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Venerdì Verlangen fu svegliato da uno spettacolo pirotecnico.

 

Stava succedendo nella sua testa ed era alquanto monotono. Una batteria di esplosioni incandescenti che sembrava non finisse mai. Lasciatemi morire, pensò. Gesù, lasciatemi morire qui e adesso.

 

Ma non venne accontentato. Aprì cautamente un occhio nel tentativo di stabilire il qui e l'adesso.

 

Qui risultò essere una stanza sconosciuta. Un hotel, probabilmente. Era in un letto, attorcigliato nelle lenzuola. L'ambiente era pulito e ordinato, e il sole mattutino entrava dalla finestra.

 

Adesso era le nove e un minuto. Sul comodino accanto al letto, una sveglia suonava con insistenza. La riconobbe, era la sua sveglia da viaggio, che aveva acquistato all'ipermercato Merckx qualche mese prima. Non perché avesse l'abitudine di viaggiare, ma non si poteva mai sapere. Costo: dodici corone e cinquanta.

 

Rifletté un istante. Doveva per forza esserci un dannato pulsante con cui far tacere quell'ordigno infernale. Un piccolo bottoncino inaccessibile... Col braccio destro colpì la sveglia, che cadde sul pavimento e tacque. Lo sforzo rese ancora più intense le esplosioni nella testa.

 

Maledizione, pensò. No, di nuovo! Dove sono? Che giorno è?

 

Tre ore dopo era riuscito a compiere un certo numero di azioni.

 

Era riuscito a trascinarsi in bagno. Aveva vomitato, pisciato e bevuto un litro d'acqua.

 

Aveva inghiottito tre pastiglie per il mal di testa.

 

Aveva ritrovato la strada per il letto e si era riaddormentato.

 

La seconda volta non fu la sveglia a destarlo. Fu una piccola cameriera dalla pelle scura, comparsa sulla soglia chiedendo scusa.

 

Era giovane e graziosa, e lui aveva intenzione di farglielo capire.

 

Non devi scusarti, avrebbe voluto dire. Tu sei giovane e fresca come un giglio rugiadoso... e hai davanti un porco della peggior specie. Impara la lezione.

 

Ma dalla bocca gli uscì appena un sibilo. La lingua era elastica come una rete metallica, e l'aria che saliva dai polmoni distrutti dalle sigarette, che avrebbero dovuto mettere in risonanza le corde vocali inaridite, era poco più di uno sbuffo di fumo che saliva da un incendio ormai spento.

 

Chiudi la porta, è meglio che tu non mi veda, pensò, e si sforzò di sorridere. Faceva male.

 

La ragazza si scusò nuovamente. Chiese se non doveva liberare la stanza quel giorno. Prima delle undici, come in tutti gli hotel di quella catena. Era scritto chiaramente nel foglio informativo.

 

Ed erano le dodici.

 

A quel punto capì. Porca puttana, pensò, e sentì il cerchio di ferro stringersi di nuovo intorno alla testa.

 

"Dieci minuti" riuscì a gracchiare. "Mi dia solo dieci minuti."

 

La cameriera annuì e scomparve. Verlangen respirò a fondo. I suoi bronchi fischiarono indignati. Rotolò fuori del letto e si trascinò in bagno.

 

Consumò qualcosa che non era né colazione né pranzo in un locale che si chiamava Henry's. Due tazze di caffè nero, una birra e un'acqua minerale. La nebbia nella sua testa si andava diradando lentamente, e quando riuscì a fumare una sigaretta, capì che probabilmente ce l'avrebbe fatta a superare perfino quella giornata.

 

Per quanto potesse servire.

 

Quando la nicotina cominciò a circolargli nelle vene, riuscì a ricordare il giorno precedente - o almeno alcune parti - e ciò che stava facendo in quel posto sperduto.

 

Linden, dannazione, pensò. Non sono mai stato male come qui.

 

Lasciò il locale mezz'ora dopo. Riuscì a localizzare la Toyota nel parcheggio dell'albergo, gettò la borsa da viaggio sul sedile posteriore e, attraversando Aldemarckt, raggiunse a piedi Landemaarstraat e l'ufficio di Hennan. Quel giorno l'aria era un po' più fresca, grazie al cielo. Si stava rannuvolando e, se non si sbagliava, prima di sera sarebbe piovuto.

 

Si sistemò nella sua solita postazione e fissò i muti rettangoli delle finestre sopra i negozi. Guardò l'ora. Le due meno un quarto. Quel giorno non poteva certo dire di aver lavorato sodo.

 

E aveva anche promesso un rapporto a Barbara Hennan. Si fermò a riflettere su questo punto.

 

Che diavolo le avrebbe detto?

 

Che aveva fraternizzato con l'oggetto del suo incarico? Che aveva bevuto un whisky via l'altro con lui in quel maledetto ristorante... Come accidenti si chiamava? Che era andato a dormire pieno come un uovo, Dio solo sapeva a che ora. Sempre che Dio fosse ancora sveglio.

 

Non era di sicuro ciò che ci si aspettava da un investigatore serio, ci arrivava perfino Maarten Verlangen.

 

In ogni caso non si era tradito. Nonostante tutto, era riuscito a non farsi scoprire. Hennan non poteva aver capito che la sua cara mogliettina l'aveva ingaggiato come detective privato per scoprire cosa facesse quando non era con lei.

 

Fin qui tutto bene. Ma per il resto?

 

Le avrebbe detto che aveva dormito fino a mezzogiorno e che stava ancora smaltendo i postumi di una sbronza colossale? Che non aveva idea di dove si trovasse Hennan?

 

Barbara Hennan avrebbe continuato a servirsi di lui dopo simili negligenze? E a pagarlo? Difficile.

 

E allora che fare?

 

La macchina! pensò all'improvviso. La Saab blu di Hennan.

 

Naturalmente. Verlangen accese una sigaretta e cominciò a gironzolare per il quartiere. Se Hennan era in ufficio, la sua auto doveva essere parcheggiata da qualche parte nelle vicinanze. Sicuro come l'amen in chiesa e le puttane su Zwille.

 

Dopo aver girato a lungo per le vie del centro di Linden, Verlangen concluse che la Saab blu tirata a lucido di Hennan non c'era. Aveva visto due Saab, ma nessuna era blu né particolarmente pulita.

 

In altre parole, sembrava che quel giorno Hennan non fosse andato in ufficio. Una conclusione che quadrava perfettamente con il whisky che si era scolato la sera prima. Dopo aver acquistato una bottiglietta di acqua minerale al chiosco della piazza, Verlangen si sedette su una panchina a riflettere. Non aveva il numero di telefono della ditta di Hennan, non sapeva nemmeno come si chiamasse, per cui la possibilità di trovarlo in quel modo era esclusa.

 

Tracannò la bottiglietta in due lunghe sorsate e ruttò. Rimase seduto un momento, e quando sentì una goccia di pioggia sul dorso della mano decise di arrischiarsi a contattare la sua cliente. Tanto vale prendere il toro per le corna, pensò.

 

Se davvero voleva continuare a portarsi a casa quei soldi facili, e certamente lo voleva.

 

Anche stavolta telefonò dalla cabina davanti alla macelleria. Lasciò squillare una decina di volte e concluse che a Villa Zefyr non c'era nessuno. Oppure che nessuno aveva intenzione di rispondere al telefono. Uscì dalla cabina e si infilò le mani in tasca. Ormai erano già le tre passate, e da come si erano messe le cose sembrava inutile sprecare più energia su Hennan di quanto non avesse già fatto quel giorno. Soprattutto perché in quel momento le sue energie e la sua pazienza erano pressoché esaurite.

 

Per via delle circostanze.

 

E per via della pioggia che adesso stava cadendo con decisione. Non una pioggia violenta, ma fitta e persistente. Decise di mangiare e poi tornare a casa. Secondo gli accordi presi con Barbara Hennan, avrebbe dovuto sorvegliare il marito solo nei giorni feriali. Mancavano poche ore al venerdì sera; avrebbe provato a richiamarla da Maardam, dopo di che avrebbe potuto staccare per il weekend e riprendere il lavoro lunedì mattina. Con rinnovata energia.

 

Detto fatto. Mangiò una pizza mediocre al ristorante Goldoni, bevve una birra grande e cominciò a sentirsi meglio. Alle cinque meno un quarto s'infilò nella sua fedele Toyota, avviò il motore e fece rotta verso Maardam.

 

Un'ora più tardi fece un altro tentativo con Villa Zefyr. Non rispose nessuno. Quel venerdì sembrava che niente dovesse andare per il verso giusto, così si mise a letto poco dopo le nove.

 

Un'altra settimana lavorativa nella vita dell'investigatore privato Maarten Verlangen era terminata.

 

"Una disgrazia" dichiarò il commissario Sachs, sfiorandosi i baffetti sottili. "È la spiegazione più verosimile. Ma tutto è possibile."

 

"Senza dubbio" concordò Van Veeteren. "Potreste riassumerci la situazione? Parleremo con Hennan più tardi, ma preferiremmo essere preparati."

 

Sachs si schiarì la voce.

 

"Sì, certo. Queste faccende in cui qualcuno cade e si ammazza sono sempre piuttosto rognose."

 

"Rognose?"

 

"Sì, rognose. Supponiamo che A e B si trovino sul balcone di un grattacielo, oppure sul bordo di un dirupo. Qualche secondo dopo, B giace morto cinquanta metri più in basso. Come diamine si fa a dimostrare che è stato A a spingerlo giù?"

 

Van Veeteren annuì.

 

"O che non l'abbia fatto?"

 

"Movente" disse Van Veeteren. "Si cerca di scoprire se c'è un movente. E se esiste, si torchia l'individuo in questione finché non crolla. Non c'è altro metodo, né un metodo migliore."

 

"Ma in questo caso" s'intromise Münster "la donna era sola, o sbaglio?"

 

"Per quanto ne sappiamo, sì" rispose Sachs. "Ma solo perché nulla sta a indicare qualcosa di diverso, al momento. A quanto sembra, la signora Hennan ha passato la serata a bere in solitudine, poi le è venuta voglia di farsi un bagno... oppure di togliersi la vita tuffandosi nella piscina vuota."

 

Van Veeteren vuotò la sua tazza di caffè e tirò fuori uno stuzzicadenti.

 

"Non mi sembra molto plausibile" disse.

 

"Quale delle due possibilità?" domandò Sachs.

 

"Che si sia tolta la vita. Com'era vestita?"

 

"Era in costume da bagno... un costume da bagno rosso. Vorresti dire che..."

 

"Sì. Innanzitutto è un modo decisamente sgradevole di morire. E poco sicuro."

 

"Non so se..."

 

"C'è il rischio di sopravvivere" spiegò Van Veeteren. "Il che comporterebbe con ogni probabilità gravi problemi per tutta la vita. Rimanere su una sedia a rotelle è il minimo che possa capitare."

 

"Capisco. Giusta osservazione."

 

"Ma se supponiamo che volesse suicidarsi, perché diamine mettersi il costume da bagno?"

 

Seguì qualche minuto di silenzio.

 

"Forse voleva che sembrasse una disgrazia" suggerì Münster.

 

"Non è da escludere" disse Van Veeteren. "Vedremo se emergeranno elementi a sostegno di questa ipotesi. Ma adesso ci servirebbe un breve riassunto. La situazione dei coniugi Hennan, cose di questo genere... quello che avete raccolto."

 

Sachs annuì e si mise un paio di leggeri occhiali da lettura. Scartabellò avanti e indietro nel bloc-notes che aveva davanti sul tavolo.

 

"Non abbiamo granché" spiegò come per scusarsi. "Gli Hennan abitano qui solo da aprile, del resto. Nemmeno due mesi. Sono arrivati dagli Stati Uniti a metà marzo, hanno alloggiato in albergo a Maardam qualche settimana mentre cercavano una casa da prendere in affitto... sono informazioni che ho avuto da Hennan, ma non vedo perché metterle in dubbio."

 

"Almeno per ora" concordò Van Veeteren.

 

"Hennan è originario di Maardam, ma ha trascorso parecchi anni in diverse città degli Stati Uniti. New York. Cleveland. Austin. Denver. Ha una ditta registrata con il nome di G. Enterprises. Ufficio in Landemaarstraat, proprio qui vicino. Un uomo d'affari, dunque... A quanto dice, ha sempre lavorato in questo settore. Lui e la moglie hanno scelto di trasferirsi in Europa perché qui le condizioni sono più favorevoli, così almeno sostiene lui. Non saprei, io non me ne intendo."

 

"Non possiamo fartene una colpa" disse Van Veeteren. "Sappiamo bene a che genere di affari si dedicava, prima di trasferirsi in America, ma è possibile che ora si sia messo in riga. E invece della moglie cosa si sa? Si sono incontrati e sposati a Denver, giusto?"

 

"Esatto" confermò Sachs. "Barbara Clarissa, cognome da nubile Delgado. Quindici anni più giovane del marito. Non sappiamo niente di lei, ma non sarà difficile trovare altre informazioni... Comunque sia, hanno preso in affitto questa casa in Kammerweg. Il proprietario si chiama Tieleberg e abita in Spagna. Probabilmente è una delle case più costose di tutta Linden. Nove o dieci locali più servizi, duemila metri quadrati circa di giardino in posizione totalmente isolata... e piscina con trampolino. Kammerweg è una via elegante. Deve essere uno che sta bene, questo Hennan."

 

"Mmm" borbottò Van Veeteren di malumore, spezzando lo stuzzicadenti. "E lui cosa dice della presunta disgrazia?"

 

"Che si tratta appunto di una disgrazia. Ne è assolutamente certo. Sua moglie non aveva motivo di togliersi la vita, e che qualcuno possa averla spinta... Ecco, chi avrebbe potuto fare una cosa del genere? Non conosceva quasi nessuno, qui. E perché? Hennan dice che il suo matrimonio funzionava bene. Si amavano... erano sposati da poco più di due anni... stavano addirittura pensando di avere dei figli. Lei in fondo aveva soltanto trentaquattro anni."

 

"E l'alcol?" domandò Münster. "Perché si ubriacava in solitudine, se era tutto rose e fiori?"

 

Sachs si levò gli occhiali e si massaggiò il naso fra pollice e indice.

 

"Su questo punto il marito è stato meno chiaro" ammise. "O almeno mi è parso. Probabilmente la donna ha bevuto parecchi gin tonic più un bel po' di sherry, ma secondo Hennan di solito non beveva così tanto. Qualche volta si faceva un paio di bicchieri, magari da sola, questo sì, il marito lo ha ammesso. Ma non in quelle quantità."

 

"1,74 per mille è un valore piuttosto alto" commentò Münster.

 

"Certamente" confermò Sachs annuendo. "E Hennan si è lasciato sfuggire che quando si ubriacava non era molto lucida... Il che significa che dev'essere già successo. A sentire lui, quando era sbronza si reggeva sulle gambe, ma non ci stava con la testa."

 

"Mmm" fece Münster. "Questo spiegherebbe il fatto che è stata in grado di arrampicarsi in cima al trampolino e saltare giù, senza controllare che la piscina fosse piena."

 

"Esatto" disse Van Veeteren. "Collima alla perfezione. Però non dobbiamo dimenticare chi è la fonte di queste informazioni."

 

Münster annuì, e Sachs voltò la pagina del bloc-notes.

 

"Quanto a Hennan" continuò, "si trovava al Colombine. Dietro il municipio. È stato lì dalle sette e mezzo a mezzanotte e mezzo circa, così dice. Non abbiamo ancora parlato con il personale, ma ci stiamo organizzando. Riceverò un rapporto dall'ispettore Behring nel pomeriggio. Magari ha un alibi, ci vuole circa mezz'ora per andare e tornare da Kammerweg... forse quaranta minuti. Vedremo cosa ci diranno. Barbara Hennan dovrebbe essere morta fra le nove e le undici, giusto?"

 

Lanciò un'occhiata interrogativa a Van Veeteren.

 

"Esatto" confermò Van Veeteren. "Ho telefonato a Meusse, che scommette sulle dieci... e raramente si sbaglia, con uno scarto al massimo di mezz'ora. Che impressione generale hai avuto di Hennan? Secondo te nasconde qualcosa?"

 

Sachs chiuse il bloc-notes con un colpo secco e infilò le mani nelle tasche. Si dondolò all'indietro sulla sedia e rifletté.

 

"Lo sa il diavolo" disse alla fine. "Era certamente ubriaco quando ho parlato con lui, ma... Sì, faceva paura da tanto era calmo. Se fosse stato sconvolto o altro - e naturalmente doveva esserlo - non si notava. Anche se... ecco, non mi sono fatto un'impressione precisa di lui. E sono molto contento che siate qui e possiate farvi anche voi un'opinione su quell'uomo. Come ho già detto, sono propenso a credere che sia stata una disgrazia, ma non possiamo escludere altre ipotesi."

 

"Nessuna prova del fatto che con la moglie ci fosse qualcuno?"

 

"Nessuna. C'era solo il suo bicchiere, ad esempio. Ma non abbiamo setacciato la casa. Non c'era motivo, dopotutto."

 

Van Veeteren annuì e strinse le mani intorno ai braccioli della poltroncina.

 

"Alright" disse. "Vediamo se il sovrintendente Münster e io riusciamo a trovare qualcosa. Se ci sono elementi interessanti, passeremo di qui prima di tornare a Maardam. Altrimenti ci sentiamo per telefono."

 

"Siete sempre i benvenuti" assicurò il commissario Sachs, allargando le braccia. "Buona caccia, come si usa dire."