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Ma intanto era senza chiavi.
Sono molto stanco. Forse è meglio rinunciare per questa sera…
Ma si conosceva troppo bene, se mollava ora l’indomani non avrebbe mai avuto il coraggio di fare il colpo da solo. E in più sarebbe stato costretto a dividere il bottino con qualcun altro.
No. Non esiste.
Solo che si sentiva svuotato e gli occhi gli si chiudevano.
Doveva riprendere coraggio. E per farlo conosceva un solo modo. Andò in cucina trascinando i piedi e sbadigliando. Aveva tirato fuori tutto dai pensili, e tra le altre cose c’era anche una bottiglia di Caffè Sport Borghetti.
Ci si attaccò e si sentì subito meglio.
(Invece di stare qui come un cretino, vai a vedere se in garage qualcuno ha lasciato le chiavi in macchina.) Questa idea geniale non poteva che essere del pagliaccio spalmato sul soffitto della stanza da letto.
«Giusto! Sei un genio!»
Se esisteva un piano del destino che voleva che quella notte il corso della sua esistenza cambiasse, avrebbe trovato certamente un’automobile aperta.
132.
Per cominciare non soffriva.
E questa era una cosa buona.
E poi credeva di non essere morto.
E questa era un’altra cosa buona.
C’era stato un immenso istante, quando la nube fluorescente era stata improvvisamente risucchiata dal nero, in cui Rino Zena era stato sicuro che alla sua storia era stata scritta la parola fine.
Ora però il viola era tornato.
Nessuno gli assicurava che non fosse morto. Ma Rino aveva sempre creduto nel paradiso e nell’inferno, e quel posto non era né l’uno né l’altro. Di questo era certo. Era cosciente di essere ancora dentro il proprio corpo.
Poteva pensare. E pensare è vivere.
E anche se non soffriva tanto, avvertiva un fuoco lontano, un dolore distante e le formiche che gli correvano nelle vene, ma gli sembrava anche di sentire da mille chilometri i Police che cantavano e la pioggia che cadeva sulle foglie, che gocciolava argentata sui rami, che colava sulla corteccia degli alberi e che impregnava la terra.
Era cieco. Insensibile. Paralizzato. Eppure, stranamente, ci sentiva.
Quando si era risvegliato il buio era meno buio e virava lentamente in un viola fosforescente e a un tratto milioni di formiche erano lì. Coprivano la pianura fino all’orizzonte. Grandi, come quelle che si trovano nei campi di grano in agosto. Con il testone lucido e le antenne.
Rino non riusciva a capire se erano fuori o dentro di lui. E se quel deserto su cui si muovevano era lui.
Avvertiva che c’era un’altra realtà appena dietro la nube viola che lo avvolgeva. Quella da cui era precipitato.
Il bosco. La pioggia.
Rivide se stesso nel bosco con il pietrone in mano, Quattro Formaggi, la ragazza morta.
Era lì che doveva tornare.
Pensava di essere ancora là, ed era certo che Quattro Formaggi fosse andato a chiamare aiuto.