2.

L'"Operazione Briciole", come ironicamente e con una vena di disprezzo la chiamava Robby, consisteva nel raggranellare una somma di circa trecento milioni di lire con cui dare avvio a una coproduzione cinematografica. Tony aveva fissato quella cifra considerandola un ottimo budget per ottenere credibilità presso un distributore o qualche finanziatore e poter così costituire la cordata per la produzione del film. Il costo dell'opera si sarebbe mantenuto al di sotto del miliardo. Non prevedeva infatti la partecipazione di grandi attori, né di tecnici professionisti strapagati. Il compenso della regia e della sceneggiatura era previsto a percentuale sugli incassi. La colonna sonora originale era già, a grandi linee, in mano a Tony, eseguita da una band inglese. Con trecento milioni, dunque, Tony contava di raggiungere un terzo della spesa complessiva e questo gli avrebbe dato, a suo parere, un notevole potere in fase di realizzazione del film.

Nei dettagli l'"Operazione Briciole" era però tutt'altra cosa, come scalare il cielo servendosi di piccozza, corda e ramponi, pensava Robby. L'idea di Tony era quella di setacciare la spiaggia adriatica, ombrellone per ombrellone, sdraio per sdraio offrendo ai bagnanti la possibilità di diventare produttori cinematografici. Per questo aveva preparato tre differenti di "sottoscrizioni": da dieci, da cinquanta e da centomila lire. In cambio offriva, a film terminato, la divisione degli utili secondo la percentuale di guadagno spettante alla sua società di produzione. In caso di fallimento, e cioè nella eventualità che il film naufragasse, che non reggesse alla programmazione, che non guadagnasse tanto da poter coprire la spesa produttiva, si perdeva tutto. Inoltre, per garantire la massa di produttori da spiaggia, fissava il termine di un anno. Entro quella data o avrebbero riavuti centuplicati, decuplicati o moltiplicati per mille le loro quote finanziarie o avrebbero perso tutto.

Prendere o lasciare. Questo era il piano.

Ma c'erano altre grane, come attraversare l'oceano su di un canotto, diceva Robby. E cioè che la massa di uomini necessaria a rastrellare il danaro si riduceva non a un battaglione, non a una compagnia, nemmeno a una pattuglia, ma semplicemente a due persone; lui e Tony. E questo era veramente incredibile.

"Facciamo un po' di calcoli," disse Robby dopo aver ascoltato il piano strategico. Era certo di farlo desistere. Sentiva già l'odore della sua Spagna. "Per raccogliere trecento milioni a forza di diecimila lire occorrerebbero trentamila pazzi scatenati disposti ad aprire il portafoglio. Con una media altamente ottimistica di cinquanta sottoscrizioni al giorno, venticinque per me e altrettante per te, ci servirebbero esattamente seicento giorni, due anni amico mio.".

"Non hai calcolato le quote da centomila," disse Tony serafico.

"E allora? Il problema è che in trenta giorni tu devi raccogliere dieci milioni al giorno! Ammesso che io stia qui per tanto tempo! Ammesso che se trovassi un sistema per guadagnare tanto lo voglia sprecare gettandolo in una impresa di cui non so l'esito.".

"Hanno venduto la luna, hanno venduto il Colosseo centinaia di volte, stanno vendendo i pianeti, le stelle, stanno spillando danaro promettendo cremazioni nello spazio e funerali su Giove e tu ti preoccupi di vendere delle quote per formare una società? Mi deludi." Robby avrebbe voluto strapparsi i capelli, uno per uno, e poi i denti, gli occhi e anche le unghie.

Tony non capiva. Non c'era niente da fare per farlo desistere. "Poi non è legale," disse infine.

"Perché?".

"Se andiamo in giro a scroccare soldi alla gente primo ci sbattono in galera per accattonaggio, secondo, quando vedono quei fogli di sottoscrizioni, ci arrestano per truffa e terzo, quando li hanno letti, ci spediscono in una casa di cura se non al manicomio criminale. Ecco perché!".

"Non c'è niente di male. Non sfruttiamo nessuno. Anzi. Dal momento che il film incasserà una barca di soldi, noi andiamo in giro a distribuire ricchezza alla gente.".

"E naturalmente tutto quello che tocchiamo, solo perché te ti chiami Antonello M. Zerbini e io Roberto Tucci, diventa oro." Tony versò un po' di birra. Faceva caldo. Erano seduti nel giardinetto della nuova pensione in cui alloggiava Robby. Aveva lasciato quel puzzolente Meublè prima del previsto, appena la zia di Tony aveva rintracciato una camera libera in un posto più decente. La cameriera che aveva portato le consumazioni si chiedeva perché mai quei due non se ne stessero in spiaggia a prendere un po' di sole piuttosto che litigare come ossessi in quell'ora calda del pomeriggio. Una bambina li guardava sorridendo attraverso il cancelletto della pensione; vi era salita e si dondolava avanti e indietro spingendosi con un piede come su un monopattino.

"Ho preparato tutto, Robby. L'importante è innescare la catena. Poi verranno loro a chiederci di poter partecipare.".

"Io mi vergognerei di dimostrare di essere stato abbindolato come un pollo. Non lo direi a nessuno. Manco a mia moglie.".

"Ed è qui che scatterà il gioco. I primi saranno così imbarazzati dall'esserci cascati che faranno di tutto per trascinarvi gli amici. Per convincersi, capisci? Perché una truffa solitaria equivale a farsi sbertucciare da tutti, se diventa invece un rosso affare… Allora?" Robby mugugnò, fin la birra e se ne versò un altro goccio. Tony tornò alla carica. "Sono solo dieci sacchi! Non stiamo: truffando nessuno, perdio! Li spendono per una pizza!" Robby scattò in piedi. Le gambe gli tremavano per la troppa birra. "Mi hai fatto venire qui con la scusa della sceneggiatura, vero? Per poi incastrarmi in questo modo. Come se io non contassi niente." Era amareggiato.

"Ti sbagli," fece Tony, "ho pensato a te. Che taglia porti?" Estrasse da una sportina un paio di tshirts azzurre. Le spiegò sul tavolino. Sulla schiena campeggiava una scritta KINO PRODUCTION.

"Azzurre come il tuo colore preferito." Robby aprì gli occhi, li richiuse e li riaprì Le magliette stavano ancora sul tavolino di ferro battuto verniciato di bianco con la loro bella scritta rossa. Non era un sogno, non era un bieco prodotto della sua fantasia arsa dal sole e dall'alcool. Avrebbe voluto dire mille cose, urlare mille ingiurie e invece una sola domanda gli salì alle labbra attonite. "Perché KINO?".

"Con tutti i tedeschi che stanno qui… Ho pensato al mercato estero. Non ti piace?".

"Mi piace," disse Robby con un filo di voce.

Tony gli diede una pacca sulla spalla e un buffetto sulla guancia. "Andremo forte, vedrai!".

La mattina del quattro agosto si ritrovarono davanti al bagno numero cinquantadue. Erano le dieci.

Tony aveva portato in auto tre grandi scatoloni contenenti i fogli ciclostilati delle sottoscrizioni.

Robby lo aspettava in strada, seduto sul muricciolo che delimitava l'ingresso alla spiaggia. Aveva una camicia sopra la maglietta azzurra.

"Ti sei pentito?" disse Tony scendendo dall'auto, una Renault quattro, rossa. "Non fare il bambino capriccioso, fuori la maglietta, su!" Gli ficcò in braccio un pacco di fogli. "Quelli da dieci carte sono sopra, in mezzo quelli da cinquanta e quelli da cento in fondo. Procediamo insieme, ma quando ne becchiamo uno tu subito corri all'ombrellone vicino. Devono vedere che qualcuno si è già fidato, capito?".

"Andiamo," disse Robby. "Togliamoci questo dente.".

"Bene. Cominceremo dal bar. Devono vederci, innanzitutto." Scesero gli scalini di cemento e raggiunsero la prima fila di cabine oltre la quale stava il loro territorio di caccia. Robby cercò di convincersi di quello che stava facendo, doveva crederci sennò era tempo sprecato. Era in ballo e non doveva più giustificare niente a se stesso. Cominciava, in un lampo di follia, a credere a quello che stava per fare.

Nel bar c'era un discreto viavai di gente: ragazzini che facevano la fila per le pizzette e i bomboloni alla crema; bimbi che cercavano di raggiungere il frigorifero dei gelati sollevandosi sulla punta dei piedi, giovani che giocavano a un vecchio flipper o a video-games, qualche mamma con prole attaccata al prendisole come cucciolotti di scimmia, un gruppo di giovinastri abbronzati con mutandine da bagno ridottissime che si davano pacche alla pancia liscia raccontando porcherie. I due della KINO PROD. si appoggiarono al bancone del bar in modo che la scritta sulla schiena fosse ben visibile a tutti. Tony ordinò da bere controllando, nello specchio di fronte, fra le bottiglie di granita ben allineate, la reazione della gente. Notò un piccolo gruppo che li additava. "Ci siamo," disse urtando leggermente con il gomito il braccio di Robby. Si voltarono insieme con un sorriso smagliante e fintissimo.

Una donna attaccò per prima il discorso. Chiese se facevano fotografie per qualche parte da protagonista in un film. In questo caso avrebbe immediatamente chiamato la sua Sonia dall'acqua.

Tony rispose garbatamente, poi la prese sottobraccio e la trascinò fuori, ai tavolini. Spiegò il suo progetto con grandi gesti. La donna se ne andò delusa. Ormai avevano cominciato. E più gente arrivava al bar, più Robby cominciò a credere al miracolo. A un gruppo di ragazzini sui quindici anni arrivò persino a raccontare, nei tratti essenziali, il soggetto. I ragazzi gli avevano formato attorno un circolo e lo stavano ad ascoltare con attenzione. Intervennero un paio di volte per chiedergli spiegazioni sulla trama e più spesso interessandosi ai meccanismi delle riprese, ai tempi di produzione, ai trucchi cinematografici. Erano tutti svegli e sapevano quello che volevano. Un ragazzino particolarmente acuto di fantasia, Nicola, propose lo sviluppo diverso di una scena.

Robby pensò un attimo e si accorse che non era affatto male. Parlarono così per una buona mezz'ora. Quando fu il momento di mostrare loro i fogli ciclostilati, Robby provò disgusto per se stesso. Stava truffandoli. Non esisteva nessun'altra spiegazione. Era convinto di quel che faceva ed era altrettanto convinto di estorcere del danaro. Con sua grande sorpresa, invece, i ragazzini si dimostrarono entusiasti. Alcuni corsero ai rispettivi ombrelloni, altri gettarono in terra tutti gli spicci. Sottoscrissero la prima azione della KINO PRODUCTION, diecimila lire. Marina, una di loro, compiva quel giorno quattordici anni. Il foglio le fu intestato quale regalo di compleanno dalla compagnia del bagno cinquantadue.

Il sole di mezzogiorno cominciò a scottare sulla loro pelle bianchiccia. Avevano raggiunto gli ombrelloni e li stavano passando al setaccio. La gente era diffidente. Finché si trattava di parlare si mostravano ben disposti, cordiali e alle volte addirittura petulanti. Ma quando si trattava di metter mano al portafoglio, si comportavano tutti nella stessa sdegnata maniera.

Verso la mezza, la spiaggia si svuotò d'improvviso. Ne approfittarono per sdraiarsi, esausti, sui lettini liberi e fare un primo consuntivo. Robby aveva raccolto ventimila lire e Tony dieci. Era un disastro.

La spiaggia era deserta. Rimanevano alcune ragazze a seno nudo, a prendere il sole sul bagnasciuga.

E qualche famigliola che pranzava sotto l'ombrellone estraendo dalle sporte di paglia pastasciutte, polli allo spiedo e fiaschi di sangiovese. Tony avvistò una donna sui quaranta che stava, proprio in quel momento scendendo in spiaggia. Aveva un aspetto promettente, borghese, quasi intellettuale.

Saltò giù dal lettino e andò verso di lei. Robby si voltò da una parte per non assistere alla scena. I suoi occhi si puntarono sulla linea azzurra del mare. Seguì i volteggi di un wind-surf, l'avanzare a scatti di un moscone. C'era silenzio. Le voci dei bagnanti gli giungevano lontane. Sentiva la brezza profumata di salsedine accarezzargli i capelli. Pensò alla Spagna, a Silvia e si addormentò.

Quando riprese conoscenza il panorama stava, di nuovo, cambiando. La spiaggia iniziava a riempirsi. Cercò con lo sguardo Tony. Non lo trovò. Cominciò a girare tra gli ombrelloni.

Finalmente lo vide seduto sulla sabbia con due marmocchi in braccio. Uno stava piangendo disperatamente, l'altro invece, più grandicello, si divertiva a gettare manciate di sabbia in faccia a Tony.

"Che diavolo fai qui?" domandò Robby.

"Dammi una mano. Liberami da questa peste," grugnì Tony.

Robby si chinò e prese in braccio il bambino che piangeva. Lo cullò. Arrivò la madre ancora gocciolante dal bagno. Vide la scena e strillò. Dovettero andarsene.

"Me ne ha comprata una," disse poi Tony, quasi a volersi giustificare.

"Da quanto?".

"Dieci carte." Sventolò il foglio.

"Ha risparmiato sul prezzo della baby-sitter," fu l'acido commento di Robby.

Il giorno seguente decisero di separarsi. Avrebbero battuto lo stesso bagno, ma andando uno a destra e l'altro a sinistra del corridoio in quadri di granito, adagiato sulla spiaggia come una passerella, che in certe ore del giorno scottava come una piastra di ardesia rovente. In questo modo si sarebbero spalleggiati a vicenda, ma avrebbero raggiunto il doppio di persone. Tony ebbe grane con il bagnino del numero sessantacinque. Era un ragazzone con un paio di mani larghe come pagaie e gambe che sembravano sequoie. Ci fu ben poco da discutere. Quello agitava un ombrellone chiuso come fosse uno stuzzicadenti. Dovettero battere in ritirata. Mangiavano di solito nei bar sulla spiaggia dove era molto più facile combinare qualcosa. Si stava all'ombra e le persone arrivavano al banco con il portamonete. La maggior parte era poi rilassata dall'aver appena fatto il bagno e parlava volentieri.

Era più facile che qualche sottoscrizione abbandonasse il pacco che loro reggevano e trovasse la giusta direzione. Ma il ritmo con cui questo passaggio di mano avveniva non fu mai quello che una notte Tony sognò: vide i tre grandi cartoni abbandonati sulla spiaggia aprirsi improvvisamente come investiti da un turbine e tutti i fogli uscire uno dopo l'altro con un suono di battito d'ali e formare un vortice che subito si innalzò altissimo nel cielo come una tromba d'aria e ricadere poi a pioggia su tutta la spiaggia. La gente usciva dall'acqua e correva, abbandonava le sedie a sdraio, veniva a riva con i mosconi, correva dalle strade, dai bar, dai ristoranti, dalle pensioni e si precipitava sulla spiaggia tendendo le mani e guardando in aria e cercando per terra, perché tutta la spiaggia era ormai ricoperta dai fogli come se un grande autunno avesse lì ammassato tute le foglie della terra. I bambini giocavano con quelle pagine, facevano aeroplanini, aquiloni, barche, cappelli, freccette a cono, facevano maschere, facevano vestiti, torri, festoni, coriandoli, stelle filanti. Gli adulti li prendevano e si abbracciavano e si baciavano per la gioia e non li portavano via, né li ammassavano, ma una volta raccoltili in grandi bracciate li rigettavano in aria per la gioia di poterli riprendere. Dai tre cartoni il turbinio di carta bianca non aveva fine. I ragazzini più agili salivano sui pennoni accanto alle bandierine che segnalavano lo stato del mare, e da là, chiamavano la gente dagli altri tratti di spiaggia, che poi accorreva e gridava di gioia finché tutta la costa non fu un solo grande momento di festa, di trionfo, di gioia. La realtà invece era che fino a quel momento avevano raccolto insieme cinquantamila lire.

Robby camminò per qualche decina di metri sul bagnasciuga con la testa china, attento a saltare la risacca delle onde e non inciampare in un qualche corpo disteso. Indossava la solita maglietta azzurra che la sera, arrivato in pensione, lavava sotto un getto di acqua corrente e lasciava ad asciugare alla finestra. Aveva un paio di slip bianchi. Camminava scalzo, tenendo in una mano un paio di espadrillas sfasciate e nell'altra la cartella con le sottoscrizioni. Nella ressa del bagnasciuga, fra gente che giocava a bocce e altri che inseguivano aeroplani gracchianti, tra i fili ingarbugliati degli aquiloni, i palloni, i freesby, avvistò un gruppo consistente di persone. Si diresse verso di loro.

Attaccò discorso con le frange più esterne. Chiese se a loro interessava il cinema e quale film avessero visto l'ultima volta che si erano recati in una sala; chiese se preferivano la televisione, se i film della passata stagione erano piaciuti, se li divertivano più quelli americani o quelli italiani; se amavano la commedia, il dramma, il comico, il musical, il tragico, il film storico, la fantascienza o i cartoni animati. Ben presto la discussione diventò incontrollabile. Robby si sentì tagliato fuori come un moderatore televisivo estromesso dal suo dibattito. Ognuno parlava per i fatti suoi, urlando e sbrecciandosi. Robby attendeva il momento buono per piazzare le sottoscrizioni, ma il baccano era ormai infernale. Fu allora che lo vide. Stava inginocchiato a terra davanti a un tappeto in cui dominavano i colori rossi e bruni e su cui erano disposti in ordine collane, statuette, bracciali, anelli, orologi, zanne di elefante in finto avorio e statuette in legno finto ebano. Incontrò il suo sguardo.

Indossava un caffettano marrone lungo fino ai piedi e in testa portava un fez bordeau. Senza ormai più clienti, il marocchino si alzò di scatto e sputò una sequela di ingiurie in arabo. Robby era paralizzato. La gente attorno si accorse che stava succedendo qualcosa di poco piacevole. A poco a poco tacque formando loro attorno una specie di arena. Robby farfugliò qualcosa. Il marocchino parlò in francese, gli diede del bastardo e del figlio di puttana. Robby fece per andarsene, ma qualcuno in quel momento lo trattenne. Si girò di scatto e incontrò un altro paio di carboni accesi. I due marocchini cominciarono a gridare, la gente si scansò. Robby aveva una unica speranza, che arrivasse Tony. Lanciò lo sguardo verso la fila degli ombrelloni, ma fu inutile. Cercò di spiegare che non voleva affatto rubare il mestiere a nessuno, che non stava vendendo niente, che passava di lì per puro, accidentalissimo, caso. I marocchini non vollero sentir scuse. Un ceffone beccò Robby al collo. Incassò il colpo. Tentò di restituirlo, ma il secondo marocchino lo teneva stretto. Gli presero la cartella e la vuotarono sulla sabbia. La gente non diceva niente. Solo uno, dai bordi di quella maledetta arena, osò lanciare un "finitela!". Robby si guardò intorno cercando l'alleato. Fu terribile.

Vide solamente pance gonfie e grasse e bianche e cicatrici di ernie e appendiciti, mastectomie, ulcere, calcoli renali, calcoli alla cistifellea, alla vescica, vide tette flosce e cosce adipose, rotoli di grasso, ascelle fradicie di sudore, natiche cascanti, scroti lunghissimi, enormi, disgustosi, unghie incarnate, crani calvi, vide moncherini di braccia, gambe poliomelitiche, dentiere d'oro, parrucche, mani finte. Si sentì perduto. L'attenzione dei due marocchini era accentrata sulla sua cartella. Si parlavano fitto, uno dei due si chiamava Kacem. Approfittando della loro disattenzione, riuscì a sfilare dallo slip dell'elastico ventimila lire. Li alzò in alto. Quello che lo teneva da dietro, inginocchiato, prese i soldi. Tony arrivò in quel preciso momento. Trascinò da parte Robby, cercò di sapere quello che era accaduto. I due marocchini gli parlarono velocemente. Tony rispose duro:

"Non mi frega una sega se dovete comprarvi venti cammelli per sposarvi, rivoglio quei soldi!".

"Lasciali stare!" gridò Robby. La sua voce era acuta e stridente come fosse sull'orlo di una crisi isterica.

"Ti hanno fregato o no quei soldi!" sbraitò Tony.

"Non me ne importa dei soldi! Sono dei poveracci!" La gente aveva preso a squagliarsi. Qualcuno andò ad bagnino. Tony si azzuffò con il marocchino.

Aveva voglia di menare le mani, sentiva l'odore della rissa, dei nervi scoperti, un odore che lo faceva impazzire. Accorsero i bagnini e li separarono. Quando si fu calmato si accorse che i due se l'erano filata. Restò in silenzio. Raccolse uno a uno i fogli sparsi sulla sabbia. Robby, in piedi, lo guardava senza espressione. Vedeva il suo amico chino a terra che prendeva con cura quei fogli stropicciati, ne levava via i granelli di sabbia soffiandoci sopra, li riponeva nella cartellina; vedeva il suo amico, ma tutto gli appariva completamente estraneo. Non si parlarono per tutto il pomeriggio. Robby riprese a girare fra gli ombrelloni abbordando la gente con poche e secche parole: "Vuole comprare un'azione per produrre un film?" Tutto qui. Non si sprecava, non gliene importava nulla. Era aggressivo, se qualcuno lo mandava al diavolo rispondeva sbraitando e menando in aria le mani. Se riceveva una bacchettata rispondeva con un pugno. Trovò una donna, non più giovane. Aveva labbra dipinte di viola, pesanti anelli alle orecchie e una capigliatura di un biondo stopposo. Agli angoli degli occhi due sottolineature di rimmel parevano cicatrici. Il suo corpo, sotto il costume, era una camera d'aria. Lo ascoltò e gli disse di seguirla verso la cabina poiché teneva i soldi nel vestito. Robby la seguì. Girò la chiavetta nella toppa. Entrarono insieme.

Dentro, l'aria era soffocante e c'era puzzo di piscio. La luce era scarsa ed entrava a strisce dalle fessure della porta. La donna lo guardò e scoprì i seni. "Voglio i soldi," fece Robby. Lei prese dal borsellino un rotolo di banconote. Fece per darglieli. Si arrestò. "Voglio vederti nudo. Per favore…

Fammi vedere come sei fatto, ti prego." Robby sentì una profonda, angosciosa quiete salirgli allo stomaco. Si tolse la maglia. Si abbassò lo slip fino alle cosce. La donna si inginocchiò. In silenzio, si mise a piangere, senza avere il coraggio di toccarlo.

"Dimmi come ti chiami," fece Robby, prendendole i soldi. Li contò. Erano trentamila lire. "Avanti, dimmi come ti chiami." La donna prese a singhiozzare coprendosi il volto con le mani. Balbettò il proprio nome fissando il sesso di Robby. Scrollava la testa. Non si capiva se piangesse di dolore o di felicità. O di umiliazione. Robby trascrisse i dati della donna su tre fogli. La prese sotto le ascelle e la rialzò. Le ricompose i seni nelle coppette. Poi prese la mano ingioiellata della donna e guardandola fisso negli occhi la portò dolcemente sul proprio sesso. Era un saluto. Uscì dalla cabina. La donna si sedette in terra piangendo, sfogandosi. Poi, prima di uscire, asciugò le sue lacrime sature di trucco in quei pezzi di carta che il ragazzo le aveva lasciato.

Tornò in albergo. Quando chiese al bureau le chiavi della propria stanza, il portiere lo guardò con aria interrogativa. Robby ripeté la richiesta. "Le chiavi della trentadue per favore.".

"Signor Tucci, lei doveva lasciare la pensione questa mattina. Le abbiamo già preparato il conto." Robby si maledì. Era vero. Gli avevano detto, solo qualche giorno, poi dovrà cambiare. E lui se ne era completamente dimenticato. Era nemmeno una settimana che stava a Rimini e aveva cambiato già tre alberghi.

"I suoi bagagli stanno là, nel sottoscala," disse l'uomo del bureau. "La sua stanza è occupata da altri clienti." Robby pagò il conto. Chiese di poter telefonare. Si sentiva esausto, deluso, preso in giro dal destino.

In momenti come questi, in cui tutto girava a rovescio o non girava per nulla, pensava a una sola cosa: eliminarsi. E nello stesso momento in cui questa idea gli sfiorava il cervello subito un'altra, per associazione, gli veniva in mente. Il viso di Silvia, il suo corpo. La donna che amava, la donna da cui, soprattutto, si sentiva enormemente amato. La donna per cui continuava a vivere e che, in momenti come quello, lo legava alla realtà. Telefonò a Tony per spiegargli la situazione.

"Non potrai venire qui, mi dispiace. Sono arrivati tutti i parenti. Non posso ospitarti.".

"Bene. Prendo un treno e me ne vado. E la prima volta che ti incontrerò, dovessero pure passare cent'anni, Tony, in questo o in qualsiasi altro fottutissimo mondo, ti spaccherò la faccia. E ti farò mangiare quei fottutissimi fogli uno a uno, e quando li avrai cagati te le rificcherò in gola a palate per il resto della tua vita!".

"Mi spiace per quello che è successo oggi," fece Tony.

"Ti spiace? E per quello che sta succedendo stasera, no? E per quanto succederà fra tre giorni? Mi hai cacciato in questo troiaio e ora me ne tiri fuori.".

"Verrò a prenderti… Ma non puoi dormire qui.".

"Stanotte io dormirò nel tuo letto, costi quel che costi. E tu nella vasca da bagno! Ecco come faremo." Sbatté giù il ricevitore, prese la portatile, la sacca e uscì.

Non dovette aspettare molto. Quando avvistò l'auto di Tony caricò il bagaglio sulle spalle e si ficcò in mezzo alla strada. Tony arrestò bruscamente la vettura.

Robby salì in macchina senza salutare. Per tutta la durata del percorso, guardò fuori dal finestrino.

Tony non s'azzardò a dir nulla. Di tanto in tanto emetteva un rauco colpo di tosse, come se quei pezzi di carta avessero preso a girargli, indigesti, fra la bocca e lo stomaco.

"Non sei nessuno, caro Antonello M. Zerbini, nessuno ti fila, nessuno ti prende in considerazione.

Se dovessi crepare nessuno, mai, si prenderebbe la briga di venire a ricercare fra il tuo passato per vedere chi eri e cosa avevi in testa e in cosa credevi o per chi avevi lottato. Le cose stanno così. Per te e per me. Non diremo mai niente e nessuno avrà mai la voglia di ascoltarci. E per quanto tu abbia quel bastardo di nome che porti, nessuno ti userà nemmeno per pulirsi i piedi. Ecco qual è la situazione." Stavano cenando in una pizzeria a una dozzina di chilometri da Rimini, verso l'entroterra. Robby s'era rifiutato di entrare in un qualsiasi locale della riviera fra il casino, la gente, i juke-box, i camerieri sgarbati. Tony l'aveva assecondato. Conosceva Robby e sapeva che, con un po' di vino in corpo, si sarebbe liberato dall'angoscia.

"Nella nostra situazione ci sono altre migliaia di persone," disse Tony, cercando di ragionare. "Di gente che ha idee, fantasia, estro, ma che non ha il becco di un quattrino. Noi dobbiamo far leva su questo. Se andrà bene a noi, vuol dire che potrà andar bene a migliaia di altri e questo vuol dire, in fondo, una sola cosa: che noi renderemo possibile il cambiamento.".

"È impossibile," disse Robby a labbra strette. Si versò altro vino.

"Se non è possibile, noi lottiamo affinché diventi possibile… Quando si parte da soli tutti ti danno del matto. Perché hai la tua idea fissa e solo questo conta. Poi, ti accorgi che tanti altri la pensano come te e allora, improvvisamente, ti senti parte di un'onda, un'onda che cresce più va avanti e che bene o male è destinata ad arrivare a riva.".

"Arriveremo al mar morto," disse acido Robby.

"Fai come credi. È la sola strada.".

"…Io non so, Tony, perché sto qui con te. Se tu me lo chiedi, io proprio non te lo so più dire. Fino a stasera ti ho seguito, ho avuto i miei dubbi, ho cercato di convincermi, ma ti ho seguito. Ora non più.".

"Devi tener duro," disse Tony, versando altro vino. Erano alla terza bottiglia. Ognuno parlava per conto suo. Ognuno procedeva per i fatti propri. "Noi vogliamo i soldi. E qui, adesso, i soldi ci sono solamente per i portaborse di qualche politico o il leccaculo di qualche assessore. Hanno preso tutto.

Sono dappertutto! O accetti di dipendere da uno striminzito finanziamento di un tizio che un giorno è assessore alla cultura e il giorno dopo ai macelli pubblici, o accetti di fare professione di fede per qualche partito o sei tagliato fuori. A meno che tu non voglia fare del comico da borgata o da quartiere: due pernacchie, qualche modo dialettale, personaggi grulli e rimbambiti che non leggono, non pensano, non si tengono informati, non sanno quel che succede un po' più in là del loro naso.

Ecco cos'è il cinema italiano. È semplicissimo. È solo questo. E allora, se tu sei un tagliato fuori come lo siamo tu e io; se non ti va di abbrutirti in sceneggiature pecorecce; se non ti va di trattare con gente il cui mestiere è unicamente quello di garantire agli altri la libertà di fare un mestiere e non dirigerlo, approvarlo, tagliarlo, censurarlo, allora non ti resta che una sola strada. Delirare. E augurarti che il tuo delirio scuota quello di altra gente e trovi delle risonanze per diventare un progetto. Questo è quello che noi stiamo facendo. Dovremo soltanto, d'ora in avanti, gridare più forte… E tu, Robby, sputerai le tue corde vocali con me.".

Verso l'una di notte raggiunsero la casa in cui avrebbero dormito. Fecero piano per non farsi sentire.

Robby inciampò un paio di volte nei gradini e ruzzolò a terra. Tony temette che vomitasse sul pianerottolo. Si accese una luce. "Sono io, zia," disse. Sentì la propria voce strana, troppo strana.

Buttò sul letto Robby. Che si addormentò immediatamente russando. Tony prese una coperta e raggiunse il salotto. La spiegò sul divano, si stese. Cercò di dormire. Non ci riuscì. Mezz'ora dopo decise di porre fine a quella tortura. Si rivestì. Uscì di casa. Si ficcò in una disco sul lungomare.

Aveva la testa pesante, gli occhi gonfi, le gambe molli. Al primo whisky, la sbronza gli si tirò su.

Una ragazza lo stava guardando. Tony la avvicinò e fece tutto il possibile per sorriderle. Gli sembrò di strapparsi la pelle delle guance.

"Niente da fare," disse lei. "Sei troppo fatto.".

"Vuoi scommettere?" La fichetta masticò il chewing-gum come fosse biada. Lo squadrò. Era un bel tipo, Tony. "Hai un posto?".

"Ho la macchina," disse Tony. La fichetta lo arrapava sempre più. Era piccola, tozza, terribilmente sexy, con un gran culo. Una di cui si dice "da sbattere finché non ne puoi più".

"È scomodo. Offrimi da bere che ci penso io." Raggiunsero il bar. Tony era costretto a reggersi alle spalle della ragazza quando doveva scendere o salire i gradini della discoteca. Era veramente strafatto, ma non aveva quel genere di problemi. Nel suo cervello aveva già il cazzo ritto da ore.

Bevvero qualcosa, un gin tonic per la ragazza e un secondo whisky per lui. "Potremmo andare in spiaggia," propose Tony.

"C'è troppo casino… Non hai una casa?".

"No.".

"Va be'… andiamo in macchina. So io un posto." Raggiunsero la campagna e fecero l'amore. Tony si comportò egregiamente, la fichetta era dolce e morbida e calda e ci sapeva fare. C'era un solo particolare che non andava. Che quella continuasse a masticare il suo chewing-gum.

Quando fu il momento di riaccompagnarla a casa la ragazza diede un sacco di indicazioni finché Tony non si ritrovò in quel dannato posto. "Come è piccolo il mondo," disse.

"Perché?".

"Niente." La ragazza entrò in pensione. Era la stessa fottuta pensione che Robby aveva lasciato poche ore prima. Nello stato psichico in cui era, a mezza strada fra la sbornia, il rientro alla normalità, il down della scopata, la depressione dell'alba, Tony interpretò l'accadimento come un "segno". Ma non avrebbe saputo dire di che valenza fosse: se positiva o negativa.

Alle prime luci dell'alba Alberto salì lentamente le scale della sua pensione facendo tintinnare le chiavi. Non appena ebbe raggiunto il pianerottolo vide la luce accendersi nella stanza di fronte alla sua. Ormai era una consuetudine. Una delle ultime volte aveva intravisto l'ombra di una donna, sapeva che lo stava aspettando. Fece scattare la serratura. Aprì la porta, finse di fare qualche passo, attese un attimo e la richiuse davanti a sé Si gettò immediatamente nella parte più buia del corridoio. Attese. Pochi istanti dopo, dalla camera di fronte uscì una donna. Era giovane, aveva i capelli in disordine, una vestaglia trasparente che le arrivava a metà delle cosce. Era scalza. La donna si guardò intorno e raggiunse la porta della stanza di Alberto. Alberto trattenne il fiato. Ebbe paura che i suoi occhi chiari, emergendo dall'oscurità come quelli di un gatto, lo tradissero.

La donna era davanti alla porta. Vi si appoggiò. Sfiorò la maniglia con il palmo della mano come temesse di infrangere qualcosa. Avvicinò la guancia. La appoggiò all'uscio. Fece per rannicchiarsi.

In quel momento Alberto allungò il braccio, la trasse a sé e con l'altra mano le tappò la bocca. Cercò i suoi occhi. Si guardarono a lungo. Da una prima espressione di terrore, la donna addolcì il suo sguardo fino a stringerlo attorno alle pupille indagatrici di Alberto come un abbraccio di desiderio.

La sua reazione si allentò. Si abbandonò a quell'abbraccio. Alberto continuò a fissarla. Tolse la mano dalla bocca di lei. Restarono così in piedi uno davanti all'altra, illuminati soltanto dal taglio di luce proveniente dalla stanza di fronte. Non si dissero una parola. La donna si incollò al corpo di Alberto. Lui la strinse. Trovarono le labbra. Alberto aprì la porta della sua stanza. Fece per entrare.

La donna si staccò dal suo abbraccio. Lo guardò. Raggiunse la propria camera. Entrò. Alberto rimase immobile nel corridoio. Si avvicinò alla camera di fronte fino a sporgersi dentro. Vide due bambini che stavano dormendo e lei di spalle, china su uno dei due. La donna spense la luce.

Alberto tornò velocemente nella sua stanza. Lasciò la porta aperta. Andò in bagno e stappò la birra.

Gettò la testa sotto il rubinetto dell'acqua fredda. Sentì l'uscio richiudersi.

"Come ti chiami?" domandò raggiungendola.

"Milvia… Tu?" Glielo disse. "Vuoi bere?" Milvia fece un cenno negativo. "Tutte le notti ti sento tornane in albergo… Mi sono affezionata ai tuoi passi… Non pensare che io sia matta." Lo guardava con sicurezza e nello stesso tempo timore.

Come se avesse già raggiunto qualcosa e avesse paura di prenderlo. Alberto la abbracciò, la baciò.

Si stesero sul letto. Nell'amplesso che seguì, arruffato e scomposto, cigolante e soffocato, Alberto disse: "Piano… I tuoi bambini potrebbero svegliarsi." Le notti seguenti Alberto prese a tornare di corsa dal "Top In" per gettarsi in quell'amore clandestino e notturno che gli era entrato ormai nel sangue. Milvia lo attendeva insonne. Non appena sentiva emergere dall'oscurità silenziosa i passi di Alberto, usciva dalla stanza. Già sul pianerottolo iniziavano a baciarsi e i loro abbracci divennero sempre più placidi e distesi. Non ci fu bisogno di parole. Avanzavano il loro amore nel crescere dell'intimità e della consuetudine dei loro corpi. Certe notti Alberto guardava Milvia, pacata dopo l'amplesso, e le percorreva con la mano i seni, il ventre, le cosce, quasi si trattasse di una creatura di sogno che ancora faticava a credere reale. E, d'altra parte, la loro unione pareva effettivamente costruita della sostanza stessa dei sogni: l'intorpidimento di quelle ore a cavallo fra la notte e il nuovo giorno, la stanchezza, il fiato affannoso che Alberto aveva spremuto nel suo sax fin quasi a rimanerne soffocato; e che poi, miracolosamente, ritrovava nell'abbracciare Milvia. E lei, che a quella creatura della notte aveva affidato tutto il peso della sua insoddisfazione matrimoniale e della ricerca di una felicità, si vedeva - quando ricordava nella luce incandescente della spiaggia i momenti di amore con Alberto - attorniata dalla notte, dal silenzio, dalla sua voce emessa a gemiti e sussurri; e quell'uomo di cui non sapeva assolutamente nulla le appariva avvolto dal mistero, un mistero in cui era lentamente riuscita a penetrare fino a elevarsi, essa stessa, a fantastica creatura della notte. In questo modo i due amanti procedevano nei loro abbracci costruendosi reciprocamente una sorta di loro personalissima leggenda. E così facendo entravano nel mito: Alberto non era solo un uomo, ma tutti gli uomini di questa terra; e lei, Milvia, tutta la dolcezza recettiva e femminea di questo mondo.