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Dopo essersi fermato con l'auto in Wackerstraat e aver spento il motore, Van Veeteren fu colto da un'improvvisa titubanza.
Restò seduto un momento tamburellando con le dita sul volante, mentre cercava di capire di cosa si trattasse. Un'oscura intuizione? O era semplicemente indeciso?
Preferì quest'ultima spiegazione e scese dall'auto. Notò che la piccola vettura coreana color argento della signora Nolan era sul viale d'accesso al garage, e che tutto aveva un'aria serena e tranquilla. Il sole aveva cominciato a farsi largo attraverso la coltre di nubi grigiastre del mattino, e nel giardino confinante un uomo corpulento sulla sessantina era intento a tagliare il prato. Il rumore penetrante del tosaerba aleggiava con insistenza sulla zona residenziale.
La signora Nolan venne ad aprire dopo una trentina di secondi. Indossava jeans neri, una tunica anch'essa nera, e lo guardò con un'espressione che non sembrava del tutto presente.
"Sì?"
"Voglia scusarmi. Mi chiamo Van Veeteren. Vengo da Maardam e conoscevo suo marito da una vita. Le spiace se le chiedo di parlare un momento con me?"
Lei lo squadrò dall'alto in basso. Si passò una mano fra i capelli scuri; aveva una capigliatura sorprendentemente folta, per una donna che doveva aver superato la cinquantina, pensò lui.
"Sa che cosa è successo?"
"Sì. Condoglianze."
Lei annuì e lo fece entrare. Van Veeteren immaginò che le avessero somministrato un tranquillante in ospedale. Era evidente dal modo lento e meccanico con cui parlava e si muoveva.
"Prego."
Lo fece accomodare in soggiorno e lui si sedette in una poltrona bordeaux con dei centrini gialli sui braccioli.
"Come ha detto che si chiama?"
"Van Veeteren."
Lei si sedette di fronte a lui su un divano. Accavallò lentamente le gambe e strinse le labbra riducendo la bocca a una linea sottile.
"E cosa vuole? Io non ho..."
Non finì la frase. Dopo una breve titubanza, Van Veeteren riprese.
"Suo marito... la polizia le ha riferito chi era, se non sbaglio."
La donna fece un movimento vago con il capo, che Van Veeteren non riuscì a interpretare come affermativo o negativo.
"Che si chiamava Jaan G. Hennan e che aveva un passato del quale lei non è a conoscenza" spiegò lui.
"Che cosa vuole da me?" domandò la donna. "È un poliziotto anche lei? Non credo che..."
"Lo ero" la interruppe Van Veeteren. "E ho avuto parecchio a che fare con suo marito, in quella veste."
Lei corrugò la fronte.
"Non credo di capire."
"L'altro giorno è stata interrogata da due poliziotti, non è così? Alla galleria."
"È esatto. Che cosa...?"
"Che conclusioni ne ha tratto?"
"Conclusioni? Perché avrei dovuto trarre delle conclusioni?"
"Ma ci avrà pur pensato."
"Certo che ci ho pensato..."
La donna si interruppe, si abbandonò contro lo schienale del divano e accese una sigaretta.
Quanto è realmente stordita? pensò lui. Decise di osare un approccio più deciso.
"Non è stata una sorpresa per lei, o sbaglio?"
"Che cosa?"
"Che lui si sia tolto la vita."
"Cosa vorrebbe...?"
"O che avesse un passato da criminale?"
Lei tirò una boccata di fumo e il modo in cui lo fece lo sconcertò.
O piuttosto il suo modo di stare seduta lì rilassata a guardarlo. Come se le sue parole non la sfiorassero neppure. Lui ripeté la domanda.
"Lei sapeva che suo marito aveva un'identità diversa da Christopher Nolan, non è così? Prima che glielo dicesse la polizia."
La donna trasse un lungo respiro.
"Certo che no. Chi è lei, in realtà? Posso pregarla di lasciarmi in pace, adesso?"
Disse tutte e tre le frasi in un fiato. Van Veeteren restò in silenzio qualche secondo. La signora Nolan tirò un'altra boccata di fumo, ma non accennò ad alzarsi o a indicargli la porta.
"Suo marito non le disse che ero andato a trovarlo?"
"Che lei...? Perché sarebbe dovuto andare a trovarlo?"
"Perché avevamo alcune cose di cui parlare."
Un'altra pausa. Lui lasciò scorrere i secondi.
"Mi scusi, come ha detto di chiamarsi?"
"Van Veeteren. È sicura che suo marito non abbia mai fatto il mio nome, in questi ultimi giorni?"
Lei parve riflettere.
"Assolutamente no. Non ha parlato di nessuna nuova conoscenza."
"Al contrario, signora Nolan. Io sono una vecchissima conoscenza, credevo di averglielo spiegato."
Lei non rispose. Ma un angolo della sua bocca fu scosso da un tremito.
"E stamattina all'ospedale le avranno detto senz'altro che suo marito quindici anni fa si faceva chiamare con un altro nome."
Nessuna reazione.
"Le avranno detto anche che assunse l'identità di Christopher Nolan per liberarsi del proprio passato. Non è plausibile che lei ne dubiti ancora, signora Hennan."
Pronunciò quel nome con la stessa cautela di quando... di quando si libera un innocuo cavallo da una posizione in cui è rimasto bloccato per quindici anni, e lei reagì troppo tardi.
Due secondi, che non si potevano imputare a nessuna medicina.
Ma anche una mossa le cui conseguenze nemmeno lui aveva avuto il tempo di valutare. Dannazione, pensò.
"Hennan? Come ha detto...?"
Lui tirò fuori la sua macchinetta per fare le sigarette. La depose sul tavolino davanti a sé e cominciò a riempire di tabacco l'apposito incavo. I pensieri gli turbinavano in testa, e aveva bisogno di qualcosa con cui tenere occupate le mani. Elizabeth Nolan sedeva immobile e lo osservava.
"Ha mentito, vero?"
Nessuna risposta.
"Conosceva benissimo il suo passato, giusto?"
Lei continuava a fumare e aveva spostato lo sguardo fuori della finestra. Lui si accese la sigaretta e cercò velocemente di decidere come proseguire. Capì di essere molto vicino a un momento decisivo.
Decisivo? pensò. Poteva...?
"Devo pregarla di lasciarmi in pace, adesso" ripeté la donna. "Non so di che cosa stia parlando."
Lui non le diede retta. Il rumore del tosaerba del vicino cessò all'improvviso e il silenzio divenne palpabile.
"Lei sa molto bene anche che cosa accadde con Maarten Verlangen, non è così?"
Ormai le domande arrivavano quasi automaticamente. Lui capì di aver spezzato la sua resistenza. La guardò. Lei abbassò le spalle e lo guardò dritto negli occhi. Passarono alcuni secondi, poi scosse lentamente il capo e fece un sospiro profondo.
"Alright, non mi dà scelta, commissario Van Veeteren. Se l'è proprio cercata."
Doveva aver avuto la pistola infilata fra i cuscini del divano, poiché lui non la notò se non quando lei l'aveva già impugnata, puntandogliela contro da un metro di distanza.
"Venire qui è stata un'idea molto stupida" aggiunse la donna.
Qualcosa l'aveva toccato nel profondo, e all'inizio Bausen non capiva di che cosa potesse trattarsi. Poi si rese conto che era l'invito di Van Veeteren a festeggiare il Natale a Maardam.
Lui e Mathilde. Insieme a Van Veeteren e Ulrike. Forse anche altri, questo non lo sapeva. E non sapeva perché dovesse sembrargli così strano, ma non poteva negare quella vaga emozione che gli scompigliava la mente.
La mente o il cuore? Santo cielo, pensò, ho quasi settantaquattro anni, dovrei essere troppo vecchio per questo genere di cose. Anche se forse col passare degli anni si diventa più sensibili.
Nel pomeriggio fece una seduta di yoga di quarantacinque minuti. Poi telefonò a Mathilde e le chiese se aveva voglia di venire a mangiare un boccone con lui verso sera. Era una settimana che non si vedevano e lei accettò senza discutere. Si capiva dalla voce che era contenta.
Lui andò in macchina a Fisketorget, comprò un chilo di coda di rospo, cozze e verdura fresca. Poi andò a Wassingen e passò a prenderla. Ripiegò come di consueto la sedia a rotelle, la infilò nel bagagliaio e la portò fuori in braccio fino alla macchina.
Si rese conto di non aver raccontato a Van Veeteren che Mathilde era immobilizzata su una sedia a rotelle e si chiese perché. Significava forse qualcosa, il fatto di averlo taciuto. Ma cosa?
Poco importava, mancavano ancora tre mesi e mezzo a Natale. Se fosse andato a Maardam, avrebbe avuto tutto il tempo di accennare quel dettaglio al telefono.
Insieme cominciarono a preparare il pesce. Bausen aveva apportato alcune modifiche alla cucina dopo che si erano conosciuti, in modo che Mathilde potesse muoversi e lavorare più facilmente; bevvero ognuno il proprio bicchiere di vino alsaziano mentre cucinavano, e lui si sorprese a pensare che l'amava.
Nell'autunno della sua vita non riusciva a trovare un'altra parola. Ma amore era pur sempre un termine buono come un altro.
Glielo disse, proprio mentre si sedevano a tavola, e lei rispose che aveva incontrato uomini peggiori di lui. Almeno un paio. Lui rise, girò intorno al tavolo e la baciò.
Avevano appena stappato la seconda bottiglia, quando telefonò Ulrike Fremdli. Erano le dieci meno un quarto.
"Bausen?"
"Sì."
Si erano parlati due o tre volte in passato, ma senza scambiare più che semplici convenevoli.
Adesso andarono un po' oltre. Per via del motivo della chiamata.
Van Veeteren non era ancora arrivato a Maardam. Benché avesse promesso che sarebbe stato a casa per le cinque. E al cellulare non rispondeva. Doveva essere successo qualcosa.
"Mi aveva detto che aveva qualche problema" si ricordò Bausen.
"Il cellulare?"
"Sì."
"A che ora è partito da Kaalbringen?"
Bausen ci pensò su.
"Verso le dodici e mezzo. Sarebbe dovuto arrivare a casa già da un pezzo."
"Non capisco perché non si sia ancora fatto vivo."
Nemmeno Bausen lo capiva. Ma dalla voce di Ulrike intuì che era più preoccupata di quanto non volesse dare a intendere, e cercò di tranquillizzarla dicendo che molto probabilmente aveva avuto noie con la macchina.
E che l'avrebbe chiamata subito, non appena fosse riuscito a sapere qualcosa. Ma di sicuro non era niente di grave.
Non fece nessun accenno a proposito del Natale. A conti fatti, in fondo era solo l'8 settembre.
Che diamine può essere successo? pensò dopo aver messo giù. È uscito di strada ed è finito in un fosso da qualche parte?
No, no, pensò poi, e tornò da Mathilde. Cerchiamo di non pensare sempre al peggio.