CAPITOLO XIV

LO spettacolo sulle prime mi aveva divertito come gioco, e poi affascinato come combinazione. Ma ora ne afferravo il potente significato ed ero ebbro come un cercatore d’oro ch’è entrato nella terra d’Ophir. Perché mai il vecchio mi aveva concesso di entrare in quel giardino?

«Fate attenzione alle api!» Come tutto quel che diceva, anche questa frase, aveva un senso diverso da quello palese. Forse voleva dirmi di serbare il mio sangue freddo, e in verità sentivo che lo spettacolo mi scardinava il cervello. Probabilmente il maestro me l’aveva preparato come una prova. Ecco il lato pratico. Voleva sapere se io ne avrei afferrato la vasta portata, se fossi pari al pensiero. Forse la mente di Caretti si era smarrita in questo giardino?

«Fate attenzione alle api!» Poteva anch’essere un ammonimento a non essere curioso. Forse voleva vedere come mi sarei comportato di fronte a quel segreto palesato. Però non mi ero ancora alzato dalla sedia.

Del resto ero troppo occupato per riflettere sul mio comportamento: quell’attività mi avvinceva completamente. Prima, quando si faceva una nuova invenzione, era quasi un colpo di fortuna: spesso l’inventore non vedeva chiaro sino in fondo sul suo significato. Le costruzioni, i miseri scheletri nei musei suscitano il sorriso. Invece qui c’era un nuovo pensiero concepito non soltanto nelle sue conseguenze, ma eseguito nel medesimo tempo sopra una vasta superficie e in tutti i suoi particolari. Si era creato un modello che superava le esigenze pratiche. Questo lasciava supporre molti collaboratori, e molti complici, e faceva comprendere la preoccupazione di Zapparoni di conservare segreta la cosa.

Nel corso del pomeriggio il numero degli oggetti volanti crebbe notevolmente. Nello spazio di due, tre ore si compendiò un’evoluzione pari a quella che si era svolta da quando io ero nato, voglio dire la trasformazione d’un fenomeno straordinario in cosa corrente. Come mi era accaduto per le automobili e per gli aeroplani.

Sulle prime ci si stupisce dell’oggetto che si presenta isolato, e alla fine lo si vede passare rombando a legioni in cortei lampeggianti. Nemmeno i cavalli voltano più la testa. Il secondo spettacolo è più sorprendente, però entriamo nella regola della serie, dell’abitudine.

Zapparoni doveva avere spinto molto avanti lo sviluppo di quegli automi, dovevano essere già allo stadio della produzione in serie, per quanto ciò fosse possibile nelle sue officine. Non pareva, però, che egli preparasse qui un nuovo articolo da mettere in commercio: una delle sorprese che annualmente serviva nei suoi cataloghi. Sarebbe avvenuto forse col tempo. Doveva essere un’impresa fine a se stessa; era chiaro, quando l’attività aumentò, in un modo che faceva pensare alla stagione in cui le api sciamano o all’ora di punta in una città. Adesso si diramava a schiere anche in altre parti del parco.

Contemplata dal punto di vista dell’organizzazione, quell’attività poteva essere interpretata in diversi modi. Era difficile credere che esistesse una fonte di energia centrale. Non era nello stile di Zapparoni. Per lui il valore d’un automa dipendeva dalla sua autonomia. Il suo successo mondiale riposava su questo, che in casa, in giardino, nel minimo spazio egli aveva reso possibile una economia chiusa; aveva dichiarato guerra ai fili di ferro, alle condutture, ai tubi, ai binari, agli allacciamenti. Portandoci così ben lontani dal modo di lavoro del secolo decimonono e dalla sua bruttezza.

Pensava piuttosto a enti di distribuzione, a laboratori, ad accumulatori e a posti di rifomimento. Dove consegnare e ricevere materiali, come qui nell’arnia delle api, dove non soltanto si portava del miele, ma palesemente si riceveva l’energia, infatti vedevo come le forme di vetro venivano letteralmente scagliate come proiettili quand’erano state svuotate.

Oramai l’aria era piena d’un sibilo chiaro, uguale, d’un sibilo che non vorrei dire addormentava, ma intormentiva ipnoticamente l’attenzione. Dovevo fare uno sforzo per distinguere tra sogno e realtà, per non soggiacere ad allucinazioni che prolungavano spontaneamente il tema di Zapparoni.

Come ho detto, avevo notato diversi modelli delle api di vetro. Da un po’ di tempo nella loro scia erano apparsi anche altri apparecchi. Differenti da esse in modo molteplice per grandezza, forma e colore, e palesemente estranei all’apicoltura. Queste nuove forme dovetti accettarle come si presentavano, non potevo seguirle con la mia interpretazione. La stessa cosa ci può accadere quando sulla spiaggia osserviamo gli animali marini: vediamo pesci e gamberi, riconosciamo anche le meduse, ma poi salgono dal fondo degli esseri che ci pongono enigmi insolubili, allarmanti. Qui ero come un uomo dell’èra della cultura posto a un crocevia.8 Dopo un poco di stupore egli indovinerà facilmente che l’automobile è una specie di cocchio. Intanto viene sopraffatto da costruzioni alla maniera di Callot.