Metropolitan Opera House, New York

 

Come puoi immaginare, Nico, quella sera segnò la svolta della carriera di Roberto Rossini. Ancora oggi rimpiango di non averlo visto; chi assistette all’esibizione ancora se la ricorda. Chiaramente, quella performance catapultò Roberto nel firmamento dell’ope­ra. Negli anni successivi, ogni volta che aprivo un giornale o una rivista trovavo una sua foto o una sua intervista. Dopo lo spettacolo i camerini venivano sempre presi d’assalto dalle sue fan. La sua vita privata era documentata come e meglio della sua vita professionale, ma la sua infinita collezione di donne non faceva altro che alzare il suo cachet e incrementarne il fascino.

Io seguivo la sua carriera con enorme interesse. Dopo la sua prima, trionfante serata, gli inviai un biglietto di congratulazioni, cui non rispose mai. Me lo aspettavo, ero solo una studentessa e lui stava per diventare uno dei più grandi tenori della nostra epoca. Tuttavia questo non mi impedì di sognare che un giorno avremmo cantato insieme tutti i più bei duetti d’amore. Abi e io compravamo spesso i biglietti nel loggione per andare a sentirlo. Quelle serate mi spronavano a impegnarmi ancora di più nello studio.

Ripenso con grande affetto ai quattro anni trascorsi a Milano. Mi dedicavo con tutta me stessa a realizzare il mio sogno, desiderosa di ripagare la fiducia che avevano riposto in me Luca, Luigi Vincenzi e Paolo de Vito. Luca era ancora impegnato con la sua chiesa, e assisteva ai lenti e strazianti lavori di ristrutturazione. Seguendo il consiglio di Abi aveva riformato il coro e, fedele alla parola data, la mia amica l’aveva aiutato a reclutare e addestrare i nuovi arrivati. Passavano molte ore insieme, Abi e Luca, a lavorare e discutere del loro progetto comune. E io osservavo con interesse la loro amicizia fiorire. Mio fratello aveva anche iniziato a lavorare part-time come cameriere in un bar vicino casa, e molte sere Abi e io ci fermavamo lì a mangiare, bere vino e chiacchierare del più e del meno.

A volte mi chiedevo cosa volesse Luca dalla vita, o percepivo la sua inquietudine, ma non gliene parlavo mai. Forse nel mio cuore temevo che i suoi piani futuri potessero portarmelo via, un giorno, e detestavo il solo pensiero.

Durante le vacanze estive Luca e io tornavamo a Napoli. Devo ammettere che trovavo sempre più difficile tornare a casa. Per qualche settimana a luglio e ad agosto, mio fratello e io precipitavamo come in una specie di piega spazio-temporale. Lui tornava a cucinare e io a servire ai tavoli del bar insieme a Carlotta. Mia sorella non mi chiedeva mai niente della vita a Milano e, per non rischiare di turbarla, io non le chiedevo quasi nulla della sua. Capivo che era infelice, frustrata; che vivere con papà ed Ella non era quello che aveva sognato da ragazza. E forse non volevo che la sua tristezza mi contagiasse e inquinasse la gioia che io, invece, provavo. Se Luca e io fossimo stati onesti, avremmo ammesso di essere felici di tornare a Milano, alla fine dell’estate, dove ci attendeva la vita cui entrambi sentivamo di appartenere.

Avevo ventuno anni quando mi diplomai alla scuola di musica. Vinsi la medaglia d’oro, quell’anno, l’onorificenza più alta che la scuola riservava a un suo studente. La mia voce era diventata la mia vita e, mentre le altre ragazze della mia età si innamoravano regolarmente, gli interludi romantici non trovavano spazio nella mia esistenza. Forse, se fosse capitato… be’, chi lo sa? Ero davvero innocente, e totalmente impreparata per quello che mi sarebbe accaduto…

 

14

 

Milano, giugno 1976

«Rosanna, grazie di essere venuta.» Paolo sorrideva con affetto. «Prego, siediti.»

Rosanna si sedette.

«Dunque, saprai già che io vorrei che ti unissi alla compagnia.»

«Oh, Paolo, grazie.» Gli occhi di Rosanna brillavano di soddisfazione.

«Dato che hai vinto la medaglia d’oro, quest’anno, immagini anche che alla Scala ci aspettiamo grandi cose da te. Il problema è il ruolo da affidarti. La tua voce merita di meglio che il coro, ma…» Paolo cercò tra le carte sulla scrivania «ho il terrore di mandarti allo sbaraglio. Hai appena ventuno anni, e davanti a te hai una carriera che potrebbe durare altri quattro decenni. Devi acquisire maturità ed esperienza prima di affrontare i ruoli che la tua voce meriterebbe. Capisci quello che sto dicendo, Rosanna?»

«Sì, credo di sì» rispose lei annuendo.

«So che altre compagnie operistiche hanno messo gli occhi su di te, e presumo che ti abbiano anche offerto qualche ruolo, giusto?»

Rosanna arrossì, chiedendosi come facesse a saperlo. «Sì. Il Covent Garden e la Metropolitan Opera House di New York hanno manifestato interesse.»

«Ovviamente la decisione è soltanto tua, Rosanna. Ma se resti qui con noi, Riccardo e io ti promettiamo di pianificare il tuo futuro nel modo che crediamo più giusto per te. La nostra proposta è questa: ti faremo un contratto come solista per la prossima stagione; ci sono diverse parti secondarie che ho in mente di farti cantare. Ma non ti verrà mai chiesto di esibirti più di due o tre volte la settimana, così potrai continuare a frequentare le lezioni di canto senza stressare troppo né te né la tua voce. In questo periodo Riccardo lavorerà con te un giorno la settimana per ampliare il tuo repertorio» spiegò Paolo. «Credo anche che sarebbe una buona idea se studiassi per conto tuo alcuni dei ruoli da protagonista, durante la stagione. Così potrai interpretarli durante le prove in costume, abituandoti alla sensazione di stare sul palco. Tuttavia,» aggiunse Paolo «dubito che avrai l’opportunità di interpretarli davvero, perché come sai, se qualche soprano si ammala, consuetudine vuole che un altro primo soprano prenda il suo posto. Quest’esperienza, ad ogni modo, ti sarà molto utile quando, e spero che accadrà presto, diventerai una solista di punta della compagnia. Che ne dici?» chiese infine.

Rosanna non poté fare a meno di provare una punta di delusione nell’udire il piano di Paolo. La Metropolitan Opera House le aveva scritto per offrirle il debutto durante la stagione nel ruolo di Giulietta in Romeo e Giulietta, e il Covent Garden le aveva proposto un accordo altrettanto vantaggioso. Ma Rosanna sapeva che Paolo aveva ragione. E poi, quell’uomo la sosteneva da quando era solo una ragazzina di diciassette anni.

«Sono d’accordo, Paolo» rispose, costringendosi a sfoderare quello che sperava sembrasse un sorriso di gratitudine.

Paolo la studiò per un istante e capì subito il suo stato d’animo. «Rosanna, ti prego di non credere che ti stiamo tarpando le ali. Ho visto fin troppe giovani cantanti liriche salire alle luci della ribalta prima di essere pronte. A trent’anni sono già finite. La tua voce è un dono prezioso, e né io né Riccardo pensiamo sia il caso di affaticarti troppo, per ora. Quello che ti offriamo forse non regge il confronto con le altre proposte che hai ricevuto, ma devi fare esperienza, prima, ed essere libera di sbagliare senza che nessuno ti veda.»

«Certo. Lo capisco, Paolo, davvero.»

«E fra un anno, spero che farai qui da noi il tuo debutto. Sto pensando di aprire la prossima stagione con La Bohème. Tu, ovviamente, interpreteresti Mimì, e potremmo provare a dare la parte di Rodolfo a Roberto Rossini.»

Gli occhi di Rosanna si illuminarono. «Interpretare il ruolo di Mimì nella Bohème è sempre stato il mio sogno.»

«Bene. Allora siamo d’accordo. Resta solo da decidere il compenso» proseguì Paolo. «Anche in questo caso, non guadagnerai quanto cantando da protagonista a New York, ma credimi, Rosanna, in futuro il denaro non ti mancherà di certo. Credo che quattrocentomila lire per tutta la durata della stagione coprano abbondantemente tutte le spese che dovrai sostenere, e poi ci saranno gli straordinari e i bonus. Che dici, può andare?»

«Sì, grazie, è un’offerta generosa.»

«E se in qualsiasi momento dovessi sentirti infelice, per favore, non esitare a venire a parlare con me. Ricordati che lo facciamo per te, ma anche per noi. Allora, accetti l’offerta?»

Paolo non sapeva di averle appena proposto l’occasione che aspettava da tempo. Rosanna non si capacitava che da lì a un anno avrebbe recitato nella Bohème insieme a Roberto Rossini. «Va bene. Grazie, Paolo. Di tutto.»

«Sono felicissimo. A questo punto, be’, corri a festeggiare un po’ con le tue amiche!»

«Lo farò! Oh, lo farò. Prima di andare posso chiederti una cosa?»

«Certamente.»

«Abi Holmes si unirà alla compagnia? Prometto di non dire nulla in giro.»

«È una tua cara amica, vero?»

«Sì.»

«Allora ti confermo che verrà scritturata. Non è ancora arrivato il momento di separarvi.»

«Sono così contenta, per lei e per me!» Rosanna batté le mani, felice per il futuro quasi perfetto che le si stava delineando davanti. «Ancora grazie, Paolo.»

Quando Rosanna se ne fu andata, de Vito sospirò di sollievo. Non era certo che avrebbe accettato la sua proposta. E se far entrare Abi Holmes nella compagnia rendeva felice la sua protetta, be’, le avrebbe trovato un posticino da qualche parte nel coro. Rosanna avrebbe avuto bisogno di tutto il sostegno possibile per superare gli anni successivi. Al momento era ancora inconsapevole delle gelosie e della competitività che animavano le cantanti rivali. Rosanna avrebbe dovuto costruirsi un guscio spesso e robusto se voleva raggiungere il posto che le spettava nel firmamento dell’opera. Aveva ancora molto da imparare, ed entrare nella compagnia sarebbe stato per lei un brusco risveglio.

* * *

«A noi!» esclamò Abi.

«A voi» precisò Luca.

Per l’ennesima volta, quella sera, tre bicchieri tintinnarono l’uno contro l’altro. Il piccolo tavolo in casa di Rosanna e Luca era ricoperto di ciò che rimaneva di quella festa improvvisata, iniziata quando le due ragazze avevano riferito la bella notizia.

«Non riesco a credere che Paolo mi abbia fatto entrare nella compagnia!» esclamò Abi. «Sono quasi svenuta quando mi ha convocato per dirmelo. Stavo già facendo le valigie e so che i miei si aspettavano che tornassi in Inghilterra.»

«Allora sei contenta, dopotutto? Pensavo che non ti importasse di fare carriera come cantante d’opera» disse Rosanna.

Abi alzò le mani fingendo disperazione, poi si rivolse a Luca: «Mio Dio, tua sorella sa essere davvero ingenua, a volte. Certo che volevo entrare nella compagnia, ma mi stavo preparando al rifiuto, fingendo che non mi importasse. È così che fanno gli inglesi, sai? Non mostrano i loro veri sentimenti. A differenza di voi italiani, che siete tutti così diretti e non esitate a esprimere ciò che provate. O meglio,» aggiunse guardando Luca «quasi tutti».

«Mio fratello è la pecora nera della famiglia» scherzò Rosanna.

«Eh sì. Vero, Luca?»

Luca si strinse nelle spalle. «Se lo dici tu…»

«Lo dico io.» Abi scolò l’ultimo goccio di vino rimasto nel bicchiere. «Abbiamo finito il vino. Peccato, ne avrei bevuta un’altra bottiglia anche da sola.»

«Ne abbiamo già svuotate due. Ricordati cosa dice Paolo sull’alcol e la voce» la sgridò Rosanna.

«Lo so, lo so» sospirò Abi. «E ora che sono davvero un membro della compagnia, e forse avrò un futuro come cantante, dovrò cominciare a prendere sul serio queste cose. Che noia!»

Rosanna trattenne uno sbadiglio.

«Oh, guarda, la piccola solista ha sonno» la prese in giro Abi. «Senti, perché non vai a letto? Ci pensiamo noi a pulire qui. Vero, Luca?»

«Se non vi dà fastidio… Devo ammettere di essere un po’ stanca.» Rosanna sembrava preoccupata. «Spero di non covare la febbre. Lunedì ho la prima lezione con Riccardo.»

«Ma sentitela, la diva. Lo sa benissimo che da ora in poi è tutto in discesa» commentò Abi rivolta a Luca. «E questo è solo l’inizio, ora comincerà ad andare in paranoia per la salute, si lamenterà del puzzo di sigarette che le arriva al nasino da un chilometro di distanza, del…»

Un cuscino colpì Abi in pieno petto. «La diva va a dormire. Buonanotte.» Le fece l’occhiolino e uscì dalla stanza.

Luca si alzò e cominciò a radunare piatti e bicchieri, mentre Abi frugava nella sacca che si era portata con l’occorrente per restare a dormire. «Guarda cos’ho trovato!» disse agitando una bottiglia di brandy. «Mi ero dimenticata di averla portata» mentì. «Ne vuoi un po’?»

«No, grazie, Abi, ho bevuto abbastanza» rispose Luca.

«Non fare il guastafeste, dài. È una serata speciale, mi offendo se non bevi un bicchiere insieme a me. Solo uno, per favore.»

«Okay» accettò lui con riluttanza.

Luca, perplesso, la guardò riempire due bicchieri fino al­l’orlo.

«Se lo lasci, lo finisco io. Salute» disse, e bevve un bel sorso per poi lasciarsi cadere sul divano.

«A te, Abi. Bravissima, sono molto contento per te» disse Luca sorridendo.

«Davvero? Io invece a volte mi chiedo se a me ci tieni» ribatté lei bruscamente.

Luca rimase sorpreso da quelle parole. «Che dici? Lo sai bene che ti considero una delle mie più care amiche.»

«Sì, certo. Scusa.» Abi cambiò argomento, rendendosi conto di essere già pericolosamente su di giri. «Allora, cosa farai adesso che Rosanna è diventata “grande”, per così dire? Ormai non le servi più, eh?»

«Esagerata. Rosanna avrà bisogno comunque di un sostegno, ora che si è unita alla compagnia.»

«Sì, ma ormai è una donna adulta, Luca. Dài, ti sarai fatto un’idea di cosa vuoi dalla vita… Resterai a Milano e continuerai a lavorare in quel bar?»

«No. Lavoro lì solo per guadagnare qualche soldo. So esattamente cosa farò.» Luca si sedette sul divano e bevve un sorso di brandy.

«Allora dimmelo, sono curiosa. Aprirai un ristorante?»

«No» rispose Luca con un sorriso. «Quello proprio no.»

«Okay, ma prima o poi vorrai sposarti, mettere su famiglia…»

«Forse.»

«Luca, posso farti una domanda personale?» L’alcol aveva dato ad Abi il coraggio che cercava da tempo.

«Puoi farmela, ma chissà se ti risponderò.»

«Okay. Be’, perché da quando ti conosco non ti ho mai visto con una ragazza? Cioè… sei… preferisci… gli uomini?»

Luca scoppiò a ridere. «Ma che domande fai! No, Abi. Solo perché un uomo non si interessa alle donne non significa che sia gay.»

«Allora, be’, mi trovi attraente?» si ritrovò a dire Abi.

Luca studiò la ragazza seduta accanto a lui. I bellissimi capelli biondi le incorniciavano il viso ovale, gli occhi azzurri brillavano vivaci. Gli cadde lo sguardo sulle lunghe gambe che teneva piegate sotto di sé.

«Credo che tu sia molto bella. Dovrei essere cieco per non notarlo.»

«Be’,» disse piano Abi «se apprezzi la mia compagnia e mi trovi bella, perché non hai mai provato a…»

«E dài! Sono cose che non si chiedono.» Luca si alzò, andò alla finestra e guardò la strada sottostante ancora affollata. Le coppiette passeggiavano mano nella mano, senza meta. Luca provò un moto d’invidia. Se avesse potuto scegliere, avrebbe senz’altro voluto stare con la ragazza seduta sul suo divano, quella per cui aveva imparato a provare così tanto affetto… che aveva imparato ad amare, anzi. Bevve un altro sorso del suo brandy e posò il bicchiere sul davanzale. Doveva essere onesto con Abi, e anche con se stesso.

«Luca, è giusto che tu sappia quello che provo per te. È il motivo per cui ho deciso di aiutarti con il coro della chiesa, lo stesso per cui mi sono praticamente trasferita in questa casa» insistette lei.

«Credevo lo facessi perché sei la migliore amica di mia sorella e perché volevi dare una mano e basta.» Luca si voltò a guardarla.

«Ma sì, certo» lo rassicurò. «Adoro Rosanna, mi è molto cara. E mi sono divertita a organizzare il coro, a insegnare alle ragazze. Ma avrai capito che c’è dell’altro, no?»

«Abi, io… non so cosa dire.»

Ci fu un attimo di silenzio e Abi vuotò il bicchiere. Ora o mai più, pensò.

«Luca, posso dirti qualcosa… di molto privato? Credo… credo di essere innamorata di te.»

Luca la fissava con la tristezza negli occhi.

«Dio, è così terribile?» chiese lei.

«No, sì, io…» Si voltò di nuovo, il capo chino.

Abi si alzò e andò verso di lui. «Ti prego, Luca, rispondimi sinceramente. Puoi giurare che non provi niente per me?»

Si avvicinò ancora e si fermò proprio dietro di lui. «No, non posso» rispose Luca.

Lei gli accarezzò la schiena.

«Allora baciami.»

«No, io…» Si voltò e si trovò il viso di lei a pochi centimetri dal suo.

Abi lo tirò a sé e premette le labbra contro le sue, e subito sentì la tensione abbandonare il suo corpo. Lo abbracciò e, finalmente, anche Luca rispose al bacio.

Abi aveva vissuto tante volte quel momento nella sua mente, eppure scoprì che la realtà era molto, molto meglio di quanto avesse mai sognato.

Poi, con un gemito, Luca si ritrasse. «Ti prego, fermati!»

«Perché? Ho capito subito che ti piacevo. Non me lo sono immaginata, vero? In questi quattro anni ho avuto dei ragazzi, sì, ma non significavano niente per me. Nel mio cuore non c’è mai stato posto per nessun altro. Ci sarai sempre e solo tu. Sempre.» Abi fece per avvicinarsi di nuovo, ma Luca arretrò come un animale spaventato.

Si buttò a sedere sul divano e si prese la testa tra le mani.

«Io… oh, Luca, qual è il problema? Dimmelo, ti prego.»

Quando alzò lo sguardo, Luca aveva le lacrime agli occhi.

Scosse piano la testa. «Non capiresti.»

«Capirò, vedrai. Se il sentimento è reciproco, possiamo superare qualsiasi problema.» Gli si sedette accanto.

«No, Abi, non possiamo. Non c’è futuro per noi. Mi dispiace, mi dispiace tantissimo se anche solo per un istante ti ho fatto credere il contrario.»

Abi si tolse i capelli dal viso, tentando di riacquistare un po’ di lucidità. «Almeno spiegami perché.»

«Okay, te lo dirò. Farò del mio meglio.» Fece un respiro profondo, preparandosi a rivelarle la verità. «Da ragazzino mi chiedevo sempre perché fossi infelice. Era come se cercassi qualcosa, qualcosa che né una donna né una carriera avrebbero potuto darmi. Poi sono venuto a Milano con Rosanna e, ironia della sorte, ho scoperto sin dal primo giorno di cosa si trattava.»

«Come? Dove?»

«Mi sono ritrovato nella chiesa della Beata Vergine Maria. E mentre ero lì dentro, l’ho vista.»

«Vista chi?»

«Maria, la Madonna» disse piano Luca. «Ti sembrerà strano, lo so, ma mi ha parlato. Da quel momento, tutto è andato al suo posto e ho capito cosa volevo fare nella vita. Perciò» proseguì prendendole la mano «non posso stare con te. Non posso stare con una donna, né amarla. Ho donato la mia vita a Dio.»

Abi riuscì soltanto a fissarlo incredula. Poi, però, ritrovò la voce.

«Anch’io credo in Dio. Ma questo non significa che bisogna smettere di amare qualcuno, no? Io credevo che Dio fosse amore.»

«Lo è, Abi, ma ho preso un impegno. Ho rimandato per aspettare che Rosanna entrasse nella compagnia, era lei la mia priorità. Ma presto entrerò in seminario, a Bergamo. E ci resterò sette anni. Diventerò prete, Abi, ed è per questo che non posso stare con te. Ecco,» disse con un sospiro «l’ho detto. Non mi aspetto che tu capisca, né che lo faccia Rosanna, ma è ciò che voglio fare.»

Abi era talmente sconvolta che quasi scoppiò a ridergli in faccia. Ma guardandolo negli occhi, osservando il suo volto gentile, capì che non si trattava di uno scherzo, o di una scusa. Dava un senso a tutto ciò che era Luca.

Il ragazzo la guardava intensamente. «Pensi che sia pazzo, vero?»

«No, io… certo che non lo penso. Davvero» ripeté. «Ma se diventi prete dovrai sacrificare tutto. Sei davvero pronto a farlo?»

«Assolutamente.»

«E ciò nonostante hai ammesso di provare qualcosa per me.»

«Sì, è vero. Dal primo momento che ti ho visto, per te ho iniziato a provare un sentimento difficile da descrivere. E da allora occupi un posto speciale nel mio cuore. Ci siamo avvicinati molto negli ultimi quattro anni.»

«Sì, è vero. E forse quel sentimento che non riesci a descrivere si chiama “amore”, Luca.»

«Sì» ammise lui dopo un attimo. «Penso tu abbia ragione. Ma non capisci? Dio mi sta mettendo alla prova. E io l’ho appena deluso.» Luca chinò il capo.

«Non so se essere lusingata o offesa» disse Abi con voce flebile.

«Scusa, mi sono espresso male,» disse subito lui «ma l’ho detto in buona fede. Sei la prima e unica donna che abbia mai amato.»

«Quindi ammetti di amarmi?»

«Sì, Abi. Ho trascorso tante notti insonni a pensare a te, a desiderarti, a chiedere consiglio a Dio. La tua presenza ha fatto vacillare spesso la mia risolutezza. È per questo che a volte posso esserti sembrato… distante» ammise Luca.

«Quindi…» Con il cuore pesante, Abi realizzò di essere del tutto impotente. «Quando hai intenzione di entrare in… seminario?»

«Ho già fatto i colloqui. Se va tutto bene, dovrei partire per Bergamo tra sei settimane, quando Rosanna e io torneremo da Napoli.»

«Rosanna lo sa?»

«Non ancora. Non volevo rovinarle la festa.»

«Ci starà malissimo, ti vuole un bene dell’anima.»

«No, non credo che ci resterà troppo male. Se mi vuole bene come penso, sarà felice per me.»

«Può darsi» disse Abi sospirando. «Ma perdonami se io non ci riesco, almeno per ora. Non c’è niente che possa fare per farti cambiare idea?»

A Luca si strinse il cuore, ma sapeva di dover restare ben saldo sulle sue posizioni. «No, niente.»

Abi non riuscì più a trattenere le lacrime. «Allora stringimi, Luca, per favore.»

Luca aprì le braccia e lei si abbandonò contro il suo petto. Le accarezzò i capelli, sentendo il corpo che reagiva a quella vicinanza.

«Non cambierà, sai» mormorò Abi.

«Che cosa?»

«Il sentimento che provo per te.»

«Abi, promettimi che cambierà, invece. Sei bella e ancora molto giovane. Un giorno troverai qualcuno che ti ami come io non posso fare. Ti dimenticherai di me.»

Lei si asciugò gli occhi con il dorso della mano. «Mai» disse. «Mai.»

Il giorno seguente Rosanna si sedette a tavola ad ascoltare quello che Luca aveva da dirle. E nonostante la tristezza che provava al pensiero di restare senza di lui, fu contenta che il velo di mistero che ammantava la vita del fratello si fosse finalmente sollevato.

«Quando parti?»

«In autunno, quando torneremo da Napoli.»

«Oh, Luca, potrò farti visita, qualche volta?»

«Per un po’ no.»

«Va bene.»

«Mi capisci, vero, Rosanna? Capisci perché devo andare?»

«Sì, purché sia davvero quello che vuoi.»

«Lo desideravo da anni senza neanche rendermene conto.»

«Allora sono felice per te. Ma mi mancherai tantissimo, Luca.»

«E tu mancherai a me. Ma non sarai sola. Credo anzi che Abi non veda l’ora di trasferirsi qui. Ti piacerebbe?»

«Certamente, ma non sarà la stessa cosa.»

«Sarai talmente presa dalla tua nuova vita che neanche ti renderai conto che non ci sono più, piccola.»

«Capisco che tu debba trovare la tua strada, ma questo non significa che non avrò più bisogno di te.» Cercando di trattenere le lacrime, Rosanna aggiunse: «Mi domando cosa dirà papà».

«Oh, credo che sarà felicissimo di potersi vantare di avere un figlio prete e una figlia cantante d’opera.» Luca le prese le mani. «Rosanna, lo sai che ti voglio bene, vero? Sei la persona più importante della mia vita.»

«Sì, Luca.»

«Ma credo che sia giunto il momento di andare, adesso. Anche tu hai bisogno di essere indipendente.»

Rosanna annuì triste. «Sì, hai ragione. È giunto il momento di crescere.»

I due mesi a Napoli trascorsero velocemente. Il bar era sempre affollato e Rosanna non riuscì a trascorrere insieme a Luca tutto il tempo che avrebbe voluto. Come suo fratello aveva previsto, dopo averlo saputo, il padre aveva annunciato a tutti che suo figlio si sarebbe fatto prete. Era stata quella notizia, piuttosto che l’ingresso alla Scala di Rosanna, a venire accolta con più gioia. Rosanna aveva accettato quell’apparente mancanza di interesse verso la sua carriera, a dimostrazione di quanto fosse ormai lontana dal mondo di Piedigrotta. E non si aspettava nemmeno che suo padre capisse.

Prima di tornare a Milano, consapevole che sarebbe potuto passare molto tempo prima di rivedere Napoli, Rosanna andò a trovare Luigi Vincenzi. Si sedettero sulla sua bella terrazza, al riparo dal violento sole d’agosto, a bere un bicchiere di vino bianco. Sentirsi più a casa lì, da Luigi, che nel bar del padre, le provocava un senso di colpa.

«Credi che abbia fatto bene ad accettare la proposta di de Vito?» gli chiese.

«Oh, sì. Andare all’estero a interpretare i ruoli più belli era allettante, ma Paolo è stato saggio a darti il tempo di cui hai bisogno.»

«A volte ho l’impressione di esercitarmi e basta, e di farlo da una vita» disse Rosanna sospirando. «Ormai sono passati quasi dieci anni da quando ho iniziato a prendere lezioni da te.»

«E continuerai a esercitarti, Rosanna, fino a quando vivrai» ribatté Luigi. «Fa parte del tuo lavoro, è l’unico modo che hai per migliorare. Cerca di vederla in questa prospettiva: sarebbe stato molto più redditizio per Paolo darti subito un ruolo di primo piano alla Scala. Sapeva già che saresti diventata una stella, e avresti attirato molte attenzioni. Ma lui e Riccardo Beroli hanno voluto nutrire il tuo talento, concederti il tempo che ti serviva per diventare più sicura di te e costruirti un bel repertorio. Credi che gli altri soprani ricevano lo stesso trattamento da parte del direttore artistico di uno dei teatri dell’opera più famosi al mondo?»

Rosanna notò il suo sguardo divertito. «No, hai ragione. Mi sono comportata da persona impaziente ed egoista.»

«Fa tutto parte del temperamento artistico, che maturerà in futuro, insieme alla tua voce» ridacchiò lui. «Sei esattamente dove dovresti essere, Rosanna. Fidati di me, e fidati di Paolo e Riccardo. Siamo tutti dalla tua parte.»

Mezz’ora dopo Vincenzi la accompagnò alla porta d’ingresso. «Fai i miei auguri a tuo fratello. Spero che tutto vada bene lungo il sentiero che ha scelto di intraprendere.»

«Senz’altro» disse Rosanna annuendo. Poi baciò il suo mae­stro sulle guance. «Grazie mille, Luigi. Forse ci rivedremo a Milano, il giorno della prima d’esordio?»

«Non me la perderei per niente al mondo. Ciao, Rosanna. E non smettere di esercitarti.»

«Lo farò.» Rosanna sorrise e lo salutò con la mano mentre si allontanava lungo il vialetto.

Quattro giorni dopo il loro ritorno a Milano, Rosanna accompagnò Luca alla stazione centrale, dove lo aspettava il treno per Bergamo. I due fratelli si abbracciarono per l’ultima volta.

«Sono così fiera di te, Luca.»

«E io di te, piccola. Un’ultima cosa, prima che vada. Hai un grande dono, Rosanna, e come tutte le benedizioni richiede grandi sacrifici. Fidati soltanto di te stessa» le disse.

«Lo farò, promesso.»

«Ci penserà Abi a tenerti d’occhio. E anche tu devi tenere d’occhio lei.»

«Ma certo. Credo che sia lei la più turbata dalla tua partenza.»

«Sì, ci vogliamo bene.» La risposta di Luca fu deliberatamente evasiva. Non poteva permettersi di far trasparire i suoi veri sentimenti.

«Ci scriverai, vero?»

«Ci proverò, ma perdonami se per un po’ non mi sentirai. Le regole sono molto severe per i novizi. Ciao, bella.» Luca la baciò sulle guance. «Che Dio ti benedica e ti protegga mentre non ci sarò.»

«Ciao, Luca.»

Rosanna attese che il treno sparisse all’orizzonte prima di smettere di salutare. Mentre usciva dalla stazione e tornava sulle strade affollate di Milano, si sentiva persa. Luca era sempre stato presente. Ora se n’era andato e da quel momento avrebbe dovuto affrontare il futuro da sola.

 

15

 

Roberto fu svegliato dallo squillo del telefono. Imprecando, si allungò per prendere la cornetta.

«Pronto…»

«Caro, sono Donatella.»

«Perché mi chiami a quest’ora? Lo sai che sono rientrato tardi, ieri sera» rispose brusco.

«Ti chiedo scusa, ma manchi da sei settimane. Volevo sentire la tua voce e assicurarmi che fossi arrivato sano e salvo. Non essere arrabbiato con me, caro.»

«Certo che non sono arrabbiato. Sono solo stanco.»

«Com’era Londra?»

«Ha piovuto di continuo. In agosto, accidenti. Mi sono preso un brutto raffreddore.»

«Poverino» lo consolò lei. «Ma non ti preoccupare. Ho letto le recensioni della Turandot. Sono eccellenti.»

«Sono buone, sì» confermò con modestia.

«Posso venire a trovarti, oggi pomeriggio? Dobbiamo recuperare il tempo perso.»

«No, oggi pomeriggio non è possibile. Ho un incontro con Paolo de Vito per parlare della stagione che sta per cominciare.»

«Domani, allora?»

«Okay. Domani.»

«Non vedo l’ora. Sarò da te alle tre. Ciao.»

«Ciao.» Roberto riagganciò e si sdraiò di nuovo con un sospiro. Il sollievo di essere tornato a Milano, dopo il grigiore di Londra, era già svanito.

Negli ultimi tre anni Donatella era cambiata. All’inizio il loro rapporto si basava su una profonda attrazione reciproca, e la presenza incombente del marito di lei aveva impedito che le cose si facessero più serie. Ma lentamente, con l’aumentare della fama di Roberto, era cresciuta anche la possessività di Donatella. Era stato un processo talmente graduale che lui l’aveva a malapena notato, ma nell’ultimo anno avevano iniziato a comparire termini sdolcinati nel vocabolario di lei. Si arrabbiava se vedeva Roberto insieme ad altre donne sui giornali, lo accusava continuamente di avere relazioni clandestine – e una volta era veramente accaduto. Donatella era ricca e influente, ma non era la sua badante. Quando avevano cominciato a frequentarsi lui non era niente, ma adesso era una stella di livello internazionale e nessuno, nessuno, poteva dirgli cosa fare.

Tuttavia non c’era donna al mondo che lo eccitasse sessualmente come lei. L’attrazione fisica che aveva dato il via alla loro relazione esisteva ancora, e Roberto trovava impossibile resisterle.

Mentre si alzava e andava in bagno rifletté su quella situazione. Aprì l’acqua della doccia e si infilò sotto il getto. Si chiese se Donatella avesse visto sul giornale la sua foto insieme a Rosalind Shannon, giovane soprano del Covent Garden. Il clima rigido di Londra era stato più di una volta mitigato dalla presenza della ragazza nel suo letto. Si era dispiaciuta per la sua partenza, ma le aveva promesso le solite cose e tanto era bastato a placarla. Dubitava che si sarebbe disturbato a ricontattarla. Era stato divertente finché era durato, ma…

Si vestì e andò in cucina per prepararsi la sua bevanda a base di miele, che faceva bene alle corde vocali. Mentre aspettava che l’acqua bollisse, non poté fare a meno di sorridere riflettendo sui vantaggi del successo. C’era chi diceva che i beni materiali non erano importanti, erano solo un bonus che accompagnava la fama, ma Roberto non era d’accordo. Lui adorava essere ricco.

Il suo nuovo appartamento in via Manzoni, a due passi dalla Scala, era perfetto per lui, piccolo ma ben organizzato, dato che non voleva dipendere da un esercito di domestiche che potevano coglierlo in flagrante in ogni momento. Ma era anche adatto, nello stile, a ospitare uno dei tenori più celebri del mondo.

Era arrivato in alto, e gli piaceva credere di esserci riuscito da solo.

Se Donatella voleva frequentarlo, doveva imparare a stare alle sue regole. Altrimenti, l’avrebbe scaricata.

Il pomeriggio successivo Donatella salì a bordo della sua nuova Ferrari. Controllò il trucco nello specchietto retrovisore, poi accese il motore e uscì rombando dal vialetto interno, ansiosa di tornare tra le braccia di Roberto. Non riusciva a credere quanto le fosse mancato.

Ormai era stanca di quel rapporto part-time, di essere costretta a tenere segreta la loro relazione quando non voleva fare altro che gridare al mondo che era lei la donna del grande Roberto Rossini.

Aveva trascorso gran parte dell’estate con il marito, in una villa a Saint Jean Cap Ferrat, e in piscina, sotto il sole, aveva avuto modo di osservare a lungo il consorte: basso, stempiato, tarchiato e con una pancia che cresceva di anno in anno. Non sopportava più nemmeno che la toccasse. Prima il sacrificio era valso la pena, perché la sua ricchezza, il suo potere e la sua posizione le avevano dato tutto ciò che aveva sempre desiderato.

Ma da allora nella sua vita era entrato un uomo che l’aveva fatta sentire di nuovo giovane, anche lui di successo come suo marito, ma che lei amava e desiderava. Mentre nuotava nella spettacolare piscina affacciata sul Mediterraneo, si era convinta che l’unico motivo per cui Roberto non le aveva mai detto che la amava era la consapevolezza che il loro era un amore senza speranza. Dopotutto, rifletteva, era una donna sposata, che non aveva alcuna intenzione di lasciare il marito – e questo l’aveva messo in chiaro sin da subito.

Ma… se fosse stata sola?

Tornata dalla Francia, aveva preso una decisione. Avrebbe chiesto il divorzio a Giovanni e, dopo un certo periodo di tempo, avrebbe sposato Roberto. Nel frattempo, con l’annuncio della separazione dal marito, sarebbe stata libera di girare il mondo al fianco del suo giovane amante. Basta scenate di gelosia di fronte alle fotografie sui giornali scandalistici in compagnia di altre donne. Lo voleva tutto per sé.

Dopotutto, doveva solo a lei il successo.

* * *

«Caro, oh, quanto mi sei mancato.»

Roberto gemette quando la lingua di lei sfiorò la sua in un bacio appassionato.

«Dimmi che mi ami» aggiunse, e il piacere svanì per un istante.

«Ti adoro» sussurrò lui, perso nel desiderio.

Iniziarono a spogliarsi velocemente, e Donatella sorrise dentro di sé.

Era tutto ciò che aveva bisogno di sentirsi dire.

Rosanna e Abi salirono sul palco della Scala insieme al resto della compagnia. Dopo tre settimane in sala prove, era la loro prima uscita in teatro.

«È enorme» sussurrò Rosanna nervosa, osservando l’immenso auditorium deserto.

«Mi sento un granello di sabbia» commentò Abi, altrettanto nervosa.

Rosanna guardava il grande lampadario sospeso a molti metri dal suolo e sognava a occhi aperti il giorno del suo debutto, quando Riccardo Beroli batté le mani e la riportò alla realtà.

«Cominciamo dal primo atto.»

Il coro prese posto e Rosanna vide Anna Dupré arrivare da dietro le quinte, conversando con Paolo de Vito. Avrebbe interpretato Adina nell’Elisir d’amore di Donizetti, l’opera di apertura della stagione. A Rosanna era stata assegnata la parte di Giannetta e doveva cantare soltanto una breve aria accompagnata dal coro femminile. Giorno dopo giorno aveva atteso che comparisse Roberto Rossini, che interpretava Nemorino. Anche se provavano da un mese, ormai, non si era ancora fatto vedere.

«Okay, cominciamo!» Il Maestro fece segno al pianista di partire.

Sei estenuanti ore più tardi, Rosanna e Abi uscirono dal teatro.

«Dio! Mi serve assolutamente qualcosa da bere» annunciò Abi, e prese a braccetto l’amica conducendola in un bar di piazza della Scala.

Si sedettero a un tavolo di fronte alla vetrina. Abi ordinò un bicchiere di vino e Rosanna un’acqua minerale.

«È stato tremendo» disse Rosanna sospirando forte. «Soprattutto quell’attesa lunghissima mentre sistemavano le luci.»

«Già. Di certo i protagonisti però non devono sottoporsi a questo supplizio. Anna Dupré è rimasta lì non più di un’ora, e ovviamente il grande Rossini non si è nemmeno disturbato a venire» disse Abi.

«Ho sentito che Paolo diceva ad Anna che Roberto ieri sera ha cantato a Barcellona.»

«Mi hanno detto che ha fatto un paio di prove private, e a quanto pare si farà vivo solo per quella in costume. È chiaro che non vuole mescolarsi con noi comuni mortali.»

«Non giudicarlo così severamente, Abi. Non lo conosci nemmeno.» Rosanna prese subito le difese di Roberto.

«No, non lo conosco, ma perfino tu sai che i suoi comportamenti sono ormai una leggenda alla Scala. Dicono che si sia “fatto” una delle coriste tra il pezzo del toreador e “Nous avons en tête une affaire” nell’ultima Carmen. E ha avuto comunque abbastanza fiato da cantare il gran finale!»

«Sei tremenda, Abi» disse Rosanna ridacchiando. «Sono sicura che sia un’esagerazione.»

«Probabilmente sì, ma una notte con Roberto Rossini potrebbe valere la pena. Ho sentito che è una furia sotto le coperte.» Abi sorseggiò il suo vino, godendosi l’espressione scioccata di Rosanna. «E poi, ormai devo abbandonare ogni speranza che Luca possa ricambiare i miei sentimenti, ora che si è fatto prete, perciò io e il mio cuore infranto ci meritiamo un po’ di conforto.»

«Mi dispiace, non avevo capito che avessi intenzioni serie con lui.»

«Oh, eccome.» Per un attimo Abi smise di sorridere. «Io ho perso e Dio ha vinto» mormorò. «Comunque è inutile piangere sul latte versato. A proposito, hai visto il tenore seduto accanto a me sulle scale?»

«Chi, quello che somiglia un po’ a Luca?»

«Gli somiglia un po’, è vero» disse Abi arrossendo. «Credo che sarà lui la mia prima vittima. Salute.» Alzò il bicchiere e finì il resto del vino.

Una settimana più tardi, con indosso i loro pesanti costumi, Rosanna e Abi si preparavano alla prova finale. Rosanna sentiva già il suono degli strumenti che venivano accordati e vide un paio di carpentieri che ancora piantavano chiodi sul palcoscenico.

Paolo radunò tutto il cast per un discorso.

«Okay, signore e signori, spero di arrivare in fondo senza pause, oggi. Proveremo a fare tutto di filato. Forza, posizioni di apertura, tutti quanti.» Paolo fece un cenno a Riccardo, che andò a prendere posto nella buca dell’orchestra.

Il coro aveva cantato appena un paio di versi quando si sentì urlare «Stop!» dalla platea. Ci vollero venti minuti perché il direttore artistico si ritenesse soddisfatto dei cambiamenti. Alla fine ricominciarono.

Quattro ore dopo Rosanna e Abi sedevano nelle prime file della platea a sorseggiare caffè da bicchieri di plastica, mentre aspettavano che Paolo li facesse proseguire con il primo atto.

«Bene, bene, bene, guarda un po’ chi ha deciso di degnarci della sua presenza» mormorò Abi.

Rosanna alzò lo sguardo e trasalì nel vedere Roberto Rossini che, sul palcoscenico, parlava con Paolo.

«Oddio, è bello, vero? Ops, devo andare. Tocca di nuovo al coro.»

Abi risalì sul palco e il coro cantò le ultime due battute prima di sparire dietro le quinte. A quel punto le luci si abbassarono e fu il turno di Roberto.

Si piazzò al centro del palco, sotto la luce dei riflettori. Cominciò a cantare “Una furtiva lagrima” e Rosanna rimase ad ascoltare, rapita.

Due giorni dopo Rosanna era pronta a salire sul palco, dove avrebbe cantato la prima parte da solista dinanzi al suo primo, vero pubblico pagante. Anche se conosceva le parole a menadito e l’aria non era difficile, si sentiva molto nervosa. Deglutì e si concentrò sulla respirazione, per provare a calmarsi. Dal pubblico si levò un applauso quando Roberto finì di cantare, e il tenore si avviò verso le quinte, proprio verso Rosanna. Lei pensò che le sarebbe passato davanti senza neanche notarla, e invece le si fermò proprio davanti. Aveva il respiro affannato e la fronte sudata.

«In bocca al lupo, signorina Menici» le sussurrò.

«Crepi» rispose lei timidamente.

Si chinò su di lei e le diede un bacio delicato sulla fronte. «Sarà un bellissimo esordio. Ora va’.»

Toccava a lei: ruppe gli indugi e salì sul palco.

Dieci minuti più tardi era già tornata nel camerino che divideva con un’altra solista. Il nervosismo era scomparso appena aveva cominciato a cantare, e gli anni di esercizi e di studio le avevano permesso di godersi l’atmosfera della sua prima serata dal vivo. L’applauso era stato caloroso e sapeva di aver cantato bene. E, cosa più importante, Roberto l’aveva notata. Si portò le dita alla fronte, toccando il punto in cui l’aveva baciata.

Un’ora dopo la compagnia salì sul palco per prendersi gli applausi del pubblico. Roberto e Anna vennero richiamati cinque volte, ma alla fine riuscirono a tornare nei camerini. Rosanna sorrise al suo riflesso nello specchio, imprimendosi nella memoria quel momento speciale, poi si cambiò d’abito e andò a cercare Abi nel camerino delle coriste.

«Rosanna, bravissima!» esclamò lei abbracciandola. «Hai cantato benissimo, lo pensano tutte. Ecco, ora hai fatto il tuo debutto alla Scala. Chissà che domani sul giornale non trovi anche una recensione.»

«Lo pensi davvero?»

«Chi lo sa! Non posso crederci che non ti sia comprata nulla di nuovo da indossare alla festa!» esclamò Abi. «Questo vestito nero è da buttare, ormai» sottolineò, sfilando dalla gruccia il suo nuovo abito rosso.

Rosanna ignorò il commento dell’amica. Non le interessavano i vestiti. Osservò Abi infilarsi l’abito, legarsi i capelli e ritoccare il trucco con gesti esperti. «Sei bellissima, Abi» disse con ammirazione.

«Grazie, cara. Forza, Cenerentola, andiamo prima che il divertimento sia finito.»

Si recarono all’ingresso del teatro dell’opera, già gremito di membri del cast e alcuni ospiti accuratamente selezionati tra il pubblico.

«Champagne, Rosanna?» Abi prese due bicchieri dal vassoio di una cameriera di passaggio.

«Grazie.»

«Che possa essere la prima di molte serate così!» disse Abi sorridendo. «Ehi, c’è “sua maestà” in persona, circondato da un pubblico adorante.»

Rosanna si voltò e intravide Roberto, seminascosto dalla folla.

«Sta parlando con mia zia. L’occasione perfetta. Forza, andiamo a presentarci.» Abi prese la mano dell’amica.

«No, non stasera. Cioè, c’è così tanta gente, è troppo impegnato» protestò Rosanna, di colpo sopraffatta dalla timidezza.

«Sì, be’, però facciamo parte della stessa compagnia, anche se il signor Rossini si comporta come se vivesse su un altro pianeta.»

Abi si fece largo con determinazione nel mare di persone, con Rosanna che la seguiva di malavoglia. Poco prima di raggiungere il gruppetto che circondava Roberto, Rosanna fu intercettata da una figura familiare.

«Ciao, Paolo» disse con sollievo.

«Ciao, Rosanna. Senti, perché non ti unisci a noi?»

Con grande disappunto di Abi, Paolo prese sottobraccio Rosanna e la trascinò via. Lei fece spallucce e continuò a farsi strada in direzione di sua zia e Roberto.

«Allora, com’è stata la tua prima serata da solista nella compagnia?» chiese Paolo.

«Meravigliosa» mormorò lei, senza fiato.

«Hai cantato molto bene, Rosanna. È stato un debutto perfetto. Ora dimmi, onestamente, avresti voluto essere al posto di Anna Dupré, stasera?»

«Be’, certo» ammise lei.

«Vista la tua esibizione appena conclusa, sono certo che non ci vorrà molto. E Riccardo dice che stai facendo grandi progressi durante le lezioni. Le prove per i personaggi minori iniziano giovedì. Lavora sodo, Rosanna, è un’ottima occasione per perfezionare i ruoli che un giorno interpreterai.»

«Lo farò, Paolo» promise lei.

«Senti» proseguì Paolo abbassando la voce «c’è un signore, laggiù, che temo non veda l’ora di conoscerti. È un gran benefattore della nostra scuola, e dato che l’anno scorso sei stata l’allieva migliore, credo che sarebbe bene che ti presentassi. Saresti così gentile da seguirmi?»

Rosanna annuì e si avviò dietro il direttore artistico.

Abi attirò l’attenzione della zia con un colpetto sulla spalla, e Sonia si voltò e baciò calorosamente la nipote sulle guance.

«Cara, congratulazioni. Eri bellissima con quel costume» disse con un sorriso. «Conoscerai sicuramente Roberto Rossini, no?»

«No» fece Abi, guardandolo sfrontata negli occhi. «Anche se siamo nella stessa compagnia, non ci hanno mai presentati ufficialmente.»

«Be’, Roberto,» disse Sonia «lei è Abigail Holmes, mia nipote. Sono convinta che un giorno sarà una grande star.»

«È un piacere conoscerla, signorina, anche se l’ho già vista prima» rispose lui. «Non ha cantato anche lei allo spettacolo di beneficenza nella chiesa della Beata Vergine Maria?»

«Ma che memoria prodigiosa, Roberto» cinguettò Sonia.

«Non mi dimentico mai un bel faccino» rispose lui con un ghigno da lupo. «Eri seduta accanto a Rosanna Menici.»

«Sì, infatti.»

«Ha cantato splendidamente la sua aria, stasera. È qui nei paraggi, per caso?»

«Sì, è da qualche parte con Paolo, laggiù.» Abi era infastidita dall’interesse dimostrato da Roberto nei confronti di Rosanna.

Notando la sua espressione, Roberto si sentì in dovere di spiegarsi: «Sa, la conosco da quando era una bambina. Anzi, si può dire che sono stato io a scoprirla. Aveva una voce straor­dinaria, ma sono certo che si possa dire altrettanto di lei, signorina Holmes.»

Il modo in cui Roberto pronunciò il suo cognome le fece venire un brivido lungo la schiena, ma prima che potesse rispondere, sentì una mano sul braccio.

«Perdonami, cara, ma devo farmi vedere in giro» la interruppe Sonia. «Prenditi cura di lei per me, Roberto.»

«Ma certo.» Lui si inchinò galante per salutare la donna, poi guardò Abi. «Un bicchiere di champagne, signorina Holmes?»

«Molto volentieri, grazie. E la prego, mi chiami Abi.»

Roberto prese un bicchiere dal vassoio di un cameriere e glielo porse. «Dunque, Abi, mi parli un po’ di lei.»

* * *

Un’ora dopo Rosanna riuscì a districarsi da una situazione che minacciava di farsi difficile. Il mecenate, un uomo anziano con un luccichio lascivo negli occhi, aveva cominciato ad accarezzarle la schiena mentre parlavano. Aveva addirittura avuto la sfrontatezza di posarle una mano sul sedere. Ora che finalmente era riuscita ad allontanarsi, con la scusa di dover andare in bagno – l’unico posto dove sapeva che non avrebbe tentato di seguirla – Rosanna cercò Abi tra la folla. Vide Sonia e andò da lei.

«Mi scusi, signora Moretti, ha visto Abi da qualche parte?»

«No, è mezz’ora che la cerco. Parlava con Roberto, ma…» si guardò intorno «sembra che si sia volatilizzata. Forse è già tornata a casa, mia cara.»

«Oh, no, me l’avrebbe detto…»

«Forse era stanca. Vai anche tu, sono certa che la troverai lì.» Sonia le sorrise, poi si voltò per parlare con un ospite.

Quando Rosanna arrivò a casa, non c’era nessuno. Si mise a letto e pensò che era molto strano che Abi non le avesse detto dove andava.

Abi osservò la figura dell’uomo al suo fianco. Dopo aver fatto l’amore con lei con sorprendente delicatezza, Roberto si era subito addormentato. E lei non sapeva se doveva andarsene o meno.

Non aveva fatto resistenza quando lui le aveva chiesto di accompagnarlo nella sua casa di via Manzoni. Aveva cominciato a baciarla sulla limousine e, quando erano arrivati all’appartamento, erano riusciti a stento ad arrivare al letto. Abi sospirò tra sé nel buio. Il dolore improvviso per la perdita della verginità era stato rapidamente rimpiazzato dall’ondata di piacere e dall’esaltazione per il fatto che Roberto avesse scelto proprio lei quella sera. Per un attimo la sua mente corse a Rosanna. Si mordicchiò il labbro immaginando quanto sarebbe rimasta delusa, ma alla fine cadde in un sonno profondo, senza sogni.

 

16

 

«Scusa, cos’hai detto?»

«Hai sentito benissimo. Ti lascio.» Donatella continuò con calma a mangiare il suo tiramisù, seduta all’altro capo del tavolo.

«Sei fuori di testa?» esplose Giovanni. «Ci mettiamo a cena normalmente e, arrivati al dessert, mi annunci una cosa del genere come se mi chiedessi di comprarti un vestito nuovo?»

«Non volevo rovinarti l’appetito, caro» rispose.

Giovanni sbatté il cucchiaio sul tavolo. «Non trattarmi come un bambino!» gridò. «Chi è?»

«Non capisco cosa intendi.»

«Presumo che l’unico motivo perché tu voglia lasciarmi è che mi metti le corna con un altro.»

«Ti prego, Giovanni, non usare un linguaggio del genere a tavola.» Il tono di Donatella era derisorio, cosa che contribuì a far infuriare ancora di più il marito.

«Io parlo come mi pare, perdio! È casa mia e posso dire ciò che voglio, se mi va. Così come posso proibirti di lasciarmi.» Giovanni era paonazzo.

«Ti prego, caro, cerca di non perdere la calma» lo placò lei. «Mi spiace se tutto questo ti giunge nuovo, ma credevo che l’avessi capito, ormai.»

«Donatella, sono anni che sono a conoscenza dei tuoi molteplici amanti. Ho fatto finta di non vederli, così come tu hai fatto con me. È questo il nostro matrimonio, e finora ha funzionato bene. Perciò posso solo presumere che l’unico motivo per cui vuoi che ci separiamo è che vuoi andare a vivere con un altro.»

«Sei davvero molto perspicace, Giovanni» commentò Donatella sarcastica. «E dopo, quando sarà il caso, chiederò il divorzio.»

«Che cosa?!» Giovanni la fissava a bocca aperta. «In nessun caso ti concederò il divorzio. Tu… tu sei mia moglie! È del tutto fuori questione. La nostra posizione a Milano, la mia reputazione…»

«Non essere così all’antica, caro. Sì, qualche anno fa il divorzio non era neanche un’opzione, ma oggi, be’,» si strinse nelle spalle con nonchalance «molti nostri amici l’hanno già fatto. Non è più un tabù.»

«Per me sì.» Giovanni capì finalmente che sua moglie faceva sul serio. «Ma perché, Donatella? Perché sottoporci a questo calvario? Sai quanto le cose si complicheranno, i media ci andranno a nozze. Siamo personaggi molto noti qui a Milano. Perché non possiamo andare avanti come sempre? Puoi avere tutta la libertà che desideri.»

«Davvero? Anche quella di vivere con un altro?» chiese piano, esaminandosi le lunghe unghie rosse.

Giovanni ricadde sulla sedia e studiò la moglie in silenzio, poi sospirò. «Capisco, alla fine ti sei innamorata di uno di loro.»

«Sì.»

«Non ha importanza.»

Determinato a riaffermare la propria autorità, Giovanni si alzò, si pulì la bocca con il tovagliolo e lanciò un’occhiata gelida alla moglie. «Ti avverto, Donatella. Non ti permetterò di umiliarmi sotto gli occhi di tutta Milano. La questione è chiusa. Resterai qui e ti dimenticherai di quest’idea ridicola.»

«Oh, credo proprio che accetterai il mio volere.» Donatella sapeva di avere in mano la carta vincente, ed era il momento di giocarla. «Dopotutto, sono certa che tu non voglia che le autorità italiane vengano a sapere dello squisito disegno che, in questo momento, se ne sta appeso nella villa newyorkese di un ricco texano, né dei milioni di dollari che riposano grazie a lui in un conto in banca svizzero a te intestato.»

Giovanni guardò la moglie stringendo le palpebre. «Posso ricordarti chi è stato a portarmi quel disegno? Chi è stato a mentire all’ingenuo prete, dicendogli che non valeva nulla? E chi ha ricevuto un regalo da un milione di dollari per festeggiare la vendita?» Giovanni rise amaramente e scosse la testa. «Oh, no, Donatella, tu non andrai da nessuna parte, perché ci sei dentro fino al collo come me.»

«Sì, caro, ma ricordati che non solo sono un’ottima attrice, ma sono anche molto più bella di te. Credo che apparirei benissimo, sui giornali, come moglie raggirata di un criminale e traditore della patria.» Si mise il dorso della mano sulla fronte e alzò gli occhi al cielo, fingendo un improvviso capogiro.

Giovanni rimase in silenzio, con la bocca aperta, incredulo.

Donatella si alzò. «Caro, non c’è fretta. Domani tu parti per un mese. Riflettici su e, quando tornerai, ne riparleremo. Non sarò avida. Certo, voglio questa casa e una buona rendita, ma sarò felice di dichiarare che ci separiamo per colpa di un tuo tradimento. Mi rendo conto che l’orgoglio maschile vuole la sua parte. Buonanotte, caro. Fai buoni affari a New York.»

Donatella uscì dalla stanza, lasciandosi dietro una scia di Joy, il profumo che si metteva sempre. A Giovanni non era mai piaciuto, sebbene costasse una fortuna. Ora quell’odore gli faceva venire il voltastomaco.

Lo teneva in pugno, e lo sapeva. Se si fosse rivolta alle autorità, la sua reputazione, i suoi affari, la sua vita sarebbero andati in rovina.

Donatella aveva dato per scontato, giustamente, che lui non avrebbe voluto correre rischi. E se era pronta a sottoporsi a un divorzio che avrebbe danneggiato entrambi, significava che aveva perso completamente il senno, oppure si era veramente innamorata.

Giovanni andò nel suo studio. In piedi dietro l’enorme scrivania di mogano, troppo agitato per sedersi, controllò un numero di telefono nel suo schedario e sollevò la cornetta. Il primo passo era scoprire chi fosse il suo amante. Donatella pensava di essere furba, ma le avrebbe dimostrato che l’aveva sottovalutato. Era un uomo potente, con amici potenti. Ed era giunto il momento di usarli.

Rosanna si era abituata con sorprendente facilità alla sua nuova vita di membro della compagnia operistica. Si divertiva alle esibizioni ed era contenta di avere l’opportunità di studiare e imparare dalle cantanti con cui lavorava. Quando non era in scena o alle prove, andava a lezione di canto o si esercitava per conto proprio su un nuovo ruolo. Le sessioni settimanali con Riccardo Beroli si stavano rivelando preziose. Il direttore d’orchestra, per quanto lunatico e irascibile, era anche un genio della musica, e le insegnava piccoli trucchi del mestiere, come pronunciare le parole di una melodia particolarmente difficile in modo da far sembrare le note più lunghe e piene di quanto non fossero in realtà.

Ogni giovedì pomeriggio Rosanna partecipava alle prove dei sostituti, cosa che le dava la possibilità di cantare e fare pratica con i movimenti dei ruoli principali sul palco. Con il procedere della stagione e l’aggiunta graduale di opere al suo repertorio, Rosanna si rese conto che Paolo ci aveva visto giusto. Cantare sul palco con addosso jeans e felpa, accompagnata solo da un pianoforte, poteva non essere bello come esibirsi in costume, con un’intera orchestra, davanti a duemila persone, ma le permetteva di non commettere errori. Cantare un’aria per un paio di minuti era una cosa, ma imparare a interpretare un ruolo difficile e cantare per tre ore di fila era tutto un altro paio di maniche.

A volte aveva la sensazione di dover fare troppe cose tutte insieme. Non solo doveva ricordarsi le parole, le note e i movimenti sul palco, ma doveva anche imparare a dare vita al personaggio. Come Riccardo non si stancava mai di dirle, le grandi dive della lirica non avevano solo voci sbalorditive, ma erano attrici consumate in grado di smuovere l’emotività del pubblico.

Di tanto in tanto Rosanna riusciva a fare le cose alla perfezione, quando tutti gli ingredienti si combinavano nel miglior modo, e Paolo diceva che la “magia” era avvenuta. Viveva solo per quei momenti, ma sapeva di dover ancora impegnarsi parecchio perché si verificassero regolarmente.

Era metà maggio e Rosanna era sul palco a cantare il difficile duetto “Vogliatemi bene”, tratto dal finale del primo atto della Madama Butterfly. Senza farsi vedere, Paolo aveva raggiunto Riccardo in prima fila, in platea; insieme ascoltarono in silenzio la voce di Rosanna toccare un Do alto purissimo.

«Sta migliorando, vero?» disse Riccardo.

«Sta acquisendo esperienza, capacità di sostenere il palco, e cosa più importante di tutte, maturità. Dalla velocità con cui migliora, direi che ci sono buone possibilità di vederla debuttare con La Bohème, a dicembre prossimo» rispose Paolo.

«È il nostro tesoro, eh?» rifletté Riccardo ad alta voce. «La nostra scoperta, nata e cresciuta qui alla Scala.»

«Sì, anche se ovviamente non dobbiamo dimenticare Roberto Rossini.»

«Qualcuno ha pronunciato il mio nome?»

Paolo si alzò. «Roberto, ciao.»

Roberto sembrava irritato. «Dovevamo vederci nel tuo ufficio alle tre. La tua segretaria mi ha detto che eri qui, perciò sono venuto a cercarti. Devo partire per Copenaghen tra due ore.»

«Scusami, Roberto, ho perso la cognizione del tempo.»

Roberto, però, ormai fissava rapito il palco. «Quella è Rosanna Menici.»

«Sì. Studia i ruoli femminili, è il rincalzo di questa stagione.»

«Me l’hanno detto. Che voce… Ma il tenore che fa Pinkerton è tremendo. Lascia che sia io a cantare con lei, per farle sentire come dovrebbe essere.»

Prima che Riccardo o Paolo potessero protestare, Roberto era già salito sul palco.

«Fermati» ordinò al pianista.

Rosanna e Fabrizio Barsetti, il giovane che interpretava Pinkerton, si interruppero sorpresi, e guardarono Roberto Rossini salire sul palcoscenico.

«Perdonami, ma la signorina Menici e io siamo vecchi amici. Ti dispiace se prendo il tuo posto nel duetto d’amore?»

Il giovane tenore non poté che farsi da parte.

«Riprendiamo dalle ultime due battute di “Viene la sera”.» Si voltò verso Rosanna e sorrise, prendendole le mani. «Non avere paura. Canta come hai sempre cantato, vienimi dietro» sussurrò. «Okay» disse poi rivolto al pianista. «Attacca.»

Roberto cominciò a cantare e, quando toccò a lei, Rosanna si unì.

Riccardo e Paolo rimasero incantati. Le due voci, una esperta e potente, l’altra fresca e giovane, si combinavano in maniera incantevole. Ed erano perfetti insieme, lei così delicata, lui così virile, uno di fianco all’altra sul palco vuoto.

«Magico» sussurrò Paolo estasiato. Era convinto che la voce di Rosanna fosse la sua scoperta più grande, e adesso, nel vederla rispondere a Roberto, per nulla emozionata di duettare con un tenore così famoso, capì che stava anche acquisendo la sicurezza necessaria per calcare i più grandi palchi del mondo.

Mentre le note finali del duetto ancora riecheggiavano nella sala deserta, Rosanna e Roberto rimasero a guardarsi, apparentemente ignari del mondo che li circondava.

Riccardo strinse il braccio di Paolo. «Dobbiamo farla cantare con lui. Insieme sono magnifici.»

«In effetti avevo intenzione di parlargli della Bohème, oggi pomeriggio» fece Paolo.

«Stai imparando, piccola mia» disse Roberto. Rosanna era rossa in viso per l’emozione. «Forse serve un po’ più di vibrato sull’ultima nota, ma a parte questo… be’, sei una vera professionista. Perdonami, ora, devo andare, Paolo mi aspetta.» Sorrise e baciò la mano di Rosanna, dopodiché scese dal palco e fece un cenno a Paolo. «Ci sono. Ora parliamo. Ciao, Riccardo.»

I due uomini si allontanarono, uscendo dall’auditorium.

«Presumo che tu abbia già previsto un avvenire luminoso per la signorina Menici» disse Roberto mentre salivano le scale diretti nell’ufficio di Paolo.

«Diciamo solo che riconosco il suo potenziale.»

Roberto si fermò a metà scalinata. «Promettimi che, quando le affiderai il suo primo ruolo da protagonista, accanto a lei ci sarò io.»

Paolo prese la palla al balzo. «A questo proposito ne ho già parlato con il tuo agente, Roberto. Vorrei che tu e Rosanna apriste la prossima stagione nei panni di Rodolfo e Mimì.»

«Perfetto! Insieme sapremo tirare fuori il meglio l’uno dall’altra.»

Paolo si incupì leggermente nel notare la scintilla di eccitazione nello sguardo del tenore. «Certo» rispose, ricominciando a salire le scale verso l’ufficio.

Dopo le prove di quel pomeriggio, Rosanna e Abi tornarono a casa insieme: Rosanna ancora pervasa dall’adrenalina dopo aver cantato con Roberto, l’amica, invece, insolitamente taciturna.

«Caffè?» chiese Rosanna appena arrivate a casa.

«No, grazie. Credo che andrò a letto presto» rispose Abi.

«Ti prego, Abi, dimmi perché sei così triste. È per via di Roberto?»

«No, io… oh, sì, sì…» Abi scoppiò a piangere e si sedette sul divano.

Rosanna si mise accanto a lei, con un braccio sulle spalle. Quando Abi le aveva confessato che aveva una relazione con Roberto, Rosanna ci era rimasta malissimo, ma in qualche modo era riuscita a soffocare i propri sentimenti per il bene della loro amicizia, convincendosi che il suo interesse nei confronti di Roberto Rossini fosse solo di carattere professionale e che il modo in cui trattava le donne lo rendesse indegno dei suoi sentimenti. Eppure, per quanto ci avesse provato, trovava ancora difficile parlare di questo con Abi.

«Pensavo che fossi felice, Abi» riuscì a dire. «Che cosa è successo?»

«Niente. È questo il punto. All’inizio andava tutto bene. Quando era a Milano veniva a prendermi a teatro dopo le prove e andavamo a casa sua. Ma dopo la Pasqua ha cominciato a ignorarmi.» Abi si asciugò gli occhi.

«Lo sapevi che tipo era, Abi. Me l’hai detto tu stessa che non ti sarebbe importato se fosse finita, che volevi solo godertela finché durava.»

«Sì, sì, lo so, sono proprio una stupida. Mi ero ripromessa che non avrei fatto la fine delle altre, che non avrei perso la testa per lui, e invece… Oh, Rosanna, credi che abbia un’altra?»

«Non lo so» rispose lei con sincerità. Voleva confortare l’ami­ca, ma probabilmente il suo sospetto era più che fondato. «Ti prego, smetti di piangere. Lo dimenticherai presto. Troverai qualcun altro.»

«Scusa se te lo dico, Rosanna, ma non hai mai avuto una cotta, vero? Non sai cosa si prova.»

«No, hai ragione. Posso solo dire che quell’uomo sarà anche un miracolo sul palco, ma in fatto di cuore è davvero un… un bastardo!»

L’ombra di un sorriso comparve sul viso di Abi. «Hai imprecato, Rosanna!»

«Sì, be’, credo che per una volta Dio mi perdonerà. Abi, io non sono un’esperta in fatto di uomini, ma questa cotta ti passerà. Dopotutto mi hai detto di amare mio fratello Luca solo qualche mese fa. L’hai forse dimenticato?» le ricordò.

«Be’…» Per un attimo il volto di Luca comparve davanti agli occhi di Abi, che scosse la testa per scacciarlo. «È proprio da me innamorarmi di un uomo fuori dalla mia portata.» Poi, notando l’espressione preoccupata di Rosanna, disse: «Oh, hai ragione. Sono sicura che la supererò. E qualsiasi cosa tu pensi, per Roberto non provo quello che provavo per tuo fratello. Mi sento usata, e il mio orgoglio è ferito, tutto qui. Ma non vale la pena fare affidamento su Roberto, vero? È proprio un vigliacco ma, quando sono con lui, è come se fossi l’unica donna al mondo. Ti fa sentire così… speciale».

«E tu lo sei, non c’è bisogno che te lo dica Roberto. Ora preparo un po’ di caffè, poi continuiamo a parlare, d’accordo?»

«Okay. Grazie, Rosanna.»

«Non ringraziarmi. Siamo amiche.»

Più tardi, invece di mettersi a letto, sognare Roberto e ripensare a come l’avesse fatta sentire durante le prove con lei quel pomeriggio, Rosanna si costrinse invece a pensare agli arpeggi.

Il giovedì successivo si presentò alle prove e trovò Roberto sul palcoscenico.

«Il signor Rossini crede che ti sarebbe d’aiuto lavorare sulla Butterfly insieme a uno dei protagonisti.» Riccardo notò subito l’incertezza di Rosanna. «È un problema per te?»

«Oh, no, certo che no. Il signor Rossini è stato molto gentile a offrirsi di aiutarmi» rispose irrigidita.

«Okay, cominciamo!»

Due ore dopo, concluse le prove, Rosanna si appartò per riporre gli spartiti nella loro custodia.

«Te ne vai?» chiese Roberto.

«Sì. Voglio mangiare qualcosa prima del concerto di stasera.»

«Posso accompagnarti?»

«No, mi vedo con una persona. Scusami.»

Roberto la vide uscire quasi di corsa. Era trascorso parecchio tempo dall’ultima volta che una donna l’aveva respinto. Si adombrò, confuso, riflettendo sul perché Rosanna Menici lo affascinasse così tanto. Era dotata di grande autocontrollo e non sembrava affatto intimidita da lui. Anzi, era stata perfino un po’ maleducata.

«Si tratterrà ancora a lungo, signor Rossini? La ditta di pulizie vorrebbe cominciare» disse il responsabile di sala.

«No, no, vado.» Roberto andò nel suo camerino, aprì la porta e rimase sorpreso quando trovò Donatella seduta sul divanetto.

«Caro.» Si alzò, gli buttò le braccia al collo e gli stampò un bacio sulla bocca.

«Perché sei qui?» chiese brusco lui.

«Ho bisogno di un motivo?» La mano di lei scivolò subito verso la patta dei pantaloni.

Roberto tentò di allontanarla. «Ho da fare, Donatella. Stasera mi esibisco e…»

Lei gli abbassò la zip e infilò la mano dentro.

«Possono aspettare» sussurrò.

Roberto gemette e, maledicendosi per la sua debolezza, smise di opporre resistenza.

Donatella uscì dalla porta di servizio del teatro. La macchina fotografica scattò cinque volte. Due minuti più tardi, anche Roberto Rossini uscì dalla medesima porta. Altri scatti. Il fotografo sorrise. Era la prova definitiva. La settimana precedente aveva scattato altre foto della donna che usciva dall’appartamento del tenore. Salì sull’auto, e partì verso il laboratorio fotografico.

La busta atterrò sullo zerbino davanti alla porta di una casa di New York pochi giorni più tardi.

Giovanni Bianchi studiò con interesse quelle immagini. Così, sua moglie aveva perso la testa per Roberto Rossini.

Quella scoperta lo sorprese. Tutte le donne d’Italia erano innamorate di lui, e non riusciva a immaginarselo fare favoritismi.

Forse Donatella era soltanto infatuata, o forse era la menopausa a offuscare il suo giudizio. Roberto Rossini era molto più giovane di lei. Era chiaro che si stesse solo illudendo.

In ogni caso era giunto il momento di mettere Rossini in condizione di non nuocere.

 

17

 

Una limpida mattinata di luglio, Paolo aspettava l’arrivo di Roberto per parlare con lui della stagione successiva. Bussarono alla porta.

«Avanti.»

«Scusa, sono in ritardo, non riuscivo a svegliarmi.» Roberto salutò Paolo con un cenno del capo e si sedette. «È possibile avere un caffè?»

«Ma certo.» Paolo, nascondendo l’irritazione, chiamò la segretaria perché provvedesse. «Dobbiamo parlare del programma dei prossimi sei mesi, Roberto. So che ad agosto vai a Londra per esibirti nella Traviata, e che a settembre ti prendi il tuo solito mese sabbatico. Poi ti aspettano altre tre settimane di spettacoli al Covent Garden e la registrazione dell’Ernani per la EMI.»

Roberto annuì.

«Quindi sarai disponibile per le prove della Bohème soltanto verso metà novembre?»

Roberto annuì ancora. «Sì. E, dopo Parigi a febbraio, sarò di nuovo qui per interpretare il Duca nel Rigoletto, giusto?»

«Sì, dovrai essere qui un po’ prima per le prove preliminari. Stanno costruendo uno scenario nuovo e devi prenderci confidenza.»

«Ci sono molti gradini?»

«Sì, molti» confermò Paolo.

«Poi credo che andrò a New York per la Tosca e poi c’è un concerto a Central Park, ma dovrai chiedere conferma delle date al mio agente.»

«Naturalmente. Lo chiameremo domattina.»

Il telefono squillò. «Scusami» disse Paolo e rispose. «Che c’è? Ti ho detto mille volte di non disturbarmi… capisco. Allora passamela. Anna, buongiorno.» Si scusò sorridendo. Un istante dopo il sorriso gli morì sulla faccia. «Hai preso cosa? Ne sei sicura? No, certo che no. Dobbiamo solo riorganizzare le cose. Prenditi cura di te, ti chiamo domani mattina. Sì, certo che capisco. Ciao, cara.» Paolo riagganciò e fece una smorfia.

«Che problema c’è?» chiese Roberto.

«Il problema è che la nostra Madama Butterfly si è presa la scarlattina.»

«La scarlattina?»

«Già. Sua figlia l’ha avuta due settimane fa. Ovviamente questo significa che non potrà venire stasera, né per il resto della settimana, a meno che non vogliamo far ammalare il resto della compagnia. Scusami, Roberto, ma devo chiamare Riccardo. È in teatro con l’orchestra e non ne sarà contento.» Paolo alzò il telefono e dieci minuti dopo arrivò Riccardo, col fiato corto. Si sedette e guardò Roberto, aspettandosi che se ne andasse.

«Voglio sapere chi sceglierete. Stasera canterò con lei…» si giustificò Roberto restando seduto.

«Va bene. Credo Cecilia Dutton potrebbe prendere il posto di Anna» disse Riccardo.

«Ha uno spettacolo a Parigi, stasera» gli ricordò Paolo.

«Ivana Cassall, allora. O Maria Forenzi?» suggerì Riccardo.

«La Forenzi è una possibilità, ma…»

«No che non lo è. È troppo anziana. Fatica a ricordarsi le parole. Mi rifiuto di esibirmi con lei» disse Roberto.

Per cinque minuti Paolo e Riccardo proposero varie possibilità, ma Roberto le respinse tutte. Alla fine, esaurite le opzioni, rimasero in silenzio, sconfitti. Fu Roberto a rompere l’imbarazzo.

«Signori, ce l’ho io la risposta.»

I due uomini lo guardarono confusi.

«Ah sì?»

«Ma certo. Non è ovvio? Sarà Rosanna Menici a interpretare la Butterfly, stasera. È la riserva, dopotutto, ed è a questo che servono le riserve, no? Ha provato con me per settimane, perciò conosce bene la parte. E ci sarò io ad aiutarla.»

«Assolutamente no» disse Paolo in tono secco. «Non l’abbiamo preparata con cura per tutti questi anni per poi mandarla allo sbaraglio in un ruolo del genere. La Butterfly è per una cantante matura, esperta. Potrebbe essere un disastro.»

«La Butterfly in teoria è una quindicenne» gli ricordò Roberto. «Se se la cava, come sono sicuro che farà, in un certo senso è anche meglio che farla debuttare con La Bohème. Pensa alla pubblicità che otterrebbe.»

«Pensa alle critiche» gemette Paolo. «Riccardo, tu che ne pensi?»

Riccardo fece un bel respiro. «Penso che non abbiamo alternative. È troppo tardi per far arrivare qualcuno da fuori. O chiamiamo Rosanna o cancelliamo la serata. Il mio istinto mi dice che non ci deluderà. Magari è un segno del destino» disse stringendosi nelle spalle.

«Sbaglio o c’è una cospirazione contro di me?» Paolo guardò prima Roberto poi Riccardo, valutando la situazione. Si grattò il mento, pensieroso. «Fatemi fare una telefonata a Cecilia. Se è già partita per Parigi, allora dirò a Rosanna che stasera tocca a lei.»

«Magnifico! Non te ne pentirai.» Roberto saltò in piedi elettrizzato. «Di’ a Rosanna che oggi pomeriggio sarò disponibile per provare qualsiasi parte lei desideri.» Salutò con un cenno del capo e uscì.

Paolo guardò intensamente Riccardo. «Ha ragione?»

«Credo di sì.»

Paolo picchiettò la matita sulla scrivania. «Tutto questo interesse per Rosanna… è solo professionale, vero?»

«Sembra di sì. Quando lavora con lei, è un perfetto gentiluomo.»

«Lo è sempre, prima di sferrare l’attacco» mormorò Paolo.

«La cosa più importante è che Rosanna non sembra minimamente interessata a lui» aggiunse Riccardo.

«Be’, spero che sia così per il suo bene, perché se Roberto Rossini le torce anche solo un capello, io…»

«Paolo, comprendo quanto sia importante Rosanna per te, ma non sono affari tuoi quello che i cantanti fanno nella loro vita privata.»

«Lo so benissimo, Riccardo» rispose Paolo asciutto. «Dài, lasciami fare questa telefonata.»

* * *

A mezzogiorno Abi rispose al telefono.

«Pronto?»

«Abigail, sono Paolo. C’è Rosanna?»

«Sì, ma è sotto la doccia. Devo dirle qualcosa?»

«No, credo che faresti meglio a dirle di venire al telefono.»

«Okay.»

Poco dopo Rosanna prese la cornetta. «Che succede, Paolo?»

Abi vide l’amica impallidire.

«Okay, allora ci vediamo alle due in teatro, d’accordo? Ciao.» Rosanna riagganciò e si buttò sulla poltrona.

«Che diavolo succede? È morto qualcuno?» chiese Abi.

«No.»

«Allora cosa? Hai un aspetto orribile.»

Rosanna inspirò profondamente, poi guardò l’amica. «Stasera canterò Madama Butterfly alla Scala.»

Rosanna sedeva davanti allo specchio mentre la truccatrice la trasformava in Cio-Cio-San, la ragazzina giapponese. Era disorientata, non riusciva a pensare lucidamente. Non si sentiva nervosa, o eccitata – no, non provava nulla. Guardò il grosso mazzo di rose rosse sulla toeletta.

Rosanna,

ci sarò io con te,

Roberto.

P.S. Ho pagato la claque per te.

Rosanna non poté fare a meno di sorridere. Roberto era stato magnifico durante le prove del pomeriggio: calmo, premuroso e ansioso di aiutarla. Se non fosse stato per come si era comportato con Abi, Rosanna si sarebbe completamente abbandonata ai sentimenti che provava per lui. Ma qualsiasi cosa fosse successa quella sera sul palco, giurò a se stessa che Roberto Rossini non l’avrebbe conquistata.

«Come ti senti con la parrucca?»

«Scusami?»

«Ti ho chiesto se sei a tuo agio con la parrucca.»

Rosanna dovette abbandonare quei pensieri per rispondere alla truccatrice.

«Sì, sì.»

«È un po’ troppo grande, ma ci ho messo così tante forcine che non si sposterebbe neppure con una tromba d’aria» disse la truccatrice ridendo. «Bene, ti lascio sola. In bocca al lupo, signorina.»

«Crepi.»

Un minuto dopo bussarono alla porta. «Sono Paolo.»

«Entra pure.»

«Come ti senti?» chiese lui aprendo la porta.

«Bene, credo.»

«Ottimo. Sembri calma, in effetti. Sono venuto ad accompagnarti dietro le quinte. Riccardo vuole vederti prima di cominciare.»

Rosanna si alzò, diede un’ultima occhiata nello specchio e seguì Paolo in corridoio, fino alle ampie quinte dove la attendeva Riccardo, che la baciò sulle guance.

«Rosanna, ti terrò d’occhio dalla postazione dell’orchestra. Se ti serve aiuto, guardami. Sei nervosa?»

«No. È strano, ma non mi sento affatto nervosa.»

«Benissimo. Conosci la parte alla perfezione. Sarai senz’altro all’altezza, cara.»

«Farò del mio meglio, Riccardo, lo prometto.»

«Ora vado, devo accogliere un tuo amico speciale» disse Paolo.

«Chi?»

«Aspetta e vedrai» disse Paolo facendole l’occhiolino.

Dopo dieci minuti ebbe inizio l’opera. Intorno a Rosanna tutti si agitavano, apportando correzioni dell’ultimo minuto al costume o al trucco, ripassando la parte, scaldandosi, ma lei non li vedeva neppure. Quella era la serata che sognava da sempre e ciò nonostante si sentiva lontana, come se non stesse accadendo davvero a lei.

Partì la musica che segnalava la sua entrata. Rosanna formulò una preghiera veloce, si preparò e uscì sul palcoscenico della Scala.

Luigi Vincenzi, seduto accanto a Paolo, osservava quella figura esile e fragile. La naturalezza del suo canto, combinata alla gioventù e alla vulnerabilità, la rendeva la migliore Butterfly che avesse mai visto. Rosanna aveva presenza scenica, magnetismo. Era raro che il pubblico della Scala rimanesse in silenzio perfetto, ma in quel momento tutti gli occhi erano puntati su di lei e la tensione era palpabile, come se duemila persone stessero trattenendo il fiato. Le imperfezioni tecniche non mancarono, ma erano errori di poco conto. Luigi sentì le lacrime scendergli lungo le guance. La sua Rosanna, la ragazza che aveva scoperto e istruito personalmente, stava facendo un figurone. La sua interpretazione sarebbe entrata nella storia.

Quando i mazzi di fiori ricaddero ai piedi di Rosanna, Paolo tirò un sospiro di sollievo. Gli applausi e i «Brava!» riecheggiavano nel teatro. Il pubblico era tutto in piedi, entusiasta per la nascita di una nuova stella. Non era questo l’esordio che Paolo aveva immaginato per Rosanna, tuttavia non avrebbe potuto chiedere di più. Si voltò verso Luigi, che tormentava il fazzoletto con cui si era asciugato gli occhi. Senza dire una parola i due si strinsero in un abbraccio.

Rosanna, davanti al sipario, osservava la pioggia di fiori ricadere sul palco e si godeva le urla entusiaste. Non riusciva a immaginare di aver cantato una nota, figurarsi nella giusta tonalità. Come un robot lasciò che Roberto la guidasse più volte nell’inchino di ringraziamento.

E poi tutto finì; la compagnia si congratulò con lei, avvicinandola da ogni parte per dirle che era stata incredibile. Rosanna, stordita, fece ritorno in camerino, aprì la porta e trasalì quando vide la persona che la aspettava.

«Luigi!» Gli si buttò tra le braccia e cominciò a singhiozzare.

«Oh, Rosanna, è davvero così terribile rivedermi?» ridacchiò dandole dei colpetti sulle spalle.

«No, certo che no. Sono così felice che tu sia venuto. Non… non so neanche perché piango.»

«È la tensione che si allenta.» Paolo aveva seguito Luigi in camerino. «Era fin troppo calma prima di cominciare, Luigi. Ma mi sono preoccupato per nulla.»

Rosanna alzò la testa dal petto di Luigi e vide allo specchio che il trucco era colato. Prese un fazzoletto e provò a rimediare, ma in quel momento bussarono alla porta e Roberto fece ingresso in camerino.

Ignorando gli altri due andò dritto da Rosanna e vide il suo viso rigato di lacrime. «Ehi, che succede, Rosanna?»

«Niente, sto… sto bene.» E all’improvviso stava bene davvero. Si riprese dall’emozione e, radiosa, sorrise a Roberto.

«È una reazione naturale. È un’artista da lacrime agli occhi» disse Luigi al colmo della felicità.

«Ed è anche merito tuo, Luigi. Che bello rivederti.» Roberto abbracciò il suo vecchio maestro.

«Anche tu hai cantato splendidamente, stasera. Migliori con l’età.»

«Lo prenderò come un complimento» replicò Roberto.

«È andata male?» chiese Rosanna guardandosi ansiosamente intorno. «Non ricordo nulla.»

«Rosanna.» Luigi le prese le mani. «No, non è andata male. Anzi. Dovresti essere contenta. Il tuo esordio è stato qualcosa di meraviglioso.»

«Davvero?»

Luigi annuì. «Davvero. Sono molto fiero di te, e lo sono anche Paolo e Riccardo.»

«E anch’io, mia piccola Butterfly. Di rado ho visto il pubblico così rapito.» Roberto tirò Rosanna a sé. Lo sguardo che si scambiarono in quell’istante lo mise in seria difficoltà. «Sono venuto solo a farti le congratulazioni» disse piano. Poi, consapevole di essere sotto lo sguardo di altre due paia di occhi, aggiunse: «E per dirti che ho prenotato un tavolo da Savini. Adesso basta firmare autografi, stasera andiamo tutti a festeggiare».

«Un’idea magnifica» disse Luigi.

Rosanna guardò Roberto e, sebbene ogni molecola del suo corpo si sentisse attratta da lui, l’istinto di autoconservazione le impose di trattenersi. «È molto generoso da parte tua, ma credo sia meglio che torni a casa. Sono molto stanca.»

«Come desideri» disse Roberto, sorpreso. Guardò Paolo. «Ha conquistato la Scala e adesso la nostra Butterfly vuole andare a dormire.»

«È stata una lunga giornata, per lei. Forza, Roberto, lasciamo che Rosanna e Luigi parlino in privato.»

Roberto le baciò la mano, indugiando più del dovuto con le labbra. «Buonanotte, piccolina. Sogni d’oro.» Fece per uscire con Paolo, poi disse: «Ci vediamo nel mio camerino, Luigi. Brinderemo insieme alla stella che non c’è».

Luigi annuì. Quando la porta si chiuse e i due rimasero soli, Rosanna si lasciò cadere sulla poltrona e sbadigliò. «Spero che non mi abbia considerata maleducata, ma sono davvero troppo stanca per uscire» aggiunse.

«Certo, è comprensibile.» Luigi pensava che andare a casa presto fosse la scelta migliore. Come a Paolo, neppure a lui era sfuggita l’intesa che c’era tra Roberto e la sua ex allieva. Ed era una cosa che lo metteva stranamente a disagio.

«Luigi, dimmi la verità, sono stata brava stasera?» Il tono ansioso di Rosanna si insinuò tra i suoi pensieri.

«Sto cominciando a credere che tu ami sentirti fare dei complimenti» disse con un sorriso. «Sì, sei stata più che brava. Certo, ho sentito delle piccole imperfezioni che hanno bisogno di tempo ed esperienza per essere eliminate, ma posso dirti che hai messo in ombra il grande Roberto Rossini, e questo dovrebbe bastarti a capire quanto sei stata brava.»

«Sul serio?»

«Sì, e nonostante questo voleva portarti fuori a cena!»

«È stato molto gentile.»

«Cosa insolita da parte sua. Credo che abbia un debole per te, sai?»

«Mah.» Rosanna sbadigliò di nuovo.

«Ora ti lascio. Mi tratterrò a Milano fino a domani. Potremmo pranzare insieme, per analizzare la tua esibizione di stasera, d’accordo?»

«Ma certo.»

«Bene. Ci vediamo domani al Biffi Scala, alle dodici.»

Luigi uscì dal camerino e Rosanna rimase finalmente sola.

Si sedette di nuovo sulla poltrona, fissando il vuoto e ripercorrendo mentalmente le fasi della serata.

Ma ricordava soltanto gli occhi di Roberto che la guardavano con passione mentre lui le cantava parole d’amore.

 

18

 

Paolo riagganciò il telefono e rimase a guardare fuori dalla finestra, pensieroso.

Tutta la cura che ci aveva messo, le ore di discussione con Riccardo e adesso, per colpa della scarlattina, i suoi piani per il futuro di Rosanna erano andati in fumo.

Qualcuno avrebbe detto che il debutto inaspettato della giovane in un ruolo così difficile era stato positivo, e aveva provocato una valanga di reazioni entusiastiche. I critici si erano espressi in maniera unanime sulla sua voce “sorprendente” e prevedevano grandi cose per il futuro di Rosanna.

Paolo ne era lieto, ma aveva sperato che lei interpretasse ruoli più facili fino alla fine della stagione, per poi aprire la successiva con La Bohème, come deciso. Ormai, però, non era più possibile. Rosanna era il nuovo, giovane soprano che tutta Milano voleva ascoltare. La notizia del suo sensazionale debutto si era diffusa come un incendio, e il botteghino della Scala era stato inondato di richieste per il suo prossimo spettacolo. La situazione si era complicata ulteriormente perché Anna Dupré era uscita molto debilitata dalla scarlattina e il suo medico le aveva prescritto riposo assoluto per qualche mese. Il che significava che alla compagnia mancava un soprano e Paolo si era fatto convincere ad assegnare il ruolo a Rosanna. Stringendo i denti, quindi, aveva concesso al pubblico quello che voleva: la sua nuova, giovane stella, Rosanna Menici.

Lei si era comportata molto bene, doveva ammetterlo. Ed era già sulla bocca di tutti in città.

Altre compagnie operistiche avevano cominciato a farsi avanti e con riluttanza Paolo aveva consigliato a Rosanna di assumere un agente. Chris Hughes, l’agente americano di Roberto, era stato più che felice di accogliere la nuova cliente.

Oramai il suo usignolo aveva preso il volo.

Rosanna e Chris Hughes erano seduti a uno dei migliori tavoli del Savini. Chris aveva ordinato una bottiglia di champagne, insistendo che Rosanna ne bevesse un bicchiere.

«A te, la mia più recente acquisizione. Insieme saremo una bella squadra, Rosanna.»

Lei annuì al bell’uomo biondo che le sedeva di fronte. Le ricordava gli attori dei film di Hollywood. «Lo spero, Chris.»

«Senti, pensavo, prima di parlarti dei progetti che ho per te, vorrei spiegarti meglio come lavoro, d’accordo?»

«Sì.»

«Dunque, per il momento terrò io il calendario dei tuoi impegni settimanali e delle occasioni in cui dovrai comparire in pubblico. Dico “per il momento” perché potresti diventare talmente famosa che ti servirà qualcuno che ti segua a tempo pieno, come nel caso di Roberto.»

Rosanna annuì.

«Ho un ufficio a Londra e uno a New York, e due segretarie. Ci penseranno loro a organizzare tutti i tuoi spostamenti, prenotare voli e alberghi, e così via. Se dovesse esserci qualche problema, l’ufficio di Londra è aperto ventiquattro ore su ventiquattro, mentre quello di New York fino a mezzanotte. Ti darò anche i miei numeri personali. Del mio compenso abbiamo già parlato, ti va bene?»

«Sì, Chris.»

«Perfetto. Ora avrei bisogno di sapere dove farti arrivare il denaro. Pagheranno a me i tuoi cachet e sarà più facile se mi darai il numero del tuo conto corrente in cui versare gli assegni senza che io debba disturbarti ogni volta.»

«Ma io non ce l’ho, un conto corrente» disse Rosanna. Le girava la testa a causa di tutte quelle novità.

«Ah no? Be’, allora faresti meglio ad aprirne uno, tesoro.» Chris sorrise. «Prevedo che nei prossimi anni diventerai una signorina piuttosto benestante. Le compagnie operistiche mi pagano sempre in dollari – è più semplice per tutti, ma posso benissimo cambiarli nella valuta che preferisci. Ad ogni modo lasciamo perdere per il momento le questioni finanziarie. Ordiniamo, e poi passiamo a parlare di cose più interessanti e della programmazione.» Chris studiò il menù per qualche minuto, poi chiamò il cameriere. «Cos’hai scelto, Rosanna?»

«Vitello tonnato e un’insalata, grazie.»

«Ottimo. Per me lo stesso.»

«Grazie, signore.» Il cameriere scribacchiò sul suo taccuino e si allontanò.

Chris versò altro champagne nel bicchiere di Rosanna. «Bene, torniamo al programma. Sono tutte buone notizie, Rosanna. Il mondo è tuo, in questo momento. Il Covent Garden ti ha offerto la parte di Violetta, con Roberto nel ruolo di Alfredo. Bramano la tua presenza perché il loro soprano ha appena annunciato di essere incinta, e si prenderà un anno sabbatico. Proverai quattro giorni, poi in agosto ci saranno otto concerti.»

Rosanna impallidì. «Avrò solo quattro giorni per provare? Ma è un ruolo che non ho mai interpretato!»

«Sono sicuro che Paolo e Roberto ti aiuteranno. Dopo il Covent Garden hai un mese di pausa, poi tornerai a Londra per un concerto di beneficenza alla Albert Hall. C’è la possibilità di ottenere il tuo primo contratto discografico con la Deutsche Grammophon. Vorrebbero registrare la Butterfly con Roberto, che è già sotto contratto con loro, ma ancora non abbiamo tutti i dettagli. Ovviamente vogliono incontrarti, ti dirò quando. Comunque, se l’accordo va in porto, c’è un buco libero per le registrazioni a ottobre, sempre a Londra. E poi c’è il Palais Garnier di Parigi, che ti vuole per un concerto di gala alla fine del mese. Da lì tornerai a Milano per iniziare le prove della Bohème.»

Rosanna bevve un sorso di champagne, nervosissima. «Quanto tempo ho per quelle prove? Un’oretta?»

«Una settimana, in realtà.»

Rosanna scosse la testa. «No, Chris, mi serve più tempo. Interpretare Mimì alla Scala è il mio sogno da sempre. Voglio assicurarmi di avere tempo a sufficienza e dare alla mia voce modo di riprendersi.»

«Forse riusciamo ad arrivare a dieci giorni.» Chris non alzò neppure lo sguardo dall’agenda. «Poi andrai a Vienna per interpretare la Butterfly per un paio di settimane, a marzo; Paolo ha già dato il suo benestare, dopodiché farai ritorno a Milano per la Gilda, insieme a Roberto, che sarà il Duca nel Rigoletto. A quel punto ti tratterrai due mesi a New York per prepararti al debutto al Met, in Romeo e Giulietta.»

Il cameriere arrivò con le loro pietanze.

«Mmm, sembra squisito. Mangia, Rosanna» la incoraggiò Chris prendendo le posate.

Rosanna cercò di assaggiare qualcosa, ma le era passato l’appetito.

Chris guardò l’orologio. «Okay, un quarto d’ora per il caffè, poi hai un’intervista con Le Figaro, tra quarantacinque minuti. Domande?»

«Ne avevo, ma ascoltarti mi ha svuotato di ogni energia, Chris» disse lei con sincerità.

«Chiedo scusa, Rosanna. Paolo mi aveva avvertito di non metterti pressione, e sto facendo del mio meglio. Prometto di impegnarmi di più, di darti più spazio, ma tesoro, la fama, è la fama.» Allargò le braccia, come a voler dire, Che ti aspettavi?

«È successo tutto così in fretta…» Rosanna si morse il labbro e distolse lo sguardo, temendo di scoppiare a piangere.

Chris, rendendosi conto di quanto la ragazza fosse agitata, le strinse la mano con fare rassicurante. «Capisco. Ascoltami, Rosanna, se a un certo punto senti di non farcela più, dimmelo. Io sono dalla tua parte, ricordi?»

«Allora puoi concedermi più tempo per La Bohème?» implorò lei.

«Significherebbe cancellare l’impegno al Palais Garnier…» Fece scorrere il dito sulla lista di impegni. «Ma sì, se vuoi, si può fare senz’altro.»

«Te ne prego.»

«Okay,» disse lui sospirando «consideralo fatto.»

Dopo l’intervista con Le Figaro all’ingresso del teatro alla Scala, Rosanna si recò all’ufficio di Paolo. Tutto stava accadendo troppo in fretta, e la testa le girava. I progetti di Chris erano entusiasmanti, ma non stava tirando troppo la corda? Doveva parlare con Paolo, capire cosa ne pensasse.

Rosanna bussò alla porta.

«Entra, Rosanna. Come stai? Sei un po’ pallida.»

Si sedette sulla prima sedia che trovò. «Mi sento pallida. Sono appena stata a pranzo con Chris, quell’uomo è un rullo compressore! Mi ha organizzato impegni per i prossimi diciotto mesi. E me li ha elencati così velocemente che non riuscivo a stargli dietro.»

«Chris è un tipo dinamico,» disse Paolo «e immagino che sia questo a renderlo bravo nel suo mestiere.»

«Sono preoccupata, forse sto correndo prima di aver imparato a camminare. Ho ancora così tanto da imparare, Paolo.»

«Devi dirlo a Chris.»

«L’ho fatto.»

«Bene. Ricordati che è lui a lavorare per te, non il contrario. È un brav’uomo, Rosanna, un agente assai migliore di tanti altri di cui non faccio il nome. Gente che ti avrebbe fatto fare il giro del mondo per un solo concerto, per denaro.»

«Lo so, e mi rendo conto di essere fortunata. Ma ho detto a Chris che la mia priorità è La Scala. Le altre compagnie mi lusingano, ma è qui tutto quello che per me conta davvero.» Rosanna si interruppe e guardò fuori dalla finestra. «Non avevo idea che sarebbe stato così.»

«È l’inizio, ed è normale che lo trovi strano. Sono certo che ti abituerai presto» la rassicurò Paolo, ma faceva mostra di una sicurezza che neppure lui provava. «Allora, dimmi, come ti senti ad andare a Londra con Roberto?»

«Insieme cantiamo bene» rispose Rosanna, guardinga.

«È vero. Tutti pensano che siate una bellissima coppia.» Pao­lo non riuscì a trattenersi, e aggiunse: «So che non sono affari miei, ma Roberto sa essere… affascinante, quando vuole, e…».

Rosanna lo interruppe subito. «Tranquillo. Capisco cosa stai cercando di dirmi e ti garantisco che so badare a me stessa.»

«Lieto di sentirtelo dire.»

Paolo la accompagnò all’ingresso e la baciò sulle guance. «Ricordati, in qualsiasi momento tu abbia bisogno di un consiglio, o solo di fare due chiacchiere, sai dove trovarmi. Sono fiero di te, Rosanna. Ciao.»

La guardò uscire dal teatro, poi risalì le scale fino al suo ufficio, prese il telefono e chiamò Roberto a casa. Nessuna risposta. Riagganciò e tentò di concentrarsi su alcune pratiche che doveva sbrigare.

 

19

 

Roberto sentì squillare il telefono, ma lo ignorò. Al culmine del piacere emise un grido rauco e si lasciò ricadere su Donatella, esausto.

«Caro, è stato fantastico» fece lei ansimante.

Roberto rotolò su un fianco e giacque accanto alla donna, con gli occhi chiusi e le mani sul viso.

«Ho delle buone notizie» proseguì lei accarezzandogli la spalla.

«Ah sì?»

«Potrò venire a Londra con te, in agosto. In effetti, da questo momento in poi, ovunque andrai io potrò seguirti.»

Roberto, che sapeva benissimo di non aver mai espresso il desiderio di averla accanto nei suoi viaggi all’estero, si tolse le mani dal viso e la guardò. «Che cosa vuoi dire?»

«Sto lasciando Giovanni. Gliel’ho detto, ed è tutto sistemato. Posso trasferirmi qui quando vuoi. D’ora in poi potremo stare sempre insieme.»

Roberto la guardò, incredulo.

«Non fare quella faccia preoccupata, caro. Non è stata una decisione difficile. Sono molto felice, è quello che voglio.»

Roberto riuscì a ritrovare la voce. «Fammi capire bene: hai detto a Giovanni che lo lasci?»

«Sì.»

«Perché mai?»

«Che domande sono? Perché io amo te, perché la relazione che avevo con mio marito è finita molto tempo fa, perché…»

Roberto la interruppe. «E l’ha accettato, così, senza dire nulla?»

«Non può fermarmi. Non ha scelta.»

«Sa…» Roberto si schiarì la voce, nervoso. «Sa di me?»

«No, non ancora, ma ovviamente lo scoprirà.» Donatella vide l’ansia sul volto dell’amato. Gli prese il mento tra pollice e indice per farsi guardare. «Caro, non ti devi preoccupare. Mi sono assicurata che non possa far niente contro di noi. Ho del denaro mio, parecchio denaro. Non avremo più bisogno di nulla per il resto della vita.»

La situazione cominciava a diventare chiara nella mente di Roberto. Si alzò dal letto come se scottasse e prese la vestaglia dallo schienale di una sedia.

«Dove diavolo stai andando?»

«A farmi la doccia. Mi sono appena ricordato che devo essere in anticipo a teatro, stasera.»

«Ma dobbiamo parlare. Verrò a prenderti dopo lo spettacolo, ti riaccompagno qui.»

«No! Ho altri progetti.» Si fermò sulla soglia del bagno e si voltò a guardarla, sdraiata sul letto in una posa molto seducente. In quel momento, però, provava solo repulsione. «Donatella, non puoi organizzare la mia vita senza che io abbia voce in capitolo! Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere senza prima consultarmi!»

«Ma i tuoi desideri hanno sempre la priorità, per me. È per questo che lascio Giovanni, per stare insieme e un giorno sposarci e…»

«Ti prego, Donatella, basta così. Vorrei che te ne andassi!»

Il viso della donna sembrò andare in mille pezzi. Sopraffatto dal rimorso, Roberto, si sedette pesantemente su una sedia, si passò le mani tra i capelli e inspirò profondamente. «Okay, mi dispiace di aver alzato la voce. È per… be’, è per via della sorpresa. Pensa allo scandalo, Donatella. Tuo marito è un uomo molto potente a Milano. Non posso credere che permetterà a sua moglie di lasciarlo senza combattere.»

«Lo farà. Deve. Mi dispiace, Roberto, avrei dovuto metterti al corrente del mio piano. Farò come vuoi, me ne vado.» Con sforzo evidente scese dal letto e cominciò a vestirsi.

Roberto la guardò. «Cara, mi serve solo un po’ di tempo per riflettere, tutto qui.» La seguì fino alla porta e provò a baciarla, ma lei girò il viso da una parte. «Ti chiamo stasera, okay?»

Donatella percorse il corridoio verso l’ascensore senza girarsi indietro.

Roberto chiuse la porta; i pensieri correvano in mille direzioni. Erano settimane che cercava di trovare la forza per dire a Donatella che tra loro era finita, che per anni si erano divertiti, ma ormai la loro relazione era giunta al termine. E adesso lei lo informava di aver chiesto il divorzio al marito, per stare in eterno con lui.

Era un’idea talmente ridicola che a Roberto veniva quasi da ridere. Donatella credeva davvero che l’avrebbe sposata? Aveva quasi cinquant’anni, per l’amor di Dio!

Il telefono squillò di nuovo e Roberto andò a rispondere.

«Pronto?»

«Sono Paolo.»

«Che cosa vuoi?» chiese bruscamente Roberto, ancora offuscato dalla notizia che gli aveva dato Donatella.

«Solo dirti che il Covent Garden ha chiesto a Rosanna Menici di accompagnarti a Londra» rispose Paolo risoluto.

«Sì, Chris me l’ha detto ieri.» Roberto si ricompose non senza sforzo. Doveva pensare alla sua carriera, adesso. «Ne sono felice. Stiamo bene insieme, eh?»

«Sì, Roberto, lo sai benissimo. Ma promettimi solo una cosa.»

«Che cosa?»

«Rosanna non è mai stata all’estero. Si troverà in un paese che non conosce e la prospettiva la innervosisce. Voglio che ti prenda cura di lei.»

«Non c’era neanche bisogno di chiederlo, Paolo. Sai che le voglio bene. La proteggerò in qualsiasi situazione, te lo prometto.»

«Bene. Ti va di provare La Traviata con lei, prima di partire? Le servono quante più prove possibile.»

«Certo.»

«Grazie. E… Roberto?»

«Sì?»

«Ricordati che ho le mie spie, a Londra. Ciao.»

Roberto sbatté giù il ricevitore. Perché tutti lo trattavano come un bambino capriccioso cui bisognava sempre dire come comportarsi? Ne aveva abbastanza di Paolo, di Donatella, e anche di Milano. Era felice di dover stare via per qualche mese. Dopo Londra avrebbe fatto una bella vacanza nella villa in Corsica che aveva comprato tempo addietro. Era esausto, aveva bisogno di riposo.

L’unica luce all’orizzonte era il fatto che Rosanna lo avrebbe accompagnato a Londra. L’affetto che provava nei confronti di quella ragazza lo sorprendeva, e rifletté che potesse essere proprio lei uno dei motivi per i quali il fascino di Donatella era sbiadito, negli ultimi tempi. Rosanna non esigeva, non gli chiedeva nulla al contrario degli altri. Era una ragazza serena, equilibrata ed era una gioia cantare con lei. E poi, ovviamente, c’erano quel viso e quel corpo… Si era ritrovato a pensare a lei più volte, e di tanto in tanto l’aveva perfino sognata.

Per un attimo si chiese se per caso non si fosse innamorato di lei, ma scacciò quell’idea ridicola all’istante. Era soltanto perché la ragazza sembrava immune al suo fascino. Solo per quello la voleva.

Per quanto riguardava Donatella, invece, avrebbe dovuto dirle che aveva capito male. Si alzò e andò a farsi la doccia, cercando di convincersi che la donna sarebbe stata comprensiva.

Più tardi, quella sera, Roberto tornò a casa esausto dopo una recita assai impegnativa del Don Giovanni nel ruolo di Ottavio. Il pubblico, indisciplinato, aveva distratto i cantanti, mentre gli sponsor e i vari mecenati, alla festa dopo lo spettacolo, erano stati più insulsi ed esigenti del normale. Se n’era andato alla prima occasione, bisognoso di un po’ di pace e di riposo.

Infilò la chiave nella serratura e si accorse che la porta era già aperta. Maledicendosi per la propria sbadataggine, Roberto percorse il corridoio ed entrò in soggiorno.

«Signor Rossini.» L’uomo si alzò dal divano e gli sorrise, ma era un sorriso gelido, minaccioso.

«Come… com’è entrato?» balbettò Roberto.

«È stato semplicissimo, ho fatto fare una copia della chiave in possesso di mia moglie. Sono Giovanni Bianchi. Ci siamo incontrati diverse volte alla Scala. Spero che non le dispiaccia, ma mi sono servito un brandy mentre la aspettavo. Ne vuole uno anche lei?»

Roberto annuì, troppo sconvolto per opporsi. Si sedette e osservò l’uomo riempire un bicchierino. Stilò mentalmente una lista degli oggetti che poteva usare per difendersi e si chiese se i vicini sarebbero venuti a dare un’occhiata, qualora avesse urlato. Con grande sgomento, tuttavia, si rese conto che erano abituati a sentire la sua voce tonante a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non si sarebbero preoccupati.

Era spacciato. Giovanni Bianchi era venuto per ucciderlo. Probabilmente aveva una pistola nella tasca interna della giacca, e l’avrebbe estratta da un momento all’altro. Roberto si portò alle labbra il bicchiere di brandy con la mano tremante.

Giovanni si accomodò davanti a lui.

«Dunque, mia moglie Donatella vuole lasciarmi per venire a vivere con lei. Be’, a dire il vero» Giovanni si guardò intorno «questa casa mi sembra un po’ più piccola di quelle a cui è abituata.» Posò il bicchiere sul tavolino e si sporse in avanti. «Signori Rossini o… posso chiamarla Roberto?»

Lui annuì, a disagio.

«Roberto, lasci che sia onesto con lei. Mi trovo in una posizione strana, difficile. La mia adorata moglie, dopo molti anni, all’improvviso annuncia di volermi lasciare. Già questo sarebbe abbastanza deplorevole, ma poi scopro che il suo amante è uno dei tenori più famosi del mondo – se non altro, d’Italia. E penso ai giornali, al piacere con cui trascinerebbero nel fango tutti e tre, con le nostre rispettive reputazioni.»

Giovanni fece una pausa per bere un sorso di brandy. «Roberto, io sono un uomo con una certa posizione, qui a Milano. Capirà che il mio orgoglio non mi consente di accettare di venire pubblicamente umiliato da lei e da mia moglie. E inoltre devo confidarle che nella storia della famiglia Bianchi non c’è mai stato un divorzio. La mia povera madre si rivolterebbe nella tomba. No, la situazione è inaccettabile. Perciò, ho pensato: che fare? Sbarazzarmi di Roberto?» Giovanni vide che l’altro impallidiva, sorrise e scosse la testa. «No, anche se ha violato mia moglie, io sono un uomo pacifico. Ho deciso che la cosa migliore è discuterne con lei, in modo civile. Non è d’accordo?»

«Sì.»

«Perciò eccomi qui. Mi dica, ha chiesto a mia moglie di trasferirsi da lei?»

«No, non l’ho mai fatto.» Roberto si sorprese della veemenza con cui aveva risposto. «E poi, oggi pomeriggio, mi dice che ha deciso di lasciarla. Sono rimasto di sasso, signor Bianchi, mi creda.»

«Giovanni, la prego. Roberto, lei ama mia moglie?»

«Io… è molto bella e le voglio bene, ma…»

«Avete vissuto una bella avventura, che adesso Donatella sta cercando di trasformare in una cosa seria» concluse Giovanni al posto suo. «E questo a lei non piace, dico bene?»

Roberto scosse nervosamente la testa. Non voleva insultare la moglie di quell’uomo, ma doveva mettere in chiaro la propria posizione.

Giovanni annuì assorto. «Immaginavo. Donatella sta attraversando un’età… difficile. Sta invecchiando, gli ormoni le giocano brutti scherzi e crede di essere innamorata di lei. Perciò, Roberto, come facciamo a farle cambiare idea?»

«Domani le dirò che fra noi è finita. In un certo senso sarà un sollievo» rispose candidamente lui.

«E crede che questo la farà desistere?»

«Ma certo. Non risponderò più al telefono, la eviterò completamente.»

Giovanni scosse la testa. «Non è così facile evitare una donna determinata. Specialmente una come mia moglie. In futuro ci saranno molte occasioni in cui potrete incontrarvi. Vede, Roberto, tra me e mia moglie c’è sempre stato un accordo. Entrambi abbiamo fatto finta di nulla, e siamo stati discreti. Sono un uomo tollerante, ma non sarei felice di veder comparire sui giornali la storia fra lei e mia moglie.»

«Ma non succederà. Siamo sempre stati attenti.»

«Forse, ma questo prima che Donatella si innamorasse di lei. Ed essendo così instabile, potrebbe non voler essere più tanto discreta e far sapere al mondo intero della vostra relazione. No.» Giovanni scosse di nuovo il capo. «Dirle solo che è finita non risolverà il problema.»

«Allora… cosa suggerisce?»

«Credo di aver pensato a un buon piano, Roberto. La lontananza è la chiave di tutto. Se lei non è qui, non potrà incontrarla.»

«Devo partire per Londra tra qualche settimana. Resterò all’estero tre mesi. Dovrebbe essere sufficiente.»

«È un buon inizio, certo, ma credo che servirà più tempo perché a Donatella passi. Suggerisco che rimanga lontano da Milano… anzi no, diciamo dall’Italia, per almeno cinque anni. O per sempre, se necessario.»

Roberto lo guardò come se fosse impazzito. «Ma ho degli impegni professionali, spettacoli alla Scala già organizzati per l’anno prossimo.»

«Allora le consiglio di annullarli.» Giovanni sorrideva ancora, ma i suoi occhi erano di ghiaccio. «Come ho detto, sono un uomo ragionevole. Se accetta, questa situazione si risolverà facilmente. Se non accetta, allora le cose diventeranno… un po’ più complicate.»

«Mi sta minacciando, Giovanni?»

«No, le sto suggerendo una soluzione.»

«E se rifiutassi?»

Giovanni finì il suo brandy. «Purtroppo la vita è piena di insidie e pericoli, Roberto. Mi spezzerebbe il cuore se le accadesse qualcosa di male.» Si alzò. «Ci siamo capiti, lei è un uomo ragionevole. Prenderà la decisione più giusta. Per assisterla, ho arruolato due signori che sorveglieranno ogni sua mossa. Fino a quando non lascerà l’Italia, resteranno con lei. E si ricordi, non riceverà un’accoglienza piacevole, se mai decidesse di tornare.»

«Ma Donatella mi chiamerà. Potrebbe perfino presentarsi a sorpresa, se mi rifiutassi di risponderle.»

«No, domani Donatella verrà con me a New York. Ha accettato di venire per discutere i termini della separazione. Staremo via tre settimane. Quando torneremo a Milano, lei se ne sarà andato. Non creda di poter rientrare in Italia, senza che io lo sappia. Ho degli… amici che mi terranno informato. Siamo d’accordo, Roberto?»

«Sì» mormorò lui tristemente. Non aveva altra scelta che accettare.

«Bene. Allora è deciso. Ne sono lieto. Detesto la violenza, di qualsiasi tipo. Addio, Roberto. Sentirò la sua mancanza alla Scala.»

Roberto guardò Giovanni uscire da casa sua e sentì la porta chiudersi alle sue spalle. Dopo qualche secondo si alzò e andò alla finestra. Di sotto vide un’auto parcheggiata sull’altro lato della strada, con due uomini appoggiati agli sportelli che fissavano la finestra del suo appartamento. Fece subito un passo indietro.

Un’ora più tardi, dopo altri tre brandy, Roberto ricontrollò. L’auto e gli uomini erano ancora lì.

Doveva chiamare la polizia e dire loro cos’era accaduto? No, non sarebbe servito. Giovanni era troppo potente, di sicuro aveva dei contatti con la mafia, e anche se fossero riusciti ad accusarlo di qualcosa, Roberto avrebbe temuto per la propria vita ogni volta che avesse messo piede sul suolo italiano.

Cercò di pensare a come quella storia avrebbe influito sul suo futuro. Al di là della Bohème e del Rigoletto alla Scala, non aveva in programma altri spettacoli in Italia, per il momento. Paolo si sarebbe infuriato, ma viste le circostanze non aveva alternative. Andò a letto, un po’ più calmo. Dopotutto poteva andare peggio. Poteva essere già morto.

E Donatella non era più un suo problema, adesso.

 

20

 

L’aereo iniziò le manovre di avvicinamento alla pista di decollo e Roberto si concesse un sospiro di sollievo, rilassandosi contro il sedile. Le tre settimane più lunghe della sua vita erano finalmente terminate. Non aveva quasi più dormito dalla visita di Giovanni. L’auto con i due scagnozzi tallonava la sua limousine ovunque andasse, e l’avevano seguito addirittura fino al banco del check-in all’aeroporto di Linate.

Dopo tante riflessioni Roberto aveva deciso che Londra sarebbe stata la sua casa nei prossimi anni. Avrebbe venduto bene il suo appartamento di Milano, e il ricavato, insieme al suo conto in banca, sarebbe stato trasferito a Londra. Una volta a Covent Garden si sarebbe guardato intorno alla ricerca di una dimora adatta. Chris Hughes non aveva idea che il suo congedo da Milano fosse permanente. Roberto l’avrebbe messo al corrente più avanti.

Si voltò e osservò il volto pallido della sua compagna che guardava fuori dal finestrino. Notò che si tormentava le mani in grembo. Allungò un braccio e posò una mano sulle sue.

«Niente panico, principessa. Presto saremo in cielo, sopra le nuvole.»

I motori rombarono e l’aereo accelerò sulla pista. Roberto disse addio all’Italia e guardò divertito Rosanna chiudere gli occhi appena il muso dell’aereo puntò verso il cielo.

«Se vuoi diventare una star internazionale, dovrai abituarti a volare.»

«Siamo in aria?» chiese Rosanna con gli occhi ancora chiusi.

«Sì. Siamo decollati. Puoi aprire gli occhi.»

Rosanna sbirciò fuori dal finestrino e trasalì, con un misto di paura ed emozione. «Guarda! Ci sono le nuvole!» mormorò sbalordita.

«Sì. Se fosse una bella giornata, vedresti le guglie del Duomo sotto di noi.»

«Champagne, signore?» Una hostess attraente offrì loro due bicchieri e una bottiglia.

«Volentieri.» Roberto si rivolse a Rosanna. «Bevi, un po’ di champagne ti aiuterà a calmarti. Normalmente non bevo durante il volo, perché disidrata. Ma oggi ho voglia di festeggiare.»

La hostess riempì due bicchieri e sorrise timidamente a Roberto. «L’ho vista interpretare Nemorino alla Scala. Eravamo nelle gallerie superiori, e non si vedeva benissimo, però per me è stato magnifico.»

Roberto ricambiò il sorriso. «Grazie, signorina…?» chiese.

«Mi chiamo Sophie» rispose la hostess arrossendo. «Si tratterrà molto a Londra?»

«Un mese. Canterò nella Traviata al Covent Garden.»

«Oh, che bello. Spero di trovare i biglietti.»

«Mi dia un colpo di telefono al Savoy, sono sicuro di poterglieli procurare.»

«Oh, grazie, signor Rossini, lo farò» fece lei sbattendo le ciglia con fare civettuolo.

Roberto la seguì con lo sguardo lungo il corridoio.

«Be’, principessa, salute!» Roberto bevve un sorso del suo champagne. Rosanna, che era rimasta in silenzio a osservare quel dialogo, lo fissava disgustata.

«Che c’è? Che cosa ho fatto?» protestò lui.

Rosanna sospirò e scosse la testa. «Niente.»

«No, dimmi perché mi guardi con quell’espressione.»

«Non sono affari miei.»

«Voglio sapere perché sei arrabbiata con me» insistette lui.

«Okay, se insisti, ma non te la prendere se non ti piacerà quello che ho da dirti» lo avvisò Rosanna. Esitò un secondo poi disse: «Sei terribile con le donne».

Roberto buttò indietro la testa e scoppiò a ridere.

«Io non lo trovo divertente, le tratti male. E mi riferisco anche alla mia amica Abi Holmes.»

Roberto diventò serio all’istante. «Ah, ora capisco. Mi odi perché ho avuto una relazione con la tua amica.»

«No, non ti conosco abbastanza da odiarti. È solo che, be’…» Rosanna faticava a trovare le parole, poi si arrese e scosse il capo. «Non ha importanza.»

«Sì, invece. Non so perché, ma ci tengo molto alla tua opinione.»

«Secondo me non prendi mai in considerazione i sentimenti di una donna. Tante promesse e poi le molli quando ti fa comodo.»

«E dici questo sulla base di…?»

Rosanna arrossì. «Lo sanno tutti come sei.»

«Rosanna, sono consapevole della mia reputazione. E me ne prendo la responsabilità. Sì, mi piace la compagnia femminile e, nella mia posizione, ho molte possibilità di usufruirne, e spesso me ne approfitto. Non lo nego. Ma non capisci che lo faccio perché amo le donne? Le venero, anzi. Credo che siano l’unica cosa su questo pianeta che renda la vita degna di essere vissuta. E non faccio mai promesse che non posso mantenere. Lo sanno chi è Roberto Rossini. Se non lo accettano, allora non dovrebbero farsi coinvolgere. È semplice» disse facendo spallucce.

«Hai mai detto a una donna che la ami?»

«Non di mia spontanea volontà, no.»

«Ti costringono a dirlo loro?»

«Ci sono momenti in cui, al culmine della passione, una donna te lo chiede e tu le rispondi. Ma non sono mai stato innamorato.» Roberto sorseggiò il suo champagne, pensieroso. «Sai, Rosanna, dovresti sentire anche l’altra versione della storia, prima di giudicarmi. Sono facile preda per le donne. A loro piace farsi vedere con me perché appaga il loro ego, e spesso le aiuta a farsi pubblicità. Molte volte sono loro a usare me.»

Rosanna alzò gli occhi al cielo, incredula.

«Vedi? Nessuno capisce il povero Roberto. Credono che sia una brutta persona. Un giorno, quando anche tu diventerai una grande stella dell’opera, ti accorgerai di quanto ci si senta soli.»

Alla fine Rosanna cedette e le venne da ridere per quello smaccato tentativo di conquistarsi la sua compassione. «Scusa, ma proprio non riesco a provare pietà per te, Roberto.»

Lui la guardò serio. «Io non ti piaccio, vero, Rosanna?»

«Sì che mi piaci.»

«Davvero?»

«Ma certo. Però ora vorrei studiare la mia parte.» Tutta rossa in viso, Rosanna prese gli spartiti e si mise a leggerli, dandogli le spalle.

Roberto chiuse gli occhi e si chiese ancora una volta perché ci tenesse tanto ad avere l’approvazione di Rosanna Menici.

Una limousine li attendeva davanti al Terminal 3 dell’aeroporto di Heathrow per accompagnarli nel centro di Londra. La conversazione si limitò a qualche banalità: Rosanna trascorse quasi tutto il tragitto a osservare il paesaggio sconosciuto sfilare fuori dal finestrino, dai sobborghi grigi agli edifici sempre più grandiosi che si susseguivano durante l’avvicinamento a Kensington Knightsbridge. L’auto alla fine si fermò sotto l’imponente arco in stile Art déco dell’Hotel Savoy, dove il direttore li attendeva nella lobby. Roberto fu accompagnato alla sua suite e Rosanna in una stanza che a lei parve meravigliosa. Stava cominciando a disfare i bagagli quando bussarono alla porta. Era Roberto, che entrò, si guardò intorno e scosse la testa.

«No, no, no. Così non va.» Andò al telefono e chiamò la reception. «Sono Roberto Rossini. Dite al direttore che la signorina Menici ha bisogno di una suite. Che venga a parlare con me nella mia, all’istante!»

«Roberto, ti prego, questa stanza va benissimo» protestò Rosanna mentre lui le rimetteva i vestiti nella valigia.

«Rosanna, sei venuta in questo paese come artista ospite della Royal Opera House, e hai il diritto di avere tutto ciò che ho io. Adesso andiamo nella mia suite, finché non ne troveranno un’altra per te.»

Rosanna seguì Roberto lungo il corridoio. Sapeva già che era inutile discutere con lui.

«Queste cose devi metterle in chiaro sin da subito, altrimenti ti calpesteranno tutti quanti. Ricordati che sei tu a fare un favore a loro, non viceversa. Ah, ecco il nostro caro direttore.»

Sulla porta della suite di Roberto l’uomo li stava già aspettando. Roberto gli mise un braccio intorno alle spalle. «C’è un problemino. Anche alla signorina Menici bisognerebbe assegnare una suite in questo bellissimo albergo.»

«Ma certo, madame. Chiedo scusa per l’errore. Da questa parte.»

«Un momento, devo prendere la valigia.» Rosanna fece per tornare nella stanza, ma Roberto la fermò mettendole una mano sul braccio.

«No, piccola. Te la porterà il facchino nella tua nuova stanza. Ricordati chi sei. Ci vediamo davanti alla tua suite alle otto e andiamo a cena insieme.» Roberto le fece l’occhiolino, aprì la porta della sua camera e scomparve all’interno.

Un paio d’ore dopo Rosanna era immersa in una grande vasca da bagno, circondata da bolle profumate. Si sentiva disorientata, ma non infelice. Il silenzio nell’enorme suite era assordante, e si rese conto che quel viaggio a Londra rappresentava la sua prima occasione di trascorrere da sola più di qualche ora. A casa c’erano sempre stati sua madre, suo padre, Carlotta e Luca. Quando si era trasferita a Milano c’erano Luca e poi Abi. Mentre adesso, per un mese intero, se la sarebbe dovuta cavare coi propri mezzi e con il solo Roberto a darle consiglio.

Si insaponò con una morbida spugna. I suoi sentimenti per quell’uomo erano confusi. Da un lato lo trovava insopportabilmente arrogante, ma dall’altro… era impossibile non essere attratta da lui.

Come centinaia di altre donne prima di me, pensò mentre usciva dalla vasca e si asciugava.

Si vestì, poi andò ad accomodarsi davanti alla toeletta dai bordi dorati e si applicò del mascara e del rossetto. Armeggiò con i capelli per qualche minuto, poi si alzò e si lisciò sul corpo uno degli eleganti abiti nuovi che Abi aveva insistito di farle acquistare prima di partire. Sospirò guardandosi riflessa allo specchio. Per essere il tipo di ragazza cui non interessava minimamente l’aspetto fisico, aveva trascorso quasi un’ora a prepararsi per scendere a cena.

Roberto bussò alla porta della suite. Rosanna andò ad aprire e lo vide trasalire. L’abitino nero aderiva al suo corpo snello, mettendo in risalto le gambe; i capelli appena lavati brillavano. Era così giovane, fresca, bella. Roberto si sorprese della sua stessa reazione, perché non aveva nessuna delle caratteristiche che di solito trovava attraenti in una donna – niente seno pronunciato, fianchi stretti. Era quasi come se il suo corpo fosse ancora sospeso tra l’infanzia e l’età adulta.

«Rosanna, sei magnifica.»

«Grazie» rispose lei sorridendo timidamente.

Le offrì il braccio e lei lo prese. «Mi concedi l’onore di accompagnarti a cena?»

E si avviarono lungo il corridoio in direzione dell’ascensore.

Il mattino successivo, anche se la Royal Opera House era ad appena cinque minuti a piedi dall’hotel, un’auto li attendeva fuori per accompagnarli alle prove. Entrarono dall’ingresso riservato agli artisti, invece che dal portone principale compreso tra mae­stose colonne. E appena messo piede nell’edificio Rosanna si sentì comunque travolgere dall’emozione. Il direttore artistico li accompagnò sul palco e mostrò loro la scenografia.

Dopo pranzo iniziarono le prove. Il coro si posizionò alle spalle di Roberto, che stava studiando la sua parte.

«No, no, no!» gridò, scacciandolo con cenno impaziente della mano. «In questa parte canto da solo.»

Jonathan Davis, il direttore artistico, gli sorrise, paziente.

«Lo so, ma abbiamo cambiato la scenografia e dobbiamo spostare il coro un po’ più avanti. Non avremo tempo di farlo scendere e poi risalire sul palco. Il pubblico non lo vedrà.»

«Ma io lo sentirò alle mie spalle, è questo il problema.» Roberto sbadigliò e guardò l’orologio. «Sono le quattro e mezza, e sono stanco. Torno in albergo a riposare. Anche la signorina Menici verrà con me, è esausta dopo il viaggio.»

«Io sto benone» ribatté Rosanna.

«Ma signor Rossini, dobbiamo ancora provare il…»

Le parole di Jonathan caddero nel vuoto, perché Roberto se n’era già andato.

Rosanna rimase sul palco. «Io resto. C’è qualcosa che possiamo provare senza Rossini?»

«Certo. Potremmo lavorare su “Sempre libera”.» Jonathan le sorrise stancamente.

«Mi dispiace che Roberto se ne sia andato così.» Per qualche ragione Rosanna si sentì in dovere di scusarsi per il comportamento del collega.

«Miss Menici, siamo abituati alle… come posso dire, eccentricità dei divi. Continuiamo pure.»

Rosanna tornò nella sua suite due ore più tardi, esausta e svuotata. Non riusciva a credere che di lì a quattro giorni avrebbe debuttato al Covent Garden nel difficile ruolo di Violetta. Si sentiva del tutto impreparata.

Il telefono squillò dopo poco.

«Pronto?»

«Sono Roberto. Dove sei stata?»

«Dove sarò mai stata? Ero alle prove.»

«Te la caverai benissimo. Stasera ti porto a cena al Caprice, è un ottimo ristorante.»

«No, Roberto» rispose lei con fermezza. «Io, diversamente da te, non ho mai riposato oggi pomeriggio. Chiamerò il servizio in camera, studierò la mia parte e andrò a letto. Buonanotte!»

Il telefono squillò di nuovo un attimo dopo che ebbe riagganciato, ma Rosanna lo ignorò. Chiamò il servizio in camera e ordinò un’insalata, poi disse alla reception di staccarle la linea telefonica e si mise a studiare la parte.

Il mattino seguente Rosanna si svegliò presto. Arrivò a teatro prima di gran parte del cast e trascorse un’ora a ripassare con Jonathan Davis le parti su cui aveva ancora delle insicurezze.

Le prove iniziavano ufficialmente alle dieci, e alle undici Roberto non era ancora arrivato.

«Non si preoccupi, miss Menici. Fa sempre così alle prove. Poi, però, quando è il momento la sua esibizione è sempre superba.» Jonathan era assolutamente calmo.

Rosanna tenne per sé quello che pensava del collega e cercò di concentrarsi sul canto. Alla fine, verso mezzogiorno, quando stavano per andare a pranzo, Roberto arrivò.

«Scusate. Ieri ho scordato di chiedere la sveglia» annunciò senza vergogna.

«Okay, tutti quanti, andiamo avanti un’altra oretta ora che è arrivato mister Rossini» annunciò rassegnato Jonathan.

Dopo un’ora Roberto annunciò di avere mal di gola e che sarebbe tornato al Savoy per mettersi a letto.

«È questo clima, sempre così umido.» Roberto guardò Rosanna con espressione contrita. «Ci vediamo in albergo.»

Lei gli voltò le spalle.

Quella sera Rosanna era nella vasca da bagno quando sentì bussare alla porta. Non ci badò. Per come si sentiva in quel momento non si fidava di se stessa, non sapeva come avrebbe reagito. Uscì dalla vasca, si asciugò e si mise addosso un morbido accappatoio. Andò in soggiorno e sobbalzò quando vide Roberto sdraiato sul divano a guardare la televisione.

«Che accidenti ci fai tu qui?» Si strinse meglio l’accappatoio intorno al corpo.

«La porta era aperta.» Le fece un sorriso disarmante. «Dovresti fare più attenzione. Non si può mai sapere chi potrebbe entrare. Sono venuto per portarti a cena.»

Rosanna si sedette su una poltrona, con i sensi in stato di allerta. «Pensavo avessi mal di gola.»

«Sì, ma è passato. Forza, vestiti che andiamo.»

«No. Non mi va.»

Roberto sembrava sorpreso. «E perché?»

«Perché sono stanchissima e… e poi non voglio cenare con te.»

«Sei arrabbiata? Che cosa ti ho fatto?»

«Che cosa mi hai fatto? Ma senti questo!» Rosanna diede un pugno di frustrazione a un cuscino.

«Dimmelo, per favore» la incalzò lui.

Rosanna non riuscì più a controllare la rabbia. «Va bene, caro Rossini, te lo dirò. Sono venuta qui per fare il mio debutto al Covent Garden. Sono nervosa, spaventata, mi sento impreparata. E nei pochissimi giorni che ho a disposizione per imparare la parte, il mio co-protagonista si degna appena di farsi vedere alle prove, e io e la compagnia dobbiamo fare a meno di lui quando mancano meno di due giorni alla prima! E…»

Rosanna si interruppe quando vide che Roberto prima accennò un sorriso, poi scoppiò a ridere.

«Perché ridi? Non c’è niente da ridere!»

«Sì, sì, lo so, è solo che finalmente scopro che Rosanna Menici ha del fuoco dentro, il temperamento di una vera artista.»

«Fuoco? Io?» Rosanna si alzò e gli si avvicinò con fare minaccioso. «Sai cosa ti dico, signor Rossini? Ho sentito tanto parlare del tuo carattere difficile, ma siccome mi hai aiutata, a Milano, ho creduto che fossero tutti gelosi del tuo successo e ho scelto di ignorare quelle dicerie. Ma dopo due giorni soltanto insieme mi rendo conto di essermi sbagliata. Sei un egoista. Tratti me e tutti gli altri come se non fossimo degni di stare sullo stesso palco con te. Quando vieni alle prove fai il bambino petulante se c’è qualcosa che non è di tuo gradimento. Non capisco perché la gente ti stia ancora dietro. Se fossi Jonathan Davis, ti avrei licenziato già il primo giorno.»

Rosanna incombeva su Roberto, tremante di rabbia.

Roberto la guardava.

«Sai che sei molto più bella quando ti arrabbi?»

Prima che Rosanna si rendesse conto di cosa stava succedendo, Roberto le prese le mani e la tirò a sedere sulle sue ginocchia. Come in trance, Rosanna vide le sue labbra avvicinarsi. Quando furono a pochi millimetri, però, tornò in sé, liberò una mano dalla sua stretta e lo schiaffeggiò.

Rimasero immobili, per lo shock. Dopo qualche secondo Rosanna si alzò e gli diede le spalle, fremente.

«Vattene subito.»

Non si voltò, ma sentì Roberto alzarsi e uscire sbattendosi la porta alle spalle.

Rosanna cadde in ginocchio e scoppiò a piangere.

 

21

 

Rosanna fu svegliata da alcuni colpi alla porta. Ancora mezza addormentata cercò a tastoni l’interruttore della luce. La accese e vide che la sveglia sul comodino indicava quasi le otto del mattino. Si infilò la vestaglia e andò alla porta.

«Chi è?» chiese nervosa.

«Ho una consegna per lei, signorina.»

Rosanna aprì e si trovò davanti un fattorino sommerso da un lussureggiante mazzo di orchidee e gigli.

«Dove lo metto?» Il ragazzo entrò nella suite con i fiori. «Sul tavolo laggiù?»

«Sì, lì va bene, grazie.» Rosanna aspettò che il fattorino uscisse e si diresse verso i fiori. Vide una piccola busta bianca. La aprì.

Avevi ragione, sono imperdonabile. Le mie scuse più sincere. Ci vediamo all’Opera House (in orario). R.

Rosanna strappò il biglietto e lo gettò con disgusto nel cestino della carta straccia. Poi andò a vestirsi.

* * *

«Sei in ritardo di un minuto e venticinque secondi.»

Roberto era giù in platea, con una sciarpa di lana intorno al collo.

Rosanna lo ignorò e attraversò il palco, prendendo posto vicino a Jonathan Davies.

Nei due giorni successivi Roberto si comportò come un angelo. Era gentile, educato, e non protestava quando Jonathan gli chiedeva di fare qualcosa di diverso. Si offrì perfino di rimanere fino a tardi per lavorare con Rosanna ai duetti più difficili. E lei gli era grata, ma manteneva le distanze.

Ogni sera, al loro ritorno al Savoy, si aspettava che Roberto venisse a bussare alla sua porta, ma non fu così. E neanche la chiamava al telefono.

Rosanna era delusa, e per questo si detestava.

Al suo arrivo in camerino, la sera della prima trovò due bellissimi mazzi di fiori ad aspettarla. Si affrettò ad aprire i biglietti e si intristì quando vide che li avevano mandati Paolo e Chris Hughes. Ormai era chiaro: Roberto era offeso per come lei aveva reagito al suo omaggio floreale. Tentò di scacciare dalla mente quei pensieri mentre la costumista la aiutava a indossare lo stravagante abito di seta della bellissima e sfortunata Violetta. Cominciò a prepararsi mentalmente, ma stava malissimo e le tremavano le mani. Due minuti dopo fu colta da vampate di calore e iniziò a sudare. Le batteva forte il cuore e provava nausea al solo pensiero di salire sul palco. Cercò di scaldare la voce facendo qualche scala, ma le uscì solo un patetico squittio.

Rosanna, si disse con fermezza, è solo ansia da palcoscenico. Luigi ti aveva detto che sarebbe potuto accadere. Concentrati sulla respirazione. Studiò il suo riflesso allo specchio e tentò di calmarsi.

Una volta pronta e truccata, cominciò a tremare così tanto da stare a malapena in piedi. Le veniva da piangere, avrebbe tanto voluto che ci fossero Paolo o Luigi a tenerle la mano e a dirle che sarebbe andato tutto bene.

«Si comincia!» annunciò l’assistente di palco, che passava davanti alle porte dei camerini per avvertire i primi cantanti di andare in scena. Con passo incerto, Rosanna riuscì ad arrivare dietro le quinte. L’orchestra stava accordando gli strumenti e Rosanna sentiva il mormorio di trepidazione del pubblico, in attesa dall’altra parte del sipario rosso.

Mentre continuava a tremare come una betulla al vento, sentì una mano sulla spalla.

«In bocca al lupo, Rosanna. Stasera trionferemo insieme.» Roberto aveva un aspetto magnifico in frac e cilindro.

«Mi sento malissimo, Roberto» sussurrò lei disperata.

Lui le prese le mani e le strinse forte. «Bene. Interpreti una malata di tubercolosi, perciò sarai perfetta, stasera.»

Rosanna era troppo nervosa anche solo per rendersi conto che era una battuta. «Ma non ho voce» aggiunse.

«Anch’io è raro che ce l’abbia, prima di uno spettacolo. Pensala in questo modo: ti trovi nella sala musica nella villa di Luigi. Il piano sta suonando, tu canti per te stessa, perché ami cantare. Nessuno ti ascolta, sei sola.» Roberto le sorrise e la baciò sulle guance. «Faremo faville, lo sento.»

La lasciò per andare al proprio posto e Rosanna rimase da sola dietro le quinte, ad ascoltare le prime note del preludio. Chiuse gli occhi e pensò alla pace della villa di Luigi, alla felicità che provava quando cantava per lui. Poi uscì sul palco e la voce tornò.

Molte ore più tardi Rosanna fece ritorno nella sua suite al Savoy. Era ancora inebriata, fremeva di emozione.

L’applauso al termine del terzo atto era durato un’eternità. Jonathan le aveva detto che lei e Roberto erano tornati sul palco per l’inchino ben ventidue volte. Alla festa, dopo, era stata attorniata da estranei che l’avevano ricoperta di complimenti e le avevano detto che la sua Violetta era la migliore di sempre dopo quella della Callas.

Rosanna si lasciò cadere su una sedia. Senza dubbio erano state le tre ore più belle della sua vita. Per la prima volta, sul palco, aveva sentito davvero il potere che aveva sul pubblico. La sua sicurezza era aumentata minuto dopo minuto e aveva anche iniziato a divertirsi, interpretando un’eroina tragica come una donna piena di emozioni, tentazioni e paure. La sua Violetta, quella sera, aveva preso vita.

E Roberto… l’aveva aiutata. Nei panni di Alfredo l’aveva accompagnata con altruismo, senza mai metterla in ombra, e l’aveva guidata nei duetti con una calma che aveva trasmesso anche a lei. Era quasi come se avesse fatto un passo indietro e le avesse permesso di volare. E c’erano stati dei momenti in cui Rosanna l’ave­va guardato negli occhi e aveva sentito come suo tutto l’amore del personaggio che interpretava. Sospirò. Per quanto fosse egoista e indisciplinato, Roberto sapeva che una parte di lei lo amava. E dopo quella sera, nonostante lei si sforzasse di convincersi del contrario, capì di amarlo ancora di più.

Aveva intenzione di fare pace con lui, di ringraziarlo per le parole che le aveva detto prima dello spettacolo, per il suo aiuto. Ma alla festa si era ritrovata circondata da così tante persone che non aveva avuto modo di parlarci. Quando era riuscita a liberarsi, lui era scomparso.

Rosanna camminava qua e là nel soggiorno della suite chiedendosi cosa fare. Alla fine aprì la porta e percorse il corridoio fino alla camera di Roberto.

Bussò piano, ma non ci fu risposta. Si mise in ascolto, ma non sentiva nulla. Bussò di nuovo. Poi le parve di sentire un pianto attutito. Confusa, fece un passo indietro per controllare che fosse la suite giusta. Ma non aveva sbagliato, era proprio la sua. Qualcuno lì dentro stava piangendo, non aveva dubbi.

«Roberto» chiamò piano attraverso la porta. «Apri, sono Rosanna.»

Il pianto non cessava. Rosanna girò la maniglia e si accorse che la porta era aperta; entrò con passo esitante. Il soggiorno sembrava deserto, ma i singhiozzi la guidarono dietro il divano. Roberto, ancora con indosso l’abito da sera, era seduto sul pavimento, con la testa fra le mani. Piangeva così forte che non l’aveva sentita entrare, perciò quando lei gli mise una mano sulla spalla trasalì per la sorpresa.

«Sono soltanto io» sussurrò lei inginocchiandosi. «Roberto, che c’è? Cos’è successo?»

Lui la guardò con un’angoscia tale che Rosanna si sentì quasi costretta ad abbracciarlo, anche se la cosa la imbarazzava.

«Ho ricevuto un messaggio, stasera alla festa. Mia madre… è… è morta.»

«Maria? Oh, Roberto, mi dispiace tanto.»

«Mio padre è tornato a casa e l’ha trovata a letto come al solito, ma non è riuscito a svegliarla, non si muoveva, e poi si è reso conto che non respirava. I medici pensano che abbia avuto un infarto. Continuavo a prometterle che sarei tornato a casa a trovarli, ma non l’ho mai fatto e adesso… adesso è troppo tardi. Mia madre è morta. Non la rivedrò mai più. Se n’è andata.» Quelle parole gli provocarono un altro attacco di pianto.

«Roberto, vuoi che me ne vada? Forse vuoi rimanere solo.»

«No. Ti prego, resta. Tu la conoscevi, Rosanna, capisci cosa provo.»

«Vuoi qualcosa da bere?»

Roberto annuì. «C’è un po’ di brandy nell’armadietto.»

Rosanna trovò la bottiglia, riempì un bicchiere e glielo porse.

«Grazie.» Roberto bevve tutto d’un fiato.

«Vuoi che chiami la reception? Ti faccio prenotare un volo per Napoli il prima possibile.»

Roberto la guardò e gli occhi gli si riempirono nuovamente di lacrime. «No, Rosanna. Non posso andare a Napoli. Sono stato talmente cattivo, talmente egoista, che adesso non posso neppure partecipare al funerale di mia madre.»

«Roberto, nessuno avrà da ridire se cancelli uno spettacolo. Tua madre è morta, devi tornare a casa.»

«Tu non capisci. Non posso andare e basta!»

«Perché non ti siedi sul divano?» disse lei gentilmente.

Si lasciò aiutare ad alzarsi e sedersi sul divano. Rosanna gli si mise accanto e gli prese la mano.

«Credo di aver amato una sola persona in vita mia: mia madre. E l’ho delusa, come deludo sempre tutti. Sono stato una persona orribile e ora non posso neppure dirle addio.»

«Sono certa che lei non la pensasse così. Sei uno dei tenori più famosi del mondo. Io so quanto era fiera di te. Non parlava d’altro ogni volta che veniva nel nostro bar.» Rosanna lo confortava perché era sconvolto, sopraffatto dallo shock. Quello che diceva non aveva alcun senso.

«Sì, ma non ho più avuto tempo per lei quando sono diventato famoso. L’ho vista solo due volte negli ultimi sei anni, e solo quando è venuta lei a Milano per sentirmi cantare.» La guardò con aria triste. «Avevi ragione quando dicevi che sono un egoista. Sono un bastardo, Rosanna. Mi odio.» Roberto si prese la testa fra le mani e ricominciò a piangere. Rosanna se ne stava seduta lì accanto in silenzio, consapevole che non ci fosse nulla che potesse dire per alleviare il suo dolore. Alla fine Roberto smise di piangere e si asciugò gli occhi. «Non ho mai pianto così, prima d’ora. Mi sento in colpa.»

«È naturale sentirsi in colpa. Quando è morta mia madre mi sono sentita malissimo solo per aver pensato brutte cose su di lei. Sono certa che Maria si rendesse conto di quanto eri impegnato. Le madri capiscono e perdonano meglio di chiunque altro, specialmente i loro figli.»

«Credi che perdonerebbe suo figlio per non essere andato al suo funerale?» le chiese piano.

«Sono sicura che lo farebbe, se c’è una buona ragione.»

Roberto sospirò e si soffiò forte il naso nel fazzoletto. «Mi dispiace averti rovinato la serata. Sei stata fantastica stasera, Rosanna. Dovresti festeggiare, non startene qui a consolare un vecchio piagnucolone.»

«Ora non autocommiserarti» lo rimproverò con gentilezza.

«Un piagnucolone di mezza età, allora. Perché eri venuta da me?» chiese all’improvviso. «È tardissimo.»

«Perché volevo scusarmi.»

«No, sono io che devo chiederti scusa. Sono un essere spregevole, è vero.»

Rosanna gli prese di nuovo la mano. «E volevo ringraziarti per stasera. Senza di te non ce l’avrei fatta.»

«Dici sul serio?»

«Sì» rispose piano lei.

«Allora, anche se la mamma è morta, almeno qualcosa di buono stasera l’ho fatto, per una volta.»

«Sì. E io non lo dimenticherò mai. Grazie.» Rosanna lo baciò sulla guancia. «Ora credo che dovresti provare a dormire un po’.»

Roberto la guardò mentre lei si alzava. «Rosanna, ti prego, non ce la faccio a stare solo. Rimarresti con me?»

«Roberto, io…»

«No, non ti sto chiedendo quello che credi. Tu e io ci conosciamo da tanti anni. Vorrei solo che rimanessi qui, solo questo. Nient’altro, lo giuro.»

«Okay» accettò lei con riluttanza.

«Vieni.» Roberto aprì le braccia.

Rosanna si accoccolò contro di lui, sbalordita di quanto le sembrasse naturale.

«Deve essere stato il destino a mandarti qui da me, stasera.» La baciò sulla testa con gentilezza. «Sai, ancora ricordo il momento in cui ti ho sentita cantare per la prima volta. La mamma piangeva mentre ti ascoltava; è stato lì che ho capito che saresti diventata una stella.»

«Davvero?» Rosanna si rallegrò perché ora riusciva a pensare a circostanze più felici della sua vita.

«Sì. Avevi una voce così limpida, così ricca di emotività.»

«Anch’io mi ricordo di quando ti ho sentito cantare. Sul mio diario ho scritto che da grande ti avrei sposato.» Sorrise a quel ricordo.

«E lo faresti? Anche adesso che sai come sono davvero?» chiese lui bruscamente.

Ci fu un attimo di silenzio, poi Rosanna rispose: «Non credo tu sia un tipo da matrimonio, Roberto».

«Non sarei un buon marito?»

«No, mi dispiace.»

«Hai ragione» concordò lui. «Stasera quando ho saputo della morte di mia madre, mi sono visto finalmente per quello che sono. E non mi è piaciuto. Devo cambiare. Forse ho solo bisogno della donna giusta.» Roberto guardò la ragazza tra le sue braccia, così dolce, così innocente, ancora ignara delle delusioni della vita. «Rosanna, devo dirti una cosa.»

«Ah sì?»

«Sì.»

«Dimmi.»

«Ti ricordi quando ti ho detto di non essere mai stato innamorato?»

«Sì.»

«Ti ho mentito. Io sono innamorato.»

«Di chi?»

«Di te.»

Rosanna si tirò su a sedere e lo guardò dritto negli occhi. «Non verrò a letto con te, Roberto. Non puoi usarmi per scacciare il dolore che provi in questo momento.»

Lui ridacchiò, nonostante tutto.

«Oh, principessa, almeno mi hai fatto sorridere. Certo che vorrei fare l’amore con te, sei bellissima. Ma c’è dell’altro. È una strana sensazione per un uomo che non ha mai provato sentimenti del genere. La verità è che voglio farti stare bene, renderti felice. Ho grande considerazione per quello che pensi di me. Sono rimasto scioccato quando mi hai dato quello schiaffo, ma solo perché non sopportavo di sapere che mi odiassi, che la tua opinione di me fosse così bassa. Ho fatto del mio meglio per rimediare, negli ultimi giorni. E dopo stasera mi impegnerò ancora di più. Domani devo andare alla messa, accendere un cero per la mamma e confessarmi. E forse potrò ricominciare da zero, e diventare una persona migliore. Rosanna,» proseguì «ti prego, dimmi che darai una possibilità al nuovo Roberto.»

Lei lo guardò dubbiosa, ma rimase in silenzio.

«Non credi che io ti ami, vero?» disse lui.

«Credo che in questo momento tu sia semplicemente sopraffatto dalle emozioni.»

«Tu… provi qualcosa per me?»

«Non ho esperienza, non so cosa sia quello che sento» rispose lei con cautela.

«Allora ammetti che qualcosa c’è?» la incoraggiò Roberto.

«Conosco la tua reputazione, perciò non ho ancora osato soffermarmi a rifletterci su.»

«Rosanna, ti sto dicendo la verità. Sono innamorato di te. Lo sento. Qui dentro.» Si toccò il petto. «È terribile! Soffro quando non sei con me. Voglio vederti, ti sogno la notte e…»

«Ora vado, Roberto. È tardissimo e siamo entrambi esausti.» Rosanna si alzò. «E hai bisogno di tempo per metterti alle spalle la perdita che hai subìto stasera» aggiunse gentilmente.

«Ti prego, Rosanna, resta con me» la implorò.

«No.» Gli diede un bacio sulla fronte. «Ne riparliamo domattina. Buonanotte, Roberto» sussurrò uscendo dalla suite.

Roberto rimase immobile. «La amo» disse ad alta voce. «Io la amo» ripeté, assaporando quelle parole e il sollievo che provava nel pronunciarle.

Sapeva che era sbagliato sentirsi così euforico ora che la sua povera madre giaceva morta a migliaia di chilometri da lì, ma non poteva farci nulla. Era una sensazione meravigliosa e al contempo spaventosa. Sarebbe cambiato, poteva farcela. Rosanna lo rendeva una persona migliore. Quella sera era stata catartica. Si inginocchiò sul pavimento e chiese a sua madre di perdonarlo.

Alla fine riuscì a trascinarsi a letto.

Forse, pensò, mentre mia madre moriva, io sono rinato.

Lo squillo del telefono destò Rosanna da un sonno pesante.

«Pronto?»

«Sono Chris, Rosanna. Hai visto i giornali?»

«No, stavo dormendo.»

«Be’, ti consiglio di scendere alla reception e chiedere una copia del Times, del Telegraph e del Guardian. Oltre ad alcune fotografie davvero belle, i recensori, che di solito non si lasciano andare a elogi, ti incensano senza ritegno. Ho già ricevuto telefonate dalla BBC e da alcuni giornali della domenica che vogliono intervistarti prima possibile.»

«Ah» fece Rosanna.

«Non sembri troppo contenta. Forse non ti rendi conto dell’importanza di recensioni del genere. Ti definiscono “la nuova Callas”. Hai fatto scalpore, tesoro!»

«Sono contenta, Chris, davvero, ma… hai saputo della madre di Roberto?»

«Sì. Una notizia terribile, ma la vita va avanti. Richiamami quando ti sarai svegliata del tutto, per farmi sapere quando puoi incontrare quei giornalisti. Non vedono l’ora. Rimarrò a casa per mezz’ora. Congratulazioni, Rosanna. Ci risentiamo.»

Rosanna si abbandonò sui cuscini con un sospiro. Si sentiva completamente svuotata e si chiese come stesse Roberto. La sera precedente le aveva detto di essersi innamorato per la prima volta in vita sua. E di lei…

No. Rosanna si costrinse a non pensarci. Era solo sconvolto per la morte della madre, non ragionava lucidamente. Probabilmente oggi si sarebbe scusato e il loro rapporto sarebbe andato avanti come sempre.

Prese il telefono e chiese alla reception di mandarle i giornali, poi richiamò Chris e organizzò le interviste per quel pomeriggio.

Un’ora più tardi, mentre era seduta a fare colazione, bussarono alla porta.

«Chi è?»

«Roberto.»

Rosanna si alzò e andò ad aprire.

«Cara!» La prese per le spalle e la baciò teneramente sulle guance.

«Entra.»

«Grazie.»

Si chiuse la porta alle spalle e la seguì fino al tavolo. Aveva l’aria stanca, ma sembrava stranamente in pace considerando gli eventi della sera precedente. «Come ti avevo detto, sono stato a messa, stamani. Ho confessato i miei peccati e pregato che mi venisse concesso il perdono. Mi sento in pace. E inoltre sono determinato a dimostrare alla mamma, su in paradiso, che posso essere una persona migliore.»

«Questa è una bella cosa, sai?»

Roberto ricacciò indietro le lacrime e raccolse un giornale dal tavolo.

«Ho letto le recensioni. Benvenuta a Londra, piccola. Congratulazioni» disse con un gran sorriso.

«Parlano bene anche di te» disse lei.

«Sì, sì» rispose agitando la mano. «Dicono sempre la stessa cosa. “Roberto Rossini dimostra, come sempre, grande personalità sul palco nei panni di Alfredo”. Io non faccio più notizia ormai, cara. Il loro interesse è per te, adesso. Posso darti un consiglio?»

«Certo.»

«Goditela finché puoi. Goditi ogni secondo. La prima volta che accade è come un miracolo, qualcosa di meraviglioso. E anche se ti esibirai di nuovo al Covent Garden, ricevendo probabilmente recensioni ancora più entusiaste, le avrai già ricevute una volta e non ti daranno lo stesso piacere.» La studiò con attenzione. «Sei felice, vero?»

«Sì, certo che sì. Sogno questo momento da anni. Ora lo sto vivendo e quasi mi sento in colpa» disse sospirando. «È accaduto tutto con grande facilità, quando molte altre non hanno ancora ricevuto gli onori che meritano e forse non li riceveranno mai.»

«Rosanna, queste recensioni le leggeranno migliaia di persone, vedranno le foto della stella dell’opera e vorranno essere al tuo posto. Ma nessuno sa qual è il prezzo da pagare – anni di duro lavoro, l’isolamento, la gelosia, l’ansia di vivere sotto gli occhi di tutti. È difficile, specialmente per una ragazza giovane come te.»

«Non ho nulla di cui rattristarmi, eppure oggi mi sento molto giù.» Rosanna deglutì per tentare di scacciare il groppo che le si era formato in gola.

«Tesoro, ieri sera hai aperto in modo trionfale al Covent Garden, e in un ruolo che non avevi mai interpretato prima. Ormai è fatta, e oggi non hai più l’adrenalina che ti scorre nelle vene. È normale che ti senta un po’ giù. Sei esausta. Vieni, ora tocca a me confortarti.» Roberto diede dei colpetti sul divano accanto a sé.

Rosanna si alzò, fece il giro del tavolo e andò a sedersi.

«Tu mi capisci» sussurrò.

«Ma certo che sì. E sono qui per prendermi cura di te.» Le tolse dal viso una ciocca di capelli. «Tutto quello che ti ho detto ieri sera è vero. È accaduto in una serata intensa, ma sono sicuro di amarti, Rosanna Menici. Non so come sia accaduto e perché, ma so che è vero. Mi credi?»

«Non lo so» rispose sincera.

«Be’, se me lo permetterai, proverò a convincerti. Ma devi dirmi una cosa soltanto: ho qualche possibilità?»

Osservò la sua espressione ansiosa e si strinse nelle spalle. «Non mi sei piaciuto un granché di recente, ma nel mio cuore so di averti sempre amato, Roberto.»

«Lasciati baciare.»

Roberto le sollevò il mento con un dito, fermandosi con le labbra a pochi millimetri dalle sue.

«Sai che questo cambierà le nostre vite. Non si torna indietro, Rosanna.»

«Non voglio tornare indietro.» Chiuse gli occhi e si arrese al suo bacio.