11.
Undicesimo giorno prima delle Calende di Ottobre.
Il senatore Stazio stava tornando a Trastevere.
Il biglietto che sembrava annunciare una fuga, le minacce di Flavio, la decisione di Rubellio di farsi circoncidere. alcune risposte dovevano trovarsi lì, nel quartiere ebraico.
Castore aveva indagato, ancora travestito da commerciante alessandrino, ma non era riuscito a trovar traccia del nuovo convertito presso i gruppi israelitici della capitale.
Eppure aderire al mosaismo non era facile: gelosissimi delle loro tradizioni, i giudei non cercavano proseliti e, prima di accettare un adepto, lo sottoponevano a un duro apprendistato.
Invece nessuno conosceva Rubellio.
Anche la convinzione di Mnesarete, che difficilmente un vero medico avrebbe fallito l’intervento, lo riconduceva alla casa di Dinah.
Perchè immaginare l’esistenza di una fantomatica saga, quando la ragazza viveva sotto lo stesso tetto di una vecchia che, per quanto poco affidabile, era stata per anni la sua sola amica e consigliera? Sarebbe stato stupido cercare lontano, prima di aver scrutato attentamente vicino: la spiegazione del dramma poteva trovarsi lì, a pochi passi dal luogo dove Dinah era morta.
Per forza di cose il sospetto più“ forte gravava sulla balia. se non fosse stato per quella frase in greco! Ma aveva poi davvero parlato in greco, la giovane moribonda? Fino a che punto era attendibile la testimonianza di Mordechai, sconvolto dal dolore? Conserva le tue buone qualità. o qualcosa di simile.
Una frase senza senso, in una lingua che Dinah non conosceva neppure.
Aurelio, prima di sapere di Rubellio, aveva addirittura supposto che la ragazza fosse l’amante di un orientale, a meno che…. era tanto di moda parlar d’amore in greco. poteva trattarsi di una formula che Rubellio stesso le aveva insegnato, un soprannome, magari una parola d’ordine Per la fuga. Il patrizio si aggirava sotto la casa di Mordechai, portando con sé un enorme fiasco d’idromele per propiziare l’incontro con la vecchia ubriacona e aveva scelto apposta quel giorno per trovarla sola.
Provò a bussare.
Niente: la porta, come al solito, era sbarrata.
Shula non usciva mai, gli aveva detto l’amico. era molto Frobabile che se ne stesse rintanata in camera sua, fingendosi assente.
Aurelio valutò rapidamente l’altezza delle finestre e, dopo essersi assicurato che nessuno lo vedesse, si arrampicò con un agile balzo sulla balconata di legno che correva attorno all’edificio.
La camera della nutrice doveva trovarsi al piano rialzato: le imposte erano chiuse, ma il senatore le scosse a lungo, persuaso di ottenere prima o poi una risposta.
Finalmente gli parve di udire un rumore all’interno e da un improvviso spiraglio intravide per un attimo un occhio cisposo, rosso di vino.
Aurelio tenne alto davanti a sé come un lasciapassare l’orcio dell’idromele e, a poco a poco, il battente si schiuse del tutto.
Il senatore ebbe il suo daffare nel tenere il fiasco fuori portata della vecchia, mentre cercava di estorcerle qualche ammissione.
- Cos’hai fatto a Dinah? – le domandò perentorio.
- Niente, non le ho fatto niente! – Menti! – gridò Aurelio afferrando la nutrice per i lembi della veste e scuotendola leggermente.
Chissà se era consapevole, in quel momento, della morte della sua pupilla?
- Non è colpa mia se non ha funzionato! – belò Shula, piagnucolando.
Un lungo brivido corse per la schiena del patrizio.
- Che cosa non ha funzionato? – domandò in un soffio.
- Lo so che non si deve: il signore ha detto di non venerare gli idoli! Ma era solo un piccolo amuleto! Se lo sarà“ levato, per questo non ha fatto effetto.
- Che amuleto? – s’informò il romano deluso, mentre l’eccitazione provata un attimo prima, quando credeva di essere vicino alla verità, svaniva miseramente.
- Era un pendente, un sacchetto di pelle di cervo, con dentro due vermi, di quelli che si trovano nella testa del falangio.
L’avevo comprato coi miei risparmi da una saga per la mia Dinah: tutti sanno che nel capo di quel ragno lanuginoso vivono dei bruchi che, tenuti sul petto, impediscono di concepire.
Ma lei se lo sarà“ levato. quella sciocchina, non credeva a certe cose. non è colpa mia se è rimasta incinta!
- Allora sapevi del bambino, vecchia bugiarda! – inveì Aurelio. – E l’hai aiutata a liberarsene, vero? Cosa le hai fatto bere? Sangue di serpente? Succo d’aspide?
La vecchia si schermiva, terrorizzata.
- O hai usato quel lungo ago…. – il patrizio rabbrividì pensando alla fragile Dinah che si affidava alle mani tremanti dell’ubriacona.
- No, padrone, no! – gemette Shula gettandosi a terra e tentando di abbracciargli le ginocchia. – E“ vero, ho cercato di aiutarla. ma è stato prima, prima che decidesse di tenere il bambino! – Aiutarla, eh? – l’investì il patrizio. – E come?
- L’ho mandata dall’indovina che mi aveva venduto l’amuleto. ma non dirlo a Mordechai, mi caccerebbe di casa! Sono una povera vecchia, non ho più“ nessuno al mondo. chi mi darebbe da mangiare?
- Da bere, vorrai dire! Su, parlami della saga, presto! – Conoscevo sua madre. prediceva il futuro.
Quando la povera Rachele morì, rimasi l’unica donna in casa e per gli ebrei non è bene che un vedovo resti solo.
Da giovane ero quasi bella, non ci crederai.
E mi chiamavo Shulamit, come la bella Sulamita, che consolò la vecchiaia del nostro Messia Davide.
Speravo che, vivendo sotto lo stesso tetto, il padrone un giorno o l’altro….
Non ero più“ una ragazzina, è vero, ma anche lui era avanti con gli anni e non poteva pretendere molto.
Però i giorni passavano e io rimanevo la serva, una specie di mobile a cui si è tanto abituati da non vederlo più“.
Allora pensai di fare qualcosa.
Avevo sentito parlare di una maga: la dicevano capace di miracoli. ci andai e provò ad aiutarmi.
Purtroppo gli astri mi erano sfavorevoli.
Neanche il filtro d’amore ebbe effetto su Mordechai.
Fu così che per la delusione cominciai a bere.
Ma intanto andavo sempre dall’indovina, avevo preso l’abitudine, era il momento che aspettavo tutta la settimana.
Il mio unico diversivo.
Poi la saga morì e sua figlia prese il suo posto. è da lei che ho avuto l’amuleto.
- E ci hai mandato Dinah!
- Sì, ma questo è stato prima. quando voleva ancora disfarsi del bambino.
Dopo cambiò idea: aveva deciso di scappare col suo ragazzo.
Il biglietto! Allora, Dinah chiedeva al padre di perdonarle la fuga con Rubellio.
- Quando voleva andarsene?
- Quella notte stessa: ma la sera era già morta.
- Come si chiama la saga?
- Erofila. Ha una bottega vicino al Porto Vinario.
Aurelio riflettè: se i due giovani avevano deciso di fuggire, ovviamente Rubellio aspettava Dinah in qualche posto e doveva essersi preoccupato, non vedendola arrivare.
A meno che non fosse lui il responsabile della sua sparizione.
Shula intanto si era ripresa e nel suo occhio arrossato brillava una luce circospetta.
Aurelio tenne alto l’idromele, facendolo oscillare.
- Dopo la disgrazia non ha osato farsi vivo subito.
Lei gli aveva raccomandato di aspettarlo, qualunque cosa fosse accaduta, non era la prima volta che cambiavano i loro piani all’ultimo minuto: Dinah, poverina, era sempre sotto gli occhi di quell’Eleazar così sospettoso.
Alla fine però il ragazzo non ce l’ha fatta più“ ed è entrato in casa, mentre Mordechai era fuori.
- Quando? – domandò il romano col fiato sospeso.
- Due giorni dopo, no, forse tre. non ricordo.
L’aveva aspettata e aspettata. temeva che avesse cambiato idea! – Lo sguardo della vecchia si fece maligno. – Gli ho detto che era morta: è rimasto di sasso! Ma gli sta bene a quel disgraziato! – dichiarò con forza, allungando la mano verso l’idromele.
Stanco del tiremmolla Aurelio glielo lasciò.
La nutrice bevve avidamente e subito l’effetto benefico del liquore la rese più“ loquace.
- L’ho cacciato a calci e quando è arrivato Eleazar….
- Eleazar! – esclamò Aurelio allarmato.
- non gli avrai detto di Rubellio! Quello è capace di ucciderlo! – Certo che gliel’ho detto! E“ da una settimana ormai.
Ma che importanza ha? Se lo ammazza, sarà“ un goy di meno! – borbottò Shula ormai completamente presa dal liquore.
Aurelio scese di corsa la scaletta di legno e si ritrovò in piazza.
La casa di Eleazar non era lontana e si affrettò, pur sapendo che non lo avrebbe trovato: quel pazzo fanatico doveva essere già da un pezzo alla ricerca di Rubellio.
La porta era sbarrata.
Infischiandosene di essere visto, il senatore le assestò una vigorosa spallata.
Il battente cedette subito: il giovane ebreo non era abbastanza ricco da dover difendere i suoi beni con una robusta serratura.
Nell’interno della stanzetta aleggiava uno sgradevole odore di chiuso.
C’erano indumenti sparsi dappertutto evidentemente tolti in gran fretta da un cassone aperto sul pavimento.
Tra le coperte del letto, accanto a un tallit da preghiera a righe bianche e nere, il fodero di una sica, vuoto, era un esplicito messaggio di morte.
19.
- Erofila? Ma certo che la conosciamo! – esclamò uno scaricatore ridendo e, dopo aver avvertito gli altri manovali, si offrì di accompagnarlo.
- Vengono da tutte le parti, sai. non devi vergognarti: capita a tutti, prima o poi! Aurelio annuì, con aria di circostanza, senza avere la minima idea di quel che intendeva l’operaio.
- Ecco, è qui: buona fortuna! – gli augurò il giovanotto accettando alcune monete. – E quando sarai guarito, ho dei posti dove portarti. vedrai! l’incoraggiò con una pesante manata sulle spalle.
- Avanti! Avanti! Sei ancora giovane. in pochi giorni tutto sarà“ risolto! Seguendo la voce che l’invitava, il patrizio, dubbioso, scese la scaletta di legno che dava in un bugigattolo nascosto agli occhi dei passanti da una tenda sdrucita.
- Su, accomodati! Non c’è da aver paura!
Aurelio avanzò nella penombra, cercando di scorgere chi gli aveva rivolto quel gioviale benvenuto.
La botteguccia era tappezzata di scaffali carichi di amuleti e statuette.
Su un tavolino, rozzamente intagliato con i segni dello zodiaco, erano ammucchiate decine di illustrazioni pornografiche, tra le più“ oscene che il patrizio avesse mai visto.
Seguendo la voce, Aurelio si chinò per passare da una porticina e battè la testa contro la lampada a forma di fallo che pendeva dall’architrave.
Alzando gli occhi si avvide che un’intera foresta di lucerne itifalliche gli incombeva sul capo.
- Su, su, non ci sono segreti per Erofila! – Una donna prosperosa, avvolta in un mantello sbiadito dove in anni più“ prosperi erano stati ricamati in seta costellazioni e simboli astrologici ormai sbiaditi, gli venne incontro con materna sollecitudine.
Il patrizio fece per aprir bocca ma fu zittito da un gesto scandalizzato della donna.
Con una certa preoccupazione, Aurelio si vide ballonzolare SottO il naso due enormi poppe lattiginose a un ritmo furioso che, nelle intenzioni della maga, avrebbe dovuto essere provocante.
- Non dire niente! Erofila sa già tutto! Gli astri mi hanno avvertito che stavi per arrivare e io sono qui per aiutarti! Sempre più“ perplesso, il senatore la seguì guardingo. – Sono proprio i giovani più” virili, nel fiore degli anni, ad avere certi blocchi.
Ma non angustiarti, ho pronto il rimedio! Dimmi, con chi è successo la prima volta?
- Successo, cosa? – domandò Aurelio che piuttosto inorridito cominciava a rendersi conto dell’equivoco.
- Eh, il dio Priapo fa brutti scherzi, a volte! Geloso della prestanza dei mortali, li priva delle loro forze, proprio sul più“ bello! Scommetto che non gli hai offerto sacrifici, ultimamente! – continuava a sproloquiare la donna. – Gli dèi, bisogna tenerseli buoni! Ecco, per cinque assi ti posso dare questa giaculatoria speciale! garrì porgendogli un rotolo di papiro. – viene dall’Egitto ed è conosciuta solo dai seguaci di Toth, il grande dio che ci dà il potere della divinazione.
E questa è la pozione magica infallibile: solo dieci assi e il risultato è garantito.
Prendila pochi minuti prima, mi raccomando, recitando l’orazione: le donne rimarranno estasiate.
Eguaglierai Giove con Europa, Marte con Venere, il toro con Pasife. si dice che persino Minosse dovesse a questa polvere la sua fama di indefesso amatore!
- Veramente io….
- Non c’è da vergognarsi, giovanotto! Le stelle mi avevano già annunciato che ero destinata a risolvere il tuo problema!
Aurelio, imbarazzato e confuso, pensò bene di non contraddirla sperando che nessuno, ma proprio nessuno, l’avesse visto entrare nell’antro della maga: gli anni di duri sforzi per farsi una solida fama di amatore presso le matrone della capitale sarebbero stati vanificati in un istante.
- Vorrei anche sapere di una ragazza. una che è venuta qui per liberarsi di una gravidanza.
La mandava una certa Shula.
- Shula! Era un’ottima cliente di mia madre, certo che la conosco!
E ricordo anche la ragazzina.
E“ stato due mesi fa!
- Che cosa le hai dato?
- Ma se voleva abortire!
Erofila non aiuta ad abortire! Sono una protetta della Grande Madre, che fa crescere le messi e il ventre delle donne: la offenderei se spegnessi un germoglio.
La dea mi ha dato il potere di curare l’impotenza e la frigidità: il mio filtro è infallibile: solo sette assi, soddisfatti o rimborsati! Se il figlio lo si vuole maschio, tre assi in più“- concluse, compiaciuta.
- Va bene, Erofila, grazie: prenderò la medicina- assicurò Aurelio deluso, pagando e facendo per andarsene.
Ma la fattucchiera lo trattenne avanzando sinuosamente.
- Senti, bel giovane, per maggior sicurezza…. perché non la provi subito la pozione? Posso invocare Priapo intanto che fa effetto.
Molti miei clienti hanno risolto con me i loro guai.
Erofila è benedetta da Venere! Solo un sesterzio in più“!
- Santi Numi! – Aurelio allibito alzò gli occhi al cielo.
- Ti sono grato per la tua generosa offerta ma ho un tremendo mal di testa. e poi non possiedo un sesterzio, – mentì.
- Sei un ragazzo molto simpatico! – cinguettò Erofila strusciandosi contro di lui come una gatta. – Vorrà dire che ti guarirò gratis.
- Mi commuovi, ma proprio non posso. – tergiversò il patrizio cercando in fretta una valida scusa. – Ho fatto un voto a Venere: ho giurato di non riprovare finché non le avrò“ offerto una colomba bianca.
Gli dèi bisogna tenerseli buoni, l’hai detto anche tu.
Facciamo così: vado al tempio, porto la colomba e torno! – promise incoraggiante, uscendo a tutta velocità dal bugigattolo.
- Una colomba? Solo sei assi! – gli gridava dietro la maga, mentre scompariva dietro l’angolo a testa bassa, nella speranza di non essere riconosciuto.