la bara. Marco tenne la mano di Carlotta, piangendo inconsolabile per tutta la cerimonia e durante la sepoltura. Dopo la funzione tornarono al bar, dove Luca e Rosanna avevano lavorato sodo per organizzare una veglia funebre degna della loro mamma.

Alcune ore più tardi, quando gli ospiti se ne furono finalmente andati, la famiglia Menici era seduta attorno a un tavolo, ancora stordita dagli eventi. Marco taceva e fissava il vuoto, finché Carlotta non lo aiutò con gentilezza ad alzarsi.

«Voi due date una pulita» ordinò. «Io porto papà di sopra.»

«Domani apriamo, papà?» chiese Luca piano prima che Marco uscisse.

Lui si voltò e guardò il figlio con aria sconsolata. «Fai come credi.» Poi seguì Carlotta di sopra come un bambino obbediente.

Quando, dopo un giorno di lutto, Luca riaprì il bar, Marco non scese ad aiutarlo. Rimase di sopra in soggiorno a fissare in silenzio una foto della moglie, con Carlotta al suo fianco.

«Altre due pizze margherita e una speciale» annunciò Rosanna entrando in cucina e consegnando l’ordine.

«Ci vorranno almeno venti minuti, Rosanna. Ho già otto ordini prima di questo» disse Luca sbuffando.

Rosanna prese due pizze pronte e le sistemò su un vassoio. «Forse papà tornerà al lavoro presto. E anche Carlotta potrebbe aiutarci.»

«Lo spero, lo spero davvero» ribatté Luca.

Era passata da tempo la mezzanotte e solo allora Rosanna e Luca riuscirono a sedersi per cena.

«Tieni, bevi un po’ di vino. Ce lo meritiamo.» Luca versò del Chianti in due bicchieri e ne porse uno alla sorella.

Mangiarono e bevvero in silenzio, troppo stanchi per parlare. Dopo cena, Luca si accese una sigaretta.

«Puoi aprire la porta, Luca? Luigi dice che il fumo fa malissimo alla mia voce» disse Rosanna.

«Mi scusi, signorina!» Luca inarcò un sopracciglio e andò ad aprire la porta sul retro della cucina. «A proposito di voce, quando dovrebbe essere la soirée a casa del signor Vincenzi?»

«Tra due settimane, ma a questo punto dubito che papà verrà. E comunque, a che servirebbe?» osservò triste. «Ora che la mamma non c’è più e che lui non è in grado di lavorare, c’è bisogno di me qui al bar.»

«Se non torna al lavoro domani, metterò un annuncio per assumere qualcuno. Non credo che riuscirò a convincere Carlotta a servire ai tavoli.»

«Ma tu lo sai cos’è successo tra lei e Giulio?» chiese Rosanna. «È morta la mamma, e pensavo che almeno sarebbe venuto al funerale. Povera Carlotta, prima suo marito e ora la mamma. Sembra un fantasma.»

«Sì, be’, qualcuno la sta punendo per l’errore che ha commesso» rispose lui.

«Quale errore, Luca?»

«Oh, niente di cui tu debba preoccuparti.» Luca spense la sigaretta e chiuse la porta della cucina.

«Vorrei che la smetteste di trattarmi come una bambina! Ho quasi diciassette anni. Perché non mi dici che cos’è successo?»

«Be’, se vuoi fare l’adulta, allora pensa al tuo futuro, Rosanna» ribatté Luca. «La morte della mamma non cambia niente.»

«Cambia tutto, Luca. Papà non mi permetterà mai e poi mai di andare a Milano, ora che la mamma non c’è più.»

«Rosanna, un passo alla volta: prima cerchiamo di convincerlo a venire alla soirée. Credo che gli farebbe bene uscire un po’ e provare orgoglio per sua figlia.»

«Credi che sia giusto fare piani per il futuro, con la mamma morta da così poco tempo?» chiese Rosanna sentendosi in colpa. «Non me la sento di cantare.»

«Lo capisco, ma devi, Rosanna. È la grande occasione che hai per realizzare il tuo sogno. Carlotta potrà cavarsela da sola al bar, per una sera. Chiederò a Massimo e Maria Rossini di venire a darle una mano.»

«Sai, Luca,» confessò Rosanna «penso che dovrei essere più triste per la mamma. Ma mi sento soltanto intorpidita. Qui.» Si indicò il petto.

«È normale, è per via dello shock. Nessuno di noi riesce ancora a credere che non ci sia più. Ma tenersi impegnati aiuta, credo. E ricordati sempre, Rosanna, che la mamma desiderava il meglio per te. È ora di andare a dormire. Ci aspetta un’altra lunga giornata, domani. Vieni, piccola.»

Rosanna seguì stancamente Luca fuori dalla cucina.

 

6

 

«Adesso eseguirai l’aria come se stessi cantando davanti al pubblico.»

Rosanna annuì e si mise al centro della sala. Le dolci note del pianoforte si diffusero e lei cominciò a cantare. Quando terminò, vide che Luigi la scrutava assorto.

«Rosanna, c’è qualche problema?»

«No, io… perché?»

«Perché hai cantato come se avessi un pitone stretto intorno al collo. Vieni, siediti.»

Rosanna si accomodò sullo sgabello del pianoforte, accanto a Luigi.

«È per tua madre?» le chiese gentilmente.

Rosanna annuì. «Sì, e anche perché… perché…»

«Perché cosa?»

«Luigi, non servirà che canti per il tuo amico alla soirée. Non potrò più andare a studiare a Milano.» Sospirò, sconsolata.

«E perché mai?»

«La mamma non c’è più e papà avrà bisogno di me. Ho finito la scuola, e vorrà sicuramente che lavori al bar e che mi prenda cura di lui. Non posso lasciarlo solo. Sono sua figlia.»

«Capisco.» Luigi annuì. «Be’, allora quando canterai, martedì sera, non avrai più niente da perdere, no?»

«Immagino di no.» Rosanna prese il suo fazzoletto e si soffiò il naso.

«Tuo padre verrà a sentirti?»

«No, non credo proprio. Ormai esce a malapena dalla sua stanza.»

Luigi guardò Rosanna serio. «Sai, nella vita ci sono cose che vanno al di là del nostro controllo. A volte dobbiamo arrenderci al destino. Tuttavia posso dirti che, se canti come fai di solito, potresti sorprenderti del risultato.» Luigi le diede un bacio affettuoso sulla testa. «Lasciamo che sia il fato a decidere. Forza, riproviamo.»

Il martedì successivo Rosanna si recò alla villa di Luigi. Ironia della sorte, considerato il suo umore tetro, era un pomeriggio stupendo, e il sole all’orizzonte gettava una luce rosata su tutta Napoli mentre l’autobus ne percorreva le strade. Carlotta aveva accettato di occuparsi del bar per quella sera, e Maria e Massimo sarebbero andati a darle una mano. Camminando verso Villa Torini, Rosanna pensò tristemente che aveva indosso lo stesso vestito nero che si era messa al funerale della madre. Dubitava comunque che avrebbe visto suo padre tra il pubblico. Quando Luca gli aveva detto che l’avrebbe portato a sentire Rosanna cantare, lui l’aveva ignorato o forse non l’aveva neppure sentito.

«Entra, Rosanna.» Luigi la accolse all’ingresso. Aveva un aspetto diverso, con l’abito da sera e il farfallino, molto distinto. «Sei bellissima» disse con aria di approvazione mentre la conduceva nella sala della musica. Le portefinestre erano spalancate, tenute ferme da due grossi vasi di fiori, e sulla terrazza erano state sistemate diverse file di sedie.

«Guarda.» Luigi guidò Rosanna al centro della stanza. «Canterai qui, in questo punto. Ora vieni a conoscere i tuoi colleghi.»

Altri sei cantanti discutevano nervosamente in soggiorno. Smisero tutti di parlare all’ingresso di Luigi e Rosanna.

«Lei è Rosanna Menici. Canterà per ultima. Rosanna, lì c’è un rinfresco, serviti pure» disse lui indicando un tavolo carico di brocche di limonata e vassoi di antipasti. «Ora devo andare ad accogliere gli ospiti.»

Rosanna si sedette su una poltrona di pelle in un angolo. Gli altri cantanti ricominciarono a chiacchierare, ma lei era troppo nervosa per unirsi alla conversazione.

Sentiva il campanello suonare di continuo, e il mormorio delle voci degli ospiti che attraversavano il soggiorno diretti in terrazza.

Luigi fece capolino dall’altra stanza.

«Cinque minuti, signore e signori» annunciò. «La mia governante verrà a chiamarvi uno per volta. Quando avrete finito la vostra esibizione, potrete andare a sedervi tra il pubblico. È sempre possibile imparare qualcosa dagli altri. In bocca al lupo.»

Alcuni minuti dopo la signora Rinaldi venne a chiamare il primo cantante. Ben presto il chiacchiericcio degli ospiti cessò e Rosanna udì le prime note del piano. Uno dopo l’altro, i suoi colleghi scomparvero nell’altra stanza finché Rosanna non rimase sola.

La signora comparve di nuovo sulla soglia. «Vieni, Rosanna, tocca a te.»

Annuì e si alzò, con le mani sudate e il cuore in gola. Seguì la donna lungo il corridoio fino alla porta della sala, dove l’ultimo cantante si stava ancora esibendo.

«Il signor Vincenzi mi ha detto di informarti che tuo padre e tuo fratello sono tra il pubblico.» La governante le sorrise con affetto. «Andrà benissimo, ne sono più che sicura.»

Un’ondata di applausi segnò la fine della penultima esibizione, e la signora Rinaldi guidò Rosanna in sala.

«E adesso la nostra ultima cantante. Un’allieva cui tengo molto, la signorina Rosanna Menici. Rosanna ha preso lezioni da me negli ultimi cinque anni, e questa è la sua prima esibizione di fronte a un pubblico. Spero che, nel sentirla cantare, vi renderete conto di assistere al debutto di un talento davvero notevole. La signorina Menici canterà “Mi chiamano Mimì”, da La Bohème.»

Seguì un educato applauso di incoraggiamento mentre Luigi prendeva posto al piano. Durante i primi accordi del brano Rosanna era preda di una serie di emozioni contraddittorie. Non poteva farlo, non aveva voce, non le sarebbe riuscito…

Poi accadde una cosa strana. Tra i volti nel pubblico, vide sua madre che le sorrideva, la incitava, la incoraggiava a esibirsi al meglio.

Puoi farcela, Rosanna, puoi farcela…

Fece un bel respiro, aprì la bocca e cominciò a cantare.

Luigi trovava sempre più difficile leggere lo spartito che aveva davanti, perché gli occhi gli si erano riempiti di lacrime. Cinque anni di duro lavoro, e quella sera Rosanna e la sua bellissima voce erano maturate; aveva sempre saputo che sarebbe successo.

* * *

Paolo De Vito sedeva in seconda fila, con gli occhi chiusi. Vincenzi aveva ragione: la voce di quella ragazza era tra le più pure che avesse mai udito. Aveva colore, intonazione, forza, profondità. Ogni nota di quella difficile aria risuonava limpida e perfetta. E per giunta, la ragazza sembrava comprendere ciò che stava cantando. Percepiva l’invisibile emozione che paralizzava il pubblico. Paolo sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Rosanna Menici era sensazionale, e voleva essere lui a mostrare al mondo quel talento.

Marco Menici fissava incredulo la figura che aveva davanti. Era davvero la sua Rosanna, la ragazzina timida che gli era sempre riuscito così facile ignorare? Sapeva che aveva una bella voce, ma quella sera… Cielo, cantava di fronte a tutte quelle persone come se fosse nata per farlo! Se solo Antonia avesse potuto vederla. Marco si asciugò le lacrime.

Luca Menici guardava con circospezione il genitore e ringraziò Dio per averlo aiutato a convincere suo padre a venire. Anche lui si asciugò una lacrima. Il dado ormai era tratto. Adesso niente avrebbe più potuto fermare Rosanna.

Con lo spegnersi dell’ultima nota, il pubblico rimase in silenzio. Rosanna era come in trance e vide il volto di sua madre, per la quale aveva cantato quell’aria, svanire nel nulla. All’improvviso un applauso fragoroso la distolse dalle sue fantasticherie, e Luigi le comparve accanto inchinandosi insieme a lei, più volte. Gli altri cantanti si unirono a loro e tutto il pubblico si alzò in piedi.

Luigi alzò le mani e chiese il silenzio. «Grazie per essere intervenuti questa sera. Spero che la nostra umile esibizione vi sia piaciuta. Adesso serviremo da bere, e avrete la possibilità di conoscere meglio i nostri artisti.»

Quel breve discorso si chiuse con un’altra esplosione di applausi e Luigi fu subito circondato da persone che gli davano pacche sulle spalle e gli stringevano la mano. Rosanna rimase da sola, incerta sul da farsi. Una cameriera le offrì un bicchiere di spumante. Bevve un sorso e tossicchiò quando le bollicine le solleticarono la gola.

«Piccola! Oh, Rosanna, sei stata meravigliosa!» esclamò Luca. «Un giorno diventerai una stella, l’ho sempre saputo.»

«Dov’è papà? Gli è piaciuto? Si è arrabbiato perché non gli ho detto delle lezioni di canto?» chiese Rosanna in preda all’ansia.

«Quando il signor Vincenzi ha annunciato che prendevi lezioni da lui da cinque anni, ha lanciato fulmini dagli occhi. Ma ora che ti ha sentito cantare, be’…» Luca ridacchiò. «Si vanta con tutti che sei sua figlia.»

Rosanna guardò in terrazza e vide che il padre stava parlando con alcune persone. Si rese conto che sorrideva, per la prima volta da quando era rimasto vedovo.

«Rosanna, vorrei presentarti una persona» disse Luigi comparendole a fianco accompagnato da un uomo elegante di mezza età. «Lui è Paolo de Vito, direttore artistico della Scala di Milano.»

«Signorina Menici, è un piacere conoscerla. Luigi mi ha parlato tanto di lei. E dopo averla sentita cantare, devo dire che non esagerava. La sua esibizione di stasera è stata mozzafiato. Come sempre Luigi ha fatto un magnifico lavoro. Ha fiuto per i talenti.»

Luigi si strinse nelle spalle con modestia. «Lavoro con gli strumenti di cui dispongo.»

«Credo che anche tu, amico mio, abbia tracce di genialità dentro di te. Non è d’accordo, signorina Menici?» chiese Paolo sorridendo.

«Luigi è stato fantastico» rispose timidamente Rosanna.

«Mi ha detto che anche suo padre è qui stasera?» proseguì Paolo.

«Sì.»

«Be’, se vuole scusarmi, gradirei parlarci. Ti va di fare le presentazioni, Luigi?»

Luca e Rosanna, timorosi, videro Luigi presentare Paolo de Vito a Marco. I tre uomini si sedettero vicini e Luigi fece cenno alla cameriera di portare dell’altro spumante.

Rosanna si girò dalla parte opposta. «Non riesco a guardare» disse. «Di cosa credi che stiano parlando?»

«Lo sai benissimo. Dopo l’esibizione di stasera, devi smetterla con la falsa modestia» disse Luca, rivolgendo l’attenzione verso una signora carica di gioielli che, insieme al marito, si erano avvicinati per congratularsi con Rosanna.

Alla fine Luigi si alzò e fece cenno ai due fratelli di raggiungerli.

«Rosanna, bravissima!» Marco si alzò e baciò sua figlia sulle guance. «Perché non mi hai detto che prendevi lezioni da così tanto tempo? Se l’avessi saputo, ti avrei aiutato. Sei proprio una birichina, eh?» Marco sorrise. «Be’, ormai quel che è fatto è fatto. Il signor de Vito mi diceva che secondo lui un giorno diventerai famosa. Vuole che tu frequenti una scuola di musica a Milano. È sicuro che ti offriranno una borsa di studio.»

«In quanto direttore della scuola e della Scala, posso permettermi di prendere quelle che si definiscono “decisioni esecutive”» disse Paolo.

«E tu che ne pensi, papà?» chiese Luca nervoso.

«Be’, è bello avere un talento simile in famiglia, ma non posso permettere che mia figlia se ne vada da sola in una città grande come Milano. Chissà cosa ne sarebbe di lei.» disse Marco con un sospiro.

Rosanna si sentì improvvisamente svuotata di tutta l’adrenalina di quella sera. Si era illusa, ovviamente. Alla fine aveva fatto tutto per nulla. Suo padre avrebbe detto di no.

«Perciò,» proseguì Marco «il signor Vincenzi mi ha consigliato di farti accompagnare da qualcuno. E quindi ho pensato: chi? Di chi posso fidarmi perché si prenda cura di mia figlia e la tenga al sicuro? Poi, l’illuminazione: Luca, mio figlio, colui che ha pagato le lezioni di Rosanna per tutti questi anni.»

«Vuoi… vuoi dire che mi lascerai andare a Milano se Luca viene con me?» Rosanna guardò suo padre sbigottita.

Marco annuì. «Sì. Mi sembra la soluzione perfetta.»

«Ma… e tu, papà? Non possiamo lasciarti solo.» Luca guardava il padre come se avesse perso il senno.

«Non sarò solo, Luca. Carlotta ed Ella sono a casa, adesso. E mia figlia insiste nel dire che non tornerà mai più da suo marito. Perciò potrà occuparsi del suo vecchio padre e dare una mano al bar. Troverò qualcuno che ti sostituisca, Luca. Eri comunque un pessimo cuoco» scherzò Marco. «Questi due signori hanno detto,» aggiunse facendo un cenno verso Luigi e Paolo «che dobbiamo fare tutto il possibile per far conoscere al mondo il tuo prezioso dono, Rosanna. Perciò, la decisione è presa. Sei contenta?»

«Oh, papà, io… Certo che sono contenta! Grazie, grazie!» Rosanna lo abbracciò forte. Non riusciva a credere che quel futuro tanto agognato fosse adesso a portata di mano.

«E tu, Luca? La prospettiva di accompagnare tua sorella a Milano ti aggrada?» chiese Luigi.

«Non mi viene in mente nulla che mi farebbe più piacere» rispose lui. Aveva gli occhi che brillavano.

«Bene, bene. Allora è deciso» disse Paolo. «Perdonatemi, ma adesso devo proprio andare. Ho un appuntamento a cena con il direttore del teatro San Carlo.» Si alzò e si voltò verso Rosanna. «Parlerò di te ai miei colleghi, al mio ritorno a Milano. Se tutto va bene, nei prossimi giorni riceverai una lettera in cui ti verrà confermata ufficialmente l’assegnazione della borsa di studio. I corsi iniziano a settembre. Non vedo l’ora di darti il benvenuto a scuola e, dopo, chissà, alla Scala. Buonanotte, Rosanna.» Le prese la mano e gliela baciò.

«Non potrò mai ringraziarla abbastanza, signor de Vito» rispose lei con la voce rotta dall’emozione.

Paolo le sorrise, poi si avviò verso la porta d’ingresso insieme a Luigi che disse: «L’hai gestita alla grande, Paolo. Te ne sarò sempre grato».

«Ho avuto a che fare molte volte con genitori difficili» rispose de Vito con un sorrisetto. «Sai, Marco mi ha perfino detto che Rosanna ha ereditato la sua voce da lui! Sono io che devo ringraziarti, Luigi, per avermi fatto conoscere quella ragazza. Farò del mio meglio per coltivare il suo talento.»

«Lo so, Paolo. E mandami un biglietto per il suo debutto alla Scala.»

«Ma certo. Ciao, Luigi.»

Appena chiusa la porta, Vincenzi fu immediatamente bloccato dalla madre di uno dei suoi allievi. Dopo un po’, riuscì a tornare in terrazza e andò a cercare Luca.

«Ho una cosa da darti, giovanotto.» Gli mise in mano una grossa busta marrone. «Questi sono per te e Rosanna, per aiutarvi ad affrontare le prime spese a Milano. Sei stato un fratello eccezionale, e credo che per la tua gentilezza, anche tu ti sia conquistato la libertà. Ho ragione?» Luca rimase a bocca aperta. Luigi gli diede una pacca sulla spalla e andò a intrattenere gli altri ospiti.

Quando la famiglia Menici scese dal taxi che Luigi aveva insistito per pagare, Luca salì subito in camera sua e chiuse la porta. Aprì la busta e la svuotò sul letto. Era piena di banconote, e c’era anche una lettera, che aprì e lesse:

Ho conservato i tuoi soldi sin dal primo giorno in cui Rosanna me li ha portati. Avevo deciso di darle lezioni gratuitamente, ma non volevo ferire il tuo orgoglio. Ho pensato che avrebbero potuto esservi utili in futuro. Sono certo che li userai al meglio.

Con affetto,

Luigi Vincenzi.

Luca si sedette sul letto con il cuore che minacciava di scoppiargli di gratitudine dinanzi a una tale dimostrazione di generosità.

 

7

 

Carlotta era seduta immobile su una sedia in soggiorno, mentre suo padre le diceva che Rosanna aveva vinto una borsa di studio per una scuola a Milano e che Luca l’avrebbe accompagnata.

«Tutto si è risolto alla perfezione» disse Marco con un sorriso. «Antonia non c’è più, ma tu, la mia figlia preferita, sei tornata per prendere il suo posto. E siccome sei decisa a non voler tornare da Giulio, potrai vivere qui con Ella e aiutarmi nel bar, come tua madre avrebbe voluto.»

Marco attese una reazione da parte della figlia. Carlotta però si limitava a fissare un punto in lontananza, come se non avesse sentito una parola.

«È una soluzione valida, no? Per tutti quanti» la incoraggiò Marco.

Alla fine Carlotta annuì. Era diventata molto magra e i suoi occhi marroni sembravano enormi nel viso incavato. «Sì, papà. Resterò qui a prendermi cura di te. Come hai detto tu, è il mio dovere. Scusami, ora ho bisogno di fare due passi.»

Marco guardò sconsolato Carlotta che usciva dalla stanza. Sperava che presto la sua bambina sarebbe tornata a essere quella di un tempo. Avrebbero riso insieme e lui sarebbe stato per Ella il padre che aveva perso da poco. Si versò un brandy e decise che, nonostante le tragiche circostanze, le cose si erano risolte meglio di quanto avrebbe potuto sperare.

Quando sentì entrare Carlotta, Rosanna stava cercando una camicetta pulita nei cassetti.

«Congratulazioni.»

Si girò a guardare la sorella con apprensione. Sapeva che il padre le aveva raccontato del suo imminente trasferimento a Milano ma non aveva idea di come avrebbe reagito.

«Grazie.»

«Perché non ce l’hai mai detto, Rosanna?» chiese Carlotta.

«Perché… credevo che non avreste approvato.»

Carlotta si sedette sul letto e fece cenno alla sorella di accomodarsi accanto a lei. Rosanna si avvicinò nervosa.

«Credi che io sia gelosa, vero? Perché tu e Luca partirete presto per Milano, vi rifarete una vita, mentre io dovrò restare qui e prendere il posto della mamma.»

«Carlotta, Luca e io torneremo per tutte le feste e ti aiuteremo, promesso» la rassicurò Rosanna.

«Sei gentile, ma credo che quando sarete finalmente lontani da qui, vi dimenticherete della vostra vecchia vita.»

«No, Carlotta! Non potrei mai dimenticarmi di te e di papà e di tutta la gente di Piedigrotta» rispose lei, offesa.

«Non volevo dire questo» proseguì Carlotta, con un tono conciliante, prendendo la mano della sorella. «Non nego che all’inizio, quando papà me l’ha detto, abbia provato un po’ di invidia, ma sono contenta per te, davvero. Ti è stata data una possibilità e spero che ti rivelerai più saggia della tua sorellona e che non combini disastri.»

«Carlotta, ti prego, non dire così. Sei ancora giovane, e potresti tornare con Giulio.»

«No, Rosanna, questo non succederà» disse con fermezza. «E non mi potrò mai più risposare, dato che Giulio non mi concederà mai il divorzio. Una cosa del genere sarebbe un vero scandalo, qui. Quello che sto cercando di dirti è che basta un solo attimo di stupidità per rovinarti il resto della vita. E non voglio che tu soffra come ho sofferto io.»

«Non succederà, ne sono sicura» rispose Rosanna, ancora ignara di quale errore avesse commesso sua sorella. «Starò attenta, te lo prometto.»

«Sei una ragazza di buon senso, Rosanna, ma quando si tratta di uomini…» Carlotta sorrise tristemente e scosse la testa «tutte le donne possono diventare stupide.»

«Non mi interessano gli uomini, voglio solo cantare. Per favore, raccontami, cos’è successo tra te e Giulio?»

«Non posso dirtelo, adesso, ma forse un giorno lo farò. So solo di aver pagato il prezzo della mia stupidità, e che continuerò a pagarlo per tutta la vita» rispose.

«E ora, come se non bastasse, sei costretta a rimanere qui e a occuparti di papà!» esclamò Rosanna, sopraffatta dal senso di colpa. «Se non vado a Milano, tu…»

Carlotta le mise un dito sulle labbra. «Non pensarci nemmeno. Per adesso Ella e io abbiamo bisogno di papà quanto lui ha bisogno di noi. Questa situazione mi sta bene, davvero.»

«Sul serio non ti dispiace che andiamo a Milano e ti lasciamo qui?»

«No. Sono molto felice per voi. Solo promettimi che ti prenderai cura di Luca.»

«Ma certo.»

«È una fortuna avere un fratello come lui. Ed è bene che venga con te, gli hai regalato la libertà ed è una cosa magnifica. Se lo merita.» Carlotta si alzò, diede un bacio sulla testa alla sorella e uscì dalla stanza.

Rosanna si tolse la maglietta e indossò la camicia bianca che indossava per cantare nel coro. Era confusa dalla reazione di Carlotta. Si era aspettata lacrime, rimproveri e gelosia da sua sorella, sempre fiera e irruenta, non una rassegnazione del genere; le sembrava strano quell’atteggiamento. Si sentiva tremendamente in colpa al pensiero che, conquistandosi la tanto agognata libertà, lei e Luca avevano condannato la sorella a una vita infelice.

Roberto Rossini attese di essere completamente sveglio prima di aprire gli occhi nella luce accecante dell’agosto milanese.

Si girò e vide il bel viso di Tamara, che ancora dormiva beata. Tamara era una donna affettuosa; insieme avevano passato tre settimane piacevoli. Ora, però, doveva fare un passo indietro, perché stava diventando troppo possessiva e aveva iniziato a parlare del futuro. Quando le donne lo facevano, Roberto capiva che era giunto il momento di voltare pagina.

Si mise una mano dietro la nuca e rimase sdraiato a guardare il cielo azzurro oltre la finestra, pensando alla giornata che lo aspettava. Aveva una lezione di canto quel pomeriggio, poi la sera lo attendeva un concerto di beneficenza alla Scala – non ricordava il nome dell’associazione benefica, ma chiunque contasse qualcosa a Milano sarebbe stato presente.

Sospirò. Cantava come professionista da cinque anni, ormai, e anche se era solista alla Scala, interpretava sempre e solo ruoli minori. Alcune compagnie europee gli avevano offerto parti più importanti nelle loro stagioni operistiche, ma lui voleva più di ogni altra cosa avere successo in quel teatro. Caruso, il suo eroe, napoletano come lui, si era fatto un nome proprio lì. E sempre nella magnifica cornice milanese la Callas e di Stefano avevano incantato più volte il pubblico.

Roberto era sempre più impaziente di raggiungere quella gloria che sapeva di meritare. Aveva trentaquattro anni, di certo non era vecchio per l’opera, ma aveva pochi anni a disposizione prima che i tratti del suo viso e il suo fisico entrassero nella tanto temuta mezza età, e che passasse il momento più propizio per ottenere il grande successo.

Ma come fare a raggiungere in tempo quell’obbiettivo? Roberto sapeva di avere le qualità che, con favorevoli occasioni, gli avrebbero permesso di distinguersi dai suoi colleghi. La sua voce era potente, particolare e diventava sempre più intensa con la sua età matura. Gli dicevano spesso che aveva grande presenza sul palco e che sapeva infondere grande emotività ai suoi personaggi. Perché, allora, non gli avevano ancora concesso l’opportunità di brillare alla Scala con un ruolo da protagonista?

Quando si era unito alla compagnia, cinque anni prima, aveva dato per scontato che sarebbe stata solo una questione di tempo essere promosso e interpretare le parti da grande tenore cui aspirava. Invece, quei ruoli erano andati ad altri. Cantanti che Roberto a malapena considerava, erano diventati famosi quanto e più di lui.

Diede le spalle al sole, sconsolato. Doveva accettare che, nonostante il talento, c’erano difficoltà nei rapporti con i suoi datori di lavoro. Quando frequentava la scuola di musica, si era fatto una cattiva reputazione mandando, una dopo l’altra, tante studentesse distrutte dal dolore a piangere dai professori. La sua fama di Casanova non l’aveva fatto benvolere e a Paolo de Vito, non solo direttore della scuola ma anche direttore artistico della Scala, era giunta voce delle sue “prodezze”.

L’anno precedente aveva avuto una storia con una donna, soprano ospite della compagnia, che era corsa da de Vito dopo essere stata scaricata senza tante cerimonie. Si era beccato una bella lavata di capo in cui Paolo aveva sottolineato che non giovava alla reputazione della Scala che una giovane cantante fuggisse da Milano dopo aver giurato di non rimetterci mai più piede.

Dopo quella débâcle, Roberto si era scusato col direttore, promettendo che non sarebbe più accaduta una cosa simile. Si era imposto una ferrea disciplina per il resto della stagione, e l’ambizione aveva avuto la meglio sulle sue tendenze edonistiche.

Si era chiesto spesso se quello fra lui e Paolo non fosse altro che uno scontro fra personalità opposte: de Vito era un omosessuale dichiarato e Roberto era sicuro che il suo bell’aspetto, il successo che aveva con le donne, non fossero considerati dal maestro come qualità, per quanto cercasse di comportarsi bene. E si era comportato bene… almeno finché non era comparsa Tamara, appena arrivata dalla Russia. A lei non era proprio riuscito a resistere.

Roberto scese dal letto e andò in bagno per farsi una doccia. La stagione alla Scala finiva a settembre. Dopo, lo attendevano a Parigi, dove si sarebbe esibito per un paio di mesi, poi sarebbe tornato a Milano a novembre per l’ultimo anno di contratto. Se allora non avesse ottenuto i ruoli che voleva, aveva giurato di arrendersi e di trasferirsi in pianta stabile all’estero. Per il momento, però, avrebbe dovuto resistere.

* * *

Quella sera Roberto cantò davanti a un pubblico che possedeva diversi miliardi di lire.

Più tardi ci fu un ricevimento nel foyer della Scala, cui era invitata tutta la compagnia operistica. Mentre sorseggiava champagne, Roberto decise che se ne sarebbe andato il prima possibile. Quel genere di eventi lo annoiava a morte; troppe mogli truccate pesantemente, cariche dei frutti della ricchezza dei loro anziani mariti.

Guardò con risentimento il giovane tenore spagnolo, che a suo parere aveva interpretato Otello in maniera mediocre, attorniato da personalità come il Primo Ministro italiano e altre importanti cariche.

«Buonasera. È stata una splendida esibizione, la sua.» Roberto sentì una voce femminile alle sue spalle e si voltò senza entusiasmo, pronto a fingere per cinque, noiosissimi minuti.

«Donatella Bianchi. Lieta di conoscerla» proseguì la donna.

Roberto le strinse la mano e la scrutò attentamente: aveva una massa di ricci color ebano e occhi verdi che brillavano più degli smeraldi che portava al collo per evidenziare il décolleté sensuale. Sebbene di certo avesse superato i quaranta, era ancora una signora molto attraente. Le unghie lunghe e perfettamente curate indugiarono sulla mano di Roberto qualche istante più del necessario.

«Il piacere è tutto mio» rispose Roberto con un sorriso autentico.

«L’ho vista in concerto diverse volte. Mio marito è un entusiasta mecenate della vostra compagnia. E credo che lei sia un… artista di talento.»

«È molto gentile.» La conversazione si svolse in modo apparentemente formale, ma era innegabile che l’aria fra loro fosse elettrica.

Donatella si frugò nella borsetta di Gucci e tirò fuori un biglietto da visita. «Mi chiami domattina, Roberto. Dobbiamo parlare del suo futuro. Arrivederci.»

Roberto si infilò il biglietto in tasca e osservò la donna allontanarsi tra la folla a braccetto con un omino basso, calvo e grassoccio.

Pochi minuti dopo se ne andò anche lui. Mentre attraversava piazza della Scala si chiese se fosse davvero il caso di chiamare la signora Bianchi. Non era nel suo stile avere un’amante più anziana, ma Donatella non era una donna come le altre.

E quando si ritrovò a svestirla col pensiero, quella sera, non ebbe più dubbi: l’indomani avrebbe alzato la cornetta e l’avrebbe chiamata.

 

8

 

«Posso andare, così?»

«Rosanna, sei sempre bellissima.»

«Oh, Luca, lo dici tanto per dire.»

«Piccola, è solo il tuo primo giorno alla scuola di musica, non vai a un concorso di bellezza. Forza, o faremo tardi.» Luca le prese la mano.

«Sono così nervosa…»

«Lo so, ma andrà tutto bene, ne sono sicuro. Dài, dobbiamo andare.»

Luca chiuse a chiave la porta del loro piccolo appartamento al quinto piano di un palazzo e, insieme, cominciarono a scendere le scale.

«Mi piace la nostra nuova casa, ma spero che riparino presto l’ascensore. Ieri sera ho contato settantacinque scalini» ridacchiò Rosanna.

«Ci manterremo in forma, e poi vale la pena salire così in alto. Da lassù si gode di una vista magnifica su Milano.» Luca sapeva che erano stati fortunati a trovare una casa in quella zona e sospettava che sotto ci fosse lo zampino di Paolo de Vito.

Raggiunsero l’ingresso del palazzo e Luca aprì la porta. Uscirono sull’ampio marciapiede di Corso di Porta Romana, evitando per un soffio di scontrarsi con i pedoni che sfrecciavano frettolosi in entrambe le direzioni. Luca consultò alcuni fogli su cui si era appuntato le indicazioni fornitegli da de Vito.

«Potremmo prendere il tram, ma a quest’ora sarà troppo affollato.» Proprio in quel momento ne passò uno e i passeggeri erano talmente pigiati che alcuni dovevano tenere la testa fuori dai finestrini aperti. Due ragazzi gli corsero dietro e saltarono sulla pedana posteriore per scroccare un passaggio. «Il signor Paolo ha detto che da qui alla scuola ci sono solo quindici minuti di cammino. Vediamo se ha ragione» disse Luca, quasi gridando per farsi sentire in quel baccano.

«Continuo a darmi dei pizzichi per essere sicura che tutto questo sia reale» disse Rosanna, che si guardava intorno affascinata mentre percorrevano le strade rumorose e superavano bar e negozi appena aperti. «Cosa farai mentre io sarò a scuola?»

«Il turista, credo» disse Luca. «Ci sono tantissime chiese antiche in città, inizierò da quelle. Il Duomo è a pochi isolati da qui, e poi devo anche trovare una parrocchia vicino a casa nostra. Ho promesso a papà che ti avrei accompagnato a messa ogni domenica.»

Come aveva detto Paolo, dopo un quarto d’ora circa si ritrovarono in via Santa Marta. «Guarda, ecco la scuola.» Rosanna si fermò un attimo all’angolo della strada e si voltò verso il fratello. «Non c’è bisogno che mi accompagni ogni mattina. Voglio che anche tu viva la tua vita qui a Milano, Luca.»

«Lo so, e lo farò. Ma la mia priorità ora sei tu.» Attraversarono la strada e arrivarono davanti all’ingresso della scuola. Ragazzi e ragazze passavano loro accanto e si infilavano nell’edificio, percorrendo i corridoi dell’accademia musicale più illustre d’Italia. «Be’, ci siamo» disse Luca con un sorriso. «Adesso ti saluto, ci vediamo qui alle cinque.»

Rosanna gli strinse forte la mano. «Ho paura.»

«Andrà tutto bene. Ricordati che era il nostro sogno.» Luca la baciò sulle guance. «Buona fortuna, piccola.»

«Grazie.»

Tre ore più tardi Luca era seduto in un piccolo bar e scriveva una cartolina al padre mangiando crostini e bevendo una birra. Aveva trascorso un’ora nel Duomo, poi aveva visitato la Galleria Vittorio Emanuele, rimanendo incantato dinanzi ai negozi sfarzosi e stupito per il prezzo delle merci esposte. Era uscito dalla Galleria su piazza della Scala ed era rimasto per un po’ a osservare la facciata del celebre teatro dell’opera, dove un giorno sperava di sentir cantare la sorella.

Quella sera voleva organizzare una bella cenetta per festeggiare con Rosanna. Guardò l’orologio e si rese conto che aveva ancora parecchie cose da fare prima di andare a prenderla a scuola. Finì il suo pasto, pagò il conto e si incamminò verso casa. Lungo la via vide un piccolo supermercato: in vetrina c’era­no delle salsicce appese e delle cassette di verdura. Entrò e acquistò gli ingredienti di cui aveva bisogno, cui aggiunse una bottiglia di Chianti. Uscì in strada e, incerto sulla direzione da prendere, svoltò a destra, ritrovandosi in via Agnello. Si rese conto di aver sbagliato strada e stava per tornare indietro quando scorse una chiesa, il cui campanile era visibile oltre gli edifici lungo la via principale.

Luca decise di dare un’occhiata più da vicino. Si avviò verso il campanile imboccando uno stretto vicolo, al termine del quale si ritrovò in una piazzetta. Giunse davanti alla chiesa e indugiò un attimo davanti al portone di legno ad arco. Sulla destra vide una placca di pietra dove lesse a fatica l’iscrizione consumata dal tempo: CHIESA DELLA BEATA VERGINE MARIA.

Consultò di nuovo l’orologio. Ancora due ore prima di andare a prendere Rosanna. Di tempo ne aveva a sufficienza. Sopra la porta d’ingresso c’era un affresco sbiadito che raffigurava la Vergine Maria con il bambino Gesù in braccio. Rimase a osservarlo per alcuni secondi, poi entrò. La chiesa era deserta, e i suoi occhi si abituarono alla penombra dopo qualche istante.

Luca alzò lo sguardo verso il soffitto a volte, sfregiato dalle crepe nell’intonaco. Alla sua sinistra il cherubino che sosteneva una colonna aveva il naso sbreccato e un’ala rotta, mentre gli inginocchiatoi erano talmente consunti che la laccatura era scomparsa. Eppure… nonostante fosse trascurata e misera, quella chiesa colpì Luca per la sua bellezza e per il calore.

L’eco dei passi risuonava tra le pareti man mano che andava avanti. Era vuota, ma Luca sentiva di non essere solo. All’improvviso ebbe un lieve capogiro; si sedette subito su una panca e appoggiò a terra la busta della spesa.

Guardò la statua della Madonna al centro dell’altare. La vernice blu dell’abito era scrostata e le labbra della Vergine avevano perso il rosso originario. Chiuse gli occhi e cominciò a pregare.

Quando li riaprì, vide un raggio di sole penetrare dalle finestre di vetro colorato e colpire in pieno la statua. La luce si fece più forte. Poi, in quel bagliore, Luca scorse una figura di donna.

Aveva le braccia spalancate. E gli parlò.

Luca sbatté le palpebre e la figura svanì, lasciandosi dietro un luccichio.

Rimase seduto a lungo e, quando alla fine si mosse, si sentiva leggero, come se per lui le leggi della gravità non valessero più. Si alzò lentamente e percorse la navata fino all’altare, dove si inginocchiò piangendo di gioia. Dove c’era stata solo incertezza, ora c’era una strada. Dove c’era soltanto vuoto, adesso c’era amore.

Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma d’un tratto sentì una mano sulla spalla. Sobbalzò e si voltò, trovandosi davanti un paio di occhi castani. Un vecchio prete gli sorrideva e Luca intuì che aveva visto tutto. E aveva capito.

«Mi chiamo don Edoardo. Sono il parroco di questa chiesa. Se desideri parlare con me, mi trovi ogni mattina tra le nove e mezzo e le dodici.»

«Grazie, don Edoardo. Vorrei… vorrei confessarmi.»

Il sacerdote annuì e Luca si alzò in piedi, ancora con una vaga sensazione di leggerezza. Seguì don Edoardo fino al confessionale.

Quando uscì, quindici minuti più tardi, sapeva che la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.

Rosanna, tutta eccitata, si lanciò tra le braccia del fratello.

«Com’è andata?» le chiese Luca.

«Benissimo! Avevo una paura terribile, ma è andata alla grande. Ci sono tante voci magnifiche, Luca. Come posso competere? Alcune ragazze sono già molto mature, anche se mie coetanee. E vedessi gli abiti che indossano! Di sicuro saranno molto ricche… e il mio insegnante di canto, il professor Poli, è così severo e… Luca» chiese a un certo punto. «Stai bene?»

«Sì. Non mi sono mai sentito meglio. Perché?»

«Oh, è solo che… in un certo senso sembri diverso. Un po’ pallido, forse.»

«Credimi, piccola, mi sento…» Luca cercò la parola adatta. «Raggiante!» E si mise a ridere, guidandola lungo la via di casa. Raggiunsero l’appartamento col fiato corto dopo le scale e Luca aprì la porta, ripromettendosi di dare una rinfrescata alla vernice ormai vecchia.

«Vai a farti una doccia prima che finisca l’acqua calda, Rosanna» suggerì. «Per la cena ho in mente qualcosa di speciale.»

Rosanna si guardò intorno, compiaciuta. Non c’erano più scatoloni e valigie sparpagliati come quando era uscita quella mattina. Sul divano in un angolo era stato steso un telo colorato, e adesso aveva un aspetto comodo e invitante. Il tavolo vicino alla finestra era coperto da una tovaglia rosa, con sopra un vaso a righe bianche e blu pieno di fiori freschi, oltre a due candele.

«Hai fatto miracoli. Grazie!» esclamò lei. Nonostante le pareti macchiate di muffa e le finestre sporche che Luca non aveva ancora avuto modo di pulire, la casa dava l’impressione di essere accogliente e allegra.

«È una serata speciale per entrambi» rispose Luca dalla piccola cucina, da cui proveniva già un invitante odore di erbe aromatiche.

«Sì, è vero» fece Rosanna. «Non ci metterò molto, poi vengo ad aiutarti.» Recuperò il beauty case e l’accappatoio in camera da letto e, dopo aver messo la catenella alla porta di casa, si incamminò verso il bagno in fondo al corridoio.

Più tardi, dopo una cena a base di risotto ai funghi e insalata, che Rosanna dichiarò eccellenti, si rilassarono con un bicchiere di vino guardando il sole tramontare sui tetti di Milano.

Rosanna fece uno sbadiglio, poi sorrise al fratello. «Sono stanca morta.»

«Allora vai a letto. Troppe emozioni, eh?»

«Sì. Non credevo che fosse possibile sentirsi di nuovo così felice, dopo la morte della mamma.»

Luca scrutò la sorella, poi scosse la testa. «Neppure io, Rosanna. Neppure io.»

Il cancello di ferro battuto si aprì silenzioso e Roberto, a bordo della sua Fiat, guidò lungo il vialetto a tre corsie. Giunto davanti all’imponente fontana parcheggiò.

Anche se passava spesso da Como e aveva già fatto due volte un pic nic al lago, non era mai riuscito a vedere nient’altro che i comignoli di quelle maestose residenze nascoste dietro le loro barriere di vegetazione.

Ora dinanzi a lui si ergeva un palazzo magnifico. La sua facciata aggraziata sembrava sorta spontaneamente dalla terra. Il sole rimbalzava sulle file di finestre linde, tutte dotate di balcone e ringhiera di delicato ferro battuto. Al centro, sopra la porta d’ingresso, c’era una finestra circolare di vetro colorato, incorniciata da un’elegante cupola.

Roberto scese dall’auto e chiuse la portiera. Si diresse verso il palazzo e salì lentamente la scalinata che portava al maestoso ingresso affiancato da due colonne di pietra di Angera. Non vide campanelli e dubitò che bussare fosse il modo migliore per avvertire gli abitanti del suo arrivo. Mentre si stava domandando se non ci fosse un’altra entrata, la porta si aprì.

«Caro, sono così felice che tu sia qui.»

Donatella indossava una sottile vestaglia bianca. Aveva i capelli bagnati ed era struccata. Era bellissima. «Ho appena fatto una doccia dopo una nuotata in piscina. Sei un po’ in anticipo.»

«Sì… scusa» balbettò Roberto, che faceva del suo meglio per non fissare i seni voluttuosi della donna, coperti a malapena dal tessuto sottile.

«Seguimi.»

Roberto entrò e seguì la sua ospite attraverso l’ingresso lastricato in marmo, poi su per una scalinata a chiocciola.

Donatella aprì una porta e fece entrare Roberto in un’ampia camera da letto dai soffitti altissimi.

«Ecco, mettiti comodo mentre mi vesto.» Donatella gli indicò un divano vicino alla finestra e scomparve in un’altra stanza.

Roberto si affacciò a guardare i giardini perfettamente curati che si estendevano a perdita d’occhio fino alle sponde del lago di Como. Dopo qualche minuto si sedette sul soffice divano; gli sfuggì un sospiro. Donatella Bianchi e suo marito erano sicuramente ricchi oltre ogni immaginazione.

«Dunque, caro, come stai?» Donatella ricomparve avvolta in un paio di jeans bianchi aderenti e un top nero che le accentuava le forme.

«M-molto bene, grazie.»

Si sedette accanto a lui con le lunghe gambe piegate sotto di sé. «Bene. Sono felice che tu sia venuto. Champagne?» Donatella prese una bottiglia da un secchiello pieno di ghiaccio sul tavolinetto. Riempì due calici senza neanche attendere una risposta.

«Grazie» disse Roberto.

«A te e al tuo futuro» brindò lei.

Per la prima volta nella vita, Roberto si ritrovò a corto di parole. Bevve un sorso di champagne e cercò di ricomporsi. «Hai una casa magnifica» riuscì a dire, poi si sentì un idiota e arrossì.

«Sono lieta che ti piaccia. Appartiene alla famiglia di mio marito da oltre centocinquant’anni. Eppure,» aggiunse sospirando «a volte ho come l’impressione di vivere in un museo. Paghiamo venti persone perché si occupino del palazzo e dei giardini.» Donatella distese una gamba e avvicinò il piede alla coscia di Roberto.

«Non avete figli?» chiese lui tentando di continuare la conversazione.

«No, non ho mai avuto l’istinto materno» disse facendo spallucce. «E poi, sembra che mio marito e io… non riusciamo a concepire.»

«Tuo marito, ehm… dov’è?» chiese Roberto, nervoso, mentre la donna, lentamente, si faceva strada con il piede verso il suo inguine.

Donatella sospirò e mise un broncio infantile. «È in America, e mi ha lasciata di nuovo tutta sola.»

«Va spesso all’estero?»

«Sempre. È un commerciante d’arte, trascorre quasi tutto il tempo tra Londra e New York. Io me ne sto qui da sola per settimane, a volte.» Abbassò lo sguardo e gli lanciò un’occhiata inequivocabile da sotto le lunghe ciglia.

«Non potresti andare con lui?»

«Certo, ma ho già viaggiato in lungo e in largo, ho visitato tantissimi paesi, e adesso preferisco starmene a casa. Mi annoio da sola in una città straniera mentre mio marito conclude i suoi affari. E mi sono perfino stufata di fare shopping. Allora, dimmi qualcosa di te, Roberto Rossini.»

«C’è poco da dire» rispose lui stringendosi nelle spalle.

«Non ci credo neanche per un secondo. Hai una fidanzata?» azzardò Donatella.

«No, non al momento.»

«Sei troppo modesto. Sono sicura che le donne impazziscono per uno come te.» Con movimento esperto, Donatella si alzò all’improvviso e gli si mise a cavalcioni. «Voglio dire, con la tua bellissima voce e tutte le altre… doti che hai.» Con la mano cominciò a giocare con i bottoni della camicia. «Hai avuto molte amanti, non è così?»

«Be’…» Colto di sorpresa, Roberto trovò difficile concentrarsi. «Alcune» balbettò, sempre più eccitato.

«Donne più grandi?» Donatella si avvicinò e lo baciò sul collo. La sua mano, nel frattempo, arrivò a destinazione.

«No… io…»

«Allora sarò la prima» sussurrò trionfante.

Ormai perdute le ultime speranze di autocontrollo, Roberto infilò le dita tra i capelli di Donatella e premette le labbra contro le sue.

* * *

Tre ore dopo scesero insieme al piano di sotto, diretti all’ingresso.

Donatella gli aprì la porta con un sorriso.

«Mi sono… divertita molto. Chiamami domani pomeriggio alle sette, ti va?»

«Sì.»

«Bene. La prossima volta parleremo davvero del tuo futuro. Ciao, Roberto.»

Mentre tornava alla macchina, con passo malfermo, Roberto scosse la testa sorridendo fra sé.

Roberto Rossini, esperto amatore e uomo di mondo, era appena stato sedotto.

 

9

 

Milano, gennaio 1973

Rosanna aprì la porta dell’appartamento. «Luca, Luca! Sono a casa!»

«Sono in cucina, piccola» rispose lui.

«Spero che non ti dia fastidio, ma ho invitato a cena una compagna di scuola.» Rosanna comparve in cucina, gli occhi che brillavano, le guance arrossate dopo la camminata nella frizzante aria invernale. «Le ho detto che cucini sempre per sei persone» scherzò.

«Certo che non mi dà fastidio» disse Luca con un sorriso.

«Grazie. Abi, lui è mio fratello, Luca Menici.»

«Ciao, Luca.» La ragazza gli sorrise timidamente. «Io sono Abigail Holmes, piacere di conoscerti. Ah, per favore, chiamami Abi.» Parlava un buon italiano, con un leggero accento inglese.

«Ehm… ciao, Abi.» Luca arrossì. Guardava Abi e sentiva il battito del cuore accelerare. Era bionda, molto carina, con grandi occhi azzurri, lineamenti delicati e la carnagione color pesca tipica delle inglesi.

«Possiamo aiutarti per la cena?» chiese Rosanna.

Luca distolse lo sguardo da Abi. «No, no, il sugo è già pronto e la pasta sta cuocendo. Andate a mettervi comode in soggiorno.»

Abi seguì Rosanna fuori dalla cucina. Si sedette sul divano e fischiò piano. «Tuo fratello è proprio bello, Rosanna. Ha degli occhi splendidi.»

«Davvero?»

«Eh sì, non ti sembra?» disse lei ridacchiando. «Ha la ragazza?»

«Oh, no. Non ne ha mai avuta una.»

«E perché?»

«Non saprei, Abi. Non mi è mai sembrato interessato alle donne.»

Luca arrivò in soggiorno con una grossa zuppiera colma di pasta.

«Signorine, prego, accomodatevi.»

«Grazie, signore» scherzò Abi. Le brillavano gli occhi mentre prendeva posto accanto a Rosanna.

Luca servì la cena mentre la sorella versava il vino, dopodiché iniziarono a mangiare.

«Sai, Rosanna, secondo me sei molto fortunata» disse Abi sospirando.

«Perché?»

«Be’, perché vivi in questo bell’appartamento, con un fratello che cucina da dio e, cosa più importante, sei libera di andare e venire quando ti pare.»

«Abi vive con la zia» spiegò Rosanna. «È una zia molto severa, vero?»

«Già. Mi tratta come se avessi dieci anni. È inglese e pensa che tutti gli uomini italiani tentino di sedurmi, sebbene anche suo marito sia italiano.» Abi alzò gli occhi al cielo, esasperata. «Immagino che si senta responsabile del mio benessere. Quando ho ottenuto la borsa per la scuola, i miei mi hanno permesso di accettarla solo a condizione che andassi a vivere con lei.»

«Ti piace Milano?» chiese Luca.

«Oh, la adoro» rispose Abi. «È colorata, vibrante, soprattutto rispetto alla grigia Inghilterra. Comunque, basta parlare di me. Allora, Luca, cosa combini mentre Rosanna è a scuola? Lavori?»

«No, io…»

«Luca passa tutto il suo tempo in una chiesa diroccata dietro l’angolo» intervenne Rosanna. «È una specie di seconda casa.»

«Capisco.» Abi inarcò un sopracciglio.

«Detta così, però, suona male» si difese Luca. «Quella della Beata Vergine Maria è una chiesa del quindicesimo secolo in condizioni terribili. Sto aiutando il parroco, don Edoardo, a raccogliere fondi per restaurarla e riportarla al suo antico splendore. Ma è una battaglia difficile» aggiunse facendo spallucce.

«Sei un… Cioè, credi in Dio e tutto il resto?» chiese Abi.

«Sì, certo. E la chiesa della Beata Vergine è un posto molto speciale. Don Edoardo mi ha detto che lì dentro avvengono miracoli, che è comparsa spesso la Madonna. Ho un po’ di tempo a disposizione; perciò, perché non dare una mano? Bisogna fare subito qualcosa, altrimenti i bassorilievi e gli antichi affreschi non potranno più essere restaurati.»

«Hai mai pensato di organizzare un concerto?» chiese d’un tratto Abi.

«Cosa intendi?»

«Be’, mia zia Sonia è a capo di un comitato che si chiama “Gli Amici dell’Opera di Milano”. Magari, se glielo chiedessi gentilmente, potrebbe convincere Paolo de Vito a concederle qualche cantante della Scala e qualche studente della sua scuola per un concerto di beneficenza in chiesa.»

«Abi, ma è un’idea magnifica!» Luca sorrideva radioso. «Non ti pare, Rosanna?»

«Certo. Ed è anche vicinissima alla Scala. Al massimo ti diranno di no, giusto?» rispose lei.

«Be’, potresti scrivere una lettera a mia zia – ti darò l’indirizzo – e lei potrebbe proporre la cosa al Comitato, durante la prossima riunione.»

«Ma certo. Grazie mille, Abi, davvero» rispose Luca con gratitudine.

«Bene. Allora è deciso.» Abi si rivolse a Rosanna. «E magari tu e io potremmo cantare il “Flower Duet” della Lakmé. L’abbiamo provato in classe» aggiunse a beneficio di Luca. «Certo, la mia voce non è nulla rispetto a quella di tua sorella, ma tant’è, di voci come la sua non ce ne sono molte.»

«Per favore, Abi, stai esagerando.» Rosanna arrossì a quel­l’elogio.

«Non è vero. Sai bene che Paolo va in estasi ogni volta che ti sente cantare. Viene ad assistere alle lezioni solo per ascoltarti. Scommetto che ti farà fare subito la solista, quando ti unirai alla compagnia, mentre noialtre dovremo faticare anche solo per entrare nel coro. Ricordati di me quando sarai una diva, okay?» scherzò Abi.

«Ma certo che mi ricorderò di te» rispose Rosanna ridendo.

«Eccola lì. Vedi, Luca?» disse facendogli l’occhiolino. «Sa benissimo che diventerà famosa.»

«Maledizione, ho finito le sigarette» disse lui. «Scusatemi, vado dal tabaccaio all’angolo a comprarle. Vi lascio ai vostri discorsi, ragazze, non ci metterò molto.» E si alzò.

Appena la porta fu chiusa, Abi si girò verso Rosanna. «Sai, credo proprio che potrei prendermi una bella cotta per tuo fratello. È così gentile e sensibile, oltre che bello da mozzare il fiato. Nella mia esperienza, gli uomini come lui dopo un po’ si sono sempre rivelati gay. Lui non è gay, vero? Prima mi hai detto che non ha mai avuto una ragazza.»

«No, Abi!» Rosanna era sconcertata dalla sfacciataggine dell’amica. Eppure quel pensiero le era passato per la testa diverse volte, ma non l’aveva mai espresso ad alta voce.

«Non fare quella faccia, Rosanna» disse Abi. «Te l’ho chiesto solo perché non sprecherei tempo se fosse gay.»

Arrossendo, Rosanna cambiò argomento e Abi capì di dover chiudere il discorso. Chiacchierarono un po’ di cosa avrebbero fatto a scuola il giorno successivo, finché Luca non tornò con le sigarette. Stavolta, però, Rosanna guardò con un interesse del tutto nuovo il fratello e l’amica che conversavano mentre prendevano il caffè, facendo caso al linguaggio dei loro corpi e gli sguardi che si scambiavano.

Alle dieci e mezza Abi, con riluttanza, si alzò. «Grazie mille per la cena. Ora devo andare, altrimenti zia Sonia comincerà a preoccuparsi. Quando posso venire a vedere la tua chiesa, Luca? Mi piacerebbe visitarla, visto che ne hai parlato a lungo.»

«Domenica mattina? Rosanna e io ci andiamo sempre per la messa delle nove.»

«Okay. Neppure mia zia avrà nulla da ridire se vado in chiesa! Ci vediamo qui alle otto e trenta, e andiamo insieme. Ciao, Luca.»

Lui si alzò e la baciò sulle guance. «Arrivederci, Abi. Grazie per la tua splendida idea. Ci vediamo domenica a messa.»

Rosanna accompagnò l’amica alla porta, dopodiché tornò a sedersi a tavola. «Ti è piaciuta Abi, eh?» chiese.

«Molto. Penso che sarà un’ottima amica per te. Ha un buon cuore.»

«Ed è molto carina, vero? Ucciderei per avere i capelli biondi come i suoi. Tutti i ragazzi della scuola sono innamorati di lei.» Rosanna tentava di lanciargli un’esca, memore della conversazione avuta poco prima con l’amica.

«Sì, ne sono certo. Bene, adesso sparecchio. Tu vai pure a letto.»

«No, non sono stanca. Ti aiuto a lavare i piatti.»

«Va bene» cedette Luca. Insieme tolsero i piatti dalla tavola e li portarono nel lavello. Rosanna prese anche i bicchieri in cui avevano bevuto il vino.

«Tu lavi, io asciugo» disse.

Lavorarono in silenzio. Alla fine, Rosanna chiese: «Luca, ti sei mai… innamorato?».

«No, non credo. Perché me lo chiedi?»

«Oh, non so. Abi pensa che tu sia molto bello.»

«Davvero?»

«Sì. E ha ragione. Sei bello, Luca. Sono sicura che alle ragazze piaci.»

«Rosanna, cosa stai cercando di dirmi?» disse Luca aggrottando le sopracciglia.

«Solo questo. Be’, so che papà ti ha chiesto di badare a me, ma ormai sono grandicella. Non ho paura di rimanere a casa da sola. Se vuoi uscire la sera, puoi farlo.»

«Se volessi, lo farei» disse Luca. «Ma sto bene qui con te, piccola.»

«Sei felice?» chiese Rosanna.

«Oh, sì. Molto.»

«È solo che non vorrei che trascurassi la tua vita per colpa mia.»

«Rosanna, questi cinque mesi passati a Milano sono stati i più felici della mia vita. E ho anche scoperto qualcosa che per me è molto importante.»

«Cosa?»

Luca rise dell’insistenza della sorella. «Hai sempre fatto troppe domande. Posso solo dirti che so cosa mi riserverà il futuro. Quando sarà il momento giusto, lo dirò anche a te. Lascia che abbia qualche segreto anche io.»

«Ma certo. Io voglio solo che tu sia felice.»

«Giuro che lo sono. Ora vai a letto, dài, è tardi.»

Rosanna gettò le braccia al collo del fratello. «Ricordati sempre quanto bene ti voglio.»

«Anch’io a te» rispose lui dandole un bacio sulla fronte. «Forza, ora fila a dormire.»

Appena Rosanna ebbe chiuso la porta della sua stanza, anche Luca andò in camera e accese due piccole candele davanti alla statuina della Madonna, posta su un altare improvvisato. Si inginocchiò e iniziò a pregare. Per la prima volta da quando aveva preso la decisione, sentì la sua determinazione vacillare. Implorò Dio di guidarlo, di spiegargli perché una ragazzina inglese avesse risvegliato in lui una sensazione tanto forte.

Forse, pensò quando si rialzò dieci minuti dopo, il Signore lo stava mettendo alla prova. E lui non avrebbe fallito.

 

10

 

«Dunque, signore, direi di cominciare a parlare di affari.» Paolo de Vito sorrise con grazia alle otto donne impeccabilmente vestite. Stavano sorseggiando un aperitivo da Savini e Paolo sospettava che il conto di quel pranzo avrebbe potuto coprire il costo della retta di tutti i suoi allievi per un intero semestre. Non gli piacevano questi incontri mensili con Gli Amici dell’Opera di Milano, ma le signore rappresentavano alcuni tra gli uomini più ricchi della città, senza la cui benevolenza sia La Scala sia la scuola di musica avrebbero fatto molta fatica ad andare avanti.

«Paolo, ho ricevuto una lettera carinissima, in cui un giovane mi chiedeva di poter organizzare un concerto per raccogliere i fondi necessari a ristrutturare la chiesa della Beata Vergine Maria» disse Sonia Moretti.

«Davvero? Credevo che fossimo qui per raccogliere fondi per noi, non per una chiesa.»

«Ovviamente, ma stavolta è diverso. Pare che nella chiesa ci sia un raro affresco che potrebbe subire danni irreparabili se non venisse restaurato al più presto. E quella chiesa è molto vicina alla scuola e al teatro, perciò tecnicamente potrebbe diventare il luogo di culto dell’intera compagnia. E darebbe agli studenti l’opportunità di esibirsi davanti a un pubblico, e per una buona causa. La lettera me l’ha inviata Luca Menici, credo che la sorella studi nella tua scuola.»

«Rosanna? È una delle nostre allieve più dotate, insieme a tua nipote Abigail, ovviamente» aggiunse subito Paolo.

«Pensavo che potremmo organizzare la cosa per Pasqua… un bel concerto a lume di candela. Chiederemo a un paio di membri dell’Opera di esibirsi insieme ad alcuni allievi della scuola» proseguì Sonia. «Sono passata a dare un’occhiata alla chiesa e sarebbe davvero un’ambientazione perfetta. Noi signore potremmo stilare una considerevole lista di invitati; il solo costo del biglietto coprirà le spese per il rinfresco.»

«Quante persone può contenere?» chiese Paolo.

«Il signor Menici dice circa duecento. Signore, che ne pensate di quest’idea?»

Ci fu un annuire generale di teste fresche di messa in piega.

Donatella Bianchi si fece avanti. «Pensavo che Anna Dupré e Roberto Rossini potrebbero essere ideali per rappresentare la compagnia. So che il signor Rossini è molto devoto, e sono certo che sarebbe lieto di aiutarci.»

Paolo, sorpreso, inarcò un sopracciglio. «D’accordo. Io penserò a un programma adatto e deciderò chi tra i miei allievi si esibirà. Concordo sul fatto che cantare insieme ai loro colleghi professionisti per gli studenti sia un’ottima opportunità per imparare.»

«Bene, ora direi di ordinare. Ho un appuntamento alle tre, alle due e mezza devo andare.» Donatella alzò un braccio e subito comparve un cameriere. «Per me carpaccio di tonno, grazie.»

«Allora, canterai al nostro concertino?» Le dita di Donatella percorrevano la schiena di Roberto. Era tornato da Parigi due giorni prima ed erano rimasti tutto il tempo chiusi in camera da letto.

«Un concerto in una chiesa cadente? Non credo proprio che possa dare slancio alla mia carriera.» Roberto si voltò per guardare Donatella.

«Non potresti farlo per me?» Fece scivolare la mano sotto le lenzuola sfiorandogli la coscia.

«Io…»

«Ti prego» implorò lei, spostando la mano più su.

«Mi arrendo.» Roberto gemette e la abbracciò, coprendola di baci.

Dopo, quando lei si alzò dal letto per farsi una doccia, Roberto rimase sdraiato a occhi chiusi, soddisfatto, pensando che non aveva mai conosciuto una donna come quella.

Il loro rapporto si basava solo ed esclusivamente sul sesso, il migliore che Roberto avesse mai fatto. Donatella gli chiedeva solo il suo corpo, e nient’altro. Non gli sussurrava paroline dolci all’orecchio, né lo chiamava alle due di notte. Non aveva una crisi isterica se lui non le diceva quello che lei voleva sentire. Roberto aveva cominciato a chiedersi se finalmente non avesse trovato la relazione perfetta.

Donatella uscì dalla doccia avvolta in un asciugamano. Si era legata i capelli sulla testa. A vederla da lontano si sarebbe detto che avesse poco più di trent’anni, anche se Roberto sapeva che ne aveva quarantacinque.

«Allora, ti esibirai per noi in chiesa? So che Paolo lo apprezzerebbe molto.»

Roberto sospirò. «Sì! Ti ho detto che lo farò.»

Donatella si tolse di dosso l’asciugamano e cominciò a vestirsi. «Cosa canterai nella prossima stagione?»

Roberto strinse i denti. «Non mi va di parlarne. Come al solito, Paolo mi ha promesso più di quanto fosse in grado di darmi, perciò questa sarà la mia ultima stagione concertistica alla Scala. Non rinnoverò il contratto alla scadenza, il prossimo autunno. Ho deciso di accettare una delle tante offerte che ho ricevuto dall’estero.» Sospirò. «A Paolo non piaccio. Tutto qui. Non otterrò mai gloria in quel teatro, finché c’è lui.»

«Caro,» lo consolò Donatella «capisco il tuo stato d’animo, ma chissà… Hai un grande talento, sono certa che Paolo voglia solo assicurarsi che tu sia pronto prima di affidarti i ruoli che meriti.» Si sistemò i capelli davanti allo specchio. «Verrai da me, giovedì? Giovanni è di nuovo a Londra.»

«Sì» rispose Roberto.

Pochi minuti più tardi Donatella aprì la porta dell’appartamento di Roberto e sbirciò fuori, controllando la situazione per strada. Poi schizzò fuori e corse fino alla sua Mercedes, aprì la portiera e scivolò sul lussuoso sedile in pelle.

Seduta al volante chiuse gli occhi ed emise un sospiro di soddisfazione. Aveva avuto molti amanti, quasi tutti più giovani di lei, ma Roberto era diverso. Negli ultimi due mesi le era veramente mancato, e si era ritrovata a contare i giorni aspettando che tornasse da Parigi. Quella sensazione la disturbava, perché aveva sempre considerato i suoi uomini presenze sacrificabili. Svolgevano un servizio per lei, proprio come tutti gli altri nel suo staff. Ma di recente era esageratamente contenta di vederlo. E adesso le aveva appena annunciato che stava valutando di trasferirsi per sempre all’estero.

Accese il motore della macchina e si immise nel traffico in direzione di Como. Durante il tragitto decise di fare ricorso a tutte le armi a sua disposizione per assicurarsi che quell’uomo non andasse da nessuna parte.

Roberto Rossini meritava di diventare una stella e l’avrebbe aiutato, non solo perché aveva talento, ma perché – Donatella stentava a credere che quel pensiero le fosse balenato in mente – si stava innamorando di lui.

Una cosa, comunque, era certa: doveva fare in modo che restasse a Milano.

«Splendide notizie, Rosanna!» Luca porse la lettera alla sorella. «Mi scrive la signora Moretti, la zia di Abi. Dice che il suo Comitato ha accettato di organizzare un concerto nella chiesa della Beata Vergine Maria.»

Rosanna lesse rapidamente la lettera. «Luca, sono così contenta per te.»

«Devo andare a dirlo a don Edoardo. Sarà felicissimo.»

«Certo. Ma qui dice che il concerto si terrà a Pasqua, Luca» disse Rosanna perplessa. «Dovevamo andare a casa a trovare papà e Carlotta.»

«Potremo andarci dopo il concerto. Sono sicuro che papà capirà. Significa moltissimo per me. La signora Moretti ha detto che due membri dell’Opera della Scala hanno già accettato di partecipare.» Mentre parlava, gli brillavano gli occhi. «Suggerisce di far pagare cinquantamila lire a biglietto. Con duecento ospiti, raccoglieremo abbastanza soldi da restaurare l’affresco. Ma c’è così tanto da fare, ancora. Dobbiamo procurarci altre sedie, decorare la chiesa con i fiori, organizzare il rinfresco…»

Rosanna osservava il fratello parlare animatamente del lavoro che lo attendeva. «Luca, perché quella chiesa significa così tanto, per te? Non ti ho mai visto così felice come stamattina.»

Luca guardò la sorella, cercando le parole dentro di sé. E scoprì di non riuscire a trovarle. «È difficile da spiegare, Rosanna. Per me è un luogo molto speciale, posso dirti solo questo. Ora, se hai finito di fare colazione, ti accompagno a scuola. Voglio dare subito la notizia a don Edoardo.»

Luca salutò la sorella davanti alla scuola di musica, poi proseguì verso la sua meta.

Don Edoardo era impegnato a confessare alcuni fedeli, perciò si sedette ad aspettarlo su una panca.

«Buone notizie!» esclamò quando il parroco riemerse dal confessionale. Gli porse la lettera di Sonia Moretti. «Raccoglieremo tantissimo denaro!»

«Sì» disse il vecchio prete annuendo, compiaciuto della felicità che vedeva sul volto di quel giovane, a cui si era veramente affezionato. «Credo che la tua Madonna ne sarà felice.»

«Lo spero.» Luca si avviò verso l’altare. Subito, però, curvò le spalle e impallidì. Scosse la testa, come per risvegliarsi da un incubo. «Anche se sto facendo qualcosa di utile con questo concerto, a volte mi sento frustrato.»

«Lo so, Luca, capisco.» Don Edoardo gli posò una mano sulla spalla.

«Ma devo avere pazienza e aspettare. Fa parte del Suo piano mettermi alla prova, ne sono sicuro.»

«Be’, preghiamo insieme, benediciamo questa chiesa e quello che stiamo tentando di fare per portarla a nuova vita.»

Le due teste – una grigia, l’altra scura – si chinarono in preghiera. Più tardi il parroco preparò del caffè e i due si misero a a fare il punto sull’organizzazione dell’evento.

«Ci serviranno molte più sedie, don Edoardo. C’è spazio per altre venti sedute là in fondo, vicino al fonte battesimale» disse Luca.

«Abbiamo qualche sedia nella cripta, ma è roba vecchia e sporca. Dai un’occhiata, e se non vanno bene, chiederemo alla scuola di prestarcene qualcuna per l’occasione.» Don Edoardo consegnò a Luca una grossa chiave. «Non c’è elettricità, laggiù. Usa la lampada a olio che trovi appesa a un gancio accanto alla porta. Sullo scaffale lì vicino ci sono i fiammiferi.» Guardò l’orologio. «Ora devo andare, ho una madre in lutto da confortare.»

Quando il sacerdote se ne fu andato, Luca rimase seduto a guardare la statua della Madonna sull’altare. Non aveva più parlato con Lei, dopo quella prima, meravigliosa volta, ma sentiva la sua presenza confortante dentro di sé. Alla fine si alzò e andò ad aprire la porta della cripta. Come gli aveva suggerito don Edoardo, prese la lampada dal suo gancio e la accese, poi scese con attenzione le scale scricchiolanti seguendo il tenue bagliore della fiamma. Quando giunse in fondo, sollevò più in alto la luce.

La cripta non era grande ma conteneva una marea di paccottiglia. Uno strato di polvere alto un dito copriva ogni cosa e i ragni avevano potuto creare indisturbati elaborate tele. Si fece largo con attenzione tra gli oggetti abbandonati e decise che rimettere a posto quel luogo sarebbe stato un altro dei suoi compiti. Trovò le sedie di legno di cui aveva parlato don Edoardo e fece per sollevarle, quando si rese conto che a tutte mancavano una o più gambe, oppure non avevano lo schienale. Si voltò e raccolse un libro di preghiere marcito che giaceva sul pavimento. Lo aprì e le pagine si disintegrarono tra le sue dita.

All’improvviso la lampada a olio si spense e la cripta piombò nell’oscurità più totale. Si frugò in tasca cercando l’accendino e la riaccese, ma questa si spense nuovamente. Mentre tentava di tornare alla porta della cripta, decise che la prossima volta si sarebbe portato una torcia elettrica. Stava avanzando a tentoni nel buio, quando sbatté col piede contro qualcosa. Gridò di dolore e cadde con un tonfo sordo, facendosi male alla caviglia.

Rimase lì disteso nell’oscurità, incapace di muoversi, fino a quando il dolore si affievolì. Sentì qualcosa strisciargli sulla mano e lui la ritrasse in fretta. Cercò di non farsi prendere dal panico, riuscì a recuperare l’accendino e a riaccendere la lampada. Abbassò lo sguardo e vide che era inciampato su un antico baule rivestito di pelle, parzialmente nascosto da una pila di abiti divorati dalle tarme. Appoggiò a terra la lampada, spostò i panni consunti, tossendo per la polvere che riempiva l’aria stantia, e sollevò il coperchio del baule.

L’interno era rivestito di velluto viola; infilandovi la mano con cautela, afferrò un grosso oggetto, molto pesante, e fece fatica a tirarlo fuori. Quando lo illuminò con la lanterna, si rese conto che era un calice di metallo decorato, macchiato dal tempo e dall’incuria. Tirò fuori un fazzoletto, sputò sul tessuto per bagnarlo e sfregò su un punto che all’istante rivelò un bagliore argentato. Con crescente emozione, Luca appoggiò a terra il calice e finì di svuotare il baule.

Tirò fuori un libro di preghiere, con le pagine ingiallite e fragili, ma ancora intatto grazie allo spesso strato di velluto del baule. L’umidità l’aveva risparmiato. Poi trovò un abito talare, e quando Luca lo sollevò per osservarlo meglio, sentì che tra le sue pieghe c’era qualcosa di solido. In quel momento la fiamma della lampada baluginò e, temendo di ripiombare di nuovo nelle tenebre, Luca raccolse il calice e il libro e si arrotolò la veste sottobraccio. Reggendo la lampada con un dito, si diresse di nuovo verso le scale.

Tornato nel vestibolo posò a terra l’abito talare e lo aprì con attenzione. Avvolta nella stoffa c’era una borsa di pelle, non più grande della sua mano, completamente rovinata. Ne estrasse il contenuto e vide che si trattava di un piccolo disegno in una grezza cornice di legno. Il viso che si trovò di fronte gli fu subito familiare.

Era come se l’artista fosse riuscito a catturare la sua grazia, la sua serenità, la sua stessa anima. Era proprio così che Luca immaginava la Madonna, quando chiudeva gli occhi per pregare. Il disegno, eseguito a carbone, era molto semplice, e allo stesso tempo così perfetto che Luca non riusciva a distogliere lo sguardo.

Rimase a fissarlo a lungo. Miracolosamente, essendo rimasto al riparo dalla luce e dall’umidità, non mostrava i segni del tempo. Girò il minuscolo quadretto, facendo attenzione a toccarlo il meno possibile, e cercò il nome dell’autore.

Forse era una scoperta di poca importanza, ma Luca sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Don Edoardo sarebbe tornato di lì a breve e avrebbe potuto mostrargli il dipinto e il calice; forse il vecchio prete sapeva della loro esistenza. Ma fino ad allora… Luca rimise con riverenza il disegno nella sua borsa. Sistemò il calice, il libro di preghiere e la veste nel tabernacolo, poi lo chiuse a chiave.

 

11

 

«I cantanti staranno intorno all’altare?»

«Sì.»

«E il pianoforte lo metteremo qui?»

«Sì.» Luca parlava con le donne che si aggiravano curiose per la chiesa.

«Serviremo il vino laggiù, vicino all’acquasantiera? Che ne pensa?»

«È una buona idea, signora Bianchi» rispose don Edoardo, che senza farsi notare alzò gli occhi al cielo.

«Bene. Sembra che sia tutto sotto controllo. La richiesta di biglietti è stata molto alta, credo che ci sarà il pienone per il nostro piccolo evento.» Donatella si avvicinò all’altare e guardò disgustata il panno logoro che lo ricopriva. «Non avete qualcos’altro per la serata? Questo qui ha un aspetto… indecente.»

«No, non ne abbiamo altri. È proprio per questo che abbiamo organizzato il concerto, vero, signora? Per raccogliere fondi con cui comprare nuovi paramenti sacri e fare qualche restauro» le ricordò con pazienza il sacerdote.

«Ma certo. Be’, possiamo mettere qualche candela qua e là, e magari delle composizioni floreali ai lati della statua della Madonna.»

«Sì.»

Donatella prese il calice d’argento, che era stato pulito amorevolmente dopo che Luca l’aveva riportato alla luce, e lo mise sull’altare. «È davvero un oggetto magnifico. E mi sa che sia molto antico» disse rigirandolo tra le mani per osservarlo meglio.

«Luca l’ha trovato nella cripta qualche settimana fa. Volevo farlo stimare da qualcuno – per assicurarlo, eventualmente, mi capisce – ma ho avuto altro per la testa.»

«Capisco.» Donatella rimise a posto il calice e guardò il prete. «Mio marito è un commerciante d’arte e ha molti amici che sarebbero ben lieti di darle un’opinione su un oggetto così. Devo chiedergli di mandare qualcuno?»

«Le sarei molto grato» rispose don Edoardo. «Ha detto che suo marito è un commerciante d’arte?»

«Esatto.»

«Allora, Luca, credo che dovresti andare a prendere il disegno.»

Luca si diresse verso il vestibolo.

«Il signor Menici ha trovato anche un altro oggetto» spiegò don Edoardo. «Potrebbe non valere nulla, ma magari suo marito gli vorrà dare un’occhiata.»

«Ma certo» disse Donatella.

Luca tornò dopo qualche minuto con il disegno. «Ecco» disse porgendolo alla donna.

Donatella lo studiò. «Accidenti, è un ritratto a carbone della Madonna. Davvero raffinato» esclamò con ammirazione. «Ha detto di averlo trovato nella cripta della chiesa?»

«Sì, in un vecchio baule. Abbiamo controllato nei registri e, dalle annotazioni che c’erano sul libro delle preghiere, siamo certi che appartenesse a don Dino Cinquetti. Era il parroco di questa chiesa nel sedicesimo secolo.»

«Quindi questo disegno potrebbe risalire a tanto tempo fa! Eppure sembra recentissimo» sussurrò Donatella.

«Forse perché era ben protetto. Non vede la luce da almeno trecento anni.»

«Be’, prometto di averne la massima cura. Le dispiace di impacchettarmi a dovere il calice?»

Don Edoardo sembrava a disagio. «Suo marito non potrebbe venire qui in chiesa per valutarli?»

«È un uomo molto impegnato, don Edoardo, e sarà a casa solo qualche giorno prima di partire per gli Stati Uniti. Ha la mia parola che né il calice né il disegno verranno danneggiati. E in questo modo avrà una risposta in tempi brevi. Li porterò subito a casa, dove saranno più al sicuro che qui. Si fida di me?» domandò Donatella.

«Ma certo, signora» mormorò imbarazzato l’anziano parroco.

Giovanni Bianchi fissava i due oggetti sul tavolo davanti a lui.

«Da dove hai detto che vengono?»

«Dalla chiesa della Beata Vergine Maria. A quanto pare erano chiusi in un baule, giù nella cripta, insieme agli effetti personali di un parroco vissuto nel sedicesimo secolo. Ho pensato che il calice potesse valere qualcosa» spiegò Donatella.

«Sì, sì, ne sono sicuro, ma questo…» Giovanni prese il disegno «questo è sbalorditivo. Sedicesimo secolo, sei sicura?»

«Così dice il parroco.»

Giovanni tirò fuori una lente d’ingrandimento dalla tasca interna della giacca e studiò con attenzione il quadretto. Quando alzò lo sguardo su sua moglie, aveva una scintilla di entusiasmo negli occhi.

«Non ti sembra di averlo già visto, questo viso?»

«Ma certo, è la Madonna» rispose lei sprezzante.

«Sì ma,» proseguì Giovanni con pazienza «come sai che si tratta di lei?»

«Mi avrà ricordato altri dipinti e statue che la ritraggono, immagino.»

«Esatto. E chi ci ha regalato una delle immagini più famose della Vergine?»

«Ehm…» Donatella si strinse nelle spalle. «Leonardo da Vinci?»

«Sì. Aspetta un secondo.» Giovanni uscì dal soggiorno e tornò con il catalogo della National Gallery di Londra. Lo sfogliò finché non trovò quello che cercava. «Ecco.» Avvicinò il catalogo al disegno sul tavolo. «Guarda questo viso, nel dettaglio. Non ti sembrano molto simili?»

Donatella osservò con attenzione. «Sì, Giovanni, ma… oh, non può essere…»

«Dovrò approfondire, ma il mio istinto mi dice che, a meno che non sia un falso ben fatto, potremmo aver scoperto uno schizzo perduto di Leonardo.»

«L’hanno trovato il parroco della chiesa e quel giovanotto» lo corresse lei.

«Ovviamente» disse Giovanni. «Devo portarlo con me a New York. Voglio farlo vedere a un mio amico. È un esperto nell’autenticazione delle opere dei maestri. Ed è anche discreto – in cambio di una percentuale sui profitti, s’intende.»

«Be’, prima devo chiedere il permesso a don Edoardo» ribatté Donatella.

«Non è necessario che lo sappia, no? Puoi dirgli che il calice e il disegno sono in fase di valutazione e che gli darò una risposta tra una settimana. E… tesoro?»

«Sì, caro?»

«Non voglio che tu parli con nessuno di questa scoperta, finché non sapremo la verità.»

«Certo.» Donatella notò una strana luce negli occhi del marito. «Farò come mi chiedi.»

Dopo dieci giorni, Donatella andò a trovare il parroco nella chiesa della Beata Vergine Maria.

«Buone notizie» esordì con un sorriso. «Eccellenti, anzi» disse sedendosi su una panca.

«Suo marito crede che il calice valga qualcosa?»

«Sì, pare che sia di grande valore. Dice che a un’asta potrebbe fruttare anche cinquantamila dollari. Circa trenta milioni di lire.»

«Trenta milioni!» Don Edoardo era sbigottito. «Non osavo neanche sperare che valesse così tanto.»

«Mio marito vorrebbe sapere cosa ha intenzione di fare, se vuole venderlo. Se accetta, lui può organizzare l’asta.»

«Non… non avevo considerato la possibilità di venderlo. Dovrò consultare il vescovo. Non conosco le sue intenzioni» disse sospirando don Edoardo. «La Chiesa potrebbe anche decidere di tenerlo, non è una decisione che spetta a me.»

«Don Edoardo, per favore, si sieda.» Donatella diede dei colpetti sulla panca accanto a sé, e il prete obbedì con riluttanza. «La prego di perdonare la mia impertinenza, ma di cosa ha bisogno la sua bellissima chiesa, al momento?»

«Di denaro, ovviamente, per tornare alla sua antica gloria» ammise lui, sentendosi come un pesce fuor d’acqua in una conversazione del genere.

«Esattamente. Posso chiederle se ha parlato con qualcuno della sua scoperta?»

«No, non l’ho ritenuto necessario prima di sapere se quegli oggetti valessero qualcosa.»

«Capisco» disse Donatella annuendo. «Personalmente ritengo che, se dovesse farne parola con il vescovo, lei e questa chiesa vedrete solo una misera parte del ricavato della vendita del calice, dando per scontato che voglia venderlo, s’intende.»

«Credo che abbia ragione, signora Bianchi» concordò don Edoardo.

«Be’, mio marito e io abbiamo avuto un’idea. Giovanni è pronto a versarle la somma di denaro che ritiene si possa ricavare dalla vendita del calice. Trenta milioni, come le ho detto. Poi lo venderà lui a un collezionista privato. In questo modo potrà disporre di molto denaro per restaurare la sua chiesa. Nessuno dovrà sapere la verità.»

«Ma signora Bianchi, di certo il vescovo si domanderà da dove arrivano tutti quei soldi.»

«È ovvio. E lei gli dirà, e lo dirà a tutti coloro che glielo chiederanno, che il signor Bianchi è rimasto talmente colpito dalle condizioni in cui versava la chiesa, quando lui e sua moglie sono venuti per assistere al concerto, che ha deciso di fare una grossa donazione, così, su due piedi.»

«Capisco.»

«Don Edoardo, nessuno ha intenzione di fare qualcosa di disonesto. Mio marito e io ci adegueremo al suo volere. Ma personalmente ritengo che, con questa bella chiesa in un così grave stato di abbandono, usare a vostro beneficio esclusivo il calice, tra l’altro rinvenuto proprio qui, potrebbe rappresentare la volontà di Dio, no?»

«Non lo escludo, signora Bianchi. Ma come faremo ad assicurarci che nessuno lo venga a sapere?» Sulla fronte del prete si erano formate piccole gocce di sudore. Donatella se ne accorse e capì di averlo messo alle corde. Sferrò il colpo finale.

«Su questo ha la mia parola. Il calice verrà venduto all’estero, a un privato. Mio marito ha una lunga lista di ricchi collezionisti che non chiedono altro che discrezione. Lei pensi a cosa potrà fare con i proventi della vendita, tutto in nome di Dio.»

«Io… devo riflettere» disse don Edoardo sospirando. «Devo chiedere consiglio al Signore.»

«Certo.» Donatella tirò fuori un biglietto dalla borsa. «Perché non mi chiama quando avrà preso una decisione?»

«Lo farò. Grazie mille, signora Bianchi, per il suo aiuto.»

«Ci mancherebbe, davvero.» Si alzò per andarsene. «Ah, quasi dimenticavo il disegno» aggiunse con noncuranza. «Mio marito crede che non abbia alcun valore. È ben fatto, certo, ma la Madonna è stata ritratta molte, molte volte dai più illustri artisti. Dubita che quello schizzo sia di qualche interesse.»

«Certo, ce l’aspettavamo» disse il prete.

«Tuttavia» continuò Donatella mentre si abbottonava il cappotto immacolato «mi ci sono affezionata parecchio, e vorrei farle un’offerta per comprarlo. Che ne dice di tre milioni?»

Il sacerdote la guardò incredulo. «Dico che è un’offerta molto generosa. Lei è molto gentile, ma devo pensarci. Ci risentiremo quando avrò preso la mia decisione.»

«Attendo una sua chiamata. Buon pomeriggio, don Edoar­do.» Donatella gli rivolse un elegante cenno di saluto e uscì dalla chiesa.

«Arrivederci, signora Bianchi» mormorò il prete.

Due giorni dopo, Donatella porse al marito un bicchiere di champagne e si accomodò in soggiorno.

«Ha accettato?»

«Sì. Mi ha chiamato oggi pomeriggio.»

«Cara, sei stata fantastica» disse Giovanni. «Devo chiamare subito New York e dare la buona notizia al mio cliente. E ovviamente, avrai ciò che ti spetta per il ruolo fondamentale che hai giocato in questo affare. Qualsiasi cosa.»

Donatella guardò il marito con un sorrisetto che le incurvava gli angoli delle labbra rosse.

«Penserò a qualcosa, Giovanni, promesso.»

 

12

 

La chiesa iniziava a riempirsi e Luca aveva il suo bel da fare a indicare agli invitati i loro posti. Le candele baluginavano sui loro sostegni lungo la navata e sull’altare, e il profumo delle composizioni floreali riempiva l’aria.

Dopo l’offerta del signor Bianchi, Luca aveva pregato con don Edoardo perché il Signore li consigliasse, ed entrambi erano giunti alla medesima conclusione. Avevano deciso che quell’offerta era un dono di Dio. Cos’altro poteva essere? Se l’avessero accettata, avrebbero potuto cominciare subito i lavori di restauro della chiesa.

Il sacerdote gli venne incontro trafelato. «Gli ospiti sono quasi tutti arrivati, e i cantanti sono pronti, Luca. Ti ringrazio dal profondo del cuore. Dal giorno in cui hai messo piede nella mia chiesa non ho ricevuto altro che benedizioni.»

«È stato Dio a portarmi qui, don Edoardo» rispose gentilmente.

«Lo so, e che Lui ti benedica.» Gli diede una pacca sulla schiena e si allontanò lungo la navata. Luca lo seguì e vide sua sorella seduta su una panca in prima fila insieme agli altri cantanti. Lei gli rivolse un cenno di saluto e lui le rispose con l’occhiolino. Poi vide anche una figura familiare, alta e con i capelli scuri, che percorreva la navata in abito da sera. Si voltò, lottando per non far trasparire il disgusto che provava alla vista di quell’uomo. Niente sarebbe riuscito a rovinargli quella serata. Niente.

Don Edoardo e Paolo de Vito salirono gli scalini e si fermarono davanti all’altare.

«Signore e signori» esordì il prete. «Grazie per essere intervenuti a questa serata speciale. È un giorno di festeggiamenti, questo, di resurrezione, di rinascita, che speriamo possa valere anche per questa chiesa. Un ringraziamento particolare va agli Amici dell’Opera di Milano, che hanno reso possibile questo evento. E adesso cedo la parola a Paolo de Vito, direttore artistico della Scala, che presenterà il programma della serata.»

«Buonasera, signore e signori.» Il pubblico applaudì. «Per cominciare, gli studenti della scuola di musica del teatro canteranno il sestetto tratto da Lucia di Lammermoor.»

Cedette il posto a sei studenti, che si posizionarono dinanzi all’altare, dando avvio al concerto.

Roberto, tuttavia, non prestava alcuna attenzione alle decorazioni della chiesa, e ascoltava la musica solo distrattamente. Fissava affascinato Donatella, seduta dall’altro lato della chiesa accanto al marito. Si chiese se facessero ancora all’amore; immaginava di sì, di tanto in tanto. Era straordinario ciò che poteva comprare il denaro, pensò. In quel momento un applauso educato partì dal pubblico e i primi interpreti si inchinarono.

Roberto si scoprì incapace di resistere e cominciò a spogliare Donatella col pensiero. In quel momento, però, gli giunse al­l’orecchio una voce così dolce e pura che sembrava perfettamente naturale in un luogo di preghiera come quello. Ed era una voce che aveva già udito prima. Cantava uno dei suoi brani preferiti, “Sempre libera”, tratto da La Traviata. Mettendo da parte i pensieri su Donatella, Roberto diresse lo sguardo sulla cantante.

Era cresciuta parecchio, ma sembrava ancora esile come un ramoscello. I capelli folti e scuri le ricadevano in morbide onde lucenti fin sotto le spalle. Aveva la carnagione chiara, quasi evanescente alla luce delle candele, e sugli zigomi un lieve rossore. I suoi ipnotizzanti occhi castani trasmettevano tutte le emozioni dell’aria che cantava. Adesso la sua voce era più matura – si sentiva che aveva studiato, che l’aveva esercitata – ma era la stessa voce, quella che l’aveva fatto piangere come un bambino quando aveva cantato “Ave Maria” a Napoli, tanti anni prima. La voce di una ragazzina diventata adesso una bellissima donna.

Rosanna si sedette con un sospiro di sollievo. Abi le strinse la mano. «Sei stata fantastica» le sussurrò. «Ben fatto.»

Paolo si alzò. «E adesso, un applauso per due ospiti speciali, venuti direttamente dalla Scala, Anna Dupré e Roberto Rossini, che canteranno “O soave fanciulla”, da La Bohème.»

Rosanna guardò Roberto Rossini mentre iniziava a cantare. Erano passati sei anni dall’ultima volta che l’aveva visto. Appena posato lo sguardo su di lui, il cuore cominciò a batterle forte e le mani iniziarono a sudare.

Ormai aveva dimenticato le emozioni di Napoli, tanti anni prima, definendole solo una sciocca cotta da ragazzina, ma nel vederlo adesso capì che il sentimento di allora era reale e ancora vivo dentro di lei. Mentre la voce di Roberto si univa a quella di Anna Dupré in un glorioso crescendo, Rosanna ricordò il desiderio che aveva provato di cantare con lui, un giorno, unendo i loro talenti… era un sogno che sperava ancora di poter realizzare.

Il concerto finì e gli artisti si inchinarono, sommersi dagli applausi. Don Edoardo si alzò e si rivolse al pubblico.

«Grazie al gentile pubblico per aver partecipato a questo concerto meraviglioso. Vorrei invitare qui Sonia Moretti, presidentessa del Comitato, che vorrebbe dire due parole.»

Sonia raggiunse il prete davanti all’altare.

«Signore e signori. Grazie alla vostra generosità, e a quella degli artisti della Scala e degli studenti della scuola di musica, stasera abbiamo raccolto quasi dieci milioni.» Sonia attese che l’applauso si spegnesse. «Ma c’è di più. Ho qui un assegno intestato a don Edoardo da parte di Giovanni e Donatella Bianchi. Sono rimasti talmente commossi alla vista di questa splendida chiesa, che hanno deciso di dare un loro personale contributo. La loro modestia mi impedisce di rivelarvi l’importo versato, ma vi assicuro che sarà molto utile per riportare la chiesa della Beata Vergine Maria alla sua antica gloria. Don Edoardo, ecco l’assegno.»

Il parroco lo accettò con un inchino, poi si rivolse agli intervenuti: «Non potrò mai esprimere la gratitudine che provo nei confronti del signore e della signora Bianchi. Sono sopraffatto dalla loro generosità. Dio li benedica. Grazie anche a ognuno di voi per aver sostenuto la nostra iniziativa. Spero che tornerete, al termine dei restauri, per constatare con i vostri occhi quanto avete fatto con la vostra magnanimità. Adesso, in fondo alla chiesa sarà servito del vino, per chi gradisce».

Il pubblico cominciò ad alzarsi, e Abi sorrise a Rosanna mentre percorrevano insieme la navata. «La serata è stata un successo. Tuo fratello sarà al settimo cielo.»

«Sì.» A Rosanna brillavano gli occhi per la contentezza. «È magnifico, Luca ne sarà entusiasta.»

«Ti dispiace se ti lascio per andare a fare due chiacchiere con lui? Ho una certa idea di cui vorrei parlargli.»

«Vai pure, ci vediamo dopo.» All’improvviso, Rosanna si sentì toccare sulla spalla.

«Scusami se ti interrompo…»

Rosanna si voltò e si ritrovò a guardare due occhi blu tremendamente familiari. Il cuore cominciò a martellarle nel petto.

«Rosanna Menici?»

«Sì?»

«Ti ricordi di me?»

«Certamente, Roberto» rispose lei timida.

«Sono passati molti anni dall’ultima volta che ci siamo incontrati, anche se mia madre mi ha scritto per dirmi che ti eri trasferita a Milano. E per informarmi della morte di tua madre. La notizia mi ha molto rattristato. Come sta tuo padre?»

«Meglio di quanto pensassimo, ma la mamma gli manca molto. Domani Luca e io torniamo a Napoli per una settimana.»

«Allora fagli le mie condoglianze, ti prego.»

«Senz’altro, grazie.» I loro sguardi si incrociarono per un momento, e le guance pallide di Rosanna si tinsero all’istante di rosso. Fu Roberto a rompere il silenzio.

«Quindi Luigi Vincenzi ti ha aiutato, alla fine? Lo immaginavo.»

«Sì, è stato fantastico. E ha fatto in modo che Paolo de Vito venisse a Napoli per sentirmi cantare, l’estate scorsa. De Vito mi ha offerto una borsa di studio, ed eccomi qui, a Milano. E tutto grazie a te, Roberto» aggiunse piano.

«Io non ho fatto niente, Rosanna. È merito di Luigi. E dopo averti sentita, stasera, credo che abbia fatto un ottimo lavoro. Sono certo che tra breve ti esibirai sul palco della Scala.» Roberto le sorrise con uno sguardo pieno di affetto.

«Anche tu hai cantato magnificamente.»

«Sono lieto che lo pensi.»

Seguì un’altra pausa imbarazzata.

«Be’» disse lui alla fine «meglio che faccia il mio dovere e che mi unisca agli ospiti. È stato bello rivederti, Rosanna. Se dovesse servirti aiuto o un consiglio, puoi sempre trovarmi alla Scala.»

«Grazie mille, Roberto.»

«Arrivederci, piccola. Lavora sodo.»

La salutò con la mano e si allontanò lungo la navata. Rosanna lo seguì con lo sguardo, finché uno degli ospiti, ansioso di congratularsi con lei, monopolizzò la sua attenzione.

Qualche minuto più tardi tornò Abi. «Non sapevo che conoscessi il Casanova della Scala.»

«Che intendi dire?»

«Oh, mia zia Sonia dice che Roberto Rossini ha una reputazione pessima con le donne. Si è portato a letto quasi tutte le coriste e gran parte delle soliste. E la cosa non mi sorprende affatto.» Abi fece spallucce. «È proprio bello, non credi.»

«Penso di sì.» Rosanna stava ancora guardando Roberto.

«E dal modo in cui ti guardava, potresti essere tu la sua prossima vittima» scherzò Abi.

«Oh, no, Abi, non è come pensi. Siamo entrambi di Napoli e i nostri genitori sono buoni amici. E poi è troppo famoso per interessarsi a me. E anche molto più vecchio» aggiunse, sulla difensiva.

«Dài, Rosanna, stavo solo scherzando. A volte sei così seria…» Luca le raggiunse e Abi sfoderò un gran sorriso.

«È stata una bella serata, vero, Rosanna?»

«Sì. Devi essere molto felice.»

«Già. Seguendo l’esempio del signor Bianchi, anche altri ospiti hanno fatto una donazione. Don Edoardo è ancora lì che raccoglie gli assegni.» Gli occhi di Luca erano colmi di gioia.

«Dovremmo andare da qualche parte a festeggiare» propose Abi.

«Mi piacerebbe molto, ma purtroppo devo restare qui ad aiutare don Edoardo a rimettere a posto la chiesa per la messa di domattina.»

«Non importa. Ci andremo io e Rosanna, allora» rispose Abi.

«Okay, ma non fare troppo tardi, piccola.»

«No, Luca. Ciao.» Rosanna baciò il fratello sulla guancia.

Le due ragazze salutarono tutti e uscirono dalla chiesa.

«Conosco un posto qui vicino dove è possibile ordinare una bottiglia di vino e qualcosa da mangiare. Muoio di fame» disse Abi.

Il locale era affollato, ma riuscirono a trovare un tavolo; ordinarono del vino e due piatti di pasta.

«Cheers, come diciamo in Inghilterra» fece Abi sollevando il bicchiere. «Al vino, agli uomini e al canto» disse ridendo.

«Cheers» ripeté Rosanna. «Senti, di cosa volevi parlare con Luca e don Edoardo?»

«Oh, ho solo pensato che, ora che la chiesa verrà restaurata, sarebbe bellissimo che riformassero il coro. Il parroco mi ha detto che sono anni che non c’è più. Ho pensato che, con i miei contatti e con la scuola, potrei aiutarli. E gli servirà qualcuno che insegni ai cantanti, ovviamente.»

Rosanna guardò l’amica con sorpresa. «Ma con i tuoi impegni a scuola, dove troverai il tempo? E poi hai sempre detto che la religione non ti interessa.»

«No, ma mi interessa molto una persona che la pratica» rispose Abi con un sogghigno.

Rosanna la guardò intensamente. «Non ti riferisci a Luca, vero?»

«In realtà sì. Sembrava così felice, stasera» rispose Abi. «Ama davvero quella chiesa. Ma mi chiedo che farà in futuro. Cioè, non potrà vivere lì per sempre.»

«Non sai com’era prima» ribatté Rosanna sulla difensiva. «Lavorava per papà al bar di famiglia e non aveva tempo per una vita sua. E tutto per pagarmi le lezioni di canto. Se vedere ristrutturata una chiesa lo rende felice, allora io sono felice per lui.»

«Scusami, Rosanna, non lo sto criticando. Anzi, tutto il contrario. Come ormai avrai capito, Luca mi affascina» confessò Abi. «È così diverso dagli altri uomini. Quelli della sua età sono fissati con la carriera, con le ragazze. A Luca non sembra interessare questo genere di cose.»

Rosanna bevve un sorso di vino. «Ti piace davvero? Ti piace… in quel modo?»

«Oh, sì, temo proprio di sì. Luca è così… misterioso. Credo che abbia tanti aspetti nascosti, in attesa di essere esplorati dalla donna giusta. E ora, se riuscissi a stargli vicino organizzando il coro, potrei essere io quella donna. Non ti dispiacerebbe, vero?»

Rosanna scosse la testa e ridacchiò. «Abi, sei proprio fissata con queste cose.»

«A cos’altro dovrei pensare, scusa?»

«Al tuo futuro come cantante d’opera, per esempio.»

«Oh, sì, c’è anche quello, ma sono una ragazza consapevole. So di avere una voce decente, ma è niente in confronto alla tua. Forse potrò entrare nel coro, ma sono abbastanza realista da capire che non diventerò mai la nuova Callas. Perciò, diversamente da te, che sei la sua erede naturale, devo pensare a trovarmi un uomo che mi faccia sentire meno depressa quando ti sento cantare» scherzò Abi.

«Be’, per me hai una bellissima voce, altrimenti non saresti qui. Smettila di sminuirti.»

«Apri gli occhi, Rosanna.» Abi scosse la testa. «Mia zia è la presidentessa del comitato che raccoglie i fondi per la scuola. Suo marito è estremamente generoso, sia con la compagnia che con la scuola. Non credi che questo abbia qualcosa a che vedere con la borsa di studio che mi hanno offerto? Fra tre anni, mentre tu prenderai il posto che meriti nella compagnia, mia zia ungerà gli ingranaggi giusti e mi assicurerà un posto nel coro. E, a essere onesta, non so neanche se voglio la sua carità.» Un’ombra di tristezza attraversò il viso di Abi. «Be’, essere qui a Milano fa bene al mio italiano, e passare un po’ di tempo all’estero è quello che fanno tutte le brave ragazze inglesi prima di trovarsi un marito.»

«Allora… forse sono io quella strana.» Rosanna bevve un altro sorso di vino.

«In che senso?»

«Be’, io non penso agli uomini… non lo faccio mai.»

«Davvero?» Scettica, Abi inarcò un sopracciglio. «Quando ti ho visto parlare con Roberto Rossini, stasera, non sembravi del tutto immune al suo fascino.»

«Roberto è diverso.»

«E perché mai?»

«Perché… perché sì» sospirò Rosanna. «Comunque, non voglio andare oltre. Ehi, guarda, arrivano gli spaghetti» disse, ansiosa di cambiare argomento.

«Be’» fece Abi, sollevando la forchetta per aggredire il piatto fumante che le avevano messo davanti «pensala come vuoi, ma non mi hai convinta, cara Rosanna Menici.»

Don Edoardo e Luca osservavano sconsolati lo stato in cui versava la chiesa dopo l’evento.

«Luca, ti ricordi di me?» Una mano si posò sulla sua spalla e Luca sobbalzò. Si voltò e rimase interdetto quando si rese conto di chi era.

«Ma certo. Come stai, Roberto?»

«Sto bene, molto bene, grazie. Il mondo è piccolo, eh? Anche tu vivi a Milano?»

«Mi prendo cura di mia sorella» rispose lui rigido.

«Sì, ci ho parlato poco fa. È cresciuta dall’ultima volta che l’ho vista.» disse Roberto. «E come sta l’altra sorella, l’adorabile… ehm…» Roberto si grattò la testa.

«Carlotta. Sta bene. Ora, se vuoi scusarmi, devo aiutare don Edoardo. Buonanotte.» Luca gli rivolse un secco cenno del capo e si allontanò.

La freddezza di Luca, unita all’agitazione che aveva provato nel rivedere Rosanna Menici, avevano reso Roberto di pessimo umore. Andò verso Donatella e, con fare furtivo, le posò una mano sul didietro.

«Attento, qualcuno potrebbe vederti» sibilò lei, furiosa, e si scostò come se Roberto fosse un appestato.

«Tuo marito se n’è andato, no? L’ho visto uscire poco fa. E poi…» Roberto si chinò e le rivolse un sorriso malizioso «ti voglio. Adesso.»

Luca trovò don Edoardo sprofondato su una sedia del vestibolo.

«Vada a casa» disse all’anziano parroco. «Non c’è rimasto molto da fare, e lei è stanco. Ci penso io a chiudere.»

«Grazie, Luca, lo farò. Puoi mettere questa nel tabernacolo?» Don Edoardo gli porse una busta piena di assegni. «Saranno più al sicuro qui che a casa mia. Domattina li porterò subito in banca. È stata una serata straordinaria, vero?»

«Sì, è vero.»

«E tutto grazie a te, mio caro amico. Quando sarà il momento, metterò una parolina buona per te, lassù» disse Edoardo con un sorriso. «Buonanotte, Luca.»

Il parroco uscì dalla porticina sul retro; Luca aprì il tabernacolo e infilò gli assegni in una scatolina di stagno, dove tenevano qualche soldo per comprare caffè e tè. Richiuse tutto, nascose la chiave e si inginocchiò dinanzi all’altare che don Edoardo usava per pregare in privato. Ringraziò Dio per la serata e per avergli fatto trovare il prezioso calice d’argento. Era rimasto deluso quando aveva saputo, dal marito di Donatella, che il disegno valeva pochissimo. Era un peccato non tenerlo lì, nella chiesa. Ma don Edoardo era così grato a Donatella Bianchi per i soldi del calice, che non poteva rifiutarsi di venderle il disegno.

Luca rimase ancora un po’ in preghiera. Alla fine si alzò e, spente le luci, si chiuse la porta alle spalle. Percorse un lato della chiesa in direzione della porta d’ingresso, ma in quel momento udì un tonfo provenire dall’altare. Luca si voltò, in ansia. Che fossero entrati dei ladri? Con il cuore in gola, si avvicinò in punta di piedi.

Accanto all’altare, avvinghiati sul pavimento, c’erano un uomo e una donna. Erano completamente vestiti, ma quello che stavano facendo era fin troppo evidente. L’uomo era sopra e, sotto di lui, la donna gemeva di piacere. I gemiti si intensificarono e l’uomo gridò, poi ricadde esausto sulla donna.

Troppo scioccato e sbalordito per affrontarli, Luca si nascose dietro una colonna; la coppia si alzò, si sistemò gli abiti e percorse a braccetto la navata. Sapeva esattamente chi fossero.

«Caro, sei davvero diabolico. Ci sentiamo giovedì, okay?»

«Certo.» L’uomo baciò la donna sui capelli scuri e insieme uscirono dalla chiesa come se nulla fosse.

Le due figure scomparvero nella notte, lasciandosi alle spalle Luca inorridito per come avevano dissacrato la chiesa.

Arrivò a casa molto tardi, con il cuore in subbuglio. Fare una cosa simile in quel luogo… Quello spettacolo aveva cancellato dalla sua anima la felicità per l’esito della serata.

Aprì piano la porta della stanza di Rosanna per controllare che fosse a letto. C’era la luce accesa e la ragazza teneva ancora in mano il libro che stava leggendo, pur avendo gli occhi chiusi. Luca entrò per spegnere la luce.

«Luca?» lo chiamò Rosanna aprendo gli occhi.

«Sì, piccola?»

«È stata una bella serata, vero?» disse con voce assonnata.

«S-sì, è vero.»

«Che succede?» Rosanna si tirò su a sedere sul letto, allarmata. «Non sembri felice.»

«Sto bene. Sono solo stanco, tutto qui. Dormi, ora.»

«Roberto è stato bravo, eh? Ha una voce così bella, ed è così affascinante.» Rosanna si stiracchiò e sbadigliò.

«Rosanna, non credo che Roberto sia una brava persona.»

«L’ha detto anche Abi. Ha detto che…»

«Cosa?»

«Oh, niente. Buonanotte, Luca.»

«Notte.»

Luca spense la luce e se ne andò in camera sua.

Non dormì bene. Non riusciva a dimenticare lo sguardo sognante della sorella mentre parlava di Roberto – l’uomo che aveva rovinato la vita di Carlotta e che adesso neanche si ricordava più il suo nome. Roberto, che aveva eseguito un atto sacrilego nella sua adorata chiesa. Gli si contorceva lo stomaco ogni volta che ci ripensava.

Anche se tentava di convincersi che le parole di Rosanna fossero solo una coincidenza, il suo istinto gli diceva che Roberto Rossini non aveva ancora finito con la famiglia Menici.

 

13

 

«Grazie di avermi ricevuta, Paolo.» Donatella gli rivolse un sorriso ammaliatore. L’elegante ristorante era già pieno di ricchi avventori. «Aperitivo? Io prendo un Bellini.» Fece schioccare le dita per chiamare il cameriere.

«Uno anche per me» fece Paolo. «Come sta, signora Bianchi?»

«Molto bene, grazie. E la prego, mi chiami Donatella.»

«Allora,» disse Paolo, che non era dell’umore giusto per i convenevoli «di cosa voleva parlarmi?»

«Ho una proposta da farle.»

«Mi dica» Paolo si mise in ascolto con circospezione.

«Da poco dispongo di un po’ di denaro, un generoso dono da parte di mio marito. E sa che considero la scuola di musica una parte imprescindibile della vita artistica milanese.»

«In effetti è una fucina di nuovi talenti, e la compagnia sarebbe perduta senza di essa» ammise Paolo, che si chiedeva dove andasse a finire la conversazione.

«Esattamente. Perciò stavo pensando di fare una generosa donazione che le permetterà di concedere borse di studio a tre studenti talentuosi i cui genitori non possono permettersi la retta. So che ogni tanto ne concede qualcuna, ma le risorse della scuola sono limitate.»

«Purtroppo sì. A quanto stava pensando?»

Donatella gli disse la cifra.

«Però…» Paolo era sbalordito. «È una somma molto alta.»

«Ah, ecco i nostri Bellini.» Donatella sollevò il suo bicchiere. «Che ne dice, accetta la mia offerta?»

«È un gesto davvero generoso. E che cosa…?»

«Che cosa voglio in cambio?» chiese Donatella. «Ovviamente che le borse di studio si chiamino “Bianchi”, e…» fece una pausa tamburellando con il dito sul bicchiere «che Roberto Rossini abbia un ruolo da protagonista nella prossima stagione della Scala».

Paolo, dentro di sé, s’infuriò. Sapeva che ci sarebbe stato un prezzo da pagare. C’era sempre, con donne come Donatella. «Capisco.»

«Ormai seguo la sua carriera da anni e credo proprio che sia un artista sottovalutato. Ha stoffa. Tutte le mie amiche sono d’accordo con me» sottolineò poi, come a voler dimostrare la correttezza della sua opinione.

«Credo anche io che Roberto sia un artista di talento. Ma a volte, Donatella,» Paolo scelse con attenzione le parole «ci sono… circostanze che possono impedire ad alcuni cantanti di ottenere i ruoli che meritano. Ha ragione, Roberto ha in effetti la vocalità e le capacità fisiche per lasciare il segno nel mondo dell’opera, tuttavia la sua personalità…» Paolo sospirò. «Be’, diciamo solo che non lo aiuta.»

«Intende dire che Roberto non le piace?» chiese Donatella senza giri di parole.

«No, le assicuro che non è questo il problema. Voglio solo dire che, da quando fa parte della compagnia, mi ha dato diversi problemi. È inaffidabile, immaturo e, devo dirlo, egoista sul palco. Molti suoi colleghi trovano difficile lavorare con lui.»

«Ma tutti i grandi artisti hanno un carattere difficile, no? E io, Paolo, sento che Roberto Rossini è destinato a fare grandi cose. Se non con la Scala, con qualche altra compagnia. E noi non vogliamo che se ne vada, non è così?» Donatella lo guardò intensamente.

«Ehm…» Paolo era combattuto. Capiva fin troppo bene cosa c’era in ballo. Se avesse ceduto, sarebbe riuscito a dare a tre giovani cantanti l’opportunità di studiare. Alla fine fece un bel respiro. «Il caso vuole che l’opera di apertura della prossima stagione sarà l’Ernani, e lasciando da parte le mie preferenze, ritengo che l’uomo di cui parliamo sia perfetto per il ruolo del protagonista.»

«Vede, Paolo? È il destino» lo incoraggiò lei.

«D’accordo, Donatella» disse sospirando. «Roberto Rossini aprirà la prossima stagione.»

«Magnifico! Sono sicura che non se ne pentirà.» Donatella batté le mani, soddisfatta. «Un’ultima cosa. Deve promettermi che Roberto non saprà mai della nostra conversazione di oggi.»

«Ma certo.»

«Bene. Che dice, ordiniamo?»

Paolo lasciò il ristorante un’ora più tardi. Mentre camminava verso il teatro si chiese da quanto tempo Roberto Rossini avesse una relazione con Donatella Bianchi.

* * *

Donatella guidava verso casa sorridendo compiaciuta. Le era costato parecchio, ma quello era un piccolo prezzo da pagare per trattenere Roberto a Milano.

A Roberto fu comunicato che Paolo de Vito lo aspettava nel suo ufficio dopo le prove di quella mattina. Si chiese cosa avesse fatto di sbagliato, stavolta, ma decise che ormai non gli importava più. Giunse all’ufficio del direttore artistico e bussò.

«Avanti.»

Roberto aprì la porta. «Volevi vedermi?»

Paolo era seduto alla sua scrivania con le braccia conserte. Gli sorrise. «Siediti, per favore.»

Roberto si sedette.

«Sto pensando di affidarti il ruolo di protagonista nell’Ernani. Sarà l’opera di apertura della stagione. Ti senti pronto per questo ruolo?»

Roberto rimase a bocca aperta. Era così sorpreso che non riusciva a parlare.

«Allora?» Paolo era impaziente di conoscere la sua risposta.

«Io… accidenti, ma certo! Sogno di aprire la stagione con un ruolo da protagonista sin da quando ero uno studentello.»

«Ne sono sicuro. E ho deciso di concederti questa opportunità. Ritengo che tu abbia tutte le carte in regola per diventare un tenore di primo piano.»

«Grazie, Paolo.» Roberto fece del suo meglio per mostrarsi umile, ma faticava a contenere l’euforia.

«Te l’ho detto adesso perché mancano ancora quattro mesi alla fine della stagione, dopodiché ci sarà l’estate. In questo modo avrai molto tempo per studiare la tua parte. Cioè, hai sette mesi per dimostrarmi che ho preso la decisione giusta.»

«Te lo giuro, Paolo» lo rassicurò Roberto. «Lavorerò come un matto.»

«Però, Roberto, devo avvertirti: se mi deludi, stavolta, il tuo futuro con noi sarà segnato. Un ruolo da protagonista richiede un livello di impegno che non hai mai raggiunto prima. Voglio che tu mi dimostri di avere la maturità necessaria. Hai capito?»

«Paolo, se mi dai questa opportunità, ti prometto che non ti deluderò. Chi sarà la mia Elvira?» chiese Roberto.

«Anna Dupré.»

«Magnifico! Sono sicuro che lavoreremo bene insieme.»

«Solo sul palco, mi auguro.» Paolo inarcò un sopracciglio.

«Naturalmente.» Roberto ebbe la dignità di arrossire. «A questo proposito, in questo momento sono impegnato.»

«Davvero?» Paolo si finse sorpreso. «Speriamo che la situazione si mantenga tale, allora, sia a livello personale che professionale. Ricordati che aprire la stagione alla Scala è uno dei più grandi onori che si possano conferire a un tenore. Se attirerai le attenzioni che mi aspetto, quando debutterai nei panni di Ernani, posso solo sperare che, be’, non ti diano alla testa.»

«Assolutamente no.»

«Bene, allora. È tutto.»

Roberto si alzò e strinse vigorosamente la mano di Paolo. «Grazie, grazie davvero. Non deluderò la fiducia che hai riposto in me, lo garantisco.»

«Bene.» Appena Roberto se ne fu andato, Paolo sospirò e si costrinse a ricordare che le tre parti coinvolte nell’accordo avevano appena ottenuto ciò che volevano.

* * *

Sette mesi dopo Paolo osservava dalla finestra del suo ufficio l’interminabile carovana di limousine che scivolavano sul­l’asfalto di piazza della Scala in direzione dell’imponente triplo arco all’ingresso del teatro dell’opera. Addetti in uniforme si affannavano aprendo e chiudendo portiere. Raffiche di flash immortalavano le personalità che scendevano dalle lussuose auto, le donne con indosso magnifiche pellicce e pesanti collane di diamanti, zaffiri e smeraldi, e i loro accompagnatori in smoking, con fasce di seta colorata. Le telecamere della TV erano accorse per immortalare l’evento più mondano dell’anno operistico, che segnava anche l’inizio della stagione sociale milanese. La polizia era schierata tutta intorno alla piazza e teneva a distanza diverse centinaia di cittadini, giunti a curiosare. Anche se la serata era fredda e dal cielo scendeva una pioggerellina fastidiosa, se non altro mancava all’appello la famigerata nebbia, che poteva scendere su Milano in ogni istante, paralizzandola.

Politici, attori, modelle e aristocratici – chiunque contasse qualcosa in Italia, quella sera era a teatro. I duemila posti della Scala si sarebbero riempiti di personaggi ricchi e potenti. E, ovviamente, non poteva mancare la claque del loggione.

Sebbene Paolo detestasse ammetterlo, la claque esisteva ancora. Un impresario acquistava diversi posti a basso prezzo e vi faceva sedere persone di sua fiducia, con l’incarico di incitare e applaudire quei cantanti che, per quel privilegio, avevano versato nelle tasche dell’impresario stesso fior di quattrini, e fischiare chi non l’aveva fatto. Paolo era sicuro che Roberto Rossini avesse pagato. Pregava soltanto che il resto del pubblico applaudisse di propria volontà.

Da quando aveva annunciato che Ernani sarebbe stato interpretato da Roberto, Paolo aveva osservato con trepidazione la reazione dei media. Era molto difficile trovare un tenore nato e cresciuto in Italia che rivestisse il ruolo dell’eroe – e con il phisique du role dell’eroe, tra l’altro. Per questo Roberto aveva aggiunto gran parte delle giornaliste di Milano al suo personale fan club. Paolo doveva ammettere che era stato un modello di dedizione e decoro da quando gli aveva offerto quella possibilità. Perfino Riccardo Beroli, il direttore d’orchestra della Scala, il cui caratteraccio era noto ai più, aveva cominciato a prenderlo a benvolere.

Paolo si raddrizzò il farfallino e controllò l’orologio. Aveva giusto il tempo di andare a trovare Roberto in camerino e augurargli buona fortuna, prima che si aprisse il sipario.

«Come ti senti?»

Roberto sorrise. «Ho un po’ lo stomaco in subbuglio, ma sto bene.»

Lo sguardo di Paolo cadde su un ricco bouquet di gigli bianchi posato sul tavolo. «Che belli. Chi te li manda?» chiese.

«Riccardo. Dice che potrò metterli sulla mia tomba quando i critici mi crocifiggeranno, domani mattina» scherzò Roberto con un sorriso.

«E le rose?» Paolo indicò un altro bouquet, più stravagante, che occupava quasi tutto il divanetto.

«Un’amica» rispose lui, evasivo.

«Senti, vado a fare gli onori di casa tra il pubblico. Se stasera va male, avremo fallito davanti alle persone più importanti d’Italia.»

«Grazie tante» ribatté Roberto, asciutto.

«Sii brillante» lo incoraggiò Paolo. «Dimostrami che non sono stato un pazzo a concederti questa opportunità.»

«Farò del mio meglio per non deluderti.» 

«Bene. Tornerò nell’intervallo. In bocca al lupo, Roberto.»

«Crepi» rispose lui, alzando gli occhi al cielo.

Paolo annuì e uscì dal camerino.

Roberto si prese la testa fra le mani, chiuse gli occhi e formulò una preghiera silenziosa.

«Dio, fammi essere il migliore stasera. Fammi essere il migliore.»

L’atmosfera alla Scala non è mai emozionante come la sera della prima, rifletté Paolo seduto al suo posto nel palco riservato ai membri della compagnia. Da lì ammirava le file di balconate, che si ergevano in tutta la loro magnificenza dal pavimento fino al soffitto, con il suo elegante lampadario che pendeva al centro della sala; gli giungevano i suoni degli strumenti che venivano accordati. Osservò gli ultimi ospiti prendere posto come farfalle colorate che si posano in un giardino fiorito. Alla sua destra vide Donatella Bianchi che, splendida in un abitino nero di velluto e diamanti scintillanti, sedeva accanto al marito nel loro palco privato. Partì l’applauso quando Riccardo Beroli salì sul podio del direttore, si inchinò al pubblico e sollevò la bacchetta.

Le luci si affievolirono, sul teatro calò il silenzio e il lento, tormentato preludio dell’Ernani cominciò. Paolo chiuse gli occhi e fece un bel respiro. Ormai non dipendeva più da lui.

Nell’intervallo ebbe conferma di ciò che da settimane immaginava. Nel bar affollato, gli ospiti non facevano che parlare di Roberto e della sua esibizione vocale sbalorditiva. Anche lui si era rilassato appena l’aveva visto muoversi sul palco, eclissando col suo magnetismo gli altri cantanti.

«Che le avevo detto?» Donatella comparve alle sue spalle. Quasi faceva le fusa, da quanto era compiaciuta.

«Sì, sta cantando molto bene.»

«Non solo. Ha anche una straordinaria presenza scenica. Deve essere felice, stasera, Paolo. Noi due e La Scala abbiamo creato una nuova stella.»

Al termine dell’esibizione, mentre Roberto faceva un inchino dietro l’altro, sommerso da una pioggia di fiori, e gli applausi entusiasti riecheggiavano in platea, Paolo si chiese con sgomento a cosa avessero dato vita.