CAPITOLO DODICESIMO

 

 

Roma

38 d.C. - gennaio

791 ab Urbe Condita

Caligola ha venticinque anni

 

29

«Gaio! Allora è vero quello che si dice. Ti stai riprendendo!»

Agrippina Minore lo raggiunse fluttuando nelle vesti vaporose, i capelli acconciati all'ultima moda e gioielli sfarzosi che le brillavano al collo, ai polsi, alle dita. Era davvero molto bella, persino più della loro madre, a cui doveva il taglio degli occhi e la forma delle labbra. Ma se la moglie di Germanico aveva fatto del portamento dignitoso e dello sguardo intenso le sue armi di seduzione, a cui molti uomini avevano ceduto in segreto, era chiaro che sua sorella preferiva ostentare le forme generose del seno e dei fianchi, dando di sé l'immagine della donna spregiudicata e insaziabile che avrebbe potuto soddisfare qualsiasi desiderio dei maschi che la circondavano come lupi famelici.

«Vedo che hai lasciato a casa tuo marito» le disse Caligola, decidendo di ignorare il fatto che lei l'avesse chiamato con il suo nome da ragazzo, contrariamente alle disposizioni imperiali che lo stesso Senato aveva ratificato. «E anche tu, Livilla. Come mai questa decisione?»

Avanzarono tutti nella grande stanza da letto che Drusilla aveva fatto arieggiare e sistemare al meglio, prima di quell'incontro, e si disposero a ventaglio davanti a lui, allargando sorrisi imbarazzati che lo divertirono.

Aveva ancora la febbre, sentiva vampate di fuoco attraversargli il corpo con ondate dolorose, ma la cura di Ninfidia sembrava funzionare, perché ogni volta che lei beveva il suo seme, che lui immaginava dovesse essere bollente e dal sapore disgustoso, le forze restavano per un tempo maggiore nelle sue membra e lo aiutavano a riprendersi giorno dopo giorno.

Quella mattina, alla salutatio, aveva deciso finalmente di concedere udienza a Livilla e Agrippina, ma non aveva immaginato che sarebbero arrivate senza i loro mariti. Drusilla, invece, era lì con Emilio Lepido, il quale non sembrava affatto imbarazzato dall'idea di essere il solo maschio della famiglia reale presente. Dietro a tutti sostavano Micenio, che Caligola aveva voluto presente a tutti i costi, e Callisto, con la sua solita espressione indecifrabile.

«Siamo in visita di cortesia, fratello» disse Agrippina senza alleggerire l'espressione cordiale e facendosi avanti di un altro passo, come a sottolineare che era lei la portavoce del gruppo.

Livilla se ne stava ferma al suo posto e lo scrutava con aria cupa, come se fosse irritata per il fatto di trovarsi lì.

«Mi fa piacere» disse alla fine, sistemandosi la tunica lavata di fresco che Ninfidia gli aveva portato. Era ancora sdraiato a letto, ma era seduto con la schiena appoggiata al muro, e le ancelle lo avevano lavato e profumato. Tutto sommato, Caligola non si sentiva così bene da giorni, anche se la testa gli rintronava un po' e un dolore sordo gli nuotava nelle viscere.

Forse era stato qualcuno di loro a farlo avvelenare, sperando che gli lasciasse campo libero per le loro strategie di potere. O forse era stato Macrone, che ormai aveva deciso di comandare l'impero in vece sua. O Silano... Non poteva saperlo, ma di certo poteva sospettare di tutti loro.

«Anch'io ti vedo bene, princeps» disse Drusilla rompendo quel momento di silenzio che era calato sui presenti e accostandosi al letto. Si sedette e allungò una mano verso di lui, che Caligola intercettò prima che lei potesse dargli una carezza davanti a tutti.

Mentre le stringeva la mano e le sorrideva, si accorse dello sguardo carico d'odio che Agrippina lanciò a entrambi, e della sorpresa velata di disgusto che si dipinse sull'espressione tetra di Livilla.

A Caligola venne da ridere. Tutti sapevano che fra lui e Drusilla c'era qualcosa di più di uno stretto rapporto tra fratelli che si volevano bene, ma forse ancora non avevano compreso la portata della loro complicità.

Mentre Drusilla raccontava agli altri i progressi che lui aveva fatto negli ultimi giorni, Caligola lanciò un'occhiata a Emilio Lepido, che si teneva in disparte, e intercettò il suo sguardo. Il marito di sua sorella fece un cenno leggero con il capo, come a confermare che sapeva tutto e che dava il suo benestare alla relazione che lui intratteneva con Drusilla. E questo contribuì a migliorare il suo umore, perché era divertente cogliere l'ironia della situazione: lui era l'imperatore, e avrebbe potuto far condannare a morte Emilio Lepido semplicemente battendo le mani, senza che nessuno potesse opporsi. Eppure, era il marito di sua sorella che lo rassicurava, dando in qualche modo la sua autorizzazione al loro rapporto incestuoso.

Sentendosi più leggero, Caligola tornò a concentrarsi sulle sue sorelle, che discutevano animatamente.

«Quei due ormai sono incontrollabili!» stava dicendo Livilla, che dopo avere ascoltato in silenzio era subentrata nella conversazione con inaspettata energia, le labbra strette in due righe sottili. «Se li lasciamo fare, presto porteranno dalla loro parte l'esercito e il Senato.»

«Di chi state parlando?» chiese Caligola.

Si voltarono tutti a guardarlo, sorpresi.

«Di Macrone e Silano, naturalmente» rispose Agrippina. «Il prefetto del Pretorio ormai terrorizza Roma con i suoi lupi al guinzaglio, e il tuo ex suocero crede di poter parlare in Senato in nome dell'imperatore.»

«E questo lo renderebbe pericoloso?»

«Naturalmente» intervenne Livilla. «Se le persone più influenti di Roma credono di potersi sbarazzare di te per cogliere tutti i benefici di questa mossa, allora Silano diventa più pericoloso dei pretoriani di Macrone.»

Caligola fissò le sorelle per qualche istante, cercando di capire che cosa le muovesse davvero. Ci avevano messo ben poco a trasformare quella loro visita di cortesia, come aveva sostenuto Agrippina, in qualcosa di più concreto e vicino ai loro interessi. Ma che cosa volevano realmente? Non certo l'incolumità dell'imperatore.

Una fitta al ventre gli provocò una smorfia di dolore sulle labbra, che cercò di nascondere con un colpo di tosse.

«Non credete che il popolo possa fare la sua parte, in questo gioco?» riuscì a chiedere alla fine, cercando di mostrarsi meno diretto del solito, per punzecchiare le sorelle e capire che cosa avessero davvero in mente.

«Il popolo?» chiese disgustata Livilla. «Quelli vanno dove c'è il denaro, dove il potere decide che debbano prostrarsi.»

Caligola la guardò sorpreso di tanta veemenza, ma soprattutto di tanta ignoranza. Girò lo sguardo verso Agrippina, per stimolarla a dire la sua, e dopo un attimo di esitazione la sorella sventolò una mano in aria, come a voler minimizzare il problema, e disse: «Il popolo può essere utile, certo, ma a Roma ha sempre comandato l'aristocrazia. E noi non possiamo fare a meno del Senato».

«Noi chi?» intervenne Drusilla, togliendo a Caligola le parole di bocca.

«La nostra famiglia!» rispose Agrippina livida di rabbia, dimostrando di saper cambiare umore con la stessa velocità con cui lo faceva la madre. «La dinastia Giulio-Claudia, che deve regnare per diritto divino.»

Parole pesanti, che zittirono tutti fino a quando Caligola, che non riusciva più a trattenersi, scoppiò a ridere.

«Ma vi sentite?» chiese con le lacrime agli occhi, ignorando il dolore alla testa e al ventre che gli provocavano le risate. «Parlate come se foste voi a regnare su Roma, come se fosse uno dei vostri mariti l'imperatore.» Di scatto, dando dimostrazione della stessa capacità della sorella di volgere dal giorno alla notte il proprio umore nel tempo di un battito di ciglia, digrignò i denti e li guardò furibondo. «Voi non siete niente, ricordatevelo! Io sono l'imperatore, e non ho intenzione di farmi mettere i piedi in testa da nessuno!»

Agrippina e Livilla si scambiarono un'occhiata, poi ressero il suo sguardo rigide e impettite, colme di quello che Caligola riconobbe come un miscuglio di risentimento e timore.

Strinse la mano di Drusilla, che sedeva ancora accanto a lui, e continuò, indurendo ogni singolo muscolo del viso: «Io so perché sono qui, sdraiato su questo letto con il fuoco nel sangue. Mentre il popolo, là fuori, mi acclama e compie sacrifici agli dei perché io torni in salute, in Senato qualcuno prega perché il veleno mi sciolga le viscere e mi faccia sprofondare nell'Averno.» Fece una pausa, per riprendere fiato perché cominciava a sentirsi spossato. «E forse anche voi state pensando a come muovervi, il giorno in cui dovessi morire.»

L'espressione scandalizzata delle sorelle non lo sorprese né lo ingannò, e prima che potessero dire qualcosa le fermò sollevando una mano.

«Io ho occhi e orecchie ovunque, sappiatelo» disse lasciandosi andare sul cuscino, mentre sentiva che le forze lo abbandonavano. «Non mi fido di nessuno, e nessuno dovrà sentirsi al sicuro fino a quando la scintilla della vita continuerà a divampare dentro di me.»

Forse Agrippina e Livilla dissero qualcosa, provarono a difendersi in qualche modo, ma lui non sentì nulla, perché all'improvviso il mondo si fece di tenebra e l'abisso si spalancò ancora sotto i suoi piedi. Vi cadde dentro senza troppa paura, questa volta, perché sapeva che sarebbe riemerso di nuovo. E a quel punto avrebbe capito, insieme a Drusilla, Callisto e Micenio, quali erano state le reazioni delle sue sorelle, e in base a questo avrebbe stabilito come muoversi nei giorni a venire, per tornare a regnare su Roma e mettere fine agli intrighi che si stavano moltiplicando nell'ombra.

Da qualsiasi parte venissero.

 

30

Buttò le gambe giù dal letto e tastò il pavimento gelido con le punte dei piedi nudi, poi fece aderire le piante, si puntellò e finalmente si tirò su. I servi accorsero per aiutarlo, ma Caligola li fermò sollevando una mano. Fece forza sui quadricipiti e riuscì a reggersi in piedi, nonostante il tremore che sentiva percorrergli le gambe. La testa gli girò solo per un breve istante, poi il mondo tornò stabile.

«Vedo che fai grandi progressi, Cesare.»

Caligola allargò un sorriso sghembo. «Se questi li chiami progressi...»

Sentendo che le gambe presto avrebbero ceduto, tornò a sedersi, ma questa volta, anziché sdraiarsi per riprendere fiato, cercò di restare con il busto eretto: in qualche modo aveva l'impressione che esercitare un po' i muscoli gli avrebbe consentito di rafforzarli, per tornare a muoversi normalmente il prima possibile.

Si voltò verso Callisto, che sostava davanti all'ingresso della stanza insieme a Ninfidia, e scosse la testa.

«Non credo di avere più bisogno che tua figlia beva altro veleno» disse.

Callisto fece un breve inchino. «Lo farà ogni volta che sarà necessario» rispose. Poi l'espressione del viso si ammorbidì. «O quando ne avrai voglia, Cesare.»

Caligola restò a guardare padre e figlia per un istante, poi fece un cenno con la mano e raccolse la coppa di vino che un servo gli portò all'istante.

«Dove sono Drusilla e Micenio?» chiese.

«Stanno intrattenendo degli ospiti» rispose Callisto.

Caligola si accigliò. «Ospiti? Venuti per me?»

«Sì, Cesare.»

«Di chi si tratta?»

«Giulio Agrippa e Antioco di Commagene. Chiedono di poterti fare omaggio di alcuni doni.»

Caligola si rilassò. «Va bene, più tardi fai entrare tutti. Adesso, però, io e te dobbiamo parlare.»

«Come desideri, Cesare» annuì Callisto avvicinandosi. «Hai bisogno dei servigi di mia figlia?»

«No» rispose Caligola guardando Ninfidia e facendole un sorriso. «È già stata fin troppo brava.»

La ragazza si congedò e loro due restarono soli.

«Di che cosa vuoi parlarmi, princeps? Se ti interessa un resoconto dell'amministrazione faccio venire il liberto a libellis che...»

«No» l'interruppe Caligola. «Di questo parleremo a tempo debito. Adesso voglio capire altro.»

Callisto non disse nulla, limitandosi a interrogarlo con lo sguardo, così Caligola continuò: «Credi che qualcuno mi abbia avvelenato?».

Prima di rispondere, il liberto sospirò.

«La tua malattia è abbastanza strana. Tutti i medici che ti hanno visitato hanno espresso dubbi e pareri, ma nessuno di loro ha ipotizzato gli effetti di un avvelenamento.»

«Non mi interessa cosa dicono i medici. Tu cosa pensi?»

Callisto resse per un istante il suo sguardo, poi annuì.

«Sì, credo che qualcuno abbia provato ad avvelenarti, Cesare.»

«Chi?»

«A questo non so rispondere. Per il momento.»

«Stai facendo delle indagini? Le nostre spie hanno sentito qualcosa? Ci sono dei sospetti?»

«Sì e no per tutto, Cesare» rispose Callisto. «Ho parlato con tutti i nostri uomini nelle case più influenti di Roma, e quello che mi hanno riferito deve essere analizzato con cura, per capire come procedere.»

«Sono io che devo capirlo» sostenne Caligola stringendo appena gli occhi.

«Naturalmente, princeps. Ma prima di parlarti di mille teorie insulse, vorrei cercare di fare luce sulle voci più sensate che sono state raccolte.»

«Proviamo a farlo insieme. Qual è l'ipotesi più credibile?»

Callisto esitò ancora, questa volta per più tempo. Caligola ne approfittò per appoggiare la schiena ai cuscini, senza ammorbidire lo sguardo inquisitorio che teneva fisso sul suo segretario.

«Direi quella che riguarda la tua famiglia, Cesare» rispose alla fine il liberto. «Ho saputo che stanno cercando alleati per eliminare Macrone e Marco Giunio Silano, che reputano siano diventati fin troppo potenti.»

«Su questo hanno ragione.»

«È vero, ma il loro intento non è aiutare l'imperatore a regnare senza tensioni.»

«Vogliono eliminare anche me, per assicurare l'imperium alla loro discendenza?»

«Esatto. Ma quello che non capisco è perché avrebbero deciso di avvelenarti adesso. Se tu morissi, l'impero sarebbe facile preda di Macrone e Silano, senza contare la presenza di Tiberio Gemello, che come tuo figlio adottivo vanterebbe il primato della discendenza diretta rispetto a chiunque altro.»

Caligola restò per qualche istante a pensare alle parole di Callisto e convenne con lui che, se fossero state le sorelle a organizzare il suo avvelenamento, sarebbe stata un'azione da sprovveduti. Ma tutto si poteva dire di Agrippina e Livilla tranne che fossero delle sprovvedute.

«No» sostenne alla fine, «non sono state loro.»

«Allora dobbiamo pensare a una seconda ipotesi di cui si parla nella Curia.»

«Quale?»

«Che siano stati Macrone e Silano.»

«Per far salire al potere Tiberio Gemello e poi governarlo a loro uso e consumo?»

«Esatto. A quel punto, le mire di Agrippina di portare suo figlio Nerone sul trono, per governare lei l'impero da dietro le quinte, finirebbero nel nulla.»

Caligola restò a pensarci per un po', poi annuì. «Probabile, ma difficile da attuare. Ormai Macrone e Silano sanno di essere sorvegliati, e non credo siano riusciti a corrompere qualcuno a palazzo per avvelenarmi. Troppo pericoloso, per loro.»

«Resta Tiberio Gemello...» buttò lì Callisto.

Caligola si sorprese di non avere mai pensato al giovane erede di Tiberio, che questi aveva prima estromesso dalla lotta per il potere e poi adottato come figlio, dandogli in qualche modo la valenza di erede ufficiale al trono imperiale.

«Quel ragazzo passa le giornate con i suoi tutori, è più sorvegliato di un carcerato» ragionò a voce alta. «Come potrebbe aver escogitato una cosa del genere?»

«Con l'aiuto di qualcuno» rispose Callisto. «Magari di Macrone e Silano. O forse di Seneca, che è fra i suoi tutori, e tutti sanno quanto ti sia ostile.»

Caligola rimuginò le parole del suo liberto, poi scosse ancora la testa.

«Di questo passo potremmo arrivare a sospettare di chiunque. Basterebbe pensare al Senato per trovare altri cento possibili candidati a rappresentare il traditore che ha cercato di uccidermi, per i più diversi motivi.»

«Hai ragione, Cesare. Per questo esitavo a parlartene.»

Caligola si strinse nelle spalle. «Al momento tutto è possibile e niente lo è» disse. «Forse ci conviene tenere gli occhi aperti e aspettare. Prima o poi qualcuno farà una mossa sbagliata e cadrà nella nostra rete, se saremo abili a tenderla senza che nessuno se ne accorga.»

«Sarà mio compito dare istruzioni più chiare alle nostre spie disseminate in tutta Roma.»

«Non solo» aggiunse Caligola. «Dovrai fare qualcos'altro.»

«Che cosa, Cesare?»

Caligola lo fissò. «Voglio che mandi una missiva in Senato a mio nome, che renderà esplicita la mia decisione testamentaria.»

Vide l'espressione impassibile di Callisto scalfita dalla perplessità.

«Ho rischiato di morire» spiegò. «Credo sia mio diritto depositare nella Curia il mio testamento, nel caso... dovesse accadere di nuovo.»

«E quali disposizioni darai, Cesare?» chiese il liberto che, per la prima volta da quando lo conosceva, sembrava in difficoltà a immaginare quello che lui aveva in mente.

Caligola sorrise, più che altro perché solo adesso aveva la certezza di essere guarito del tutto dalla malattia o dal tentativo di avvelenamento: il suo cervello aveva ripreso a muoversi con la consueta scaltrezza, facendogli balenare in mente delle idee formidabili. Come quella del testamento, che avrebbe messo tutti i suoi oppositori con le spalle al muro.

«Nominerò Drusilla unica erede dei miei beni e dell'impero.» Prima che Callisto potesse ribattere l'ovvio, alzò una mano e continuò: «Naturalmente regnerà in nome suo Emilio Lepido, visto che una donna non può diventare imperatrice, ma senza i beni dell'imperatore neppure il consorte regnante potrà avere margini di manovra. Dovrà appoggiarsi a Drusilla per ogni cosa.» Scoppiò a ridere, all'idea delle facce che avrebbero fatto le sorelle e il Senato, quando avessero ascoltato le sue disposizioni. «Ma non è finita qui» aggiunse, eccitato dalle idee che gli si accavallavano nella mente. «Quando uscirai da questa stanza, e prima di redigere la missiva testamentaria, andrai personalmente da Macrone e gli consegnerai un mio ordine.»

Aspettò una domanda da parte di Callisto, che però non venne. Il liberto pendeva dalle sue labbra.

«Chiederò al nostro prefetto del Pretorio di arrestare Tiberio Gemello con l'accusa di avere cospirato contro l'imperatore, tentando di avvelenarmi per prendere il mio posto sul trono. Addurremo delle prove inconfutabili su questo, che tu, mio fedele Callisto, farai in modo di trascrivere per Macrone, inserendo nella congiura tutti coloro che sono rimasti in diretto contatto con Tiberio Gemello negli ultimi anni e che, evidentemente, lo hanno aiutato nella cospirazione.»

Finalmente tacque e riprese fiato, godendosi lo scenario che la sua stessa voce aveva dipinto, improvvisando al momento.

«Non sarà facile, Cesare, in fondo abbiamo solo dicerie, raccolte da spie che nessuno sa...»

«Oh, questo sarà facile, per te e i tuoi uomini» lo interruppe Caligola. «Non eri forse il più abile, fra i collaboratori di Tiberio, a istruire processi? Bene, torna alle vecchie abitudini e fai in modo che Macrone arresti Tiberio Gemello e lo faccia mettere a morte. A quel punto, voglio vedere che cosa si inventeranno, tutti, per cercare ancora di togliermi di mezzo. Non credo gli converrà.»

Calò il silenzio per qualche istante, poi Callisto si rianimò all'improvviso.

«È un ottimo piano, Cesare» ammise, e Caligola si accorse che non stava cercando di compiacerlo. «In questo modo nessuno oserà più cercare di ucciderti, a meno che...»

«A meno che Macrone, con l'appoggio dell'esercito, e Silano con quello del Senato, non decidano di rompere l'accerchiamento provando una mossa disperata» gli rubò le parole di bocca. «Bene, se lo faranno, finalmente verranno allo scoperto, e per noi sarà facile eliminarli.»

«Lo stesso dicasi per Agrippina e Livilla» mormorò Callisto.

Caligola lo fissò. «Naturalmente» confermò.

Il liberto annuì, si inchinò profondamente e si voltò verso l'uscita.

«È meglio che mi muova» sostenne, a mo' di congedo. «Ci sono molte cose da mettere a punto.»

«Magnifico» concordò Caligola. «Nel frattempo fai entrare i miei ospiti. E di' a Drusilla che avrò bisogno di parlare da solo con lei, quando se ne saranno andati tutti.»

Il profumo che aleggiava nei giardini imperiali non gli era mai sembrato così ricco di fragranze. Dopo tutto il tempo che aveva trascorso rinchiuso nelle sue stanze private, adesso non gli sembrava vero poter passeggiare tra gli alberi, mentre un pallido sole primaverile cercava di farsi largo tra le nubi leggere che velavano il cielo di Roma.

«So che stai mangiando con regolarità, Cesare, e che hai ripreso gli allenamenti nell'arena.»

Callisto era qualche passo dietro a lui e a Drusilla, che camminavano affiancati, subito seguito da Micenio e da alcuni liberti che reggevano i documenti che il suo segretario personale aveva chiesto di potergli far vedere, per discutere di alcune importanti misure amministrative che richiedevano la sua attenzione.

Ma Caligola non aveva voglia di tornare a pensare alle incombenze dell'impero, preferendo godersi la passeggiata in compagnia della sorella e delle poche persone di cui, almeno per il momento, credeva di potersi fidare.

«Sì, sto tornando in forma, è vero, ma questo non significa che tu debba assillarmi con questioni di poco conto.»

Prima che Callisto potesse ribattere, si fermò e si girò a guardarlo. «Piuttosto, hai fatto come ti ho chiesto?»

Callisto sospirò, poi fece un cenno a un liberto, che avanzò a passo deciso verso di loro.

«Questo è Protogene, che ha già lavorato a lungo con me. Garantisco con la vita, sulla sua fedeltà.»

Caligola osservò entrambi, poi allargò un sorriso. «Puoi starne certo che garantisci con la vita» affermò. Poi studiò Protogene, che era più alto di lui di una spanna e aveva un fisico robusto, più da soldato che da funzionario. Quasi senza capelli, aveva un'età indefinita, ma certo doveva essere più vecchio sia di lui sia di Callisto, e questo era buon segno: se era vissuto così a lungo frequentando le corti imperiali significava che era furbo, discreto e poco avventato. E soprattutto che sapeva adattarsi alle esigenze dei suoi padroni.

«Ti è stato detto che cosa voglio da te?» lo interpellò saltando i convenevoli.

«Qualcosa, Cesare» rispose Protogene. «Ma speravo che tu potessi fornirmi maggiori dettagli.»

Caligola annuì. «Abbiamo una serie di disposizioni da dare, adesso che mio figlio adottivo è stato incriminato di un delitto così grave.»

Drusilla, accanto a lui, non riuscì a trattenere una risatina, e lui le strizzò un braccio per chiederle di smetterla. Non perché non approvasse, ma perché stava cercando di apparire autoritario e determinato. Se fosse scoppiato a ridere anche lui, tutta quella pantomima sarebbe finita in niente.

«Le prove a suo carico sono schiaccianti, princeps» intervenne Callisto. «Non dubito che presto verrà costretto al suicidio.»

«Credi che avrà il coraggio di farlo?» chiese Drusilla. «Secondo me non ha mai visto un'arma in vita sua.»

«Oh, quel ragazzo è di una scorza più dura di quanto immagini» la rassicurò Caligola. «E comunque, se non ce la farà da solo, qualcuno gli darà una mano. Anzi, potremmo mandargli un tutore anche per questo, che ne dici? Un tribuno militare che gli insegni il modo per suicidarsi con onore. Conoscendolo, diventerà presto padrone della tecnica. Peccato che potrà applicarla solo una volta...»

Drusilla rise ancora, nascondendo le belle labbra dietro una mano, e Caligola dovette sforzarsi di mantenere un certo contegno.

«Comunque» riprese «il prefetto del Pretorio ha agito bene, con solerzia, di questo dobbiamo dargliene atto.»

«Macrone sta chiedendo udienza da parecchi giorni, Cesare» gli ricordò Callisto. «E lo stesso sta facendo Marco Giunio Silano. Credo che quest'ultimo potrebbe darci più fastidi, vista la sua posizione preminente in Senato.»

«Come ho detto, Macrone ha eseguito gli ordini con scrupolo e dedizione, dunque credo che meriti un premio.»

Lo fissarono tutti sorpresi, persino Drusilla.

«Lo nomino da oggi stesso prefetto d'Egitto» continuò Caligola, dando voce al piano che aveva elaborato nei giorni precedenti per eliminare qualsiasi minaccia potesse profilarsi all'orizzonte, dopo l'uscita di scena di Tiberio Gemello. «Tu, Callisto, gli porterai la bella notizia e organizzerai insieme a lui la partenza per la sua nuova destinazione.»

«Chi prenderà il suo posto come prefetto del Pretorio?» chiese il suo segretario personale con il pragmatismo che lo contraddistingueva.

«Ricordi quello che aveva fatto il divino Augusto, per evitare il pericolo che un solo uomo potesse detenere così tanto potere fra le mani?» rispose Caligola.

«Aveva nominato due prefetti» rispose divertita Drusilla.

«Esatto, mia cara. Ed è quello che farò anch'io. Nominerò due prefetti del Pretorio, che si divideranno, e contenderanno, le coorti pretorie.»

«Una mossa intelligente, Cesare» sostenne Protogene, guardandolo con una luce negli occhi che Caligola apprezzò, perché aveva il colore del rispetto.

«Chi nominerai?» chiese invece Callisto, andando ancora una volta al sodo della questione.

«Uno sarà una persona di mia fiducia» rispose Caligola tornando a incamminarsi nel sentiero fra i giardini imperiali, lasciando che Drusilla lo tenesse a braccetto. Gli dava conforto il tocco della sorella, così come il suo spirito leggero, sempre pronto a solleticarlo con le sue risate genuine. «Convoca oggi stesso a palazzo Marco Arrecino Clemente. Voglio dargli io la bella notizia.»

«E il secondo prefetto?» volle sapere Callisto.

Caligola sventolò una mano in aria. «Oh, quello sceglilo pure tu, mi fido. Basta che non sia amico di Clemente. Anzi, trova qualcuno con cui abbia avuto dei contrasti, in passato. Si controlleranno a vicenda, e di certo non si alleeranno per riunire le coorti pretorie sotto un unico comando.»

«Sarà fatto, princeps. Solo... non credi che Macrone avrà da ridire?»

«E perché mai? Diventerà prefetto d'Egitto, la seconda carica più importante riservata ai membri dell'ordine equestre, cui lui appartiene. E governerà il regno che è stato di Cleopatra, dove Giulio Cesare e Marco Antonio hanno vissuto. Si stabilirà ad Alessandria, la più civile tra le capitali del mondo dopo Roma, e avrà sotto di sé un popolo antico e di grande cultura. Chi mai si lamenterebbe di una cosa del genere?»

Callisto annuì in silenzio.

Caligola proseguì, facendo segno a Protogene di affiancarlo. «Tu diventerai mio segretario particolare» gli disse. «Con un incarico... nuovo.»

«Ordina ciò che desideri, Cesare, e io lo eseguirò.»

«Molto bene. Voglio che tu rediga, a partire da oggi, due registri separati, che potremo consultare solo io e te. E Callisto, naturalmente.»

Nessuno disse una parola, e Caligola continuò, sentendosi sempre più leggero e soddisfatto. Aveva quasi l'impressione che la malattia, anziché ucciderlo, gli avesse riempito il cuore e la mente di una nuova forza vitale, che lo spronava a trovare soluzioni valide e intelligenti ai problemi che affliggevano un imperatore. Perché, se era vero che Cesare era l'uomo più potente del mondo, era altrettanto vero che era il più odiato e invidiato, e che troppi non pensavano ad altro che a eliminarlo per spartirsi i brandelli dell'impero su cui avrebbero messo le mani.

Ma lui non era uno sciocco, e al contrario di Tiberio non si sarebbe nascosto per paura dei suoi nemici. Avrebbe continuato a dominare su tutta Roma, come un gigante visibile a tutti e impossibile da raggiungere. E lo avrebbe fatto grazie alla sua intelligenza.

«Voglio che questi due registri abbiano dei nomi, per distinguerli» proseguì. «Uno lo chiameremo Pugnale e l'altro Spada, e li useremo per colpire i nostri nemici.»

«Che cosa dovrò annotare su questi registri?» gli chiese Protogene.

«In Pugnale descriverai tutti i comportamenti dei senatori e dei cavalieri che siano ostili o compiacenti rispetto all'imperatore. Su Spada, invece, annoterai le punizioni che deciderò di comminare a coloro che risulteranno colpevoli di qualche crimine nei miei confronti.»

«Sarà fatto, princeps. Nessuno, a parte i presenti, saprà dell'esistenza di questi registri, e...»

«Non ti ho detto che i registri devono restare segreti» lo interruppe Caligola. «Anzi. Tutti devono conoscerne l'esistenza. Voglio che tu ti faccia vedere in giro per Roma con i registri in mano, con una scorta di soldati germanici sempre a tua disposizione. Tutti devono temere che i loro nomi arrivino a essere annotati in quei registri. Dopodiché, sarà solo a me che riferirai per ciò che realmente scriverai su Pugnale e Spada. Spero di essere stato chiaro.»

«Sì, Cesare, chiarissimo» rispose Protogene lanciando un'occhiata a Callisto.

«Bene» approvò Caligola voltandosi verso il suo segretario personale. «Adesso un'ultima disposizione a cui dare seguito, prima di organizzare una visita a sorpresa in Senato, in cui farò un bel discorso a quegli stolti che credono di governare ancora una Repubblica.»

«Sono in ascolto, Cesare» mormorò Callisto, al quale non piacevano le sorprese e non sembrava molto contento di tutte quelle novità che Caligola gli stava esponendo, per di più alla presenza di altre persone.

«Voglio nominare Giulio Agrippa re di Giudea, e pretendo che il Senato lo faccia elevare al rango pretorio. Sarà tuo compito valutare chi, per questa disposizione, avrà da obiettare e chi invece la sosterrà senza vincoli.» Lanciò un'occhiata a Protogene. «Quale migliore occasione per inaugurare Pugnale e Spada?»

Detto questo tornò a incamminarsi e, ignorando ostentatamente la smorfia cupa di Callisto, cominciò a parlare con Drusilla della bellezza del giardino e degli aromi che si diffondevano nell'aria, che certo non avevano la potenza e la fragranza dell'odore della sua pelle, ma riuscivano a metterlo in pace con il mondo.

 

31

Immerso nella vasca di acqua bollente, aveva avvertito tutti i pori della pelle aprirsi e si era sentito ben presto leggero, ritemprato in ogni muscolo del corpo. Adesso, dopo aver sentito l'eccitazione crescere dentro di lui, allargò le gambe e puntellò i piedi mentre Ennia gli saliva cavalcioni. Era rimasta la bellissima donna che ricordava, anche se la preoccupazione le segnava il viso con qualche ruga di troppo.

Ennia gemette quando lui la penetrò, e cominciò a muoversi lentamente, sfregando il pube contro di lui, come sapeva che gli piaceva.

«Ti ringrazio di avermi ricevuto, princeps» mormorò inarcandosi per mostrargli il seno pieno, con i larghi capezzoli rosati. «Da quanto tempo non mi possedevi più...»

«È vero, forse mi sei mancata» disse Caligola divertito.

Quando gli avevano detto che Ennia chiedeva udienza, aveva pensato di negarsi, come faceva con Macrone ormai da parecchio tempo, ma poi aveva avuto una di quelle folgorazioni che ormai lo colpivano quasi ogni giorno, e aveva ordinato di farla accompagnare alle sue terme private. Una volta lì, si era spogliato, era entrato in acqua e l'aveva aspettata. Quando lei era comparsa, aveva mandato via i servi e aveva fatto cenno a Ennia di raggiungerlo nella vasca. Lei non aveva esitato, si era spogliata e subito si era affrettata a salirgli in grembo, proprio come succedeva ai tempi in cui erano amanti.

«Perché non ci ricevi più?» gli chiese lei con il respiro affrettato, mentre stringeva e rilasciava i muscoli a ogni movimento del bacino, come le avevano insegnato le ancelle del piacere che aveva frequentato fin da bambina.

In effetti Macrone era stato abile a sfruttare la moglie per entrare nella sua intimità, e Caligola dovette ammettere che non gli era mai dispiaciuto concedersi a quei due, alternando l'impeto dell'amore romano con la passività di quello greco. Ma la sua ingenuità era ormai scomparsa, cancellata dall'abisso che lo aveva inghiottito e che gli aveva indurito l'anima.

Poteva essere stata proprio Ennia ad avvelenarlo, con l'aiuto di Macrone, e lui non poteva saperlo. Ma di certo non si sarebbe lasciato risucchiare fra le gambe di quella donna, se non per rubarle un po' di piacere personale. Proprio come stava facendo adesso.

Aspettò che lei si muovesse più veloce, tremando e inarcandosi come faceva quando arrivava all'orgasmo, poi quando la vide tornare a muoversi a ritmo normale, per dedicarsi più compiutamente a lui, le sorrise e le leccò il lobo di un orecchio.

«Dimmi, hai sempre finto come hai fatto anche adesso, o sei riuscita, qualche volta, a raggiungere davvero le vette del piace insieme a me?»

Ennia si staccò leggermente da lui e lo guardò con aria scandalizzata, senza smettere di muoversi.

«Perché dici questo, Cesare? Nessun uomo mi ha mai donato il piacere che ho ricevuto da te.»

Caligola sospirò. Quella donna avrebbe dovuto recitare in teatro. Era davvero un peccato che dovesse fare la fine di Macrone.

«E tuo marito?» le chiese. «Anche lui fingeva?»

Ennia si fermò. Finalmente Caligola colse la paura attraversarle lo sguardo.

«Che succede, non vuoi far godere anche me?» la sollecitò, afferrandole i fianchi e costringendola a riprendere a muoversi. «Come sai, noi uomini non possiamo fingere. E tu sei sempre stata molto abile a farmi versare il mio seme. Non ti fermare proprio adesso.»

Ennia riprese a strusciare il pube contro di lui, compiendo anche movimenti rotatori con il bacino, e Caligola si abbandonò sotto quel corpo morbido e suadente, davvero molto abile a risucchiare il piacere dai lombi di un uomo.

«Perché ci mandi via?» ansimò Ennia, ricominciando a mugolare piano. Caligola ricordò che una volta lei aveva raggiunto l'appagamento (o aveva finto di farlo) per ben sei volte, prima che lui la riempisse con il suo seme.

«Via? E perché mai? Non andrete da nessuna parte.»

Lei si fermò ancora, guardandolo sorpresa. «Ma...» provò a dire.

«Ti riferisci all'Egitto? Ad Alessandria?» Caligola scoppiò a ridere. «Ma no, tranquilla, Macrone non ci arriverà mai. Ho già pronto il suo sostituto.»

«Non capisco. Che cosa...»

«Torna a muoverti, bambina mia» la blandì Caligola accarezzandole il viso. «Lo sai che mi piace.»

«Dunque ci lasci stare qui? A Roma? Come prima?» gli chiese lei con occhi carichi di speranza. Riprese a muoversi, e lo fece con maggiore impeto, con un desiderio di portarlo al piacere che abbatté ogni sua difesa e gli fece montare l'orgasmo fino in gola, dove eruppe con un gemito prolungato.

Ennia si mosse ancora un po', ricominciò a tremare e gridò a sua volta, lasciandosi poi cadere stremata addosso a lui, proprio come faceva quando si ritrovavano a letto sotto lo sguardo avido di Macrone.

«Certo che resterete qui» mormorò Caligola accarezzandole la schiena. «E sai una cosa? Ho deciso che a te risparmierò la vita, perché credo che almeno il secondo orgasmo sia stato sincero.»

Ennia si alzò di scatto e lo guardò spaventata. «Cosa vuoi fare a mio marito?»

«Gli stanno notificando le accuse proprio in questo momento, mia cara» gli rivelò con un candido sorriso. «Diversi testimoni l'hanno sentito affermare che io, l'imperatore Caligola, sono una sua creazione, che è a lui se devo il regno. E per questo si è arrogato il diritto di voler governare sull'Urbe tramite i pretoriani.»

«Ma non è vero!» esclamò Ennia. «Lui ti è sempre stato fedele!»

«Ma certo» rise Caligola, districandosi da lei e uscendo dalla vasca. «Lo so bene. Ma questo non significa che tuo marito non sia diventato troppo pericoloso. L'ambizione è una brutta malattia.»

Batté le mani, e alcuni servi arrivarono per asciugarlo e spalmarlo con gli oli profumati che Drusilla aveva selezionato per lui. Ancora nell'acqua, Ennia lo fissava confusa, senza capire le sue parole.

La guardò con un misto di comprensione e compassione. «Quando tuo marito si sarà tolto la vita, molti chiederanno anche la tua testa, ma io mi opporrò e ti lascerò vivere» le disse, indossando la tunica bordata d'oro che era stata tagliata su misura, dopo che la malattia gli aveva fatto perdere parecchi chili, esponendogli le ossa sotto lo strato di pelle. «Purché tu sia disposta a venire ancora a trovarmi in questa vasca, come hai fatto oggi.»

Ennia aprì la bocca per dire qualcosa, poi la richiuse e chinò il capo. Era una ragazza intelligente, e aveva capito.

«Solo una cosa» aggiunse Caligola prima di uscire dalle terme. «La prossima volta che fingerai di godere con me, sarà l'ultima. Quindi impara a recitare ancora meglio, oppure ad abbandonarti totalmente, quando sarai tra le mie braccia.»

La Curia Iulia sapeva incutere soggezione, a chi vi si avvicinava provenendo dall'Argileto, svoltando l'angolo dove erano situati i vecchi Comizi Curiati. La basilica Emilia faceva da sfondo a quello spicchio di Roma che racchiudeva in sé buona parte della storia dell'Urbe.

Durante il tragitto fino alla sede del Senato, Caligola aveva raccolto l'entusiasmo della folla, che finalmente tornava a vederlo in pubblico. Tutti gridavano il suo nome e quello di suo padre. A mano a mano che si spargeva la voce che lui si stava muovendo nel Foro, circondato dalla sua scorta personale, una moltitudine di persone si accalcò in ogni angolo di strada, rendendo impossibile per chiunque passare, se non per i possenti soldati germanici che componevano la guardia imperiale.

Caligola sorrise, al ricordo dell'indignazione che si era dipinta sul viso di Macrone, quando lui aveva deciso di sostituire i pretoriani guidati dal tribuno Cassio Cherea con quei solidi e taciturni guerrieri provenienti dalla Germania e dalla Gallia superiore.

«Le coorti pretorie si occupano della salvaguardia di Roma e dell'imperatore» aveva protestato Macrone uno degli ultimi giorni in cui si erano incontrati, prima che lui cadesse preda della malattia (o di un tentativo di avvelenamento, questo non poteva dimenticarlo). «Non puoi rinunciare così alla tradizione.»

«Io posso fare ciò che voglio» aveva replicato Caligola, divertito dal comportamento di Macrone. Era chiaro che, con quella mossa a sorpresa, toglieva dalle mani del prefetto del Pretorio un potente strumento di controllo nei confronti dell'imperatore. Senza più la scorta armata dei pretoriani, che riferivano prima a Macrone, e che Caligola sospettava fossero più fedeli al loro comandante che al princeps, lui poteva muoversi con più libertà ed evitare che qualche pretoriano traditore potesse levare la spada contro di lui, se corrotto o spinto a farlo in nome della fedeltà ai suoi superiori.

Naturalmente Caligola non aveva potuto rinunciare del tutto ai pretoriani, perché altrimenti si sarebbe inimicato le coorti militari meglio addestrate dell'impero, e non poteva certo permetterselo. Li aveva dunque impiegati in altre mansioni, mantenendo i contatti diretti con i tribuni comandanti e cercando di far capire loro che il giuramento di fedeltà, che avevano formulato al momento di entrare a far parte di quel corpo d'elite, era rivolto non al loro prefetto, ma all'imperatore di Roma.

Adesso, mentre saliva i gradini che davano accesso al portico colonnato della Curia, i soldati germanici si disposero in un semicerchio di protezione. Li osservò compiaciuto: erano tutti alti due spanne più di qualsiasi pretoriano avesse mai incontrato, e sui volti truci era disegnata la determinazione di un popolo abituato a combattere da sempre.

La folla gridava, lo acclamava, ma si teneva a debita distanza da quel manipolo di guerrieri che scrutavano chiunque con sospetto, le mani appoggiate sulle else delle spade.

Soddisfatto per quella dimostrazione di forza, si voltò e fece il suo ingresso nella Curia, dove i senatori lo attendevano seduti sulle gradinate, come tanti corvi in attesa di conoscere il loro destino.

Caligola li guardò divertito.

Aveva parlato a braccio, senza rifarsi troppo al discorso che aveva preparato insieme a Callisto e Protogene, perché era subito stato chiaro che quegli stolti non lo ascoltavano. Non erano interessati ai suoi programmi di Stato, alle grandi opere pubbliche che avrebbe avviato per proseguire nella tradizione di espansione di Roma e di tutto l'impero iniziata con Augusto. A quei codardi interessava solo capire che cosa contenessero i registri che Protogene portava con sé, e se i loro nomi erano stati appuntati là dentro, nel Pugnale o nella Spada.

Così, lui aveva cominciato a disquisire sulle teorie di Aristone, il filosofo stoico che, lo sapeva bene, non andava troppo d'accordo con Seneca, e nessuno sembrava avere capito di che cosa stesse parlando.

Un silenzio pensante aveva dato volume alle sue parole, e anche se i soldati germanici erano rimasti fuori dalla Curia, Caligola aveva avuto l'impressione che tutti quei potenti uomini dell'Urbe fossero rimasti soggiogati dalla presenza della sua scorta personale, che forse avevano immaginato pronta a fare irruzione, le spade in pugno, per compiere una strage.

Ah, quanto gli sarebbe piaciuto vedere le loro facce contrarsi per il terrore davanti a un'eventualità del genere, ma per quel giorno lui aveva deciso che lo scopo per cui si era recato in Senato fosse più che sufficiente a soddisfarlo.

Così, mentre citava Aristone e la sua teoria secondo cui gli errori erano la causa del comportamento scorretto delle persone, e il fatto che i precetti non potevano nulla contro i pregiudizi inerenti a ciò che era bene o male secondo la morale comune, si era rivolto direttamente a Marco Giunio Silano e lo aveva guardato negli occhi, sostenendone l'espressione accigliata.

Poi, poco prima di concludere e lasciare quegli sciocchi alle loro inutili discussioni, aveva fatto un cenno a Protogene, si era fatto consegnare uno dei registri e aveva fatto scorrere il dito sulla pergamena arrotolata, mentre il silenzio diventava tombale.

Poi aveva riconsegnato Pugnale al liberto. Adesso finalmente era pronto a rivolgersi di nuovo alla platea ammutolita, per raggiungere il bersaglio che gli interessava.

«Forse è arrivato il momento di cambiare qualcosa, miei illustri senatori. Sapete cosa afferma Aristone, uno degli uomini più saggi di cui ho potuto apprezzare le parole?» Fece un'altra pausa, e sorrise vedendo che tutti gli occhi erano puntati su di lui e tutte le bocche, asciutte per la paura e la collera, erano serrate con forza. «Che non c'è motivo di esporre la vista tutto d'un colpo alla luce eccessiva. Bisogna passare dall'oscurità alla penombra, e solo poi osare qualcosa di più, abituandosi a poco a poco a sopportare la luce smagliante, che se fissata all'improvviso potrebbe accecare.»

Un mormorio percorse la Curia, e Caligola dovette fare uno sforzo per non scoppiare a ridere. Le parole di Aristone erano ridicole, in quel contesto, perché lui sapeva che si riferivano a un rimedio per chi aveva bruciore agli occhi, dunque non avevano nulla a che fare con le metafore che di certo quegli opulenti uomini di Stato e di affari stavano cercando di analizzare, per trarne ognuno un significato diverso.

Tornò a concentrarsi su Silano, che adesso si muoveva inquieto nel suo posto di primo fra i senatori, a disagio come tutti perché non riusciva a capire dove volesse arrivare.

«Ebbene» continuò riportando il silenzio, «credo che si debba fare qualcosa per tornare nella penombra, in modo da evitare l'oscurità, ma anche la luce eccessiva. Voi non ne convenite?»

Il brusio divenne un forte conciliabolo che si propagò fino al soffitto altissimo della Curia, dove rimase sospeso, come un sordo brontolio proveniente da un temporale estivo.

«Tornare nella penombra significa cambiare qualche regola di questi tempi fin troppo luminosi, per riportare Roma e l'impero allo splendore di un tempo» disse, complimentandosi con se stesso per l'audacia delle proprie parole. Possibile che nessuno si rendesse conto che erano poco più che farneticazioni, seppure ben architettate per sembrare un discorso da riportare agli atti del Senato? Non se ne preoccupò più di tanto e continuò: «Il primo provvedimento è semplice. Intendo cambiare l'ordine di votazione nella Curia, naturalmente con il vostro consenso.» Alcune esclamazioni si alzarono nella sala, insieme a grugniti di stupore. Proprio quello che voleva. Continuò con ancora più entusiasmo: «D'ora in avanti non sarà più Marco Giunio Silano, primo fra i senatori, a inaugurare le votazioni, ma si andrà per anzianità. È questo lo spirito giusto per restaurare la grandezza di Roma.»

Mentre un boato si alzava nella Curia e decine di voci si sovrapponevano, Caligola fece un cenno a Protogene. Questi dispose sul tavolo del segretario annonario i due registri e li aprì, pronto a vergare con il carboncino le sue misteriose note. Bastò questo a riportare all'istante il silenzio nel consesso più illustre di Roma.

«Bene» disse Caligola. «Io ho terminato. Vi ringrazio per la vostra pazienza e attenzione. Adesso immagino che dovrete votare il nuovo provvedimento. Per anzianità, naturalmente.»

Intercettò ancora lo sguardo di Silano, e comprese che il suo ex suocero aveva capito ciò che aveva fatto. Non c'era rabbia sul suo viso, solo avvilimento. Dopo quella sua decisione, Silano non sarebbe più stato primo fra i senatori, e questo ne avrebbe decretato il crollo di prestigio davanti ai suoi colleghi. Anzi, avrebbe fatto capire a tutti che lui non era più nelle grazie dell'imperatore, e presto gli approfittatori si sarebbero fatti sotto per denunciarlo di qualche inesistente complotto e metterlo in cattiva luce, sbarazzandosi una volta per tutte di lui. Quell'atteggiamento, tra i codardi che riempivano le gradinate della Curia, non era mai cessato, fin dai tempi di Augusto, e certo non sarebbe cessato adesso.

Marco Giunio Silano lo sapeva bene. Mentre lo fissava con le spalle basse, il corpo appesantito dalla consapevolezza, Caligola sorrise e annuì. Il messaggio era chiaro: adesso, per evitare di essere portato sotto processo, vedere tutti i suoi beni confiscati e poi essere ucciso, Silano avrebbe dovuto togliersi la vita. Perché aveva un solo modo per continuare ad assicurare il sostentamento alla sua famiglia: ammettere la propria colpevolezza con l'atto estremo dell'orgoglio romano, togliendosi la vita con dignità e coraggio.

Caligola si voltò e uscì dalla Curia, raggiungendo la scorta di germani che lo attendeva fuori. Al di là di quei bestioni dai volti truci, la folla era diventata ancora più numerosa, e non appena lo vide comparire esplose in grida di giubilo.

«Direi che è andata bene» mormorò Callisto accanto a lui.

Caligola annuì compiaciuto, mentre sollevava le mani per rispondere ai cori del popolo.

«Proprio come avevo previsto» rispose, scendendo le gradinate per immergersi tra la folla che lo acclamava.

Adesso che anche Silano era fuori gioco, poteva dirsi libero da ogni pastoia e da ogni debito con il passato. Avrebbe potuto essere l'imperatore che aveva sempre immaginato nei suoi sogni più arditi, godendo del terrore che aveva seminato fra i senatori e del giubilo del popolo romano, tenendo attorno a sé le sole persone che amava davvero e di cui sapeva che poteva fidarsi: Drusilla e Micenio. Con l'aiuto, pur con la dovuta cautela, di Callisto, Protogene e della bella Ninfidia.

Nessun altro avrebbe più potuto avvicinarsi a lui.

 

32

«Farò ingrandire la villa e costruire una strada che costeggi il lago fino a qui» spiegò alla sorella, tenendole un braccio attorno alla vita sottile. Stavano contemplando lo Specchio di Diana dalla spianata antistante il tempio della dea, mentre i servi si davano da fare per allestire i loro alloggi e preparare il necessario per i rituali di sacrificio.

«Non so se Diana apprezzerà una strada scavata nella montagna» ribatté Drusilla appoggiando la testa sulla sua spalla. «In fondo, lei è un'amazzone. Adora i boschi e queste terre selvagge.»

Caligola osservò le pareti del vulcano che si innalzavano oltre lo specchio d'acqua e comprese che la sorella aveva ragione. Quel luogo non poteva essere deturpato da opere di ingegneria, doveva restare integro, con l'afflato della natura selvaggia che incarnava lo spirito di Diana, la dea cacciatrice.

«Saremo costretti a scarpinare, allora» constatò, indicando il sentiero impervio che collegava il tempio alla domus di famiglia.

«Be', non è detto» replicò Drusilla, allungando le labbra verso il suo collo per risalire fino al lobo dell'orecchio. «Perché non mi stupisci come sai fare tu, princeps? Ci sarà pure un modo per goderci questo luogo senza distruggere i boschi.»

Quando Drusilla gli conficcò la lingua nell'orecchio, Caligola rabbrividì e scrutò l'acqua di un magnifico blu carico dello Specchio di Diana.

«Cos'è che mi hai detto, una volta? Che ti sarebbe piaciuto poter camminare sulle acque del lago, come quel Nazareno sosteneva di avere fatto in mare.»

«Oh, sì, sarebbe magnifico» approvò lei scendendo a mordicchiargli il collo.

«Allora è questo che farò per te» sostenne lui con un sorriso. «Ti darò l'opportunità di raggiungere il tempio dalla nostra casa camminando sulle acque.»

Lei si staccò e lo guardò divertita. «Dici sul serio?»

«Sono o non sono l'imperatore, l'uomo più potente del mondo?»

«Ma non sei il re dei giudei. E non vorrei vederti finire crocifisso!»

Scoppiarono a ridere entrambi, poi Caligola strinse a sé la sorella, la guardò negli occhi e accostò le labbra alle sue, ma senza baciarla.

«Farò costruire una nave» le spiegò. «Anzi, due. Una per me e una per te. Così grandi che sarà possibile, camminando sui due ponti accostati, attraversare lo Specchio di Diana per raggiungere il tempio, quando ne avrai voglia.»

«Due navi?» chiese lei sorpresa.

«Ma certo!» annuì Caligola. «Le più grandi navi che si siano mai viste! E saranno costruite non per navigare, ma per dare a mia sorella la possibilità di camminare sulle acque, come una dea in visita a un'altra dea.»

Drusilla lo guardò negli occhi, ammaliata dalle sue parole, e lui la sentì rabbrividire fra le sue braccia.

«Perché non mi baci, fratello?» gli chiese.

Caligola sorrise e si staccò leggermente da lei. «Voglio che il desiderio cresca e mi consumi» rispose. «Così questa notte, quando saremo soli, nessuno mi impedirà di divorarti.»

Drusilla rise e scappò via, sollevando la tunica sui piedi nudi. «Prima dovrai prendermi, però, mio caro imperatore!»

Caligola attese qualche istante per darle un minimo di vantaggio, poi le fu dietro, ignorando gli sguardi sorpresi dei liberti imperiali, che attendevano in disparte con i documenti da siglare per gli affari di Stato. La inseguì fino al portico del tempio e, dopo aver finto di non riuscire ad afferrarla, le tese un agguato dietro una delle colonne e finalmente tornò a stringerla fra le braccia.

«Sei più bella di qualsiasi dea, lo sai?» le disse, sentendo il cuore martellargli nel petto per la corsa e l'eccitazione. «Farò costruire un ninfeo, in questo tempio, che sia degno del tuo splendore.»

«Del nostro splendore, fratello» puntualizzò lei, dandogli una spinta e scappando via di nuovo.

Lui la lasciò andare, dilatando le narici per cogliere il suo profumo nell'aria selvaggia di quei luoghi, così diversa da quella soffocante di Roma.

Si guardò attorno e cominciò a immaginare come avrebbe fatto costruire il ninfeo dai suoi architetti. Sarebbe stata una costruzione magnifica, che però ben pochi avrebbero potuto ammirare, perché l'avrebbe riservata solo a lui e Drusilla.

«Cesare, possiamo parlare?»

La voce di Callisto gli scivolò addosso grattandogli la pelle, ma sapeva che non avrebbe potuto ignorare il suo segretario personale. Le incombenze dell'imperium gravavano su di lui e, per quanto fosse felice di essersi allontanato da Roma, non poteva fare a meno di occuparsi delle questioni amministrative che Callisto era impaziente di sottoporre al suo giudizio.

Cercò ancora con lo sguardo Drusilla, ma non la vide da nessuna parte, così si riempì i polmoni con le ultime tracce della sua fragranza e raggiunse Callisto, che lo attendeva insieme a Protogene.

«Andiamo a metterci comodi» disse. «Se dobbiamo lavorare e discutere di questioni importanti, almeno facciamolo con la dignità che meritano gli uomini più potenti dell'impero.»

Seduti sopra alcuni grossi massi che dovevano essere precipitati dall'orlo del cratere in tempi remoti, potevano ammirare tutto lo specchio d'acqua, fino a intravedere la domus che in parte si nascondeva fra gli alberi e in parte correva fino al lago.

«Prima di cominciare» disse Caligola rivolto a Callisto «voglio che tu faccia una cosa per me.»

«Naturalmente, Cesare.»

«Trova i migliori costruttori di navi dell'impero e falli venire a palazzo. Ho del lavoro per loro. Promettigli che saranno ricoperti d'oro, se eseguiranno bene e in fretta i miei ordini.»

«Sarà fatto, princeps» annuì Callisto.

«E anche un paio di architetti di valore, a tua scelta. Discuterò con loro di alcune idee che mi sono venute, e se riusciranno a soddisfarmi assicureranno il benessere alle loro famiglie per generazioni.»

Questa volta Callisto non disse nulla, limitandosi a restare in attesa d'altro.

Caligola sorrise, poi accennò con la mano alle pergamene che Protogene aveva sempre con sé, quasi fossero diventate parte del suo abbigliamento.

«Chi dobbiamo mandare a processo, oggi?» chiese, pregustando un po' di sano divertimento. Le delazioni e le reciproche accuse fra senatori piovevano a ritmo continuo, e lui non doveva fare altro che ascoltare quelle menzogne e prenderle tutte per vere, comminando sanzioni, mandando a processo chi aveva qualche conto in sospeso con lui e la sua famiglia e costringendo al suicidio chi meritava un minimo di rispetto, nonostante gli risultasse difficile trovare quale animo nobile o leale, fra i codardi che sedevano in Senato.

Protogene fece per srotolare la pergamena di Spada, ma Callisto lo bloccò.

«Forse dovresti cercare di essere più conciliante, Cesare» affermò il suo segretario personale.

Caligola lo guardò, sorpreso ma anche ammirato da tanta audacia. Gli fece un cenno, invitandolo a continuare, e Callisto riprese a parlare con voce calma, ponderata: «Stai facendo bene, sei un imperatore ammirato dal popolo che ha portato giustizia in molte dispute difficili da gestire. Tutto sommato, sia il Senato sia la tua famiglia hanno capito che non ha senso tirare troppo la corda e si tengono a distanza.»

«Forse perché il loro tentativo di avvelenamento, da chiunque sia partito, è andato a vuoto?»

«Non lo so, Cesare, ma continuare sulla strada dell'esasperazione nei confronti dell'aristocrazia non mi pare una scelta intelligente. Se non si può annientare il nemico, forse è meglio venirci a patti.»

Caligola restò a guardarlo per qualche istante, rimuginando sulle sue parole. Poi scosse la testa aprendo un sorriso che, lo sapeva, doveva apparire più cattivo che conciliante.

«Tu non sai quello che ho passato, e non starò certo a raccontartelo. Decido io quale linea tenere nei confronti degli ipocriti che siedono nella Curia o che si aggirano per Roma sfoggiando le loro ricchezze. E decido io come comportarmi con le mie sorelle e i loro mariti. Vorrei che questo fosse chiaro.»

«Certo, Cesare, però...»

«La questione è chiusa» lo interruppe con rabbia, facendo scomparire all'istante il sorriso e tirando le labbra in due linee sottili. «Adesso prendete nota delle prossime misure che intendo portare all'attenzione del Senato, perché siano loro a ratificare le mie decisioni.»

Callisto si limitò ad annuire, preparando lo stilo e la tavoletta cerata per scrivere.

«Voglio dare sempre più sostanza al recupero dell'ordine antico» cominciò, ricordando le strategie che aveva elaborato negli ultimi giorni. «La prima misura sarà introdurre di nuovo l'antico procedimento di elezione dei magistrati da parte dei comizi del popolo, togliendolo al Senato. Voglio proprio vedere che cosa faranno.» Sghignazzò soddisfatto all'idea. «Se lo contesteranno, faranno capire a tutti che a loro interessa solo agire per il proprio tornaconto, non per il bene di Roma.»

Callisto incise alcune parole nella cera, senza commentare, e Caligola gli scoccò un'occhiata divertita.

«Per ringraziare il popolo, invece, sai cosa faremo?» Si alzò e continuò senza aspettare la risposta del suo segretario: «Prima di tutto intendo ripristinare i giochi gladiatori. Non mi importa se qualcuno li ritiene troppo dispendiosi, sono il sangue e il sudore della nostra civiltà, e poi...» sventolò una mano in aria «fanno divertire la gente.»

«Intendi ancora far riempire d'acqua la Saepta, come avevi proclamato prima della... malattia?» gli chiese Callisto.

«Sì» annuì Caligola. «Fai scavare una fossa abbastanza ampia, perché voglio portare in quell'edificio delle vere navi e mettere in scena delle spettacolari battaglie navali.»

«Sarà fatto, Cesare.»

«Bene. Delle altre questioni amministrative parleremo a tempo debito. Ma sappi che intendo riformare l'ordine equestre, perché ci sono troppe persone indegne di ricoprire quella carica. La fila di coloro che ambiscono a indossare la tunica equestre, e che se lo meriterebbero, è lunga. E magari a molti di questi nuovi cavalieri permetterò di accedere al rango senatorio, se si dimostreranno più fedeli all'imperatore di quei cani che siedono nella Curia.»

«Non pensi, quindi, di emanare qualche provvedimento per tenere buono il Senato?» buttò lì Callisto, dimostrando un notevole autocontrollo e una certa astuzia. Prima lo aveva fatto sfogare, e adesso tornava sul punto che gli stava più a cuore.

«Forse hai ragione» rispose Caligola, capendo che avrebbe dovuto dare un contentino al suo segretario, nonché ai senatori, che non poteva esasperare troppo, se non voleva che la loro rabbia e il loro livore gli si ritorcessero contro. «Avevo pensato a qualcosa di interessante, che dovrebbe tenerli a bada per un po'.»

«Mi fa piacere, Cesare. Posso sapere di cosa si tratta?»

Caligola tornò a sedersi sul masso e appoggiò le mani sulle ginocchia.

«Partiamo dalle sciocchezze, perché so che il Senato tiene molto alle stupide iniziative che proclama tanto per dimostrare che fa qualcosa, anche se non servono a nessuno.»

Callisto lo fissò accigliato, ma non replicò.

«Ricordi la richiesta di cancellare il nome di Tiberio dai giuramenti annuali di fedeltà nei confronti degli imperatori? Bene, che sia approvata. Cancelliamo il mio predecessore dalla memoria pubblica.»

Si trattenne dallo scoppiare a ridere. In realtà quel provvedimento lo aveva tenuto in caldo per dare un contentino al Senato, ma lo avrebbe ideato lui stesso, se non ci avessero pensato prima i corvi della Curia.

«Altre cose, Cesare?» lo pungolò Callisto.

«Naturalmente» rispose. «Che non si dica che non tengo ai miei senatori. Presentiamo in Senato le rationes imperii, rendiamo pubblici i rendiconti finanziari sulla gestione amministrativa, e lasciamo che si divertano a dissertarci sopra.»

Questa volta Callisto non riuscì a evitare un moto di sorpresa. «In questo modo gli diamo più potere di quanto...»

«Volevano una suddivisione precisa fra i poteri dell'imperatore e quelli di loro competenza» lo interruppe Caligola. «Bene, adesso ce l'avranno. E dovranno renderne conto a me, oltre che al popolo romano.»

Callisto non ribatté, ma mantenne un'espressione poco convinta.

«Infine» continuò Caligola, che si era stufato di quella discussione e non vedeva l'ora di tornare da sua sorella, «lasciamo che i senatori con incarichi pubblici ritrovino il passato splendore.»

«Come, Cesare?»

«Limitiamo il diritto di appello al princeps da parte del popolo» rispose. «Che vadano a adulare i senatori. In questo modo si sentiranno di nuovo importanti, e io mi sarò sbarazzato dei delatori e dei petulanti.»

«Ottima mossa, Cesare» intervenne Protogene, che incassò subito dopo un'occhiataccia da parte di Callisto.

«Bene, allora direi che è tutto. Datevi da fare e mi raccomando: trovatemi quei maestri navali e gli architetti. Prima di ogni altra cosa.»

Detto questo se ne andò, certo di essere stato bravo. Aveva pensato a provvedimenti che avrebbero accontentato tutti, e questo gli avrebbe dato il tempo di portare avanti, bene e con calma, il suo principale obiettivo: eliminare quei cani che avevano sterminato la sua famiglia e attentato alla sua vita. Chiunque fossero e ovunque si nascondessero.

 

33

Per un istante si sentì soffocare. Si dibatté, risalì in superficie e finalmente riuscì a riempirsi d'aria i polmoni.

«Che succede, non ce la fai a reggere il nostro ardore?»

Era stata Drusilla a prenderlo in giro, e lui si dibatté per liberarsi del tutto dalle lenzuola, che quasi lo avevano strangolato.

«Siete troppo focosi, voi due» sbottò alzandosi e andandosi a versare del vino, che bevve con avidità. Aveva in bocca il sapore di Drusilla e di Micenio, una miscela straordinaria che avrebbe voluto portare sempre con sé, ma doveva assolutamente bere qualcosa, perché per un istante aveva avuto l'impressione di essere risucchiato di nuovo dall'abisso in cui era caduto durante la malattia.

«Se sono stato io mi scuso, Cesare, è che...»

«Ma no, che dici? Non vedi che sta benissimo?»

Caligola guardò Drusilla e Micenio, allacciati nudi sul letto. Uno spettacolo incomparabile, che solo i suoi occhi potevano gustare. Fino a qualche istante prima era stato anche lui abbracciato a quei corpi, e aveva goduto in ogni modo possibile delle combinazioni amorose che Drusilla e Micenio erano in grado di assicurare, grazie alla loro fantasia e all'audacia.

Quando Micenio si era messo in mezzo fra lui e Drusilla, dando prova della sua mascolinità con la sorella, e al contempo ricevendo il membro di Caligola come la più spregiudicata delle femmine, lui aveva creduto di raggiungere i Campi Elisi. Poi i loro corpi si erano intrecciati, il sudore mischiato agli effluvi degli orgasmi che li avevano squassati, finché qualcosa lo aveva agguantato per la gola e aveva stretto, soffocandolo.

«Sì, sto bene» li tranquillizzò, passandosi la mano sul collo. «Ma sono anche stanco. Voi due siete insaziabili, ma io mi sono appena rimesso da una lunga malattia.»

Drusilla cambiò subito espressione. Quando scese dal letto e lo raggiunse, Caligola vide i suoi occhi sgranati e pieni di preoccupazione.

«Hai bisogno di qualcosa?» gli chiese la sorella. «Vuoi sdraiarti? Ti portiamo da mangiare?»

«Del miele, Cesare, devi mangiare un po' di miele» affermò Micenio raggiungendolo a sua volta. «Ti darà forza.»

«Oh, adesso non esagerate» ribatté districandosi dai due. «Non ho bisogno di niente, solo di riprendere fiato.»

Drusilla lo guardò in tralice, poco convinta, poi tornò a sedersi sul letto, seguita dal fedele Micenio.

«Se voi volete continuare...» disse Caligola bevendo un altro sorso di vino.

«Senza di te non è altrettanto divertente» rispose Drusilla.

«È vero, Cesare» confermò Micenio.

Caligola scosse la testa. Poi li raggiunse e si sedette in mezzo a loro. «Come farei senza di voi?» mormorò.

Drusilla e Micenio lo baciarono ciascuno su una guancia.

«Senza di noi resteresti solo, Cesare» disse poi Drusilla, sorprendendolo.

Lui la guardò cercando di capire il senso di quelle parole, ma la sorella continuò in modo esplicito: «Io non posso certo darti un erede, né può farlo Micenio. Hai intenzione di pensare a questo problema, prima o poi, oppure no?»

Caligola era allibito. Come era arrivata a parlare di quell'argomento, sua sorella? Perché proprio adesso?

«Oh, lo so a cosa stai pensando» affermò Drusilla staccandosi leggermente da lui per guardarlo negli occhi. «Sono affari miei, invece, eccome. E anche di Micenio, perché noi ti vogliamo bene e dobbiamo pensare al futuro della dinastia.»

Caligola li guardò. Dunque erano già d'accordo, e attendevano solo il momento giusto per affrontare il discorso. Sostenne lo sguardo della sorella.

«Perché non potresti essere tu a mettere al mondo mio figlio?» le chiese.

«Perché il popolo romano non te lo perdonerebbe, lo sai.»

«E perché questo ti esporrebbe troppo agli strali dei tuoi nemici, princeps» aggiunse Micenio.

Caligola scosse la testa. «Vi siete preparati per bene, vedo.»

«Certo, perché se non ci pensiamo noi tu non lo farai di sicuro» protestò Drusilla.

«A che cosa dovrei pensare?» sbuffò Caligola.

«Devi sposarti» rispose la sorella con aria determinata. «E avere dei figli, degli eredi. L'impero lo esige.»

Era stata categorica. Dopo aver aperto bocca per ribattere, lui si rese conto che aveva ragione. Lo aveva sempre saputo, perché in fondo anche a lui premeva l'idea di assicurare un futuro alla sua dinastia, per perpetuare il suo sangue.

«Accudiremo noi i tuoi figli, come se fossero nostri» mormorò Micenio con una dolcezza che lo intenerì. «Ti prego, princeps, ascolta tua sorella.»

Caligola si alzò e andò a versarsi un'altra coppa di vino. Adesso aveva la gola secca, arida.

«Dunque che cosa mi consigliate? Avete forse già pensato anche a chi dovrei sposare?»

«Ne ho parlato con Agrippina e Livilla» rispose Drusilla facendolo sobbalzare. Per poco la coppa non gli cadde di mano. «Loro concordano, e sono pronte a sostenerti.»

«Stai dicendo sul serio?»

Lei si alzò e lo fronteggiò, con un'espressione dura che poche volte le aveva visto.

«Devi ricomporre i rapporti con la nostra famiglia» affermò. «A partire da Agrippina e Livilla, che sono nostre sorelle. Sangue del nostro sangue.»

«Il che non significa che non abbiano cercato di uccidermi» protestò lui, sentendo la collera salire fino a farlo avvampare.

«Questo non puoi dirlo» ribatté Drusilla. «Sono solo congetture.»

«Ma anche tu ci hai creduto, per un certo periodo» le ricordò Caligola.

«Forse ci sbagliavamo!» protestò lei. «In ogni caso, non ti sto dicendo di aprirti, di dare loro la tua completa fiducia. Evitiamo, però, di far sapere a tutta Roma che sei contro di loro.»

Fece per ribattere, ma poi si morse un labbro e restò un attimo a pensare. Forse sua sorella non aveva tutti i torti. In quella situazione, dopo i provvedimenti che aveva preso per tenere a bada il Senato e accontentare il popolo, e dopo essersi assicurato il controllo delle coorti pretorie, restava solo uno scoglio da superare, quello dei rapporti con le sorelle. Se fosse riuscito a riconciliarsi con loro, almeno all'apparenza, avrebbe avuto il pieno controllo sulla sua vita e sull'impero.

«Va bene» ammise, lasciando sbollire la rabbia, «forse hai ragione. Dunque avete parlato del mio matrimonio. Avete per caso individuato una possibile moglie per il vostro imperatore?»

Drusilla sorrise, gli si avvicinò e gli accarezzò il viso con la mano fresca e morbida.

«Un'idea ce l'abbiamo» rispose. «Ma devi essere d'accordo anche tu, Cesare.»

«Vorrei ben vedere...»

«Perché non ne parliamo a cena, tutti insieme?»

Caligola spalancò la bocca sorpreso. «Quando?»

«Questa sera stessa. Ho organizzato un banchetto con Agrippina, Livilla e qualche buon amico. Dovrebbe servire a rilassarti e dare prova del tuo desiderio di riconciliazione.»

«Sei davvero tremenda...»

«Ma lo faccio per il tuo bene» affermò Drusilla, stringendosi a lui e allungando una mano verso Micenio, che si alzò e li raggiunse. «Noi ti proteggeremo, vedrai. E tu saprai usare la tua intelligenza per sfruttare al meglio questo incontro, ne sono sicura.»

Caligola sorrise, accostò la bocca a quella di Drusilla, poi si girò per baciare Micenio. Avvertì il desiderio prendere di nuovo forma nei suoi lombi e li spinse verso il letto.

«Sei sicuro?» rise Drusilla. «Non vorrei che poi questa sera tu non ti sentissi abbastanza in forze da reggere lo scontro con Agrippina e Livilla.»

«Non ci sarà nessuno scontro» la rassicurò lui. «Farò in modo che le mie sorelle siano soddisfatte degli onori che riserverò loro, così saranno ben disposte nei miei confronti.»

«Davvero? E come?»

«Ne parleremo dopo» concluse Caligola tuffandosi fra le lenzuola e facendo loro segno di raggiungerlo.

Per quella sera Drusilla aveva preparato tutto, con l'aiuto di Micenio, e lui ne restò impressionato. Aveva fatto venire alcuni rinomati cuochi da Mediolanum e da Cartagena, e non aveva risparmiato risorse per procurare loro ingredienti esotici e di prima scelta con cui realizzare portate ricche e molto gustose.

Ma anche Caligola aveva voluto partecipare allo spettacolo, e lo aveva fatto con uno dei suoi soliti colpi di teatro che sorprendevano tutti.

Quando Agrippina e Livilla avevano fatto il loro ingresso nella domus imperiale, davanti ai mariti che le seguivano come cagnolini obbedienti e a uno stuolo di servitori che forse avrebbe dovuto impressionarlo, lui era andato incontro alle sorelle con un gran sorriso e le aveva accompagnate personalmente ai triclini destinati agli ospiti d'onore del banchetto.

«Ho deciso di cambiare la tradizione» aveva spiegato mentre Agrippina e Livilla lo fissavano sorprese ma anche palesemente compiaciute. «Da oggi, per decreto imperiale, i membri della mia famiglia, e soprattutto le mie sorelle, prenderanno posto accanto al triclinio dell'imperatore, alla mia destra e alla mia sinistra... almeno fino a quando non prenderò moglie.»

Era scoppiato a ridere, e tutti lo avevano imitato, apertamente più rilassati.

«Per le prossime occasioni farò in modo che siano presenti anche molti altri commensali di prestigio» li aveva rassicurati mentre prendevano posto, con Drusilla che si teneva leggermente in disparte, per lasciare alle sorelle i posti d'onore al banchetto. «I consoli in carica, i più influenti fra i senatori e i cavalieri di Roma, oltre a tutti quei nobili e aristocratici che vorranno arricchire questi momenti di incontro con l'imperatore e la sua famiglia.»

Agrippina, a quel punto, aveva smesso di tenere le labbra serrate e aveva aperto un sorriso sincero, dimostrandogli che era proprio a questo che mirava. Naturalmente per lei si sarebbe trattato di un primo, piccolo passo verso il vero obiettivo della sua ambizione (cioè portare suo figlio sul trono), ma Caligola si accontentò del fatto che, almeno per il momento, avrebbe cessato di diffidare di lui e gli avrebbe dato agio di muoversi con più libertà, raggiungendo i suoi scopi prima che gli altri si accorgessero di ciò che stava facendo.

Adesso, mentre mangiavano, bevevano e ridevano come una vera famiglia in pace e in armonia, si rese conto che bastava davvero poco per accontentare quegli stolti assetati di potere. Un po' di indulgenza imperiale, un buon posto al banchetto in loro onore, ed ecco che i lupi si trasformavano in agnelli, anche se lui non avrebbe mai smesso di diffidare delle sorelle, così come dei senatori.

«Sono piacevolmente sorpresa di questo tuo desiderio di rappacificare la famiglia» disse Agrippina bevendo un sorso di vino, le belle gambe distese sul triclinio mentre uno dei servi le lavava e profumava i piedi.

«Ma io non sono mai stato in guerra!» esclamò Caligola facendo ridere tutti, seppure più per l'abitudine a compiacere l'imperatore che per la qualità della battuta. «E poi, come sapete, ho bisogno del vostro aiuto.»

«Di che si tratta?» chiese Livilla, pulendosi la bocca con la manica della tunica che avevano indossato per il banchetto.

«Ma come, Drusilla non ve ne ha parlato?»

«Certo che l'ho fatto» intervenne Drusilla. Poi si rivolse a Livilla e ad Agrippina. «Abbiamo deciso tutte insieme che è nostro compito aiutarti a trovare moglie.»

«Oh, sì!» esclamò Agrippina, che sembrava la più allegra e a suo agio, fra tutti. «Drusilla ha ragione. Nostro fratello deve sposarsi, deve darsi da fare per mettere al mondo un po' di possibili eredi.»

Vi furono altre risate di circostanza, mentre tutti tenevano gli occhi puntati su di lui, per cogliere la sua reazione.

Quando Caligola decise di assecondarla, ridendo a sua volta e portando alle labbra un calice di vino, l'atmosfera nella sala tornò a farsi più serena.

«Immagino che abbiate già vagliato tutte le possibili pretendenti» disse alla fine, incuriosito suo malgrado da quello che le sorelle avevano escogitato. Da parte sua non aveva mai pensato a trovare una nuova moglie, e non aveva proprio nessuna in mente, per quel ruolo delicato, più di prestigio istituzionale che di reale compagnia all'intimità dell'imperatore. «Posso sapere a chi avreste pensato?»

Le sorelle si scambiarono alcune occhiate, poi a sorpresa fu Drusilla a rispondere, il che gli fece comprendere che quelle tre facevano sul serio: se avevano deciso di far parlare la più giovane tra loro, era perché sapevano che Drusilla aveva un grande ascendente su di lui, e dunque volevano sfruttarlo. Ma soprattutto significava che Drusilla stessa riteneva così importante la faccenda da assumersi quella responsabilità ai suoi occhi e davanti al resto della famiglia.

La curiosità crebbe ancora di più dentro di lui.

«Abbiamo pensato a Livia Orestilla. È una bellissima donna, e i suoi fianchi abbondanti ci fanno pensare che potrà essere anche una madre prolifica.»

Caligola si accigliò. Livia Orestilla? La ricordava poco più che bambina, non aveva nessuna idea di come fosse adesso, né quale fosse la sua condizione familiare. Certo, apparteneva a una famiglia nobile e influente, ma... con lo sguardo andò alla ricerca di Protogene e dei suoi registri, perché avrebbe voluto dare un'occhiata per capire se qualcuno della famiglia di quella donna era stato annotato in Pugnale o in Spada, ma Agrippina lo incalzò, costringendolo a riportare l'attenzione su di lei.

«Noi crediamo sia perfetta, per condizione familiare e per carattere. Dunque ti suggeriamo il suo nome come prima scelta. Ma naturalmente sei tu che devi decidere.»

«In ogni caso» intervenne Livilla, a sostegno delle sorelle, «gli ostacoli che si potrebbero frapporre alla tua unione con Livia Orestilla sono facilmente sormontabili.»

«Ostacoli?» chiese Caligola, sempre più interessato.

Drusilla emise una risatina. «Pensa, lei dovrebbe sposarsi proprio domani, con un bel giovane, Gaio Calpurnio Pisone. Ricordi? Ci lamentavamo per il fatto che è stato uno dei pochi che non ha mai chiesto di renderti omaggio, dopo che sei guarito.»

«Non solo» aggiunse Agrippina tendendosi verso di lui. «I servi di Pisone hanno fatto uno sgarbo a tua sorella, al mercato, trattandola come se fosse una popolana qualunque.»

Caligola passò gli occhi su tutte e tre. «Chi di voi?»

Drusilla si strinse nelle spalle. «Io. Ma non te ne ho parlato perché non lo ritenevo importante.»

Caligola si sentì avvampare. «Ti hanno fatto uno sgarbo al mercato? Io...»

«Lascia perdere, Gaio» lo fermò Agrippina, chiamandolo ancora una volta con il suo nome da ragazzo. Sapeva quanto lo infastidisse, e forse lo faceva apposta, per manifestare il suo disprezzo verso le sue disposizioni. Per il momento decise di ignorarla, tornando a concentrarsi su Livia Orestilla.

«Se domani quei due si sposano, io cosa posso fare?» chiese.

«Quello che già hanno fatto Romolo e il divino Augusto prima di te» rispose Livilla facendolo sobbalzare per la sorpresa.

«È vero» aggiunse Agrippina. «Romolo e Augusto hanno sposato donne che si erano già maritate, e l'hanno fatto adducendo il diritto dei re di poter estendere a qualsiasi loro suddito il privilegio di entrare a far parte della famiglia imperiale.»

Caligola restò a fissarle a bocca aperta. Non avrebbe mai immaginato una cosa del genere: quello che gli stavano proponendo era tanto assurdo quanto irresistibile. Lui avrebbe fatto come il fondatore di Roma e come il più grande degli imperatori. E sarebbe entrato a sua volta nella storia. Come poteva rinunciare a un'occasione del genere?

«Dunque che cosa mi consigliate di fare?» chiese sentendo crescere l'eccitazione.

«Domani, dopo il matrimonio, ti recherai da Pisone e reclamerai la sua sposa» rispose Agrippina, che sembrava avere preso in mano la discussione. «Livia Orestilla diventerà imperatrice, la madre dei tuoi figli, e nessuno potrà opporsi a una simile opportunità che offri a lei e alla sua famiglia.»

«E Pisone?» chiese lui.

Agrippina rise, poi si portò il boccale alle labbra. Bevve un rapido sorso quindi rispose: «Dagli un'onorificenza di rilevo. Magari una carica nel collegio degli Arvali, al posto di Silano, che a quanto ne so non è ancora stato sostituito. Farà i salti di gioia e si dimenticherà all'istante della sua sposina.»

Caligola dovette ammettere che la sorella era scaltra e intelligente. Una donna pericolosa, a cui avrebbe dovuto fare attenzione, ma che per il momento poteva essergli preziosa.

Sorrise rivolto a tutti e annuì soddisfatto.

«D'accordo» disse. «Seguirò i vostri consigli. Che Livia Orestilla sia la mia seconda moglie!»