15

Nava inserì il numero identificativo e cliccò su TROVA. Le parole sullo schermo azzurro furono immediatamente sostituite da una cartina stradale di New York con due puntini rossi lampeggianti: uno rappresentava la sua posizione attuale e l'altro quella di Caine. Il sistema di posizionamento globale funzionava alla perfezione.

Quella mattina aveva marcato la giacca di pelle di Caine con un trasmettitore. Ora non doveva fare altro che aspettare il gemello. Una volta marcato Jasper Caine, poteva usarlo come esca per Grimes mentre lei prendeva David Caine. Dopodichè poteva dileguarsi nel nulla.

Controllò l'ora. Erano quasi le undici. Se Jasper non usciva in fretta dall'appartamento, era fregata. Mentre guardava fisso dall'altro lato della strada, un furgone della FedEx si fermò proprio davanti a lei, coprendole la visuale. L'autista si allungò sul sedile e aprì la portiera dal lato del passeggero.

Nava montò sul furgone e richiuse la portiera sbattendola. Quando fu dentro, fece scorrere il pannello divisorio fra la cabina di guida e il vano di carico e passò dietro. Grimes e il suo socio a stento alzarono lo sguardo quando lei entrò, ciascuno intento a battere freneticamente sulla propria tastiera, con gli occhi che sfrecciavano fra i tre schermi piatti montati lì davanti.

Non c'era un posto in più per sedersi, perciò Nava rimase in piedi ad aspettare che Grimes avesse finito. Dopo circa un minuto, lui allungò la mano, anche se non reputò necessario girarsi con tutto il corpo.

“Dammi il tuo palmare, devo aggiornare un paio di dati.”

Senza nemmeno pensarci, Nava gli passò lo strumento metallico. Non appena glielo ebbe consegnato, si rese conto dell'errore, ma era troppo tardi. Grimes lo inserì in una fessura verticale nel suo quadro di comando e premette un pulsante. Una mappa di New York sostituì l'immagine del monitor centrale.

“Oh grandioso, l'hai già marcato. Manderò le sue coordinate a tutta la squadra di sorveglianza.” Le sue dita volavano sulla tastiera. “Ora tutti sanno dov'è il bersaglio, in caso tu lo mancassi.”

“Perché, adesso è un bersaglio?” chiese Nava.

“Eh già.” Grimes ruotò di scatto sullo sgabello girevole. “Stamattina il dottor Jimmy ha dato il via ufficiale all'operazione. Tu sei fra i tattici: sta arrivando una squadra d'assalto.”

“Cosa?”

“Guarda coi tuoi occhi” disse Grimes, indicando il monitor a destra e la tastiera ausiliaria. Il dossier del primo commando era già sullo schermo. Visto che l'Nsa non aveva personale combattente, Nava si aspettava che gli agenti extra sarebbero stati smanettoni della sorveglianza che per caso avevano la certificazione all'uso di un paio di armi da fuoco.

Si sbagliava.

 

NOME: Spirn, Daniel R.

UNITÀ: Forze speciali

GRADO: Tenente

 

ARMI: Pistola (9mm, calibro .45, calibro .38), MI 6A2/M4A1, Fucile (spessore/calibro 12), Fucile di precisione M24, Lanciagranate M203, Mitragliatrice leggera M249, Granata a mano, Mitragliatrice M240B, Mitragliatrice M2 HB, Lanciagranate MK19, Mortaio (60iran, 81mm, 120mm), Artifici, Mine antiuomo M18A1/A2 , Mine (generiche), Missile TOW, Dragon, Cannone senza rinculo (84iran, 90nun, 106mm), AT4, Armi anticarro leggere.

 

COMBATTIMENTO

NON ARMATO: Aikido, Choi KwangDo, Hapkido, Judo, Ju Jitsu, Muai Thai, Tae Kwon Do.

 

Nava scorse i file sugli altri tre soldati. A eccezione di Gonzalez, che era l'esperto di esplosivi, avevano tutti una preparazione simile e avevano combattuto sul campo: varie volte in missioni speciali. Nava espirò. Questo avrebbe complicato di molto le cose. Si girò verso Grimes.

“Non ti sembra un po' esagerato? Quattro combattenti per catturare un civile?”

“Cosa vuoi che ti dica?” Grimes alzò le spalle. “Il dottor Jimmy è flippato. Non vuole lasciare niente al caso.”

“Come ha fatto ad avere gli uomini delle Forze speciali?”

“Boh, mi sa che ha chiesto un paio di favori in giro, proprio come ha ottenuto te. Stavolta non ha limiti.” Grimes prese un verme di gelatina da una busta di plastica che teneva tra le gambe e glielo offrì. Nava scosse la testa. Senza battere ciglio, Grimes se lo ficcò in bocca. Cominciò a parlare mentre masticava. “Arriveranno tra pochi minuti. Dopo i convenevoli, il dottor Jimmy vuole che catturi il bersaglio.”

Il terminale cominciò a squillare. Grimes si girò e premette un pulsante. “Sì? É qui davanti a me, gliela passo subito.” Si tolse gli auricolari senza fili e li passò a Nava. “É Forsythe.”

“Dottore?”

“Agente Vaner, volevo solo accertarmi che il signor Grimes le avesse dato tutte le informazioni necessarie.”

“Direi di sì, signore. Se ho capito bene, devo dirigere la squadra per catturare il signor Caine e portarlo al laboratorio dell'Str.”

“Esatto. Voglio che sia lei a condurre l'operazione perché deve esse re una cosa discreta. Gli uomini che l'aiuteranno non sono noti per la sottigliezza; sfortunatamente sono stati il meglio che ho potuto trovare con un preavviso così breve. Spero che riesca a tenerli sotto controllo.”

“Farò il possibile, signore.”

“Bene. Usi ogni precauzione quando avrà a che fare col signor Caine: è più pericoloso di quanto possa sembrare.”

“Ricevuto” disse Nava, chiedendosi a cosa si riferisse esattamente Forsythe.

“Buona fortuna, agente Vaner.”

“Grazie, signore.” Si udì un clic e la comunicazione si interruppe. Nava si tolse gli auricolari e fece per restituirli a Grimes quando si accorse che lui ne indossava già un paio.

“Me ne porto sempre un paio in più” disse con un sorriso. “Il dottor Jimmy è proprio un finocchio, eh? Usi ogni precauzione quando avrà a che fare col signor Caine” disse, articolando con attenzione ogni paro la proprio come Forsythe. Nava non sapeva se la sorprendeva di più il

fatto che avesse origliato la sua conversazione, o che lo ammettesse con tanto orgoglio.

“Dovrebbe essere un gioco da ragazzi, no?” chiese Grimes con non curanza. “Vi basta buttare giù la porta e acchiapparlo.”

Nava scese dal furgone senza rispondergli. Il problema era che Grimes aveva ragione. Il suo piano di attacco era il migliore: semplice e di retto, senza rischi dall'esterno. E se gli agenti delle Forze speciali erano un minimo in gamba, lo sapevano anche loro. Se l'Nsa catturava Caine, lei non avrebbe più avuto l'opportunità di prenderlo.

Doveva inventarsi qualcosa.

 

Quando si resero conto di chi era Tommy, il direttore della filiale rispose al telefono. Lo chiamò persino “signore”. Tommy non ricordava di essere mai stato chiamato “signore” prima di allora. Signor Tommy. Non gli dispiaceva come suonava.

Forse adesso che era ricco doveva farsi chiamare “Thomas”. Naaa. Non ci si vedeva proprio a dire: “Ciao, mi chiamo Thomas”. Se l'era cavata bene con Tommy per tutta la vita e Tommy sarebbe rimasto. Prese il telefono e chiamò Dave per comunicargli la buona notizia.

“Non so come ringraziarti” disse Dave.

“Te l'avevo detto che un giorno mi sarei sdebitato, no?” gli disse Tommy, sorridendo. “Se non fosse stato per te, a scuola mi avrebbero pestato ogni giorno. E poi non sarei mai stato promosso nella classe della Castaidi. Ti sono debitore, davvero.”

“Non ne sarei così sicuro, ma... be', questo supera davvero tutto. Non so che dire.”

“Non devi dire niente, amico.”

“Allora, ci vediamo alle sei.”

“Sì. Non vedo l'ora.”

Dave lo ringraziò altre due volte prima che Tommy riuscisse final mente a farlo scollare dal telefono. Si sentiva in gran forma. Anzi, di più: si sentiva proprio da dio. Non era mai stato in grado di aiutare nessuno prima di allora. Ma adesso poteva farlo e stava ripagando i suoi debiti. Da quel momento in poi le cose sarebbero state diverse. Avrebbe fatto un mucchio di cose, cose importanti. Avrebbe lasciato un segno.

Il telefono squillò di nuovo, ma Tommy lasciò rispondere la segrete ria. Era un'altra venditrice. Questa si offriva di fargli da promotrice finanziaria. Si mise a sparare una lista di cose cui lui avrebbe dovuto pensare: immobili, azioni, un'assicurazione sulla vita, rifugi fiscali, fiduciari per il testamento... bip. Fu interrotta dalla segreteria.

Tommy diede un'occhiata all'orologio alla parete: aveva solo un paio d'ore per passare dalla banca e arrivare a Manhattan. Dave si era offerto di raggiungerlo a Brooklyn, ma lui aveva voglia di andare in centro a festeggiare.

Passò in cucina a prendere il cappotto, ancora sorridente. Dave era sempre stato un buon amico. Tommy sperava che non si sarebbero più persi di vista. Dave era esattamente il tipo di persona di cui aveva bisogno: intelligente e per bene, uno che non se ne sarebbe approfittato. All'improvviso questo gli fece venire un'idea.

Prese un foglio, scrisse un lungo messaggio e lo attaccò al frigo con una calamità a forma di pallone da football. Sapeva che era una cosa parecchio strana da fare, ma ora che era un multimilionario doveva pur preoccuparsi di certe cose. Doveva essere responsabile e tutto il resto.

Guardare quel foglio lo faceva sentire bene, come quando aveva detto a Dave che l'avrebbe aiutato. Eh già, le cose sarebbero cambiate finalmente. Tommy non vedeva l'ora di cominciare la sua nuova vita. Si infilò il cappotto e uscì. Doveva sbrigarsi se voleva arrivare in tempo alla banca, anche se qualcosa gli diceva che il direttore della filiale avrebbe tenuto la banca aperta a prescindere dall'ora in cui fosse arrivato.

Tommy era un uomo importante adesso. Un uomo importante con dei progetti.

 

Jasper aveva ancora la faccia un po' gonfia, ma stava comunque duemila volte meglio della notte prima.

“Davvero vuoi che lasci la città?” chiese. “Nel senso, supponendo che Tommy ce la faccia, allora tutti i cattivi dovrebbero piantarla di rompere, giusto?”

“In teoria, sì.”

“Allora perché vuoi che parta?”

“Non lo so” disse Caine mentendo. In effetti non lo sapeva, ma aveva la sensazione che le cose si sarebbero parecchio incasinate prima di risolversi. “Penso solo che sarebbe bene che levassi le tende.”

“Va bene, allora.” Jasper si alzò e si infilò la vecchia giacca militare. Era coperta di macchie marrone scuro. Caine stava per commentare quando si rese conto che era sangue coagulato, così prese la sua giacca di pelle dalla sedia e gliela lanciò.

“Quella giacca è uno schifo. Prendi questa.”

Jasper guardò sorpreso la giacca costosa del fratello. “Ma sei sicuro?”

“Certo. Tienila tu. Considerala un premio di consolazione per l'incontro di boxe di ieri notte,”

“Grazie, fratellino” disse Jasper, scambiando emozionato la sua giacca con quella del fratello. “Ma tu guarda. Mi va a pennello.”

“Strano, considerato che siamo gemelli.”

Caine sorrise. Gli sembrava un'eternità che non sorrideva. Si mise un vecchio impermeabile e chiuse a chiave la porta di casa. I due si infilarono identici occhiali da sole e si avviarono giù per le scale. Mentre uscivano dall'edificio, nessuno dei due fece caso al furgone bianco della FedEx né al camion nero lì accanto.

 

“Restate ai vostri posti” ordinò Nava mentre guardava i due gemelli che uscivano dall'edificio.

“Ma, signora, abbiamo il campo libero...”

“Restate ai vostri posti. É un ordine, tenente.”

“Ricevuto.”

Nava spense la sigaretta a terra e seguì i gemelli. Mentre procedeva lungo l'isolato, si chiese cosa fare. Era riuscita a tenere a bada Grimes spiegandogli che non voleva catturare Caine davanti a testimoni che lo conoscessero, come il suo ospite. Comunque, non appena Jasper si fosse allontanato dal fratello, non sarebbe riuscita a impedire agli uomini di catturare David.

“Merda, certo che Caine e il suo amico si assomigliano proprio” esclamò Grimes all'auricolare. “Sembrano gemelli.”

“Piantala di cianciare” gli disse seccamente Nava. L'ultima cosa che voleva era che Grimes si rinfrescasse la memoria.

“Vabbe”'bofonchiò lui.

“Concentrati sul bersaglio e basta” disse Nava. “L'altro è irrilevante.”

“Ma qual è il bersaglio, signora?” chiese Spirn.

All'improvviso Nava intravide la sua opportunità. Finché i due fratelli erano insieme, gli uomini non sarebbero stati in grado di distinguere quale dei due aveva indosso il trasmettitore, perché il sistema di posizionamento globale era accurato al metro. Per una frazione di secondo Nava pensò di poter spacciare Jasper per David. Era certa che nella confusione avrebbe potuto eliminare il trasmettitore. Prima che si accorgessero di aver catturato il fratello sbagliato, lei avrebbe avuto tutto il tempo per piombare su David e scappare.

Ma visto che aveva usato la loro vicinanza come scusa per non colpire prima, adesso era impossibile tornare sui propri passi. Se solo fosse riuscita a marcarli entrambi come era nei piani, avrebbe potuto dirottarli su Jasper. Se...

Osservò bene l'uomo che pensava fosse David Caine. Attorno al bordo degli occhiali scuri notò una specie di macchia. Guardò l'altro fratello, giusto per essere sicura: aveva la pelle del viso perfetta. Per qualche motivo, David aveva scambiato la giacca con quella del gemello, e quindi il trasmettitore era addosso a Jasper, non a lui.

“Devo guardare più da vicino” disse Nava, con in mente un nuovo piano. Proseguì oltre, in attesa che i fratelli attraversassero la strada. All'incrocio successivo rallentarono il passo. Quando il semaforo diventò verde i due scesero dal marciapiede e cominciarono a camminare verso di lei. Anche se cercarono di farla passare in mezzo, Nava fece in modo di urtare David.

“Oh, mi scusi” disse, afferrandolo per il gomito con una mano e stringendogli forte la spalla con l'altra.

“Si figuri” rispose lui.

Lei annuì e proseguì oltre. “Il bersaglio indossa la giacca di pelle.”

“Registro, giacca di pelle nera.”

“Appena si separano, entrate in azione secondo i miei comandi” ordinò Nava.

“Ricevuto.”

 

All'incrocio successivo i due fratelli si fermarono. Scambiarono qualche parola, si abbracciarono in fretta, poi si separarono. David attraversò la strada, mentre il gemello girò dietro l'angolo. Era il momento.

“Avvicinatevi. Michaelson, bloccalo sul davanti. Brady, al fianco destro. Gonzalez, al momento dell'azione fatti trovare lì con il camion. Spirn, tu vieni con me.” Tutti gli uomini presero posizione, spostandosi veloci. Vestiti in borghese si mischiarono tra i pedoni sulla strada affollata di Manhattan.

“Posizione.” Michaelson era due metri avanti a Jasper.

“Posizione.” Brady era un metro a destra di Jasper.

“Fermi” disse Gonzalez. “C'è un po' di traffico, aspettate.”

Tutta la squadra si tenne vicina al bersaglio mentre Gonzalez pilotava il camion nero oltre un taxi posteggiato in seconda fila, poi superava la squadra e accostava circa dieci metri oltre il bersaglio. “Posizione.”

“Agiremo quando il bersaglio è a un metro dal camion. Io e Spirn lo abbordiamo, Michaelson e Brady si tengano pronti in caso cerchi di scappare.”

Mentre si avvicinava a Jasper, Nava estrasse un cilindretto metallico dalla tasca. Doveva muoversi in fretta. Se lui si lasciava sfuggire che David era il suo gemello, sarebbe tutto finito. Affrettò il passo mentre lui si avvicinava al camion. Poteva quasi toccarlo. Oltre la spalla di Jasper vide Michaelson appoggiato a una macchina posteggiata tre metri più avanti.

Allungò la mano e lo afferrò per il bicipite. “Mi scusi, signor Caine?”

Jasper si girò, confuso. “Sì?”

Lei gli mostrò rapidamente un finto distintivo. “Le dispiacerebbe fermarsi un attimo vicino al camion, signore? Devo farle un paio di domande.”

Jasper guardò Nava e poi Spirn. “Uhm, certo” disse, spostandosi sul bordo del marciapiede con le spalle al camion.

“Grazie, ci vorrà solo un attimo” disse lei. Senza aggiungere altro, gli piantò il cilindro nella coscia. Jasper sgranò gli occhi ed emise un rapido “Ahhh!”. Spirn gli strinse il braccio più forte per essere sicuro che non scappasse, ma non era necessario. Due secondi dopo che la siringa di Nava aveva trapassato i jeans di Jasper forandogli la pelle, la benzodiazepina era entrata in circolo.

L'effetto del sedativo fu quasi immediato. Gli occhi di Jasper, sconvolti fino a un attimo prima, divennero sognanti e rilassati. Nava lanciò un'occhiata a Michaelson e lui annuì rapidamente. Nessun pedone se n'era accorto.

“Signor Caine, dobbiamo chiederle di venire con noi” disse Nava, tenendolo per il braccio per assicurarsi che non cadesse. Jasper aprì la bocca per dire qualcosa, ma non gli uscì altro che un lungo incomprensibile farfuglio. Nava e Spirn lo portarono sul retro del camion. Spirn aprì il portellone e lo fece salire, mentre lei faceva del suo meglio per schermarli da ogni eventuale passante.

Montò su dopo di loro, seguita da Michaelson e Brady. Sembravano entrambi delusi che il bersaglio non avesse opposto resistenza. Brady sbatté il portellone e Gonzalez schiacciò l'acceleratore. Nava parlò al microfono. “Abbiamo il bersaglio, torniamo alla base.”

“Ricevuto. Darò la buona notizia al dottor Jimmy.”

Nava si sporse in avanti. “Gonzalez, fammi scendere al prossimo isolato.”

“Non viene con noi?” chiese Michaelson confuso.

Nava scosse la testa e finse uno sbadiglio. “Sono stata in ricognizione tutta la notte. Me ne vado a casa. Spirn, ti lascio il comando. Coordinatevi con Grimes quando arrivate al laboratorio.”

Il tenente annuì. Quando il camion accostò, Nava aprì il portellone e saltò giù, prese lo zainetto da terra e se lo buttò in spalla con disinvoltura.

Richiuse il portellone sbattendolo e gli diede una pacca veloce. Quando il camion scomparve dalla vista, tirò fuori il palmare.

Inserì il suo nuovo numero identificativo per il sistema di posizionamento globale e aspettò che l'apparecchiatura si collegasse al satellite. Una mappa ben nota con due puntini lampeggianti sostituì il testo. David Caine era a soli due chilometri da lì, e si stava dirigendo verso ovest. Erano le 17.37. Le restavano solo ventitré minuti.

Era indecisa se chiamare un taxi, ma a quell'ora del giorno avrebbe fatto prima di corsa.

 

Tversky puntò la telecamera verso la Chevrolet arrugginita. Era una serata fredda e quindi non c'era molta gente in giro, anche se per via di un qualche progetto di costruzione c'erano diversi camion e un paio di barili di benzina in mezzo al ponteggio che copriva l'edificio. D professore sistemò la lente in modo da avere una vista chiara del marciapiede. Perfetto. Adesso non doveva fare altro che aspettare. Cercò di dirsi che qualunque cosa fosse accaduta sarebbe stata per il meglio, ma sapeva che non era vero.

Voleva, no, non voleva - aveva bisogno - che David Caine comparisse. Se fosse arrivato, avrebbe dimostrato che lui aveva ragione sin dal l'inizio e, cosa ancora più importante, che tutte le altre cose che aveva predetto Julia si sarebbero avverate. Se Caine non fosse arrivato, be'... Tversky sospirò e scosse la testa. Non voleva neanche pensarci. Non ora. Doveva concentrarsi.

Aprì con uno scatto una custodia di cuoio ed esaminò il meccanismo elettronico. Anche se l'aveva provato almeno dieci volte quel pomeriggio, temeva ancora che qualcosa andasse storto. Cercò di non pensarci e di concentrarsi invece sugli eventi che l'avevano portato fin lì. La sua ricerca. L'incidente alla tavola calda. La sua scoperta. Il rifiuto di Forsythe. La visione di Julia.

Ogni evento era un anello della catena che l'aveva portato a quel momento. Si domandò quali fossero le probabilità di una simile successione di eventi. Una su mille? Su un milione? Su un trilione? Le cose di quel genere erano impossibili da calcolare. Era il bello della vita: tutto era possibile, tutto era infinitamente inverosimile, eppure tra tutti gli eventi improbabili, qualcosa veniva scelto, qualcosa doveva verificarsi.

All'improvviso un uomo con in mano una ventiquattrore argentata entrò nell'inquadratura mentre passava davanti al grosso camion della benzina posteggiato in doppia fila a pochi metri dalla Chevrolet. Il cuore di Tversky immediatamente cominciò a battere più forte mentre lui aspettava che l'uomo si girasse per vederlo in faccia. Si asciugò le mani sudate sui pantaloni senza mai staccare gli occhi dall'uomo sullo schermo. Con grande attenzione, toccò la superficie della tastiera.

L'uomo si girò lentamente, mostrando il profilo. Lui espirò, deluso. Non era Caine. Aveva la faccia tozza e butterata. Sembrava emozionato, come se stesse aspettando qualcuno. Tversky sperò, per il bene di quel l'uomo, che non si fermasse lì a lungo. Sarebbe stato un vero peccato se fosse rimasto coinvolto nell'esplosione.

 

“Temo che ci sia un problema, signore” la voce dura del tenente Spirn tuonò nell'auricolare di Grimes.

“Fantastico. Le va di illuminarmi?”

“L'uomo che abbiamo appena catturato. Non si chiama David Caine: si chiama Jasper Caine.”

“Uh?”

“Si è messo a bofonchiare qualcosa riguardo a David. In effetti mi era sembrato strano, uno che parla di se stesso in terza persona, così gli ho guardato nel portafoglio. Secondo la sua patente di guida il nome di battesimo è Jasper. Quando gli ho chiesto chi era David mi ha detto che era suo fratello.”

Grimes diede un pugno al portellone del furgone. “Merda!”

“Cosa dobbiamo fare, signore?”

“Aspettate un attimo.”

Le dita di Grimes volavano sulla tastiera mentre lui accedeva al file di Caine. Fece scorrere la pagina fino alla parte sui Familiari. Non c'era traccia di un Jasper Caine. Anzi, non era registrato nessun fratello. Strano, anche se aveva dato solo un'occhiata al file prima di quel momento, avrebbe giurato che c'era qualcosa sotto quella voce. Grimes aveva una strana sensazione alla bocca dello stomaco. Agendo d'impulso, rintracciò l'ultima modifica del file.

C'era stato un solo cambiamento ed era un aggiornamento dei dati. Sfortunatamente dal furgone della FedEx non riusciva a capire quali campi fossero stati cambiati. Cliccò sul telefono satellitare e si collegò immediatamente con uno degli smanettoni del suo dipartimento.

“Ehilà.”Era Augy.

“Ehi, sono Grimes. Ho bisogno che mi tiri fuori l'ultimo backup del file di Caine, David T.: numero identificativo Cane-Delta-Tigre-6542.”

“Certo, amico, un attimo.”

Dopo un minuto, Augy riprese la linea. “Te l'ho appena mandato. Dovresti già averlo nell'inbox.”

“Eccolo.” Grimes cliccò due volte sull'icona con la graffetta e scor se velocemente il file. Sgranò gli occhi. Qualcuno aveva alterato il file: David Caine aveva un fratello, un gemello che si chiamava Jasper. “Ok,” disse, col cuore che gli martellava nel petto, “fai un log di sistema di tutte le richieste di aggiornamento dati. Mandamelo appena ce l'hai.”

“Ci puoi contare.”

Grimes si scollegò. Pochi secondi dopo il computer emise un fischio, comunicandogli che aveva ricevuto posta. Aprì il file, sconvolto da quello che vide: l'hacker era riuscito a mascherare la sua identità con un falso nome utente, ma lui riconobbe il codice del terminale. Era quello di Vaner. Ripercorse l'ultimo quarto d'ora a mente. Come lei aveva identificato l'obiettivo e l'aveva intontito con il sedativo subito prima di separarsi dalla squadra. Grimes non sapeva bene cosa volesse dire, ma di una cosa era sicuro: Forsythe si sarebbe incazzato come una bestia. Premette un interruttore per collegarsi con Spirn. “Tenente, ho appena avuto modo di confermare che il vostro uomo è il fratello del bersaglio.”

“Ricevuto. Cosa vuole che faccia?”

Grimes mise in moto il cervello. Forsythe sarebbe flippato comunque, ma si sarebbe imbestialito ancora di più se avesse saputo che stava no scarrozzando un civile innocente.

“Quando si esaurisce l'effetto del sedativo?” chiese.

“Dovrebbe durare ancora una ventina di minuti, poi tornerà lucido. Si sentirà un po' stordito e probabilmente gli verrà un mal di testa fortissimo, ma a parte questo starà bene.”

“Ok. Mollatelo.”

“Signore?”

“Mi ha sentito” sbottò lui, col sudore che gli scorreva giù per la schiena. “Accostate alla prossima panchina di un parco e lasciatelo lì.”

“Ricevuto” disse Spirn con voce calma, anche se Grimes percepiva un certo scontento dietro il tono del soldato. Non gli importava. Che se ne andasse a fanculo. Cinque minuti dopo, il camion nero si allontanò a tutta velocità dal vicolo in cui avevano mollato Jasper, con il furgone del la FedEx che lo seguiva a ruota. Grimes premette il pulsante per la richiamata rapida e udì la voce del suo capo all'orecchio.

“Houston,” disse, “abbiamo un problema.”

 

Il cellulare di Nava le vibrava contro il fianco. La chiamata veniva di rettamente dall'ufficio di Forsythe. Evidentemente l'avevano smascherata. Spense il telefono e si concentrò sulla sua missione, domandando si quanto ci avrebbero messo a rintracciarla.

Poi si rese conto che l'avevano già fatto.

Grimes aveva senz'altro inviato un segnale al telefono e l'aveva rintracciata prima di farla chiamare da Forsythe, il che significava che sapevano dov'era. Doveva sbrigarsi. Già sarebbe stato un bel problema perdere Caine, ma se la arrestavano non avrebbe avuto scampo.

Riaccese il telefono, che si mise subito a squillare. Ignorandolo, Nava scese dal marciapiede in strada con il braccio alzato, sapendo che il suo destino era nelle mani del primo tassista che si fosse fermato.

 

“L'avete rintracciata?” chiese Forsythe.

“Sì. Per un attimo abbiamo perso il segnale, ma ora ci arriva forte e chiaro, si sta spostando verso sud a cinquanta chilometri all'ora.”

“Puoi collegare il segnale al satellite?”

“Già fatto” disse Grimes. “Ha preso un taxi. Ha appena imboccato la West Side Highway.”

“Manda la squadra per intercettarla.”

“Sono già per strada. Dovrebbero bloccarla nel giro di qualche minuto.”

“Chiamami appena l'hanno presa.”

Forsythe tagliò la comunicazione e si mise a camminare avanti e indietro per il suo ufficio. Si chiese se Vaner sapesse qualcosa che lui non sapeva. Se così era, allora con tutta probabilità Caine era esattamente quello che Tversky pensava che fosse. E adesso l'avevano perso. Ma almeno non avevano perso lei. Una volta nelle loro mani, si sarebbe pentita del suo tradimento. Amaramente.

16

Abdul Aziz non fu molto sorpreso quando l'uomo al volante del camion nero schiaffò una sirena lampeggiante sul cruscotto e gli fece cenno di accostare. Avrebbe dovuto capire che quella donna era nei guai quando gli aveva dato il centone.

Diede una rapida occhiata al suo strano passeggero e poi riportò gli occhi sulla strada. Quando ebbe accostato, quattro uomini saltarono giù dal camion e circondarono il taxi, con le pistole spianate. Aziz vedeva le macchine che rallentavano per dare una sbirciatina all'arresto.

“Tutti e due. Smontate dalla macchina e mettete le mani sulla testa. Subito!”

Aziz non se lo fece dire due volte. Sapeva quello che faceva la polizia alla gente del suo colore anche in circostanze migliori. Figurarsi in questa. Muovendosi al rallentatore, sbloccò la sicura e tirò la maniglia. Scese dal taxi e alzò le mani bene in alto sulla testa.

“In ginocchio!”

Aziz obbedì. Appena il suo ginocchio destro toccò il marciapiede, un paio di mani lo spinsero faccia a terra mentre un altro gli metteva le braccia dietro la schiena e lo ammanettava. Uno scarpone gli premeva sul collo, schiacciandogli la guancia contro il ghiaietto.

“Che cazzo sta succedendo?”

“Dove diavolo è andata?”

“Oh merda!”

Pochi secondi dopo un uomo lo tirò su per i capelli. “La donna dove l'hai lasciata?”

“Da nessuna parte” rispose Aziz. Mugugnò mentre uno scarpone gli si posava sull'addome.

“Non sono qui per cazzeggiare. Te lo chiedo di nuovo: dove l'hai lasciata?”

“Vi prego, non fatemi male! Vi sto dicendo la verità!” boccheggiò Aziz. “Sul taxi non c'è neanche salita! Mi ha solo dato...”

“Signore!” urlò una voce, interrompendo Aziz. “Penso sia meglio che venga a dare un'occhiata qui.”

La mano lasciò andare i capelli e Aziz batté il mento contro il marciapiede. Si sentiva il sangue in bocca. Prima che potesse muoversi, la mano era tornata e lo stava di nuovo tirando su per la testa.

“É questo? É questo che ti ha dato?”

Aziz fissò il piccolo telefono argentato che gli stava mostrando l'uomo.

“Sì. L'ha messo sul sedile di dietro e mi ha detto di andare a downtown e mollarlo davanti a un palazzo di uffici su Broad Street. Ho fatto qualcosa di male?”

 

Caine aveva un desiderio improvviso di scappare: saltare su un taxi e farsi portare all'aeroporto La Guardia, prendere il primo volo per qualunque destinazione senza voltarsi mai indietro. Sarebbe stato così facile, lasciarsi tutto alle spalle e basta. Ricominciare, in un posto nuovo, dove la gente non sapeva chi era né che casino aveva combinato con la sua vita.

Ma come tutte le fantasie di evasione, era impossibile. Non c'era un singolo posto sul pianeta Terra dove avrebbe potuto sfuggire alla sua malattia. Ovunque fosse andato, la bomba a orologeria installata nel suo cervello l'avrebbe seguito. Giurò a se stesso che se il farmaco del dottor Kumar avesse funzionato sulla lunga durata, si sarebbe fatto un bell'esame di coscienza e avrebbe cominciato ad apportare qualche serio cambiamento alla sua vita. Ma prima di poterlo fare, doveva sbrigare un paio di faccende, tra cui pagare Nikolaev e non mettere mai più piede in una bisca.

Sospirò e si avviò verso il vecchio negozio di dischi dove andavano lui e Tommy ogni volta che venivano a Manhattan. Quando girò l'angolo, vide che l'amico era già lì.

Il buon vecchio Tommy, sempre puntuale. Portava una giacca invernale dei NY Giants, probabilmente la stessa che aveva alle superiori. Era appoggiato a una vecchia Chevrolet e aveva con sé una grossa ventiquattrore argentata. La salvezza di Caine. Si domandò se valeva il prezzo del rispetto di sé, ma sapeva di aver già preso la sua decisione.

Quando Tommy si girò e gli sorrise, Caine non potè fare a meno di ricambiare l'espressione di gioia contagiosa del vecchio amico. Accennò un saluto con la mano e affrettò il passo per colmare la distanza che li separava. Quando lo raggiunse, gli tese la mano e i due si strinsero per un attimo prima di lasciare ricadere le braccia lungo i fianchi. Caine ebbe un'improvvisa sensazione di déjà vu mista a terrore, ma la scacciò dalla mente. Tommy era lì con i soldi.

Cosa poteva andare storto?

 

Tversky rimase senza fiato quando vide David Caine. Julia non si era sbagliata. E anche se lui l'aveva immaginato, adesso si rendeva conto che fino a quel momento non ci aveva creduto davvero. Ma ora la prova era lì in piedi, quindici metri sotto di lui.

Se il resto della profezia di Julia si fosse avverato, lui avrebbe ottenuto quello che gli serviva. Con le dita tremanti, Tversky inserì il codice di sei cifre. Il dispositivo adesso era attivato. Era rimasto tanto sorpreso quanto orripilato dalla facilità con cui aveva costruito la bomba telecomandata. Le istruzioni su internet gli avevano detto tutto quello che c'era da sapere. Aveva comprato ogni pezzo per l'equipaggiamento su Radio Shack, persino le pallette per la granata. Tutto, s'intende, a parte la polvere da sparo che aveva preso dalle cartucce per fucile comprate da Trike.

Ricontrollò le tre telecamere puntate sul marciapiede attorno alla macchina. Ciascuna era collegata al suo portatile. Lui guardava lo schermo come fosse un film, sapendo che il pezzo forte era subito dietro l'angolo. Si sorprese a sussurrare delle scuse.

“Mi dispiace, David. Vorrei poter fare altrimenti.”

Guardò l'ora. Altri dieci secondi. Respirò in modo regolare: se David doveva proprio morire nell'esplosione, che almeno fosse una morte veloce.

 

Dall'altro lato della strada Nava tolse la sicura alla pistola mentre osservava David che prendeva la ventiquattrore dall'uomo con la giacca dei NY Giants. Tese le orecchie per sentire quello che si stavano dicendo, ma la cimice nel trasmettitore all'improvviso mandò un sibilo acuto.

Avrebbe voluto ignorare quell'anomalia, ma tutti gli anni di esperienza e l'istinto presero il sopravvento. Quel sibilo non era da sottovalutare. Le trasmissioni elettriche potenti come quella non vengono inviate a caso nell'etere. Avevano uno scopo. Ripensò al suono e intanto scrutò i palazzi adiacenti coperti dai ponteggi. Poi lo vide.

In piedi sul tetto quasi di fronte a lei c'era un uomo con in mano una scatola con una piccola antenna. Una sensazione di terrore le strinse la bocca dello stomaco. Qualunque cosa fosse stata azionata da quell'uomo doveva trovarsi in prossimità di Caine. Poi la vide: una piccola forma scura nascosta sotto la Chevrolet. Non poteva essere una coincidenza. Il messaggio di Julia, l'appuntamento di Caine, l'uomo con il telecomando, il pacco.

Poteva essere una sola cosa.

 

“BOMBA!”

Caine si girò verso la donna che urlava dall'altro lato della strada e provò un incredibile senso di déjà vu. Senza nemmeno pensarci, indietreggiò di un passo da Tommy e gli mise davanti la ventiquattrore come scudo. All'improvviso ci fu un'enorme ondata di aria calda e un rumore dirompente che gli strinse il cuore e gli fece rizzare i capelli.

Caine si sentì sollevare da terra mentre un getto di fuoco squarciava il marciapiede. Stava volando per aria, girando su stesso, con le braccia aperte come un Superman colpito da una mano mostruosa. Fu un atterraggio duro, si tagliò i palmi delle mani e si fracassò il ginocchio sinistro contro il marciapiede, che arrestò la sua caduta.

Rimase steso a terra, nel tentativo di respirare. Aveva male dappertutto. Si girò di schiena e cercò di tirarsi su a sedere, ignorando il dolore bruciante alle mani. La strada si era trasformata in un inferno. Socchiuse gli occhi per guardare attraverso il fumo scuro e fitto che si riversava da un grosso pezzo di metallo ritorto all'incrocio, mezzo isolato più avanti. Riusciva a scorgere tre figure distinte al centro delle fiamme, anche se si stavano rapidamente fondendo in un unico gigantesco ammasso. Una serie di fuocherelli minori crepitavano ai margini dell'esplosione principale, soffiando avanti e indietro.

“Tommy!” urlò. Il fumo gli bruciava gli occhi. Cercò di alzarsi in piedi ma appena poggiò il peso sulla gamba sinistra le ossa della rotula frantumata si schiacciarono e lui crollò a terra. Il mondo divenne nero. Quando tornò a fuoco, Caine era steso su un fianco e si stringeva il ginocchio distrutto con le mani insanguinate.

Percepì la seconda esplosione un attimo prima che arrivasse. L'aria rossa e rovente gli passò accanto al viso e il marciapiede singhiozzò mentre il mondo si riempiva di nuovo di un boato apocalittico. Caine girò il collo per guardare verso la strada.

Un'altra macchina esplose, provocando una pioggia di frammenti infiammati di metallo e vetro. Lui si coprì la faccia mentre le schegge gli ricadevano attorno. Quando tornò a guardare, c'era una targa conficcata nel marciapiede a pochi centimetri dalla sua testa. Doveva muovere il culo da lì. La sua fortuna non sarebbe durata all'infinito e la prossima doccia di fuoco metallico probabilmente l'avrebbe ammazzato.

Riprovò ad alzarsi, stavolta mettendo tutto il peso sulla destra e usando un idrante lì vicino come stampella. Ce l'aveva quasi fatta quando il piede sinistro s'incastrò contro il bordo del marciapiede e il ginocchio si storse malamente.

Quel dolore era diverso da qualunque cosa avesse mai provato prima: gli sembrò che gli stessero strappando la gamba, rigirandola come un pezzo di mou. Madido di sudore, Caine si morse la lingua tanto da farsela sanguinare e si costrinse a guardare in basso.

All'inizio rimase confuso: si guardò il piede destro, poi di nuovo il sinistro. A quella vista quasi svenne: la sua coscienza lo supplicava di defilarsi, ma lui non glielo permise e si morse la lingua ancora più forte, mentre un fiume di sangue salato gli riempiva la bocca.

Aveva il piede girato di centottanta gradi, rivolto verso la schiena. Era impossibile arrivare in fondo all'isolato in quelle condizioni. Doveva raddrizzarsi la gamba. Al solo pensiero il suo stomaco sobbalzò e sentì la bocca piena di un acido che gli bruciò la lingua lacerata. Sputò sul marciapiede una mistura mucosa di bile e sangue.

Saltellò fino al muro dell'edificio, gemendo a ogni passo per il dolore mentre sbatteva con la gamba storta sul marciapiede. Cadde contro l'edificio proprio mentre lo investiva un'ondata di nausea e stordimento. Si guardò la gamba, ma quella vista non sortiva più alcun effetto: era in stato di shock.

Un'altra macchina esplose con un rombo spaccatimpani. Di nuovo quella pioggia di metallo mentre Caine si copriva la testa. Quando aprì gli occhi vide un parafango avvolto attorno all'idrante contro cui lui era appoggiato poco prima. Premette forte la schiena al muro e cercò di non pensare al dolore; allungò entrambe le mani verso la gamba e con un solo rapido gesto la riportò in posizione naturale.

Agonia.

Pura e assoluta agonia. Il sudore gli annebbiò la vista, gli sembrava di guardare la strada dall'interno di un acquario. La macchina davanti a lui s'incendiò. Caine non potè fare altro che fissarla, ipnotizzato. Il fuoco si propagò sui sedili lussuosi di pelle nera, come una vecchia gatta che stira pigramente le zampe. Poi le fiamme si animarono di vita propria, allungandosi come una lingua sul volante, il cruscotto, il tettuccio. Il volante cominciò a sciogliersi, ripiegandosi su se stesso mentre i sedili si liquefacevano sotto i suoi occhi, perdendo la loro forma, il loro senso.

All'improvviso,

...

La macchina davanti a lui esplode. Salta per aria in mille pezzi, al rallentatore. Schegge di vetro sfrecciano dalla cornice dei finestrini in tutte le direzioni mentre quarantasette taglietti gli lacerano il viso, le braccia, le gambe. Le portiere vengono strappate dai cardini, proiettando pezzi di metallo nel fumo come missili in miniatura. Uno si gira in volo e avanza parallelo al suolo verso l'addome di Caine.

Il bordo affilato gli squarcia la carne, penetrandogli lo stomaco come un coltello nel burro. Versino al rallentatore, succede tutto così in fretta che è indolore. Almeno finché il pezzo di metallo non gli mozza la spina dorsale. Un dolore elettrico gli si spande nella schiena con la forza di un giavellotto attaccato a un treno merci.

Caine sgrana gli occhi, tanto che per un attimo teme che gli schizzino dal cranio; sente lo scricchiolio inquietante del missile metallico che procede lungo la traiettoria: mentre il frammento va a schiantarsi contro il muro, si rigira su se stesso e distrugge quel che resta dei suoi organi interni, che si disintegrano al passaggio.

Caine muore.

 

Nava non aveva mai visto niente di simile alla reazione a catena innescata dalla prima esplosione, con il fuoco che si propagava come un tornado di fiamme, alimentato dal camion di benzina posteggiato dall'altro lato della strada. Si affrettò verso il punto in cui aveva visto Caine l'ultima volta ma non riuscì più a distinguerlo in mezzo a tutto quel fumo.

Cercò di raggiungerlo, ma tre veicoli irriconoscibili, ciascuno a un diverso stadio di decomposizione, le bloccavano la strada. Il primo era un telaio sciolto e amorfo, come un pezzo di cioccolato lasciato al sole. Il secondo era incandescente, ma si intravedevano ancora le sagome scure dei sedili e delle ruote. L'ultimo era una colonna di fuoco, un grosso pezzo di metallo ritorto completamente irriconoscibile.

Nava si affannò per aprirsi un varco tra i rottami, ma un muro di fiamme bloccava ogni accesso. Camminò avanti e indietro come una leonessa in gabbia, in cerca di una via per raggiungere Caine, ma a meno che non fosse caduto un ponte dal cielo, era impossibile che ci arrivasse in tempo.

 

Caine aprì gli occhi e prese un'enorme boccata di fumo. Subito si mise a tossire. Prima era morto, ma adesso era vivo. Che diavolo era successo? Si guardò il tronco: era intatto, ma il ginocchio era ancora maciullato. La macchina davanti a lui era intera, anche se si scorgevano alcune fiamme che cominciavano a propagarsi sul sedile.

Doveva essere svenuto... o forse aveva avuto un'altra visione. Ma gli era sembrata così vivida, così reale. Ricordò il metallo che gli penetrava nello stomaco e il dolore indescrivibile mentre gli mozzava la spina dorsale. Cristo, forse era davvero impazzito. Forse...

Le fiamme si propagarono nella macchina davanti a lui. Era uno spettacolo ipnotico. Un déjà vu, di nuovo. Strinse forte gli occhi, cercando di scrollarsi di dosso quella sensazione. Visione o no, se la macchina fosse esplosa lui sarebbe morto. Cercò di spostarsi, ma un'altra fitta di dolore gli penetrò il ginocchio. Non ci riusciva. Per andarsene gli ci sarebbe voluto un miracolo, e subito.

Caine non era mai stato religioso, ma pensò che non era mai troppo tardi per diventarlo. Chiuse gli occhi e pregò e scoprì qualcosa di assolutamente inatteso: vedeva ancora.

 

...

Le fiamme, la strada e lui stesso intrappolato nel mezzo, ferito e insanguinato. Si osserva mentre scaglia un rettangolo...

...

 

Un'altra esplosione fece tremare la strada, strappandolo dalla sua trance. All'improvviso Caine capì cosa doveva fare. Senza pensarci un attimo, allungò una mano e afferrò il manico della ventiquattrore metallica. Con tutta la forza che aveva, tirò indietro il braccio e lo fece scattare di nuovo in avanti, lasciando andare il rettangolo...

...

...argentato.

La valigetta vola per aria e ricade schiantandosi sul cofano di una macchina posteggiata accanto a quella davanti a lui. Caine si accascia all'indietro contro il muro, pronto ad accogliere il suo destino quando la macchina esplode. Mentre il tettuccio si solleva, la ventiquattrore di metallo schizza dall'altro lato della strada come un missile Scud. Rimbalza contro il muro dell'edificio e scivola sotto il fuoristrada, lasciandosi dietro una scia di scintille infuocate che accendono una pozza di benzina e provocano un'altra esplosione. Il fuoristrada si solleva da terra e va a sbattere contro il ponteggio dell'edificio.

Si innesca la reazione a catena.

 

Un oggetto argentato volò per aria e poi il fuoristrada esplose, schiantandosi contro l'edificio con un enorme botto, mentre mattoni e pezzi di ponteggio piovevano sul marciapiede. Se Nava non fosse stata sicura del contrario, avrebbe giurato che qualcuno aveva appena lanciato una granata. Udì un cigolio metallico sibilare nell'aria, e sussultò. Guardò in alto ma non c'era niente da vedere, a parte la gigantesca scala antincendio che si snodava sull'edificio.

C'era tanto di quel fumo che sembrava oscillare leggermente da una parte all'altra. Nava udì un altro cigolio. Guardò meglio e rimase a bocca aperta. La scala sembrava oscillare perché stava oscillando. Probabilmente quando l'esplosione aveva tirato giù il ponteggio ne aveva distrutto alcuni supporti. Questo, combinato con il calore, doveva averne indebolito la struttura. Un altro cigolio, stavolta più rumoroso. Sembrava che dovesse crollare da un momento all'...

Con un ultimo stridio di metallo lacerato, la scala antincendio si staccò dall'edificio e ricadde penzoloni verso terra.

 

Il tempo ha un andamento circolare e ciclico.

La stessa scala antincendio continua a schiantarsi per terra.

Atterra in mezzo alle fiamme e comincia a sciogliersi.

(loop)

Caine lancia la ventiquattrore, la macchina esplode, la ventiquattrore rimbalza contro l'edificio. Scintille di fuoco infiammano la benzina sotto il fuoristrada. Altra esplosione. Il ponteggio crolla, la scala antincendio cade e si spezza in due punti per l'impatto.

(loop)

Caine lancia la ventiquattrore, la macchina esplode, la ventiquattrore rimbalza contro l'edificio. Scintille di fuoco infiammano la benzina sotto il fuoristrada. Altra esplosione. Il ponteggio crolla, la scala antincendio cade e si ferma bruscamente, resta sospesa nell'aria ancora attaccata all'edificio, puntando verso il cielo con un angolo di quarantacinque gradi.

(loop)

Le immagini si velocizzano, il cervello di Caine a stento riesce a interpretare ciò che vede prima che questo giri. Infinite volte, Caine mette in moto la sequenza di eventi che provoca il crollo della scala antincendio finché questa non cade... bene.

 

Nava schivò per un pelo la scala antincendio mentre si schiantava sulla strada con un rimbombo assordante. Il traliccio metallico rimase miracolosamente intatto, appena un po' piegato nel punto in cui attraversava la fila di camion in fiamme. Per un attimo Nava rimase a fissare la scala incredula. Poi capì: ecco il suo ponte.

Si sfilò il cappotto sottile e con una rapida mossa del pugnale tagliò tre lunghe strisce di stoffa, se ne avvolse due attorno alle mani e una attorno alla bocca e al naso. Montò sulla scala ignorando le fiamme sottostanti, e avanzò lentamente a quattro zampe sul metallo spezzato.

Questo aveva già cominciato a scaldarsi, ma la giacca strappata le proteggeva le mani. Nava si spostò rapida verso la cima, felice di essersi esercitata nell'arrampicata sul Gora Narodnaya, negli Urali del Nord. Il fumo e il sudore che le grondava dalla fronte rendevano quasi impossibile vedere, ma lei proseguì, avanzando a tastoni lungo la scala di metallo spaccata. Si fermò, si accucciò, afferrando i montanti di metallo rovente con le mani avvolte nella stoffa, e guardò fisso avanti a sé. Era a un metro dal punto più alto della scala. Il suo obiettivo era dall'altro lato del muro di fuoco.

Cercò con lo sguardo un posto sicuro su cui atterrare, ma non c'era. Le fiamme imperversavano da entrambi i lati: poteva solo andare avanti. Guardò di nuovo e in effetti, non ne era certa, ma le sembrava di intravedere l'altro lato del ponte oltre il muro di fuoco: era incandescente, ma non era ancora in fiamme. Era l'unica via possibile.

Resistette all'impulso di fare un profondo respiro, perché l'aria era nera e fuligginosa. Si accovacciò, concentrando tutta la forza nei polpacci, e saltò in avanti con le braccia aperte.

 

Il mondo si sposta.

C'è una bellissima ginnasta.

Sale sulla scala antincendio e con un salto attraversa il muro di fiamme alto sei metri; si allunga per afferrare un pezzo di metallo bianco rovente, lo manca. Cade sulla carcassa in fiamme di un camion, urla di dolore.

(loop)

Lui lancia la ventiquattrore. Si innesca la reazione a catena. La scala antincendio cade, creando un ponte. La ginnasta sale sulla scala e inciampa prima di tentare il salto, si dibatte, cade dal ponte di metallo in un fuoco roboante di benzina.

(loop)

Lui lancia la ventiquattrore. Si innesca la reazione a catena. La scala antincendio cade, creando un ponte. La ginnasta sale sulla scala e con un salto attraversa le fiamme, compie una capriola in aria dandosi la spinta su un pezzo di metallo bianco rovente mentre uno dei camion esplode e i frammenti di metallo la trafiggono in volo.

(loop)

Caine guarda la donna morire cento volte. Mille. Un milione. E poi...

Anche se il metallo si mosse per la spinta improvvisa, Nava riuscì a fare un salto pulito. Una volta in aria si raddrizzò, col corpo rigido. Le fiamme le scottarono le braccia, la pancia, le gambe... e poi le superò. Aprì le mani, aspettando di toccare il metallo dall'altro lato. E poi...

 

...richiuse le mani attorno a quella che le sembrò un'asta di fuoco, e si tenne. Allentò appena un poco la presa e con il peso del corpo girò le mani attorno all'asta, piegandosi all'indietro, poi si lasciò andare. Volò verso il basso con i piedi in avanti. Era un volo di appena tre metri: se la sarebbe cavata, a meno di non atterrare su uno spuntone di metallo.

Cadde sul terreno e subito si accovacciò. Prima di avere il tempo di prendere fiato, Nava udì un cigolio metallico. Si allontanò di corsa, avanzando a zigzag tra i resti di acciaio in fiamme. Una volta al sicuro, girò la testa all'indietro e vide la scala antincendio che crollava tra le fiamme.

Continuò a correre.

 

Adesso la ginnasta stava correndo verso di lui, sopravvissuta alla prova del fuoco. Caine si domandò se fosse già morto e se la donna non fosse una specie di angelo.

“Ce la fai a camminare?” gli chiese l'angelo, arrivato in un lampo davanti a lui.

Caine la fissò. Cosa si può dire a un angelo? Lei non attese risposta. Invece si chinò e se lo caricò in spalla. Caine gridò per il dolore lancinante al ginocchio, ma lo spirito non ci fece caso e si mise a correre.

Caine guardò la macchina alle loro spalle che esplodeva, come aveva previsto. Stavolta accadde in tempo reale, non al rallentatore. Il vetro si infranse e schegge di metallo affilate come rasoi schizzarono dalla macchina contro il muro. Solo che stavolta lui non era lì davanti.

Sarebbe morto se l'angelo non l'avesse portato via. Gli si girò di nuovo il ginocchio, con ondate di dolore elettrico che gli attraversavano tutto il corpo. Adesso che era tra le braccia dell'angelo, Caine non aveva più bisogno di ancorarsi alla propria coscienza.

Perciò si lasciò andare.

17

Caine era più pesante via via che si abbandonava, ma Nava continuò a correre. Sapeva di muoversi solo grazie all'adrenalina: se si fosse fermata avrebbe rischiato di svenire. Doveva portarlo in un posto sicuro.

Senza fermarsi, strappò dalla spalla di Caine il minuscolo trasmettitore che gli aveva attaccato appena un'ora prima e lo buttò tra le fiamme. Adesso Grimes non aveva modo di seguire le loro tracce. Restava solo da capire dove potevano nascondersi.

Non poteva tornare a casa sua né tanto meno a quella di Caine. Né poteva rubare una macchina, perché lui stava perdendo molto sangue. Doveva trovare un posto dove riuscire a medicare le ferite. Alzò lo sguardo verso il cartello stradale verde e le venne un'idea.

L'appartamento in cui aveva incontrato Yi Tae-Woo era a pochi isolati di distanza. Nava non sapeva se l'Rdei lo usava in modo regolare o se l'avesse usato solo in quella occasione. Se fosse arrivata lì e ci avesse trovato più di due agenti sarebbe stato un suicidio. Caine gemette sopra la sua spalla. Nava non aveva scelta: doveva rischiare.

Continuò a camminare. Ancora tre isolati. C'era qualche pedone per strada, ma quelli che incrociò erano newyorchesi veraci e sapevano farsi gli affari loro. Nessuno fermò la bellissima mora che portava a spalla l'uomo con la gamba insanguinata. O c'era una buona spiegazione, oppure di certo non ci tenevano a chiedergliela.

Quando raggiunse l'edificio, Nava era stremata. Mentre saliva i cinque piani di scale, la schiena e le spalle le pulsavano sotto il peso di Caine. L'ultima rampa la fece trascinandosi, superando gli ultimi gradini per pura forza di volontà.

Stese Caine sul pavimento del corridoio e si avvicinò in silenzio alla porta. Tenendo la Sigsauer 9mm con entrambe le mani, fece un passo indietro e aprì la porta con un calcio. Controllò la stanza buia proprio come aveva fatto poche sere prima, ma stavolta non c'era nessuno. Fece un sospiro di sollievo e trascinò dentro Caine.

Quando la porta fu chiusa dietro di loro, Nava tastò la parete in cerca dell'interruttore. La lampadina nuda si accese e lei notò che la stanza era rimasta come l'aveva lasciata. Pareti spoglie, pavimento sporco di legno, il minuscolo cucinino, il frigorifero giallo. Niente fuori posto. Finalmente smise di trattenere il fiato e svuotò il contenuto dello zainetto sul pavimento.

La sua prima preoccupazione fu la sicurezza. Mise del mastice sia sopra che sotto la porta. Sarebbe stata una vera rottura toglierlo al momento di lasciare l'appartamento, ma nel frattempo avrebbe impedito a chiunque di coglierli alla sprovvista. Dopodichè si voltò a esaminare Caine. Era ridotto malissimo.

Aveva la faccia bianca come un lenzuolo e la camicia incollata al petto per il sudore. Entrambe le mani erano rosse e scarnificate, ma dopo un rapido esame stabilì che si trattava solo di ferite superficiali, niente di serio. Il vero problema era la gamba sinistra, ridotta a una pozza di sangue. Con il pugnale gli tagliò i jeans lungo la cucitura.

Il polpaccio era coperto di sangue, ma sembrava in buone condizioni a parte qualche graffio e livido. Il sangue veniva dal ginocchio. Nava glielo tastò con delicatezza per verificare i suoi sospetti: la rotula era interamente maciullata. Sotto la carne lacera si vedeva la cartilagine giallo-bianchiccia scoperta.

Nava si tolse le bende dalle mani e stese ciò che rimaneva della sua giacca sul pavimento. Certo non era l'ambiente più sterile del mondo, ma bisognava accontentarsi. Estrasse una serie di bisturi e siringhe dal suo kit da campo. Stava per iniettare a Caine cento milligrammi di Demerol quando ricordò le parole di Forsythe: Per questa missione consideri che qualsiasi cosa è possibile e tutto è probabile.

Era poco verosimile, però... Imprecò tra sé. Non poteva correre il rischio. Mise via la siringa, spezzò una fiala di sali da fiuto e gliela sventolò sotto il naso. Per un paio di secondi lui agitò la mano inconscia mente, come per allontanarla, poi aprì gli occhi. Lei lo guardò fisso, di persona, per la prima volta.

Nonostante fosse debilitato, Caine aveva uno sguardo intenso e provocatorio, di un verde smeraldo profondo. Girò di scatto la testa a sinistra e a destra per cercare di capire dov'era prima di riportare lo sguardo su di lei.

“E tu chi sei?” le chiese tossendo.

“Mi chiamo Nava. Sono qui per aiutarti, ma devo chiederti un paio di cose...”

“Aiutarmi come?” Caine cercò di tirarsi su a sedere, ma lei lo bloccò per le spalle. Le sue gambe sfregarono contro il pavimento e lui sussultò. “Il ginocchio...”

Nava annuì. “Sei allergico al Demerol?”

“Non posso prenderlo” disse lui boccheggiando.

“Allora del...”

“No,” la interruppe lui, col respiro pesante, “non posso prendere niente, sto...” Batté le palpebre e digrignò i denti. “Sto prendendo un farmaco sperimentale e non posso prendere altri medicinali perché... per eventuali interazioni.”

“Merda” mormorò lei fra sé e sé. “Devo bloccare l'emorragia e stabilizzarti la gamba. Ti farà male.”

Caine annuì. “Fai quello che devi fare. Basta che non usi medicine.”

“Va bene” disse lei con voce titubante. Stava per cominciare quando all'improvviso la stanchezza le crollò addosso. Prese un'altra siringa dal kit da campo e se la piantò nella coscia. Sentì il cuore perdere un battito quando le metanfetamine le entrarono in circolo. A un tratto sveglissima, prese un bisturi dalla tovaglia improvvisata e fece la prima incisione.

 

“Dov'è?” Forsythe era furibondo.

“Stiamo cercando dappertutto, ma gliel'ho detto, è appena Scomparso” gli ripetè Grimes per la cinquantesima volta.

“Raccontami di nuovo com'è andata.”

“Quando mi sono reso conto che l'agente Vaner aveva ingannato la squadra, ho rintracciato tutti i suoi trasmettitori, perché immaginavo che ne avesse usato un altro per marcare il vero bersaglio. A quel punto ho agganciato la trasmissione.”

Grimes fece partire un'altra volta il video filmato da uno dei satelliti dell'Nsa a duecentoquaranta chilometri dalla superficie terrestre, alle ore 18.01 e tre secondi.

“Ok, questo qui è David Caine” disse, indicando la cima della testa di un uomo sullo schermo. “Qui può vedere l'altro tizio che gli consegna una ventiquattrore.”

“Sappiamo chi è o perché si sono incontrati?” chiese Forsythe.

“Potrebbe essere il fattorino di una pizzeria. Come diavolo faccio a saperlo? Tutto questo è successo appena un'ora fa.”

Forsythe lo guardò torvo in silenzio finché Grimes non riprese. “Comunque, venti secondi dopo lo scambio, questa macchina esplode. Ma se la si guarda con gli infrarossi...” Grimes fermò l'immagine, poi tornò indietro di qualche fotogramma e zoomò su un quadratino accanto al piede di Caine:”...si nota che non è la macchina a esplodere, ma questa scatola. Quando l'ho visto, ho allargato l'inquadratura”.

L'immagine si allargò. Poi Grimes zoomò su una forma scura in ci ma a un edificio. “Anche se non sono sicuro al cento per cento, mi pare che questo tizio abbia in mano un qualche tipo di telecomando.”

“Stai dicendo che...?”

“Che qualcuno ha cercato di far saltare in aria David Caine. Già, è esattamente quello che sto dicendo.”

“Cristo” disse Forsythe, perdendo per un attimo il suo aplomb. “É stata Vaner?”

“No, però magari era da quelle parti” Grimes indicò di nuovo lo schermo, che procedeva al rallentatore “a quanto pare l'esplosione originaria ha innescato una intricatissima reazione a catena. Per via del cantiere, c'erano un sacco di camion posteggiati lungo la strada, oltre a un paio di bidoni di benzina per il rifornimento: il che non è il massimo quando c'è del fuoco.”

Uno dopo l'altro, i camion esplosero silenziosamente sul monitor.

“A questo punto arriva lei.” Grimes fermò l'immagine su una vista dall'alto della testa di una donna. “Sfortunatamente, non c'è un'inquadratura chiara del viso. Potrebbe essere Vaner, ma potrebbe essere pure mia madre. É impossibile stabilirlo.” Premette un altro pulsante e il video continuò.

“Vede? Arriva sparata da dietro l'angolo, come una scheggia.”

“Magari stava scappando dalle fiamme” suggerì Forsythe.

Grimes scosse la testa. “Col cavolo. Quella sta correndo verso le fiamme. A meno che non sia una piromane, direi che andava dritta verso il nostro ragazzo.” Grimes toccò lo schermo con il dito e tracciò una linea immaginaria dalla donna al soggetto, che era appoggiato a un muro a metà dell'isolato.

“Poi che è successo?”

Grimes alzò le spalle. “Boh, l'ultima immagine che abbiamo è quella della donna che corre verso la fila di camion in fiamme. Dopodichè c'è troppo fumo per vederci qualcosa.”

“E gli infrarossi?”

Grimes ruotò sulla poltrona girevole per guardare in faccia il dottor Jimmy, come per dire Non mi venga a spiegare come si fa il mio mestiere.

“Oh cielo, come ho fatto a non pensarci prima? Ah, sì, in effetti ci avevo pensato. Il calore delle fiamme ha reso inefficaci gli infrarossi. Quando il fumo si è dileguato, erano entrambi scomparsi.”

“E il trasmettitore che stava usando Vaner?”

“Si è spento un paio di minuti dopo l'esplosione.” Forsythe restò in silenzio un attimo prima di decidere che in qual che modo era colpa di Grimes. “Nessuno, ripeto, nessuno tornerà a casa finché non avrete trovato il soggetto Beta. Chiaro?”

“Mah, come vuole lei” sospirò Grimes.

Forsythe uscì a grandi passi dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

Grimes lo seguì con lo sguardo. “Rompicazzo.”

 

“Tommy” boccheggiò Caine. “É morto, vero?” chiese.

“Non lo so” rispose la donna, ma lui non riusciva a crederle. Evitando il suo sguardo, lei continuò a medicargli il ginocchio. Era quasi un sollievo, la mera fisicità del dolore lo aiutava a smorzare il trauma della morte dell'amico. Si sentiva tremendamente in colpa. Se non l'avesse chiamato, Tommy non si sarebbe mai trovato lì. Avrebbe continuato a vivere la sua vita. E adesso... adesso era morto.

“L'esplosione l'ha sbalzato nella direzione opposta alla tua. Magari è riuscito a farcela. Tu ce l'hai fatta.” La donna lo guardò negli occhi. “Mi dispiace per il tuo amico. Ma se vuoi sopravvivere a tutto questo sarà meglio che non ci pensi più. Quanto meno non ora.”

Caine la guardò male. Chi era quella donna per dirgli che non doveva piangere un amico? All'improvviso si sentì sopraffatto dalle emozioni. Senso di colpa, confusione, gratitudine, dispiacere, paura, rabbia. Ciascuna lo sommergeva come un'onda, si abbatteva su di lui e poi si ritraeva per lasciare spazio alla successiva. Respirò a fondo e si asciugò il naso.

La strana donna ebbe abbastanza tatto da non privarlo della sua dignità: finse di guardare fuori dalla finestra scura mentre lui batteva le palpebre per trattenere le lacrime. Quando si fu ripreso, lei tornò a medicargli il ginocchio. Per qualche motivo, Caine aveva la sensazione che gli facesse meno male.

“Cos'hai fatto?” le chiese.

“Ho creato un blocco nervoso. Dovrebbe attenuare il dolore, almeno finché non riparo il danno alla cartilagine.” 

Lui la osservò bene per la prima volta. Non aveva mai visto una donna in forma fisica migliore. La canottiera nera attillata le lasciava scoperti i muscoli tesi delle spalle e delle braccia. La pancia era piatta come una tavola, le gambe lunghe e potenti, senza un filo di grasso.

Aveva una pelle perfetta, di un colorito olivastro, i lineamenti marcati e scuri, e lunghi capelli castani tirati indietro in un'efficiente coda di cavallo, a rivelare un volto che sarebbe stato bello se solo avesse sorriso. La bocca, invece, era una riga serrata e orizzontale, gli occhi marroni freddi e vuoti.

“Ma tu chi sei?” le chiese infine.

“Mi chiamo Nava Vaner.”

“No, voglio dire... chi sei? Perché mi hai salvato? Cosa vuoi?”

“Questa è una domanda un po' più complessa.” Nava sospirò, asciugandosi la fronte sul retro del polso. “Io per prima non sono nemmeno sicura di saperlo.”

Caine rimase un attimo in silenzio. Poi disse una parola: “Provaci”.

 

Mentre Nava fissava David, le venne un intenso desiderio di raccontargli tutto. Era sola da tanto di quel tempo, e aveva impersonato le sue menzogne così bene, che aveva quasi dimenticato la verità. Parlare sarebbe stato un rischio, eppure aveva la sensazione che in qualche modo fosse la cosa più sana da fare. La voce che aveva nella testa, quella che l'aveva tenuta in vita nel corso di tutti quegli anni, le urlava di mentire.

Ma l'istinto le diceva che se gliel'avesse semplicemente raccontato sarebbe andato tutto bene. E poi c'era Julia. Fino a quel momento, tutto ciò che aveva detto si era avverato, ed era stata lei a riferirle che David Caine era l'unica persona di cui si poteva fidare. Nava continuò a pulirgli la ferita mentre rifletteva.

Sembrava che lui capisse. Non la incalzava né cercava di riempire il silenzio con chiacchiere inutili. Invece aspettava, stringendo i denti per le fitte di dolore mentre lei gli estraeva delicatamente dalla carne pezzi di metallo e schegge di vetro. Alla fine, alzò lo sguardo verso di lui. Era pronta.

“Ti ho mentito” disse, con voce ferma. “Il mio vero nome non è Nava Vaner, anche se è quello che uso da più di dieci anni. Quando sono nata, i miei genitori,” si fermò un attimo, sorpresa dall'emozione che provava al solo pensarli, “mia madre mi ha chiamata Tanja Kristina.” Nava fece un profondo respiro, finalmente pronta a raccontare la sua storia.

“Avevo dodici anni quando è morta.”