6.

Le torri di Fiabilandia svettavano color rosa salmone nella illuminata da grandi fari rendendosi visibili fin dalla provinciale. Alcuni altoparlanti diffondevano all'esterno una musica di flauti come per sedurre il pubblico a entrare nel giardino delle fiabe.

Il parco dei divertimenti sorgeva su una superficie di circa centoventimila metri quadrati, attorno a un lago artificiale, nei pressi di Miramare di Rimini. Non fu difficile raggiungerlo. Beatrix e Mario impiegarono un paio d'ore, però, a causa traffico congestionato della sera. Giunsero davanti al ponte levatoio verso le undici. Fecero il biglietto ed entrarono.

"Non può essere qui," disse Mario. Teneva per mano Beatrix per impedire che la calca dei turisti li separasse. Lungo i viali del parco la ressa era enorme. I bambini correvano avanti provocando i richiami isterici dei genitori. Turisti di ogni età passeggiavano aprendo la bocca come in un luna park. Si accodavano placidamente per poter salire sul battello e visitare il lago da cui, ogni tanto, avvolto da una nebbia artificiale, appariva un vascello fantasma. Oppure facevano la fila davanti all'ascensore che li avrebbe condotti nella mano tesa di King Kong, a una trentina di metri di altezza. Un trenino stracarico di turisti percorreva lento l'intero territorio del parco sbucando improvviso da una finta roccia e tuffandosi imprevedibilmente in uno stagno. I turisti venivano schizzati d'acqua. Ma non se la prendevano. Ne avrebbero pretesa di più.

Attraversarono la riserva indiana, salirono su una canoa che li trasbordò sulla riva in cui stavano la casa di Biancaneve e quella di Hansen e Gretel. Di Claudia nessuna traccia. Mario comprò due aranciate da una vecchia travestita da fata per un prezzo sproporzionato. Tornò da Beatrix. Si sedettero su una panchina a forma di fungo. "Allora?" chiese Mario.

"Ero convinta che l'avrei trovata qui," fece Beatrix. "Aveva bisogno di soldi. Poteva essere una di quelle ragazze che vendono souvenirs o strappano i biglietti." Mario le strinse la mano. La guardò dolce. "Lei sa che la stai cercando?".

"No." Beatrix scrollò la testa e si prese il viso tra le mani. "Non credo.".

"Perché non lasci perdere allora?".

"Ha bisogno di me," sussurrò Beatrix.

Mario la baciò sui capelli. "O forse," disse, "sei tu che hai bisogno di lei più di quanto non creda." In quel momento dagli altoparlanti disseminati nel parco provenne una allegra musichetta. Subito dopo una signorina annunciò, in quattro lingue, che il parco dei divertimenti stava chiudendo. Si pregavano quindi i cortesi visitatori di distribuirsi gradatamente verso le uscite laterali e non intasare il viale principale, quello verso il ponte levatoio e le torri del castello di Cenerentola.

"Dobbiamo andare," disse Mario alzandosi. Beatrix era esausta. Guardò nel vuoto.

"Ti porto a mangiare. Doveva essere la nostra prima cena intima, ricordi?" Beatrix si strinse a lui. In quel momento seppe che non avrebbe mai più fatto a meno di quella presenza per il resto della propria vita. Lo amava. Era felice di amarlo.

Si misero in coda per uscire. A una cinquantina di metri da loro un uomo con la divisa del parco disciplinava il flusso smistando i visitatori ora verso destra, ora verso sinistra. Beatrix si alzò sulle punte dei piedi e lo scorse fra i palloncini colorati e i copricapi fiabeschi degli altri turisti. Poteva essere una possibilità. Estrasse le fotografie di Claudia. Quando passò di fianco all'uomo gliele mostrò. Le parole non le uscirono dalla bocca. L'uomo sbirciò le foto.

"Non è roba per me," disse facendo un gesto con la mano come per allontanare dalla sua vista quelle foto pornografiche. Beatrix resistette con le foto davanti ai suoi occhi. Non riuscì a parlare.

"Finiscila! Devo lavorare, via!" borbottò il guardiano.

La folla premeva alle loro spalle. Mario e Beatrix ostruivano il passaggio. Sentivano il fiato della calca che premeva dietro di loro. Furono sospinti, dapprima lentamente, poi sempre più decisamente, in avanti. Il guardiano afferrò Beatrix per toglierla dal passaggio. La spinse in avanti, verso destra. Poi, improvvisamente, la fissò negli occhi.

"Aspettatemi all'uscita," disse.

Mezzanotte suonò alle torri del castello di Cenerentola. A uno a uno i grandi fari che illuminavano il parco si spensero. Ci fu un gran silenzio. Fuori dal muro di cinta la gente guardava in alto appoggiata alla capote della propria automobile. All'ultimo tocco tutto si spense, poi, d'improvviso, partirono razzi dalla coda fluorescente che solcarono il cielo fino a scoppiare e illuminare l'intero parco di una luce gelida e spettrale. Altri fuochi partirono in sequenza. Alla fine, in un lampo colorato, si illuminò un grande scritta che diceva: ARRIVEDERCI. Le luci poi si spensero nel buio della notte. La giornata di Fiabilandia anche quel giorno era finita. La gente applaudì.

Aspettarono il guardiano di fianco all'uscita laterale per una buona mezz'ora. Gran parte delle auto aveva lasciato il parcheggio. I lampioni, disposti ordinatamente come su una scacchiera, illuminavano tante buche nere e vuote. Il. parcheggio assomigliava a un campo dopo un bombardamento. E sotto una di queste chiazze di luce stavano loro.

"La troveremo," disse Mario stringendosi a lei. Le accarezzò la nuca. Non le disse che l'uomo aveva probabilmente inteso tutta un'altra faccenda; che gli offrissero, ad esempio, una giovane prostituta per la notte. Non volle turbarla, non volle offenderla. Di lì a qualche minuto avrebbe fatto chiarezza.

Per il momento pensava a tenerla tranquilla.

"Voglio dirti che…" S'interruppe. Beatrix alzò lo sguardo. Appoggiava la testa al suo petto, ne sentiva i battiti, il respiro, il profumo. Erano sensazioni che appartenevano a un passato lontanissimo e che ora, miracolosamente, ritrovava in sé "Sì?" sussurrò.

"Mi piaci, Beate," disse Mario. Le accolse il viso tra le mani come prendesse delicatamente una grande coppa. La sfiorò sulla fronte e poi scese a baciarla. Beatrix si strinse a lui. "Vieni da me stanotte," fece Mario. Beatrix lo baciò ancora più forte.

La voce del guardiano li fece tornare alla realtà. "Fatemi rivedere quelle foto," disse avvicinandosi.

Mario le mostrò. L'uomo fissò quei pezzi di carta. Gli si inumidirono gli occhi.

"Chi è?" chiese.

"La conosce?" ribatté Beatrix.

Il vecchio restituì la fotografia, abbassò la testa, si stropicciò le mani. "Dovrete aspettare un po'…

Lei torna spesso molto tardi." Si lamentava più che parlare. Come stesse confessando un peccato. Quando disse "lei" un sorriso gli sfiorò il volto. Era un volto duro, di un uomo segnato dal tempo, dal sole e dalla salsedine. Un viso asciutto e grinzoso sovrastato da una capigliatura bianca striata di giallo; un viso di chi, un tempo, era pescatore. Quel timido sorriso lo rese, per un momento, vivo. "Cosa vuol dire?" domandò Mario.

"Che stanotte, se siete fortunati, verrà qui." Beatrix scoppiò a piangere nascosta dall'abbraccio del suo uomo.

Attesero per qualche ora nella casupola di servizio del parco. Si trattava di una costruzione posta al lato est del parco dove il lago artificiale arrivava a lambire il muro di cinta. Il guardiano li aveva fatti entrare nella baracca. Si trovarono in una grande stanza-magazzino colma di oggetti dalle forme fantastiche che assomigliava al ripostiglio di un teatro o al laboratorio di qualche falegnameria specializzata in carri di carnevale. A destra si apriva una porta che immetteva in una stanza arredata come la cucina di una casa di campagna: c'erano sedie, un tavolo, fornelli, divano e televisore. Il guardiano offrì del caffè.

"È venuta qui la prima volta circa un mese fa," incominciò fissando il fondo della tazzina con le mani congiunte sul tavolo e la testa china. Mario e Beatrix, abbracciati, lo ascoltavano in silenzio.

"Devo essere sincero," proseguì, "non è che la ragazza è venuta qui da sola. L'ho trovata una notte sulla strada, là fuori… Facevo un giro per il parcheggio. Ho visto la sua figura… È una ragazza molto bella, vero?" Beatrix fece sì con la testa. "Vada avanti, la prego.".

"Era molto stanca. Disse che aveva girato tutta la notte e ormai eravamo quasi al mattino. Voleva dormire ma non sapeva dove; era senza soldi. Allora… Io l'ho chiamata qui." S'arrestò di nuovo. Mario sentì un brivido corrergli lungo la schiena. "Non ci interessa, questo," disse tentando di far procedere il racconto. Beatrix lo guardò dura: "Continui, per favore.".

"Non poteva rimanere qui. Ci sono altri guardiani la notte. Allora l'ho portata di là. È stata una buona soluzione. Nessuno potrà mai accorgersene. Alle volte rimaneva dentro un giorno intero. Non so cosa facesse di preciso… Diceva che le piaceva, la riposava…".

"Dove l'ha portata?" chiese Mario.

Il vecchio si alzò con fatica. "Venite," sussurrò.

Uscirono dalla stanza e raggiunsero il magazzino. La parete di fondo era chiusa da un grande portone ad arco sotto cui scorrevano dei binari di ferro. Facendosi aiutare da Mario, il vecchio aprì il portone. Una ventata di aria fresca li investì insieme al profumo dei tigli e dei pini che ornavano il parco. Davanti a loro a fior d'acqua, stava una imbarcazione grande quanto un cabinato da crociera. Era di legno. Aveva tre pennoni alti cinque-sei metri. Alcuni manichini di cartapesta riproducevano le fattezze dei pirati e dei bucanieri. Beatrix e Mario avevano già visto quel vascello procedere nel lago. Si avvicinarono.

"È un semplice motoscafo," spiegò il vecchio, "attorno gli è stata costruita una gabbia di legno che regge la sagoma del vascello. È ancorato a un binario che scorre sul fondo del lago. La sera lo riportiamo a riva per rifornirlo di candelotti fumogeni." Mario toccò lo scafo. Lo trovò leggero. I pupazzi lo guardarono con un'aria minacciosa. "E Claudia viene qui?" Il vecchio annuì era un passaggio, come una. Tolse un pannello dalla chiglia del vascello. passerella che conduceva al motoscafo vero e proprio tra un groviglio di tiranti e cavi elettrici.

Mario aiutò Beatrix a passare. Il vecchio balzò, precedendoli, sul motoscafo e da qui scese nella cabina.

"Ecco," disse allargando le mani.

Una luce fioca illuminava una branda ricoperta di cuscini. C'era qualche vestito sul pavimento di legno, un paio di riviste, dei giornaletti, delle cassette da registratore. "È qui che viene a dormire," disse.

Verso le quattro del mattino avvertirono alcuni rumori. Erano tornati nella cucina della baracca. Il vecchio aveva continuato a raccontare. Mario voleva chiedergli perché non avesse avvertito la polizia, ma era una domanda oziosa. C'era qualcosa, per il vecchio, che finalmente animava quel paese di cartapesta, quella incredibile città fantasma: ed era il corpo di una giovane donna addormentata nel ventre di un battello di legno compensato. La notte, girando fra quei viali deserti, fra quelle creature di cartone e di plastica, sapeva che in un posto preciso, in quello stesso momento, una ragazza riposava sotto la sua protezione e animava, come per incanto, quel paese fantasma. No, non era soltanto il guardiano di una città di divertimenti e di balocchi. Era il guardiano di una piccola, graziosa e stramba fata calata dal Nord. Questo era il suo segreto. Questo era il geloso gioiello della sua vita.

"Tonio?" sussurrò una voce.

Il viso del vecchio si illuminò. Mario sfiorò Beatrix sul braccio. "Ci siamo," voleva dirle. Beatrix dormiva. Non la svegliò.

Entrò nella stanza. Aveva una minigonna bianca a pois minuti color pervinca. Una t-shirt nera e un foulard giallo annodato attorno alla vita. I capelli erano finissimi e biondi. Le scendevano sulla schiena. Era scalza. La sua espressione fu di stupore, ma più che altro sembrava domandasse perché quelle due persone, quel ragazzo e quella donna addormentata con il capo appoggiato sul tavolo, si trovassero là.

"Claudia?" domandò Mario.

In quel momento Beatrix si svegliò dall'intontimento. La guardò e sorrise. "Claudia…" La ragazza si irrigidì. Serrò le braccia lungo i fianchi ed esplose in un urlo. Si girò e scappò via.

Il vecchio scattò in piedi. "Claudia!" mormorò come se implorasse. Mario e Beatrix la seguirono, di corsa, fuori dalla stanza. Nel magazzino era ancora spalancata una porta che immetteva nel parco, di fianco al portone del vascello. Si precipitarono fuori.

"Resta qui," disse Mario. "Stai calma. Te la porteremo indietro." Beatrix non rispose. Lo vide sgusciar via.

Il parco era affondato nel buio. I fari di servizio erano accesi ai lati del recinto in muratura e facevano spiovere una luce fioca. Mario corse attraverso i vialetti finché, fermandosi, si accorse di essersi perso. Non sentiva più lo scricchiolio della ghiaia calpestata dalla corsa del guardiano, né il rumore dei passi di Claudia. Il suo respiro era affannoso: si guardò intono. Decise di tornare alla baracca facendo attenzione a non perdersi una seconda volta.

Quando riuscì finalmente a riguadagnare l'ingresso di servizio era quasi mattino. Aveva vagato a lungo fra i viali ripercorrendo spesso lo stesso tragitto. Un chiarore gravido di foschia si allargava sulle costruzioni del parco. La terra era umida e fumava. Nelle acque del laghetto vide nuotare ordinatamente alcuni esemplari di anatre esotiche. Entrò in cucina. Trovò soltanto il vecchio.

"Dov'è?" si preoccupò di chiedere.

L'uomo rispose lentamente "Quando sono tornato, la sua amica non era più qui.".

"E Claudia?" Il vecchio si alzò facendo leva sui gomiti appoggiati al tavolo. "È quasi giorno. Forse potremo vederle, sempre che siano ancora qui.".

"Certo che sono qui! Ho le chiavi della macchina!" La tensione aveva attaccato anche i suoi nervi.

Gli sembrò tutto irreale e fantastico. Chi era Beatrix? E cosa ci stava facendo in quel posto da incubo?

Il vecchio prese un grosso mazzo di chiavi appese a un chiodo sulla parete. Mario lo seguì in silenzio.

Percorsero un vialetto per qualche centinaio di metri fino a sbucare davanti all'ingresso principale. Il ponte levatoio era sollevato. Il vecchio si avvicinò a una delle due torri di ferro color rosa salmone, aprì una porticina e vi si intrufolò facendogli segno di seguirlo. Salirono per una scala a chiocciola stretta e buia come quella di un minareto. A ogni torsione della scala un po' di luce entrava da un pertugio aperto nella lamiera. Sbucarono finalmente in un terrazzino largo appena un mezzo metro.

Gettarono lo sguardo sul parco.

"Sono là," disse il vecchio puntando l'indice teso.

Mario mise a fuoco la vista. Vide due macchie colorate sedute davanti a una casa dal tetto rosso e gonfio come fatto di gomma da masticare. Attorno stavano uno steccato, qualche pupazzo, un giardino e un pozzo. Beatrix e Claudia erano là, sedute sulla soglia di quella casa di cartapesta.

Erano fianco a fianco e davano l'impressione di parlarsi. Ogni tanto gli parve di distinguere il braccio di Beatrix circondare delicatamente le spalle della sorella.

Ecco, finalmente l'aveva trovata. Stava lì, seduta al suo fianco. I mesi che le avevano separate le sembrarono in realtà un istante. Rivedendola, riabbracciandola, ebbe come la certezza che Claudia non l'avesse mai abbandonata. Questa fu la sua gioia più grande: ritrovarla come se non fosse mai accaduto niente. Fu allora che Beatrix cominciò a capire qualcosa del perché si era tanto affannata per riportarsela a Berlino. Fu nello stesso momento in cui la trovò ancora bella, ancora giovane, ancora con i capelli ondulati e lisci, il suo corpo gracile, il suo viso allungato e tenero. Claudia stava vivendo semplicemente il protrarsi di una vacanza iniziata molti mesi prima con la fuga da Leibnizstrasse. Stava cercando qualcosa che orientasse la sua vita. Certo, non l'aveva ancora trovato, ma quei mesi e mesi in giro per l'Europa le avevano dato una solidità interiore nuova. Stava vivendo una avventura tutta sua. Dormire su quella barca, restarsene nascosta una giornata intera là dentro a spiare, dalle finte bocche dei cannoni, i turisti, il fuori, la realtà, guardare quel vecchio che la teneva nascosta, erano situazioni che si era scelta e che, in un certo modo, la appagavano. No, Claudia non stava affatto male. Si era semplicemente persa in quella città della notte - l'intera riviera - e ora tentava di ritornare in se stessa ricostruendo passo dopo passo, fantasia dopo fantasia, la sua storia e il mondo dei suoi desideri. Sapeva che presto tutto sarebbe finito con il sopraggiungere dell'autunno. Le luci si sarebbero fatte più fioche e più tenui, la spiaggia più rada, le strade più scorrevoli e più vuote. Gli alberghi avrebbero chiuso così come le discoteche, i night-clubs, i parchi di divertimento. E allora se ne sarebbe tornata a Berlino e non in una casa qualunque, ma proprio in Leibnizstrasse, con la vecchia Hanna e con la sua dolce Beate. Non c'era una fuga possibile, per il momento, da quell'universo femminile senza cui non avrebbe più potuto vivere, da cui riceveva vita e in cui sconfiggeva la sua solitudine. Se l'era vista brutta con Giorgio, a Roma.

Aveva conosciuto le siringhe, come a Londra e ad Amsterdam e in Tunisia, ed era andata troppo oltre in quella vita di sbattimenti e di miserie: arrangiarsi, trovare un buco, rubare, fuggire e soprattutto aspettare. Continuare ore e ore ad aspettare qualcuno nei posti più impensabili e assurdi.

E quando questo qualcuno arrivava, subito dopo aspettarne un altro e un altro ancora e così per notti e giorni, anche se ormai la notte e il giorno erano un unico incubo di solitudine e di attesa. Aveva seguito Giorgio a Bellaria. Poi una notte aveva incontrato il vecchio e fu un "viaggio" diverso dentro di sé dentro quella ragazzina che a quindici anni occupava le case e che a diciannove era ridotta a uno straccio. Starsene a guardare la folla che si divertiva, galleggiare dondolando per ore e ore in quel ventre immerso nell'acqua, salire alla superficie, ritornare a dormire, placare la propria curiosità nell'osservare i meccanismi dei sogni, passeggiare per i viali deserti con le creature della sua infanzia miracolosamente riunite tutte insieme per lei sola, abbracciare i pupazzi morbidi, chiacchierare con loro. Guardare il vecchio, chiedergli una colazione, mangiare con lui di nascosto nella cabina come due fuggiaschi uniti dallo stesso segreto e dalla stessa battaglia. Sì, era vero. Si era persa, completamente. Ma forse lo doveva fare, una volta per tutte, per togliersi da quella adolescenza troppo dura che aveva conosciuto su a Berlino. In questa terra di sogno, finalmente, stava tornando alla luce. E ora, mentre Beatrix le teneva la mano, sapeva che ormai l'autunno era arrivato per lei e la sua storia segreta. "Verrò con te a casa," disse.

In quei momenti Beatrix capì del perché si era imposta di trovare Claudia. In realtà - come si era confessata spietatamente quella sera in hotel - chi stava realmente cercando era se stessa, una donna che seguiva il fantasma di un'altra donna sperando nascostamente nella coincidenza delle loro identità. Si cerca sempre se stessi, in fondo. O qualcosa di noi che non ci è chiaro o non abbiamo capito: le ragioni di una sofferenza, o di quella malattia sotterranea che ti prende il respiro ed è nera e umida come la malinconia. Beatrix stava cercando se stessa, questa era la verità. Nel momento in cui si era liberata dell'ossessione di Claudia, si era data pace, se lo era confessato, aveva potuto aprirsi al miracolo della conoscenza dell'altro. Si era innamorata. S'era messa il cuore in pace e magicamente tutto era filato alla perfezione. Aveva trovato il suo amico, aveva trovato Claudia.

Parlarono per ore finché il sole cominciò a scaldarle e i rumori, provenienti dall'esterno, le avvertirono che il parco stava per iniziare una nuova giornata di festa. Si alzarono e si diressero verso il ponte levatoio. Mario le attendeva là, in piedi, accanto al guardiano.

"Claudia verrà con noi," disse Beatrix.

Mario la abbracciò e la strinse forte. Uscirono così, attendendo che il vecchio facesse scendere il ponte. Beatrix salì in macchina sul sedile posteriore. Abbracciò Mario da dietro, stringendogli il petto. Lo baciò sulla nuca. Guardò la Linea azzurra del mare sfilare via alla sua destra mentre tornavano in albergo. Claudia si era addormentata.

"Verrai con me a Berlino?" gli chiese in tedesco.

Mario chinò la testa e la baciò sulle mani. Arrestò la macchina ai bordi della strada. "Scendi," disse.

Respirarono all'aria aperta. "Voglio fare l'amore con te," disse stringendola. Beatrix sorrise. Lo desiderava. Lo avrebbe desiderato tante altre volte e sempre con lo stesso entusiasmo. Si sentiva amata e lo amava. Per un attimo una immagine le folgorò il cervello e le diede pace. Era l'immagine di un angelo. Aveva il corpo di Mario e il suo viso e la sua voce.

"Sai chi sono?" le disse.

Sì, avrebbe voluto rispondere Beatrix. Uno straniero. Che parla la mia stessa lingua.