1997 – II

 

 

 

 

Nel giardino zoologico di Londra, l'alba di un nuovo giorno bagnava con la sua luce gli animali che abitavano il parco. I primi visitatori entrarono nel parco felici e ansiosi di trascorrere un giorno stupendo, ma presto quelle sensazioni vennero cancellate dalla realtà.

Una donna e sua figlia passarono di fronte alla gabbia delle iene; qualcosa attirò la curiosa attenzione della piccola.

«Guarda, mamma! Che cos'è?» La bambina indicò due degli animali, che stavano apparentemente giocando con qualcosa, ridendo istericamente.

La donna guardò meglio le belve e vide che erano imbrattate di sangue. Non appena si accorse cosa stessero tormentando, un urlo terrificante uscì dalla sua bocca e risuonò per tutto il luogo, rompendo la calma che regnava nello zoo: le iene si stavano intrattenendo con una testa umana. Il panico colse tutti i visitatori. In meno di un'ora, la zona venne messa in sicurezza e recintata dagli agenti della polizia metropolitana di Londra.

Poco dopo, arrivò un’elegante auto nera. Scesero due uomini: uno era l'ispettore Erick Taylor, un tipo alto e robusto, occhi verdi, capelli neri, naso a punta e mento pronunciato e rotto. L'altro si chiamava Bill Adams, collega di Taylor nonché migliore amico. Si fidava di lui sia sul piano lavorativo che personale. Era un po' più basso del suo compagno, i suoi capelli biondi brillavano al sole e aveva gli occhi azzurri. Erano entrambi sulla trentina.

I due ispettori si avvicinarono senza fretta alla recinzione delle iene ed entrarono. All’interno, la polizia scientifica stava già facendo un'ispezione oculare.

«Ci troviamo di fronte allo stesso modus operandi delle altre vittime, ispettore Taylor», esordì Katy, un’agente della scientifica, capelli mori, i cui occhi color zaffiro si potevano intravedere dietro le lenti degli occhiali. «Anche se abbiamo notato qualche differenza», disse. «Stavolta ha portato il cadavere qui e queste bestie pestilenziali hanno divorato parte del corpo. Due visitatrici, una donna e sua figlia, le hanno viste divertirsi con la testa. La madre è stata colta da un attacco di panico e l'hanno dovuta portare all'ospedale», concluse.

«Certo, immagino.» La voce di Erick era greve. «Che ne pensi, Bill?»

Taylor si accese una sigaretta, come faceva sempre quando era nervoso.

«Senza ombra di dubbio, si tratta del nostro uomo.»

L'Ispettore osservò le estremità mutilate.

«Per chi avesse ancora dei dubbi, è ovvio che ci troviamo di fronte a uno psicopatico», affermò con serietà. «Forza, andiamocene...»

Senza aggiungere altro, si diresse alla macchina, seguito dal suo collega.

«Stai bene?» gli chiese Adams mentre salivano a bordo.

«Beh, sai… queste cose mi danno il voltastomaco», dichiarò Taylor, mettendosi una mano sul volto. «Ti giuro che se becchiamo quell'individuo… non rispondo delle mie azioni.»

Si mise a fissare un'antica moneta che portava come ciondolo al collo, la contemplò per qualche secondo, tastandola e sospirando. L’aveva trovata quando era giovane, in una via del centro storico londinese. Diceva che gli portava fortuna e per questo la indossava sempre.

«Anche a me sconvolgono questi omicidi, Erick, e proprio per questo dobiamo fermare quella persona e far sì che venga condannata per tutti i crimini che ha commesso. Non dobbiamo farci giustizia per conto nostro.»

«Lo so.»

Appena mise in moto, iniziò a cadere una leggera pioggerella. Il preludio, forse, di una tormenta.

 

Poco dopo i due ispettori rientrarono al commissariato.

«Ehi, ragazzi! Il capo ha detto di andare da lui», li informò un agente.

Il sovrintendente Smith era concentrato nella lettura di un rapporto di polizia. Era un uomo sui quarant'anni, piuttosto calvo, portava degli occhiali e la sua carnagione era di una tonalità rosata. Negli ultimi tempi, il lavoro d'ufficio gli aveva fatto prendere peso e lo stress del suo ruolo gli aveva cambiato il carattere: era sempre di malumore. Rompendo così, il tipico stereotipo del poliziotto inglese.

Toc, toc, toc… La lettura venne interrotta dal bussare di qualcuno alla porta.

«Avanti!» Smith alzò gli occhi dai documenti guardando dal di sopra degli occhiali.

Gli ispettori entrarono.

«Ah sì, siete voi», disse nel vederli. «Sedetevi, per favore.»

Smith indicò le sedie che aveva di fronte ed entrambi si accomodarono.

Erick fu il primo a parlare. «Immagino sappia già che il nostro uomo ha ucciso di nuovo.»

«Sì… A partire da adesso, voglio che dedichiate tutto il vostro tempo a questo caso.»

«È successo qualcosa, capo?» indagò Bill, alzando le sopracciglia.

«Quello che è successo è che ho la stampa e il giornalista con il fiato sul collo, tant'è che alla fine darò di matto. Quindi, mettetecela tutta per catturare quel pezzo di merda!» esclamò Smith, preso dal nervosismo. Poi respirò per prendere fiato e calmarsi. «Inoltre la stampa sensazionalista sta già facendo sta già creando un personaggio, lo hanno soprannominato “Il Dentista”. Non voglio che questa situazione ci sfugga di mano.»

«D'accordo», rispose Erick. Si alzò e Taylor lo seguì.

«In attesa del rapporto forense, posso confermarvi che la vittima si chiamava Edna Johnson. La scientifica ha trovato i suoi documenti, presi a morsi dalle iene.» Girò attorno alla scrivania e consegnò loro alcuni fogli. «Qui avete tutte le informazioni su quella povera donna. Voglio che mi teniate informato sull'evolversi del caso.»

«Va bene.»

Col rapporto in mano, gli ispettori uscirono dall'ufficio e si incamminarono lungo il corridoio, dando nel frattempo un'occhiata ai dati riportati nei documenti.

«Accidenti, accidenti… questa donna viveva a Whitechapel, come alcune delle altre vittime», disse Erick leggendo con attenzione. «Divideva l'appartamento con un'altra ragazza e la sua unica famiglia era la madre, che viveva nella stessa zona.»

«Beh, dovremo andare a farle una visita, non credi?»

«Sì. Spero che in questa occasione troveremo più indizi...»

 

Il suono del campanello riecheggiò nel pianerottolo del terzo piano dell'edificio di Whitechapel. Una giovane donna mora aprì la porta che riportava la lettera D.

«Buongiorno, cosa desiderano?» chiese con una voce dolce come il miele.

«Ci scusi, signora. Sono l'ispettore Taylor e questo è il mio collega, l'ispettore Adams.» I due uomini le mostrarono il tesserino della polizia.

«È successo qualcosa, agenti?»

«Lei è la signorina Brenda Morris?»

La donna assentì.

«Ci permette di entrare?»

Erick sbirciò oltre le spalle della donna, alzando le sopracciglia.

«Sì, certo.»

La donna fece loro segno di entrare.

«Scusate il disordine. Oggi sarebbe il turno di pulizia delle mia coinquilina, ma ieri sera ha avuto un'urgenza e non è ancora ritornata.»

Gli ispettori si guardarono, seri, in silenzio. Vennero fatti accomodare sulle poltrone.

«Di che urgenza si trattava?» chiese Bill, toccandosi il mento.

«Sua madre stava male ed è andata a trovarla.»

Brenda lasciò passare qualche secondo, scambiando delle occhiate con i poliziotti.

«Agenti, se non mi dite ciò che state cercando, credo di potervi aiutare ben poco.»

«Ci dispiace comunicarle che la sua amica è morta. Stamattina abbiamo trovato il suo corpo», rivelò Erick.

«Cosa?» sussurrò Brenda con un filo di voce e, disperata, si mise le mani sul viso. «Non avrei dovuto permetterle di uscire da sola… Edna!» La ragazza iniziò a piangere e Bill si alzò per avvicinarsi.

«Signorina Morris, immagino sia molto doloroso per lei, ma abbiamo bisogno di sapere tutti i dettagli di ciò che è successo ieri notte, così potremo evitare che succeda di nuovo una cosa del genere.»

La ragazza respirò a fondo ma non riusciva a trattenere il pianto.

«Non c'è fretta. Se vuole, prenda una tisana per calmarsi. Abbiamo tempo.» L'ispettore le accarezzò il braccio per consolarla, ma lei scosse la testa.

«No...» mormorò asciugandosi gli occhi. «Quanto prima finiamo, meglio è.»

«La ringraziamo per questo», disse Erick, facendole un gesto con la mano per invitarla a parlare.

La ragazza rimase con il capo chino, in un silenzio interrotto solo da singhiozzi, cercando di riprendersi. Un colpo di tosse le fece alzare leggermente la testa: la pazienza non era una virtù di Erick, e il suo collega gli gettò un'occhiata piena di rimprovero.

«Sicuramente ieri non è successo niente fuori del solito» iniziò a raccontare Brenda. Respirò, mentre la sua tristezza continuava a sciogliersi tra le lacrime. «Edna ha solo ricevuto una telefonata da sua madre in cui le diceva di non sentirsi bene. E’ successo prima dell'alba, ma Edna ha insistito sul fatto che la madre non poteva rimanere da sola ed è andata da lei.»

«Si ricorda se ultimamente ha avuto contatti con qualche sconosciuto. O se magari si comportava in modo insolito?» chiese Bill.

«No. Frequentiamo sempre lo stesso gruppo di amici e negli ultimi tempi era tutto come sempre.»

«Bene, se si ricorda qualcosa, qualsiasi cosa che possa aiutarci, ci chiami», concluse Erick alzandosi, e consegnandole un biglietto da visita.

Lei annuì e accompagnò gli ispettori alla porta.

Appena fuori dall'edificio, si fermarono un momento.

«Che ne dici se andiamo a casa della madre a piedi? Così simuleremo il probabile percorso fatto dalla vittima l'altra notte», propose Erick.

«D'accordo.»

«So che è come cercare un ago in un pagliaio, ma teniamo gli occhi ben aperti.»

Ripercorsero le strade, osservando con attenzione ogni luogo, ma non trovarono niente di interessante per le indagini. Solo il permanente brulicare della gente, lo scambio di sguardi, ma nessuna risposta.

Poco dopo arrivarono all'edificio in cui abitava la madre della vittima. Nel portone incontrarono un inquilino che stava entrando nell’ascensore per salire.

«Ci scusi, sa se vive qui la vedova Johnson?» chiese Bill.

«Chi lo vuole sapere?» chiese l'uomo come se non si fidasse dei due. Un tipo magrolino, con la pelle color latte, sguardo schivo, forse nemmeno quarantenne.

«Siamo della polizia metropolitana»

«Siete arrivati un po' tardi, non credete? I vostri colleghi se ne sono andati mezz'ora fa.»

«I nostri colleghi?»

«Sì. Non sapete che stamattina hanno trovato la signora Johnson morta?»

Gli agenti si guardarono con perplessità.

«Ci potrebbe spiegare cos'è successo?» chiese Erick mentre prendeva una sigaretta e l'accendeva.

«E voi mi potete mostrare i tesserini?» ribatté l’uomo, mantenendosi sulla difensiva.

L'ispettore emise uno sbuffo di fumo e scosse la testa davanti allo scetticismo dell'uomo. Poi mise una mano in tasca e gli mostrò la tessera.

«Scusate agenti. La vita mi ha insegnato a essere dubbioso, soprattutto in questo rione dove abbondano “le teste matte”.»

«Capiamo.»

Erick, sempre impaziente, con un gesto della mano incitò l’uomo a iniziare il racconto.

«Vedete, la signora Johnson viveva sola ma, ogni mattina, una domestica andava a pulire l’appartamento e a prepararle il pranzo. Stamattina, quando è arrivata, l'ha trovata morta sul pavimento del bagno. I medici hanno detto che, molto probabilmente, è stata colpita da un attacco di cuore.»

«Grazie per la sua collaborazione», disse l'ispettore all’uomo, senza nemmeno guardarlo, dimostrandogli così la propria antipatia. Si allontanò affiancato dal collega.

«Cosa ne pensi, Erick? Credi che le due morti siano relazionate?»

«Sinceramente credo di no. Penso più a una coincidenza. Inoltre, la compagna d'appartamento di Edna ci ha detto che la madre l'aveva chiamata perché non si sentiva bene. Scommetterei che si sia trattato di infarto, che poi le è stato fatale.»

 

Al commissariato, il sovrintendente Smith era al telefono nel suo ufficio, quando qualcuno bussò alla porta.

«Ti ho detto di non passarmi telefonate della stampa… Avanti!» Riappese non appena vide entrare i due agenti. «Qualche novità, ragazzi?»

«Non abbiamo buone notizie, capo. Siamo andati all'appartamento della vittima e non abbiamo trovato nessuna pista. Come se non bastasse, la madre è morta ieri notte per infarto.»

«Ma che cazzo state dicendo, porca puttana!» gridò Smith, colto dal nervosismo. «Questo assassino è solo un uomo e poi, per quanto ne so, il criminale perfetto non esiste. Ci dev'essere qualche indizio, deve aver lasciato un segno, quel maledetto figlio di puttana. Quindi, pensate a qualcosa e prendetelo una fottuta volta!»

«Controlleremo tutte le persone che abitano a Whitechapel», disse Erick prima di alzarsi e dirigersi alla porta con Bill.

«Allora al lavoro», sentenziò il sovrintendente, rosso dall'ira. «E comunque, Erick, di’ a tua moglie che smetta di chiamare, ne ho fin sopra i capelli!», concluse a denti stretti, sbattendo il pugno.

«Si calmi, per favore. Lei fa solo il suo lavoro.»

Erick si girò e uscì chiudendo bruscamente la porta.

 

Stava scendendo la sera su Londra. L'ispettore Taylor stava rientrando a casa, accompagnato dal suo amico Bill. Ogni tanto lo inviava a cena, visto che era molto legato anche a sua moglie.

«Sono arrivato», disse non appena aprì la porta.

La sua casa, appariscente ma accogliente, si trovava in un quartiere residenziale di Londra.

«Ciao tesoro, com'è andata al lavoro?» chiese la donna dandogli un bacio.

Si chiamava Sara Payton ed era molto attraente, con il suo sguardo felino metteva in risalto i suoi occhi grigi, il naso piccolino e i lunghi capelli castani. Era nata negli Stati Uniti d'America ma, per motivi lavorativi, si era trasferita a Londra, dove aveva conosciuto Erick, e si erano innamorati.

«A dire il vero, è stato un giorno piuttosto complicato», le confessò.

La donna si rivolse poi all'ospite.

«Come stai, Bill?»

«Concordo con Erick, è stata una giornata difficile.»

«Nessuna pista sul “Dentista”?»

«Non so chi abbia avuto la brillante idea di dargli questo soprannome. È orribile… e ancor di più trattandosi di una persona che ha commesso tante atrocità», si lamentò Erick.

«Non lo so. La gente è molto morbosa.» Sara scosse la testa.

«In risposta alla tua domanda, ti ho già detto ieri che non posso parlarti del caso, tanto meno visto che sei una giornalista… A proposito, il sovrintendente è proprio contento di tutte le tue chiamate.»

«È il mio lavoro, tesoro.»

«Esatto, è quello che gli ho detto ma non vuole sentire ragioni. Inoltre, ultimamente è di così cattivo umore che è insopportabile. Vado a vedere la bambina.»

Erick si diresse nel salone, seguito dal suo amico. Fece capolino e subito sua figlia gli corse incontro.

«Papà!» esclamò, gettandosi tra le braccia del padre.

«Come stai, piccola mia?» L'uomo la strinse tra le braccia, dandole un bacio.

Sua figlia, Emma Taylor, aveva sette anni e aveva ereditato il naso e lo sguardo felino dalla madre. Gli occhi verdi, mezzo coperti da una chioma nera, li aveva presi da suo padre.

«Bene! Mi sei mancato tanto, papà.»

«Anche tu a me, bambina mia.»

Si sfiorarono con i nasi, un'abitudine che ripetevano sempre quando Erick rincasava.

«Guarda chi è venuto», si scostò e la bambina poté vedere il suo padrino.

«Zio Bill!» esclamò abbracciandolo.

«Molto bene», disse Sara entrando sorridente nel salone, mentre applaudiva. «Che ne dite se la smettiamo con tutte queste smancerie e tu, piccolina, vai a dormire? Tuo padre e tuo zio non hanno ancora cenato.»

«Va bene, mammina.»