2017 – II

 

 

 

 

Quel giorno Jack, ansioso come un bambino che aspetta i regali la mattina di Natale, si alzò alle nove per portare a termine il suo machiavellico piano. Mise il comodino al centro dell'ufficio, come fosse un altare. Lì sopra avrebbe realizzato il rituale de La possessione ancestrale. Tutto intorno posizionò delle candele nere e lasciò accese l'incenso ai lati. Voleva avere tutto pronto per quando sarebbe arrivato il momento.

In quel momento il cellulare squillò. Era Lucy.

«Josef!» esordì senza dargli il tempo di dire qualcosa. «Ieri non hai risposto al mio messaggio e non mi hai nemmeno augurato la buona notte. Va tutto bene?»

«Oh sì, tutto bene. Mi sono addormentato.»

«L'hotel che mi hai indicato sembra stupendo. Direi che puoi prenotare. Vieni a cena e a dormire da me stasera?»

«Merda!» protestò Jack nel profondo.

Non poteva più negarsi. Se lo avesse fatto, avrebbe sollevato troppi dubbi sul suo strano comportamento.

«Va bene, verrò.»

«Stupendo!»

«Lucy, tesoro, potresti darmi il numero di telefono del signor Taylor? Così, approfittando delle vacanze, potrei andare da lui domattina a sistemargli il computer.»

«Io non ce l'ho, ma lo chiedo a Emma e le dico di mandartelo per Whatsapp

«D'accordo.»

«Buona giornata tesoro. Ti amo.»

«Anche io», rispose poco convinto, e riappese.

«Sopporta Jack, ancora un po' di tempo e potrai liberarti di questo essere insopportabile...»

Non poteva negare che Lucy fosse una ragazza molto bella e appariscente, ma i suoi piani andavano oltre qualsiasi altra distrazione. Dopo pochi minuti, ricevette il messaggio con il numero di telefono dell'ispettore. Lo chiamò.

«Erick?» chiese non appena sentì la voce che rispondeva.

«Chi è?»

«Sono Josef. Ti chiamo per sapere se ti va bene che passi stamattina per finire di sistemarti il computer.»

«Ah, sei tu! Non ti avevo riconosciuto… Va bene, ti ringrazio. Puoi passare dopo le undici, perché prima devo portare mia moglie dal medico.»

«Va bene, rimaniamo così», concluse Jack e, dopo averlo salutato, riagganciò e si fregò le mani. «Ho proprio voglia di vederti, AMICO», mormorò con una voce da brividi, ponendo enfasi sull'ultima parola.

Controllò il portafogli e constatò che aveva solo dieci sterline. Visto che non conosceva il numero della carta di credito, decise di recarsi alla banca con l'intento di cambiarlo. Quando arrivò, c'era un fila molto lunga. Nonostante l’impazienza, non poteva fare altro che aspettare il proprio turno.

«Come posso aiutarla?» L’impiegata allo sportello portava gli occhiali e aveva gli occhi in fuori.

«Vede, ho dimenticato il numero segreto della mia carta di credito. Potrei cambiarlo?»

«Sì certo. Ho bisogno del documento di identità e della carta di credito.»

Jack glieli porse e la donna digitò qualcosa al computer. Dopo qualche istante, prese dei fogli dalla stampante.

«Firmi qui, per favore.» Gli passò i documenti attraverso la finestrella e l'impostore, dopo aver posto uno scarabocchio inventato, li restituì all’impiegata.

La donna guardò i fogli e, dopo un attimo di perplessità, scosse la testa. «Scusi, ma questa firma non coincide con la sua.»

«Cosa intende dire?» protestò Jack. «Non penserà che voglia truffare me stesso, vero? Non vede che sono quello della foto del documento?» Stava parlando con voce irritata, e aveva richiamato l'attenzione di tutti i presenti.

«Karen, che succede?» Il direttore della banca, che stava servendo un cliente a fianco, decise di intervenire. Era un uomo robusto, con le guance rosse e la fronte imperlata di sudore.

«Questo signore vuole cambiare il codice segreto della sua carta di credito, ma la sua firma non coincide.» La cassiera gli mostrò il documento. L’uomo si asciugò la fronte con un fazzoletto.

Dopo un attimo di perplessità, il direttore alzò lo sguardo dai fogli e il suo viso si aprì in un simpatico sorriso.

«Ah! Sei tu, Josef!» Aveva riconosciuto il cliente abituale e lo salutò con un cenno della mano. «Questo signore vive nel quartiere ed è un nostro cliente. Fagli il favore di cambiare il codice segreto, Karen.» Poi si rivolse a Jack «Scusa Josef, Karen è nuova. Ora ti fa la pratica.»

L'assassino assentì serio e, con un gesto della mano, pose fine alla questione.

Ora aveva la strada libera per godere di tutto il denaro che voleva dal conto di Josef. Sapeva che il ragazzo non era milionario, ma la sua famiglia godeva di una buona posizione sociale e aveva parecchi risparmi.

Appena uscito dalla banca, prese mille sterline dal bancomat.

«Beh… giusto per andare avanti», pensò ironico.

 

Alle undici in punto, come d’accordo, Jack suonò il campanello di casa Taylor.

«Salve Josef», lo salutò Erick dopo aver aperto la porta. «Vieni, entra. Dunque, sei forse riuscito a capire che succede al mio computer?»

«Credo di sì, ma dovrò portarlo via. Domani te lo riconsegno riparato.»

«Portarlo via?» ripeté l'ispettore, aggrottando la fronte.

«Sì, a casa mia ragiono con più chiarezza. Un problema così complesso richiede la massima concentrazione.»

«Che bravo che sono a mentire...»

L'ispettore rimase qualche secondo dubbioso.

«Va bene», disse alla fine. «Ti stacco la torretta così puoi portarla via.»

«Perfetto. Mi permetti di andare in bagno?»

«Certo, Josef, questa è casa tua.»

«Grazie ispettore. Lo terrò a mente per future occasioni...»

Entrò in bagno e aprì un armadietto a lato della doccia. Tirò fuori un pettine e lo guardò qualche secondo.

«No, questo è della moglie», rifletté riponendolo e prendendone un altro. «Questo è quello che sto cercando Sì, è il pettine di Erick.» Prelevò alcuni capelli e li mise in tasca.

Dopo aver tirato lo sciacquone per dissimulare, uscì dal bagno. Nel frattempo, era arrivata Sara, appena tornata dalla spesa. Li trovò entrambi in soggiorno.

«Salve, Josef, tutto bene? Ti va di rimanere a pranzo?» propose, ospitale, la donna.

«Grazie, ma ho delle cose da fare. Magari un'altra volta.»

«Quando vuoi», concluse Erick consegnandogli la torretta del computer. «Ecco il computer. Portamelo domani.»

Jack assentì con la testa e i due padroni di casa lo accompagnarono alla porta per salutarlo.

«Alla fine si è portato via il computer?» chiese Sara un po' perplessa, guardando il falso Josef mentre si allontanava.

«Così è.»

«Ma se è solo lento...»

«In verità, credo che quel ragazzo sia un pessimo informatico. Però è amico della nostra bambina e ci tocca sopportarlo», disse rassegnato l'ispettore rientrando in casa con sua moglie.

«Ah, la tua bambina… Ricordo ancora le moine che vi facevate quando era piccola. Se lo sapesse la polizia, credo che più di uno si sorprenderebbe nel vedere quanto questo uomo così duro diventi una persona tanto dolce...»

«Shhh...» la zittì Erick portandosi un dito sulle labbra sorridenti. «Lo sai che è un nostro segreto...» sussurrò.

Lungo la strada verso casa, Jack notò un negozio di informatica e pensò fosse la soluzione al suo problema. Trovò un parcheggio a pagamento, scese dall’auto con la torretta del PC sotto il braccio, ed entrò nel negozio. Fu accolto da un giovane magrolino, occhiali spessi come fondi di bottiglia su un naso pronunciato, barba e capello corto.

«Desidera?»

«Vi ho portato questo computer, deve essere riparato.» Jack mise il PC sul bancone. «Ne ho bisogno per domani mattina.»

«Impossibile», negò l’altro con la testa.

«Come?» chiese l'assassino.

«Cerchi di capire, abbiamo molto lavoro in sospeso. Inoltre, bisogna prima vedere di che problema si tratta. Ci può portare via più o meno tempo.»

«Sicuramente è un problema semplice.»

«Mi dispiace, non posso aiutarla, a meno che non aspetti qualche giorno. Guardi quante riparazioni abbiamo», disse mostrando una dozzina di portatili riposti su un tavolo dietro al bancone.

A Jack pulsava la vena del collo.

«Esigo che me lo aggiustiate per domani», ripeté con fare minaccioso.

«Ah sì? E chi lo dice?» chiese con spavalderia il commesso.

L'assassino prese il portafogli e mise mano alle banconote.

«Lo dicono i miei soci, Matthew Bulton e James Watt», e buttò sul bancone un bel po’ di biglietti da cinquanta. Alla fine erano seicento sterline.

Il dipendente rimase in silenzio e allibito per qualche secondo.

«Amico...» alla fine riuscì a reagire e sorrise, gonfio di soddisfazione per la bella somma di denaro che stava guadagnando. «Ovviamente avrai il computer pronto per domani», prese il denaro e iniziò a contarlo.

Jack gli si avvicinò e lo afferrò bruscamente per la camicia.

«Se non mantieni la parola, spargerò della benzina nel tuo locale e gli darò fuoco», sentenziò con uno sputo.

Il commesso smise di sorridere, il suo volto mostrava il panico che si era impossessato di lui. Alla fine Jack mollò la presa e uscì senza dire altro.

Prima di andare a prendere la macchina, si fermò a comprare qualcosa per rifocillarsi. Non aveva mangiato niente in tutto il giorno ed era affamato. Visto che non voleva perdere tempo, optò per un hamburger con patatine da asporto, e lo mangiò per strada. Era ansioso di portare a termine il rituale e recuperare il suo tanto desiderato libro.

Poco dopo arrivò al suo palazzo e aprì la porta dell'appartamento respirando profondamente e godendo di quel momento così estatico per lui. Invocare le forze oscure gli aveva sempre procurato una sensazione molto speciale, differente dalle altre.

Mise tutti gli organi di George e i capelli di Erick Taylor sull'altare che aveva preparato quella mattina all'alba. Fortunatamente, quel rituale non richiedeva molte viscere, erano sufficienti quelle di un corpo solo. Accese le candele nere e l'incenso, poi prese la carta dove aveva appuntato il procedimento. Tutto era pronto.

Chiuse gli occhi per concentrarsi. Inspirò ed espirò, lentamente e profondamente. Sentiva l'energia fluire in tutto il suo essere.

«Lepaca Kliffoth!» gridò e aprì gli occhi fissando lo sguardo sul foglio per leggere.

L'ambiente si gelò e dalla bocca di Jack cominciò a uscire fumo. Un'aria gelida e morbida accarezzava il suo volto.

«Mordiggian, dio negromantico e signore dell'ultimo rito! So che ci sei!» Respirò. «Accetta questi presenti mortali come prova della mia eterna lealtà e mostra la tua figura spettrale!»

La stanza si fece buia, oscura come una notte in un cimitero pieno di tenebre. Gli organi e i capelli arsero in fiamme cangianti e brillanti che sembravano voler divorare l'assassino.

«Tu che abiti nelle cripte di Zul-Bha-Sair!» proseguì, aspirando una profonda boccata d'aria. «Apri per me l'ombrosa valle ancestrale con lo scopo di possedere la mente di Erick Taylor!»

Le fiammate si spensero e da esse emanò un'intensa nube grigiastra di fumo, che disegnò un mostruoso volto, consumato e fantasmagorico.

«Accetto il tuo tributo di resti mortali», pronunciò quell’essere, con una voce aspra e riecheggiante, che sembrava uscire dal luogo più recondito delle tenebre. «Per poter tornare, devi pronunciare le seguenti parole: “Mordiggian, restituiscimi il mio corpo”. Hai un'ora. Se non lo farai entro questo tempo, si romperà il vincolo che unisce la tua anima alla tua carne e morirai.»

«Ma saranno dei pezzi di merda… Questo non lo dicevano in quella pagina di internet.»

«Accetto le tue condizioni. Sono pronto.» Si avvicinò e lo spettro aprì la sua schifosa bocca piena di bava.

Jack sentì come un risucchio e ingoiò la sua anima. Il corpo di Josef cadde inerme al suolo e lo spirito dell'assassino viaggiò attraverso un viscoso passaggio pieno di viscere, cadaveri e gridolini finché non scorse una luce abbagliante. Aprì gli occhi, si guardò le mani e osservò attorno: si trovava nella casa dei Taylor. Si diresse velocemente in bagno, si fermò davanti allo specchio e si osservò attentamente: aveva preso il corpo di Erick.

«Devo agire con rapidità», si persuase ad alta voce e consultò l'orologio che aveva al polso… il polso di Erick. Erano le 15.39.

Si spostò nell'ufficio dell'ispettore. C'era una piccola biblioteca composta da due vetrine stracolme di libri. Iniziò a cercare, disperato, buttando tutto sul pavimento.

Niente, nemmeno l’ombra del suo volume. Controllò i fogli e le cartelle che aveva sulla scrivania, ma ottenne lo stesso risultato. Uscì dalla stanza e si diresse in soggiorno pur sapendo che lì non avrebbe trovato quello che cercava. Sudando e respirando affannosamente, controllò tutti i cassetti e gli armadi che trovava. Il tempo passava senza tregua, aveva ancora venti minuti.

In quel momento sentì aprirsi la porta d’ingresso.

«Sono a casa!», esclamò Sara. Era andata a bere un tè con un'amica. Entrò in soggiorno. «E tutto questo disordine?» chiese piegando la testa.

Jack, nel vederla, sussultò, ma in un istante tirò fuori l’attore che c’era in lui.

«Ciao tesoro», la salutò, grattandosi la testa. «Stavo cercando dei documenti che avevo messo qui.»

«Sì, ma perché hai buttato tutto per terra?» La donna mise la mani sui fianchi.

«Devo trovare urgentemente il documento di un caso.»

«Amore, non ricordi che avevo messo in garage quella cassa con i documenti e oggetti vari? Qui non c'era spazio.»

«Hai ragione», rispose Jack, facendo finta di ricordare. «Vado a vedere se trovo quello che sto cercando.» Si girò e uscì.

Scese le scale correndo, rapido e agile come un ghepardo in mezzo alla savana africana. Guardò l’orologio: erano le 16.32. Gli rimanevano solo sette minuti.

In garage c’era l'auto di Erick, un fuoristrada piuttosto nuovo. Jack controllò tutti gli angoli e alla fine, sulla destra, vide un'enorme cassa di cartone. La aprì rapidamente e rovesciò sul pavimento tutti gli oggetti e le carte all’interno.

«Sì! Eccolo!» esultò nel profondo.

Uscì dal garage come un fulmine e raggiunse la strada. Mancava poco più di mezzo minuto. Sentiva che la sua anima iniziava a rompere il vincolo ancestrale che la univa al corpo di Josef. Cominciò a respirare a fatica.

Si avvicinò a un cassonetto situato di fronte alla casa dei Taylor e, con un ultimo sforzo, vi gettò dentro il libro.

«Mordiggian, restituiscimi il mio corpo!», gridò più forte che poteva, mentre cadeva al suolo, debole e quasi senza vita.

L'anima dell'assassino ritornò nel corpo di Josef nello stesso modo in cui ne era uscita.

Erick si svegliò, sdraiato in strada, stordito e disorientato.

«Dove sono?» si chiese, toccandosi la testa e guardandosi confuso attorno.

Si alzò barcollando ed entrò in casa.

«Che ti succede, caro? Sei molto pallido», si preoccupò Sara nel vederlo.

«Non lo so...» rispose l’uomo, lasciandosi andare su una sedia in soggiorno.

Sua moglie, agitata, si avvicinò a lui.

«Hai trovato quel documento?»

«Quale documento?» chiese Erick confuso.

«Come? Non ti ricordi?» Sara gli prese la mano, guardandolo preoccupata.

«Sinceramente non so cosa mi sia successo», rispose lui prendendosi il volto tra le mani. «Mi sono trovato in mezzo alla strada per terra», continuò in preda alla confusione, «ma non ricordo come sono finito lì.»

«Andiamo immediatamente dal medico», decise Sara senza dargli la possibilità di discutere.

Intanto Jack si stava svegliando sul pavimento della stanza nella quale aveva fatto il rituale.

«Cazzo… quasi ci rimanevo», sospirò, sudando e respirando velocemente. «Devo fare in fretta.» Si alzò stranito e uscì a cercare la macchina.

 

In quello stesso momento, un senzatetto girovagava nei pressi di casa Taylor. Aveva una sessantina d'anni, il volto barbuto, indossava vestiti lerci e disgustosi, e le sue vecchie labbra stringevano una sigaretta consumata. Portava con sé un cartone di vino rosso vuoto.

Senza soldi, in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, si avvicinò al cassonetto di quella strada e frugò al suo interno.

«Un libro antico...», osservò estraendo l’oggetto dalle immondizie. «Vediamo se è una prima edizione e se posso venderlo per qualche sterlina.»

A un tratto si voltò, sentendo un’auto entrare nella via. Sgommando e accelerando, il veicolo si stava avvicinando rapidamente a lui. L’uomo buttò il contenitore di vino e si mise a correre, entrando in un parco lì vicino. La macchina si fermò di colpo: Jack uscì furioso e si mise all’inseguimento del barbone.

«Ehi, tu! Quello è mio!» urlò l'assassino.

Il barbone inciampò e cadde a terra.

«L'ho trovato io. Ora è mio», si difese, tenendo stretto il libro tra le braccia.

«Maledetto vecchio figlio di...» Jack lo afferrò per la camicia e gli diede diversi schiaffi finché il vecchio lasciò il volume.

«Va bene, va bene… Non voglio problemi con te.» L’uomo si portò istintivamente le mani al volto per proteggersi, tremante, pregando che quel pazzo se ne andasse.

Prima di allontanarsi, l'assassino gli sputò e ritornò alla macchina pieno di soddisfazione per aver recuperato il libro negromantico della sua famiglia. Ora avrebbe potuto portare a termine il suo piano diabolico con lo scongiuro de La vita eterna.

«Devo tracciare il mio piano con somma precauzione e minuziosità. Ora ho un cuore, me ne mancano sei. Ma, se agisco troppo in fretta, potrebbero prendermi di nuovo. Devo pensare con calma. Sicuramente questa volta non commetterò gli stessi errori del passato», pensò tra sé e sé mentre saliva in automobile e se ne andava.

Arrivò al suo appartamento e nascose il libro sotto il materasso. Purtroppo in quella casa potevano presentarsi in qualsiasi momento Lucy, Emma o qualche amico, e questo lo esponeva al rischio di essere scoperto. Decise di smantellare la stanza che aveva usato per organizzare i rituali. La pulì e rimise tutto come prima, ma lasciò le viscere rimaste nel congelatore, in attesa di trovare una soluzione fattibile.

Doveva pensare con chiarezza. Accese una sigaretta e si servì da bere. L’alcol stimolava la sua mente e gli faceva venire in mente un sacco di idee.

«Vediamo, come potrei fare?» si chiese a voce alta, dopo il terzo sorso di whisky.

«Un momento… Questo cretino è titolare di un succoso conto corrente pieno di soldi e questa è una cosa stupenda... Potrei affittare un appartamento e fare lì i miei rituali di nascosto.»

«Deciso, farò così!» festeggiò la decisione e bevve un altro bicchiere. Batté il pugno sul tavolo, soddisfatto.

In quel momento squillò il cellulare e il nome di Lucy apparve sullo schermo.

«Si?»

«Tesoro, dove sei?» chiese la ragazza.

«Nel mio appartamento.»

«E cosa aspetti a venire qui?» lo rimproverò piuttosto infastidita. «Sono quasi le sette di sera.»

«Stavo per uscire.»

«Stiamo aspettando te per decidere cosa cenare. Se vuoi, di’ al tuo amico George di venire.»

«Ah sì… il mio amico George. Disgraziatamente credo che non sia disponibile», la prese in giro tra sé e sé.

«Oggi non l'ho visto», rispose. «Dev'essere occupato.»

«Allora oggi non sei andato ad allenarti con lui come fai ogni giorno?»

«Non è venuto. Sarà occupato. Più tardi lo chiamerò.»

«D'accordo, ti aspettiamo, tesoro. Ti amo.» Riagganciò.

«Cazzo… è vero. Dove vivono queste due? E per di più devo passare la notte là. Ah… ecco cosa farò. Guarderò Facebook e Whatsapp per cercare informazioni sulla strada.»

Si mise a guardare i profili di Facebook delle due ragazze, ma non trovò niente che lo potesse aiutare. Certo era che vivevano a Londra, ma non riusciva a trovare l’indirizzo. Controllò allora la conversazione su Whatsapp con Lucy. Per fortuna, da quando l'aveva conosciuta, Josef non aveva cancellato la cronologia delle conversazioni. Ci mise un po' ma, arrivato all'inizio della chat, trovò un messaggio di quando si conobbero e in cui lei aveva scritto l'indirizzo per andare a trovarla.

«Bene! Eccolo!» Si congratulò con sé stesso.

Si fece la doccia, si lavò i denti e si cambiò d'abito. Non voleva destare troppi sospetti in Lucy: nonostante fosse abituato a vivere nello sporco e a non lavarsi di frequente, doveva evitare che la ragazza notasse, un'altra volta, odori inusuali nel suo fidanzato, come alcol e fumo.

Scese in garage e si mise alla guida della sua fiammante BMW. Dopo qualche metro, inchiodò di fronte a un edificio. Un cartello su un balcone del primo piano richiamò la sua attenzione: indicava l'affitto di un appartamento e un numero di telefono. Quel luogo gli sembrava ideale per i suoi scopi e per di più era vicino al suo amato vicolo.

Interessato, Jack compose il numero di telefono.

«Pronto?» rispose una voce maschile.

«Chiamo per l'appartamento in affitto nel quartiere di Whitechapel.»

«Ah, sì… Quando vorrebbe vederlo?»

«Quanto prima fosse possibile.

«Domani alle nove?»

«Perfetto.»

«Ci vediamo a quell'ora davanti all'edificio. Buonasera.»

Riagganciò, e si accorse che un poliziotto stava bussando al finestrino.

«Senta! Qui non si può parcheggiare», lo rimproverò l'agente, facendogli segno di andarsene.

L'assassino lo osservò con uno sguardo da cane rabbioso e se ne andò senza dire nulla.

 

«Ciao, tesoro», Lucy aprì la porta sorridente e gli diede un bacio. «Allora, non viene George?»

«Non risponde al telefono. Lo vedrò domani», mentì Jack.

«Visto che tardavi tanto, ho ordinato delle pizze per cena. Ti va bene?» Si diresse verso il soggiorno dove c'era Emma.

«Sì, non c'è problema.» La seguì.

Emma e Jack si salutarono, dopodiché i tre si accomodarono per cenare.

«Cosa hai fatto oggi, tesoro?» chiese Lucy, addentando la sua porzione di pizza.

«Stamattina sono andato a recuperare il computer di Erick e poi in palestra.»

«Ah sì, mio padre mi ha detto che ti sei portato via la torretta», commentò Emma. «Dev'essere un bel problema...»

«Lo sembrava ma l'ho già sistemato. Domani glielo riporto», affermò Jack, prima di dare un sorso alla sua bibita.

«Come vorrei una bella birra…» rimuginò dentro di sé.

Il cellulare di Emma suonò. Guardò lo schermo e vide che si trattava del suo capo, il direttore del giornale.

«Scusate un momento», sbuffò scuotendo la testa e se ne andò nella sua stanza.

«Pronto?»

«Senti Emma, ho appena letto l'articolo che hai scritto oggi per la tua colonna settimanale. Pensavo che avresti scritto qualcosa su quell'assassino seriale del quale mi hai parlato ieri.»

«Alla fine ho eliminato quella notizia per un'altra che mi sembrava meglio. Non ti piace?»

«Sì, sì… è un bel pezzo, ma credo che dovresti scrivere un articolo su Jack Brooks. Sai, approfondire un po' la notizia, scrivere su come vivessero in quel periodo gli abitanti di Whitechapel e la polizia, la ripercussione sociale che causarono quegli eventi di grandezza spropositata. Quelle notizie vendono molto, Emma. Credo che ne valga la pena.»

«Allora, vuoi annullare la pubblicazione dell'articolo che ho scritto oggi?»

«No, no. Possiamo pubblicarlo questa settimana. Mi piacerebbe che sviluppassi il pezzo sull'assassino seriale per la prossima.»

«Quando ho fatto delle ricerche su quell'assassino, ho scoperto che il tema mi tocca molto da vicino… Mi scuserai se per il momento non lo scrivo. Non è che mi rifiuto di farlo, ma ho bisogno di tempo… Capisci?»

«Qualcosa non va, Emma?»

«No, non ti preoccupare… è che se scrivo su di lui aprirei delle vecchie ferite di qualcuno a cui tengo molto e a cui non voglio causare ulteriore sofferenza.»

«Va bene, tranquilla. Per il momento lo teniamo in sospeso e quando deciderai di farlo, sappi che l'articolo è tuo.»

«D'accordo, ti ringrazio.»

La serata trascorse normalmente tra conversazioni che annoiavano Jack in maniera incredibile. Non vedeva l'ora di andare a dormire. Quando finalmente si decisero, Lucy lo accompagnò nella sua stanza.

«Tesoro, ti ho messo il pigiama sul letto», commentò lei mostrando la biancheria, stupita davanti alla sua passività. Per lui era, senza dubbio, una situazione nuova.

«Cazzo… e adesso devo andare a letto con questa stupida. L’unica cosa che voglio è togliermela dalle scatole», si lamentò dentro di sé mentre indossava il pigiama e si infilava nel letto con la ragazza.

Lucy spense la luce, ma per lei la serata non era finita. Aveva una vita sessuale molto attiva con Josef e gli piaceva moltissimo sentire la sua pelle, il suo calore e l'odore. Si avvicinò e con delicatezza gli mise la mano tra le cosce.

Jack sussultò un po’ quando si rese conto che la ragazza gli palpava quella zona, ma lei continuò e il cuore dell'assassino iniziò a ballare frenetico.

«Mamma mia… Questa vuole scopare. Che faccio? Da tempo non sto con una donna e ne ho una voglia tremenda, ma devo concentrarmi sul mio obiettivo. Più tardi, avrò tutto il sesso che voglio.»

«Lasciami stare, sono stanco», rifiutò con tono sgradevole e le spostò la mano.

«Il mio brontolone… Ultimamente sei di cattivo umore», insistette lei affettuosa, mentre lo abbracciava.

Senza darsi per vinta, mise la sua gamba su quelle di Jack, facendo le fusa con il suo corpo e mostrando la sua voglia di sesso. Avvicinò il suo volto a quello di lui e le loro labbra si unirono in un profondo e appassionato bacio.

Un impeto di lussuria si impossessò dell'assassino, che si mise su di lei, impaziente e accecato dal desiderio, ansioso di aprire la carta di quella deliziosa caramella. Le tolse la camicia da notte con foga, lasciandole i seni scoperti. I capezzoli grossi e rosa accesero ancora di più la sua smania e iniziò a toccarli brusco. Le mise una mano sul suo sesso notando come l'ardore perverso si stava appropriando della sua volontà. Lucy, con un sorriso malizioso e pieno di piacere, avvicinò la sua mano al membro desiderando di essere presa. Non tardò nel compiacerla, come poté constatare con i suoi gemiti e parole che solo lei capì, nel vedere i movimenti e le spinte vigorose che le stava regalando. Jack godeva di quelle sensazioni e del calore della giovane, ma la sua natura assassina, simile a quella di una bestia senza freni e incontrollabile, poteva fargli perdere la testa in qualsiasi momento. Il mostro che risiedeva al suo interno si svegliò e, istintivamente, mise le mani al collo di Lucy con l'intenzione di strangolarla. Fortunatamente fu solo un attimo e alla fine riuscì a controllare la sua foga violenta.

Lei si sorprese davanti a quel gesto tanto inusuale da parte di Josef, ma pensò che era stato travolto dalla passione del momento.

Jack, con la fronte madida di sudore e con la respirazione accelerata, si buttò sul letto e lei gli si avvicinò.

«Non conoscevo questo tuo lato… selvaggio e dominante, tesoro.» La ragazza lo abbracciò forte, molto forte, e gli si accoccolò vicino. «Come mi sei mancato in queste due notti!» sbadigliò e prima di chiudere gli occhi gli disse «Ti amo tanto, Josef.»

L'assassino rimase con gli occhi aperti, serio e pensieroso. Lucy, mezza addormentata, si aggrappò a lui e la sua testa accarezzò il suo naso. Il dolce aroma dei suoi capelli puliti, profumati e femminili, penetrò nelle narici di Jack.

«Dio mio… che buon profumo ha.» L'omicida scosse la testa. «Devo togliermi dalla testa queste stupidaggini e concentrarmi sulle mie cose. Domani inizierò a preparare tutto per raggiungere il mio obiettivo tanto agognato.»