“La vita ha le sue forze nascoste che puoi scoprire solo vivendo.”
- Søren Kierkegaard
Hai intenzione di fare per tutta la vita solo quello che piace a tua madre?
Stavo facendo una torta salata imbottita.
Solitamente non facevo torte salate, ma stavo aspettando che il pane lievitasse per poterlo impastare ancora una volta. Mi ero svegliata assetata di violenza. Tagliare il burro nella farina per la sfoglia della torta era quasi tanto soddisfacente quanto impastare il pane.
Hai intenzione di fare per tutta la vita solo quello che piace a tua madre?
Strinsi i denti, pugnalando il burro congelato mentre la domanda di Cletus continuava a riecheggiarmi in testa. La domanda si ripeteva ancora e ancora perché non sapevo come rispondere.
Hai intenzione di fare per tutta la vita solo quello che piace a tua madre?
Gli ultimi sette giorni erano stati faticosi, e la domanda di Cletus che continuava a rimbalzare nel mio cervello non aveva fatto che peggiorarli.
Mamma aveva prenotato un volo per New York a novembre per incontrarci con Jacqueline Freeman e i tipi del Food Network. Pertanto, mi aveva messa a dieta.
«Non voglio che tu appaia tutta tonda davanti alle telecamere» aveva detto.
Il gruppo di investimento alberghiero per cui mia mamma era andata tanto in agitazione negli ultimi mesi avrebbe visitato il nostro chalet quella settimana. Sarebbero rimasti per due giorni. Di solito, io mi incaricavo del menu dei dolci. Era compito mio definire l’elenco delle proposte della settimana.
La mattina dopo la mia “lezione” con Cletus, lei mi aveva consegnato due fogli di carta. «Questi sono i dolci che voglio che tu prepari questa settimana e la prossima» aveva detto. «E ho lasciato fuori i vestiti che voglio che indossi e scritto le istruzioni su come sistemarti capelli e trucco.»
Io fissai le sue liste, incapace di proferire parola.
Non avevo mai realizzato quanto mi piacesse pianificare i menu, quella piccola briciola di autonomia, finché non mi era stata tolta.
Pensavo che le cose non potessero andare peggio.
Mi sbagliavo.
Non appena gli investitori arrivarono, venni sfoggiata come un pony da competizione. Ormai avrei dovuto esserci abituata, si poteva pensare, ma non era così. E con la domanda di Cletus che continuava a riecheggiarmi in testa, i loro sguardi su di me mi facevano accapponare la pelle. Il più giovane del gruppo in particolare, un investitore abbronzato - quasi tostato - di Las Vegas, di nome Allen Northumberland.
«Sei pronta?» La domanda ansiosa di mia madre strappò la mia attenzione dal mio violento attacco contro il burro. «Saranno qui a momenti.»
«Sì, mamma.»
«Oh, bene. Hai messo le perle. Sai che mi piace quando indossi le perle.»
Hai intenzione di fare per tutta la vita solo quello che piace a tua madre?
Sospirai piano e mi girai verso il grande frigorifero, posandovi la sfoglia mezza tagliata della torta imbottita e tirando invece fuori la torta al cioccolato fondente, meringa e cocco grattugiato di fresco che avevo preparato in precedenza durante la giornata.
«Assicurati di indossare il grembiule giallo a quadretti che mi piace.» Controllava il suo riflesso nella scodella di acciaio inossidabile che avevo preparato per la dimostrazione.
Hai intenzione di fare per tutta la vita solo quello che piace a tua madre?
«Sì, mamma.» Sistemai gli utensili sul bancone, superai il grembiule di Smash-Girl che piaceva a me e scelsi quello giallo a quadretti, invece.
«Un’altra cosa, Jennifer.» Corse al mio fianco, guardandosi da sopra una spalla come per assicurarsi che nessuno potesse avvicinarsi di soppiatto a origliare. «Credo che quell’Alan, lì, abbia un debole per te» sussurrò.
Io cercai di non rabbrividire dal ribrezzo, ma qualcosa nella mia espressione doveva avermi tradita.
Lei sbuffò. «Non fare così. È davvero un bell’uomo e non fare finta di non averlo notato.»
Era bello, era affascinante. Mi faceva anche accapponare la pelle. «Il signor Northumberland non mi interessa minimamente.»
Lei continuò come se non avessi parlato. «Suo zio possiede due di quei grossi hotel a Las Vegas, sulla Strip.»
«Quindi?» chiesi impaziente, prima di potermelo impedire. Lo giuravo, mi era scappato dalle labbra.
«Quindi…» Spalancò gli occhi, guardandomi, e strinse insieme le labbra, come se il motivo per cui aveva tirato fuori Allen Northumberland fosse ovvio.
Quando continuai a guardarla senza capire, lei emise un suono basso e ringhiante dal fondo della gola. «Non fare la finta tonta, Jennifer. So che hai un cervello, usalo. Quindi io penso che sarebbe fantastico se tu fossi carina con Allen. È il genere di ragazzo che tuo padre approverebbe. Durante la dimostrazione, riservagli attenzioni speciali.»
La guardai accigliata. Poi scossi la testa. Poi aprii la bocca per dirle: Non intendo farlo.
Ma prima che potessi, mia madre, infondendo nelle sue parole un significato mirato, disse: «Mi piacerebbe davvero molto se riservassi attenzioni speciali ad Alan Northumberland».
La mia bocca si serrò di scatto e io fissai mia madre, le sue sopracciglia alzate, il modo in cui le sue labbra erano strette dalla frustrazione e mi chiesi cosa sarebbe successo, quale sarebbe stata la cosa peggiore che sarebbe potuta succedere, se avessi detto di no.
Rimarrà delusa.
A quel pensiero, il mio cuore accelerò.
Tu la deluderai.
Il mio cuore stava ora galoppando.
Puoi convivere con questo? Puoi convivere con il fatto di averla delusa?
Non volevo deluderla. Non volevo ferire i miei genitori come li aveva feriti mio fratello. Non avevo mai voluto essere una persona simile. La lealtà era importante per me. Io li amavo e il desiderio di onorare i miei genitori influiva su tutte le mie decisioni.
Ma poi nella mia mente apparve l’immagine di Cletus la settimana scorsa, che mi chiedeva: «Hai intenzione di fare per tutta la vita solo quello che piace a tua madre?»
No. Non posso.
La risposta risuonò cristallina nella mia testa, vera e giusta.
Con un respiro profondo, mi aggrappai al bancone della cucina e guardai mia madre, la fissai dritta negli occhi e mi costrinsi a dire: «No».
Lei trasalì, le sue lunghe ciglia nere sbatterono rapidamente mentre apriva e chiudeva gli occhi. «Come, prego?»
«No» dissi, alzando la voce. Le mani mi sudavano e il mio cuore galoppante mi era risalito fino in gola. «No. Non riserverò attenzioni speciali al signor Northumberland. Mi mette a disagio e non mi piace, per cui la risposta è no.»
La mamma rimase a bocca aperta. Io sostenni il suo sguardo. Nuvole di afflizione e disappunto filtrarono attraverso il suo shock e si addensarono dietro il suo sguardo. Ma, prima che lei potesse dargli voce, i nostri ospiti arrivarono per la mia dimostrazione di pasticceria.
I suoi occhi scattarono al gruppo in arrivo. Vacillò per un momento prima di riuscire con successo a dipingersi in volto la sua maschera. Allontanandosi da me, porse la mano al signor Kirkland, un banchiere d’investimento di Boston.
Intanto io continuavo a tenere stretto il bordo del bancone e a fissare il cocco grattugiato, mentre il cuore mi pompava vigorosamente il sangue tra le orecchie, e realizzavo con non poca meraviglia che avevo appena detto no a mia madre per la prima volta da quando ero un’adolescente.
Le avevo detto no. Ed ero sopravvissuta. Non sapevo come sentirmi, sollevata o triste, perché una di noi due sarebbe rimasta delusa. E questo significava che una di noi sarebbe rimasta ferita.
Non volevo tornare a casa.
Guidavo intorno alla montagna da due ore con una torta salata ripiena di zucca violina, due filoni di pane al lievito madre e una torta al cioccolato fondente glassata con meringa, cioccolato e cocco sul sedile del passeggero. Erano quasi le otto e mezza di sera e mamma doveva essere quasi al termine della sua cena con gli investitori. Non volevo trovarmi a casa quando sarebbe tornata. Non volevo scontrarmi con lei.
Quando avevo preparato la torta, durante la giornata, il mio piano era di lasciarla a casa dei Winston. Oggi era il primo anniversario della morte della loro madre. Io avevo conosciuto la loro mamma, ma d’altronde ogni bambino che era andato alla biblioteca locale conosceva Bethany Winston. Leggeva i libri durante l’ora della favola per i bambini e faceva tutte le voci. Era fantastica e gentile e tutto ciò che avrei voluto essere quando – o se – sarei diventata una madre.
Non riuscivo a immaginare quanto i Winston dovevano averne pianto la perdita. La torta non avrebbe migliorato le cose, ma a volte aggiungere un po’ di dolcezza e morbidezza al dolore aiutava.
Il problema era che, una volta consegnata la torta, non avrei avuto alcun luogo in cui andare. Per cui guidai e ascoltai le chiacchiere alla radio. Infine, verso le otto e quarantacinque, capii che non potevo attendere oltre. Andare a trovare qualcuno a casa sua dopo le nove di sera era semplicemente da maleducati.
Decisa, presi la svolta sulla Moth Run Road e mi diressi a casa dei Winston. Mentre mi avvicinavo alla casa principale, le sopracciglia mi si inarcarono di fronte al numero di automobili parcheggiate nel vialetto.
Dieci. C’erano dieci automobili.
Parcheggiai di fianco alla Geo di Cletus ma non spensi il motore, incerta su come procedere.
Dieci macchine significavano che avevano ospiti. E io non volevo imporre la mia presenza o interrompere. E in fondo, io chi ero? Nessuno. Loro non mi conoscevano.
Esaminai il grande e vecchio portico che correva lungo tutta la casa, la fila di sedie a dondolo e il largo dondolo in legno appeso alle travi. Era una bella casa antica, e chiaramente era stata restaurata da poco e con grande cura. Un piccolo tavolo a piedistallo accanto alla porta d’ingresso catturò la mia attenzione. Ispirata da un’idea improvvisa, saltai fuori dall’auto, andai di corsa fino al lato del passeggero e aprii la portiera. Mi infilai un filone di pane sotto ciascun braccio, presi la torta salata con una mano e tenni in equilibrio quella al cioccolato con l’altra.
Cercando di fare il meno rumore possibile, salii in punta di piedi i gradini del portico e mi avvicinai al tavolino, notando con sollievo che era grande abbastanza per tutti miei doni, se li avessi impilati. Avrei potuto lasciare il tutto sul tavolo, bussare e scappare di corsa. L’equivalente degli scherzi dei bambini di un pasticciere. O almeno, quello era il piano.
Stavo per posare il primo filone in cima alla scatola della torta salata quando tutto a un tratto la porta d’ingresso si spalancò completamente e con forza, facendomi saltare come una lepre dallo spavento. Un sussulto di sorpresa poco elegante mi sfuggì dai polmoni e saltai di un passo all’indietro, stringendomi entrambi i filoni di pane al petto.
«Jennifer nervi a fior di pelle.» Lo sguardo di Cletus viaggiò in giù e poi in su. «Porti i jeans.»
Chiusi gli occhi, lasciando andare un respiro tremante. «Santo cielo, mi hai spaventata.»
«Moi? Il coniglio cieco e sdentato?»
Aprii gli occhi ma non riuscii a fermare il sorriso prima che sbocciasse sul mio viso. «Tieni, Peter. Questi sono per te.» Gli porsi i due filoni di pane.
«Peter? Peter Coniglio non era né cieco né sdentato.» Cletus tolse i filoni di pane dalle mie mani. «Ma correva rischi inutili spinto dai capricci del suo stomaco. Pertanto, accetto il paragone.»
Lo guardai annusare prima uno e poi l’altro filone di pane, con aria pensierosa. Alzò un singolo sopracciglio. «Pane al lievito madre.»
«Sì. Spero che sia...»
«Il pane al lievito madre naturale è il mio preferito. E questo cos’è?» Cletus rivolse la sua attenzione al tavolo e ispezionò le scatole per le torte.
«Quella è una torta salata ripiena di zucca violina.»
Si irrigidì e i suoi occhi iniziarono a sfrecciare dalla scatola a me. «Mai sentita prima, ma sembra deliziosa.»
«Non lo so, in realtà. È una nuova ricetta che ho provato, proprio oggi, con gli ingredienti che avevo sottomano.»
«Cosa c’è dentro? Oltre alla zucca violina.»
«Uhm, patate dolci, uova, noce moscata...»
«Ferma. Mi hai convinto a noce moscata. Accetto la tua torta salata. E quella cos’è?» Cletus prese la torta ripiena e indicò con il mento la scatola più grande.
«Oh, quella. Ecco, è una torta della compassione. O almeno, io la chiamo così.»
Cletus rimase in silenzio per un istante, la sua espressione impenetrabile, i suoi occhi che si spegnevano appena. «Compassione, eh?» chiese piano, mentre il suo sguardo si velava di dolore.
«Uhm, ho solo pensato, ecco, lo sai. Che forse non te la passassi tanto bene.»
«Mi hai preparato una torta per l’anniversario della morte di mia mamma» indovinò, con voce tanto gentile e struggente da farmi salire le lacrime agli occhi.
«Sì. Esatto.» Alzai il mento, ammettendo le mie azioni e ripromettendomi di non iniziare a piangere come una pazza. «È una torta di cioccolato fondente, con glassa al cioccolato fondente e meringa al cocco.»
«Cioccolato fondente con glassa al cioccolato fondente e meringa al cocco? Sembra una torta molto cupa.» Un lato della sua bocca si sollevò, appena appena, ma i suoi occhi erano ancora velati di dolore.
«Lo è. Oggi è un giorno triste. Tua mamma era una donna dolcissima e io volevo solo...» Esitando, feci un passo in avanti, sopraffatta dall’istinto di abbracciarlo, abbracciare qualcuno legato a Bethany Winston. Invece, mi affondai le mani nelle tasche dei jeans e alzai le spalle. «Volevo solo dire che...»
«Oh, ehi, Jennifer. Che ci fai qui?» Beau Winston apparve alle spalle di Cletus, aprendo ancora di più la porta e rivolgendomi un sorriso accogliente e caloroso.
Ora, Beau Winston era davvero un bel vedere. E lui lo sapeva. I suoi capelli e la sua barba erano rossi, curati alla perfezione e pettinati in modo esperto. I suoi occhi erano azzurro cielo e assolutamente devastanti e il suo sorriso era leggendario. Era estremamente amichevole e alla mano. Metà delle donne fino a cinque anni più di me o meno di me erano innamorate di lui. L’altra metà voleva solo fare cose sconce con lui. Io non avevo mai commesso l’errore di scambiare la sua cordialità per interesse. Ma molte donne invece sì, ed erano poi costrette a curare speranze disattese e cuori infranti.
Cletus rispose per me. «A quanto pare, ci ha portato una torta triste.»
«La torta non vi renderà tristi» spiegai, «ma nostalgici. Ecco come l’ho preparata. È una torta di nostalgia.»
«La nostalgia non mi sembra male.» Gli occhi di Beau brillarono: il risultato, unito al suo sorriso tenero mi fece venire un po’ di vertigini. Ma poi una punta di diabolicità gli apparve nello sguardo, mentre lo spostava da me a Cletus. «Comunque, vuoi entrare? Stasera ha cucinato Cletus la cena. Sono sicuro che gli piacerebbe farti provare la sua salsiccia.»
«Ho preparato le salsicce.» Cletus avanzò di un passo e si piazzò davanti a Beau. «Questo vuole dire Beau. La mia salsiccia era la cena e le persone l’hanno mangiata.»
«Sì.» Beau emerse ancora da dietro Cletus, urtandolo con la spalla, e aggiunse con un sorrisetto: «La famosa salsiccia di Cletus è famosa».
Gli occhi di Cletus scattarono di lato e lui gelò con lo sguardo il fratello minore. «Sei estremamente seccante.»
Io scossi la testa, facendo un passo indietro e indicando con il pollice alle mie spalle. «No, grazie. Non voglio disturbare. Ho la macchina ancora accesa.»
«L’ho spenta io.» La frase giunse dalle mie spalle.
Mi voltai col busto e vidi Billy Winston salire i gradini del portico.
Il cuore mi saltò in gola e feci un passo all’indietro, quasi inciampando nei miei piedi. Oh no! Strinsi le labbra e lo fissai, perché era l’unica cosa che mi riuscisse senza fare la figura dell’idiota.
Non dire nulla. Non parlare. Non respirare nemmeno.
Lui mi porse le mie chiavi e la sua bella bocca si curvò in un sorriso appena accennato e interrogativo. «Hai lasciato aperta la portiera del guidatore.»
«Volevi tentare una fuga?» chiese Beau, ridendo.
Io passai lo sguardo tra Billy e le mie chiavi senza dire una parola. Fissai tanto a lungo il sorriso di Billy che quello si tramutò in un’espressione confusa.
«Prendi le tue chiavi» disse Cletus, secco.
E così feci. Strappai di mano a Billy le mie chiavi e abbassai lo sguardo sul portico. Buon Dio, poteva andare peggio di così?
Passò un tormentoso momento di silenzio imbarazzato, durante il quale mi fissai le scarpe da tennis. Sentivo su di me lo sguardo di Cletus, bruciare su un lato del mio viso.
«Bene» gracchiai. «Godetevi la vostra torta triste.» Feci una smorfia, scuotendo la testa e coprendomi gli occhi con una mano. «Cioè, non… godetevela. Mangiatela e basta. O non mangiatela. È molto buona con il latte.»
Passò ancora un altro secondo soffocante e io desiderai di morire. Mi girai invece goffamente verso gli scalini e bofonchiai: «Ora è meglio che vada.»
«No, aspetta» disse Cletus.
Mi girai e lo vidi depositare i prodotti da forno tra le braccia di Beau. «Prendi questi ed entra. Billy, prendi la torta triste. Entriamo tra un secondo.»
Billy mi rivolse uno strano sorriso, come se lo spaventassi un poco e non potei fargliene una colpa. Nel frattempo, Beau mi scoccò un occhiolino e sparì dentro casa con un sorrisetto.
Non appena la porta si chiuse, Cletus si girò, con le mani sui fianchi, gli occhi sgranati e attenti. «Spiegami cos’è appena successo.»
«Cosa vuoi dire?»
«Con Billy. Cos’è appena successo con Billy? Cos’era quella cosa?»
Mi nascosi il volto tra le mani. «È stato davvero terribile, non è vero?»
«Non direi terribile, ma...» iniziò la frase ma non la terminò.
«Sì, non è stato terribile, se paragonato a un disastro aereo.»
Lui rimase in silenzio per un istante. Poi sentii una risata.
Sbirciai tra le dita. E in effetti, Cletus stava ridendo.
Le mani mi ricaddero e non potei fare a meno di sorridere né di ridacchiare. La sua risata era contagiosa. Occhi luminosi mi catturarono, resi ancora più luminosi dalle sue belle ciglia e da una bocca estremamente piacevole da guardare, piena di denti dritti e bianchi. La risata di Cletus mi faceva pompare nelle vene un qualcosa di caldo e denso, mi faceva pensare al cioccolato svizzero, semidolce e montato con la panna in una ganache densa, scura e seducente.
«Già» si asciugò gli occhi e scosse la testa. «Hai ragione. È stato davvero terribile.»
Sospirai, continuando a sorridere perché anche lui sorrideva ancora. «Mi dispiace.»
«No, no. Va bene. Ti piace Billy.» Alzò le spalle. «Non saresti di certo la prima.»
Mi accigliai e scossi la testa. «No. No, no. Ti stai sbagliando di grosso. Non mi piace Billy.»
Cletus si raddrizzò, le sue sopracciglia balzarono in su sulla sua fronte. «Ne sei sicura? Perché quello era...»
«No. Non mi piace. Cioè, sono sicura che sia molto simpatico. Ma non è per questo che mi scordo come si parla in sua presenza.»
Mi esaminò per un momento, poi si grattò la mascella. «Ok. Illuminami. Perché perdi le capacità motorie in presenza di Billy?»
«Non è solo in presenza di Billy. Mi succede con tutti quelli che mio padre approva. Io… non posso farci niente. Divento nervosa, spero di fare una buona impressione e alla fine dico cose senza senso.»
«Tuo padre approva mio fratello Billy?»
Annuii con un cenno.
Cletus mi rivolse un cipiglio pensoso, sembrava confuso. «Credo che dovrai spiegarmelo in termini semplici. Non capisco. Cosa intendi dicendo che tuo papà approva Billy?»
«Intendo che mio padre ha individuato una serie di uomini della zona e, ecco» presi un respiro gigantesco, mi sentivo improvvisamente senza fiato, «e mi ha suggerito che sono persone appropriate, nel caso in cui dovessero mostrare interesse per me. Uomini su cui dovrei cercare di… fare… una buona impressione.»
Mio padre mi aveva ripetuto più di una volta quanto fosse importante per me trovare un buon marito. Crescendo, mi aveva ripetuto cose come: Non sei molto sveglia, ma per fortuna sei abbastanza carina da trovarti un marito ricco. Basta che tu tenga la bocca chiusa e sorrida.
Essere carina e avere un bel sorriso non erano cose negative, ma avevo sempre faticato a riformulare gli insulti di mio padre come complimenti.
Cletus era tornato a esaminarmi: i suoi occhi erano limpidi, acuti, mi soppesavano. «Davvero?»
Annuii e mi risucchiai le labbra tra i denti, sentendomi una sciocca per una qualche ragione. Il viso mi si infiammò sotto il suo sguardo fisso.
«È affascinante…» Cletus sembrava davvero affascinato. «Chi altri si trova su quella lista?»
Lanciai un’occhiata oltre Cletus mentre cercavo di ricordare i nomi che mio padre aveva menzionato nel corso degli anni. «Beh, Billy è quello di cui parla di più. Forse è per questo che con lui do il mio peggio. Ha anche parlato di Hank Weller...»
«Hank Weller?» Cletus sembrò sorpreso, ma non critico. «Beh, ora, in fondo è bravo a pescare e ha buon fiuto per gli affari. Chi altro?»
«Uhm, il dottor Runous...»
«Drew?»
«Sì. Ma era prima che lui e tua sorella si mettessero insieme. Non lo menziona da un bel po’.»
«Qualcun altro?»
«Uhm, vediamo… Jackson James.»
«Jackson?» Cletus fece una smorfia, arricciando il naso dal disgusto. «Quell’ignorantone?»
Io cercai di non sorridere, inutilmente. Cletus sembrava genuinamente inorridito al solo pensiero, offeso in mia vece.
«Non è poi così male» dissi, incapace di trattenermi perché volevo vedere la sua reazione.
«Sì. Esatto. Non è poi così male. È proprio male e basta. E non è nemmeno nella stessa stratosfera di Billy e Drew o perfino Hank. Tuo padre è incapace a giudicare e non può essergli dato alcun credito.» Il suo sguardo si focalizzò su un punto sopra la mia testa, mentre i suoi occhi si socchiudevano appena e si afferrava il labbro inferiore tra i denti per mordicchiarlo. Ricordavo che tutto questo significava che era assorto nei suoi pensieri.
Ne approfittai per studiare il suo volto, e godermi la vista di Cletus da vicino. Nonostante i tentativi di nascondere la sua bellezza con una chioma arruffata e una barba incolta, rimaneva notevolmente attraente. Certo, rimaneva comunque anche pericoloso. Ma mi piaceva pensare che tra noi fosse nata una sorta di strana amicizia. E con quella amicizia era nato anche un affetto ugualmente strano.
Era vero, cominciavo a provare affetto per lui. E sapevo che era una cosa da pazzi completi - dal momento che lo stavo ricattando ed ero ancora un po’ terrorizzata da lui e lui non stava agendo per gentilezza - eppure c’era. Affetto, puro e semplice.
«Ho un’idea» annunciò, schioccando le dita di una mano. «Ed è geniale.»
«Ma naturalmente.» Gli rivolsi un sorrisetto, godendomi la vista ancora di più ora che i suoi occhi astuti erano illuminati dall’eccitazione e puntati su di me.
«Billy ti porterà fuori per un appuntamento.»
Sobbalzai per la sorpresa, il mio sorriso crollò in una smorfia a bocca spalancata di orrore assoluto. «Aspetta… cosa?»
«Tu e Billy. Un appuntamento» chiarì lentamente e ad alta voce, scandendo ogni sillaba, come se avessi problemi di udito.
Senza riflettere, gli schiaffeggiai il braccio e, sporgendomi più vicina, risposi in un bisbiglio precipitoso: «Ti avevo sentito. Non sono sorda.»
«Bene. Volevo solo accertarmi.»
«No. Non va bene. Non uscirò insieme a Billy!»
Ora fu lui ad accigliarsi. «Perché no?»
«Perché...» Agitai le braccia per aria senza scopo. «Non hai appena assistito al disastro di poco fa?»
Lui fece un cenno d’assenso solenne. «Era impossibile da non vedere.»
Un verso strozzato mi uscì dalla gola. «Come cavolo puoi pensare che uscire con Billy sia una buona idea?»
«Esattamente perché hai reagito in quel modo.» Il suo tono da scienziato era tanto ragionevole da risultare esasperante. «Vuoi un marito, giusto?»
«Sì» sussurrai, lanciando inutili occhiate alle spalle di Cletus per assicurarmi che nessuno origliasse.
«E immagino che tu voglia sposare qualcuno che i tuoi genitori approvino, no?»
Esitai, poi annuii secca: avevo capito dove voleva andare a parare.
Aveva ragione. Naturalmente aveva ragione. Se fossi riuscita a sopravvivere a un appuntamento con Billy, allora sarei potuta sopravvivere a qualunque altro appuntamento.
«Capisco cosa vuoi dire» ammisi tristemente.
«Oh, su. Non fare così. Billy non è poi così male.» Cletus mi diede una gomitata, mentre ripeteva le mie parole di poco prima.
Io sbuffai con una risata esasperata. «Già. Non è così male. Ma ti stai dimenticando di un solo fatto molto importante.»
«Io non dimentico mai alcun fatto.» Scosse velocemente la testa, contraddicendomi e punzecchiandomi al tempo stesso. «I fatti vanno a mio favore, sono amici miei.»
«Oh davvero? Lo pensi sul serio?»
«Non lo penso, lo so. Ogni Natale mando ai fatti un biglietto di auguri e loro ricambiano con i dolcetti alla menta piperita.»
«E allora vediamo che ne pensi di questo fatto: Billy non chiederà mai a me di uscire con lui.»
E questo era un fatto.
Billy Winston era completamente e immutabilmente innamorato di Claire McClure. Questa non era un’informazione molto risaputa, ma io lo sapevo. Io osservavo le persone.
Era innamorato di lei da anni. Da anni e anni. Si guardavano l’un l’altra, si lanciavano sempre occhiate caute ma piene di desiderio quando pensavano che l’altro non stesse guardando. Era frustrante e spezzava il cuore vedere due persone così disperatamente innamorate difendere i loro cuori.
Pertanto, era un dato di fatto che Billy Winston non mi avrebbe mai, mai, neanche tra un milione di anni, chiesto di uscire con lui.