37

Ed eravamo in sei. In vita mia non ricordo di essermi fatto mai il culo come in quelle tre settimane.

L’ultimo giorno abbiamo lavorato fino alle quattro di mattina. Be’, cazzo, ce l’abbiamo fatta.»

Ma che cazzo mi sta prendendo? si chiese Rino. Perché stava raccontando quelle cose a quel pezzo di merda? Eppure sentiva che gli faceva bene. Afferrò un vecchio mattone con sopra una targa d’ottone che serviva come fermacarte e cominciò a rigirarselo tra le mani.

«Tuo padre ci teneva, ai suoi operai. Non voglio dire che era un padre per noi o stronzate del genere. Se non facevi bene il tuo lavoro eri fuori. Poche chiacchiere.

Ma se non ti lamentavi e lavoravi duro ti rispettava.

Se c’era lavoro, ci potevi scommettere che ti chiamava.

Un Natale è arrivato con i panettoni e lo spumante e ne ha dato uno a ogni operaio e a me niente. Ci sono rimasto male. Poi ho pensato che avevo fatto qualche cazzata e che ce l’aveva con me. Quel lavoro era importante, se mi faceva fuori ero nella merda.

Mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha detto: “Hai visto? Niente panettone per te”. Io gli ho chiesto se avevo fatto qualcosa di sbagliato e lui mi ha guardato e mi ha detto che avevo fatto la cazzata di mettere al mondo un figlio senza avere i mezzi sufficienti per fargli vivere una vita come si deve. Io gli ho risposto che non erano affari suoi. Mi stava facendo girare i coglioni. Chi si credeva di essere per giudicare la mia vita?

Ma lui si è messo a ridere. “Pensi di tirarlo su in una baracca che se ne cade a pezzi? La prima cosa è la casa, poi viene tutto il resto.” E mi ha detto di guardare fuori dalla finestra. Be’, fuori c’era solo un camion carico di mattoni. Non capivo. “Li vedi quei mattoni?” mi ha chiesto. “Sono per te. Sono avanzati dall’ultimo cantiere. Se te li fai bastare forse ci scappano pure due piani.” E con quelli, durante i fine settimana, ho costruito la mia casa.» Rino continuava a rigirarsi il mattone tra le mani. «Proprio come questo qui. Non credo che tuo padre ti abbia mai raccontato questa storia, non è il tipo. E quando ha cominciato a chiamarmi sempre meno ho capito che la Euroedil se la passava male. Ora ci sono più imprese di costruzioni che cagate di cane. L’ultima volta che l’ho visto sarà stato sei mesi fa, nel giardinetto vicino a corso Vittorio. Era su una panchina. La testa gli dondolava e le mani gli tremavano. C’era un filippino che lo trattava come un bambino. Non mi ha riconosciuto.

Gli ho dovuto ripetere il mio nome tre volte. Ma alla fine ha capito. Ha sorriso. E sai che mi ha detto? Mi ha detto di non preoccuparmi, che ora c’eri tu. E che la Euroedil è in buone mani. Hai capito? In buone mani.»

Rino sbatté il mattone sul tavolo spezzandolo in due e Max Marchetta si fece ancora più piccolo nella enorme poltrona di pelle nera.

«Sei un tipo fortunato, tu. Se io non avessi visto quella fotografia a quest’ora saresti in un’ambulanza, credimi. E invece ti è andata bene, come ti andrà sempre bene perché il mondo è fatto per la gente come te.» Rino sorrise. «Il mondo è fatto su misura per i mediocri. Tu sei bravo. Prendi gli schiavi negri e i bastardi dell’Est e non li paghi una lira. E quelli ci stanno.

La fame è una brutta bestia. E gli operai che si sono rotti la schiena per questa ditta? In culo. Non si spreca nemmeno una telefonata. La verità è che non hai rispetto né per quei figli di cane che vengono a rubarci il pane di bocca né per noi e neanche per te 38

stesso. Guardati, sei un pagliaccio… Un pagliaccio travestito da padrone. Io non ti spezzo le ossa solo per rispetto a tuo padre. Alla fine, vedi, è solo una questione di rispetto.»

Rino si alzò dalla sedia, aprì la porta e uscì dall’ufficio.

27.

Max Marchetta ci mise circa due minuti per riprendersi dallo spavento. Aveva più o meno lo stesso comportamento di una sardina. Dopo un attacco, se riesce a sopravvivere, la sardina riprende a pinneggiare con lo stesso slancio di prima.

Max si tirò su, con le dita si diede una stirata al completo e si aggiustò i capelli. Le mani gli tremavano ancora e sentiva le ascelle fredde come se sotto ci fossero due cubetti di ghiaccio.

Fece un bel respiro e si chiese se poteva fargli male allo stomaco la striscia sbiancante che aveva ingoiato quando era finito contro il muro. Forse doveva chiamare il dentista? O il gastroenterologo?

Ma come cazzo aveva fatto suo padre a lavorare con tipi del genere? Quel nazista psicopatico, insieme a tutti quegli altri nullafacenti, aveva fatto quasi colare a picco la Euroedil.

I negri invece avevano rispetto. E ringraziò l’arteriosclerosi di suo padre che lo aveva aiutato a prendersi il posto che gli spettava e riportare la nave in acque più sicure dove tappare le falle e cacciare i parassiti che la infestavano.

Almeno, Zena non si sarebbe fatto vedere mai più.

Qualcosa gli suggeriva di non smuovere avvocati e sporgere denunce, ma di lasciar perdere e girargli alla larga.

Invece c’era qualcun altro che doveva pagare. Quella rincoglionita della segretaria non l’aveva avvertito dell’arrivo di Zena e non si era neanche preoccupata di chiamare le forze dell’ordine.

Sollevò il telefono e spinse un tasto e disse con una voce tremolante: «Signora Pirro, può venire qui, per favore?». Riattaccò e si sistemò il nodo della cravatta.

Da qualche settimana cercava una giusta causa per mandare a cagare quella babbiona. Bene, gliela aveva offerta lei stessa su un piatto d’argento.

28.

I nazisti sono nati in Germania all’inizio del 1900. E

devono tutto a Adolf Hitler l’ideatore.

Adolf Hitler era un pittore senza soldi ma, aveva un grande sogno di gloria far diventare la Germania la nazione più forte del mondo e poi conquistare tutta l’Europa. Per fare questo doveva cacciare, via dalla Germania tutti gli ebrei che sporcavano la razza ariana. Gli ebrei erano arrivati e ora detenevano le fabriche e facevano gli strozzini costringendo i tedeschi a lavorare nelle fabbriche d’acciaio. La razza ariana era la più forte del mondo solo che: avevano bisogno di un capo e Hitler sapeva che bisognava arrivare al potere e prenderselo con la forza e poi chiudere tutti gli ebrei nei campi di concentramento perché, inquinavano la razza superiore. Lui inventò il segno della svastica, che è il segno del sole che sorge e disse ai tedeschi che se credevano in lui avrebbero tolto di mezzo i politici e poi avrebbe creato un esercito imbattibile. E fece tutto perché insieme a Napoleone, è stato il più grande uomo della storia. Anche 39

se Hitler alla fine risulta superiore a Napoleone; anche oggi ci vorrebbe un nuovo Hitler che cacci dall’Italia tutti i negri e gli ex tracomunitari che rubano il lavoro e che aiuti i veri italiani a lavorare. I negri e gli ex tracomunitari stanno costruendo in Italia una mafia: peggio di quella degli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il problema è che in Italia nessuno crede più nella patria.

La comunità europea è sbagliata ogni nazione è diversa e non bisogna permettere che gli slavi possano rubare il lavoro e le donne agli italiani. Perche gli italiani, sono sempre stati i più forti basti pensare un pò agli antichi romani e ha Giulio Cesare che aveva conquistato il mondo e portato la civiltà tra i barbari che tra l’altro erano pure i tedeschi.

La gente odia il nazismo adesso perché vogliono fare finta che è giusto essere aperti alle culture diverse.

Sono bravi a dirlo, ma in realtà non ci credono nemmeno loro. Gli arabi sono peggio degli ebrei: basta pensare a quello che fanno alle donne le trattano come schiave e le fanno girare sotto la veste nera. E bisogna che si scannano tra di loro dove stanno. A noi ci vogliono distruggere. Ci odiano. Perché la nostra cultura è superiore. Noi dobbiamo rispondere. Attaccarli con il nostro esercito e sterminarli, come gli ebrei.

Cristiano si fermò un attimo. Era come se avesse aperto un rubinetto e le parole erano sgorgate fuori.

Non aveva parlato molto di come i nazisti avevano preso il potere perché non si ricordava le date. Il tema era anche un po’ breve, ma mancava un quarto d’ora alla consegna e doveva ricopiarlo in bella.

29.

Mentre Rino era a colloquio con Max Marchetta, Quattro Formaggi si era liberato di Danilo ed era andato all’ufficio del personale.

Da fuori, attraverso la finestra, aveva dato un’occhiata all’interno. Seduta alla sua scrivania c’era Liliana Lotti.

Per un po’ Quattro Formaggi rimase fuori a guardarla sapendo di non essere visto. Era un po’ grassa, ma era bella. Non a prima vista. Ci dovevi stare attento e scoprivi che la bellezza era nascosta sotto la ciccia. La teneva coperta come le cavallette tengono coperte le loro ali colorate.

E poi lui e Liliana avevano molte cose in comune.

Non erano sposati. Vivevano da soli. E amavano la pizza (lei però mangiava sempre la Napoli). Lei aveva un piccolo cane. Lui due tartarughe.

Spesso la vedeva a San Biagio, alla messa delle sei.

Quando si scambiavano il segno di pace lei gli sorrideva.

E una volta, qualche giorno prima di Natale, l’aveva incontrata sul corso con un sacco di buste in mano…

«Corrado!» lo aveva chiamato.

Nessuno lo chiamava più Corrado e quindi Quattro Formaggi ci aveva messo un po’ a capire che si rivolgeva proprio a lui.

«Come stai?»

Lui si era aggiustato gli occhiali e si era dato un pugno su una gamba. «Bene.»

«Ho preso i soliti regali per i parenti…» Liliana aveva aperto i sacchetti pieni di pacchi colorati. «E tu li fai, i regali?»

Quattro Formaggi aveva alzato le spalle.

«Guarda che cosa ho comprato… Ma questo è per me.» Dalla busta aveva tirato fuori la statuina di un 40

pescivendolo accanto a un banco pieno di polipi, cozze e pesci argentati. «Quest’anno ho tirato fuori il presepe dalla cantina. E ho pensato che ci voleva anche un nuovo personaggio.»

Quattro Formaggi era rimasto a girarselo tra le mani sbalordito.

«Ti piace?»

«Sì. Tantissimo.» Avrebbe voluto dirle che anche lui aveva il presepe, ma se poi lei avesse voluto vederlo?

Non poteva farla entrare in casa.

«Senti, perché non te lo prendi? È il mio regalo di Natale. Lo so, così senza nemmeno incartarlo…»

Quattro Formaggi aveva sentito la faccia incendiarsi dall’imbarazzo. «Non posso…»

«Ti prego, prendilo. Mi farebbe tanto piacere.»

E alla fine se l’era preso. Lo aveva messo vicino a un lago. Lo considerava, insieme ai Barbapapà, il pezzo più pregiato di tutto il presepe.

Se adesso, per esempio, lui fosse entrato in ufficio e l’avesse salutata, era certo che Liliana sarebbe stata contenta. Il problema era che lui non ce la faceva proprio a parlarle. Le parole gli finivano appena le arrivava vicino.

Quattro Formaggi si diede un pugno sulla gamba e uno schiaffo sul collo, si fece coraggio e afferrò la maniglia della porta, ma poi la vide rispondere al telefono e armeggiare con un grosso plico pieno di fogli.

Un’altra volta.

30.

Danilo Aprea, poggiato contro il furgone, vide Rino uscire dal prefabbricato a testa bassa. Da come camminava capì che era incazzato. Aveva scoperto che erano stati fatti fuori.

Danilo lo sapeva già da un paio di giorni che il figlio di Marchetta non li voleva, ma s’era guardato bene dal dirlo a Rino.

Glielo aveva detto Duccio, uno che aveva fatto parte della vecchia squadra e che come loro era stato bruciato.

Ma quel lavoro per l’Euroedil era una grande fregatura.

Sarebbe andato avanti per un mese, se non di più. E Rino, che non credeva sul serio al colpo, con i soldi in mano si sarebbe tirato fuori, e se si tirava fuori Rino, Quattro Formaggi lo seguiva.

Era assurdo rompersi la schiena quando c’era un piano praticamente perfetto per diventare ricchi.

Ora però Rino era troppo incazzato, non conveniva parlargli del colpo. Come una pentola a pressione: andava fatto sfiatare prima di aprirlo.

Nella sacca Danilo aveva un bottiglione da due litri e mezzo di grappa. Il miglior estintore del mondo contro rodimenti di culo e affini.

«Andiamo. Forza. Salite.» Rino montò sul Ducato e accese il motore.

Danilo e Quattro Formaggi ubbidirono in silenzio.

Il furgone partì sollevando schizzi di fango e senza fermarsi allo stop si lanciò sulla strada.

«Che è successo?» chiese timido Quattro Formaggi.

Rino fissava la strada e gli vibrava la mascella. «Con quel posto di merda abbiamo chiuso.» E poi continuò:

«Io lo dovevo uccidere, e invece… Perché non l’ho ammazzato?

Che cazzo mi prende in questo periodo?».

«… per Cristiano» gli suggerì Quattro Formaggi.

Rino deglutì e strizzò il volante come se volesse spezzarlo e poi gli occhi gli si fecero lucidi come se li avesse avvicinati a una fiamma.

Come Dio Comanda
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