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Lo Spider-Man di Santorini

LA stagione estiva era ben avviata, e ormai a Santorini ci sentivamo a casa. Sulla spiaggia di Akrotiri si conduceva una vita semplice, ma perfetta per Nala e me: proprio quello che ci voleva. La mia giornata lavorativa era lontana mille miglia dalla deprimente routine alla quale ero abituato in Scozia: attacca alle sei, stacca alle quattro. Anche qui lavoravo sodo, però mi divertivo da matti. Santorini è un’isola festaiola, per cui ogni tanto mi concedevo qualche eccesso. Anche Nala sembrava entusiasta di abitare in riva al mare. L’unico problema, per entrambi, era il caldo. Le temperature avevano cominciato a salire, arrivando nel pomeriggio tra i ventisei e i trentatré gradi.

Stare troppo al sole nuoce ai gatti come agli esseri umani. Reduce da un colpo di calore, stavo molto attento a evitare che Nala si esponesse ai raggi nelle ore più roventi. Per cui, seguendo i consigli che avevo trovato in rete, ho iniziato ad applicarle sulle orecchie e sul nasino un’apposita crema solare. Pare che i gatti tendano a scottarsi soprattutto in quelle zone, dove la pelle è scoperta, e talvolta anche in modo grave. Per la stessa ragione avevo deciso di non portarla troppo spesso in mare. Fare un giretto in kayak ci poteva stare, ma tenercela per tre ore sarebbe stato eccessivo per lei (anche se a me sarebbe piaciuto).

Non era la soluzione ideale. Quando Nala veniva con me ero molto più sereno, mentre quando rimaneva a terra non facevo che pensare a lei, domandandomi se andasse tutto bene. C’era tanta gente in spiaggia? Chi era rimasto alla rimessa? Era al coperto, al sicuro? La situazione su Instagram, peraltro, non aiutava.

I follower ormai erano quasi mezzo milione. Gente da tutto il mondo: Canada, Stati Uniti, Polonia, Brasile... E si erano aggiunte moltissime altre persone in vacanza sulle isole greche. Se prima ricevevo qualche messaggio ogni tanto, ora erano un sacco. Mi arrivavano come minimo una o due richieste al giorno di conoscerci dal vivo. All’inizio ho cercato di accontentare tutti, ma non sempre ci riuscivo. In un paio di occasioni ho ricevuto visite impreviste proprio mentre stavo per uscire in kayak e ho dovuto rimbalzare i fan di Nala. In altri casi rientravo da un’escursione e mi riferivano che qualcuno era venuto a cercarmi. Anche quei turisti erano rimasti a bocca asciutta, costretti a ripartire senza vedere Nala.

Mi dispiaceva: quelle persone si erano prese il disturbo di venire a trovarci, spingendosi apposta fino ad Akrotiri, spesso dall’altro capo dell’isola. Però avevo degli impegni con Tony. Lui e Haris mi avevano ingaggiato come istruttore di kayak e già mi ero dovuto assentare a causa dell’insolazione e della gamba. Non sarebbe stato giusto nei loro confronti, e neppure nei confronti della mia gattina.

I visitatori che riuscivano a incontrarci, però, erano persone squisite. Passavano un po’ di tempo con noi a chiacchierare e scattare foto, poi se ne andavano con grandi sorrisi stampati sul volto. Alcuni mi offrivano qualcosa da bere. Un gruppo di ragazze britanniche e australiane mi ha perfino convinto a uscire con loro in città. Siamo finiti a farci tatuare un ananas sulle caviglie. Che serata!

La nostra storia aveva toccato i cuori di tanta gente: un numero incredibile. Ormai non ricevevo solo e-mail e messaggi privati da editori, agenti e giornalisti, ma c’era addirittura chi mi spediva pacchi al vicino ufficio postale. Arrivavano da tutto il mondo (ma specialmente dagli USA), indirizzati semplicemente: «A Dean e Nala, Santorini». Contenevano regali di ogni sorta, dal cibo extralusso per gatti ai topini giocattolo, passando per campanellini, guinzagli ed erba gatta. Ce n’era per soddisfare tutti i piaceri felini noti al genere umano.

Il problema è che quando arrivavano in Grecia scattava una tassa di importazione. Per ritirarli, in altre parole, dovevo pagare. Era una specie di gioco d’azzardo: non potevo mai sapere in anticipo se ne valesse la pena. Una volta ho sborsato cinquanta euro per un pacchetto che conteneva un bastoncino con una penna all’estremità.

Sarebbe stato assurdo lamentarsi. Erano tutti così generosi con me! Contava il pensiero. Però era giunto il momento di porre fine alla cosa, per cui ho scritto due righe su Instagram, invitando chi voleva farmi un regalo a donare l’equivalente ai rifugi per animali della sua zona. Non potevo portare con me tutta quella roba, specialmente una volta che ci fossimo rimessi in viaggio, altrimenti mi sarei trasformato in un negozio ambulante di articoli per gatti.

Ero sopraffatto, in senso buono, dall’affetto che ci stavano dimostrando, ma non volevo perdere di vista lo scopo principale del mio viaggio. Ero deciso più che mai a sfruttare il nostro profilo – la nostra «influenza» – per fare qualcosa di utile. Per fare del bene. Per combinazione, le prime opportunità sono arrivate già a maggio.

Santorini è un’isola da sogno, un posto da cartolina, ma ha anche un lato oscuro. Facendo un giro a Fira in uno dei miei giorni di riposo, avevo fatto caso alla popolazione di asini e muli. Mentre ammiravo il panorama della caldera, guardando le imbarcazioni turistiche che andavano e venivano dalle vertiginose scogliere, mi è caduto l’occhio su alcune persone che stavano salendo al villaggio a dorso d’asino. Si capiva subito che quelle povere bestie erano allo stremo. Ne ho vista una fradicia di sudore arrivare ansimante con questo tizio enorme sulla groppa. A un certo punto ho temuto che sarebbe stramazzata.

Non riuscivo a capire perché quella persona avesse sottoposto l’asino a un tormento simile. Per salire c’era una comoda teleferica. E mi pareva pure che le gambe gli funzionassero a dovere.

Dopo quell’episodio ho preso a osservare i muli. Alcuni tiravano i carretti dei contadini, ma altri, più anziani, vagavano soli per i campi e le strade. Ho cercato un po’ in rete e ho scoperto che in alta stagione gli asini-taxi sgobbano dall’alba al tramonto, sette giorni su sette, finendo per logorarsi le giunture e sviluppare problemi alla schiena e alle zampe. Li si mandava in pensione ridotti in condizioni fisiche pietose. Purtroppo, ai proprietari non importa nulla di loro, anzi, molti li abbandonano.

Così, quando Lucia di Sterila mi ha proposto di andare con lei in visita a un’associazione specializzata nella cura degli asini e dei muli anziani di Santorini, ho colto la palla al balzo.

La sede della Santorini Animal Welfare Association (SAWA) non era lontana da Fira. Oltre a badare agli asini ormai in là con gli anni avevano gabbie su gabbie di cani randagi, addirittura un intero canile di pointer, una razza che mi è particolarmente cara, perché una volta, quando ero piccolo, ne avevo avuto uno, di nome Teal. Non sono riuscito a resistere: sono rimasto a giocare per varie ore con cinque o sei di quelle bestiole, chiacchierando con Lucia e con alcuni dei volontari.

Una delle responsabili era una giovane ateniese. Mi ha raccontato che l’associazione è stata fondata nei primi anni Novanta dal suo capo, una certa Christina. Si occupavano principalmente di gatti, cani e asini, ma di recente avevano adottato un paio di maiali e in passato avevano dato rifugio anche ad animali da fattoria. Il loro scopo era sterilizzare e vaccinare tutti i randagi e curare eventuali ferite o malattie per poi trovare loro una nuova casa, in Grecia o all’estero. L’ostacolo maggiore era l’atteggiamento del governo greco, che non prendeva sul serio la protezione degli animali e quindi non concedeva a SAWA un centesimo di sussidi. Il loro principale rifugio era piuttosto malridotto dopo i mesi invernali e aveva urgente bisogno di fondi per essere ristrutturato.

Sono rimasto impressionato dalle loro attività e ho ammirato la loro determinazione. Così quella sera, rientrato alla rimessa dei kayak, ne ho parlato su Instagram, illustrando la triste situazione degli asini di Santorini e chiedendo aiuto agli utenti per sistemare il rifugio. Ero fiducioso, ma non mi aspettavo chissà cosa. Tanto che, dopo aver pubblicato il post, mi sono messo a giocare con Nala e sono uscito a ripulire la spiaggia. Ho capito che cosa avevo innescato solo la mattina dopo, quando ho ricevuto un messaggio di Christina. Incredibile: la rete si era mobilitata senza perdere un minuto. Gli utenti avevano risposto al mio appello donando varie migliaia di euro, forse abbastanza per iniziare subito a riparare i danni.

Christina era senza parole.

Francamente, ero esterrefatto anch’io. Avevo già visto qualcosa di simile quando avevo chiesto aiuto per Balou, ma stavolta si parlava di cifre molto più alte. Era esaltante, ma anche un po’ inquietante. Mi ha fatto capire quale impatto poteva avere – almeno in teoria – ciò che scrivevo. E che dovevo andarci con i piedi di piombo.

Era già capitato che mi contattassero per offrirmi a titolo gratuito una camera di albergo, un giro in barca o cibo per gatti: in cambio avrei dovuto sponsorizzare il marchio. Il grosso di quelle proposte veniva dalla Grecia, ma alcune anche da lontano. Un tizio mi aveva proposto una somma da capogiro – si parlava di migliaia di sterline – a condizione che io e Nala visitassimo la Georgia con il suo tour organizzato, documentando su Instagram i luoghi che ci portava a visitare e gli hotel nei quali ci faceva alloggiare.

La Georgia era uno dei Paesi che volevo assolutamente vedere. Tra l’altro era sul mio percorso, dato che la strada si inoltrava per il Caspio e poi la Via della Seta, che desideravo tanto risalire in bici fino all’Asia centrale. Ma la cosa mi puzzava. E se quei posti non fossero stati granché o l’agenzia avesse applicato prezzi disonesti? Sarei stato costretto a promuovere prodotti nei quali non credevo. E poi non mi andava di fare di continuo pubblicità a questa o quell’attività. Volevo mantenere il controllo e sponsorizzare solo quello che mi andava, volevo essere sincero quando davo un consiglio.

Nel frattempo Tony era diventato un caro amico e una specie di confidente. Sentivo di poter parlare con lui quasi di tutto. Quando una sera gli ho confidato il mio dilemma davanti a una birra è stato molto comprensivo. C’erano un paio di suoi amici, tra cui un ragazzo di Atene, Nick. Mi ascoltava con attenzione e sorrideva. Si vedeva che era impaziente di intervenire.

«Hai presente Arachnos? Come lo chiamate... Spider-Man», ha ridacchiato.

Ho sgranato gli occhi. Non capivo.

«E che c’entra?»

«Spider-Man, quello dei fumetti. Peter Parker. Come dice la sua frase famosa? ‘Da un grande potere derivano grandi responsabilità.’»

Ho riso. «Ma dai, non essere ridicolo!»

«No, dico sul serio. Adesso sei lo Spider-Man di Santorini.»

Solo dopo qualche ora ho capito che cosa intendeva. Chiaramente esagerava un pochino. Io non ero un supereroe, non stava a me scegliere i nemici da combattere e gli innocenti da salvare. Però, sotto sotto, la situazione in cui mi trovavo mi conferiva un potere speciale. Potevo decidere quali cause sposare o quali opportunità cogliere. E dovevo rispondere delle mie scelte. Magari non ci avrei sempre azzeccato, ma ci tenevo a far bene. O quantomeno a non tradire me stesso.

Più tardi quella sera ho scritto al promoter georgiano per rifiutare la sua proposta.

Alcune cause erano da appoggiare senza neppure stare a pensarci, specialmente se riguardavano la protezione degli animali o la tutela dell’ambiente. Per cui avevo già cominciato a riflettere su nuovi progetti di raccolta fondi per iniziative in quei campi.

Avevo trascorso alcune delle mie giornate libere nello studio di una ceramista ai margini della graziosa cittadina di Megalochori, a qualche chilometro da Akrotiri. Avevo sempre sognato di imparare a usare il tornio da vasaio e a modellare l’argilla, per cui mi sono divertito un mondo a sperimentare sotto l’occhio sempre vigile della proprietaria, Galatea. Avevo modellato quattro scodelle che poi avevo decorato con l’impronta della zampa di Nala, e ne andavo piuttosto fiero.

Su esortazione di Galatea ho deciso di organizzare una lotteria per i miei follower, mettendo in palio le mie scodelle. Per partecipare bastava donare una sterlina. Poi avrei estratto a sorte quattro vincitori e avrei versato i proventi in beneficenza.

Volevo anche fare qualcosa di significativo per ringraziare in particolare Lucia di Sterila, che mi aveva aiutato tanto al mio arrivo sull’isola, quando Nala ne aveva bisogno. Le ero grato anche per avermi presentato Christina, di SAWA.

Nella vita, a volte, le cose che stai cercando trovano te.

Una mattina di metà maggio, mentre mi avviavo con il kayak, ho notato una donna che scattava delle fotografie ai piedi delle scogliere, poco più in là sulla spiaggia. Non riuscivo a capire che cosa la interessasse tanto, ma sembrava molto concentrata, come se avesse adocchiato qualcosa di insolito.

Al mio rientro, quattro ore più tardi, ho visto un’altra persona nello stesso punto. Non scattava foto, ma parlava animatamente al telefono. Così sono andato a vedere.

Rannicchiati contro il muro c’erano due gattini: uno nero e uno rossiccio.

«Sono lì da stamattina», ha detto il tizio.

Mi sono guardato intorno. Erano talmente piccoli che forse la mamma era ancora nei paraggi. Magari si stava prendendo cura del resto della cucciolata. Ma no, era improbabile: già solo per il colore diverso era difficile che fossero figli della stessa madre. Nei dintorni non c’era nessuno, così li ho presi in braccio. Erano minuscoli, perfino più piccoli di Nala quando l’avevo trovata. Avrei potuto tenerli entrambi nel palmo di una sola mano. Li ho portati alla rimessa dei kayak.

La reazione di Nala è stata impagabile. Mi ha rivolto un’occhiata di disprezzo, come se l’avessi tradita ancora. Quando ho cercato di accarezzarla mi ha soffiato. Faceva così per questioni di territorio, era naturale, ma non potevo farci nulla. Le conveniva abituarsi ai due micetti, almeno per il momento.

Io non potevo occuparmene per più di qualche giorno, così ho chiamato Lucia: lei poteva contare su una rete di affidatari sparsi per l’isola che ospitavano randagi in attesa di una sistemazione permanente. Purtroppo nessuno dei volontari aveva posti liberi. Ma Lucia non si è data per vinta. Mi ha detto che se potevo tenerli da me per qualche giorno di sicuro avrebbe trovato qualcuno disposto a prenderli. Forse si sarebbe liberato un posto in casa di Marianna, una delle volontarie di Santorini.

Io ho fatto del mio meglio per accelerare le cose pubblicando qualche foto e un appello, dando i contatti dell’associazione e segnalando che i gattini cercavano casa. Nel frattempo li abbiamo portati dai veterinari di Fira, che hanno somministrato loro dei farmaci contro i vermi e applicato dei prodotti antipulci.

Mi ha ricordato la prima visita di Nala in Montenegro; si è svolta nello stesso modo. Verdetto: erano in discreta salute e avevano quattro o cinque settimane. Il nero era maschio, mentre la rossa era femmina. Per compilare le carte occorrevano dei nomi, così ne ho tirati fuori altri due ispirati al Re leone: Kovu e Kiara.

Quando siamo rientrati alla rimessa i due gattini hanno seminato lo scompiglio. Kovu era un concentrato di energia e ficcava il naso dappertutto. Per molti versi mi ricordava Nala. Non aveva paura di nulla. A volte si acciambellava su una poltroncina di pelle nera nell’angolo che fungeva da «ufficio». Si mimetizzava così bene che per poco Tony non gli si è seduto sopra. Kiara, invece, era una bestiola timida che avrebbe dormito dalla mattina alla sera se nessuno l’avesse disturbata.

Nala ha cambiato atteggiamento nel giro di un paio di giorni e non perdeva occasione per giocare con i nuovi arrivati. Scorrazzavano tutti e tre per la grotta, dandosi la caccia e infilandosi tra i piedi della gente.

Di lì a poco mi hanno chiamato dall’associazione: il mio appello su Instagram aveva fatto il miracolo. A quanto pareva, qualcuno li aveva contattati dalla Germania, impegnandosi ad affrontare la trafila medico-burocratica senza la quale nessun gatto può viaggiare per mezza Europa.

«La buona notizia è che li vogliono tutti e due», mi ha detto Lucia. Ho percepito una nota esitante nella sua voce.

«E la cattiva?» ho domandato.

«La volontaria, Marianna, sarebbe disposta a prenderli in affido finché non sono pronti a partire per la Germania. Ma ha bisogno di un nuovo gattile per tenerli. Non è che per caso tu conosci qualcuno che potrebbe aiutarla a costruire un capanno?»

Ed è così che un bel giorno – forse il più caldo da quando ero sull’isola – mi sono presentato ai cancelli di una casetta imbiancata ai margini di Fira con Kovu e Kiara nel trasportino di Nala. La proprietaria, Marianna, era una signora greca di mezza età. Conosceva solo qualche parola in inglese, ma si vedeva subito che aveva un cuore d’oro. La casa e il giardinetto erano gremiti di gatti di tutte le età. Alcuni erano pelle e ossa, altri erano arrivati in pessimo stato ma ora, se non altro, avevano una casa e qualcuno che se ne prendeva cura.

Mi ha mostrato un angoletto del giardino sul retro dove erano posate sull’erba le parti del nuovo rifugio per gatti. Ho dato un’occhiata. In buona sostanza si trattava di assemblare una costruzione in metallo con le pareti di reticolato. Marianna aveva anche delle strutture per l’arrampicata, dei tiragraffi e dei giocattoli da collocare all’interno, una volta che l’ambiente fosse stato pronto. Non era un capolavoro di ingegneria, ma occorrevano comunque più di due braccia per metterlo insieme.

Per fortuna l’associazione aveva chiesto aiuto e un paio di giorni prima era stata contattata da una coppia di coniugi londinesi, poco più grandi di me. Mi hanno aiutato a montare la struttura metallica, che poi abbiamo avvolto nel reticolato. Loro potevano fermarsi solo per qualche ora, ma quando ci hanno salutati ero riuscito a sistemare l’interno del rifugio. Ho dato gli ultimi ritocchi ed ecco arrivare i primi inquilini. Kovu e Kiara si sono subito ambientati nella loro nuova casa e ben presto scorrazzavano felici nella luce del tardo pomeriggio.

Marianna non sapeva come ringraziarmi. Mi ha offerto una birra e mi ha invitato a sedere all’ombra di un albero. Insieme abbiamo ammirato la nuova struttura. Non c’è stato bisogno di parole, con il mio greco inesistente e il suo inglese stentato: sapevamo entrambi cosa provava l’altro.

Io ero felicissimo di averle dato una mano, e anche di più al pensiero che quella costruzione avrebbe dato rifugio a tanti altri gatti abbandonati o maltrattati. Mi sono detto che quello era il modo giusto per usare la mia influenza. Sentivo di aver trovato la formula giusta, un sistema che poteva funzionare.

«Spider-Man sarebbe fiero di me», ho commentato ad alta voce. Marianna mi ha fissato perplessa, scuotendo la testa. Per fortuna non capiva la mia lingua.

In viaggio con Nala
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