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Integrità, spirito e pazienza erano le tre parole che definivano Atticus Finch. C’era anche una frase, per lui: scegli a caso un qualunque cittadino della contea di Maycomb e dintorni, chiedigli cosa pensa di Atticus Finch, e molto probabilmente la risposta sarà: “Non ho mai avuto un amico migliore”.

Il segreto della vita di Atticus Finch era, nella sua semplicità, profondamente complesso: dove quasi tutti gli uomini avevano dei codici e cercavano di esserne all’altezza, Atticus seguiva il suo alla lettera senza storie, senza fanfare e senz’arrovellarsi in complicati esami di coscienza. La sua natura privata era la sua natura pubblica. Il suo codice era la semplice etica del Nuovo Testamento, la sua ricompensa, il rispetto e la devozione di tutti coloro che lo conoscevano. Gli volevano bene persino i suoi nemici, perché Atticus non li riteneva mai come tali. Non si era mai arricchito, ma era l’uomo più ricco che i suoi figli avessero mai conosciuto.

I suoi figli erano nella condizione di sapere le cose come ai figli capita di rado: quando faceva parte dell’assemblea legislativa Atticus aveva incontrato, amato e sposato una ragazza di Montgomery più giovane di una quindicina d’anni; la portò a Maycomb, dove vissero in una casa appena comprata sulla strada maestra della città. A quarantadue anni gli nacque un figlio maschio che fu chiamato Jeremy come suo padre e il padre di suo padre. Quattro anni dopo nacque la figlia, chiamata Jean Louise come sua madre e la madre di sua madre. Due anni più tardi, Atticus una sera tornò a casa dal lavoro e trovò la moglie stesa sul pavimento della veranda sul davanti, morta, nascosta dal glicine che faceva di quell’angolo della veranda una nicchia intima, fresca e appartata. Non era morta da molto tempo; la sedia da cui era caduta dondolava ancora. Jean Graham Finch aveva portato alla famiglia il cuore che ventidue anni dopo uccise suo figlio sul marciapiede davanti allo studio di suo padre.

A quarantotto anni Atticus restò solo con due bambini piccoli e una cuoca negra di nome Calpurnia. È dubbio che avesse mai cercato dei significati; si limitò ad allevare i suoi figli meglio che poteva e, a giudicare dall’affetto che i suoi figli nutrivano per lui, il suo “meglio” fu davvero buono: non si stancava mai di giocare a palla avvelenata; non era mai troppo indaffarato per inventare storie meravigliose; non era mai troppo assorbito dai suoi problemi per ascoltare con attenzione una storia di sventure; ogni sera leggeva loro qualcosa ad alta voce fino a diventare rauco.

Atticus prendeva molti piccioni con una fava quando leggeva ai suoi figli, e forse avrebbe notevolmente sgomentato uno psicologo dell’età evolutiva: leggeva a Jem e Jean Louise tutto ciò su cui gli capitava di posare lo sguardo, e i bambini, crescendo, si impossessarono di un’oscura erudizione. Si fecero le ossa sulla storia militare, sui disegni da convertire in legge, sui misteri della rivista “True Detective”, sul Codice dell’Alabama, sulla Bibbia e sul Golden Treasury di Palgrave, l’antologia di poesie inglesi.

Per la maggior parte del tempo, Jem e Jean Louise seguivano Atticus ovunque andasse. Lui li portava con sé a Montgomery se l’assemblea legislativa era nella sessione estiva; li portava alle partite di football, ai comizi politici, in chiesa, e la sera in ufficio se doveva lavorare fino a tardi. Dopo il tramonto, di rado lo si vedeva in pubblico senza i figli a rimorchio.

Jean Louise non aveva mai conosciuto sua madre, e non seppe mai cosa fosse una madre, ma ne sentiva il bisogno raramente. Durante l’infanzia suo padre l’aveva sempre compresa e mai persa di vista, tranne quando, a undici anni, un giorno tornò a casa da scuola all’ora di pranzo e scoprì che il suo sangue aveva cominciato a scorrere.

Credette di stare per morire e si mise a urlare. Calpurnia, Atticus e Jem arrivarono di corsa, e quando videro in che stato era, Atticus e Jem cercarono, smarriti, l’aiuto di Calpurnia; e Calpurnia prese in mano la situazione.

Jean Louise non si era mai resa conto pienamente di essere una femmina: la sua era stata una vita di attività violente e spericolate; scazzottature, football, arrampicate, per non essere da meno di Jem e fare meglio di tutti i ragazzi della sua età in ogni contesa che richiedesse forza e coraggio.

Quando si fu abbastanza calmata per ascoltare, scoprì di essere rimasta vittima di uno scherzo crudele: era venuto il momento di entrare nel mondo della femminilità, un mondo che disprezzava, che non riusciva a capire e dal quale doveva difendersi; un mondo che non la voleva.

Jem si staccò da lei al compimento dei sedici anni. Prese a lisciarsi i capelli con l’acqua e a uscire con le ragazze. Le rimase un solo amico, Atticus. Poi tornò a Maycomb il dottor Finch.

I due uomini anziani aiutarono Jean Louise a trascorrere le sue ore più solitarie e più difficili, ad attraversare il limbo maligno rappresentato dalla sua trasformazione da maschiaccio schiamazzante in giovane donna. Atticus le tolse dalle mani la carabina ad aria compressa e ci mise una mazza da golf, il dottor Finch le insegnò le cose che più lo interessavano. Jean Louise degnava il mondo di un rispetto meramente formale: faceva solo finta di attenersi alle norme che regolavano il comportamento delle adolescenti di buona famiglia; sviluppò un tiepido interesse per abiti, ragazzi, acconciature, pettegolezzi e aspirazioni femminili; ma si sentiva a disagio per tutto il tempo che passava lontano dalla sicurezza di coloro dai quali sapeva di essere amata.

Atticus la iscrisse a un college femminile della Georgia; quando terminò gli studi, le disse che era ora di cominciare ad arrangiarsi da sola: perché non andava a New York o in qualche altro posto? Lei si sentì vagamente offesa ed ebbe l’impressione di essere stata cacciata di casa, ma col passare degli anni riconobbe tutto il valore della saggia decisione di Atticus; Atticus che invecchiava e voleva morire sapendo con certezza che sua figlia poteva badare a se stessa.

Non era sola; ciò che la sosteneva, la più potente forza morale della sua vita, era l’amore di suo padre. Non l’aveva mai messo in dubbio, non ci aveva mai pensato, non si era mai nemmeno resa conto che prima di prendere ogni decisione importante il suo inconscio veniva automaticamente attraversato dalla domanda: “Atticus che farebbe?”. Non si era mai resa conto che chi la incitava a puntare i piedi e tenere duro ogni volta che lo faceva era suo padre; che tutto ciò che di buono e rispettabile c’era nel suo carattere ce l’aveva messo suo padre; ignorava di adorarlo.

L’unica cosa che sapeva era che le facevano pena i ragazzi della sua età che inveivano contro i genitori perché non gli davano questo e li defraudavano di quello. Le facevano pena le signore di mezza età che dopo aver passato tanto tempo in analisi scoprivano che l’origine della loro ansia era dentro di loro; le facevano pena le persone che chiamavano il padre “vecchio mio”, indicandolo come un incapace, volgare e magari alcolizzato, che a un certo punto aveva deluso i propri figli in modo orribile e imperdonabile.

Era prodiga della sua compassione, e soddisfatta del suo mondo confortevole e sicuro.