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Nava saltò addosso a Caine per proteggerlo mentre la sedia di metallo frantumava il vetro e finiva a terra con uno schianto, coprendo momentaneamente il tintinnio del vetro. Poi comparve un uomo basso quasi calvo. Stava urlando.

“NON PUOI PRENDERE IL SOGGETTO!”

L'aggressore aveva il viso talmente rosso da rasentare il porpora. Sulla fronte, una lunga ferita perdeva sangue. L'uomo se l'asciugò con aria assente per evitare che le gocce gli impedissero di vedere.

Nava gli puntò la pistola alla fronte e premette il grilletto, ma invece di una fragorosa esplosione sentì solo un secco clic. Il caricatore era vuoto. Prima che potesse reagire, l'uomo percorse i pochi metri che li separavano e piombò su di lei, buttandola a terra. Nava sbatté forte la testa sul pavimento mentre lui la afferrava per il collo.

A differenza di Dalton l'uomo non era un assassino addestrato, ma Nava non era in condizioni di combattere. Aveva il braccio sinistro fuori uso ed era debole per via di tutto il sangue perso. L'unico vantaggio dell'uomo era l'energia della pura rabbia. Purtroppo, pensò Nava, sarebbe bastata.

Tuttavia non si sarebbe arresa senza lottare. Allungò la mano sana, gli afferrò i testicoli e glieli strizzò. L'uomo urlò con tutto il fiato che aveva e le lasciò andare il collo per portarsi le mani al cavallo dei pantaloni. Nava non mollò la presa. Non riuscendo a staccarle le dita, lui la colpì in faccia con un pugno e, poiché lei non se lo aspettava, lo ricevette in piena bocca.

La testa rimbalzò sul pavimento. Mollò la presa e l'uomo le scivolò di dosso, stringendo la mano e gemendo di dolore. Nava sputò sangue e si rimise in piedi. Doveva portare Caine fuori di lì.

Ignorando i suoi lamenti, riprese a lavorare sull'ultima manetta di Caine. Dopo averla spaccata con il calcio della pistola, lo aiutò ad alzarsi. Lui era debole e mise tutto il peso su di lei: per poco non finirono a terra.

“Piano, David. Sono in pessima forma.”

“Scusa,” disse lui, “ora sto bene, davvero.”

“Riesci a camminare?” gli chiese.

Caine fece un paio di passi, reggendosi al braccio di Nava per restare in equilibrio. “Sì,” rispose esitante, “barcollo un po' ma posso camminare.”

Nava annuì e mise un caricatore nuovo nella sua pistola. “Bene, allora andiamo.”

“NOOO!” gridò Forsythe. Qualcosa schiacciò il piede rotto di Nava, che cadde in ginocchio. Il dottore le aveva conficcato un frammento di vetro nello scarponcino, facendola urlare. Lei tirò via il piede e cadde in avanti, perdendo la pistola.

Forsythe strisciava per terra, lasciandosi dietro una scia di sangue. Nava gli sferrò un calcio in testa con il piede buono, ma senza la forza sufficiente per stordirlo. Lui continuò ad avanzare, mentre lei frugava disperatamente tra le schegge di vetro alla ricerca della pistola.

Infine la mano di Nava si chiuse attorno all'impugnatura. Puntò la bocca dell'arma contro Forsythe e premette il grilletto. In quel momento Caine le afferrò il polso e il proiettile mancò il bersaglio per conficcarsi nella parete alle sue spalle. Forsythe smise di urlare. Sulla stanza scese il silenzio: l'unico rumore che Nava sentiva era il rimbombo dello sparo nelle orecchie.

Guardò Caine confusa.

“Basta con gli omicidi” disse lui semplicemente.

Nava esitò un istante e poi colpì Forsythe in testa con il calcio del l'arma. L'uomo cadde a terra privo di sensi. “Non l'ho ucciso” disse lei ansimando. Caine batté le palpebre. “Dobbiamo salvare Jasper.”

“Seguimi.” Caine prese la torcia mentre Nava barcollava fuori dalla stanza, rischiando di cadere per ben due volte. Il piede era una massa di terminazioni nervose doloranti. La terza volta che inciampò, lui le afferrò il braccio per aiutarla a restare in equilibrio.

“A quanto pare non sono l'unico ad aver bisogno di aiuto per camminare” osservò.

Nava proseguì. “Aspetta qui” gli disse mentre si fermavano davanti alla stanza D8.”Copriti le orecchie. “ Sparò un colpo sulla maniglia fino a ridurla a un pezzo informe di metallo. Caine aprì la porta e puntò la torcia davanti a sé.

“Dio, Jasper...” sussurrò. Il fratello aveva braccia e gambe immobilizzate da spesse cinghie di cuoio.

“David,” gracchiò, “sei tu?”

“Sono io, fratellone,” rispose Caine con voce strozzata, “e c'è anche Nava.” Mentre lui liberava Jasper, lei si poggiò alla porta per riprendere fiato. Ci siamo quasi, si disse. Ci siamo quasi. Ci siamo...

Si accorse di cominciare a cadere mentre perdeva i sensi.

 

“Nava. Nava, svegliati.” Caine le schiaffeggiò piano il viso. “Forza, ci siamo quasi.”

Lei batté le palpebre.

“Sta rinvenendo” disse al gemello, che sbirciava nervosamente dietro la sua spalla. “Aiutami a rimetterla in piedi.” Jasper le prese una mano e Caine l'altra. Quando gliela tirò, Nava gemette.

“Polso... rotto” disse senza fiato.

“Cristo” commentò Caine, lasciandola andare come se scottasse. “Scusa.”

“Non importa.” Nava scosse la testa. “Usate il braccio destro.”

Jasper glielo tirò delicatamente mentre Caine la sosteneva dal lato sinistro. Nava era in piedi, ma ondeggiava lievemente da sinistra a destra.

“Andiamo” disse. “Non c'è molto tempo.”

Li guidò lungo il corridoio buio e oltre una porta di sicurezza, che aprì con la pistola.

“Attenti ai corpi” li avvertì prima di entrare in un piccolo ascensore. Per terra c'era un uomo.

“É...” cominciò a chiedere Caine.

“Non sono morti” lo interruppe lei in tono prosaico. Caine sospirò di sollievo mentre Nava schiacciava il pulsante. Non accadde niente. Nessun ronzio che testimoniasse segni di vita, nessuna luce sui numeri che mostrasse la velocità della discesa. Le luci...

“Il blackout incide anche sugli ascensori?” chiese Caine.

Nava si batté la mano sulla testa per la frustrazione.

“Maledizione” disse. “Abbiamo solo due minuti.”

“Poi che succede?” domandò Jasper.

“Questo posto si riempie di vigilanti e noi siamo fottuti” rispose. “Venite.” Ritornarono nel corridoio e fecero la strada a ritroso. Dopo aver contato venti passi Nava si fermò. Prese dello stucco grigio dallo zainetto e l'attaccò alla base della parete, poi collegò un congegno con una minuscola tastiera nera.

“State pronti ad aiutarmi” ordinò. “Quando dico 'via' corriamo verso l'ascensore. Chiaro?”

“Chiaro” risposero i gemelli all'unisono.

Nava digitò “0.45” sulla tastiera. Il dito si posò su un pulsante verde e...

“Aspetta!” disse Caine.

“Non c'è tempo...”

“Se fai scoppiare la bomba qui, innescherai una reazione a catena che ucciderà degli innocenti. Dobbiamo spostarla. Riparatevi, programmo io il timer. Jasper, portala via!”

Prima che Nava potesse opporsi, Jasper l'afferrò alla vita e la portò al sicuro. Caine staccò la bomba e zoppicò fino alla fine del corridoio, per sistemarla nel posto giusto. Non appena l'esplosivo fu al suo posto, riprogrammò il timer. Aveva solo venti secondi. Sapeva di avere il 3 7,458 % di probabilità di non farcela, ma aveva scelto lui il suo destino. Non ebbe ripensamenti.

 

Nava avvertì l'esplosione prima ancora di sentirla. Volò su Caine, che subì l'impatto della caduta. All'ondata di aria calda seguì un boato tremendo. Appena sentì cadere a terra l'ultima pietra, rotolò via da lui.

“Su, andiamo!”

Caine e Jasper l'aiutarono a rimettersi in piedi e corsero verso le macerie. Al posto del muro c'era un buco profondo e mancava anche un bel pezzo di pavimento. Nava guardò il foro, sperando di ricordare le piantine.

“É quello che immagino?” domandò Jasper.

In quel momento il tanfo delle fogne investì il naso di Nava. Annuì.

“Jasper,” gli disse, “programma quest'altra carica qui.” Gli indicò un punto del soffitto su un mucchio di detriti. Lui guardò David e il fratello gli fece cenno di sì col capo. Dopo che Jasper ebbe finito, i gemelli aiutarono Nava a entrare nel buco. Una volta dentro, Jasper si caricò Nava sulla schiena e cominciò a correre lungo il tunnel. Dieci secondi dopo sentirono un'altra esplosione seguita da una piccola valanga di macerie cadute dal soffitto, che ostruirono la loro via di fuga.

Nessuno li seguì.

 

Jasper sollevò a fatica il tombino e si arrampicò sul marciapiede, poi si voltò e afferrò il braccio buono di Nava per tirarla fuori. Caine arrivò subito dietro di lei. Nel giro di pochi secondi, un grosso furgone bianco accostò accanto a loro. Al volante c'era Sergej Kozlov. Il portellone laterale si aprì e ne uscì un uomo barbuto. Caine batté le palpebre.

“Dottor Lukin, è ferita” gli disse.

“Come fa a sapere il mio nome...”

L'uomo s'interruppe quando vide Nava.

“Mio Dio” disse, mettendosi il braccio di lei intorno alle spalle. “Portiamola nel furgone, presto.”

 

Sul ponte di Brooklyn, Lukin diede a Nava un sedativo mentre Caine e Jasper cercavano di tenere a bada l'emorragia. Dal finestrino posteriore, Caine guardò lo skyline di Manhattan fino a quando non scomparve dietro una linea di edifici. Stavano sfrecciando nel quartiere di Brooklyn, che diventava sempre più fatiscente a mano a mano che avanzavano lungo Flatbush Avenue.

Il suo stomaco, che si era contratto nell'istante in cui lui aveva visto Nava perdere i sensi, si annodò del tutto quando il furgone prese il volo per poi inchiodare sulle ruote anteriori e fermarsi.

Il dottor Lukin aprì lo sportello, afferrò un'estremità della barella su cui lei era distesa e saltò giù, imitato da Jasper che prese l'altra estremità. Caine entrò dietro di loro nell'angusto ascensore.

Lukin schiacciò un pulsante e Kozlov s'infilò dentro proprio mentre le porte si chiudevano. In ascensore nessuno parlò. L'unico suono era il ronzio del motore. Jasper stringeva la caviglia di Nava per frenare l'emorragia. Finalmente si fermarono e le porte si aprirono.

I cinque percorsero il corridoio umido e Lukin inserì la chiave nella toppa. Il suo appartamento era un incrocio tra un pied-à-terre e un pronto soccorso. Da un lato, un divano marrone macchiato di caffè era sistemato davanti a un televisore da tredici pollici, dall'altro c'era un tavolo operatorio, corredato da attrezzatura medica e da una donna robusta di mezza età che sembrava aspettarli.

Senza fermarsi, Lukin e Kozlov trasferirono il corpo inerte di Nava sul tavolo, mentre Caine e Jasper si fecero da parte per permettere al medico di lavorare. In russo, Lukin comunicò a gran voce le condizioni di Nava alla donna, che cominciò ad attaccarle degli elettrodi al torace.

La pressione sanguigna di Nava era bassa e continuava a scendere. Il monitor collegato al suo cuore emetteva bip a una velocità allarmante. Mentre le curavano le ferite, il medico e la sua infermiera ebbero una breve e concitata discussione. Infine una nube calò su Lukin. Lei lo guardò con espressione solenne, poi tornò al suo lavoro. Ma l'urgenza nelle loro voci era sparita: avevano smesso di agitarsi come se in ballo ci fosse una vita umana.

“Che succede?” chiese Caine.

Lukin lo ignorò, ma l'infermiera gli rivolse uno sguardo triste.

“Che c'è?” Caine per poco non urlò.

Il dottore mormorò qualcosa in russo e si avvicinò a lui, alzando le mani sporche di sangue.

“Ha perso troppo sangue. Dubito che riusciremo a salvarla.”

“Non può farle una trasfusione?”

Lui guardò il pavimento con aria colpevole per un istante, poi alzò di nuovo gli occhi verso Caine.

“Il suo sangue è di gruppo zero negativo.”

“E allora?”

“Lo zero negativo è compatibile solo con lo zero negativo... e non ne abbiamo abbastanza. É un gruppo sanguigno molto raro. Mi dispiace.”

Caine indietreggiò, stringendo il pugno. Doveva esserci un modo. Doveva esserci. Un momento... perché diavolo non ci aveva pensato? Poteva trovare un modo. Chiuse gli occhi, cercando di vedere la via, la strada. Ma non vide niente. Niente a parte chiazze luminose di colore che danzavano sul retro delle palpebre.

“Sta be...”

“Silenzio, mi faccia concentrare!” urlò Caine.

Si lasciò andare, ricordando le sensazioni precedenti, richiamando l'immagine dell'albero mentre s'immergeva nell'ogniquando... e poi, come se fosse sempre stato lì, lo vide. Enorme e maestoso, con infinite diramazioni che si estendevano nell'eternità. Caine guardò i rami, seguì una strada dopo l'altra, abbandonandole tutte finché non trovò quella giusta.

Era così ovvio. Cercava una soluzione misteriosa, improbabile, mentre la risposta era molto semplice. Aprì gli occhi. Kozlov osservava la scena dal fondo della stanza, le grosse braccia incrociate sul petto.

Caine si rivolse a Lukin. “Kozlov è zero negativo” disse indicandolo. “Usi lui.”

“Potrebbe essere pericoloso, ha perso moltissimo....” Il dottore sembrava non fidarsi di se stesso.

“Che cosa mi date in cambio del sangue?” chiese Kozlov calmo.

Caine batté le palpebre. Se non avessero iniziato la trasfusione nel giro di un minuto, c'era l'89,532 % di probabilità che Nava morisse. Non aveva tempo per discutere con l'enorme guardia del corpo. Prese la pistola di Nava dal tavolo e sparò un colpo. Il proiettile ronzò accanto all'orecchio di Kozlov e finì nel muro alle sue spalle. Poi Caine gli puntò la pistola alla testa.

“La vita” rispose.

Kozlov non fiatò. Raggiunse Lukin e si arrotolò la manica. L'infermiera lo preparò. Mentre gli strofinava il braccio, l'inconfondibile odore dell'alcol riempì la stanza. Quando l'ago gli entrò nella carne il russo fece una smorfia. Caine chiuse gli occhi e sospirò di sollievo. Nava aveva il 98,241% di probabilità di farcela. Una mano calda gli si posò sulla spalla: aprì gli occhi e vide Jasper sorridere.

“Sono fiero di te, fratellino. Sapevo che ce l'avresti fatta.”

Caine ricambiò il sorriso e gli strinse la mano prima di richiudere gli occhi. Un'ondata di stanchezza lo pervase. All'improvviso non era più preoccupato del futuro. Non ce n'era bisogno... ora lo controllava.