Capitolo quinto

Le nove del mattino: infuriato, egli uscì nel corridoio: il primo sole penetrava dalla porta di casa, gettando delle chiazze sul telefono. Gridò: «Dallow, Dallow.»

Dallow risalì lentamente dal seminterrato in maniche di camicia. Disse: «Ciao, Rossetto. Si direbbe che non hai dormito.»

Il Ragazzo chiese: «Mi stai lontano?»

«No di certo, Rossetto, solamente – dato che ti sei sposato – pensavo che avresti preferito di rimanere solo.»

«E lo chiami,» disse il Ragazzo, «rimanere solo?» Scese la scala: recava in mano la busta violetta profumata, che Giuditta gli aveva ficcato sotto la porta. Non l’aveva aperta. Aveva gli occhi arrossati. Scendendo si portava dietro i sintomi di una febbre – il polso agitato, la fronte scottante e il cervello inquieto.

«Johnnie mi ha telefonato di buon’ora,» disse Dallow. «È stato a fare la guardia da ieri. Nessuno è andato a trovare Prewitt. Ci siamo spaventati per niente.»

Il Ragazzo non gli badò. Disse: «Ho bisogno di essere solo, Dallow. Realmente solo.»

«Te la sei presa troppo calda per la tua età,» disse Dallow e incominciò a ridere. «Due notti...»

Il Ragazzo lo interruppe: «Lei deve andarsene prima che...» Non poteva esprimere a nessuno quanto grande fosse il suo timore – o di che genere: era come un segreto vergognoso.

«Litigare è pericoloso,» disse Dallow in fretta e con fare circospetto.

«Sì,» disse il Ragazzo, «nulla potrà mai più essere sicuro. Lo so. Neanche il divorzio. Proprio nulla, se non la morte. Ma lo stesso,» mise la mano sulla vulcanite per cercarvi il fresco, «te l’ho detto – ho un progetto.»

«Da pazzo. Perché quella povera bambina dovrebbe desiderare di morire?»

Rispose con amarezza: «Mi vuole bene. Dice che vuole rimanere sempre con me. E se io non desidero di vivere...»

«Dally,» chiamò una voce, «Dally.» Il Ragazzo si guardò attorno bruscamente con aria colpevole: non aveva sentito Giuditta a piedi nudi e col busto muoversi disopra senza fare rumore. Era assorto nello sforzo di formulare bene il progetto nel suo cervello febbricitante e confuso, vincolato dalla sua complessità, incerto su chi dovesse morire... lui, lei o ambedue...

«Che vuoi, Giuditta?» chiese Dallow.

«Frank ha finito la tua giacchetta.»

«Lasciala lì,» disse Dallow. «Verrò a prenderla fra poco.»

Ella gli gettò di sfuggita un bacio insoddisfatto e ritornò in camera sua.

«Ho combinato lì davvero un bel guaio,» disse Dallow. «Qualche volta vorrei non averlo fatto. Non desidero avere delle noie con il povero Frank, e quella è così sbadata.»

Il Ragazzo guardò pensieroso Dallow, come se egli dovesse sapere per lunga pratica come si faceva. «E se,» chiese, «se tu avessi un bambino?»

«Oh,» disse Dallow, «se la veda lei. Sarebbe il suo funerale.» Continuò: «Hai lì una lettera di Colleoni?»

«Ma che cosa fa lei?»

«Le solite cose, immagino.»

«Ma se non le facesse,» insistette il Ragazzo, «e incominciasse ad aspettare un bambino?»

«Ci sono delle pillole.»

«Ma non sono sempre efficaci, vero?» disse il Ragazzo. Aveva creduto di sapere ormai tutto, ma era ritornato a uno stato di terrorizzata ignoranza.

«Se vuoi il mio parere, non sono mai efficaci,» disse Dallow. «È Colleoni che ha scritto?»

«Se Prewitt cantasse, non ci sarebbe speranza, vero?» rifletté il Ragazzo.

«Non canterà. E ad ogni modo stasera sarà a Boulogne.»

«Ma se lo facesse... o supponiamo, io credessi che lui lo avesse fatto... non mi rimarrebbe allora altro che ammazzarmi, vero? E lei – lei non vorrebbe vivere senza di me. Se lei credesse... E magari sarebbe sempre una cosa non vera. Lo chiamano – non è così? – un patto di suicidio.»

«Che ti ha preso, Rossetto? Non stai mica mollando?»

«Potrei non morire.»

«Anche questo è un ammazzare.»

«Non vi impiccano per questo.»

«Sei pazzo, Rossetto. Perbacco, non vorrei saperne di una cosa simile.» E diede al Ragazzo un colpetto scandalizzato ed amichevole. «Stai scherzando, Rossetto. Non ha commesso nulla di male quella povera bambina – a parte il fatto che ti vuol bene.»

Il Ragazzo non rispose nulla: aveva l’aria di riporre i suoi pensieri, come balle pesanti, accatastandoli dentro di sé, e chiudendo fuori a chiave tutto il resto del mondo. «Hai bisogno di sdraiarti un poco a riposare,» disse inquieto Dallow.

«Voglio riposare solo,» rispose il Ragazzo. Salì lentamente al piano superiore: allorché aprì la porta, girò gli occhi, come per allontanare la tentazione dal suo cervello ascetico e intossicato. La sentì che diceva: «Stavo proprio per andare un poco fuori, Rossetto. Posso fare qualcosa per te?»

Qualcosa... Il suo cervello esitò dinanzi all’enormità delle sue pretese. Disse gentilmente «nulla» e costrinse la propria voce alla dolcezza: «torna presto. Dobbiamo parlare insieme di certe cose.»

«Sei preoccupato?»

«Non sono preoccupato. Ho sistemato tutto» e con umorismo macabro si toccò il capo: «qui dentro.»

Notò il timore e la tensione di Rosa – il respiro corto e il silenzio, poi la voce indurita dalla disperazione. «Ci sono delle cattive notizie, Rossetto?»

Egli si slanciò contro di lei: «Per Cristo, vattene.»

La sentì che tornava di nuovo nella stanza vicino a lui, ma non alzò gli occhi: questa era la sua stanza, la sua vita; egli sentiva che, se si fosse sufficientemente concentrato, sarebbe stato possibile di eliminare ogni traccia di Rosa... ogni cosa sarebbe stata proprio come prima... prima ch’egli entrasse da Snow e tastasse sotto la tovaglia alla ricerca di un cartoncino che non c’era, e avesse origine così l’inganno, la vergogna. L’origine di tutto quanto era dimenticata. Quasi egli non riusciva a ricordare Hale come una persona o la sua uccisione come un delitto – ora non c’erano più che lui e lei.

«Se è accaduto qualcosa... puoi dirmelo... Non ho paura. Ci deve essere un modo, Rossetto, di non...» Lo implorò: «Ragioniamone prima.»

Egli disse: «Non fare tante storie per niente. Sono contento che tu vada, puoi andare,» continuò brutalmente «all...» Ma si fermò in tempo, riuscì a tirar fuori un sorriso «va’ e divertiti.»

«Non starò via molto, Rossetto.» Sentì la porta richiudersi, ma capì che ella stava indugiando nel corridoio – ora tutta quanta la casa era sua. Ficcò la mano in tasca e ne trasse fuori il fogliettino: “non m’importa quello che fai... dovunque andrai, verrò anch’io”. Sembrava una lettera di quelle che si leggono in tribunale e si stampano sui giornali. Ascoltò i suoi passi giù per la scala.

Dallow si affacciò: «Prewitt dovrebbe essere in partenza adesso. Mi sentirò meglio, quando sarà su quel piroscafo. Non pensi, vero, che quella donna chiederà alla polizia di ricercarlo?»

«Non ha nessuna prova,» rispose il Ragazzo. «Potrai essere abbastanza al sicuro, quando lui si sarà tolto di mezzo.» Parlava in tono annoiato, come se non lo interessasse più affatto se Prewitt partiva o rimaneva – come se fosse qualcosa che riguardasse altra gente. Era ormai al di là di questo.

«Tu pure,» disse Dallow, «tu pure sarai al sicuro.»

Il Ragazzo non rispose.

«Ho detto a Johnnie di accertarsi che arrivasse felicemente a bordo e poi di telefonarci. Ora dovrebbe chiamare da un momento all’altro. Dovremmo combinare una festicciola, Rossetto. Mio Dio, come quella si sentirà depressa, quando comparirà laggiù e troverà che se ne è andato.» Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. «Forse allora avremo un po’ di tranquillità. Ce la siamo cavata ancora bene. Quando ci si pensa. Hale e quel povero buon Spicer. Mi domando dove sarà ora.» Gettò uno sguardo sentimentale verso il fumo sottile che usciva dai camini e le antenne della radio. «Che ne diresti se tu ed io – e la ragazza, s’intende, – ce ne andassimo in qualche posto nuovo? Qui non sarà tanto piacevole ora, con Colleoni all’attacco.» Si voltò verso l’interno della camera. «Quella lettera» e il telefono incominciò a squillare.

Disse: «Sarà Johnnie» e corse fuori.

In quel momento il Ragazzo si accorse di non riconoscere già il suono dei passi sulla scala, ma invece il suono stesso della scala – avrebbe potuto dire che si trattava proprio di quella determinata scala anche sotto il peso di uno sconosciuto: in discesa faceva sempre uno scricchiolìo tra il terzo e il settimo gradino. Era questo il luogo in cui egli era venuto, dopo che Kite lo aveva raccattato – stava tossendo nel freddo pungente sul molo del Palace, e ascoltava il violino lamentoso dietro il vetro; Kite gli aveva offerto una tazza di caffè caldo e lo aveva condotto qui – Dio sa perché – forse perché lo aveva trovato privo di tutto, ma ardito, forse perché un tipo come Kite aveva bisogno di qualcosa di sentimentale, come una sgualdrina si tiene un pechinese. Kite aveva aperto la porta del n. 63, e per prima cosa egli aveva visto Dallow che abbracciava Giuditta sulla scala, e aveva sentito l’odore del ferro da stiro di Frank giù nel seminterrato. Tutto era rimasto sempre identico: nulla era mai realmente mutato: Kite era morto, ma egli ne aveva prolungato l’esistenza, – non toccando un liquore, mangiandosi le unghie al modo di Kite, fino a che non era venuta lei e aveva trasformato tutto.

La voce di Dallow riempì la scala: «Oh, non so. Mandate delle salsicce. O un barattolo di fave.»

Fu di ritorno nella stanza. «Non era Johnnie,» disse, «soltanto l’Emporio. Ormai dovremmo venire a sapere qualcosa da Johnnie.» Si sedette ansioso sul letto e domandò: «E quella lettera di Colleoni. Che dice?»

Il Ragazzo gliela gettò. «Come,» disse Dallow, «non l’hai neppure aperta.» Incominciò a leggere. «Ebbene,» disse, «È brutta, naturalmente. Quello che mi aspettavo. Eppure non è neanche tanto brutta. Almeno se ci pensi bene.» Al disopra del foglio violetto gettò uno sguardo circospetto. Il Ragazzo, seduto accanto al lavabo, era immerso nei suoi pensieri. «Qui abbiamo perso la partita, ecco il succo. Lui si è preso la maggior parte dei nostri e tutti gli allibratori. Ma non vuole avere noie. È un uomo d’affari – dice che una zuffa come quella che c’è stata l’altro giorno porta il discredito su una pista di corse. Discredito,» ripeté Dallow pensieroso.

«Vuole dire,» disse il Ragazzo, «che i clienti se ne stanno lontani.»

«Perbacco, ecco del buon senso. Dice che ti pagherà trecento sterline per la buona volontà. Buona volontà?»

«Vuol dire, se non sfregeremo i suoi tipi.»

«È una buona offerta,» disse Dallow. «È proprio quello che stavo dicendo or ora – potremmo filarcene via da questa dannata città e da quella puttana maledetta che fa sempre delle domande, ricominciare da capo su buone basi – magari ritirarci del tutto, comperare un locale, tu ed io – e la ragazza, s’intende.» Disse: «Quando mai quel dannato Johnnie ci telefonerà? Divento nervoso.»

Il Ragazzo non parlò per un po’, continuando a guardarsi le unghie rosicchiate. Poi disse: «Certamente – tu conosci il mondo, Dallow. Hai viaggiato.»

«Non ci sono molti posti che non conosco,» assentì Dallow, «fra qui e Leicester.»

«Io sono nato qui,» disse il Ragazzo: «conosco Goodwood e Hurst Park. Sono stato a Newmarket, ma mi sentirei un forestiero via di qui.» Affermò con orgoglio desolato: «Si vede che sono proprio di Brighton,» come se il suo solo cuore bastasse a contenere tutti i divertimenti a poco prezzo, i pullman, le scampagnate domenicali senza amore negli alberghi lussuosi, e la tristezza dopo il coito.

Un campanello squillò. «Hai sentito,» disse Dallow, «che sia Johnnie?»

Ma non era che la porta d’entrata. Dallow guardò l’ora al suo orologio. «Non riesco a capire questo ritardo,» disse. «A quest’ora Prewitt dovrebbe essere a bordo.»

«Ebbene,» concluse il Ragazzo – tristemente, «allora cambiamo, no? è come dici tu. Andremo a girare il mondo... dopo tutto, mi sono messo a bere, no? Posso mettermi a fare altre cose.»

«E hai la tua ragazza,» disse Dallow con una finta allegria. «Ti stai facendo un uomo, Rossetto – stai diventando come tuo padre.»

Come mio padre... Di nuovo il Ragazzo fu sconvolto dal disgusto della notte del sabato. Ora non si sentiva più di biasimare suo padre... a questo si arrivava... ci si trovava impegolati, e poi, forse, ci si faceva l’abitudine... ci si concedeva per debolezza. Non si poteva neppure biasimare la ragazza. Era la vita che vi trascinava... c’erano i secondi di incoscienza, in cui si trovava ch’era bello. «Saremmo più sicuri,» disse, «senza di lei,» tastando il messaggio d’amore nella tasca dei calzoni.

«È già abbastanza sicura sin d’ora. È pazza di te.»

«Il guaio con te,» disse il Ragazzo «È che tu non vedi al di là del tuo naso. Gli anni passano... e un giorno o l’altro lei potrebbe innamorarsi di un viso nuovo o arrabbiarsi o altro... non c’è garanzia,» concluse. La porta si aprì, ed ella era lì, di ritorno: egli mozzò il suo discorso e l’accolse con un sorriso voluto. Ma non fu difficile – si riusciva ad ingannarla con una tale disperante facilità, che egli provò quasi una certa tenerezza per la sua stupidaggine e gli parve di condividere la sua bontà – ambedue, ognuno a modo suo, avevano un destino segnato. Una volta ancora ebbe la sensazione ch’ella lo completava.

Rosa disse: «Non avevo la chiave. Ho dovuto suonare. Non appena uscita, mi è venuta la paura che qualche cosa andasse male. Avevo bisogno di essere qui di ritorno, Rossetto.»

«Non c’è nulla che vada male,» egli disse. Il telefono incominciò a squillare. «Ecco, vedi, ora è Johnnie.» E volgendosi a Dallow tristemente: «Quello che desideravi.» Udirono la sua voce al telefono gridare ansiosa: «Sei tu, Johnnie? Che cosa? Non vuoi dire... oh, sì, ti vedremo poi. Avrai certamente il denaro.» Ritornò su e nel solito punto i gradini scricchiolarono – il suo largo volto brutale e innocente era foriero di buone notizie, come la testa di un cinghiale a una festa. «Tutto bene,» disse, «tutto bene. Incominciavo ad essere in ansia, non mi vergogno di dirvelo. Ma ormai quello è sul piroscafo, che ha lasciato il molo dieci minuti fa. Dovremmo festeggiare la cosa. Perdio, sei furbo, Rossetto. Pensi a tutto.»