25

Caine individuò Jasper e provò un profondo senso di sollievo.

Era riuscito a barcamenarsi in quell'incubo e a uscirne. Ora tutto si sarebbe sistemato. Il gemello sapeva di certo cosa fare, come condurlo fuori dalle tenebre e riportarlo alla sanità mentale. Era un viaggio che aveva già fatto. Conosceva la strada.

Jasper si alzò e Caine lo strinse in un abbraccio caloroso. “Non hai idea di quanto sia bello vederti” gli disse.

“Invece sì” gli sussurrò all'orecchio. “Bentornato-scornato-ornato-perdonato.” Dopo essersi dati una pacca sulla spalla, i due si separarono e si sedettero. Caine scivolò sulla panca di fronte a lui, Nava si sistemò alla sua destra e Doc accanto a Jasper.

Prima che Caine potesse parlare, la cameriera piombò su di loro. Tutti ordinarono in fretta, più per sbarazzarsi di lei che per necessità. Non appena la donna si fu allontanata a sufficienza, Jasper si rivolse a Nava. “Sta' tranquilla, qui non ci sono cospiratori. Siamo al sicuro.” Quindi si protese in avanti e abbassò la voce. “Arriveranno presto, ma c'è tempo per dire a David ciò che deve sapere-cadere-avere-parere.”

Nava guardò Caine con aria interrogativa.

“É tutto a posto” disse Caine, dubitando delle sue stesse parole. Sebbene prima fosse certo che solo Jasper potesse salvarlo dalla sua fuga mentale, non ne fu più così convinto quando vide lo sguardo spiritato negli occhi del fratello. Eppure doveva provarci. “Jasper, io...”

“Mi dispiace, David, ma non ti dirò ciò che vuoi sentirti dire. Tutto questo,” disse disegnando con la mano un ampio arco sulla testa, “è reale come quello che ti è successo nelle ultime ventiquattr'ore. So che ti sembrerà assurdo, ma una volta che sarai dall'altra parte capirai.”

“Che stai dicendo?” A Caine si seccò la bocca. “Che anche il demone di Laplace è reale?”

“Sì e no” rispose Jasper.

Caine era esasperato. Su una cosa il fratello aveva ragione: non gli aveva detto quello che voleva sentire. Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Non era vero. Doveva uscire. Doveva svegliarsi. Sentì un colpo violento e sollevò di scatto le palpebre. Il pugno di Jasper era piantato in mezzo al tavolo e alcuni avventori seduti al bancone si erano voltati per vedere che cosa stava succedendo. Nava era furibonda e Doc sconcertato.

“David, mi devi ascoltare. Apri la mente a quello che ho da dirti: concedimi venti minuti. Dopodichè, se credi che io sia ancora matto - o se credi di esserlo tu - , potrai fare come vorrai. Ma dammi il tempo per spiegarti.”

Caine avrebbe voluto opporsi, ma lo sguardo implorante del fratello lo convinse a fare come chiedeva.

“D'accordo” disse, cercando di predisporre la mente all'orribile eventualità che quanto era successo dal momento in cui aveva assunto il farmaco sperimentale del dottor Kumar fosse vero. Proprio allora la cameriera tornò con le bevande: Coca per i gemelli, Red Bull per Nava e caffé per Doc. Poiché Caine non sapeva quando avrebbe avuto l'occasione di prendere un'altra pillola, ne ingoiò una in fretta.

“Bene” disse Jasper quando la cameriera si fu allontanata. “Mi hai chiesto se il demone di Laplace è vero e io ho risposto 'sì e no'. Mettiamo che la risposta sia un 'sì' assoluto e che tu ne sia la manifestazione fisica.”

“In quel caso,” replicò Caine, “saprei tutto, ma non è così.”

“Ma se tu sapessi tutto saresti in grado di prevedere il futuro, vero?”

“Sì, ma credevo che Heisenberg avesse dimostrato che...”

“Al diavolo Heisenberg” ribatté Jasper con un gesto della mano. “Ci arriverò. Per il momento limitati a rispondere alla mia domanda: se tu fossi il demone di Laplace e sapessi tutto, saresti in grado di prevedere il futuro. Sì o no?”

“Sì,” rispose Caine esasperato, “ma anche se sapessi tutto, il mio cervello avrebbe comunque bisogno di elaborare le informazioni, il che è impossibile.”

“Giusto” convenne Jasper con un sorriso.

“Ma se è impossibile, come posso essere il demone di Laplace?”

“Perché,” replicò il fratello, “non hai bisogno della capacità di elaborare le informazioni, ma solo di avere accesso alle informazioni. Mettila così: se volessi parlare con una persona che conosce solo il giapponese, che cosa faresti-presti-resti-mesti?”

“Non saprei... immagino che userei un dizionario. Oppure assumerei un interprete.”

“Esatto” disse Jasper. “Se avessi accesso agli strumenti che ti permettono di tradurre i tuoi pensieri in giapponese non avresti bisogno di saperlo parlare. In sostanza, affideresti l'elaborazione delle informazioni a una persona o a qualcos'altro, come un dizionario.”

“D'accordo” commentò Caine esitante. “Mi è chiaro dove vuoi andare a parare, ma non capisco come tu possa paragonare la traduzione di una lingua all'elaborazione di tutti i dati dell'universo.”

“Perché-giacché-poiché-parquet?” chiese Jasper.

“Perché anche con l'accesso ai dati, non esiste una forza intellettuale, che sia un essere umano o una macchina, in grado di elaborare tutte quelle informazioni.”

“É qui che ti sbagli” replicò Jasper. “Invece esiste.”

“E quale sarebbe?”

“L'inconscio collettivo.”

Caine fissò il fratello sforzandosi di capire. Ricordò che verso la metà del Novecento uno psicoanalista svizzero di nome Cari Gustav Jung aveva elaborato la teoria dell'inconscio collettivo, ma a parte quello era piuttosto digiuno di dettagli. Jasper notò il suo sguardo confuso e cominciò a spiegare.

“D'accordo, torniamo indietro. La coscienza come noi la conosciamo è intermittente. La maggior parte delle persone dorme una media di otto ore al giorno, quindi passa circa un terzo della vita in uno stato di incoscienza. Secondo Jung la coscienza, almeno in parte, è guidata e influenzata dall'inconscio.

“Jung divideva l'inconscio in tre categorie ben distinte. La prima include i ricordi personali che puoi ricavare volontariamente, come per esempio il nome del tuo insegnante di quarta elementare. Non ce l'hai sulla punta della lingua, ma sforzandoti è molto probabile che tu riesca a estrado dall'inconscio.”

“Come la memoria a lungo termine.”

“Oh sì-pulì-così-pipì” rispose Jasper annuendo con enfasi. “La seconda categoria è formata da ricordi personali che non si possono ricavare volontariamente. Sono le cose che un tempo si sapevano e non si ricordano più oppure traumi infantili rimossi. Quei ricordi appartenevano alla coscienza, ma per qualche strana ragione sono stati sepolti negli abissi dell'inconscio, talmente in profondità da non permettere più l'accesso.

“La terza categoria è l'inconscio collettivo, il cui contenuto non può diventare cosciente perché non ha mai fatto parte della coscienza. In sostanza, l'inconscio collettivo contiene un sapere di origine ignota-carota-remota-arrota.”

“Tipo?” chiese Nava.

“Un neonato sa succhiare quando gli viene offerto il capezzolo e sa piangere quando ha fame. Un cerbiatto muove i primi passi pochi secondi dopo la nascita. Quando le uova di pesce si schiudono, i piccoli escono e sanno già nuotare. E l'elenco continua. Tutte le creature nascono con doti fisiche e conoscenze complesse su se stesse e sul mondo che le circonda senza che la fonte sia nota.”

Caine aggrottò la fronte. “Ma io pensavo che il sapere fosse programmato nel Dna.”

“É quello che credono i biologi, non i fisici, e finora nessun biologo è riuscito a spiegare da dove provengano le informazioni originarie.”

“Non sono certo di seguirti.”

“Mettiamola così: siccome tutta la vita del pianeta si è evoluta da organismi semplici unicellulari, le informazioni con cui nasciamo sono state imparate prima che potessero essere codificate. C'è stato un primo neonato che ha dovuto imparare a piangere, un primo cerbiatto che ha dovuto imparare a camminare. Ma tutto ciò che gli scienziati sanno sulla biologia indica che le esperienze imparate non vengono tramandate ai figli.”

“D'accordo” replicò Caine. “Ma allora se la biologia non può spiegarlo, come può farlo la fisica?”

“Molti fisici - e psicologi - credono che il sapere innato delle creature viventi abbia avuto origine dalla coscienza, ma non dalla loro.” Jasper bevve un sorso di Coca prima di continuare. “Sai che secondo i fisici moderni la materia esiste sotto forma di onde e non di punti determinati nel tempo e nello spazio, vero?”

A Caine girava la testa. “Più o meno.”

Jasper sospirò. “Sarebbe tutto molto più semplice se tu avessi studiato fisica invece di statistica.”

“Otto anni fa, quando ho scelto la mia materia fondamentale, non prevedevo questa chiacchierata.”

“A dire il vero avresti dovuto, ma ci arriverò” replicò Jasper. “A che punto ero?”

“Hai detto che niente esiste in un punto determinato nel tempo e nello spazio.”

“Giusto-busto-fusto-gusto” replicò Jasper. “Devi sapere che fino all'inizio del Novecento si credeva ancora in quella che oggi viene chiamata fisica classica, formulata nel 1687 da Isaac Newton nei Principia. I cardini basilari della fisica classica erano le leggi newtoniane del moto, secondo le quali il moto dei corpi è determinato dall'azione delle forze che gravano su di essi.

“Queste leggi erano usate per spiegare qualunque cosa, dalle orbite planetarie all'accelerazione di un'auto. In pratica, secondo Newton, Dio aveva creato l'universo con un suo ordine interno regolato da leggi immutabili. Questa convinzione sembrò riflettersi nella società quando si diffuse il capitalismo e il mondo cambiò per obbedire alle cosiddette 'leggi' della domanda e dell'offerta.”

Vistosamente infiammato dalla sua conferenza, Jasper cominciò ad accelerare il ritmo. “Poi, nel 1905, Einstein sviluppò la sua teoria della Relatività ristretta. Einstein dimostrò che posizione, velocità e accelerazione, secondo Newton assolute, esistevano solo in relazione a qualcos'altro. Inoltre, e cosa anche più importante, dimostrò che il tempo stesso era relativo.”

“Ora dillo in parole povere, Jasper.” Caine guardò l'orologio. “E ti restano solo quattordici minuti.”

“Bene-iene-creme-tiene” replicò il fratello.

“Sarò più sintetico. Einstein disse due cose: primo, che la velocità della luce è costante a prescindere da dove ci si trova e da cosa si sta facendo” disse contando sull'indice. “Secondo, che le leggi della fisica sono percepite nello stesso modo da due osservatori che si muovono a una velocità relativa costante.

“Ciò significa che se tu e io ci troviamo su un treno che accelera vedremo il panorama nello stesso modo, ma se tu sei sul treno e io sono fermo sul binario, lo vedremo in modo diverso. Ho semplificato molto, ma almeno così è chiaro.”

Caine annuì, ricordando di aver visto gli alberi come una chiazza indistinta lungo il viaggio per Filadelfia.

“Se io fossi in un'astronave che viaggia a una velocità prossima a quella della luce, che è di 299.792,5 chilometri al secondo, accadrebbe un fenomeno bizzarro. Rispetto al tuo punto di vista, il tempo per me rallenterebbe. Una volta sceso dall'astronave, sarei più giovane di te.

“Quando Einstein lo dimostrò, spiegò che persino il tempo era relativo. Poi aggiunse che l'energia e la massa erano intrinsecamente legate: quanto più un corpo accelera, tanto più la sua massa sembra relativa a un corpo a riposo-pensoso-noioso-ritroso.”

“Fammi un esempio” disse Caine sperando di far rallentare il fratello a sufficienza per seguirlo.

“Certo. Quando sei seduto in un aereo che sta decollando, il tuo corpo viene spinto all'indietro contro il sedile, giusto? Come se fossi...”

“Più pesante” intervenne Caine.

“Esatto. Tuttavia appena l'aereo raggiunge l'altitudine di crociera e smette di accelerare ti senti di nuovo normale. É da qui che proviene la formula E = mc2: E è l'energia, m la massa e c la velocità della luce. Poiché e è una costante, quando l'energia aumenta, aumenta anche la massa. Perciò se sei seduto in un aereo che decolla, via via che quello accelera tu avrai un'energia cinetica maggiore di quella del tuo ambiente circostante, pertanto, su base relativa, sembrerà che il tuo peso aumenti.”

“Sì, ho capito” disse Caine. “Ma che cosa c'entra tutto questo con le onde?”

“Come ho detto prima, Newton pensava che la materia avesse una posizione precisa nello spazio e nel tempo, ma una volta che Einstein dimostrò come tutto fosse relativo, i fisici compresero che la materia non ha né una posizione assoluta né un'età assoluta. Ciò diede il via alla rivoluzione che portò all'evoluzione della relatività ristretta, che studia l'emissione e l'assorbimento dell'energia da parte della materia.

“A sua volta, ciò portò alla previsione e in seguito alla scoperta delle particelle elementari, cioè gli elementi fondamentali di tutta la materia, conosciuti come quark. Anche se i fisici hanno dimostrato l'esistenza di dodici diversi tipi di quark, sopra, sotto, fascino, strano, verità, bellezza... e le loro antiparticelle...”

“Un momento” lo interruppe Caine alzando la mano. “Sono i nomi degli elementi fondamentali della materia?” Rivolse uno sguardo a Doc, che durante la lezione di Jasper era rimasto stranamente in silenzio, quasi per avere la conferma o meno che il fratello aveva ormai perso del tutto la testa.

Annuì. “Ha ragione, Rainman. É così che si chiamano.”

“D'accordo” disse Caine massaggiandosi la testa. “Va' avanti.”

“Bene. Quindi, pur essendoci dodici tipi diversi di quark, tutta la materia della nostra realtà è formata solo dai quark sopra e sotto e da una particella elementare simile ai quark chiamata leptone.” Jasper prese fiato. “La cosa importante da capire è che i quark e i leptoni non sono veramente materia.”

“E allora cosa sono?” domandò Caine.

“Energia. Mi segui? Secondo la fisica quantistica, la materia non esiste veramente. Quella che i fisici classici pensavano fosse materia erano solo combinazioni di elementi fatti di atomi, che a loro volta sono fatti di quark e leptoni, ovvero energia. Perciò la materia è energia. “Prima di continuare, Jasper fece una pausa per permettergli di digerire i dati. “Ora indovina cos'altro è fatto di energia.”

Caine ricompose il mosaico. All'improvviso la spiegazione contorta del fratello cominciava a quadrare. “Il pensiero” rispose.

“Esatto. Tutto il pensiero conscio e inconscio viene creato tramite i neuroni che emettono segnali elettrici nel cervello. Capisci? Poiché tutta la materia è energia e tutto il pensiero è energia, la materia e il pensiero sono collegati. Ecco da dove proviene l'inconscio collettivo: l'inconscio condiviso e collegato di ogni creatura vivente che è stata, che è e che sarà-parà-urrà-voilà.

“D'accordo” replicò Caine cercando di concentrarsi sulle parole del gemello. “Anche se riesco a capire che può esistere una manifestazione metafisica dell'inconscio collettivo, non mi è chiaro come possa attraversare il tempo.”

“Perché il tempo è relativo” rispose Jasper. “Pensaci: l'unica cosa più veloce della luce è...”

“Il pensiero” finì Caine per lui, mentre l'ultimo tassello del mosaico andava al suo posto.

“Giusto, e in particolare il pensiero inconscio. E poiché il tempo rallenta a mano a mano che la velocità delle particelle si avvicina alla velocità della luce, si può dire che l'inconscio è eterno e quindi letteralmente senza tempo.”

Caine annuì. In un modo assurdo e contorto, quello che il fratello diceva aveva quasi senso. Guardò Doc per una verifica e fu sorpreso di vedere che il suo relatore annuiva.

“Come hai messo insieme tutte queste cose?” chiese Doc.

“Filosofia” rispose Jasper ridendo.

“Spiegati meglio” disse Doc.

“Tutte le religioni e le filosofie orientali si fondano sulla convinzione che l'universo è energia, concetto oggi confermato dalla fisica quantistica. Inoltre tutte credono che la mente di ogni persona sia un tutt'uno con l'universo, il che mi ha fatto pensare all'inconscio collettivo di Jung.

“Secondo i buddhisti, tutto è transitorio. Il Buddha ha insegnato che la sofferenza del mondo deriva dal desiderio degli uomini di attaccarsi agli oggetti e alle idee invece di accettare l'universo nel suo fluire, muoversi e mutare. Nel buddhismo, lo spazio e il tempo sono concepiti come meri riflessi degli stati di coscienza. I buddhisti non vedono gli oggetti come cose, ma come processi dinamici che fanno parte di un movimento universale in costante stato di transizione. In parole povere, considerano la materia come energia, proprio come suggerisce la fisica quantistica.

“Anche i taoisti credono nel movimento dinamico dell'universo: Tao significa 'il cammino'. Vedono l'universo come un sistema di energia - chiamato chi - che muta e fluisce costantemente. L'individuo è quindi solo un elemento dell'intero universo, o una parte di quell'energia. La loro dottrina è l’I Ching, nota anche come Il libro dei mutamenti, e insegna che la stabilità si può ottenere soltanto quando c'è armonia tra lo Yin e lo Yang, le forze naturali dell'universo, opposte ma affini. Anche questo riflette la fisica quantistica, perché afferma che tutto è fatto di particelle tenute insieme dall'energia subatomica.”

A Caine girava la testa. “Ma tutte queste filosofie hanno migliaia di anni. Com'è possibile che abbiano fondato la propria dottrina prima della scoperta della fisica quantistica?”

“Attraverso l'inconscio collettivo” rispose Jasper. “Ricorda, è senza tempo, il che significa che il pensiero fluisce sia all’indietro nel tempo, che in avanti. Pensaci: dei grandi pensatori, dei filosofi, degli scienziati, si è sempre detto che 'precorrono i tempi' perché compiono grossi balzi intuitivi. Alcuni lo chiamano genio, ma che cos'è il genio se non una straordinaria intuizione? Non capisci? I cosiddetti 'geni' sono solo persone che hanno maggiormente accesso all'inconscio collettivo di noi-poi-tuoi-buoi.”

Doc inspirò e fissò Caine. “Ecco perché sapevi che dovevamo spostarci, alla tavola calda. Devi avere avuto accesso all'inconscio collettivo del tuo io futuro.”

Caine scosse la testa. Era davvero troppo. “Ammesso che io creda che tutti gli inconsci siano in qualche modo collegati, come posso accedere a quello collettivo con la coscienza?” Dopo aver posto la domanda, all'improvviso comprese anche la risposta. “Mio Dio... sono le crisi, vero?”

“Credo che quelli siano i sintomi, non la causa” spiegò Jasper. “Poiché tutti attingiamo all'inconscio collettivo, ci deve essere qualcosa nel nostro cervello in grado di sfruttarlo. Forse nel tuo c'è un elemento,” disse Jasper indicando il cranio del fratello, “e in particolare il lobo temporale, che ti permette di collegarti all'inconscio collettivo come gli altri non possono fare. Fino a poco tempo fa, quando il tuo cervello era troppo carico avevi una crisi e una sorta di blackout ed entravi nell'inconscio.

“Credo che il farmaco sperimentale del dottor Kumar ti abbia 'riparato' il cervello, permettendoti di connetterti all'inconscio collettivo e al tempo stesso di restare cosciente così da vedere il futuro.”

“Quello che non capisco è come funziona dal punto di vista della fisica” disse Caine, facendo una pausa per raccogliere i pensieri. “Secondo Laplace bisogna conoscere tutto per prevedere il futuro, ma Heisenberg sosteneva che in natura niente ha una posizione precisa, perciò è impossibile conoscere tutto. Ne consegue che prevedere il futuro è impossibile e che un'intelligenza onnisciente come il demone di Laplace non può esistere, giusto?”

“A quello non ho ancora pensato-cessato-stentato-versato” ammise Jasper, ma si affrettò ad aggiungere: “Però non significa che la mia teoria sia sbagliata”.

Per un minuto tutti restarono in silenzio mentre Caine cercava di elaborare le informazioni fornite dal fratello.

“C'è un modo per scoprirlo” disse Doc.

“Quale?” chiese Caine.

“Guarda nel futuro” rispose Doc.

“Non credo che sia una buona idea” intervenne Nava, con sorpresa di Caine. Era stata così silenziosa che lui ne aveva quasi dimenticato la presenza.

“Perché?” domandò Doc.

“E se fosse pericoloso?” disse lei accendendosi una sigaretta.

“Per chi?” chiese Doc.

“Per tutti noi” rispose Nava soffiando il fumo nell'aria. “Soprattutto per David.”

“Perché?” domandò di nuovo Doc.

“E se non riuscisse a tornare indietro? Se la sua mente restasse intrappolata nell'inconscio collettivo? L'avete detto voi, è senza tempo. David potrebbe immergersi nell'inconscio collettivo per qualche istante e al ritorno scoprire che il suo corpo è morto di vecchiaia.”

Caine sentì lo stomaco contrarsi. Non aveva considerato quell'eventualità. Una parte di lui voleva ardentemente andarci, ma un'altra era improvvisamente spaventata. Mentre pensava alle alternative si rese conto di due cose: la prima, che i venti minuti di Jasper erano finiti e la seconda, che quella non era affatto un'illusione.

Era impossibile: non conosceva a sufficienza la fisica per essersi inventato tutto.