2017 – IX
Erano le otto del mattino del 31 dicembre. La gente si stava svegliando, piena di gioia in vista dei festeggiamenti per l'ultima notte dell'anno. Gli ispettori invece, dopo quanto era successo, non avevano riposato per niente. Le prime ore del giorno li trovarono molto avviliti e disperati, ma avevano deciso di lasciare le emozioni da parte e continuare con le indagini. I due colleghi avevano controllato le telecamere della zona: per qualche strano motivo, proprio mentre si svolgevano i fatti, le immagini erano disturbate e non si riusciva a distinguere nulla. Come se non bastasse, il corpo che Jack aveva occupato non aveva fornito alcun indizio. Il sovrintendente era appena arrivato.
Nonostante fosse molto presto, si trovavano già nell’ufficio del sovrintendente. «È inaudito!» gridò il loro capo sbattendo un pugno sulla scrivania. «Com’è potuto succedere che abbiano ucciso un poliziotto davanti ai vostri occhi?!»
«Le ho già detto che stanno succedendo cose paranormali. Sono fatti che sfuggono alla nostra comprensione», insistette Erick.
«Ancora con questa storia, cazzo!» urlò Smith con i nervi a fior di pelle; cercò comunque di rimanere calmo. «In tutti questi anni in polizia metropolitana, non avevo mai sentito una simile stupidaggine.»
«Qui c’è il rapporto», disse Taylor mettendogli i fogli sotto il naso. «Le suggerisco di leggerlo con attenzione e capirà che quello che abbiamo visto noi due e gli altri che erano presenti non ha alcuna spiegazione scientifica. Tutti gli eventi riportano a Jack Brooks, ritornato in vita grazie alla magia nera», rivelò Erick.
Il sovrintendente iniziò a leggere. Man mano che proseguiva, la sua fronte si imperlava di sudore e la respirazione accelerava. Il volto pallido, si portò una mano al petto, mentre con l’altra si sbottonava i primi bottoni della camicia.
«Sta bene?» si preoccupò Erick.
«Avete preparato un complotto contro di me», mormorò con un filo di voce. «Quello che c'è scritto qui è impossibile.» Smith non smetteva di massaggiarsi il petto. «Portatemi un bicchiere di acqua, non sto bene...»
«William, chiama un'ambulanza!» ordinò Erick e il suo collega obbedì.
Il medico lo visitò e decise di portarlo in ospedale. L’ispettore era stato colpito da un attacco di ansia.
«Che facciamo ora?» domandò William, con lo sguardo perso.
«Per prima cosa, dobbiamo riposare. Abbiamo dormito poco in questi ultimi giorni», propose Erick.
«La vedo dura, ora come ora non riuscirei a chiudere occhio...» confessò il suo collega.
«Ho la sensazione che oggi sarà una giornata difficile e dobbiamo pensare con lucidità. Inoltre, oggi è l'ultimo dell'anno e le cose sono ancora più difficili. Quindi, collega, dobbiamo dormire qualche ora, anche fosse in ufficio.»
«Va bene», accettò il giovane ispettore, troppo stanco per replicare.
Verso le tre del pomeriggio, Jack andò a comprare una corda, nel caso ce ne fosse stato bisogno, e qualche giocattolo per Evan ed Alice. Poco prima delle quattro, si presentò alla porta della vicina, munito del suo più falso sorriso e con i regali in mano.
«Salve, Josef», lo salutò la donna, sorridente, mentre apriva la porta. «Sei arrivato molto puntuale, siamo appena tornati da casa della nonna.» Si inchinò leggermente mentre lui entrava. «Bambini! Josef vi ha portato un regalo!»
Evan e Alice si precipitarono verso Jack e lui gli consegnò i giocattoli.
«Hai visto quanto poco basta per far passare l’arrabbiatura a Evan?» disse la madre, mentre i bambini strappavano con ansia e desiderio la carta dei regali.
«Wow, un Playmobil!» esclamò Evan.
«Una bambola!» applaudì Alice.
«Grazie infinite, Josef», lo ringraziò la madre. «Hai da fare o riesci a fermarti un po’?»
«A dire il vero, ho un'ora libera prima che arrivi la mia fidanzata. Se i bimbi vogliono, posso fermarmi un attimo a giocare.»
«Sì Josef, rimani!» gridarono i bambini all'unisono, saltellando e battendo le mani felici.
«Come desideri, Josef. Fai come fossi a casa tua.»
«Accetto l'invito, mia cara futura mamma. Questa è già casa mia», rise Jack tra sé e sé.
L’assassino si diresse verso la stanza dei bambini e tutti insieme si misero a montare il Playmobil. Jack si guardò attorno e vide una vetrina piena di bambole e giochi vari. Tra essi notò un peluche di giraffa, vecchio e consumato. Si alzò e si avvicinò alla vetrina.
«Senti, Evan, è tuo questa giraffa?» chiese al bambino.
«Lascialo! È mio e di nessun altro» urlò Evan, correndo a toglierlo di mano a Jack.
«Si! Ti ho beccato, piccolo fifone.»
«Si chiama Jack e mi fa compagnia la notte», confessò il bimbo, abbracciando il peluche.
«Cazzo! È destino! Si chiama come me!»
«E tu, principessa, non hai qualche pupazzo?»
«Sì, sono tutti lì, nella vetrina.» La bambina indicò i suoi giocattoli.
«No, cazzo, intendo qualche gioco speciale, qualcosa che hai da quando sei nata...»
«Ops, mi è sfuggita una parolaccia…»
«Josef ha detto una parolaccia!» lo canzonarono i due, ripetendolo diverse volte.
«Di nuovo! Un'altra volta!» pensò Jack con nervosismo.
«Che succede qui?» La madre, che aveva sentito il baccano, entrò nella camera dei figli, con le mani sui fianchi.
«Josef ha detto “cazzo”, mamma», disse Evan. «Cosa vuole dire?»
«Guarda tu che spia è questo!»
«Sarà meglio smettere di giocare per oggi», decise la madre, guardando Jack seria. «Vieni Jack, ti accompagno.» Poi, abbassando la voce, aggiunse: «La prossima volta stai più attento a cosa dici davanti ai bambini...»
«Ma vaffanculo! Adesso vedrete...»
Dopo aver preso la pistola che teneva nascosta nei pantaloni, circondò il collo di Evan con un braccio e gli puntò l’arma alla tempia. La madre, vedendolo, si portò le mani sulla faccia e lanciò un urlo che riecheggiò in tutta la casa.
«Mamma!» gridò il piccolo, piangendo.
«Co-cosa fai?» balbettò la madre con voce incredula e il viso sconvolto.
«Voglio i primi giochi dei tuoi figli da quando sono nati o, altrimenti, farò saltare le cervella a Evan», minacciò Jack, spostando i capelli del piccolo e ridendo in modo perverso.
«I giocattoli? Quali giocattoli?» chiese confusa la donna.
«Non fare la stupida! Qual è il primo gioco che hai comprato per loro e per il quale nutrono particolare affetto? Forza, veloce, che non ho tutto il giorno!»
Senza capire, la madre dei piccoli alzò le mani in segno di resa.
«Va bene, va bene, ma lascia stare mio figlio, per favore.» Prese i peluches: la giraffa di Evan e un agnellino di Alice.
«Non li posso lasciare qui» pensò Jack. «Sicuramente chiamerebbero la polizia. E poi sta per arrivare Lucy.»
«Venite nel mio appartamento!» ordinò.
«No! Prendi i giocattoli ma lasciaci stare!» lo implorò la madre porgendogli i peluche.
«Fai come ti dico o faccio fuori questo piccolo diavolo.» Jack avvicinò ancora di più la pistola alla tempia di Evan. «Voglio che sia tu a portare i peluches nel mio appartamento, tenendo tua figlia per mano.» La madre, completamente sotto shock, continuava a piangere. «Ora!» urlò l’assassino.
La donna reagì e si diressero verso la porta.
«Ti avviso che, se fate qualcosa di strano o cercate di scappare, uccido questo piccolo stronzetto», la minacciò, mentre apriva la porta e usciva sulle scale, singhiozzando.
Camminarono fino all’appartamento di Jack e, quando arrivarono alla porta, si fermarono.
«Prendimi le chiavi che ho nei pantaloni.» La vicina gli mise la mano in tasca. «Con attenzione e non farti illusioni, bambola», aggiunse Jack con un sorriso malizioso. La donna scosse la testa, spaventata e con un certo disgusto per quel commento.
Aprì la porta ed entrarono.
«Sedetevi per favore, non fate complimenti», li invitò l’assassino, con una falsa gentilezza.
Mentre si accomodavano, Jack chiuse la porta e rimise la chiave in tasca. Poi, prese le corde che aveva comprato e legò le mani dei suoi “ospiti” in modo che non potessero muoversi dalle sedie. I bambini non smettevano di piangere e la madre di singhiozzare, per cui Jack dovette tappare loro la bocca per farli tacere.
«Bene, ora il piccolo Jack ha delle cose da fare. Non andatevene, ok?» li ammonì agitando il dito, con una risatina perversa. «Torno subito..»
L'assassino entrò in cucina, prese qualche organo dal frigorifero e li mise su un vassoio. Passò davanti ai suoi prigionieri, si fermò e guardò la madre.
«Sono proprio un maleducato» disse scuotendo la testa, «non vi ho offerto nemmeno una tartina.» Le avvicinò il vassoio come se fosse un cameriere e le mostrò le viscere. «Ti piacciono? Sono la mia specialità», le disse, atteggiando le labbra come se fosse un pesce.
Il panico che provò la donna in quel momento voleva uscire dal suo corpo, ma riuscì a soffocare un grido nel fazzoletto. I bambini piangevano a dirotto.
«Lo prenderò come un no.» Jack si finse deluso. «Immagino che avrete già fatto merenda.» Poi si diresse in camera e si chiuse dentro.
Dopo qualche minuto, dalla stanza uscirono urla e bagliori di luce. La donna e i suoi bambini avevano le facce stravolte dal panico e non riuscivano a trattenere le lacrime.
Proprio mentre Jack usciva dalla camera, suonò il campanello.
«Shhh… Silenzio», intimò, mettendosi un dito sulle labbra. «Credo sia arrivata la nostra invitata d'onore.» Andò alla porta con la pistola in mano.
Guardò dallo spioncino e vide Lucy che aspettava, impaziente. L'assassino nascose l'arma dietro la schiena prima di aprire.
«Ciao, tesoro», salutò la ragazza, dandogli un bacio. «Sono così contenta che tu mi abbia chiamato per passare le notte con te», aggiunse, raggiante dalla felicità.
«Sì, anche io… Comunque ho degli ospiti in soggiorno. Vuoi che te li presenti?»
«Ah, pensavo che saremmo stati da soli…» disse Lucy, un po’ delusa.
«Lo saremo, senza ombra di dubbio. Rimangono con noi solo un momento.»
Lucy assentì e si diresse in soggiorno. Non appena aprì la porta, vide le tre persone legate, con in volti stravolti da un palpabile terrore, e lanciò un grido assordante.
«Benvenuta alla mia festa», le disse Jack, dopo averle puntato la canna della pistola alla fronte. Lei rimase paralizzata, tremando come una foglia e non riuscendo a credere a quello che le stava succedendo. «Sei rimasta senza parole, tesoro? Forza, non essere scortese e fai il favore di sederti con i nostri ospiti. Oggi sarà un grande giorno!»
L'assassino legò Lucy a una sedia, come gli altri, ma non la imbavagliò.
Poi diede una sonora manata al tavolo. «Bene! Immagino che ti starai chiedendo cos stia succedendo qui, vero?»
«Tu non sei Josef...» riuscì a dire Lucy con voce tremante, scuotendo la testa.
«Bingo!» applaudì Jack con un malizioso sorriso.
«Sei tu quello che sta uccidendo gente, quello finito sui giornali negli ultimi giorni.»
«Oh!» Jack aprì la bocca fingendo meraviglia, sorridente, mentre inclinava la testa mostrando la sua soddisfazione per essere stato riconosciuto.
«Quell'anziana ha cercato di avvisarci, ma non le abbiamo creduto.»
«Un’anziana?» l'omicida alzò la voce e si avvicinò a Lucy. «Dove l'avete incontrata? Che vi ha detto?» La ragazza non rispose, era in preda al panico e singhiozzava. «Rispondi!» urlò Jack, scuotendo la sedia con una tale aggressività che lei chiuse gli occhi per lo spavento.
«Va bene!» disse alla fine. «Un giorno ti abbiamo seguito e ti abbiamo visto entrare in un edificio con una valigia. Lì vive un'anziana che ci ha detto che un assassino sta occupando il corpo di Josef.»
«Ah, ora capisco perché non funzionavano i rituali. Era colpa di quella vecchia schifosa!» ragionò Jack.
«Beh, ora è troppo tardi e non potrà fare nulla», concluse a voce alta. «Tu, tesoro, dovresti sentirti una privilegiata perché ti ho scelto come compagna per tutta l'eternità.»
«Cosa?! Io non voglio essere la tua compagna. Io voglio che Josef ritorni», protestò la ragazza.
«Quel testone avrà difficoltà a tornare. Ma se ti va lo inviteremo ogni tanto, visto che la sua anima è intrappolata nel mio vicolo, errante e persa, tra questo mondo e l'Aldilà», la informò Jack scoppiando a ridere.
«Sei spregevole!» disse Lucy tra i singhiozzi.
«Ohhh, grazie per il complimento! Visto che abbiamo tutta l'eternità per stare insieme, dobbiamo trovarci bene, non credi?»
«Veramente credi che vorrò stare con te? Io mi sono innamorata di Josef, non di te!» urlò la giovane con rabbia.
«Chi è stato a dare un mare di botte al tipo che ha cercato di violentarti e l'ha obbligato a cambiare casa? Io! E credimi, non lo faccio con tutti. Neanche Josef lo avrebbe fatto per te.» Le si avvicinò e le prese le mani, che stavano tremando come foglie agitate dal vento. «Lucy, per me sei una persona molto speciale e ti amo. Per questo ti ho scelto, affinché tu sia la mia compagna durante questo viaggio eterno. Ti prometto che mi prenderò cura di te e sarai felice.»
«Piuttosto che uno mi ami in questo modo, compiendo delle atrocità, preferisco stare da sola», sussurrò Lucy, girando il viso dall'altra parte.
«È normale che ora tu provi un rifiuto verso tutto questo e che ti sembri strano, ma, con il tempo, mi ringrazierai», concluse Jack, serio.
Erano quasi le sei di sera e Emma era ancora al giornale a lavorare all’articolo su Jack Brooks, che la impegnava da un paio di mesi. In quel momento bussarono.
«Avanti», disse.
«Ciao, Emma. Come va?» Era il suo capo.
«A dire il vero, sono un po' sotto pressione. Mia madre mi uccide se non arrivo da loro prima delle sei e mezza, in modo da aiutarla per la cena», disse con un sospiro.
«Sapevo che ti avrei trovata così, per questo ti ho mandato una mail con alcune informazioni raccolte dal mio stagista.»
«Ti ringrazio molto, mi sarà utile», rispose Emma con un sorriso.
«Devo dirtelo, sei una brava giornalista e ultimamente ti vedo piuttosto stressata a causa del tanto lavoro.»
«Non importa. Dopodomani vado a intervistare qualche abitante di Whitechapel», disse la ragazza mentre il suo capo assentiva. «Comunque, ho letto che in questi ultimi giorni ci sono stati molti assassinii, vero?»
«Sì, ma la polizia ha fornito poche informazioni al riguardo.»
«Tanto per cambiare…» ironizzò Emma.
«Se tuo padre ti ascoltasse…», la stuzzicò il direttore, mentre si dirigeva alla porta. «Forza, salva le informazioni che ti ho mandato e vai a casa dalla tua famiglia. Ci vediamo il prossimo anno, Emma» e, con un sorriso, uscì dalla stanza.
«Arrivederci», lo salutò lei senza distogliere lo sguardo dallo schermo del computer.
Accedette alla sua posta elettronica e scaricò un allegato pdf. Quando lo aprì, vide un testo con una fotografia. Rimase qualche secondo a guardare quell'immagine con attenzione e un ricordo le invase la mente.
«Ti stavo aspettando», stava scrivendo qualcuno.
«Ci conosciamo? Comunque, bella maschera», rispose lei cercando di essere ironica.
«Hai coraggio?»
«Coraggio?» Emma cominciò a provare un senso di inquietudine.
«Sì, ad attraversare il vicolo della paura. Prima ti ho sentito dire che non temi le leggende metropolitane. Quindi dimostramelo.»
Emma trattenne il respiro, come se fosse l'ultimo della sua vita e poi si tappò la bocca con la mano.
Erick si trovava nel suo ufficio, intento a controllare i rapporti di polizia e cercando qualche indizio su chi poteva essere la persona alla quale Jack aveva occupato il corpo. Aveva chiamato Sara per dirle che, con un grande dispiacere nel cuore, non avrebbe potuto passare quella notte tanto speciale con lei e sua figlia. Arrabbiato per quella situazione, buttò a terra tutte le carte.
«Hai trovato qualcosa?» chiese William, sorpreso da quel gesto di stizza.
«Figurati! Questa storia inizia a essere esasperante.» Erick si portò le mani sulla faccia e buttò la testa all'indietro, appoggiandola allo schienale della sedia e sospirando.
«Hai ragione. Sarà meglio riposare un po'. Prevedo una notte difficile, visto che dovremo ritornare in quel vicolo.»
Gli ispettori rimasero per un po’ in silenzio. A un tratto, il telefono di Erick squillò.
«Pronto?»
«Papà! Ho scoperto qualcosa di tremendo...» Emma sembrava piuttosto turbata.
«Bambina mia, ora non è il momento. Chiamami più tardi.»
«È molto importante! Devi ascoltarmi!» insistette la ragazza.
«Va bene.» Erick guardò il collega e gli fece un gesto con la mano per lasciarlo da solo.
Appena William fu uscito, riprese la conversazione con sua figlia. «Allora, cosa c’è, piccola?»
«Josef è Jack Brooks!»
«Cosa!?» Erick non poteva credere alle sue orecchie.
«Ho appena visto una foto di Jack Brooks ed è lo stesso uomo che abbiamo incontrato la notte di Halloween. Lo stesso che ha invitato Josef a passare il vicolo», disse Emma, parlando come una mitraglietta. «Sai che ho molta memoria visiva, papà. Devi credermi!»
In quel momento, tutto ebbe senso. Lo strano comportamento di Josef, la sua incompetenza in fatto di informatica quando si supponeva che lavorasse in quel campo, il suo interesse su Jack Brooks… Erick si portò una mano alla fronte e sospirò.
«Ti credo Emma. Ora William e io andremo a casa di Josef per fermarlo.»
«No, non potete», lo fermò lei con voce strozzata.
«Perché no? Emma, tesoro, calmati e prova a parlare lentamente», cercò di calmarla Erick.
Dopo una pausa, la ragazza continuò. «Vedi, papà, qualche giorno fa, Lucy e io abbiamo seguito Josef perché abbiamo notato che si stava comportando in modo strano. Lo abbiamo visto entrare in un edificio con una valigia e siamo andati a vedere se qualche inquilino lo conoscesse. Lì abbiamo incontrato una signora anziana che ci ha detto di essere una medium. Può percepire le anime, in quanto più sensibile della gente normale. Lei sapeva che quell'assassino aveva preso il corpo di Josef. Ci ha detto che, se le fosse successo qualcosa, l'anima di Josef avrebbe vagato tra la vita e la morte, e lei stava cercando il modo di far abbandonare a Jack il corpo di Josef, in modo da recuperarlo. In quel momento non le abbiamo creduto, ma ora so che è vero.
«Capisco…» riuscì a dire Erick, completamente confuso da racconto. «Allora agiremo così: io esco con il mio collega e ti veniamo a prendere, così ci mostri dove vive questa anziana.»
«Devi sapere un'altra cosa, papà… Lucy è con lui.»
«Non perdiamo tempo, allora. Ci vediamo tra poco.» Appena ebbe riappeso, chiamò William. Il suo collega si affacciò. «Dobbiamo andare via adesso», lo informò Erick, dirigendosi verso l'uscita.
«Che succede?» provò a informarsi William.
«Te lo racconto per strada.»
Jack era appoggiato al tavolo del soggiorno, con una sigaretta in una mano e un bicchiere nell’altra, e guardava di sbieco i suoi sequestrati. In quel momento, suonò il cellulare di Lucy. L’assassino le si avvicinò con la pistola in mano e prese il telefono.
«È la tua amica», disse, osservando il display. «Dille che tutto va bene.»
Jack aprì il cellulare e lo accostò all'orecchio di Lucy, avvicinandosi per ascoltare.
«Lucy! Dove sei?» chiese ansiosa Emma.
«Sono con Josef», riuscì a dire Lucy, con la voce corta.
«Vattene subito! Un assassino ha occupato il suo corpo!» urlò l’amica.
Nel sentire questo, Jack afferrò con rabbia il telefono e lo scagliò a terra, frantumandolo in mille pezzi.
«Credo che sia arrivata l'ora, tesoro», disse alla ragazza, mentre la slegava. «Io e te passeremo l'eternità insieme.» L’assassino prese i due peluches e si voltò verso di lei.
«No, per favore!» supplicò la ragazza. Una lacrima le scese sulla guancia.
«Andiamo!» urlò Jack e la prese bruscamente per il braccio.
Lucy, tremando come una foglia, scoppiò a piangere dalla paura. Entrarono nella stanza dove Jack aveva portato a termine i rituali. La ragazza vide uno specchio, al cui interno non si distingueva nessun riflesso, ma solo una nebbia spessa come cotone grigiastro, con una luce tenue di fondo.
«Entra nello specchio!» le ordinò l'assassino.
«Cosa?» esclamò lei, senza capire come avrebbe potuto introdursi in quell'oggetto.
«Ti ho detto di entrare!» insistette Jack.
Vedendo che la ragazza non si muoveva, la strattonò, mentre lei urlava dalla disperazione e la obbligò a entrare nello specchio. Lui la seguì.
Il suono della sirena della polizia riecheggiò per le vie di Londra, tra stridii ed accelerazioni. Erick guidava freneticamente, dirigendosi verso Whitechapel. Al suo fianco, William e, seduta dietro, Emma.
«Merda!» protestò la ragazza.
«Che succede? Non risponde?» chiese Erick, guardando la figlia nello specchietto retrovisore.
«Sì, ma ha riagganciato e ora il cellulare è spento. Per favore, papà, fai in fretta», lo sollecitò.
«Manca poco, bambina mia...»
Parcheggiarono l’auto sul marciapiede e scesero, nervosi. Poi entrarono nell'edificio a tutta velocità.
Una voce lì bloccò. «Vi stavo aspettando.» Era la donna anziana, che li aveva sentiti arrivare. «Entrate, il destino ci aspetta...»
I tre si guardarono incerti, poi accettarono l'invito. Si sedettero tutti in salotto.
«Mia figlia Emma», iniziò Erick, «mi ha detto di aver parlato con lei di...»
«Jack Brooks», lo interruppe l'anziana, mentre si puliva la bava. «Scusate, ho una malattia che mi produce saliva.»
«Non si preoccupi», disse Erick, mentre William tossicchiava, sotto lo sguardo di disapprovazione del collega.
«Ho trovato un rituale di magia bianca per espellere l'anima di quell'assassino e far sì che il suo vero ospite riprenda a occupare il proprio corpo. Ho tutto pronto qui.» Mostrò una valigia sul pavimento. «Ho bisogno però che lo catturiate, il corpo deve stare tra le candele che userò per il rito.»
«Allora dovrà accompagnarci», la esortò Erick. «Un ultimo dettaglio: mi sono informato sugli incubi che ho avuto per tutto questo tempo. So che in realtà sono visioni di quello che è successo e ho potuto vedere come agisce questo assassino. La mia domanda è: in realtà, tutto quello che ho visto, era vero?»
«Sì certo. Si tratta di incantesimi di magia nera che quell'essere maligno usa per catturare le sue vittime e terrorizzarle fino a che...» rimase per qualche secondo in un silenzio drammatico, «desiderano la morte.»
«C'è qualche via di fuga quando sei colpito da questi incantesimi?»
«Sì. Prendere in giro tutti i pericoli che ti colpiscono e non lasciarsi dominare dalla paura. Bisogna dirigersi nel luogo dove c'è più luce per uscire da lì, o ucciderlo, e allora tutto svanirà», spiegò l'anziana, mentre dalla tasca prendeva un oggetto. «Questa pietra ti proteggerà dagli enti maligni nel caso ti trovassi in mezzo a uno di questi incubi. Conservala bene, può salvarti la vita.» Il poliziotto la prese e la guardò per un attimo prima di metterla via. Era una pietra nera con delle macchie bianche e grigie. «Bene, ora andiamo. Abbiamo poco tempo.»
Salirono sull'auto: Erick, al suo fianco William, e dietro Emma con la signora anziana. Si diressero verso il palazzo di Josef. Una volta arrivati, parcheggiarono di fronte e scesero.
«Emma, è meglio se tu e la signora rimanete qui», le disse suo padre. «Non appena abbiamo immobilizzato Jack Brooks, vi chiamiamo.»
«Neanche per idea!» ribatté la ragazza scuotendo la testa. «Di sopra c'è la mia migliore amica. Devo venire anch’io, papà. Mi sento male perché le ho detto che era tutto impossibile e invece era tutto vero...»
«Emma, tuo padre ha ragione», intervenne William. «L'ultima volta che ho incrociato questo individuo ci sono stati degli spari. Sarà meglio se voi due aspettate qui finché non vi chiamiamo.»
Alla fine la ragazza acconsentì, rassegnata e rimase nell’auto con l'anziana donna. I due ispettori, pistole in mano, entrarono nel palazzo.
Suonarono al campanello diverse volte, ma nessuno aprì.
«Che facciamo?» chiese William.
«Spostati. Ora ti mostro cosa faremo.»
Si allontanarono dalla porta e Erick sparò diverse volte alla serratura finché la porta non cedette.
Con molta cautela e determinazione, entrarono nell'appartamento. Arrivati nel soggiorno, trovarono i due bambini e la loro madre legati alle sedie.
«Slegali!» ordinò Erick, poi si mise a controllare le altre stanze.
«La signora dice che Jack e Lucy sono entrati in quella stanza», disse William seguendo il collega, che proprio in quel momento stava varcando la soglia della stanza dei rituali. «Madre mia...» mormorò alla spalle di Erick, quando i suoi occhi caddero sulle candele e sui resti di sangue dei sacrifici.
Entrambi notarono lo specchio appoggiato alla parete di fondo e si avvicinarono a esso. Straniti, furono colpiti dal fatto che lo specchio non rifletteva. William avvicinò la mano per toccarlo, ma questa affondò nel vetro, come se fosse un liquido.
«Ma porca puttana!» esclamò ritraendo la mano. «Che roba è questa?»
Erick si massaggiò per qualche secondo il mento, riflettendo, e alla fine disse:
«William, dovresti aspettarmi qui.»
«No… Non puoi entrare.» Il suo compagno scosse la testa. «Ricordati che si tratta di magia nera. Vai a sapere quello che troverai lì dentro!»
«Vuoi lasciare che quell’essere raggiunga l'immortalità? O vuoi che continui a uccidere innocenti?»
«Allora ti accompagnerò», disse William, determinato.
«Neanche per idea», protestò Erick, serio. «Ho una questione in sospeso con questo delinquente, da più di vent'anni. Oggi chiuderò il cerchio, quindi tu aspetta qui e fai salire l'anziana perché prepari tutto.»
Taylor si avvicinò allo specchio.
Prima di entrare, si rivolse al suo compagno. «William, sei un bravo poliziotto. Se qualche volta il mio comportamento ti ha disturbato, ti chiedo scusa», disse guardandolo direttamente in faccia.
«Non fare come se mi salutassi, amico.» Gli occhi di William si inumidirono. «Tornerai.»
«Se così non fosse, di’ a Sara e a mia figlia che le amo e che mi dispiace.» Erick mise un piede nello specchio ed entrò.
Un’oscurità assoluta, tanto vuota, sinistra e tenebrosa. Trovarvisi in mezzo, perso. Avere la sensazione di deambulare senza meta nella tenebrosa valle della morte, con l'incertezza e la paura di non trovare la strada della luce. Così si sentiva Erick, circondato dal buio pesto. Cominciò a camminare, disorientato, senza una direzione precisa, muovendo le mani con inquietudine per paura di toccare qualcosa di strano, sconosciuto, tremendo. Una fiammata brillante si accese in lontananza. Il soffitto, le pareti, il suolo… tutto continuava a essere scuro, anche se ora aveva una guida. La domanda era: quella fiammata lo avrebbe condotto all’uscita? Decise di continuare e, avvicinandosi, si rese conto che il bagliore proveniva da un'enorme carcassa metallica quadrata. Quando vi fu dinnanzi, realizzò che si trattava di un forno gigante, pieno di ossido, sporco, con uno sportello semiaperto dal quale fuoriusciva la potente lingua di fuoco. Proprio sopra, forgiata nel ferro, una scritta minacciosa: “Benvenuto nel vicolo di Jack”. A un tratto, lo sportello si aprì completamente e da esso, come fosse la mandibola di un drago feroce, emersero dei denti affilati e fantasmagorici. Dalle viscere uscì un urlo sordo, che provocò un gemito di spavento a Erick mentre veniva colpito. Cascate di fuoco sorsero dal nulla, e ruggiti spaventosi provennero da ogni parte, come se si trovasse nell'inferno più spaventoso. Una fiamma spettrale, simile a una lingua di serpente, fine, lunga e tremenda, catturò Erick e lo trasportò oltre quello sportello a forma di terribili fauci. Soddisfatto, lo inghiottì salivando un mare di fuoco.
L'ispettore si ritrovò all'interno del vicolo. Stordito, osservò le lugubri pietre antiche che lo componevano e, con un gesto rapido, si voltò. L'uscita era coperta da piastrelle azzurre sudice e piene di erbacce. Le toccò con la mano pensando si trattasse solo di un effetto ottico ma, disgraziatamente, non era così. Guardò al suo fianco e corrugò la fronte notando che si distingueva un'uscita. Con cautela, si diresse da quella parte.
Il vento ululante accarezzò il suo volto e agitò i suoi capelli con dolcezza con forza. In quel luogo, era notte fonda, ma quel terreno piano, roccioso e desertico, era illuminato da una miriade di stelle e da un’insolente luna piena, che brillava come non mai. Deciso, Erick inizò a camminare, con la pistola in pugno, in quanto si aspettava che, in qualsiasi momento, potesse presentarsi qualche pericolo. Camminò per qualche minuto, guardando con timore dappertutto, finché delle risate piene di sangue spezzarono il silenzio del luogo. Belve vomitevoli, sporche, piene di pezzi di carogne, dall’odore nauseabondo e dallo sguardo rosso come il demonio, lo circondarono: era un gruppo di iene che rideva e sbavava, mostrando le bocche ansiose, che si stava avvicinando sempre più al commissario, con movimenti lenti. Erick sparò ferendo una iena, e riuscì a spiazzare il branco per qualche istante, approfittandone per scappare. Corse e corse, sentendo le iene che lo inseguivano. Improvvisamente, un altro branco di belve gli si presentò davanti e lo puntò. Erick scaricò il caricatore contro quelli esseri immondi. Alcune caddero, ma continuavano ad apparirne altre. Si avvicinarono sempre più: Erick si lasciò cadere, abbattuto, aspettando di essere aggredito e finito da quelle carogne. Ma proprio mentre alcune di esse erano sul punto di saltargli addosso, mostrando le fauci feroci e sbavando, con le pupille dilatate, qualcosa le paralizzò e fuggirono, emettendo grida strazianti. L'ispettore si alzò grattandosi la testa, stranito e con la fronte imperlata di sudore. Sentì che qualcosa gli bruciava nella tasca dei pantaloni e vi introdusse la mano: era la pietra protettrice che gli aveva dato l'anziana.
«Beh, direi che questa cosa funziona», mormorò stupito, osservandola, mentre si asciugava la fronte.
Camminò per circa dieci minuti e si ritrovò sul bordo di un precipizio. Si affacciò e, su una collina, vide Jack insieme a Lucy, ammanettata, che piangeva con il volto sconvolto dal panico. Si trovavano di fronte a un altare che custodiva i sette cuori, con i capelli e i peluches di Evan e Alice. Il luogo era circondato da dirupi e le pareti erano foderate di bare. Mentre Erick scrutava questo scenario, risuonò un grido, che riecheggiò in tutto l’avvallamento.
«Lepaca Kliffoth!» Jack aveva iniziato il rituale della vita eterna. «Che il potere di Lucifero apra le porte ai mondi dell'oscurità e che la sua forza mi assista in questa chiamata!»
La temperatura si abbassò rapidamente. Dalla bocca di Jack uscì della bava e il suolo si coprì di un manto di rifiuti.
«Ti chiamo, signore dell'abisso oscuro! Tu che ti alimenti di questi presenti mortali che ti sto offrendo! Aprici la strada per la vita eterna!» continuò l’assassino.
La luna si tinse di rosso e le stelle divennero rubini che scivolarono nel buio. Sembrava che il firmamento stesse piangendo sangue. Erick, sbalordito, osservò per un attimo quello strano fenomeno ma, subito dopo, decise che doveva scendere: mise un piede sopra la prima bara e iniziò la discesa con cautela, aggrappandosi ai feretri che pendevano dalle pareti.
L'assassino intanto continuava con il suo rito.
«Sciacallo nero! Ti chiamo!» gridò Jack rivolto al cielo sanguinolento. «Tu che ti nutri dei cuori dei morti, accettane uno da questa offerta perché le nostre anime siano immuni all'Aldilà.»
Un uragano entrò nel luogo, facendo sobbalzare il corpo di Erick, che precipitò per un breve tratto. Fortunatamente riuscì ad afferrarsi a una bara sottostante, anche se si strappò parte dei pantaloni, e la pietra protettrice cadde nell'abisso.
«Merda!» protestò, sorreggendosi con una mano, mentre guardava la pietra che spariva nel vuoto.
Riuscì a ricomporsi e continuò a scendere. Nel frattempo, il rito di Jack continuava.
«Samael! Angelo oscuro della morte e della mutazione! Che il tuo veleno diventi un antidoto dell'immortalità per noi!»
Erick non si fermava, gli mancava sempre meno per toccare terra ma, purtroppo, questo avvenne prima del previsto: la bara alla quale si sorreggeva si aprì e lui precipitò al suolo. Dolorante, cercò di rialzarsi, ma faticava a respirare a causa del colpo ricevuto, che lo fece contorcere per la sofferenza. Alzò la testa e rimase a bocca aperta: tutte le bare si stavano aprendo e da esse emergevano degli scheletri, che si misero a camminare lentamente, come in una sfilata di morti viventi, fino a formare un cerchio attorno a Jack e Lucy. Sul volto dell'assassino si dipinse un sorriso perverso, mentre Lucy era completamente in preda al panico.
«Thanatos!» urlò Jack mostrando i denti al cielo. «Dio degli spettri della morte! Distruggi la parte mortale delle nostre menti e riempile dell’essenza oscura ed eterna dell'immortalità!»
Il cielo si coprì di nubi rossastre, tinte dal dolore e dalla sofferenza di quelle stelle sanguinolenti, nel sentire che quel diavolo stava per violare le leggi della natura. Fulmini assordanti brillarono in cielo e illuminarono quel tetro spettacolo. Apparvero anime in pena, che solcavano i cieli nebulosi con lentezza, lanciando grida strazianti.
Jack sorrise e gongolò: sapeva che il rituale stava per finire.
«Anaboth! Culmina questo rito con i tuoi lacci ancestrali!»
Mentre l'assassino continuava la sua recita, Erick si fece strada tra gli scheletri, con spinte e colpi, finché raggiunse Jack e riuscì a buttarlo a terra.
Jack si alzò sorpreso e lo guardò, colmo di rabbia. Riuscì a spostarsi e a mettere qualche metro di distanza tra lui e Erick. Il suo petto si gonfiò e le pupille si strinsero, mentre mostrava i denti, con una chiara espressione di ira.
«Maledetto figlio di puttana! Dovevi arrivare proprio ora!» gridò l'assassino.
«Questa cosa finisce ora, Jack. Hai oltrepassato il confine della pazzia», inveì Erick, maledicendosi per aver consumato tutte le pallottole con le iene.
Jack scosse la testa e scoppiò a ridere «Ti confesserò un segreto… Non ho passato quel confine… Perché ho sempre vissuto fuori dai limiti!»
«Chiudi quella lurida bocca!» sbraitò Erick. «Abbiamo una questione in sospeso da più di vent'anni e, questa volta, penso di saldarla.»
«Non mi dire… Allora, come vuoi tu. Sarà un piacere ucciderti, AMICO!» Jack sottolineò in maniera terrificante quell’ultima parola.
Senza aggiungere altro, i due uomini si azzuffarono dandosi pugni sonori, circondati dagli scheletri e dalle anime che solcavano i cieli, lanciandosi in lamenti strazianti. Lucy non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, uno sguardo pieno di lacrime e singhiozzi. I volti di Erick e Jack erano devastati dal sangue e dai colpi. L’assassino aveva il corpo di Josef, un corpo più giovane e forte, e questa condizione gli permetteva di colpire con più forza. Quando Erick barcollò, Jack cercò di afferrarlo per la camicia, ma l'ispettore cadde e riuscì solo a strappargli la moneta che aveva appesa al collo.
«Che cazzo è questo?» chiese l'assassino guardando il ciondolo. Si voltò verso Erick e prese la pistola che aveva nei pantaloni. «E’ un amuleto, forse? Sì? Bene, lo tengo io, a te ormai non serve più.» Jack salì sull'altare, ridendo, puntò l’arma e prese la mira. «Addio, ispettore...»
«Sorridi, maledetto figlio di puttana!» Una voce inaspettata alle sue spalle lo fece esitare, quel tanto che bastava perché una pallottola perforasse il suo cranio. Jack cadde a terra morto, e dalla sua mano cadde la moneta, che rotolò verso l'altare.
«No! Josef!» gridò Lucy, disperata, ormai senza più lacrime.
In quel momento, l'anziana Margot Wells sentì fermarsi il cuore.
Wiliam mise via l'arma. Una volta che Erick era entrato nello specchio, lui aveva chiesto rinforzi, ma l'impulso l’aveva portato a entrare nello specchio per aiutare il suo collega.
Si avvicinò al suo compagno, che giaceva per terra, incosciente a causa delle botte brutali che aveva ricevuto. Improvvisamente, quel tetro passaggio venne liberato dalla nebbia e dal fumo e si trovarono in mezzo al lugubre vicolo di Jack. Tutti i poliziotti che stavano vigilando il posto, accorsero per aiutarli, senza capire come fossero finiti lì.